IL MOBBING - Conftecnici

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STRESS LAVORO-CORRELATO,
MOBBING, BURNOUT
11 OTTOBRE 2013
IIˆ SESSIONE
Dott. Nicola Armenise – Psicologo del lavoro
Nel mondo del lavoro esistono, accanto a
fattori di rischio specifici, responsabili di
malattie professionali, numerosi altri
agenti capaci di turbare l’equilibrio ed il
benessere dell’uomo, creando fenomeni
di disadattamento e reazioni di stress, da
cui possono derivare malattie, non
specifiche, ma certamente collegate alla
professione (Mobbing e Burnout)
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STRESS LAVORO-CORRELATO
risposta psicofisica che si verifica quando le richieste
del lavoro superano le risorse o le capacità del
lavoratore di farvi fronte o si scontrano
eccessivamente con i suoi bisogni (Fondazione europea per il
miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro, 2010)
l’operatore
stressato
• rende di meno
• può commettere errori
• è più esposto ad
infortuni
• è più conflittuale
(minore qualità di vita)
• teme l’innovazione
• entra nell’area di
rischio psicosomatico
l’organizzazione
stressata
• riduzione produttività e qualità
• conflittualità in azienda
• diminuzione del senso di
appartenenza
• mancato rispetto delle regole o
irrigidimento per il loro rispetto
• elevato assenteismo, turn over
• insoddisfazione, ricerca continua
di capri espiatori
•aumento incidenti ed infortuni
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CONSEGUENZE INDIVIDUALI
DELLO STRESS
METAFORA DELLA BAMBOLA SPEZZATA
(Manciaux, 1999)
Facendo cadere una bambola, essa si romperà più o
meno facilmente a seconda:
• del materiale della bambola
(rappresenta la resistenza dell’individuo ai traumi);
• della materia del suolo
(rappresenta l’ambiente);
• della forza con cui è stata gettata
(rappresenta l’intensità del trauma e la durata
dell’evento)
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SINDROME DA BURNOUT
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La sindrome da burnout (o più
semplicemente burnout) è l'esito patologico
di un processo stressogeno che colpisce le
persone che esercitano professioni d’aiuto,
qualora queste non rispondano in maniera
adeguata ai carichi eccessivi di stress che il
loro lavoro li porta ad assumere.
Il burnout interessa tutte quelle figure
caricate da una duplice fonte di stress, ovvero
quello personale e quello della persona
aiutata;
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Il burnout è definito come una
sindrome di esaurimento
emotivo, di depersonalizzazione e
derealizzazione personale, che
può manifestarsi in tutte quelle
professioni con implicazioni
relazionali molto accentuate.
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È una malattia in costante e graduale
aumento tra i lavoratori dei paesi
occidentalizzati a tecnologia avanzata,
ciò non significa che qualcosa non
funziona più nelle persone, bensì che
si sono verificati cambiamenti
sostanziali e significativi sia nei posti
di lavoro sia nel modo in cui si
lavora.
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STORIA DEL BURNOUT
Il termine burnout in italiano si può
tradurre come “bruciato”, “scoppiato”,
“esaurito”, è apparso la prima volta nel
mondo dello sport, nel 1930, per
indicare l’incapacità di un atleta, dopo
alcuni successi, di ottenere ulteriori
risultati e/o mantenere quelli acquisiti.
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Il termine è stato poi ripreso dalla
psichiatra americana C. Maslach nel
1970, la quale ha utilizzato questo
termine per definire una sindrome i
cui sintomi evidenziano una patologia
comportamentale a carico di tutte le
professioni ad elevata implicazione
relazionale.
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La Maslach definisce il burnout come una
perdita di interesse vissuta dall’operatore
verso le persone con le quali svolge la
propria attività (pazienti, assistiti, clienti,
utenti, ecc), una sindrome di esaurimento
emozionale, di spersonalizzazione e
riduzione delle capacità personali che
può presentarsi in persone che, per
professione, sono a contatto e si
prendono cura degli altri.
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BURNOUT: "malattia che si
diffonde nel tempo con costanza
e gradualità, risucchiando le
persone in una spirale
discendente dalla
quale non è facile riprendersi"
(Maslach)
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COME SI MANIFESTA IL
BURNOUT
In particolare, è caratterizzato da tre aspetti:
ESAURIMENTO EMOTIVO.
L’individuo si sente prosciugato, esausto, incapace di
rilassarsi e di recuperare;
DEPERSONALIZZAZIONE.
L’individuo assume un comportamento freddo e
distaccato nei confronti del lavoro e degli altri,
adottando un atteggiamento di indifferenza nel
tentativo di proteggersi;
RIDOTTA REALIZZAZIONE PERSONALE.
L’individuo arriva a percepirsi come incapace ed
inadeguato al lavoro.
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Il contatto costante con le persone e
con le loro esigenze, l’essere a
disposizione delle molteplici richieste e
necessità, sono alcune delle
caratteristiche comuni a tutte quelle
attività che hanno come obiettivo
professionale il benessere delle persone
e la risoluzione dei loro problemi, come
nel caso di medici, psicologi, infermieri,
insegnanti, ecc..
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Negli anni, nella sindrome del Burnout sono
state incluse altre categorie di lavoratori, tutti
quei professionisti o lavoratori che hanno un
contatto frequente con un pubblico, con
un’utenza, quindi non più solo gli “helper” …,
possono quindi far parte di tali categorie tanti
liberi professionisti o dipendenti: l’avvocato, il
ristoratore, il politico, l’impiegato delle poste,
il manager, la centralinista, la segretaria ecc..
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ll burnout viene considerato, da
molti studiosi, non solo un
sintomo di sofferenza individuale
legata al lavoro (stress lavorativo),
ma anche come un problema di
natura sociale provocato da
dinamiche sia sociali, sia, politiche,
sia economiche.
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La sindrome può infatti
interessare il singolo lavoratore,
lo staff nel suo insieme e anche
istituzioni (per esempio
l’organizzazione dei soccorsi in
situazioni di crisi come i Vigile del
Fuoco, i Militari, le Forze
dell’Ordine ecc.).
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LE CARATTERISTICHE DEL
BURNOUT
Molti contesti lavorativi richiedono una
forte dedizione ed un notevole impegno, sia
in termini economici sia in termini
psicologici e, in certi casi, i valori personali
sono messi in primo piano a scapito di quelli
lavorativi. Le richieste quotidiane rivendicate
dal lavoro, dalla famiglia e da tutto il resto
consumano l’energia e l’entusiasmo del
lavoratore.
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LE CARATTERISTICHE DEL
BURNOUT
Quando gli obiettivi (spesso troppo
ambiziosi) sono difficili da conseguire,
molte persone perdono la dedizione data
a quel lavoro, cercano di tenersi a
distanza pur di non farsi coinvolgere e,
spesso, diventano cinici.
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IL BURNOUT HA
MANIFESTAZIONI SPECIFICHE:
Un deterioramento progressivo dell’impegno
nei confronti del lavoro.
Un lavoro inizialmente importante, ricco di
prospettive ed affascinante diventa sgradevole,
insoddisfacente e demotivante.
Un deterioramento delle emozioni.
Sentimenti positivi come per esempio
l’entusiasmo, motivazione e il piacere
svaniscono per essere sostituiti dalla rabbia,
dall’ansia, dalla depressione.
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PERCEZIONE INDIVIDUALE
I singoli individui
percepiscono questo
squilibrio come una crisi
personale, mentre in realtà
è il posto di lavoro a
presentare problemi.
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IL BURNOUT E’ UN PROBLEMA PER …
1. Il LAVORATORE E I SUOI FAMILIARI:
Problemi fisici
(mal di testa, disturbi gastrointestinali, ipertensione,
tensione muscolare e affaticamento cronico);
Problemi psichici
(ansia, depressione e disturbi del sonno);
Problemi comportamentali
(abuso di alcol, farmaci e droghe).
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IL BURNOUT E’ UN PROBLEMA PER …
2. L’UTENZA E l’ORGANIZZAZIONE,
a causa di una forza lavoro che non offre più la
dedizione, la creatività e la produttività
precedenti:
Scarsa qualità delle prestazioni e delle
relazioni;
Aumento del tasso di assenteismo, turnover,
dimissioni, ecc.
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IL BURNOUT
NON E’ COLPA DELLA PERSONA
E’ UN PROBLEMA
LAVORATIVO
Quindi
per affrontarlo bisogna considerare sia
il soggetto, sia il contesto in cui opera.
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LE CAUSE DEL BURNOUT
Le cause sono da ricercare nell’interazione tra
il SOGGETTO e il CONTESTO DI
LAVORO, cioè nell’influenza reciproca tra:
1) la personalità dell’individuo;
2) la struttura dell’organizzazione in cui
lavora;
3) il tipo di attività svolta;
4) l’utenza di cui si occupa.
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LE CAUSE DEL BURNOUT
1) BURNOUT E PERSONALITA
Può colpire chiunque, ma sono
maggiormente esposti i soggetti ansiosi e
remissivi; con scarsa fiducia in se stessi; con
tendenza all’idealizzazione. Esistono relazioni
con le caratteristiche demografiche (età,
anzianità di servizio, stato civile, istruzione).
Il burnout NON deriva da qualche
predisposizione genetica.
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LE CAUSE DEL BURNOUT
2) BURNOUT E VARIABILI ORGANIZZATIVE
Sovraccarico di lavoro.
Si deve fare troppo, in poco tempo, con risorse scarse;
Mancanza di controllo sulla propria attività.
La possibilità di fare scelte e di prendere decisioni è
fortemente limitata da politiche rigide e da controlli
severi (responsabilità senza autonomia);
Ricompense e conferme insufficientiincongrue.
Manca un equo riconoscimento economico e
umano per il lavoro svolto;
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LE CAUSE DEL BURNOUT
3) BURNOUT E VARIABILI ORGANIZZATIVE
Assenza di equità.
Ingiustizia nella distribuzione dei carichi di lavoro o nel
riconoscimento delle carriere;
Crollo del senso di appartenenza e di comunità.
I rapporti sono lacerati dal conflitto e dalle scarse
opportunità di contatti sociali;
Conflitto di valori.
I requisiti richiesti dal lavoro (produttività, efficienza,
profitto, ecc.) non concordano con i principi e gli ideali
personali.
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LE CAUSE DEL BURNOUT
4) BURNOUT E TIPO DI ATTIVITA’
Operatori delle helping professions;
Ovunque il lavoro comprenda
relazioni;
Dove le richieste esplicite/implicite
e la dipendenza dell’“altro” sono forti
Dove le condizioni del lavoro sono
improntate da incertezza, precarietà.
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LE CAUSE DEL BURNOUT
5) BURNOUT E TIPOLOGIA DI UTENZA
Utenza “bisognosa”;
Utenti cronici;
Pazienti terminali, psicotici, soggetti che
“peggiorano” a seguito delle cure ricevute;
Dove cresce la distanza tra risultati e
aspettative;
Dove il carico è gravoso dal punto di
vista sia quantitativo sia qualitativo.
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LE FASI DEL BURNOUT
Negli operatori sanitari, la sindrome si manifesta
generalmente seguendo quattro fasi.
La prima, (preparatoria), è quella
dell'"entusiasmo idealistico" che spinge il soggetto
a scegliere un lavoro di tipo assistenziale.
Nella seconda (stagnazione) il soggetto,
sottoposto a carichi di lavoro e di stress eccessivi,
inizia a rendersi conto di come le sue aspettative
non coincidano con la realtà lavorativa.
L'entusiasmo, l'interesse ed il senso di
gratificazione legati alla professione iniziano a
diminuire.
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LE FASI DEL BURNOUT
Nella terza fase (frustrazione) il soggetto affetto da
burnout avverte sentimenti di inutilità, di
inadeguatezza, di insoddisfazione, uniti alla percezione
di essere sfruttato, oberato di lavoro e poco
apprezzato; spesso tende a mettere in atto
comportamenti di fuga dall'ambiente lavorativo, ed
eventualmente atteggiamenti aggressivi verso gli altri o
verso se stesso.
Nel corso della quarta fase (apatia) l'interesse e la
passione per il proprio lavoro si spengono
completamente, subentra l'indifferenza, fino ad una
vera e propria "morte professionale".
