SensoWeber Il modo con cui M. Weber distingue l’agire sociale come una specie dell’azione non può essere sottovalutata se si vuole comprendere come viene costituito il senso della sociologia al suo nascere e come questo costituirsi sia tutt’uno con l’atto stesso della distinzione: “La sociologia (nel senso qui inteso di questo termine...) deve designare una scienza la quale si propone di intendere in virtù di un procedimento interpretativo l’agire sociale, e quindi di spiegarlo causalmente nel suo corso e nei suoi effetti.” (Economia e società, p. 4). L’agire sociale deve essere inteso, attraverso un procedimento interpretativo, quale oggetto non solo perché l’agire sociale è dotato di un senso intenzionato dal soggetto agente, ma anche perché la stessa sociologia procede nello stabilire il ‘senso’ della sua operatività conoscitiva. “Per agire ‘sociale’ [si noti che la qualificazione di sociale dell’agire è virgolettata quasi a voler sottolineare l’aspetto, potremmo dire, performativo dell’operazione che stabilisce il ‘senso’ che la dimensione sociologica conferisce all’agire] - scrive Weber - si deve però intendere [“però” sottolinea ulteriormente che si assume l’agire sociale ad oggetto e che perciò questo concetto deve essere tenuto distinto dal concetto di agire in generale dell’uomo, che non è propriamente oggetto della sociologia e che, quindi, sarebbe un errore confendere l’uno con l’altro e ridurre o interpretare il senso sociologico sulla falsariga dell’altro] un agire che sia riferito - secondso il suo senso, intenzionato dall’agente o dagli agenti - all’attegiamento di altri individui, e orientato al suo corso in base a questo”. (ibidem). In sociologia il senso dell’agire (“intenzionato dall’agente o dagli agenti”) si concretizza in riferimento all’agire gli uni degli altri e si regola, si orienta, nel suo sviluppo, nel suo dispiegarsi in base a questi. ossia al senso intenzionato. Per quanto il senso dell’agire non perda la sua imputazione soggettiva, tuttavia esso si stabilisce in riferimnto al senso dell’agire degli uni agli altri, sia che questi siano presenti, faccia a faccia, o assenti. 1 Questa impostazione apre due possibilità: secondo la prima, il senso rinvia di necessità al senso intenzionato dall’agente o dagli agenti; secondo la seconda, il senso, nel concretizzarsi nel riferimento reciproco delle azioni, rinvia all’inter-azione. Nel primo caso l’agire è portatore del senso, nel secondo lo è l’interazione. Quale segue Weber? Penso entrambe. Del resto non può fare diversamente come mostrano le sue analisi e i suoi studi storico sociali. Anche la chiarificazione che Egli dà dei concetti fondamentali della sociologia si muovono in questa ottica. Diversi sono i concetti di cui Weber sente la necessità di definire l’uso che ne fa. Egli precisa che la sociologia, che ha costituito ad oggetto l’agire sociale, spiega l’agire col “cogliere la connessione di senso in cui viene ad inserirsi, secondo il suo senso soggettivamente intenzionato” e che, pertanto, occorre precisare il procedimento attraverso cui si esplica, si esibisce, l’intendere che “designa” “una comprensione interpretativa: a) del senso o della connessione di senso intenzionato realmente nel caso singolo - in sede di considerazione storica; b) del senso o della connessione di senso intenzionato in media e approssimativamente - in sede di considerazione sociologica: c) del senso o della connessione di senso (‘tipico ideale’) da costruire scientificamente per ottenere il tipo puro (tipo ideale) di un fenomeno frequente.” (ibidem, p. 8). Da questa tripartizione del procedimento interpretativo dellìagire sociale discende che per senso Weber intenda: 1. “il senso di fatto intenzionato soggettivamente” da colui che agisce, in sede storica; 2. “il senso di fatto intenzionato soggettivamente” “in media e approssimativamente, in una certa massa di casi, dagli agenti, in sede sociologica; 3. “il senso intenzionato soggettivamente, in un tipo puro costruito concettualemente, dall’agente o dagli agenti assunti come tipo”. (ibidem, p. 4). L’agire sociale essendo orientato al senso dell’agire degli altri si dispiega, dunque, come ‘connessione di senso’ di cui fanno