Valerio MICHELI-PELLEGRINI - 2008 I POLIPI DEL NASO (Poliposi naso-sinusale PNS) ETIOPATOGENESI, ANATOMIA PATOLOGICA E TERAPIA Sebbene il termine ippocratico “polipo” voglia indicare la somiglianza con un organismo provvisto di molti piedi (Ranzi), se ci riferiamo invece al suo aspetto macroscopico (Ferrara e coll. nel 1993, a seguito degli studi di Settipane, lo calcolano presente nel 4 % dell’intera popolazione) osservandolo all’interno della fossa nasale, potremmo piuttosto considerarlo simile ai chicchi d’uva, di dimensioni diverse, di colore rosato, a superficie liscia e lucida: proprio come, secondo la fondamentale relazione di Maurizi (1997), lo avevano descritto gli egiziani nel papiro Ebers, quando il naso veniva rappresentato con un inconfondibile singolo geroglifico (Lise 1978). Nei più autorevoli trattati, sulla prevalente sede di origine dei polipi, a parte l’indicazione generale relativa all’area nasale ove si manifesta la maggiore turbolenza del flusso aereo, è indicata la mucosa delle cavità etmoidali (Capelli e coll. 1997, Passali, Bellussi, 2000) peraltro segnata da scarsa irrorazione ematica e da ridotta capacità di rimozione (clearance) tanto dell’istamina e dei leucotrieni (Passali e coll. 1984; Amabile e coll. 1984; Maurizi e coll. 1997) come degli altri mediatori (Perfumo e coll. 1994) secreti durante la stimolazione allergenica. I polipi si accompagnerebbero con una frequenza dell’8% dei casi ad una situazione di atopia respiratoria (Nuti e coll. 1994; Bellussi e coll. 1994; Romagnani e coll, 2004) dell’intero distretto rinologico. In una intelligente e fluida riorganizzazione pratica delle diverse teorie patogenetiche, Bellussi e coll. (1994) e Passali e coll. (2000) hanno indirizzato gli studiosi verso il ricordo di sintetici itinerari epistemologici. Billroth nel 1855 aveva considerato queste formazioni come adenomi ricchi di ghiandole tubulari lunghe; viceversa, nel 1885, Hopmann, constatata l’assenza di ghiandole, li aveva interpretati come fibromi molli. Woakes nel 1885 aveva pensato all’etmoidite necrotizzante e alla consecutiva periostite ed osteite dell’etmoide e del turbinato medio generatrici del polipo, come risultato della necrosi ossea, peraltro negata da Hayek, sostenitore nel 1896, di una non meglio definita origine essudatizia. Nel 1932, Jenkins pensava alla spinta dell’infiammazione cronica con accumulo di liquido intercellulare in un’area ristretta, mentre nel 1947 Eggeston e Wolff, preannunciando forse la vasculite sistemica asmatogena di Churg-Strauss, si erano orientati verso meccanismi vascolari come la periflebite e la perilinfangite. Sarebbe l’insieme di questi fenomeni a causare la rottura della membrana basale con il susseguente prolasso della mucosa e la formazione dell’elemento polipoide (Ferrara e coll., 1994). Sotto questo profilo assumerebbe grande valore lo studio dei flussi jonici cellulari (accumulo di Na+ e di Cl e conseguente edema cellulare e mucoso) nell’epitelio respiratorio (Capelli e coll.) non solo in rapporto all’iperreattività bronchiale ma anche in riferimento all’impiego della nebbia ultrasonica di acqua distillata nelle vie aeree superiori (naso) come test di provocazione dell’asma, e all’ inibizione della risposta alla nebbia con aerosol preventivo di Furosemide. Nella poliposi, caratterizzata soprattutto dall’edema, la Furosemide (Lasix) riuscirebbe a ripristinare i potenziali elettrici alterati e a produrre una efficace disimbibizione (Ferrara e coll. 1994). Ne discenderebbe una ipotesi interpretativa del polipo di una primitiva alterazione della dinamica idrica intra-extracellulare con l’acqua “tesaurizzata” nel citoplasma, dilatazione cellulare da imbibizione, blocco degli scambi jonici, edema intracellulare con trasudazione interstiziale e idropisia definitiva della cellula coinvolta. Tra l’altro questa spiegazione potrebbe trovare motivi di collegamento con il tema dei test di provocazione nasale (TPN) con ASA (acido acetilsalicilico) in pazienti sensibili al farmaco, e con quello (Nucera, 1997) della terapia topica dei polipi con acetilsalicilato di lisina (LAS). Le modalità della risposta ai vari stimoli irritativi da parte dell’epitelio che riveste i turbinati medi è stata riassunta nella sintesi di Capelli e coll. e chiarita estesamente negli schemi di Romagnani, Matucci e Rossi per affermare che le cellule eosinofile costituiscono l’elemento fondamentale per l’insorgenza “acuta” del polipo nasale, in un complicato gioco interattivo tra le citochine, prodotte dall’ irritazione della mucosa nasale, e gli eosinofili medesimi, fonte di TGF-B (transforming growth factor) e di IL4 (interleuchina, interessata alla differenziazione di linfociti B – mucosa associati alle plasmacellule). Se si considera l’assetto neurochimico dell’affezione, con i rapporti tra sistema sensoriale e iperreattività nasale, ampiamente studiati da Zanni e coll. (1997) e da Romagnani e coll. (2004), e si pone mente al vasto paragrafo sul ruolo dei neurotrasmettitori (Werman, 1966), è possibile comprendere quale sia stato il vigoroso processo di avanzamento nella ricerca della biologia del polipo nasale. Citelli (1939), da considerare, all’epoca, uno dei cultori più quotati, pur ammettendo l’azione di un fattore allergico, non andava oltre la definizione di “fibromi edematosi, solitamente sviluppati da una mucosa infiammata cronicamente“ (edema e infiammazione erano stati i temi permanenti della medicina secentesca di Fabrizi) per l’azione irritante del pus o muco-pus “che vien fuori dai seni nei casi di sinusiti ed etmoiditi”. Nella struttura, Citelli descriveva solo “fibre delicate lasche o a reticolo con scarse cellule fisse con imbibizione sierosa” e pochi vasi, alle volte con qualche ghiandola o condotto dilatati o no, talora con delle cisti da rammollimento o ghiandolari, con aree di tessuto mixomatoso penetrato nella fossa nasale attraverso gli osti: oppure di una estroflessione della mucosa dei seni nasali ed in specie dal mascellare (Hirsch) e dall’etmoide. Nota - Dopo Citelli, le regole della fisiologia generale e dell’ anatomia microscopica e dell’istologia di Bichat (1801) di Henle (1841), di Hassall (1846) di Kölliker (1850, 1889) di Romiti (1879, 1897, 1905), di Bizzozzero (1888) di Chiarugi (1891, 1917) e di Pardi (1909), sembravano aver spinto anche Denker e Albrecht (1930) a descrivere, in forma molto semplificata, la mucosa del naso e delle sue cavità accessorie (Converse nel 1964 avrebbe parlato di “highly sensitive, ciliated, columnar epithelium”) distinguendo (con un minimo accenno all’ azione di detersione ) la regione olfattoria (cornetto superiore e medio e setto corrispondente, con ghiandole tubulari di Bowman) da quella respiratoria, rivestita da epitelio clindrico vibratile (stratificato, secondo la dizione di Romiti, oppure composto secondo quella di Pardi), con gruppi di ghiandole acinose, illustrato da immagini “a forte ingrandimento” che oggi appaiono rudimentali, forse quanto quelle di Billroth del 1868 . Terracol (1936), uno dei primi a studiare l’ allergia e la vasomotricità nasale, aveva definito decisamente la poliposi come “reaction oedemateuse benigne de la muqueuse pituitaire”, con il recupero di molte delle più accreditate tesi sulla sua etiologia (Zuckerkandl era stato fautore della mai abbandonata origine infiammatoria) e sulla sua patogenesi (Lermoyez; Woakes) a cominciare dalla contestazione della dottrina del “mixoma” di Virchow (Aschoff, 1914). Una conclusione pratica di Terracol riguardava il dato forse ormai inoppugnabile (p.141) che “i polipi nasali non sono una malattia identificabile, sono un sintomo”. Nota- Rifacendosi a Huguenin e a Leroux L.,( p.144) la questione del mixoma era stata definitivamente archiviata e sostituita con l’inquadramento del polipo come “formazione connettiva-vascolo-glandolare risultante da un processo iperplastico a carico degli elementi connettivi, epiteliali e ghiandolari della mucosa”. A parte il granuloma poliposo, segnato da focolai emorragici, Terracol aveva illustrato il polipo edematoso con microfotografie che dimostravano anch’esse i processi di endoarterite proliferante e obliterante come causa delle turbe della nutrizione e