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FATTORI CHE POSSONO
DETERMINARE LA
SINDROME
1) Fattori individuali;
2) Fattori socio-demografici;
3) Struttura organizzativa.
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FATTORI CHE POSSONO
DETERMINARE LA SINDROME
1) Fattori individuali
Caratteristiche di personalità
- introversione (incapacità di lavorare in
équipe);
- tendenza a porsi obiettivi irrealistici;
- adottare uno stile di vita iperattivo;
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FATTORI CHE POSSONO
DETERMINARE LA SINDROME
1) Fattori individuali
Caratteristiche di personalità
- personalità autoritaria;
- abnegazione al lavoro, inteso come
sostituzione della vita sociale;
- concetto di se stessi come indispensabili;
- motivazione ed aspettative professionali;
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FATTORI CHE POSSONO
DETERMINARE LA SINDROME
2) Fattori socio-demografici
- differenza di genere (donne più predisposte
degli uomini);
- età (primi anni di carriera si è più
predisposti);
- stato civile (persone senza un compagno
stabile più predisposte).
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FATTORI CHE POSSONO
DETERMINARE LA SINDROME
3) Struttura organizzativa
Le tensioni sono generate da:
- Ambiguità di ruolo:
insufficienza di informazioni in relazione ad una
determinata posizione;
- Conflitto di ruolo:
esistenza di richieste che - l’operatore ritiene
incompatibili con il proprio ruolo professionale;
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FATTORI CHE POSSONO
DETERMINARE LA SINDROME
3) Struttura organizzativa
Le tensioni sono generate da:
- Sovraccarico:
quando all’individuo viene assegnato un eccessivo
carico di lavoro o un’eccessiva responsabilità, che
non gli permettono di portare avanti una buona
prestazione lavorativa;
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FATTORI CHE POSSONO
DETERMINARE LA SINDROME
3) Struttura organizzativa
Le tensioni sono generate da:
- Mancanza di stimolazione:
si riferisce alla monotonia dell’attività lavorativa;
- Struttura di potere:
riguarda il modo in cui si stabiliscono i processi
decisionali e di controllo nell’ambito lavorativo,
ovvero la possibilità dell’individuo di partecipare alla
presa di decisione;
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FATTORI CHE POSSONO
DETERMINARE LA SINDROME
3) Struttura organizzativa
Le tensioni sono generate da:
- Turnazione Lavorativa:
La turnazione e l'orario lavorativo possono
favorire l’insorgenza della sindrome.
In tal senso migliorando il turn – over e la
rotazione del personale è possibile arginare il
fenomeno.
- Retribuzione inadeguata
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LA SINTOMATOLOGIA
La sindrome è caratterizzata da
manifestazioni quali nervosismo,
irrequietezza, apatia, indifferenza,
cinismo, ostilità delle persone, sia tra
di loro sia verso terzi; si distingue
dalla nevrosi, in quanto non è un
disturbo della personalità ma del
ruolo lavorativo.
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LA SINTOMATOLOGIA
Dal punto di vista clinico
(psicopatologico) i sintomi del
burnout sono molteplici, richiamano
i disturbi dello spettro ansiosodepressivo, e sottolineano la
particolare tendenza alla
somatizzazione e allo sviluppo di
disturbi comportamentali.
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LA SINTOMATOLOGIA
Il soggetto colpito da burnout manifesta:
- Sintomi aspecifici:
stanchezza ed esaurimento, apatia,
nervosismo, irrequietezza, insonnia.
- Sintomi somatici:
insorgenza di patologie varie (ulcera,
cefalea, disturbi cardiovascolari, difficoltà
sessuali ecc.)
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LA SINTOMATOLOGIA
- Sintomi psicologici:
rabbia, risentimento, irritabilità, aggressività,
alta resistenza ad andare al lavoro ogni giorno,
negativismo, indifferenza, depressione, bassa
stima di sé, senso di colpa, sensazione di
fallimento, sospetto e paranoia, rigidità di
pensiero e resistenza al cambiamento,
isolamento, sensazione di immobilismo,
difficoltà nelle relazioni con gli utenti, cinismo,
atteggiamento colpevolizzante nei confronti
degli utenti e critico nei confronti dei colleghi.
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LA SINTOMATOLOGIA
Tale situazione di disagio molto
spesso porta il soggetto ad abuso di
alcool, di psicofarmaci o fumo.
Per evitare che la sindrome del
burnout, deteriori sia la vita
lavorativa, sia la vita privata della
persona, bisogna intervenire con
efficacia.
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COSA FARE PRATICAMENTE
Riconoscere la sindrome del
burnout non è così facile, spesso
si tende a ricondurre il tutto
come un problema dell’individuo
e non del contesto lavorativo nel
suo insieme.
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COSA FARE PRATICAMENTE
Le organizzazioni quasi sempre ignorano questo
problema e questo rappresenta un errore molto
pericoloso, in quanto il burnout può incidere
pesantemente sull’economia dell’intera
organizzazione.
La risoluzione del fenomeno burnout dovrebbe
essere affrontata sia a livello organizzativo che a
livello individuale, l’organizzazione che si assume
la responsabilità di affrontare il burnout, lo può
gestire in modo da garantirsi il proprio personale
produttivo nel tempo.
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COSA FARE PRATICAMENTE
Un’organizzazione che agisce a sostegno
dell’impegno nel lavoro è un’organizzazione forte.
L’aiuto maggiormente efficace per la singola persona
è sicuramente un intervento da parte di un
professionista competente in materia che possa
fornire strumenti cognitivi, favorire una maggiore
comprensione/consapevolezza del problema, aiutare
a comprendere le relazioni esistenti tra il
comportamento personale, il proprio vissuto ed il
contesto di vita e lavorativo, modificare il proprio
comportamento e i propri atteggiamenti in coerenza
con quanto acquisito.
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COSA FARE PRATICAMENTE
Ma tali interventi sul singolo non sono
semplici: il singolo può avere difficoltà a
rivolgersi ad uno psicologo per farsi
aiutare, ciò a causa sia di pregiudizi verso
la categoria di professionisti che si
occupa di tali problematiche, sia perché
spesso non è in grado di chiedere aiuto
e/o si imbatte in altre categorie di
professionisti non competenti in tali
materie.
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POSSIBILI SOLUZIONI PER LA
GESTIONE DELLO STRESS E
DEL BURNOUT
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Il passo più importante è
riconoscere le prime avvisaglie del
burn out, in modo da intervenire
prima che compaiano i sintomi fisici
e prima che il malessere si
ripercuota sulla vita familiare e
sessuale.
Studi recenti hanno individuato
alcune strategie di cura individuali
ed organizzative.
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STRATEGIE INDIVIDUALI
Quelle individuali comprendono
le tecniche di rilassamento e la
psicoterapia. È utile ricordare che
la vita è anche altrove, fuori
dall’ambiente lavorativo; a questo
scopo è importante praticare e
coltivare hobby.
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STRATEGIE INDIVIDUALI
Il modo migliore per prevenire il
burnout è sicuramente puntare sulla
promozione dell'impegno nel lavoro.
Ciò non consiste semplicemente nel
ridurre gli aspetti negativi presenti sul
posto di lavoro, ma anche nel tentare
di aumentare quelli positivi.
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STRATEGIE INDIVIDUALI
Le strategie per aumentare l'impegno
sono quelle che accrescono l'energia,
il coinvolgimento e l'efficacia,
sostenendo i lavoratori, permettendo
loro di affermarsi tra i loro colleghi,
lasciando loro dell'autonomia nelle
decisioni da prendere ed offrendo
loro un'organizzazione del lavoro
chiara e coerente, ecc.
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STRATEGIE ORGANIZZATIVE
Agire sulle strutture di un sistema per
eliminarne le caratteristiche patogene o che
comportano peggioramento nella qualità del
lavoro e della vita. Individuare fattori
stressanti nell’organizzazione del lavoro
e quindi risolverli, infatti, come afferma
Spaltro, il costo del lavoro diminuisce e la
produttività aumenta se si cambiano gli stili di
gestione del potere, i modi di incentivare, il
clima nell’ambiente di lavoro.
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Un ambiente lavorativo gratificante dal
punto di vista umano allontana il
burnout così come la condivisione con
i colleghi del senso di angoscia e
frustrazione. È importante che ai fini
dell’organizzazione del lavoro si eviti di
caricare la singola persona, così come
di creare conflitti di ruolo.
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COME SI MISURA IL BURNOUT
Per misurare il burnout ci sono diverse scale
ma è da ricordare la scala di Maslach (Maslach
Burnout Inventory, MBI), (Maslach, Jackson,
1981): un questionario di 22 items, ossia
domande, atte a stabilire se nell'individuo
sono attive dinamiche psicofisiche che
rientrano nel burnout. A ogni domanda il
soggetto interessato deve rispondere
inserendo un valore da 0 a 6 per indicare
intensità e frequenza con cui si verificano le
sensazioni descritte nella domanda stessa.
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COME SI MISURA IL BURNOUT
Health Professions Stress and Coping Scale (HPSCS),
un nuovo questionario self-report appositamente
elaborato per la valutazione dello stress
percepito e l'utilizzo del coping in ambito
sanitario.
L'HPSCS propone una serie di situazioni
lavorative potenzialmente stressanti nel contesto
sanitario, rispetto alle quali misura sia il livello di
stress percepito associato a ciascuna situazione,
sia i meccanismi di coping abitualmente utilizzati
per fronteggiarla.
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BURNOUT COME MALATTIA
PROFESSIONALE
In considerazione del continuo aumento dei casi
denunciati di burnout, ci si può solo augurare che
l'INAIL riconosca, in modo specifico e al più presto,
tale sindrome come malattia professionale,
inserendone formalmente la causa tra i disturbi
psichici da costrittività lavorativa, cosi come ha fatto
(circolare n. 71 del 17 dicembre 2003) nei confronti
del mobbing.
Sino ad allora si continuerà a considerare la
sindrome del burnout come una comune malattia.
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BURNOUT COME MALATTIA
PROFESSIONALE
Il decreto del Ministro del lavoro e le
politiche sociali del 27 aprile 2004, ha
aggiornato l'elenco delle patologie per le
quali il medico ha l'obbligo di denuncia
all'INAIL, ha inserito tra i nuovi agenti
patogeni anche le "disfunzioni
dell'organizzazione del lavoro e le
malattie connesse"
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PROGRAMMI DI
INTERVENTO
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Santinello e Furlotti [1992] elencano
quattro tipologie di programmi di
intervento per la prevenzione e la gestione
delle cause di stress che risultano efficaci se
si orientano nell’ottica di un processo
continuo:
1) LAVORARE PER OBIETTIVI E PIANI:
l’organizzazione ha il compito di definire
obiettivi il più possibile quantificabili e
verificabili e che siano raggiungibili nel
medio lungo periodo.
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Questo può essere utile all’individuo per
ricevere dei feedback sul come sta svolgendo il
suo lavoro, per ridurre incertezze e ambiguità,
e per aumentare la soddisfazione personale.
2) PARTECIPARE ALLE DECISIONI:
come le ricerche hanno più volte dimostrato, i
soggetti che partecipano alle decisioni aziendali
hanno una motivazione al lavoro più elevata di
quelli che non vi partecipano, di conseguenza
questo fattore apporta degli effetti positivi sulla
salute psico fisica del lavoratore migliorando a
sua volta il flusso di comunicazioni.
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3) LA STRUTTURA DEI COMPITI
E DELLE MANSIONI:
l’organizzazione deve consentire a
ciascun individuo che ricopre un
determinato ruolo al suo interno, di
svolgere la propria mansione con dei
margini di autonomia professionale e
possibilmente variare i compiti assegnati
a ciascun lavoratore, facendogli capire
l’utilità che il suo contributo apporta
all’organizzazione.
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4) SISTEMA DI MONITORAGGIO
PERIODICO:
Questo è un sistema che deve
coinvolgere tutti i livelli gerarchici
dell’organizzazione lavorativa.
“È un sistema di valutazione periodica
standardizzato, volto a cogliere non solo i
livelli distress e la percezione delle cause,
ma anche il clima psicologico presente” in
modo che si possa avere una panoramica
degli aspetti organizzativi negativi e per
avanzare delle proposte di miglioramento.