parte, rientrano, i diversi sensi intenzionati dai diversi agenti, in primis il 2 senso intenzionato dal soggetto agente. Il senso non è congiunto unicamente all’uomo in quanto Sinngeber ma al suo agire e di conseguenza alle connessioni di senso che stabilisce con gli altri, e, infine, dal punto di vista di un osservatore ai tipi ideali che sono costruiti a partire da quelli. E’ il senso che consente agli agenti e agli altri di avere relazioni sociali e a stabilire le connessioni, rendendole a sé e agli altri intelligibili, comprensibili. In uno scritto precedente, Weber aveva avuto modo di precisare che non è affatto una “proprietà” peculiare della vita ‘sociale’ di essere “dotata di senso”, volendo con ciò quasi sottolineare che essa è innanzitutto una prerogativa dell’uomo. Cosicché non è sempre necessario ricorrere al sociale, alle relazioni sociali, per comprendere e spiegare certi tipi di azione :“Se inserisco un ‘segnalibro’ in un ‘volume’ - esemplifica Weber - è chiaro che il risultato percepibile esternamente di questa azione è semplicemente un ‘simbolo’: che una striscia di carta o un altro oggetto sia inserito tra due fogli ha un ‘significato’ senza conoscere il quale il segnalibro sarebbe ‘inesplicabile’ causalmente. E tuttavia questo non comporta che in tal caso venga stabilita una relazione ‘sociale’”. (RIS, p.451). Ma se non vogliamo incorrere in una ‘robinsonata’, perché di ciò in tale scritto si tratta, occorre pur ammettere che l’azione di collocare un segnalibro in un volume non avrebbe alcun senso se non avvenisse in una occorenza sociale, quale può essere una biblioteca, uno studio, ecc. Interessante è l’altro esempio che Weber fa. Immaginiamo due uomini, due selvaggi o un selvaggio e un europeo, tra i quali “non intercorrono altre ‘relazioni sociali’”, che s’incontrano nel centro dell’Africa nera e che barattino degli oggetti. In questo caso di solito si argomenta che non è sufficiente osservare e descrivere i rispettivi comportamenti degli uomini coinvolti nella relazione come esemplificazione di ciò che avviene tra essi. Occorre invero che gli stessi assegnino un senso al loro rispettivo comportamento e che li regolino di conseguenza: “Se non vi fosse questo ‘senso’ - si afferma un ‘baratto’ non sarebbe possibile nella realtà né sarebbe concettualemente costruibile. Ciò è senz’altro vero. Che dei segni 3 ‘esterni’ fungano da ‘simboli’ è infatti uno tra i presupposti costitutivi di ogni relazione sociale.” (ibidem) Il ‘senso’, dunque, che i partecipanti alla relazione attribuiscono al loro scambio di oggetti consente anche all’osservatore di cogliere in essa un senso di modo che l’incontro è ‘dotato di senso’ per i concreti partecipanti come lo diviene per l’osservatore, sebbene secondo modalità diverse, che discendono dall’interesse conoscitivo di quest’ultimo. La possibilità quindi che un osservatore possa riconoscere una relazione come ‘dotata di senso’ riposa sul senso che gli stessi attori danno alla loro relazione. Weber trae da questo esempio limite conseguenze improprie che derivano dalla sua impostazione che è volta a sottolineare come il senso ‘in concreto’ sia donato dall’agente alla sua e all’alrui azione e ‘in astratto’ dallo osservatore a seconda dei suoi interessi conoscitivi. Questa impostazione discende indubbiamente anche dall’assunto metodologico dell’individualismo teso a confutare ogni forma di olismo che, tuttavia, nelle sue analisi storico-sociali Weber trasgredisce. Più interessante è riprendere l’analisi che Weber fa dei concetti che presiedono alla conoscenza sociologica. La relazione sociale si istituzionalizza secondo ‘connessioni di senso’ e si regola di conseguenza nel suo decorso sul “contenuto” di tale senso. Nel saggio sopra citato Weber aveva precisato che questo ‘contenuto’, ‘regola’, non funge da causa dell’agire giacché il “motivo” dell’agire non è la “validità ideale” della norma ma la rappresentazione che l’attore se ne fa. Se quindi è indubbio che non bisogna confondere la validità oggettiva di una norma con il comportamento concreto, da ciò non ne discende tuttavia che non occorra tener presente la norma, ossia il ‘contenuto’ di senso su cui gli attori orientano