della diapedesi di elementi dell’infiammazione come le plasmacellule le cellule plasmatiche di Waldeyer e di Unna o plasmatociti di Carletti e Pardi)) e gli istiociti. Grande merito dell’otologo francese è stato quello di inquadrare clinicamente il polipo edematoso eosinofilo, descrivendo grandi quantità di questi polinucleati, mescolati con i linfociti. Nota Laurens, in collaborazione con Aubry e Lemarey, nel 1940, aveva destinato uno speciale settore del suo trattato alla “sindrome dell’ostruzione nasale”, aprendo il discorso sul grande tema delle “turbe secretorie” e della funzione respiratoria del naso (rinomanometria) non disgiunto da quello sulla ipertrofia “connettiva” dei turbinati. Caliceti (1948), tra i primi a scrivere sull’argomento alla fine della seconda guerra mondiale, annotando l’anatomia nel capitolo sulle malattie del naso, aveva utilizzato molte delle 377 immagini del suo “compendio” del 1931 e ne aveva ripetuto in gran parte il testo: nella mucosa respiratoria dell’uomo, rivestita da epitelio cilindrico stratificato (più sottile sul setto e più rubusta sui turbinati medio e inferiore), e con il corion fornito di ghiandole (Sappey; Romiti) di tipo misto,(siero-mucose di Heidenhain) a spiga e tubuloalveolari (tubulari ramificate di Romiti), le ciglia “talora mancano, forse a causa delle frequenti e facili infiammazioni” (Romiti II p. 205). Dal punto di vista anatomo patologico, Caliceti, certamente precursore delle dottrine sulla corrispondenza tra allergia, asma bronchiale, polipi nasali e iperreattività delle vie respiratorie (Venuti, 1997), aveva tempestivamente sottolineato la presenza di molti tipi di elementi cellulari, raggruppati in noduli perivasali , rappresentati da linfociti, plasmacellule, neutrofili polinucleari ed eosinofili (Galli e coll. 1997). Nota L’epitelio olfattivo (epitelio sensoriale secondo Retzius – 1884 -, Chiarugi - 1904, Pardi, 1905, Sterzi, 1909 Pera,1965), sede delle ghiandole tubulari di Bowman (semplici di Romiti e di Pardi), si vale di cellule (di sostegno) fusiformi (Pardi) come supporto per le cellule olfattive di Schultze (Romiti; Terracol; Micheli-Pellegrini e Ponti, 2001), con grande nucleo rotondo (Romiti), provviste di una estremità arrotondata dalla quale nascono 6-8 peli olfattori, ovvero “bastoncini olfattivi”, che da un lato si dispongono alla superficie della mucosa, verso il lume cavitario, e dall’altro, con un prolungamento cilindrassile arrivano ai glomeruli sensoriali (Ramon y Cajal, Golgi, Romiti, p. 695,759) del bulbo olfattivo, rappresentando così delle “vere cellule nervose periferiche di Bowman” (Terracol). Nella edizione del 1957 (la decima dopo la prima del 1908), Ballenger H.C e Ballenger J.J., nel “Diseases of the nose, throat and ear” , nello speciale capitolo XXXIII destinato ai tumori benigni del naso, della gola e della laringe, avevano considerato il polipo nasale come un mixoma nel quadro della “rinite iperplastica”. Confermando i pareri di Weber,Grünwald e di Hajek, ampiamente accolti da Bergman e coll. nel 1901, i due autori americani ritenevano che il tumore - per lo più peduncolato - “di tessuto iperplastico”, nascesse più frequentemente dal turbinato medio, dal processo uncinato dell’etmoide, o dalle cellule etmoidali, potendo essere presente anche nei seni mascellare, frontale e sfenoidale;il polipo doveva essere considerato il prodotto di una preesistente allergia (il termine “allergia” è stato introdotto nel 1906 dal pediatra viennese Von Pirquet) o della infiammazione suppurativa dei seni paranasali, sotto forma appunto in molti casi di una << hyperplastic rhinitis of allergic origin>>. Rifacendosi dichiaratamente alla dottrina di Oskar Hirsch, veniva chiamata in causa la sinusite mascellare molto di più di quella semplicemente etmoidale. La convinzione prevalente era che il polipo veniva prodotto (più negli uomini che nelle donne) da una infiammazione, con o senza substrato allergico, della mucosa del seno mascellare o di quella nasale nel perimetro dell’ostio, e che, dopo l’infiltrazione edematosa, diventava pendulo. Anche i due Ballenger avevano visto che le plasmacellule presenti si coloravano con bleu di metilene ed eosina ed avevano testimoniato la diffusa presenza di eosinofili nelle secrezioni della mucosa. Nota - Le affermazioni di Ballenger e Ballenger facevano solido riferimento allo spessore della mucosa, variabile in rapporto al distretto di appartenenza: più sottile a livello del setto e più massiccia sui turbinati ed in specie di quello inferiore, con le strutture vascolari cavernose servite da ghiandole di tipo misto tubulo-alveolari, contraddistinte da un comportamento paragonabile a quello di un’area adenoidea, passibile di improvvise variazioni di volume (Micheli-Pellegrini e Ponti, 2001). Era inevitabile che la moderna letteratura si attestasse sul grande capitolo anatomo funzionale della “basi cellulari” ed in particolare degli eosinofili (Capelli e coll. 1997; Romagnani e coll. 2004), per affrontare l’argomento della risposta immunitaria delle mucose e il comportamento dei linfociti con l’insieme delle cellule accessorie del complesso monociti-macrofagi (Luzi e coll., 1997) per il trasporto degli antigeni a livello dell’epitelio semplice monostratificato delle mucose. In questa prospettiva, Romagnani, Matucci e Rossi hanno composto nel 2004 una esaustiva sintesi sui meccanismi di accumulo delle cellule nelle sedi colpite dalla flogosi con espliciti schemi sulla migrazione chemiotattica (Capelli e coll.) degli eosinofili (facilitata dalla chemochine) dai capillari alla mucosa dell’albero respiratorio, con il danno dell’epitelio provocato dalla ICAM-I (molecole di adesione), dalle proteine basiche e dai mediatori lipidici. Un segnale di grande valore orientativo era stato innalzato, con grande preveggenza, da Motta G. e Bolognesi (nel Tomo II del III volume del testo di anatomia patologica pubblicato da Reitano e Lanza tra il 1964 e il 1969), che, nell’appendice al paragrafo sulle riniti croniche avevano considerato, i polipi nasali “neoformazioni di natura flogistica”, in rapporto con fenomeni di tipo allergico-iperergico (asma bronchiale) che si formano nel corso di processi infiammatori cronici della mucosa delle cavità nasali e dei seni paranasali, nel quadro della sinusite cronica iperplastica. In quelle pagine è scritto che i polipi (per lo più multipli, ma anche solitari e di grandi dimensioni) sono rivestiti da epitelio cilindrico semplice non cigliato (ed anche da epitelio cubico e, di rado, pavimentoso) steso s’uno stroma di connettivo lasso con infiltrati parvicellulari e, spesso, numerosi eosinofili; e che nel loro contesto possono esistere ampie raccolte di liquido sieroso se non delle vere e proprie cisti rivestite da epitelio cilindrico derivato dalle ghiandole della mucosa dilatate per la chiusura del condotto escretore. Motta e Bolognesi, con apprezzabile anticipo sul grande articolo del 1997 (Motta G. e coll.) riguardante la diagnosi differenziali tra tumori benigni e maligni, avevano allora ben chiarito l’intera questione, ricordando che quasi sempre i polipi giganti si inseriscono sulla parete del seno mascellare mentre gli altri (tipici delle sinusiti mascellari ed etmoidali iperplastiche o polipose), arrivano nelle cavità nasali dopo avere riempito il seno mascellare, trovando inserzione sul bordo delle coane, sulla mucosa del meato medio, sulla faccia interna o sulla coda del turbinato medio oppure sul contorno dell’ostio del seno mascellare. Tra le più recenti teorie quella di Tos e Mogensen, del 1977 (Capelli e coll.), comporterebbe cinque fasi di formazione di un polipo: dopo un primo stadio di prolasso di tessuto fibroso attraverso una soluzione di continuo epiteliale, e la epitelizzazione del tessuto prolassato, si passerebbe ad una seconda fase di trasformazione in un piccolo polipo (Passali e coll. 2000). Nell’epitelio della neoformazione si verrebbero autonomamente a creare delle ghiandole (terza fase). Nel progredire del volume della massa, a causa dell’edema e sotto la spinta della forza di gravità, oltre che per l’aspirazione conseguente all’effetto Bernouilli (Passali e coll. 2000), avverrebbe, in una quarta