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I risultati devono essere discussi con
tutti a piccoli gruppi e incontri stabiliti.
Se i lavoratori si accorgono
dell’interesse che la direzione ha nei
confronti delle loro attività e dei loro
problemi con l’organizzazione, attuando
misure preventive o di risoluzione dei
problemi presenti, allora sarà probabile
riscontrare un impatto positivo della
percezione del lavoro da parte dei
dipendenti.
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IL RUOLO DELLA FORMAZIONE
NELLA PREVENZIONE DEL
BURNOUT E GESTIONE DELLO
STRESS
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FORMAZIONE E INFORMAZIONE
La formazione ha un ruolo molto
importante ed essenziale per la
prevenzione del burnout.
È importante per diffondere la sua
conoscenza, infatti, nella nostra cultura il
concetto di burnout è assolutamente
poco o per niente conosciuto dai singoli
ma anche nelle organizzazioni.
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Spesso le persone come anche le organizzazioni
ignorano l’incisività di questa patologia sulla vita
sia lavorativa che privata. I corsi di formazione
diretti ai singoli e ai gruppi di persone
dovrebbero essere quindi orientati a
trasmettere informazioni sullo stress, il burnout
e su stili di vita salutari, dando strumenti utili
alla loro gestione, come le tecniche di
rilassamento, di respirazione, metodi e
strumenti per il controllo delle emozioni, per la
gestione efficace del tempo ecc.
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“L’obiettivo è fare in modo che
le persone possano aumentare
la consapevolezza di se e
delle proprie emozioni,
migliorando la capacità
individuale di far fronte allo
stress da lavoro. “
(Borgogni e Consiglio 2005)
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“Soprattutto nelle professioni di
aiuto, è necessario formare le
persone non solo da un punto di
vista tecnico-metodologico, ma
anche alla conoscenza di sé, che non
sempre è scontata. Aiutare quindi le
persone a gestire i rapporti
interpersonali, capire i propri limiti, e
in questo caso nei confronti
dell’utenza disagiata “. (Del Rio 1990)
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“In questo tipo di professioni
sembrerebbe utile attuare una
sorta di detached concern, cioè un
“interessamento distaccato”:
lavorano efficacemente senza
lasciarsi sopraffare dalle proprie
emozioni”. (Del Rio1990, p. 135).
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Potrebbe essere molto difficile
attuare un tale atteggiamento ma
Del Rio ricorda che non è una
posizione fissa da occupare, ma è un
modo di relazionarsi non stabile,
che oscilla tra il coinvolgimento e il
distacco per comprendere si l’altro,
ma evitando di esserne “risucchiati”.
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La formazione oltre ad aiutare le
persone a gestire i rapporti con gli
utenti, dovrebbe anche essere orientata
a creare un efficace sostegno tra il
gruppo composto dai colleghi,
considerati come si è visto, importante
risorsa per la prevenzione e gestione
del burnout. Nello specifico è
importante che la formazione per gli
operatori sanitari sia permanente e
continua.
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ALCUNI LIMITI
Nel merito della formazione, emergono
anche dei problemi, infatti le ricerche ci
dicono che l’efficacia formativa di questi
corsi è incoraggiante per quanto riguarda
i risultati nel breve periodo. Ma la
formazione dovrebbe essere in grado di
produrre cambiamenti o far acquisire
strumenti a lunga scadenza, da utilizzare
cioè anche a distanza dalla conclusione di
un eventuale percorso formativo.
Nicola Armenise - Psicologo del lavoro
75
Questi training sulla gestione
dello stress dovrebbero rendere i
soggetti consapevoli della natura
e dell’impatto che lo stress e il
burnout potrebbe avere su di
loro, fornendo quindi adeguate
strategie per poter gestire tali
fenomeni.
Nicola Armenise - Psicologo del lavoro
76
Santinello e Furlotti (1992) ci
dicono che il cambiamento non è
scontato.
Affinché il training risulti efficace,
non basta che ci sia un formatore
che diriga il corso e i partecipanti
che ascoltino quanto esso ha da
dire, ma è invece necessario che i
partecipanti siano attivi, responsabili
e riflettano su se stessi.
Nicola Armenise - Psicologo del lavoro
77
Da parte dell’organizzazione
invece è necessario che anche
essa prima di organizzare questo
tipo di intervento, rifletta su
stessa per capire quali siano
veramente i problemi che
affronta e le necessità dei suoi
collaboratori.
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78
Sia da una parte (organizzazione)
che dall’altra (individuo), ci deve
essere la consapevolezza della
necessità di cambiare, dopo di
che sarà possibile procedere con
l’individuazione delle motivazioni
che spingono ad attuare un
intervento.
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79
IN CONCLUSIONE
È quindi importante che la direzione e i
dipendenti si impegnino reciprocamente per
trovare insieme delle soluzioni che migliorino
il contesto di lavoro, agendo direttamente
sulle discrepanze che potrebbero causare il
burnout, e allo stesso tempo agendo
sull’individuo per indurlo a trovare delle
strategie personalizzate di gestione dei propri
vissuti prevenendo l’eccessivo stress e il
burnout
Nicola Armenise - Psicologo del lavoro
80
IL MOBBING:
definizioni e
caratteristiche del
fenomeno
Nicola Armenise - Psicologo del lavoro
81
MOBBING
Dall’inglese to mob = “attaccare”,
“accerchiare”
Termine coniato per indicare un
meccanismo di difesa collettivo che si
attua nel mondo animale e mediante
il quale un branco mantiene la sua
omogeneità espellendo “il non simile”
attraverso comportamenti di isolamento e
lesivi. (Konrad Lorenz)
Nicola Armenise - Psicologo del lavoro
82
Alla fine degli anni ’80, il primo a parlare
di mobbing quale condizione di
persecuzione psicologica nell’ambiente di
lavoro fu lo psicologo tedesco Heinz
Leymann che è considerato il fondatore di
questa nuova direzione di ricerca della
Psicologia del Lavoro. Leymann (1996)
trovò un’analogia tra l’aggressività degli
animali e quella manifestata da certi
lavoratori nei confronti di altri, così
utilizzò il termine mobbing per indicare il
fenomeno da lui studiato.
Nicola Armenise - Psicologo del lavoro
83
In Italia si inizia a parlare di mobbing
sul lavoro solo negli anni ‘90 grazie
allo psicologo del lavoro Harald Ege.
Con la parola mobbing si intende
definire «una forma di terrore
psicologico sul posto di lavoro,
esercitata attraverso comportamenti
aggressivi e vessatori ripetuti, da parte
di colleghi o superiori»
(Ege, 1997, p. 31).
Nicola Armenise - Psicologo del lavoro
84
Lo scopo di tali
comportamenti è sempre
distruttivo e mira ad eliminare
una persona divenuta in
qualche modo ‘scomoda’,
inducendola alle dimissioni
volontarie o provocandone un
motivato licenziamento.
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85
QUANDO SI PARLA DI
MOBBING
Attualmente il fenomeno viene definito
come una forma di pressione psicologica
sul posto di lavoro, esercitata attraverso
comportamenti aggressivi e vessatori
ripetuti, da parte dei colleghi o
superiori, attuati in modo ripetitivo e
protratti nel tempo per un periodo di
almeno sei mesi.
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86
QUANDO SI PARLA DI
MOBBING
In seguito a questi attacchi la vittima
progressivamente precipita verso
una condizione di estremo disagio
che cronicizzandosi si ripercuote
negativamente sul suo equilibrio
psico-fisico.
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87
QUANDO SI PARLA DI MOBBING
Secondo Ege il conflitto deve durare
da almeno sei mesi, salvo il caso del
“quick mobbing” (almeno 3): Per potersi
avere quick mobbing è però necessario
che gli attacchi siano quotidiani e le
azioni messe in opera rientrino in
almeno 2 delle categorie previste dal
“LIPT Ege”.
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88
UNO STRUMENTO
D’INDAGINE: LIPT
Come strumento di indagine per lo
studio del mobbing possiamo citare il
questionario LIPT (Leymann Inventory of
Psychological Terrorism), messo a punto
da Leymann negli anni ’80. Nel
questionario elaborato da Leymann e
modificato da Ege vengono individuate
45 azioni ostili suddivise in 5 categorie
mobbizzanti:
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89
a) attacchi ai contatti umani e alla
possibilità di comunicare;
b) isolamento sistematico;
c) cambiamenti delle mansioni
lavorative;
d) attacchi alla reputazione;
e) violenza e minacce di violenza.
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90
IL MOBBING SUL LAVORO:
I DATI (1998)
La “classifica” dei mobbizzati vede
al primo posto l’Inghilterra
(16,3%), seguita da: Svezia (10,2%),
Francia (9,9%), Irlanda (9,4%) e
Germania (7,3%).
L’Italia con il 4% si trova al di
sotto della media Europea
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91
IL MOBBING SUL LAVORO:
I DATI (2008)
Secondo i dati dell’Ispesl (l'istituto per la
prevenzione e la sicurezza del lavoro), in
Italia le vittime del mobbing sul lavoro
sarebbero circa un milione e mezzo.
Il fenomeno sarebbe più diffuso nel nord
(65%) e le più colpite sarebbero le donne
(52%). Nell’Unione Europea le vittime di
mobbing sarebbero12 milioni, cioè l’8%
degli occupati.
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92
IL MOBBING SUL LAVORO:
I DATI (2008)
Le categorie più esposte risultano gli
impiegati (79%) e i diplomati (52%).
Per quanto riguarda la durata delle
azioni mobbizzanti, il 40% dei casi ha
durata da un anno a due anni; il 30%
dei casi oltre due anni; il 27% dei casi
da sei mesi a un anno.
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93
IL MOBBING SUL LAVORO:
I DATI (2008)
Da recenti studi sullo sviluppo del
fenomeno emerge con sorpresa che
il mobbing colpisce non solo quadri e
dirigenti, bensì anche addetti alle
mansioni più semplici. Sarebbero
loro le vittime preferite degli abusi
psicologici in azienda.
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94
MOBBING NON E’ UNA
QUALSIASI FORMA DI
CONFLITTO
Non si può classificare come mobbing
qualsiasi forma di conflitto nel posto di
lavoro. Il mobbing ha radici più profonde,
è caratterizzato da un’azione
sistematica, premeditata consciamente
o inconsciamente ai danni di una vittima
ben precisa, con l’intento di
danneggiarla o allontanarla.
Nicola Armenise - Psicologo del lavoro
95
˝Quindi la condizione per parlare
di mobbing è il requisito
temporale:
le violenze psicologiche devono
essere regolari, sistematiche,
frequenti e durare nel tempo –
almeno sei mesi. ˝
(Ascenzi e Bergagio, 2000)
Nicola Armenise - Psicologo del lavoro
96
Sebbene nella maggior parte dei saggi sul
tema del mobbing si faccia ancora oggi
costante riferimento al fattore temporale,
che del resto è inserito nella definizione
del fenomeno data da Leymann, a poco a
poco esso è andato perdendo consistenza,
al punto da non essere più ritenuto un
parametro oggettivamente valido, se non
come punto di partenza degli studi sulla
reiterazione delle azioni nel mobbing.
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97
SCOPO DEL MOBBING:
DANNEGGIARE QUALCUNO
- Isolare la vittima sul posto di lavoro e/o
allontanarla definitivamente o comunque
impedirle l’esercizio di un ruolo attivo
nel contesto lavorativo;
- Danneggiare i canali di comunicazione, il
flusso di informazioni, la reputazione e/o
la professionalità della vittima.
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98
Il mobbing NON è un singolo
evento/episodio ma un PROCESSO
frequente e costante nel tempo,
spesso si manifesta solo dopo una
lunga incubazione.
Le azioni di conflitto sono
intenzionali, frequenti, ripetute,
sistematiche, di lungo periodo.
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99
DISTINZIONE TRA MOBBING E
STRESS
˝Spesso non si distingue correttamente
tra i due fenomeni, sebbene essi abbiano
una natura ben diversa e specifica.
Si può sicuramente affermare che tra lo
stress e il mobbing esista un rapporto di
causa-effetto. ˝
(Ege e Lancioni,1998).