il loro agire reciproco. Questa necessità deriva proprio dal fatto che la sociologia ha ad oggetto di comprensione le connessioni di senso dell’agire e quindi essa non può non tener presenti “le formazioni sociali”, non può non tener presenti queste “formazioni concettuali di carattere collettivo” perché alrimenti la stessa rappresentazione che gli individui si fanno di tali formazioni, grazie alle quali entrano in relazione, resterebbero senza referente, “contenuto”. “L’interpretazione dell’agire deve riconoscere il 4 fatto, di fondamentale importanza, che quelle formazioni collettive appartenenti al pensiero comune o al pensiero giuridico (o anche di altre discipline) sono rappresentazioni di qualcosa che in parte sussiste e in parte deve essere, le quali hanno luogo nelle menti di uomini reali (e non soltanto dei giudici e dei funzionari, ma pure del ‘pubblico’), e in base alle quali si orienta il loro agire - e che esse hanno, in quanto tali, un’importanza causale assai forte, e spesso addiritura predominante, per il modo in cui procede l’agire degli uomini reali. E ciò soprattutto in quanto sono rappresentazioni di qualcosa che deve valere (o anche non valere).” (ibidem, p. 13). L’espressione “connessione di senso” rinvia a diversi livelli che possono essere distinti per ora nel modo seguente: 1. indica la connessione tra motivo e agire nell’agire individuale 2. indica la connessione tra i sensi che gli attori attribuiscono al proprio agire e a quello dell’altro nella relazione sociale 3. indica la connessione ossia la rappresentazione che gli individui hanno delle norme e dei valori all’interno delle formazioni sociali che rendono possibili lo stesso agire e le stesse relazioni sociali. Prendiamo l’opera di Alfred Schütz del 1932, La fen omenologia del mondo sociale (tr. it. 1974), che non è altro che una lunga esposizione in chiave fenomenologica del pensiero sociologico di M. Weber, in particolare delle prime pagine di Economia e società. Schütz chiaramente ammette che le domande che si pone a partire dal concetto di agire sociale di Weber “non si addicono alla sociologia. Piuttosto, continua - esse sono dirette su quel substrato dell’oggetto delle scienze sociali”, che è “la costituzione del mondo sociale negli atti tetici e interpretativi della vita quotidiana con gli altri.” (Schütz 1974, p. 25). Nel commento all’opera di Weber, Schütz, da un lato, lascia intendere che la formazione dell’oggetto di studio della sociologia, dal quale si orienta e si costituisce la sociologia come scienza, costituisce una problematica che dovrebbe essere interna alla sociologia, dall’altro, nella misura in cui questa problematica solleva domande volte al chiarimento del substrato dell’oggetto stesso delle scienze sociali, questo chiarimento dovrebbe essere lasciato alla filosofia. 5 Schütz perviene, nel tentativo di rendere esplicite le implicazioni filosofiche del pensiero di Weber, a non porre alcuna differenza, se non di carattere metodologico, tra le modalità in cui si costituisce il mondo sociale per il soggetto agente e per il sociologo. A questo esito giunge nel seguire il metodo fenomenologico della riduzione trascendentale, che riduce qualsiasi dato a datità di coscienza. Secondo Schütz, infatti, oggetto della sociologia è il mondo sociale della vita quotidiana nel suo svolgersi come esso si costituisce nelle rappresentazioni degli individui coinvolti. Ed è questo mondo sociale che gli individui vivono come significativo che “è significativo anche come oggetto dell’interpretazione sociologica”, sebbene, precisa Schütz, “il contesto significativo nel quale il mondo scientifico d’interpretazione cerca di inserire questo mondo non è quello della rilevanza secondo il vissuto, bensì secondo criteri sistematici.” (Schütz 1974, p. 15). Schütz distingue fra “il vivere significativamente il mondo sociale” del soggetto agente che interpreta il proprio e l’altrui decorso del significato delle azioni e “l’interpretare significativamente tale vivere per mezzo delle scienze sociali”, ma la distinzione è di metodo e non coinvolge affatto lo statuto dell’oggetto. Tuttavia questa maniera di intendere la problematica viene a sacrificare l’impostazione