fase, l’esteriorizzazione con il seguito dell’ancora non del tutto spiegata trasformazione dell’edema in vero e proprio polipo. In questo percorso patogenetico, le ghiandole diventerebbero tubulari lunghe, ma andrebbero poi verso la degenerazione e la dilatazione cistica (Passali e coll. 2000). Nel completo sviluppo morfogenetico il polipo (quinto stadio) verrebbe a consolidarsi con continue modificazioni dell’epitelio e stabile aumento della densità delle cellule globose, come spinta dovuta a fattori estrinseci quali il flusso aereo ed estrinseci come i nuovi processi infettivi e le allergie. Nota - A parere di Passali (1994), quando si parla di “rinopatia” occorre far riferimento ad una <<estrinsecazione a livello d’organo di un’alterazione sistemica che si configura come stato atopico nelle forme allergiche ed in uno squilibrio neurovegetativo nelle forme classicamente denominate vasomotorie>>. Il processo (edema mucoso), sia esso dovuto alle allergie oppure ad eventi infiammatori, verrebbe mantenuto dalle mastzellen, degranulate e in numero doppio che nel tessuto normale. Nei granuli dei mastociti sono presenti l’istamina e vari fattori chemotattici responsabili della vasodilatazione e della ipersecrezione: la migrazione dei neutrofili, più precoce, avviene nelle prime tre ore, mentre otto ore dopo si manifesta l’infiltrato di eosinofili, seguito da quello di macrofagi e di linfociti in combinazione con una aggregazione piastrinica, causa questa dell’aumento della vasodilatazione e dell’edema. In un grande numero di occasioni vien fatto riferimento (Romagnani e coll.) all’intervento dell’Insulin-like growth factor I (IGF-I) presente con titoli elevati nei polipi nasali; si penserebbe che i fagociti macrofagi (derivati dalla trasformazione dei monociti, i più voluminosi dei leucociti, migrati dai vasi sanguigni per realizzare un’intensa attività fagocitaria) possano produrre IGF all’interno dei seni paranasali, stimolino la crescita dell’epitelio e dei vasi medesimi e portino a protrudere questa mucosa ipertrofica dagli osti (Motta e coll. 1969). Parallelamente all’aggiornamento moderno della terapia medica (Maurizi e coll. 1997) della malattia poliposa nasale, Salzano e coll., Sartoris e coll., De Campora e coll.. Ferrara e coll., (1994). Ciappi e Venuti e coll. (1997) hanno esposto in termini moderni i rapporti tra il polipo nasale, la rinopatia vasomotoria e l’asma (Passali, 2000). Nota – Miriadi di linfociti, originati da una cellula staminale pluripotente (CSP) risiedente nel midollo osseo, (10 elevato alla dodicesima in un sistema a completa maturità) danno luogo, in età adulta e in quella sede, alle cellule B (bursa) adibite alla risposta immunitaria. umorale; oppure si trasferiscono nel timo diventando linfociti T (timo), destinati alla risposta “cellulo-mediata”. Midollo osseo e timo sono da considerare organi linfatici primari e stazione di partenza dei linfociti maturi che si dirigono con il sangue periferico per tutti gli organi, ed in specie negli organi linfatici secondari come i linfonodi, la milza e il tessuto linfatico delle mucose o MALT (Mucosal Associated Linphoid Tissue). I MALT sono noduli linfocitari variamente dislocati nella lamina propria (corion) o nello strato sottomucoso, partecipanti ad un intero sistema di “immunità mucosale” distinta in BALT (Brochus associated), GALT (Gastrointestinal associated linphoid tissue) e NALT (Nose associated lynphoid tissue) e inclusa in un quadro di “immunità sistemica”(Luzi e coll. 1997). I linfociti, arrivati negli organi periferici (B oppure T dipendenti), sono responsabili della risposta immunitaria specifica, con l’ausilio di cellule epiteliali, di complessi monocitomacrofagi e di APC, ovvero di elementi cellulari addetti alla presentazione dell’antigene. Dopo l’incontro con l’antigene, nascono cellule effettrici (CML o cell mediated immunity), oltre alle plasmacellule e ai “linfociti memoria”. Nella rinite vasomotoria, Salzano e coll. vedono coinvolte nella congestione nasale e la rinorrea le strutture anatomiche rappresentate dalla rete vascolare subepiteliale (iperreattiva agli stimoli) e le ghiandole sieromucose (spinte alla abnorme produzione di muco). Le terminazioni sensitive trigeminali verrebbero chiamate in causa per la starnutazione ed il prurito. La rinopatia vasomotoria specifica (o allergica) è imputabile nel 95% dei casi a pneumoallergeni (maggiori e minori: acari, parietaria, graminacee, epitelio di gatto, di cane e le muffe) e nel 5% ad allergeni alimentari (Salzano e coll. 1994). Rimandando per i più fini particolari, all’ immensa bibliografia sull’argomento (Perfumo e coll.), consideriamo di grande interesse lo schema elaborato da Passali (2000) che distingue la rinopatia allergica in quattro tempi: il primo è quello della condizione di atopia (dal greco, “eccezionalità”, “l’insolito”, la “singolarità”), sia come tendenza ereditaria a manifestazioni di ipersensibilità, sia come insieme di affezioni a trasmissione poligenica, con iperproduzione di IgE dipendenti da geni HLA e da cloni di linfociti T2 helper, (Galli) Tha2, IL4 (citochine). Nota - Nelle reazioni da anticorpi IgG (p.e. malattia da siero) i sintomi compaiono entro alcuni minuti dalla seconda somminstrazione dell’ antigene; nelle reazioni ritardate, mediate da cellule T, i sintomi compaiono dopo alcuni giorni. Il secondo momento patogenetico s’identifica con la “sensibilizzazione”, quando l’antigene ( allergene) inalato, dopo aver superato la barriera epiteliale della mucosa nasale (Perfumo e coll. 1994), arriva alla sottomucosa (Salzano e coll. 1994) per mettersi in rapporto con i macrofagi (Galli e coll.) e le cellule APC (antigen presenting cells) capaci di legami preferenziali e pronte a sollecitare i linfociti Th2, a loro volta stimolatori delle cellule B sia con il contatto diretto (cognate interaction o interazione consanguinea) tra linfocita B e T che con la produzione d’ interleuchina 4 (Salzano e coll.). I linfociti B, dopo essersi trasformati in plasmacellule (stadio funzionale del linfocito B), producono IgE, che, a loro volta con il frammento cristallizzato (FC) si compenetrano stabilmente con idonei recettori dei mastociti e dei basofili (Salzano e coll.) La terza fase è quella allergica, quando si attua un nuovo contatto dell’allergene con la mucosa nasale e la sua combinazione (bridging ) con due molecole di IgE dei mastociti (Salzano e coll.; Galli e coll.) per la successiva degranulazione necessaria alla produzione degli indipensabili mediatori chimici. Il quarto percorso si identifica con l’infiammazione locale autogestita per la presenza dei neutrofili, dei monociti e degli eosinofili (Galli e coll.), coadiuvati da molecole di adesione intercellulare ICAM e VCAM (selectine e integrine) stanziati sulle membrane cellulari ed epiteliali a favorire la chemiotassi leucocitaria. Con l’acquisizione delle dottrine immunochimiche dell’infiammazione torna la probabilità che questa sia la causa patogenetica della poliposi nasale persino nella poliposi cistica e nella sindrome di Kartagener. In effetti, sembra farsi strada l’ipotesi che l’inizio del processo infiammatorio cronico origine del polipo debba essere attribuito alla ricordata alterazione del trasporto jonico, senza sottovalutare l’importanza delle alterazioni metaboliche (Galli e coll.). Sembrerebbe dimostrato (Galli e coll.) che la poliposi nasale sia “uniformememente distribuita “tra soggetti atopici e non atopici, e che i mastociti IgE+ sarebbero dimostrabili solo nel 15% dei polipi allergici mentre non si trovano nei non-allergici. Quanto alla “malattia da aspirina”(“Aspirina” di Dreser dalla pianta “spiraea”, la prima fornitrice dell’acido salicilico, poi ricavato dalla corteccia di salice), Schiavino e coll. (1997), tra le cause che la determinano, vengono considerate le reazioni allergiche o da ipersensibilità (dalla gastrite all’anemia emolitica) sullo stesso piano delle turbe da intolleranza alla penicillina, con la prevalenza di manifestaziuoni orticarioidi, angioedematose e decisamente anafilattoidi, ma sempre di tipo pseudoallergico ed extraimmunologico. Insieme con l’intolleranza al ASA e agli altri FANS (farmaci antinfiammatori non