Nicola Armenise - Psicologo del lavoro
100
DISTINZIONE TRA MOBBING
E STRESS
Il mobbing è certamente causa
di stress; non è vero il
contrario, nel senso che lo
stress può presentarsi
indipendentemente dal
mobbing.
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101
DISTINZIONE TRA MOBBING
E STRESS
Lo stress causato dal mobbing ha delle
caratteristiche molto particolari in
quanto crea un forte stato confusionale
che disorienta la percezione degli attori,
particolarmente della vittima (viene
esagerata l’importanza del lavoro, viene
ridotta la motivazione ad agire, aumenta
l’incertezza per l’imprevedibilità del
futuro).
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102
SOGGETTI STRESSATI MOBBER
Tuttavia da molti studi si evince che le
persone stressate sono considerati i
soggetti più predisposti all’assunzione
del ruolo di mobber, perché lo stress
porta a sfogare la rabbia accumulata
attraverso delle persecuzioni su un
altro individuo.
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103
GRUPPO STRESSATO MOBBER
Questa situazione si può presentare
anche in una dimensione di gruppo.
Quando il/la mobber (appunto, il
gruppo) vuole sfogare, attraverso
delle strategie persecutorie, la
propria pressione da stress, dovuta,
anche qui, a sovra o sotto attivazione
nel lavoro.
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104
GRUPPO STRESSATO –
MOBBER
Ad esempio: il gruppo o riceve troppi ordini, o
si mettono in discussione le posizioni
gerarchiche. Ciò determinerà inevitabilmente
un calo di impegno sul lavoro e si darà avvio
alla caccia al colpevole, che sarà colui/colei che
continua a lavorare attivamente e che è
continuamente occupato rispetto agli altri.
La vittima diviene bersaglio delle azioni di
mobbing.
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105
VITTIMA STRESSATA
Un altro oggetto della ricerca psicologica
sul mobbing è la ‘vittima stressata’.
Quando un lavoratore è molto stressato,
può accadere che riversi la propria
pressione sui colleghi o i capi attraverso
nervosismi, ansie e stati di panico, che
suscitano risposte di persecuzione con il
tentativo di porre fine alla situazione.
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106
VITTIMA STRESSATA
In tal modo si attiva un circolo vizioso
in cui il/la mobber realizzerà azioni che
danneggiano la vittima procurandole
stress ulteriore; quest’ultimo
aumenterà il disagio generale che si
continuerà ad esprimere attraverso
stati d’ansia e nervosismi riversati sui
colleghi.
Nicola Armenise - Psicologo del lavoro
107
VITTIMA STRESSATA
A livello di gruppo il mobbing si verificherà nel
momento in cui un lavoratore stressato disturbi
o crei inquietudine nella stabilità del gruppo,
causando una serie di azioni persecutorie.
Il gruppo potrebbe non accettare un elemento
che violi l’equilibrio interno e allora vorrà
difendersi, attaccando l’individuo (minaccia) che si
distacca, anche solo parzialmente, dalle regole
condivise. In tale prospettiva ogni azione sembra
giustificata dal fine (la stabilità e l’equilibrio del
gruppo).
Nicola Armenise - Psicologo del lavoro
108
MOBBING COME GIOCO
Il mobbing può essere attivato da un
semplice gioco sadico dovuto a noia, invidia
o gelosia nei confronti di un lavoratore
verso cui si realizzano azioni persecutorie.
Il/la mobber spesso si trova in una
situazione di intoccabilità, ha poco lavoro
da svolgere, gode della simpatia generale,
ed impiega il suo tempo a sviluppare
strategie persecutorie da cui trarrà un
piacevole stato di euforia.
Nicola Armenise - Psicologo del lavoro
109
MOBBING COME GIOCO
In una prospettiva di gruppo, la vittima
prescelta si caratterizza per la sua
diversità dagli altri (una donna in mezzo
a uomini, uno straniero in mezzo a
lavoratori locali). Tra i membri del
gruppo si crea un accordo tacito
sull’obiettivo comune; la situazione è
grave per la vittima perché i membri del
gruppo si possono sostenere a vicenda.
Nicola Armenise - Psicologo del lavoro
110
STRAINING
Lo straining è definito come una
situazione di stress forzato sul posto di
lavoro, in cui la vittima subisce almeno
una azione che ha come conseguenza
un effetto negativo nell’ambiente
lavorativo, azione che oltre ad essere
stressante, è caratterizzata anche da una
durata costante.
Nicola Armenise - Psicologo del lavoro
111
STRAINING
Tecnicamente parlando, lo straining si
colloca a metà strada tra il mobbing e lo
stress occupazionale. Non è mobbing in
quanto, manca la sistematicità e la
frequenza delle azioni ostili; d'altra parte
è qualcosa di più del semplice stress
occupazionale, ossia allo stress dovuto al
tipo o alle condizioni di lavoro.
Nicola Armenise - Psicologo del lavoro
112
STRAINING
Le vittime di straining infatti sono oggetto di
uno Stress che è forzato, cioè superiore a
quello normalmente richiesto dalle loro
mansioni lavorative e diretto nei loro
confronti in maniera intenzionale e
discriminante: in sostanza, solo a loro –
siano essi una sola persona o un gruppo –
viene riservato quel tipo di trattamento
illecito e dannoso.
Nicola Armenise - Psicologo del lavoro
113
STRAINING
In una situazione di straining, infatti,
l'aggressore (strainer) sottomette la
vittima facendola cadere in una
condizione particolare di stress con
effetti a lungo termine. Tale stress può
derivare dall'isolamento fisico o
relazionale, dalla privazione, dalla
riduzione o dall'eccesso del carico
lavorativo.
Nicola Armenise - Psicologo del lavoro
114
STRAINING - MOBBING
la sentenza (Tribunale di Bergamo del 20
giugno 2005)
«La differenza tra lo straining e il mobbing», ha
chiarito il giudice estensore, è stata individuata nella
mancanza di una frequenza idonea (almeno alcune
volte al mese) di azioni ostili ostative: in tali
situazioni le azioni ostili che la vittima ha
effettivamente subito sono poche e troppo
distanziate nel tempo, spesso addirittura limitate a
una singola azione, come un demansionamento o
un trasferimento disagevole».
Nicola Armenise - Psicologo del lavoro
115
STRAINING - MOBBING
Pertanto, mentre il mobbing si
caratterizza per una serie di
condotte ostili, continue e
frequenti nel tempo, per lo
straining è sufficiente una singola
azione con effetti duraturi nel
tempo (come nel caso di un
demansionamento).
Nicola Armenise - Psicologo del lavoro
116
I PROTAGONISTI DEL MOBBING
Nicola Armenise - Psicologo del lavoro
117
Sulla scena del mobbing recitano
TRE TIPOLOGIE DI ATTORI:
i mobbers
sono coloro che compiono le azioni vessatorie;
le vittime o mobbizzati
sono coloro che subiscono i comportamenti
persecutori;
gli spettatori
sono coloro che non sono direttamente
coinvolti nel comportamento vessatorio ma il
cui comportamento può influire sullo sviluppo
del mobbing.
Nicola Armenise - Psicologo del lavoro
118
Non è semplice definire con
certezza e precisione le
caratteristiche di un/una possibile
MOBBER, anche perché tutto deve
essere messo in relazione sia alle
caratteristiche di personalità che
all’ambiente di lavoro specifico.
Harald Ege ha invece delineato i
seguenti 14 profili di mobber che si
riscontrano con maggiore frequenza:
Nicola Armenise - Psicologo del lavoro
119
1. l’istigatore: è colui/colei che è sempre alla
ricerca di nuove cattiverie e maldicenze
volte a colpire gli altri;
2. il casuale: è colui/colei che diventa mobber
per caso, quando trovandosi all’interno di un
conflitto prende il sopravvento sull’altro;
3. il conformista: è un tipo di mobber
spettatore, nel senso che è una persona che
non prende direttamente parte al conflitto
attaccando la vittima, però la sua non reazione
equivale ad un’azione favorente il mobbing;
Nicola Armenise - Psicologo del lavoro
120
4. il collerico: è la persona che non
riesce a contenere la rabbia e far fronte
ai suoi problemi e solo prendendosela
con gli altri riesce a scaricare la forte
tensione interna;
5. il megalomane: è colui/colei che ha
una visione distorta di se stesso
considerandosi sempre al di sopra, un
senso di Io grandioso che lo autorizza a
colpire gli altri ritenuti inferiori;
Nicola Armenise - Psicologo del lavoro
121
6. il frustrato: è l’individuo insoddisfatto della
sua vita che scarica il suo malessere sugli altri,
alla stregua del collerico;
7. il sadico: è colui/colei che prova piacere nel
distruggere l’altro e che non è disposto a
lasciarsi scappare la vittima; questo individuo,
identificato da altri come il perverso narcisista,
rappresenta il modello più pericoloso in quanto
è da considerarsi uno psicotico senza sintomi
che rifiuta di prendere in considerazione i suoi
conflitti interni e trova il suo equilibrio
scaricando il dolore su di un altro;
Nicola Armenise - Psicologo del lavoro
122
8. il criticone: è la persona perennemente
insoddisfatta degli altri che crea un
clima di insoddisfazione e di tensione;
9. il leccapiedi: è il classico carrierista, che
si comporta da tiranno coi subalterni ed
ossequioso coi superiori;
10. il pusillanime: è colui/colei che ha
troppa paura per esporsi e si limita ad
aiutare il/la mobber o, se agisce in prima
persona, lo fa in maniera subdola, con
cattiverie e sparlando della vittima;
Nicola Armenise - Psicologo del lavoro
123
11. il tiranno: è simile al sadico, non sente
ragione ed i suoi metodi seguono uno stile
dittatoriale;
12. il terrorizzato: è colui/colei che teme la
concorrenza e inizia a fare azioni di mobbing
per difendersi;
13. l’invidioso: è colui/colei che è sempre
orientato verso l’esterno e non può accettare
l’idea che qualcun altro stia meglio di lui;
14. il carrierista: è la persona che cerca di
farsi una posizione con tutti i mezzi possibili,
anche non legali, non puntando invece sulle sue
reali capacità.
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124
Per quanto riguarda LA VITTIMA,
non esiste una categoria più a
rischio di altre.
˝Ogni lavoratore potrebbe essere
vittima di mobbing. Generalizzando,
comunque, sembra che le persone
più a rischio siano quelle o troppo
passive o troppo aggressive nelle
relazioni interpersonali.˝
(Ascenzi e Bergagio, 2000, p. 48).
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125
GLI SPETTATORI sono rappresentati
da un numero molto alto di persone,
costituito dai colleghi,
dall’amministrazione del personale e da
tutti coloro che rifiutano di assumersi
qualsiasi responsabilità preferendo la
strategia del ‘lavarsene le mani’. Gli
spettatori spesso hanno paura di
diventare vittima del mobber e così non
reagiscono e a volte aiutano il/la mobber
nelle sue vessazioni.
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126
MOBBING ARTICOLATO IN
FASI
In quanto processo, il mobbing si può
suddividere in fasi che i ricercatori hanno
tentato di elencare in vari modelli, con lo
scopo di facilitare il riconoscimento del
fenomeno e valutarne più accuratamente
le cause, così da permettere di trovare
soluzioni adeguate.
Nicola Armenise - Psicologo del lavoro
127
MOBBING ARTICOLATO IN
FASI
Sulla base del modello di mobbing più
famoso, ossia quello a quattro fasi di
Leymann, Ege ha elaborato un modello
particolare che si compone di sei fasi,
legate logicamente tra loro e precedute
da una sorta di pre-fase, detta
Condizione Zero, che ancora non è
mobbing, ma che ne costituisce
l'indispensabile presupposto.
Nicola Armenise - Psicologo del lavoro
128
LE FASI DEL MOBBING
Modello a sei fasi di Ege adattato alla
realtà italiana
CONDIZIONE ZERO
Conflitto fisiologico e generalizzato, il
tutti contro tutti. In questa fase non è
ancora chiara la volontà di distruggere,
ma è evidente una forte competitività e
una lotta spietata alla sopravvivenza.
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129
Iª FASE
IL CONFLITTO MIRATO
Viene individuata una vittima e la conflittualità
ora si dirige verso di essa. Vengono messe in
atto una serie di azioni distruttrici.