weberiana, in quanto Weber delimita metodologicamente l’oggetto dell’analisi sociologica dal punto di vista dello statuto scientifico della sociologia. Egli, infatti, non è tanto interessato a ricercare come si costituisca nel e per il soggetto agente il senso dell’azione quanto come nell’azione il soggetto agente connetta un senso che, per quanto sia imputabile al soggetto, si forma in riferimento al senso dell’azione dell’altro orientandosi così nel suo decorso. R. Bubner, a sua volta, prende le mosse dal modo con cui la sociologia in genere ha trattato il concetto di azione; mette in luce come da Weber in poi i sociologi siano rimasti vittime di un malinteso: invece di parlare di azione hanno parlato di senso cosicché il concetto di azione viene definito, senza eccezione, per mezzo di quello di senso, per quanto i sociologi intendano con esso di volta in volta “cose completamente diverse” (Bubner 1985, p. 52). Questa “dislocazione concettuale” ha, a giudizio di Bubner, “origine negli interessi teorici 6 specialistici, i quali relegano, dando vita, ad una tradizione, la definizione dell’azione nell’apparato delle categorie relative ad un programma di ricerca empirica” (Bubner 1985, pp. 55-56); pertanto, sostiene il Nostro che non si può pretendere dalle stesse scienze particolari di “riconoscere le caratteristiche deficienze che compaiono nella costituzione delle loro categorie”, che è, appunto, un compito che spetta alla filosofia. Ad una conclusione simile perviene anche F.Crespi nel denunciare l’insufficienza e i limiti congeniti delle teorie sociologiche e della conoscenza sociologica, che non pongono, a suo giudizio, nella dovuta luce la “dimensione incommensurabile dell’agire che funziona come limite della possibilità di conoscenza e di previsione, ma anche come punto di riferimento in rapporto al quale è necessario mantenere una tensione se non si vuole perdere di vista ciò che costituisce il carattere più proprio del sociale” (Crespi 1989, p. 71). L’azione ha una dimensione originaria e inoggettivabile che la pone come “concetto limite” della teoria sociologica che può essere assunta ed illustrata solo dalla filosofia.1 Il tentativo di Schütz di chiarire l’espressione di Weber secondo la quale “il soggetto congiunge alla sua azione un senso soggettivamente inteso” ha prodotto in campo sociologico una serie di equivoci, avendo confuso il senso che emerge dall’analisi fenomenologica dei vissuti di coscienza e che presiede alla costituzione con il senso che il soggetto agente conferisce all’azione. E’ indubbio che Schütz arricchisca la posizione di Weber, ma il metodo fenomenologico utilizzato per portare a chiarimento come nel soggetto agente si costituisca il complesso dei vissuti e dei fenomeni di coscienza legati all’agire, porta, tuttavia, come accennavamo, a smarrire l’oggetto sociologico. Nel ri-condurre la realtà dell’agire, attraverso la quale qualcosa accade nel mondo sociale, al vissuto di coscienza, all’esperire vivente interiore, agli atti donatori di senso, convinto con ciò di dare una risoluzione all’uso del concetto di ‘senso’ in Weber, Schütz assume il concetto o nozione di ‘senso’ di Weber in una accezione che non ha nulla a che fare con quella di Weber. 7 Per Weber l’azione umana è sempre un agire dotato di senso, ma l’azione sociale, che ne è una specie, è un agire che si co-determina in riferimento all’agire degli altri individui. «La sociologia - scrive Weber - deve designare una scienza la quale si propone di intendere in virtù di un procedimento interpretativo l’agire sociale e quindi di spiegarlo causalmente nel suo corso e nei suoi effetti.» (Weber 1980, p.4). Da un lato, dunque, l’azione sociale in quanto azione dell’uomo ha gli stessi caratteri dell’agire umano, vale a dire veicola un senso intenzionato e motivato soggettivamente; ma, dall’altro lato, in quanto sociale, essa è specificata nel versante sociale, vale a dire essa è determinata come tale in riferimento all’agire di altri individui, e, infine, è caratterizzata ulteriormente come “relazione sociale”. Non si è posta in genere da parte dei critici molta attenzione a questo fatto che il senso dell’agire sociale, per quanto sia