steroidei) la triade sintomatologica tipica comprende l’asma bronchiale intrinseco (non allergico, idiopatico, IgE dipendente) e la poliposi nasale (Romagnani e coll. 2004). Maurizi e coll. hanno pubblicato le immagini a colori dei comuni polipi nasali, rappresentati da <<masse molli, gelatinose e translucide>> documentabili sia con la radiologia convenzionale che con la tomografia computerizzata, associata alla risonanza magnetica, quando si voglia una migliore conoscenza dell’interfaccia tra le masse neoformate e i distretti circostanti, talora alterati da una “concha bullosa”, da una “bulla etmoidale” o, al limite; da una “celletta di Haller” adiacente all’ostio del seno mascellare. A parte le annotazioni riassuntive, i motivi dell’insorgenza della poliposi nasale, sono da ricercare sostanzialmente nelle caratteristiche anatomiche (istologiche) della popolazione cellulare (molto variabile secondo Ballenger e Ballenger, in rapporto alle correnti aeree, alla temperatura, all’umidità nelle cavità) della mucosa nasale che nella sua complessità pluritissutale esercita appunto una funzione cellulare, una ciliare ed una secretoria (Azzena e coll. 1997). La temperatura nasale è generalmente sui 32°C a livello del turbinato inferiore, quando quella orale risulta di tra i 36° ei 37°: la temperatura più bassa a livello del turbinato è causata dalla rapida evaporazione necessaria per umidificare l’aria inspirata, con il calcolo di circa 70 grandi calorie consumate (circa 500 piedi quadrati secondo Ballenger e Ballenger, ogni 24 ore) per portare la temperatura da 20° a 32° C., con misure molto più elevate quando l’aria asciutta è anche molto fredda. Verrebbe così spiegato anche il fenomeno della “goccia al naso” ricordato da Laurent e coll. Il muco nasale (mucous blanket), tenuto in continuo movimento dalle ciglia (sfasamento tra file successive e creazione dell’effetto onda), secondo i calcoli di Proetz, confermati da Ballenger e Ballenger, sarebbe costituito ( Passali e coll., 1990) per il 95% da acqua, con il 3% di mucina e il 2% di sali (cloruro di sodio, potassio e calcio). Il lisozima contenuto nel muco sarebbe il responsabile del mantenimento della sterilità nella porzione posteriore delle fosse nasali. Nei seni paranasali il muco sosta in continhità verso gli osti con un movimento circolare (Ballenger e Ballenger). Nei particolari, il rivestimento mucoso (respiratorio) delle fosse nasali è rappresentato da cellule cigliate (Ballenger e Ballenger, 1957: Micheli-Pellegrini. Ponti L., 2001), cellule caliciformi mucipare, cellule basali e cellule con “orletto a spazzola”. Ciascun elemento cigliato, ben conosciuto nella sua struttura ultramicroscopica, (Maurizi) con la sua superficie apicale di scambio aumentata per mezzo della funzione ausiliare degli immobili microvilli (Passali e coll. 1990), è provvisto di 50-100 lunghe appendici vibratili, che si muovono nel lume cavitario con il compito di partecipare (Maurizi e coll. 1997) al sistema di difesa aspecifica mucociliare, caratteristico delle vie respiratorie ( Micheli-Pellegrini, Ponti L., 2001; Micheli-Pellegrini 2006). Le ciglia, assenti nell’intera area olfattiva, nelle porzioni anteriori e posteriori del turbinato superiore e nella parte alta del setto, hanno una lunghezza media di 6-7 millimicron (mM), con un minimo di 4-5 mM a livello del turbinato inferiore e medio (Maurizi; MicheliPellegrini e Ponti L.). La proporzione tra cellule cigliate e non cigliate sarebbe di 1:1 o 1:2 con una maggioranza di cellule non cigliate mucipare. La lunghezza e la grossezza delle ciglia vanno diminuendo dal basso in alto, (Zu e Coll., 1992) e l’attività muco-ciliare risulta più attiva nell’area inferiore (pavimento) del perimetro respiratorio ( Micheli-Pellegrini e Ponti L.). Ogni elemento ciliare è formato da nove coppie di microtubuli periferici e di due microtubuli centrali, e si muove per scorrimento reciproco dei medesimi microtubuli, collegati da un sistema di legami di nexina. A parere di Gray (1928) e con la conferma di Ballenger e Ballenger, il movimento delle ciglia (250 battute al minuto secondo Hilging in Ballenger; 600 – 1000 nei dati raccolti da Micheli-Pellegrini e Ponti L.) sarebbe dovuto alla varia distribuzione delle molecole dell’acqua al loro interno. Nel 1950, Tremble aveva paragonato l’epitelio vibratile della mucosa nasale umana,a quello di un microscopico protozoo chiamato paramecio , ed aveva asserito che nell’uomo le ciglia battono 250 volte al minuto. mentre Hilger J.A. e Hilger P.A nel 1981 avevano calcolato valori da 100 al 1000, peraltro smentiti da Petruson e Shore nel 1968 e successivamente da Passali e Coll. nel 1999 (Micheli- Pellegrini e Ponti L. 2001). L’energia per i continui movimenti cigliari verrebbe fornita dalla scissione dell’adenosintrifosfato causata da una adenosintrifostatasi, denominata dineina, accumulata nei microtubuli periferici (Passali e coll., 1990). Il ritmo metacronale delle ciglia, che alterna una fase propulsiva rapida con una lenta, garantisce una forza capace di spostare, verso il rinofaringe, masserelle del diametro di 0,5 millimetri (Micheli- Pellegrini, Ponti L.) Il sistema mucociliare medesimo risulta dalla integrazione dell’attività delle cellule cigliate con quella delle cellule caliciformi mucipare, fornite di un voluminoso estremo sommitale stipato di granuli di mucinogeno. Il muco si libera per esocitosi, in proporzioni variabili secondo le richieste funzionali, mentre la cellula resta integra in virtù della secrezione merocrina e apocrina (Passali e coll. 1990). Il prodotto si colloca sulle ciglia suddividendosi in due strati: lo strato esterno, sottile ma vischioso e consistente come un gel denso, circonda gli apici ciliari ed è in grado di avvolgere e trattenere batteri e particelle; lo strato interno sol ha l’aspetto di un liquido sieroso, molto adatto alla lubrificazione delle strutture ciliari (Micheli- Pellegrini, Ponti L.). Le cellule basali sembrano costituire una riserva per il rinnovo epiteliale mentre quelle, scarse, con orletto a spazzola sembrerebbero svolgere una funzione olfattiva oltre a comportarsi come cellule M (microfold cells) o cellule epiteliali specializzate per la captazione degli antigeni. Da una ricerca di Zanni e coll. (1997), con la conferma di Passali e Bellussi (2000) si potrebbe ricavare un corollario di orientamento generale per ritenere che la PNS. è senza alcun dubbio una malattia “multifattoriale” e che qualunque sia la causa invocata, questa non può essere la sola che porta alla formazione del polipo (anche se antro-coanale) la cui evoluzione “è imprevedibile” e sempre si accompagna alla flogosi (talora neuromediata o flogosi neurogena) e all’edema. L’ipereattività nasale, come causa di tutte le patologie nasali e sinusali, può dare luogo alle sindromi rino-bronchiali. A parere di Passali e coll. (2002), nell’etiologia dei polipi, le motivazioni allergologiche rimangono ancora discutibili mentre potrebbe esser considerata sicura l’intolleranza all’aspirina (ASA) e ai farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS). Non sembrerebbe improbabile un’azione favorente da parte di ogni tipo di infezione rinosinusale in grado di ridurre la funzione di difesa della mucosa, specialmente aggravata dalla coesistenza di una difettosa clearance muco-ciliare. Questi AA. vagliano anche l’ipotesi di una genesi vascolare mentre non escludono quella genetica, comprovata dalla presenza di antigeni HLA A1, HLA B3 ed HLA B35. Maurizi e coll. (1997) hanno particolarmente studiato il rapporto tra la poliposi e le infezioni sinusali batteriche e micotiche; Paludetti e coll (1997) hanno chiarito il significato delle poliposi strutturali, derivate da aree di contatto della mucosa per la presenza di una stenosi nasale da cause diverse, e tra queste le difformità dovute alle cellule dell’agger nasi (“disventilazione” ) e le sinechie postoperatorie. Quasi ad equilibrare il vecchio paragrafo di Citelli sui rari papillomi veri (come iperplasie locali della mucosa), Rosignoli e coll. (1997) hanno sottolineato la particolare origine dell’invasivo “papilloma invertito” (forse associabile ai papilloma virus umani HPV) derivato dalla membrana embrionale