2ª FASE
L’INIZIO DEL MOBBING
Le azioni del mobber iniziano a generare ansia
e disagio nella vittima, la quale comincia ad
avvertire il mutamento del clima lavorativo.
Nicola Armenise - Psicologo del lavoro
130
3ª FASE
PRIMI SINTOMI PSICOSOMATICI
La vittima accusa i primi problemi di
salute che si manifestano come
disturbi psicosomatici (problemi
digestivi, disturbi del sonno, ansia
generalizzata, disturbi mnesici e di
concentrazione, labilità emotiva).
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131
4ª FASE
ERRORI ED ABUSI
DELL’AMMINISTRAZIONE DEL
PERSONALE
Il caso di mobbing è divenuto pubblico e
viene altresì favorito
dall’Amministrazione del personale che,
insospettita dall’assenteismo per malattia
della vittima, richiama la persona con
contestazioni e interventi disciplinari.
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132
5ª FASE
AGGRAVAMENTO DELLA
SALUTE PSICOFISICA DELLA
VITTIMA
Il mobbizzato è in preda alla
disperazione, compie errori sempre più
frequenti convincendosi di essere una
nullità e che tutto ciò che sta accadendo
è colpa sua (auto-attribuzione di colpa).
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133
6ª FASE
ESCLUSIONE DAL MONDO DEL
LAVORO
Epilogo della storia del mobbing, che
vede l’uscita della vittima dal mondo del
lavoro, o tramite licenziamento o ricorso
al prepensionamento o anche mediante
esiti traumatici come lo sviluppo di
manie ossessive, suicidio nei casi estremi.
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134
LE AZIONI MOBBIZZANTI
Riconoscere le azioni mobbizzanti è di
estrema importanza ma, allo stesso
tempo, risulta molto difficile poiché
bisognerebbe avere informazioni
dettagliate dell’ambiente lavorativo, del
livello culturale e professionale di chi
compie tali azioni e di chi le subisce,
dello scopo per cui sono state messe in
atto, ecc.
Nicola Armenise - Psicologo del lavoro
135
LE AZIONI MOBBIZZANTI
˝Le azioni di violenza psicologica sul posto di
lavoro possono essere:
• palesi e violente:
se sono effettuate attraverso aggressioni verbali
e fisiche, urla, commenti inopportuni alla sfera
sessuale e privata;
• sottili e silenziose:
se la vittima viene isolata ed esclusa dal gruppo;
• disciplinari:
attraverso lettere di richiamo ingiustificato;
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136
LE AZIONI MOBBIZZANTI
• logistiche:
se la vittima viene trasferita in sedi
periferiche, scomode e lontane dagli affetti;
• mansionali:
se si affidano alla vittima compiti al di sotto
delle sue competenze;
• paradossali:
quando si affidano compiti superiori alle sue
capacità con la speranza che la vittima sbagli.
(Menelao et al., 2001)
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137
ALCUNE CONDOTTE DI
MOBBING
- Demansionamento in modo formale o solo di
fatto;
- Addebito di contestazioni infondate con sanzioni
disciplinari pretestuose;
- Lesione dell’immagine e/o della reputazione
presso colleghi e superiori;
- Discriminazioni riguardanti la carriera, le ferie,
l’aggiornamento, il carico e la qualità del lavoro;
- Assegnazione di obblighi dequalificanti o
umilianti;
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138
- Imposizione di turni gravosi;
- Abuso di controlli medico fiscali in caso
di malattia;
- Utilizzo in modo esasperato ed
esasperante del potere di controllo e
dell’azione disciplinare;
- Molestie o violenze sessuali;
- Provocazioni al fine di indurre il
soggetto a reazioni incontrollate;
- Negazione dei diritti contrattuali;
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139
- Critiche comuni non corrispondenti
alla realtà e rifiuto di specificarne i
motivi;
- Accuse di scarsi risultati non
corrispondenti a realtà;
- Comportamenti per emarginare,
escludere, isolare, o delegittimare;
- Comportamenti intenzionali e ripetuti
per sminuire, ignorare o ridicolizzare
idee, opinioni, rendimento ed anche la
competenza professionale;
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140
- Conferimento di maggiori
responsabilità senza informare la
vittima e con contemporanea
diminuzione di autorità;
- Minacce disciplinari per eventi
insignificanti;
- Umiliazioni di fronte ad altri (inflitte
con tono arrogante);
- Distorsione/accentuazione di fatti;
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141
- Continue focalizzazioni su fatti irrilevanti;
- Rifiuto di chiarire funzioni o descrizione di
compiti;
- Cambiamento di compiti di lavoro senza
informare la vittima;
- Ripetizione di compiti assegnati senza
necessità;
- Negazione alla vittima di informazioni e
permessi necessari per svolgere il proprio
lavoro;
- Negazione di sostegno in caso di necessità o
negazione di risorse;
- Periodi di silenzio per settimane;
Nicola Armenise - Psicologo del lavoro
142
- Evitare colloqui diretti e comunicare con email, tramite terzi o tramite i servizi;
- Imposizione di scadenze non realistiche o/e
cambio improvviso poco prima del termine;
- Assegnazione di obiettivi impossibili per
condizioni di salute, per onerosità, o per
incompatibilità con qualifica;
- Ingiustificate richieste di ripetere un lavoro già
fatto;
- Rifiutare di assegnare un lavoro lamentandosi
poi di non farcela;
Nicola Armenise - Psicologo del lavoro
143
- Comportamenti per sabotare interferire o
impedire il lavoro;
- Accettazione di commenti negativi riportati
da terzi;
- Riunioni tenute come interrogatori;
- Rifiuto di verbalizzare riunioni;
- Declassamento reale o di fatto di compiti e
funzioni e favoritismi nella concessione di ferie
e permessi;
- Commenti malevoli, insulti, frecciate e
comportamento aggressivo con carenza di self
control;
- Creazione di clima di caccia alle streghe;
Nicola Armenise - Psicologo del lavoro
144
- Accuse di cattiva condotta;
- Uso di minacce velate, intimidazioni, denunce o
ricorso continuo alle autorità
- Uso di linguaggio vernacolare, osceno,
offensivo;
- Colpevolizzazione ripetuta;
- Sparlare, fare pettegolezzi sulla vittima o
incoraggiare a spiare, origliare, riferire;
- Uso regolare di sarcasmo senza consenso;
- Atteggiamenti di duplicità;
- Frequenti mutamenti di opinione senza
preavviso;
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145
- Strumentalizzazione di terzi innocenti;
- Prendere crediti in caso di successo e
scaricare le colpe su altri in caso
d'insuccesso;
- Invio di lettere ambigue o maliziose ad
amici e partners;
- Trasferimenti imposti in sedi lontane e
disagiate senza apparenti giustificazioni o
necessità;
- Telefonate controllate o intercettazione
della posta.
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146
In conclusione, fare un lista completa ed
esaustiva di tutte le strategie e le azioni
mobbizzanti risulta arduo se non
impossibile; comunque sono indicativi
tutti quei comportamenti che
colpiscono l’individuo nella sua dignità
personale, morale e professionale, oltre
che quelli che minano il suo equilibrio
psichico per indurlo in errore e
renderlo inerme.
Nicola Armenise - Psicologo del lavoro
147
DIFFERENZE DI GENERE
Un dato particolarmente
interessante è quello che mostra
la differenza di comportamento
tra i due sessi nella reazione ad
una situazione conflittuale.
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148
DIFFERENZE DI GENERE
La donna in situazioni critiche tende a
parlare più in fretta e a fare più gesti e
movimenti: si comporta quindi più
nervosamente e tende a essere più attiva sul
lavoro.
L’uomo, al contrario della donna, diminuisce
notevolmente la sua attività gestuale e
verbale: invece di dimostrare maggiore
efficienza, tende a limitarsi sia nei rapporti
interpersonali, sia nello svolgimento del suo
lavoro.
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149
DIFFERENZE DI GENERE
Queste differenze sono significative e
rappresentano una testimonianza di due
modi di essere e di percepire la realtà;
tuttavia, ai fini del mobbing, va sottolineato
che nessuna delle due reazioni ottiene un
risultato. In entrambi i casi, infatti, la
reazione stessa dà al/alla mobber motivo
per continuare la sua azione persecutoria.
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150
DIFFERENZE DI GENERE
Anche nel modo di fare mobbing si verificano differenze tra
i sessi a causa della diversa educazione tra uomo e donna e
del diverso sviluppo della persona. Anche Leymann ha
trovato delle differenze significative ed in particolare:
Il mobber uomo preferisce azioni passive, cioè azioni
che non puntano sulla cattiveria aperta ma su quella
nascosta, come ignorare qualcuno, o dargli sempre nuovi
lavori o metterlo sotto pressione.
La mobber donna invece in genere preferisce il mobbing
attivo, prendere in giro qualcuno davanti ad altri o fare
girare voci su di lui/lei.
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151
DIFFERENZE DI GENERE
I mobber preferiscono attaccare una vittima
del loro stesso sesso: 2 mobber uomini su 3
se la prendono con una vittima uomo, mentre
ben 13 mobber donne su14 mobbizzano una
donna.
Gli uomini inoltre sono tendenzialmente più
mobber delle donne e non disdegnano vittime
donne.
(Harald Ege)
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152
DIFFERENZE DI GENERE
In questi casi è ragionevole pensare che entri in
gioco il fattore delle molestie sessuali, che
possono configurarsi spesso come mobbing a
sfondo sessuale. Le donne invece tendono a
mobbizzare quasi esclusivamente altre donne.
Ciò potrebbe essere correlato al fatto che
statisticamente ci sono più uomini nei ruoli
responsabili, e quindi più difficili da mobbizzare,
ma anche al fatto che nei confronti di un’altra
donna possono subentrare più facilmente invidie
e gelosie.
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153
IL MOBBING SESSUALE
Prima di parlare di ‘mobbing sessuale’, è utile fare una
piccola premessa sulle molestie sessuali.
Le molestie sessuali sono una serie di comportamenti di
avvicinamento a scopo sessuale portate avanti da una
persona verso un’altra che evidentemente non desidera
e rifiuta questo tipo di contatto. Le molestie non sono
solo atti, ma comprendono la sfera ben più ampia del
linguaggio: parole, battute, apprezzamenti, allusioni
pesanti […] oppure proposte, più o meno dirette,
spesso accompagnate da minacce di ritorsione in caso di
risposta negativa (Ege, 1997, p. 84).
Nicola Armenise - Psicologo del lavoro
154
IL MOBBING SESSUALE
Le molestie sessuali non corrispondono
tout court al mobbing, principalmente per il
fatto che lo scopo del/della mobber è quello
di eliminare o allontanare la vittima.
Il molestatore sessuale, invece, non ha
alcuna intenzione di allontanare la vittima,
ma vuole tenere il più possibile vicino a se
l’oggetto dei suoi desideri.
Nicola Armenise - Psicologo del lavoro
155
IL MOBBING SESSUALE
Nel momento in cui il molestatore subirà
continui e ripetuti rifiuti il legame tra
molestia sessuale e mobbing si può fare
sottilissimo, trasformando il molestatore in
vero e proprio mobber.
Il mobbing, quindi diventa la ritorsione, la
vendetta del molestatore respinto;
se la vittima cede alle molestie, infatti, non
verrà mai mobbizzata.
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156
IL MOBBING SESSUALE
In questo caso è la vittima che desidera
scappare, chiedendo trasferimenti o giorni
di malattia e il persecutore farà di tutto per
ostacolare la ‘fuga’, obbligandola a lavorare
quotidianamente insieme a lui, in modo che
«potrà importunarla sistematicamente fin
quando non si arrenderà alle sue pesanti ed
ossessive lusinghe» (Hirigoyen, 2000).
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157
TIPOLOGIE DI VESSAZIONI
Verso un collega (orizzontale).
Questa forma viene esercitata da uno o
più colleghi nei confronti di un soggetto.
Le azioni più frequentemente attuate
sono di natura socio - comunicativa,
volte all’isolamento della persona vessata
dal gruppo e al blocco delle informazioni
(Einarsen et al., 1997 in Maier, 2003);
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158
IL MOBBING ORIZZONTALE
MOTIVAZIONI
- Le difficoltà del mercato del lavoro;
- L’alto tasso di disoccupazione;
- Gli esiti lavorativi incerti dei contratti
atipici;
- La mancanza di trasparenza nello
sviluppo di carriera;
… favoriscono una forte competizione in
grado di attivare alti livelli di aggressività e
destrutturare i rapporti interpersonali.