di Schneider e creato per invaginazione ectodermica, nel primo trimestre fetale, del placode nasale. La poliposi nasale nella fibrosi cistica ha rappresentato motivo di attenti studi (Antonelli M e coll. 1997), conclusi nel 1983 con la dimostrazione che la fibrosi cistica è conseguente all’alterazione del trasporto dello ione cloro nelle cellule epiteliali dei dotti nelle ghiandole del sudore. Oltre alla poliposi per intolleranza all’aspirina (Schiavino e coll. 1997), un posto a parte deve essere riservato (Sartoris e coll. 1997) alla sindrome di Kartagener (immotile cilia syndrome nel situs viscerum inversus con bronchiettasie e sinusite cronica) oggi inquadrabile nel più vasto capitolo delle discinesie primarie, studiata da Passali e coll., (1990), da De Campora e coll. (1994) da Ferrara e coll. (1994), da Bellussi e coll. (1994) e da Passali e coll. (2000) nel contesto della sindrome rino-bronchiale. Lo stesso dicasi per il quadro clinico della malattia di Woakes ovvero della poliposi nasale giovanile deformante e recidivante (Di Girolamo e coll., 1997), caratterizzata dalla produzione, fino dalla prima infanzia, di muco denso e vischioso (mucoviscidiosi), e da considerare molto vicina alla fibrosi cistica come ruolo etiopatogenetico di affezione congenita di tipo autosomico recessivo. Nell’ esempio riportato da Ferrara e coll., la mucoviscidiosi (Passali e coll. 2000) era accompagnata da un deficit di arginin-esterasi, con ridotta attivazione di chininogeno E in chinina E responsabile del flusso transduttale di acqua e di elettroliti a livello delle ghiandole esocrine. A causa dell’incapacità del battito ciliare di trasportare il muco, il ristagno intraghiandolare provoca la distensione delle ghiandole , con compressione dei vasi e successivo trasudato ed edema. Nota – Celso, oltre alla menzione nel paragrafo VIII del Libro Sesto (Interdum vero in naribus etiam carunculae quaedam similes muliebribus mammis nascuntur… modo alba modo subrubra…) senza altre indicazioni, nel paragrafo X del Libro Settimo del “De Medicina”, aveva scritto “polypum”, quando suggeriva di operarlo con l’aiuto di un uncinetto, soprattutto se “… ac modo ad labra tendens, narem implet…”. Fin dall’inizio delle documentazioni mediche, la poliposi nasale non sembrerebbe esser stata ignorata anche nei quadri più vasti dei “morbi purulenti” e dell’asma o “anelito”. Areteo di Cappadocia , vissuto a Roma ai tempi degli Imperatori Flavi, aveva scritto il testo, “Delle cause, dei segni e della cura delle malattie acute e croniche”, delicatamente volgarizzato da Francesco Puccinotti nel 1836. Nei Capitoli IX e Xl si legge che gli eventi suppurativi si manifestano, oltre al resto, anche con una tosse accessuale accompagnata da secrezione di pituita nasale infetta di bile <<che dà in nero, come mescolata a fuliggine>> a carattere “crasso e cruento”. Non diversa intrepretazione sarebbe stata quella di Galeno (131- 201) al riguardo del <<catarro originatosi dal cervello>> ( Andorlini, 1999). Nel volume miniato di Rolando da Parma, detto dei Capezzuti, databile, secondo Puccinotti, verso il medievale anno 1250 (forse il primo trattato con illustrazioni a colori), uno speciale paragrafo è destinato al “polip” che “non è curabile quando il naso è grosso, duro, nero e l’escrescenza non discende”: è invece curabile “quando il naso è molle e trattabile”. Con le “tenaglie” si doveva afferrare la neoformazione per rimuoverla, tutta o in parte; se la manovra non era possibile allora, dopo essersi fatto strada con un drenaggio, il chirurgo, esperto di ferite del naso, doveva arrivare alla massa con un tubo a guisa di rudimentale speculo e procedere con un cauterio, facendo attenzione che il calore fosse progressivo perché “troppo violento” avrebbe potuto “danneggiare il cervello”. Gabriele Falloppio, modenese (1523-1562), era stato insegnante di anatomia anche a Pisa (1548-1551), sotto la protezione di Cosimo dei Medici, che lo autorizzava a scegliere i candidati al patibolo più adatti alla dissezione. Le sue “Observationes anatomicae” del 1571, erano state quasi una sorta di completamento dell’imprecisa anatomia di Galeno e della “De humani corporis fabrica” di Vesalio. Nelle opere postume (“Opera omnia” è del 1606), ricavate dagli appunti dei suoi studenti, si troverebbe anche la descrizione abbastanza precisa del settimo paio che, a parere di Michel (1981, p.1013 su Willemot), dovrebbe risalire al 1561. A Padova, nel “De Decoratione”, con le basi dell’embriologia e dell’anatomia comparata, mentre descriveva la rinoplastica, insieme con le ulcere nasali,aveva anche discusso dei polipi (Willemot, 1981). Se si considerano gli scritti moderni sulle ipotesi più probabili dell’origine della PNS non si può fare a meno di restare meravigliati delle intuizioni, inevitabilmente rudimentali anche se ben spiegabili, che sul medesimo argomento erano state elaborate nel 1666 in lingua latina dal geniale maestro di Casseri, il patavino Fabrizi Aquapendente (Pazzini), considerato da Ranzi (1860) l’innovatore del metodo della classificazione perché aveva distinto le malattie osservabili in tutte le parti del corpo da quelle proprie di alcuni tessuti, di alcuni organi e di alcune regioni, “e perciò disposte in un ordine anatomico da capo a piedi”( Romiti 1879, 1897). Nel primo libro della sua “Opera chirurgica in pentateucum, et operationes chirurgicas distincta”, arricchita delle famose tavole, nella pagina 5, del capitolo III, con la premessa “sunt quidam tumores , quorum materia à propositis diversa videtur”, chiamando due volte a testimone Avicenna,aveva inserito infatti il termine polypus in una lunga lista di tumori , dal sarcoma all’orzaiolo, che “ omnes ab humoribus mistis oriuntur”. In aggiunta, nel capitolo V (“Tumorum natura & curatione; ac primum quidem de inflammatione”), invocando Galeno, non aveva esitato a distinguere i tumori che si accompagnano ad un fenomeno “infiammatorio” in due grandi categorie: quelli che derivano da una infiammazione vera di sangue buono e quelli che viceversa nascono a seguito di un’infiammazione per sangue non buono, ossia “a sanguine vitioso, ideque, aut in sua substantia, aut per admistionem alterius humoris”. L’intera opera potrebbe rappresentare una delle testimonianze più dimostrative dell’enorme sforzo che per molti secoli, a partire da Ippocrate, fino ai primi del 1800, ha coinvolto l’arte medica e i suoi cultori alla ricerca di una spiegazione accettabile per ogni quadro patologico. Con il ricorso agli scritti degli antichi più celebri, da Celso fino ad Avicenna, da Galeno ad Albucasis, ogni malattia, sia tumorale che traumatologica, Aquapendente ha continuato a sentirsi implicato nella dottrina sulle variazioni degli “umori”, inquadrata nel gioco vario e gradualmente “infiammatorio” dei loro movimenti quantitativi e qualitativi, non diversamente da quanto abbiamo trovato nelle osservazioni sui traumi, in Belloste (1715), per venti anni chirurgo militare e contrario all’uso della tenda (“…tout ce qui enpeche ou déturne le cours ordinaire de qualque liqueur dans le corps, propduit immancablement un épanchgement ou un embaras, & que tout ce qui irrite & qui cause de la douleur, est necessarement suivi d’une inflammation…”), e di Sharp e Nannoni (1770) oppure nelle elitarie osservazioni mediche di Del Papa (1733). Non una delle oltre 350 pagine del fluente latino seicentesco rimane esente da questo postulato, -“unentberlich”avrebbero detto i maestri tedeschi -, indipensabile, per capire senza far ricorso alle quasi coeve fantasie di Della Porta o alle invenzioni satiriche Jean Baptiste Poquelin Molière, non solo la logica etiopatogenetica “sui generis” di quell’epoca ma anche i motivi del perdurare dei dettati di un tipo di terapia medica che faceva fatica a stare al passo con gli sviluppi della chirurgia pratica. Nel Libro Primo, al capitolo 4, alla pagina 6 (“De curatione, tumorum universali) la sottomissione a Galeno risulta totale,nel seguire obbligo di far ricorso allì evacuazione della materia riempiente, del salasso con sezione venosa, dei bagni frequenti, della ginnastica, delle frizioni, delle unzioni calde , dei digestivi e del digiuno, sia che si trattasse di infiammazione secca con febbre (“materiae influxum”), sia che fosse umida (nella resipola e nell’herpes). Un terzo tipo di infiammazione era imputato alla influssione sanguigna, distinta in legittima ( vera) e illegittima: quella vera con “sangue buono”, mediocremente “crasso”; quella non vera (illegittima) con sangue “vizioso”, eventualmente peggiorato dalla immissione di altri umori. <<Se il sangue recede dalla sua natura per commutazione della propria sostanza, allora non vi può essere infiammazione, purtuttavia una piccola parte di questo sangue può trasformarsi in bile flava e se è più crasso in atra bile; e qui sono le differenze tra i tumori>>. Dunque l’infiammazione semplice si ha solo con sangue buono e puro e questa può estendersi alla vene, ai nervi, ai ligamenti, alle membrane e ai muscoli che per loro natura sono più caldi e sanguigni e sono nutriti dalle vene maggiori. Il flemmone, distinto sempre dai segni “calor,rubor, dolor, tensio, retinentia et pulsatio, si forma solo quando il sangue è buono, e se è sottile resta nella pelle, se è crasso si infigge con violenza nella parti muscolari… ed arriva ad infestare le membrane del cervello, il polmone o il fegato ( p. 8)”. Nel “tumor” la suppurazione segue sempre al sintomo pulsazione e le frasi relative compongono un discorso clinico intuitivo e logico: <<motus arteriarum partis affectae… non sentitur à sanis corporibus, quoniam ut arteriae dilatari quaeant, multa circumsunt inania spatiola; haec vero spatia si repleantur, tunc pulsantes arteriae percipiuntur…>> Le terapie indicate restano quelle che più o meno troviamo nel testo “Medicina salernitana id est conservanda bona valetudinis praecepta” pubblicato a Monspessuli (Montpellier) nella stamperia Chouet nel 1622: salassi, decotti di mirtilli e di umbelico di Venere, astringenti di malva, parietaria e farina d’orzo, revulsivi, e frizioni di grassi di ogni tipo. L’incisione è inevitabile (p.22) quando <<sanguis autem funditur per colorem putredinalem, qui exoritur, quoniam sanguis putrescit…>> e di conseguenza <<ubi per haec signa notum est suppuratam esse materiam influxam, oritur indicatio pus esse evacuando…>>; sollecita la medicazione (p. 23) con <<linteum duplicatum & triplicatum in modo pulvinaris, imbutum ovi albumine et fascia obductum…>>, e d’obbligo <<inducenda est cicatrix>>. Talora (p. 25), per dolore e la febbre o la cancrena, occorre far ricorso all’oppio, all’hyoscyamo ( ioscina), alla mandragora e alla cicuta. Più avanti Aquapendente scriverà che l’impegno della pura manualità chirurgica sopravanza e minimizza ogni bisogno di risalire alla patogenesi: la pratica supera la teoria troppo arretrata e ancora ferma su antiche motivazioni ideologiche anziché su verifiche anatomo-patologiche. Il contenuto del sostanzioso capitolo VIII del Primo Libro, sul tumore-resipola, sintetizza gli interi concetti ispiratori di quell’epoca, ancora distante centinaia di anni da sicure vie biologiche, batteriologiche e cliniche: <<Hactenus de tumore egimus, qui a sanguine oritur; sequitur quid bile provenit, Graecis pariter & Latinis erysipelas dicunt… Hoc a Celso Ignem sacrum vocari quidam falso credunt…>> Con la convinzione che la resipola derivasse dall’umore bilioso e che la “atra bile” nascesse sia nello stomaco che nel fegato, era necessario ammettere che quegli umori non provenissero dalla vene ma fossero causati da “cibi viziosi” come la cipolla, il porro, l’aglio e il nasturzio ! Tra i molti libri di storia della medicina, questo ci sembra fornire una chiara spiegazione della vantata dottrina umorale con l’intera questione portata allo scoperto: la bile “alimentaria” o “excrementaria” può produrre sia l’ittero, che Galeno definisce “in totum corpore regium morbum”, che la resipola (p. 26): il primo si riteneva prodotto quando il “meato della vescica delle feci” (sellis) resta ostruito e la bile si diffonde nella massa sanguigna;la resipola doveva essere considerata ivece solo una parte dell‘intera diffusione biliosa, restando sempre inteso che (p.27) <<Cura totius corporis dependet a dieta, chirurgia, pharmacia>>.. In effetti (p.32) nel “de oedemata”(Libro primo, capitolo IX) torna l’assioma che recita <<ogni tumore è “praeter naturam”>> (oidesis o oidema significa eminenza), e con Ippocrate e Galeno si deve tener conto della presenza dell’elemento “pituita”, con diverse origini ed aspetti in rapporto ai quattro umori: freddo caldo secco umido. Dalla pituita fredda <<si evadit acida aut nitrosa, item glutinosa aut crassa: unde fiunt tumores huius differentiae; nam si salsa fuertit & nitrosa, efficit in capite tumores (e quindi anche anche i polipi nasali \ n. d. r,) qui cum parvo ulcere oriuntur & achores dicuntur; si vero fuerit crassa & glutinosa, excitatur tumori species, quae scirrus dicitur (24° riga )>> senza dimenticare che <<est autem oedema tumor mollis, laxus indolens, prementi digito cedens …>> ( il polipo nasale \ n.d.r.) Diversamente dallo scirro (<<exquisitus et non exquisitus>>) l’edema è indolore (p. 33) (lo scirro exquisitus è quello nel quale nascono i peli). Nella qualità di scirro per umore melanconico <<factum à pituita>> si può aver l’invasione dei nervi, delle vene, delle arterie, dei tendini e dei ligamenti (p.40). Nel capitolo XII si disserta degli “aquosis tumori bus (seu serosi)” che derivano da umidità sierosa (p. 42) e che, insieme con i bubboni non contagiosi concorrono a riempire gli spazi vuoti (polipi). Nei capitoli successivi (con quello del cancro delle mammelle) sul cancro come derivato dalla “atra bile” (p.59) e sulla cancrena, si accelerano i tempi per aprire la grande porta delle operazioni chirurgiche. Finalmente, a pagina 358, la pazienza di una lunga lettura resta premiata dal titolo: “de polypo extrahendo”. Secondo Paolo d’Egina questa formazione è un <<tumor praeter naturam, in naribus internes abortus, ex marini polypodis similitudinem nomen sortitus>>; le fosse nasali ne sono ostruite, <<nares ipsas obstruit, id efficiens, ut & difficulter respirent, & sermone aegrae exprimant: interdum in totu repiratio per nares impeditur, & coguntur patientes per os diu, noctuque perpetuo respirare cum ingenti molestia, & vitae incommodo>>. Aquapendente accoglie la tesi di Albucasis dell’origine dei polipi da una materia <<potissimum pituitosa & habet nonnullas venas, a quibus nutritur, unde verisimile est, fieri a sanguine admodum pituitoso, qui in cerebro redundat & et ad nares confluit>>. A testimonianza di Celso, se il polipo (Albucasis lo paragona ad uno scorpione) arriva in faringe il malato può rischiare di soffocare. Il geniale maestro, abile nel disegnare strumenti, aveva inventato anche quello personale per rimuovere queste neoformazioni delle fosse nasali, garantendo che solo con il suo <<ferramentum>> si sarebbe potuto procedere <<cito, tuto, sine dolore & sine ullo periculo (p.360) feliciter operari>>. Si trattava di dilatare con la mano sinistra la narice e procedere con la destra spingendo una <<spathula ad id facta, in mirthacei folij modum acuta>> in modo da spremere e sgonfiare la massa <<quousque totus polypus fuerit exemptus>> (p. 350). Il procedimento confrontato con i quattro metodi più usati dagli antichi, sembrava aver dato i risultati più soddisfacenti nel ristabilire la pervietà dwlla fossa nasxale (<<ea via, quae a naribus ad palatum perducit>> (p. 361). QUADRO CLINICO DIAGNOSI La diagnosi di polipo nasale, sia pure di quello naso-faringeo o coanale, non sembra sia stata mai contraddistinta da speciali difficoltà (Velpeau, 1833; Roche et Sanson, 1834; Ranzi,1860-1863; Grynfeltt, 1885; Motta e coll. 1997). Passali, nel 2000, invita a soffermarsi sulla diagnosi differenziale con il papilloma invertito, con l’angiofibroma, il neuroblastoma olfattorio, il plasmocitoma, l’adenocarcinoma e il mucocele, mentre conferma la fondamentale importanza dell’esame endoscopico e delle indagini radiologiche. Lo studio della funzione nasale resta un utile mezzo di orientamento di ogni malattia rinologica che può concludersi con la poliposi. Tra i diversi percorsi di esplorazione clinica occupa un posto di rilievo il trasporto mucociliare (Maurizi e coll. 1997) che può essere studiato con la stroboscopia, con