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159
TIPOLOGIE DI VESSAZIONI
Verso un sottoposto (verticale).
Con questo termine, si intendono
quelle vessazioni esercitate da una
persona (anche assieme a dei
collaboratori) che ha una posizione
gerarchica superiore rispetto alla vittima.
Un tipico esempio di mobbing verticale è
l’abuso di potere
(Giannini, Di Fabio e Gepponi, 2004).
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160
TIPOLOGIE DI VESSAZIONI
Mobbing dall’alto viene anche
definito Bossing: Il mobber è l'azienda
stessa e la strategia persecutoria assume
i contorni di una vera e propria
strategia aziendale di riduzione,
ringiovanimento o razionalizzazione del
personale, oppure di semplice
eliminazione di una persona
indesiderata.
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161
TIPOLOGIE DI VESSAZIONI
Mobbing dal basso.
Questa forma di mobbing, a differenza di
quella verticale, vede il subordinato o
comunque chi detiene un potere minore
(singolo o gruppo di persone) mettere in
atto una serie di vessazioni ai danni di un
superiore.
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162
Tipologie di vessazioni
mobbing dal basso: nelle
situazioni di mobbing dal basso sono
solitamente più di uno, a volte anche
tutti gli operai o i colleghi di un
certo reparto, coloro che attuano
una vera e propria ribellione contro
il capo che non accettano.
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163
Tipologie di vessazioni
mobbing dal basso: La vittima si
trova quanto mai in una condizione
di isolamento totale e devastante;
inoltre essendo il numero dei suoi
detrattori piuttosto alto, anche il suo
tentativo di discolpa risulta arduo;
l’ufficio del personale finirà col dare
credito alla maggioranza delle voci.
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164
Tipologie di vessazioni
mobbing dal basso: I casi di mobbing
dal basso sono comunque abbastanza
rari; nell’area tedesca si stima che
ricoprano una percentuale del 10% del
totale di tutti i casi di mobbing, in Italia la
percentuale è addirittura minore: infatti,
se l’antipatia verso il capo è un
fenomeno molto diffuso, non altrettanto
si può dire dell’aperta manifestazione di
questo sentimento.
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165
DOPPIO MOBBING
Il mobbizzato si sfoga sulla
famiglia che subisce anch'essa le
persecuzioni, gli attacchi e le
umiliazioni fino al punto che
inizia a difendersi dalla forza
devastante del mobbing.
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166
DOPPIO MOBBING
La famiglia, da generosa e
protettrice – cambia atteggiamento,
si chiude in se stessa, passa sulla
difensiva e nega alla vittima ulteriore
aiuto e comprensione aggravandone
ulteriormente la situazione
psicopatologica.
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167
Un’altra forma di mobbing, molto pericolosa e
di recente diffusione, è quella che usa
i contratti precari come strumento per
ricattare ed umiliare il lavoratore. Si tratta di
un mobbing che tende a colpire
prevalentemente le donne che, spesso, non
vengono fatte oggetto del rinnovo del
contratto, come invece accade ai colleghi
maschi, per espellerle dal ciclo
produttivo in caso di maternità o in caso di
rifiuto di ricatti di vario genere, spesso di tipo
sessuale.
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168
Questo tipo di mobbing si può
vincere dimostrando di aver
subito una discriminazione di
genere che viola le norme sulle
Pari Opportunità o di aver subito
molestie sessuali.
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169
BOSSING O
MOBBING
STRATEGICO
MOBBING
DALL’ALTO
MOBBING DAL
BASSO O
DOWN - UP
DOPPIO
MOBBING
MOBBING TRA
PARI O
ORIZZONTALE
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170
LE CAUSE DEL FENOMENO
Esistono molte teorie che sino ad
ora hanno cercato di far luce sul
fenomeno del mobbing e di spiegare
le principali motivazioni per cui esso
si verifica; questi modelli, non
riescono a delineare un’unica
situazione a rischio.
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171
LE CAUSE DEL FENOMENO
Non esiste un ambiente tipo o una
caratteristica di personalità che da sola
basti per scatenare il mobbing, perché è
dalla relazione tra le molteplici variabili in
gioco che esso si sviluppa.
Leymann vede nel conflitto il presupposto
essenziale alla nascita del mobbing ed
individua 6 campi nei quali si può
sviluppare il conflitto e di conseguenza il
mobbing:
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172
LE CAUSE DEL FENOMENO
1. L’organizzazione del lavoro:
una carente organizzazione e distribuzione
del lavoro è causa di stress e di tensioni che
vengono scaricate su un colpevole.
2. Le mansioni lavorative:
se un lavoratore svolge mansioni ripetitive,
monotone e sottoqualificate è più probabile il
ricorso al mobbing per sfuggire alla
monotonia.
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173
LE CAUSE DEL FENOMENO
3. La direzione del lavoro:
una direzione aziendale carente, che non tiene
conto delle esigenze dei lavoratori è più facile
che favorisca la nascita del mobbing all’interno
della sua organizzazione: bisogna fare molta
attenzione al lavoro a turni che isolano le
persone in quanto un ambiente con una
carente socializzazione è più a rischio di
mobbing.
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174
LE CAUSE DEL FENOMENO
4. La dinamica sociale del gruppo
di lavoro: riguarda le relazioni
intercorrenti tra i membri del
gruppo di lavoro che possono essere
più o meno tranquille a seconda del
carico di lavoro che grava sul gruppo.
Nicola Armenise - Psicologo del lavoro
175
LE CAUSE DEL FENOMENO
5. Le teorie sulla personalità: a questo
riguardo Leymann sostiene che il
mobbing è indipendente dal
carattere delle persone, non dando
alcun credito alle teorie che vogliono
identificare dei gruppi maggiormente a
rischio, in quanto sostiene che dipende
sempre dalle circostanze e dall’ambiente.
Nicola Armenise - Psicologo del lavoro
176
LE CAUSE DEL FENOMENO
6. La funzione nascosta della
psicologia nella società: Leymann
muove una critica contro tutti coloro
che identificano le vittime come delle
persone con ‘problemi psicologici’
ritenendo estremamente pericoloso
soffermarsi solo su di esse e trascurando
invece l’aspetto peculiare del sistema
entro cui avviene il mobbing.
Nicola Armenise - Psicologo del lavoro
177
LE CAUSE DEL FENOMENO
In questa lista sulle cause del conflitto
sul luogo di lavoro si nota come
Leymann identifichi delle cause esterne
ed interne, in particolare modo pone
l’accenno su un ambiente malato o
conflittuale e sulle comunicazioni
disturbate che avvengono tra i lavoratori.
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178
GRUPPO MAGGIORMENTE
A RISCHIO
Ege, in una ricerca effettuata tra il 1999 e
il 2000, si propose di verificare se
esistesse o meno un gruppo
maggiormente a rischio di mobbing in base
a fattori temporali, così studiò un
campione di lavoratori provenienti da
tutta Italia utilizzando 5 parametri (4
temporali) mai utilizzati in precedenza
(Ege, 2001):
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179
1. l’età delle vittime, cercando di capire se
esisteva una fascia di età più a rischio
delle altre;
2. la durata del mobbing, utile per la
determinazione del danno da mobbing;
3. la data di assunzione della vittima, per
capire se il mobbing ha più a che fare
con i neoassunti o con gli impiegati anziani;
4. il periodo di tempo intercorrente tra
l’assunzione della vittima in quel posto
di lavoro e l’inizio del mobbing;
5. il sesso della vittima, unico parametro non
temporale.
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180
RISULTATI:
Gli uomini compresi tra i 30 e i
40 anni e le donne comprese tra i 40 e i 50
anni risultavano maggiormente esposti.
Gli uomini soffrivano per più tempo il mobbing
delle donne, probabilmente per paura di
perdere il posto di lavoro e per una minore
propensione a riconoscere sintomi e segnali di
malessere.
Anche se le donne sembravano più esposte al
mobbing (57%) è errato supporre che gli
uomini siano meno a rischio.
Nicola Armenise - Psicologo del lavoro
181
RISULTATI:
Risultano più esposti a vessazioni lavorative i
lavoratori più anziani perché meno propensi al
cambiamento, mentre i neoassunti sono più
disposti a lasciare un posto di lavoro
altamente conflittuale.
Se il mobbing non emerge immediatamente
dopo l’assunzione, non si verificherà per
almeno due anni, in quanto in questo lasso di
tempo i colleghi metteranno alla prova il
nuovo arrivato per saggiarne le capacità.
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182
EFFETTI DEL MOBBING
Nicola Armenise - Psicologo del lavoro
183
ll mobbing provoca molti danni, non solo alla
vittima, ma anche all’organizzazione e, in
misura minore, al mobber stesso.
La vittima presenta il maggior numero di
problematiche, di tipo psichico, sociale, medico
ed anche economico: queste ultime
solitamente vengono trascurate, ma
comprendono le spese sostenute per la
psicoterapia, per i corsi di rilassamento, per le
medicine, per le cure di riabilitazione, nonché
per la riduzione dello stipendio (Ege, 1997).
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184
DISTURBI A LIVELLO FISICO
E PSICOSOMATICO
Sul piano fisico, è tutto l’organismo ad essere
coinvolto. Il benessere della vittima si riduce
notevolmente anche a causa delle
preoccupazioni (o addirittura terrore)
di incontrare il/la mobber, generando stati
d’ansia e di panico costanti fuori dal controllo
personale, che fanno si che la persona si
concentri esclusivamente sulle problematiche
lavorative.
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185
DISTURBI A LIVELLO FISICO E
PSICOSOMATICO
La vittima perde la capacità di concentrazione,
accusa mal di testa, giramenti di capo, riduzione della
capacità mnemonica. Lo stato di depressione che ne
deriva porta la vittima a manifestare quasi delle
manie di persecuzione.
Un grave problema che spesso ostacola la lotta al
mobbing è che spesso la vittima non riesce a
collegare tutti questi sintomi con le violenze
psicologiche subite nell’ambiente lavorativo.
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186
DISTURBI A LIVELLO FISICO E
PSICOSOMATICO
Non bisogna dimenticare che spesso la
vittima ricorre a sostanze esterne come
alcool, droghe, fumo, caffè, nella speranza di
ridurre la sensazione di malessere diffuso.
Ma il risultato è un semplice stato di
benessere momentaneo che non risolve il
problema, ma lo amplifica.
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187
DISTURBI A LIVELLO FISICO
E PSICOSOMATICO
Sul piano emotivo si può parlare di crisi
esistenziale (si perde il ruolo di lavoratore e
ciò provoca calo dell’autostima e senso di
colpa), crisi relazionale familiare e delle
relazioni personali con amici e parenti
(separazioni, divorzi, allontanamento degli
amici ), crisi economica (dovuta alla perdita
del reddito).
(Ascenzi e Bergagio, 2000).
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188
DISTURBI A LIVELLO
FISICO E PSICOSOMATICO
Alcune ricerche hanno ipotizzato che i
figli dei mobbizzati possano avere dei
comportamenti di imitazione del genitore
e di conseguenza accusare problemi di
somatizzazione (neurodermiti, anoressia,
ecc.).
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189
DISTURBI A LIVELLO FISICO
E PSICOSOMATICO
Nei casi più gravi la vittima, non trovando altra
via d’uscita ai suoi problemi, medita il suicidio o,
all’opposto, l’omicidio.
La sovraesposizione di una persona al mobbing
può portare la vittima a commettere reati per
collera, per infrazioni, per reazioni violente o
per aggressività o eccessi di difesa. Negli Stati
Uniti circa 1.000 omicidi ogni anno avvengono
nel posto di lavoro (Ascenzi e Bergagio, 2000).
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190
LE CONSEGUENZE PER
L’AZIENDA
Gli effetti del mobbing non producono danni
solo ai lavoratori che le subiscono, ma hanno
ricadute in termini di costi anche per le
aziende. Il mobbing provoca una inutile
dispersione di risorse. I danni creati dal
mobbing sono concreti e oggettivi, e più i
metodi utilizzati sono subdoli, più aumentano i
danni, poiché richiedono dispendio di tempo e
risorse (Monateri et al., 2000).