la cinamatografia, con il metodo fotoelettrico, oppure con test indiretti di valutazione del tempo necessario al trasporto in faringe di sostanze solubili (test della saccarina), insolubili, come la polvere di carbone (Passali e coll. 1984) o radioattive (radioisotopi come il tecnezio-Tc). Con il metodo della saccarina (saccarinato basico di sodio), un frammento di sostanza di 0,5-0,6 millimetri nel suo asse maggiore, opportunamente posizionato sulla testa del turbinato inferiore, dovrebbe provocare la sensazione di sapore dolce entro 13-15 minuti, con una velocità media di trasporto di 5-7 millimetri al minuto (Passali e coll. 1990). Gli stessi valori, alla temperatura di 36-40 ° C, possono essere rilevati con la polvere di carbone o con il bleu di metilene, con notevoli variazioni in meno quando l’aria è molto secca oppure inquinata da vapori di formaldeide e, ovviamente, durante l’azione dell’adrenalina e della cocaina. Nella poliposi nasale questa normale facoltà meccanica dell’epitelio ciliare risulta notevolmente alterata (Maurizi e coll. 1982,1997) se non addirittura abolita (Grammatica e coll. 1985). Nella semeiotica radiologica della PN per una diagnosi differenziale (Motta e coll. 1997), quando si sospetti l’erosione ossea da parte della massa poliposa, tra le tecniche in uso, la tomografia computerizzata sembrerebbe vincere il valore di ogni altra, sebbene non sia da sottovalutare la validità della risonanza magnetica ( De Nicola e coll. 1997). Non sono da escludere nuove possibilità d’indagine con l’esame virtuale del distretto interessato (angiografia non invasiva con TC multistrato). TERAPIA Antonelli A.R. e coll. (1990) hanno dettato i criteri da seguire nella chirurgia: asportazione dei polipi nel contesto di un intervento radicale sui seni paranasali. La cura chirurgica, esaminata già nei suoi diversi aspetti da Velpeau nel 1833, ed illustrata nel 1901 nel grande Trattato di Chirurgia Pratica di Bergmann, Bruns e Mikulicz, è la più frequente, e raramente può restare limitata alla semplice rimozione della massa poliposa isolata, dovendosi quasi sistematicamente procedere alla resezione del turbinato medio e alla etmoidectomia (Ballenger e Ballenger), quando non si debba eseguire una operazione radicale etmoido–mascellare sia attraverso la fossa nasale (Bagatella, 1997) sia scegliendo i concetti della tecnica indicata per lo più come “Pietrantoni-De Lima” (Di Girolamo e coll. 1997). Anche nel polipo antrocoanale la terapia chirurgica dovrebbe seguire il medesimo criterio (Ballenger e Ballenger ). Il trattamento medico (Passali), in particolare per le poliposi da aspirina (Schiavino e coll.), è rappresentato sostanzialmente dalla terapia cortisonica, sia per via locale che generale. Lauriello e coll. (2005) hanno osservato i favorevoli effetti della prolungata terapia antiistaminica e della immunoterapia specifica nella rinite allergica persistente, con sensibile riduzione degli eosinofili produttori di ICAM-I (intercellular adhesion molecule) e di ECP (eosinophil cationic protein). Romagnoli, Rossi e Matucci, hanno riferito dei buoni risultati con somministrazione di antileucotrieni. Nella poliposi che accompagna la sindrome di Churg-Strauss (vasculite necrotizzante dei piccoli e medi vasi non infrequente nella sinusite poliposa e nell’asma bronchiale) si può far ricorso agli immunosoppressori. INSERIRE TERAPIA DI ROSSI E MATUCCI APPENDICE Tutte le cellule coinvolte nella flogosi contribuiscono alla fornitura dei diversi mediatori chimici. La condizione di stato atopico corrisponde ad una congrua presenza di linfociti Th2, a loro volta responsabili della produzione di IgE da parte dei linfociti B, con la intermediaria produzione di IL-4 e di IL-13 (Romagnani e coll.). Più precisamente le APL (Antigen presenting cells) si attivano per agire come stimolanti dei linfociti Th2, che, a loro volta, suscitano la proliferazione delle cellule B sia per la citata “cognate interaction”, sia mediante la interleuchina 4 (IL 4). Le IgE si fissano ai recettori cellulari dei mastociti basofili, mentre il successivo legame con gli allergeni specifici promuove la liberazione delle sostanze tipicamente presenti nelle reazioni allergiche di tipo immediato. Galli e coll. (1997) hanno constatato le diffusa infiltrazione nell’epitelio e nella lamina propria dei polipi (da tempo considerati ricca sorgente di citochine proinfiammatorie ed emopoietiche) di cellule infiammatorie come gli eosinofili, i macrofagi, le plasmacellule, i mastociti e i linfociti. Come si può assumere nei particolari del testo di Romagnani e coll., gli eosinofili, particolarmente interessati nell’ infiammazione cronica, e non di rado collaboranti con le “molecole di adesione”(ICAM-1 e VCAM-1), sono le cellule che risiedono in maggior numero nell’infiltrato dei polipi ( Galli e coll.) e sarebbero i maggiori rsponsabili della produzione sia del PDGGF o Platelet Derived Growth Factor o Fattore di Attivazione Piastrinica (promotore dell’amplificazione del processo infiammatorio e della permeabilità vascolare) sia dei leucotrieni (LTC 4) che promuovono la rinorrea nel contesto della diffusa congestione. Gli eosinofili danneggiano in modi diversi l’epitelio della mucosa nasale attraverso le proteine contenute nei loro granuli ed in specie la proteina basica maggiore (MPB), quella cationica (ECP), e la neurotossina (epx)( Perfumo e coll). I macrofagi, a loro volta, producono un tipo di citochine ritenute responsabili dell’attivazione di cellule endoteliali e di fibroblasti. I macrofagi presenti nei polipi, generano grandi quantità di fattori di proliferazione cellulare, come il IGF-1 (insulin like growth factor), il TGF- (trasforminggrowth factor− ed il PDGF (plateled derived growth factor), attivo nella proliferazione epiteliale oltre che chemio tattico (Capelli e coll.) e mitogenico per i fibroblasti e quindi favorente la formazione del polipo e la fibrosi (Galli e coll.). I fibroblasti delle mucose rino-laringo-bronchiali forniscono proteine interstiziali, come il collageno III e V e la fibronectina, responsabili dell’ispessimento e della fibrosi della membrana basale epiteliale. I mediatori prodotti dalle cellule dell’infiltrato immunoflogistico (elastasi e MPB) possono anch’essi ledere le cellule del rivestimento epiteliale, con incremnento delle secrezioni ghiandolari e diminuzione del <<fattore rilassante sulla muscolatura liscia>> (Perfumo e coll.). I mastociti del connettivo, attivi nell’allergia, (le mastzellen - le cellule “all’ingrasso”- o cellule granulose di Ehrlich,) contengono granuli (Pardi, 1909) basofili simili a quelli dei leucociti basofili circolanti (colorabili metacromaticamente con i colori basici di anilina). I granuli spremono eparina, istamina e serotonina con o senza la mediazione di IgE e di prodotti dei linfociti T (timo), e contribuiscono al mantenimento della infiammazione cronica e alla formazione dei polipo. Alcuni neuropeptidi si comportano come neurotrasmettitori non solo tra cellule nervose ma anche tra quest’ultime ed altri elementi cellulari diventando mediatori nelle molteplici manifestazioni infiammatorie e allergiche. L’instaurarsi di un circolo vizioso allergo-flogistico e l’amplificazione della flogosi anafilattica potrebbe essere causato da una riattivazione mastocitaria e dalla concomitante liberazione di nuovi mediatori. Tra questi neuropeptidi amplificatori, sono da ricordare le neurochine A e B (calcitonina) e la sostanza P (SP), liberata a livello delle sinapsi periferiche e capace di accrescere la degranulazione dei mastociti. Al contrario, il VIP (vasactiv intestinal polypeptide) si comporta stabilizzando la membrana mastocitaria. Nel luogo di produzine dei polipi nasali compaiono citochine (fattori solubili di natura peptidica, liberati dai leucociti -“linfochine”- e dai macrofagi –“monochine”-, durante situazioni immunitarie o di risposte infiammatorie), che intervengono nella vita cellulare e nel controllo del sistema immunitario e della temperatura corporea. Poiché agiscono sui rapporti tra cellule di diverso tipo, vengono indicate anche come “interleuchine”. Attraverso meccanismi di differenziazione e di attivazione degli elementi cellulari le