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191
LE CONSEGUENZE PER
L’AZIENDA
In una situazione di mobbing, il gruppo di
lavoro accusa una riduzione della capacità
produttiva e dell’efficienza, le critiche verso il
datore di lavoro si fanno più marcate e il tasso
di assenteismo per malattia cresce. Il gruppo
va alla continua ricerca di capri espiatori e
aumenta la tendenza ad ingigantire i piccoli
problemi.
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192
LE CONSEGUENZE PER
L’AZIENDA
Le spese per l’azienda aumentano a causa dei
sabotaggi messi in atto dal/dalla mobber, i quali
provocano la perdita di grandi investimenti e
di anni di ricerca.
Un ulteriore aumento dei costi deriva dalla
necessità di sostituire il lavoratore mobbizzato
durante la sua assenza per malattia o
incaricare qualcuno di portare a termine il
lavoro incompiuto o errato della vittima.
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193
LE CONSEGUENZE PER
L’AZIENDA
Se il mobbing è lasciato agire indisturbato,
esso può giungere alla sua ultima fase,
che vede la vittima costretta ad uscire dal
mondo del lavoro, causando ancora gravi
costi alla ditta, che deve trovare nuovo
personale e predisporre una nuova
formazione.
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194
COSTI UMANI
Per quanto riguarda i costi umani si
verifica un netto calo del rendimento
e di impegno sia del mobbizzato che
del/della mobber, una perdita di
personale specialistico, il crollo del
clima sociale dell’organizzazione e
una limitazione della fiducia e della
collaborazione tra i dipendenti.
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195
COSTI UMANI
Un lavoratore sottoposto a violenze
psicologiche sul posto di lavoro ha un
tasso di produttività ed efficienza
inferiore del 60%. Egli, inoltre, graverà sul
datore di lavoro del 180% in più (Ascenzi
e Bergagio, 2000). È evidente che le
aziende dovrebbero prestare più
attenzione alla gestione delle risorse
umane e delle relazioni all’interno dei
luoghi di lavoro.
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196
COSTI PER LO STATO
Tra i costi che ricadono sull’intera società
troviamo gli oneri che il sistema sanitario nazionale
deve sostenere per le lunghe assenze dal lavoro e
per i frequenti periodi di malattia a cui è costretto
il soggetto mobbizzato, spese a cui contribuiscono
anche le aziende sanitarie locali. Si aggiungono
anche, nei casi di prepensionamento, sia il costo
sostenuto dall’intero sistema sanitario che si vede
costretto al pagamento di una pensione in anticipo
rispetto alla normale età, sia la perdita dei
contributi sullo stipendio prima versati dal
lavoratore.
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197
MA ESISTE UN RISCHIO DA
MOBBING VALUTABILE?
Il mobbing è una condizione di
antigiuridicità o non etica che può
conseguire generalmente a fatti
organizzativi – relazionali - gestionali
incongrui o inadeguati.
Questo malessere organizzativo – e non
il mobbing - deve essere oggetto di
valutazione attenta da parte del RSPP e
del MC
Nicola Armenise - Psicologo del lavoro
198
LA SITUAZIONE IN ITALIA
L’Italia, secondo le statistiche europee si
trova all’ultimo posto nella classifica dei
casi di mobbing, con il 4,2%.
Se si leggessero superficialmente questi
dati, si potrebbe dedurre che il
terrorismo psicologico nei posti di
lavoro è praticamente assente dagli
scenari italiani.
Nicola Armenise - Psicologo del lavoro
199
LA SITUAZIONE IN ITALIA
Lo studio della violenza psicologica
sul posto di lavoro è iniziata con
notevole ritardo rispetto ad altre
nazioni. In Italia si è cominciato a
parlare diffusamente di mobbing solo
dal 1999, anno dei due primi
convegni nazionali sul tema.
Nicola Armenise - Psicologo del lavoro
200
LA SITUAZIONE IN ITALIA
In Italia il mobbing spesso non è
conosciuto come problema a se stante e
in genere viene vissuto come routine.
Il lavoratore è convinto che le
persecuzioni sul posto di lavoro siano la
norma e così il problema non viene
neanche percepito, trascinando la
situazione per anni, fino a diventare
pericolosa e spesso irreparabile.
Nicola Armenise - Psicologo del lavoro
201
LA SITUAZIONE IN ITALIA
Nel mobbizzato italiano
l’allarme, che dovrebbe scattare al
semplice conflitto, risulta tarato ad
una soglia più alta, quella della
malattia e quindi si trova a
combattere un processo già iniziato
e che ha già prodotto serie
conseguenze (Ege, 1997).
Nicola Armenise - Psicologo del lavoro
202
LA SITUAZIONE IN ITALIA
Un dato interessante emerso dalle ricerche di Ege in
Italia e non riscontrato in altre culture è il ricorso da
parte del/della mobber a strumenti esterni - (fumare in
presenza di non fumatori, alzare il volume con lo scopo di isolare la
vittima e deconcentrarla) e l’aria condizionata, (rendere il clima dell’ufficio
insostenibile) - attraverso
cui creare fastidio e problemi
alla vittima. Il/la mobber italiano/a cerca di evitare i
rischi insiti nell’attacco diretto attraverso una
strategia più articolata e complessa, utilizzando
mezzi esterni in modo da non scoprirsi del tutto e
risultare estraneo alla vicenda.
Nicola Armenise - Psicologo del lavoro
203
LA SITUAZIONE IN ITALIA
La vittima scarica la sua rabbia inizialmente su
tale mezzo esterno e il/la mobber riesce a
guadagnare tempo, tanto che nel momento in
cui la vittima si rende conto di chi sia il vero
colpevole è troppo tardi per cercare alleati e
per difendersi. In tutti questi casi la strategia
mobbizzante è altamente subdola e
praticamente infallibile e mira a rendere le
condizioni di lavoro fastidiose o insopportabili
per la vittima designata.
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204
DIFENDERSI DAL MOBBING:
PREVENZIONE E INTERVENTI
Nicola Armenise - Psicologo del lavoro
205
COME REAGIRE AL MOBBING
Non esistono formule magiche che liberino
dal mobbing e, prima di dare qualsiasi tipo di
consiglio è fondamentale attuare una analisi
puntuale del fenomeno per far si che la
diagnosi e la terapia siano il più possibile
aderenti alla situazione. Se viene saltato
questo passo, ossia l’analisi delle
caratteristiche e delle motivazioni che hanno
portato al mobbing, si rischia di peggiorare la
situazione, invece che risolverla.
Nicola Armenise - Psicologo del lavoro
206
COME REAGIRE AL MOBBING
E’ consigliabile attuare una valida opera di
prevenzione che sia indirizzata da un lato
all’azienda e dall’altro ai singoli individui, con
l’obiettivo di impedire che un banale conflitto
irrisolto possa diventare un vero caso di
mobbing.
Nel caso dell’intervento mirato all’azienda, si
dovrebbe attuare una formazione mirata che
corregga ed indirizzi adeguatamente il lavoro
dell’Ufficio Risorse Umane, oltre che creare
la cosiddetta «cultura del litigio» (Ege, 2001).
Nicola Armenise - Psicologo del lavoro
207
COME REAGIRE AL MOBBING
La cultura del litigio è un programma
formativo rivolto alle aziende che deve
partire dall’alto ed essere diretto
dall’ufficio risorse umane o dai vertici
dirigenziali.
L’obiettivo della cultura del litigio è rendere
trasparente e chiaro il conflitto in modo da
poterlo riconoscere e averne una visione
obiettiva ed imparziale. Questa strategia va
a beneficio non solo dell’azienda ma anche
dei singoli lavoratori.
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208
COME REAGIRE AL MOBBING
Il primo passo da fare per attuare la
cultura del litigio è de-emozionare il
conflitto (Ege, 2001), ossia togliervi
ogni elemento emozionale che può
risultare scomodo e fuori luogo in
determinate circostanze, in modo da
affrontarlo con lucidità e sangue
freddo.
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209
COME REAGIRE AL MOBBING
Nella cultura del litigio le risorse dei
contendenti lavorano insieme ed in sinergia,
venendo impiegate per la creazione di nuove e
creative soluzioni. Il punto di vista dell’altro
non è più una minaccia, ma diviene una
opportunità di crescita e di arricchimento
personale, i problemi sono risolti più
velocemente ed il clima organizzativo è più
sereno, per cui i dipendenti lavorano meglio e
sono più produttivi.
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210
COME REAGIRE AL MOBBING
Altro modo di reagire al mobbing è
partecipare ai corsi di autodifesa verbale.
I corsi di autodifesa verbale sono dei corsi di
formazione personale che si rivolgono alle
singole persone per insegnare ad affrontare e
gestire meglio la conflittualità della vita
quotidiana (Ege, 2001).
Questi corsi intendono fortificare la persona
dentro per cambiare il loro atteggiamento
fuori.
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211
COME REAGIRE AL MOBBING
La vittima, acquisendo la capacità di
rispondere adeguatamente in qualsiasi
circostanza, si sente più sicura di se stessa e
nei rapporti interpersonali, ispirando rispetto
e considerazione; in tal modo riesce a
salvaguardare la sua dignità ed evita che gli
attacchi costituiscano delle premesse per
disturbi psicosomatici (l’aumento
dell’autostima e della fiducia in se stessi risulta
un ottimo immunizzante).
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212
Se il medico riscontra una situazione
di ansia, stress o depressione è
consigliabile assentarsi dal lavoro per
recuperare le energie. Non bisogna
sentirsi in colpa, è un nostro diritto,
anche perché la nostra prima
preoccupazione deve essere la
nostra salute.
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213
COME REAGIRE AL MOBBING
Fare formazione ed informazione è l’unica metodologia
che consente di far prendere coscienza dei danni che il
mobbing può provocare, in modo da riconoscere il
fenomeno.
La formazione diventa quindi una missione che ha
l’obiettivo di prevenire, curare, assistere ed
intervenire sul mobbing in modo che questo causi il
minor numero di danni possibili.
La conoscenza del mobbing deve essere inculcata ad ogni
vertice e grado della scala gerarchica, e le aziende
dovrebbero essere dotate di figure professionali in
grado di mediare le situazioni di conflitto (Ascenzi e
Bergagio, 2000).
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214
Il/la mobber, quando è consapevole,
non è stupido/a, e solitamente
attacca in assenza di testimoni
perché sa che ciò che fa non è lecito.
Per questo motivo è buon consiglio
mettere per iscritto tutto ciò che
succede in ufficio raccogliendo la
documentazione delle vessazioni
subite:
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215
Tenere un diario di ogni azione
mobbizzante contenente data, ora, luogo,
autore, descrizione, persone presenti,
testimoni; tenere un resoconto delle
conseguenze psico-fisiche che le azioni
mobbizzati hanno avuto sul nostro
organismo (questo faciliterà la
documentazione del danno biologico che il
mobbing ha determinato per la richiesta di
risarcimento dei danni psicofisici) e di tutta
la documentazione medica e delle cure
seguite;
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216
Mettere in forma scritta e fare
protocollare o spedire per raccomandata
R.R. ogni richiesta, trasformando qualsiasi
ordine verbale ricevuto in interrogazione
scritta («a voce mi è stato detto di fare
questo, chiedo conferma scritta») ed esigere
l’ordine di servizio che attesti il
cambiamento di mansioni, il trasferimento o
lo straordinario. Molto spesso non si riceve
risposta: ciò sarà un’ulteriore prova di
azione mobbizzate.
Nicola Armenise - Psicologo del lavoro
217
Sarebbe molto utile cercare degli alleati, ma
è forse la cosa più difficile. Infatti, non
sempre i colleghi sono coraggiosi.
È fondamentale non isolarsi, ma coltivare le
relazioni sociali, frequentare gli amici,
rinsaldare i rapporti familiari. Si può andare
a cena fuori, fare una bella vacanza, o
dedicarsi ad un hobby; insomma, tutto ciò
che può costituire una utile valvola di sfogo
è ben accetto.
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218
Se si decide di ricorrere alle vie legali non
bisogna essere impazienti. La durata
di una causa di lavoro è lunga e anche in caso
di vittoria in primo grado, ci si deve aspettare
un ricorso in appello da parte dell’azienda;
quindi si può calcolare da un minimo di
quattro anni fino ad otto-dieci anni.
Nella scelta tra procedimento penale e/o
civile (causa di lavoro, risarcimento del danno
biologico), è meglio preferire dapprima il
procedimento civile.
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219
Ci si deve rivolgere ad un buon avvocato cha abbia
già trattato cause di mobbing, che sicuramente non
abbia legami con la propria azienda.
Bisogna chiarire subito gli obiettivi che si intendono
raggiungere (danno biologico,
demansionamento, reintegra nel posto di lavoro,
patteggiamento, risarcimento dei danni, ecc.)
e cercare di coinvolgere il minor numero di persone
(possibilmente solo l’azienda).
In caso contrario il nostro avvocato si troverà a
dover lottare contro eserciti di avvocati di
controparte che si coalizzeranno contro di noi. Solo
dopo si può procedere anche contro gli autori
materiali del mobbing.
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220
Conoscere e intervenire adeguatamente
sul fenomeno del mobbing porta indubbi
vantaggi ai molteplici soggetti che vi sono
implicati: le persone, divenendo
maggiormente coscienti della loro
situazione, potrebbero adottare migliori
strategie difensive contro gli aggressori e
combattere il loro malessere;
Nicola Armenise - Psicologo del lavoro
221
Le aziende potrebbero risparmiarsi
onerosi costi di un personale così
problematico;
la mutua non dovrebbe caricarsi degli
onerosi costi per terapie mediche e/o
addirittura ricoveri nei casi più gravi;
infine, lo Stato eviterebbe gravosi oneri
sociali collettivi con premature pensioni
di invalidità.
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222
A seguito di un’indagine della Fondazione
Europea per il Miglioramento delle
Condizioni di Vita e di Lavoro (Dublino)
che individua nell’8% la percentuale dei
lavoratori dell’Unione colpiti da mobbing
negli ultimi 12 mesi, il Parlamento
Europeo, in data 20 settembre 2001,
emette la “Risoluzione sul mobbing nel
posto di lavoro”.
Nicola Armenise - Psicologo del lavoro
223
Il Parlamento, tra l’altro, “esorta
gli Stati membri a rivedere e, se
del caso, a completare la propria
legislazione vigente sotto il
profilo della lotta contro il
mobbing…”
Nicola Armenise - Psicologo del lavoro
224
LA SITUAZIONE ITALIANA
Nicola Armenise - Psicologo del lavoro
225
In Italia non esiste una normativa
specifica contro il fenomeno del mobbing.
Tuttavia ci sembra di poter individuare
nelle disposizioni in vigore strumenti
legislativi in grado di tutelare la salute
fisica e psicologica dei lavoratori.
Vediamo in rapida sintesi il quadro
normativo cui si può fare riferimento:
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226
Costituzione (art. 32) la salute è
un diritto dell'individuo e della
collettività; (art. 42) l’iniziativa
economica privata è libera. Non può
svolgersi in contrasto con l’utilità
sociale e in modo da recare danno
alla sicurezza, alla libertà, alla dignità
umana.
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227
CODICE PENALE PREVEDE
SANZIONI SPECIFICHE IN CASO DI
OMISSIONE DOLOSA
(art. 437) e colposa (art. 451) di cautele
contro gli infortuni sul lavoro.
Inoltre punisce con la reclusione da tre mesi a
tre anni “chiunque cagiona ad alcuno una
lesione personale, dalla quale deriva una
malattia nel corpo o nella mente (art. 582)” e
punisce con l’arresto chiunque “reca molestie
o disturbo” a qualcuno (art. 660).
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228
Legge 300/ 1970 - Statuto dei
Lavoratori (art. 13)
al dipendente non possono essere date
mansioni di livello professionale
inferiore a quello d’inquadramento.
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229
D.Lgs 626/1994 riguardante il
miglioramento della sicurezza e della
salute dei lavoratori sul luogo di lavoro
- (art. 4, punto 5) il datore di lavoro adotta le
misure necessarie per la sicurezza e la salute
dei lavoratori; (at 17, punto 1, comma a) il
medico competente collabora …alla
predisposizione dell’attuazione delle misure
per la tutela della salute e dell’integrità
psicofisica dei lavoratori.
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230
In relazione invece alle anomalie organizzative
in Italia l’INAIL ha utilizzato il termine
“costrittività organizzative” per definire le
condizioni di anomalie ed incongruenze
organizzative i cui elementi essenziali
riguardano “la sottrazione di compiti lavorativi
adeguati, l’inadeguatezza degli strumenti di
lavoro, l’attribuzione di carichi eccessivi, le
distorsioni sul piano delle comunicazioni
interne e le forme di iper-controllo
(Circolare INAIL 71 del 17.12.2003)”.
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231
L'Inail considera il mobbing
come malattia professionale: infatti è
stato inserito nella categoria delle
malattie professionali non tabellari, cioè
non comprese nelle tabelle. Il lavoratore
o la lavoratrice devono dimostrare con
una documentazione appropriata il
nesso tra la malattia contratta e le
attività professionali svolte. Quindi il
lavoratore potrà chiedere il risarcimento
del danno anche al suddetto Istituto.
Nicola Armenise - Psicologo del lavoro
232
Secondo la direttiva Inail, l’Istituto come per ogni altra
malattia professionale denunciata dal lavoratore,
procede per il caso del mobbing ad una serie di
verifiche e di controlli in ordine alla veridicità di quanto
lamentato dall'assicurato che deve provare, con la
presentazione di documenti probatori, ai sensi dell'art.
38, D.Lgs. n. 38/ 2000:
• l'esistenza della malattia professionale;
• le caratteristiche morbigene della lavorazione (in
questo caso la sussistenza dei comportamenti
mobbizanti);
• il nesso causale intercorrente tra la malattia stessa e il
lavoro concretamente svolto.
Nicola Armenise - Psicologo del lavoro
233
Poiché però in questi casi è spesso difficile per il
lavoratore produrre prove documentali sufficienti,
la circolare prevede che l'Inail effettui delle
indagini ispettive, per raccogliere le prove
testimoniali dei colleghi di lavoro, del datore di
lavoro, del responsabile dei servizi di prevenzione
e protezione delle aziende e di ogni persona
informata sui fatti allo scopo di:
• acquisire riscontri oggettivi di quanto dichiarato
dall'assicurato;
• integrare gli elementi probatori prodotti
dall'assicurato.
Nicola Armenise - Psicologo del lavoro
234
L'Inail, nella sua valutazione, può anche
utilizzare ulteriori elementi derivanti da
prece-denti accertamenti dei fatti
eventualmente emersi in sede giudiziale o
in sede di vigilanza ispettiva da parte della
Direzione provinciale del lavoro, nonché
delle Asl.
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235
Secondo una sentenza della Corte di
Cassazione, numero 685 del gennaio
2011, non è ancora possibile ricondurre
il mobbing a sanzioni di tipo penale,
nonostante ci siano alcuni
comportamenti riconducibili a un
trattamento vessatorio. Il vuoto
legislativo, infatti, fa sì che ad oggi si
possa procedere solamente con
procedimenti civili.
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236
LIMITI E DIFFICOLTA’ DI
INTERPRETAZIONE
Nicola Armenise - Psicologo del lavoro
237
L’intento persecutorio è il più
complesso fra gli elementi che
caratterizzano la fattispecie. La
difficoltà di provare che sotteso
ai comportamenti del datore di
lavoro vi sia un simile intento
rappresenta uno dei nodi più
spinosi della materia.
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238
In alcuni studi viene enfatizzata, come
possibile elemento di discrimine tra il
mobbing e le anomalie organizzative, la
presenza o meno dell’intenzionalità
dell’azione lesiva e della volontà
esplicita di allontanare la vittima dal
contesto lavorativo. In realtà tale
elemento di differenziazione appare, per
quanto riguarda «l’intenzionalità», non
sempre oggettivabile
Nicola Armenise - Psicologo del lavoro
239
QUESTIONARI
Oggi esistono alcuni “questionari autosomministrati tesi alla valutazione
delle condizioni mobbizzanti vissute e che
esprimono, quindi, la prospettiva soggettiva
della vittima. Il capostipite di questi strumenti
è rappresentato dal Leymann Inventory of
Psychological Terror (LIPT) elaborato da
Leymann negli anni ’90”.
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240
Esistono poi altri questionari: il Negative
Acts Questionnaire (NAQ), il CDL-2.0
ed il Val.Mob.
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241
UN NUOVO STRUMENTO PER
VALUTARE IL MOBBING E LE
ANOMALIE ORGANIZZATIVE
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242
Un studio, presentato sul numero di
aprile/giugno 2013 del Giornale Italiano di
Medicina del Lavoro ed Ergonomia, dal titolo
“Mobbing, costrittività organizzative ed
effetti bio-psico-sociali: una valutazione
integrata. Dati preliminari di validazione
del Questionario-napoletano sul Disagio
Lavorativo (Qn-DL)”, ha avuto l’obiettivo di
validare un nuovo strumento di
valutazione delle condizioni di
disagio percepite nell’ambito lavorativo.
Nicola Armenise - Psicologo del lavoro
243
il “Questionario-napoletano sul Disagio
Lavorativo” (Qn- DL), “si fonda
essenzialmente su tre punti fondamentali:
- individuare i fenomeni del mobbing e quelli
della costrittività organizzativa come elementi
discreti, distinguibili gli uni dagli altri, sebbene,
allo stesso tempo, valutabili congiuntamente
rispetto al peso complessivo che essi
assumono in termini di effetto psicopatogeno
sui singoli lavoratori;
Nicola Armenise - Psicologo del lavoro
244
- poter valutare questi fenomeni non
mediante strumenti on/off di tipo
dicotomico ma attraverso gradienti
progressivi di intensità (fondati
soprattutto sulla frequenza e sulla gravità
delle condizioni);
- poter avere una misura semplice degli
effetti che tali fenomeni producono sul
piano dell’integrazione bio-psico
sociale”.
Nicola Armenise - Psicologo del lavoro
245
La prima sezione consta di 32
domande ed è “rivolta sia ad
ottenere informazioni sulle variabili
anagrafiche e sulla collocazione
lavorativa (tipo di azienda, ruolo, anni
di lavoro, reddito ecc.) che a valutare
la situazione organizzativa
dell’ambiente lavorativo”;
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246
- la seconda sezione è costituita di 30
domande “che indagano sulla condizione
del disagio psicologico individuale del
soggetto”;
- la terza sezione è dedicata alla
“valutazione della situazione psicologica,
psicosomatica ed organica del soggetto ed
alla qualità della vita da questi percepita in
alcuni ambiti (relazioni sociali, vita familiare) e
di quanto la dimensione lavorativa agisca su
tali aree esistenziali”.
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247
Il questionario è stato somministrato a
128 soggetti (78 M e 50 F) che
presentavano un disturbo
psicopatologico connesso a condizioni di
disagio lavorativo e ad un gruppo di
controllo sovrapponibile per le diverse
caratteristiche socio-demografiche e
lavorative.
Nicola Armenise - Psicologo del lavoro
248
L’analisi statistica “ha dimostrato
un grado di significativa validità
ed attendibilità del questionario.
il questionario ha una “alta capacità
discriminante”.
Nicola Armenise - Psicologo del lavoro
249
Tali risultati permettono di considerare il QNDL come uno “strumento efficace e
coerente”, con le proprie finalità che “hanno
l’obiettivo di ‘pesare’ individualmente i
fenomeni del mobbing (inteso come
condizione maggiormente caratterizzato dal
conflitto e dalle disfunzioni delle relazioni
intersoggettive) e della costrittività
organizzativa pur perseguendo l’obiettivo di
valutare il peso congiunto che essi,
complessivamente, esprimono sulla condizione
psicopatologica del lavoratore e sul suo grado di
funzionamento sul piano bio-psico-sociale”.
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Lo stress è come una spezia − nella giusta
proporzione esalta il sapore di un piatto.
Troppo poca produce un blando, noioso
pasto;
troppa può soffocarlo.
Donald Tubesing
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