citochine concorrono al mantenimento della flogosi (Galli e coll.); in particolare le RANTES (Regulated on activation normal T expressed and secreted) si troverebbero in abbondanza nei polipi a prolungarne l’esistenza ( Romagnani, Matucci, Rossi ). Nei polipi di pazienti non atopici la distinzione funzionale tra linfociti helper Th1 e Th2 potrebbe non essere assoluta ed anzi molti cloni T potrebbero dimostrare un atteggiamento intermedio, con la produzione simultanea e distinta di variabili quantità di citochine dell’una o dell’altra provenienza (Galli e coll. ). Molte citochine prodotte dai Th2 inibiscono lo sviluppo dei Th1 e alcune attività dei macrofagi. Di conseguenza viene attuata una funzione immunoregolatrice sul rischio dell’espansione della riposta immune specifica. Il lipopolisaccaride (LPS) dei batteri, con l’ausilio della molecola CD14 delle APC (Antigen presenting cells) stimola la produzione di IL 12, INF e, IL18 che favoriscono la comparsa di Th1. La riduzione di questi stimoli determina invece la polarizzazione immunitaria in senso Th2, tipicamente allergica. In sintesi (Perfumo e coll.) le situazioni allergo-flogistiche possono essere influenzate dalla risposta dei linficiti T agli allergeni, dalla sintesi degli anticorpo IgE e dalla liberazione dei mediatori come le citochine e i neuropetridi. L’immunoglobulina E (IgE) viene prodotta dalla plasmacellule dei linfonodi situati nell’albero respiratorio dei malati di asma allergico. Le plasmacellule si originano dai linfociti B per effetto della stimolazione da parte dell’allergene. I linfociti B trasformati in plasmacellule diventano fonte delle immunoglobuline (IgE), che (Sartoris e coll. 1994), mediante il loro frammento carbossilico cristallizzabile (Fc) si fissano a recettori ad alta affinità con i quali si legano per molto tempo alla superficie cellulare (i recettori) dei mastociti e dei basofili. A seguito del legame tra le IgE (fissate sulla membrana di queste cellule) e l’allergene, viene predisposto un meccanismo di produzione dei mediatori (istamina, eparina, triptasi… ecc,) dell’infiammazione. Le IgE si combinano con i mastociti e con i ai basofili per mezzo di recettori in possesso di elevata affinità. Compaiono così nel siero del paziente degli anticorpi IgE specifici, misurabili (Pignataro e coll. 1994) sia con i test cutanei (PRICK e intradermoreazione) sia con il dosaggio in vitro delle IgE totali (PRIST) sia con il RAST o radioallergoassorbent test (test sierologico) (Lauriello e coll. 2005). Simon e coll. (1998 hanno ricordato l’importanza della IL4 nella produzione delle IgE ma hanno fatto osservare che la sola stimolazione della IL4 nei linfociti B non è sufficiente a dare l’avvio al procedimento mentre sarebbe determinante un ruolo aggiuntivo (secondo segnale per il RNA messaggero) dei linfociti T (interazione cellulare non specifica tra cellule T e B). Romagnani, Rossi e Matucci, hanno individuato un punto fondamentale nella correlazione tra l’esposizione microbica e lo sviluppo delle malattie atopiche, facendo leva sul paragrafo della differenziazione dei linfociti T e delle loro diverse “popolazioni”. I linfociti Th1 e Th2 rappresentano due forme (Galli e coll.) della risposta immune specifica mediata dai linfociti T CD4 + (CD4 indica il recettore della membrana cellulare dei linfociti T helper, sottopopolazione che aiuta i linfociti B a produrre anticorpi). I Th1, da considerare fagocito-dipendenti compaiono nel corso di infezioni da batteri intracellulari e da alcuni virus, e contribuiscono alla produzione di IL2 (citochinaingerleuchina) di IFN (interferone) di TNF- (Tumor necrosis factor). Le cellule Th2 sono linfociti (attivati dalla stimolazione allergenica) che forniscono citochine Th2 indicate come IL-4, IL 5, IL 9, IL 10, IL 13 e IgE. E’ necessaria la differenziazione in linfociti Th2 per garantire l’aumento della sintesi di IgE nelle allergie. I linfociti Th2 favoriscono l’esistenza degli eosinofili (Galli e coll.), e sono responsabili di un’ infiammazione fagocito-indipendente. Si deve ritenere che i diversi meccanismi responsabili della rinite vasomotoria siano gli stessi che spiegano la formazione di un polipo. Come abbiamo detto, l’allergene, quale che sia la sua natura, aderisce a due molecole di IgE fissate ai recettori dei mastociti e dei basofili (bridging o legame a ponte), attiva questi elementi cellulari, provoca la loro degranulazione e la conseguente liberazione di mediatori chimici preformati o granulo- associati e neoformati o membrano derivati. I mediatori preformati granulo associati (tesaurizzati all’interno dei granuli) sono rappresentati dall’istamina, dai fattori chemiotattici per neutrofili ed eosinofili, dalle triptasi (proteasi neutre), dalle idrolasi acide, dai proteoglicani (Salzano e coll.). I fattori chemiotattici per gli eosinofili e i neutrofili prolungano gli effetti negativi infiammatori ed irritativi (Sartoris e coll. 1994). I mediatori neoformati o membrano derivati (Salzano e coll.) vengono prodotti dai fosfolipidi della membrana cellulare che si distaccano dalla fosfolipasi A2 per produrre acido arachidonico: di qui la sintesi delle prostaglandine, delle prostacicline e dei trombossani (via ciclossigenasica) oltre a quella dei leucotrieni (via lipossigenasica). La prostaglandina D2 e il leucotriene C4 intervengono sull’aumento della permeabilità vasale, sull’edema e sulla contrazione delle cellule muscolari lisce, con il risultato di ingigantire i fenomeni conseguenti all’azione dei mediatori granulo-associati e dell’istamina. L’istamina, liberata dalle mastzellen (mastociti) insieme con ECFA, leucotrieni e prostaglandine (Sartoris e coll, 1994), agisce come mediatore sia con una azione diretta sui recettori istaminici cellulari (edema) sia per via indiretta riflessa; opera direttamente sui recettori H1 trigeminali provocando il prurito e gli starnuti; sui recettori H1, H2 e H3 della lamina propria dei vasi a causare la vasodilatazione; sui recettori H1 delle ghiandole siero-mucose a stimolare aumento delle secrezioni; e, infine, sugli “irritant receptors” epiteliali con la istituzione di un arco riflesso tra i filamenti (afferenti) trigeminali e il parasimpatico (efferente), con una azione aggiuntiva sull’ipersecrezione nasale. Bellussi e coll. nel 1994 e Passali e Bellussi, nel 2000, con le notizie conclusive dei loro testi sembrano adattarsi in modo funzionale ai paragrafi ordinati dalla scuola di Mario Ricci per il manuale sull’asma bronchiale di Romagnani, Matucci e Rossi (2004). Caratterizzata, come quella specifica, dalla triade struzione nasale, rinorrea e starnutazione, la rinite vasomotoria aspecifica (non allergica) interessa il 5% degli individui. Su cento individui affetti, possono essere osservate: a) forme eosinofile (NARES) talora associate ad agenti infettivi come le chlamydie -; b) sindromi su base neurogena (60 %) ; c) quadri su base endocrina, o medicamentosa oppure ormonale (3%) (Salzano e coll.). Quando non è possibile dimostrare il coinvolgimento di meccanismi interattivi tra anticorpi reaginici e molecole di allergeni (e neppure di processi infettivi), come cause scatenanti dell’iperreattività nasale aspecifica, sono stati chiamati in causa anche lo stress, la nevrosi d’ansia e la depressione. L’insorgenza della rinite vasomotoria aspecifica (test di provocazione con acqua fredda) viene inoltre attribuita ad una diminuzione della soglia di stimolazione di alcune fibrocellule trigeminali di tipo C, con la conseguente emissione di sostanze attive come l’adrenalina,la sostanza P, la noradrenalina, l’acetilcolina, l’istamina, il neuropeptide Y, il CGRP ed altre, mediate da recettori che risiedono nella mucosa nasale (C5a, bradichinina, PAF). BIBLIOGRAFIA **Aschoff L. “Anatomia Patologica. Trattato per medici e studenti” UTET. Torino, 1914, p. 706. **Amabile G., Bordiga E., Sardi G. “Taratura del test della saccarina per la valutazione della clearance mucociliare delle fosse nasali” Otorinolaringologia 34, 469-472, 1984. ** Amabile G., Pignataro L.D., Di Cicco M., Biondo B. “Il test da sforzo nella diagnosi di rinopatia vasomotoria” Acta otorhinolaringol. 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