intenzionato dal soggetto agente, si realizza soltanto in relazione all’agire di più individui, siano essi simultaneamente presenti o assenti gli uni agli altri. L’uomo, secondo la filosofia neo-kantiana a cui Weber aderisce e in cui inquadra le sue considerazioni di metodo ed epistemologiche, è indubbiamente un Sinngeber, ma oggetto della sociologia è l’agire sociale il cui senso si realizza solo nella relazione e secondo le aspettative e gli orientamenti degli individui che vi sono in diverso modo e a diverso titolo coinvolti: «Per ‘relazione’ sociale si deve intendere un comportamento di più individui instaurato reciprocamente secondo il suo contenuto di senso, e orientato in conformità. La relazione sociale - continua Weber - consiste pertanto esclusivamente nella possibilità che si agisca socialmente in un dato modo (dotato di senso), quale sia la base su cui riposa tale possibilità.» (Weber 1980, pp. 23-24). Perché si possa parlare di azione sociale si richiede, esemplifica lo stesso Weber, a) “un minimo di relazione reciproca dell’agire di entrambe le parti”; b) un contenuto di senso che consenta alle parti di entrare in relazione, esso “può essere il più diverso: la lotta, l’inimicizia, l’amore sessuale, l’amicizia, la reverenza, lo scambio di mercato...”ecc., ossia, come si può vedere, Weber fa riferimento a 8 nozioni che rinviano a relazioni, che esprimono un concetto di relazione; c) nelle “formazioni sociali” come lo “stato, la “chiesa”, la “compagnia”, il “matrimonio”, ecc. “la relazione sociale consiste esclusivamente e semplicemente nella possibilità che abbia avuto luogo o che avrà luogo un agire instaurato reciprocamente in un dato modo, secondo il suo contenuto di senso”, tanto è che una qualsiasi di tali formazioni “cessa di ‘esistere’ sociologicamente appena sia scomparsa la possibilità che si svolgano determinate forme di agire sociale orientato in base al senso”, pertanto, finché sussiste la possibilità di quelle determinate “forme di agire sociale”, sussiste anche la relazione sociale; d) coloro che partecipano “ad un agire instaurato reciprocamente” non è detto che attribuiscano alla relazione uno stesso “contenuto di senso” oppure che abbiano nei confronti l’uno dell’altro una medesima disposizione interiore o che condividano il medesimo senso, ma anche in questo caso è presente un riferimento reciproco; e) la relazione è bilaterale quando il contenuto di senso dell’uno corrisponde a quello dell’altro, esempio padre e figlio; f) una relazione sociale può essere transitoria o durevole; g) il contenuto di senso di una relazione sociale può mutare; h) il contenuto di senso permanente di una relazione può essere “formulato in ‘massime’ “; i) il contenuto di senso può essere “stipulato mediante impegni reciproci”. Perché si dia una relazione sociale deve sussistere la possibilità di agire secondo una determinata disposizione in un modo conforme a un senso “intenzionato in media”, cioè condiviso tra le parti. La relazione sociale s’instaura in maniera che si realizzi tra le parti sociali la possibilità del “ricorrere di un certo atteggiamento corrispondente al senso (cioè valido in base ad esso, e aspettato in conformità)”. Il contenuto di senso costituisce la relazione sociale, pertanto, una relazione sociale è tale solo in quanto si realizza, è possibile e si instaura secondo un senso intenzionato “in media”, intersoggettivamente; il che vuol dire che l’agire sociale appoggia sempre la sua possibilità di sussistere in un dato modo dotato di senso “in media”. Nello stesso tempo esso ne sta ad indicare la possibilità giacché esso rende possibile il verificarsi di azioni dotate di senso e 9 insieme rimanda ad altre possibilità, cosicché solo fra le azioni di individui diversi si stabiliscono relazioni dotate di senso.2 Rispetto a quello di azione sociale, il concetto di relazione sociale apporta una specificazione ulteriore alla nozione di senso: nel concetto di azione sociale l’indicazione che l’azione deve veicolare un senso intenzionato soggettivamente che si riferisce all’agire degli altri e che si orienta in conformità nel suo dispiegarsi, è ancora generica; nel concetto di relazione sociale, invece, in cui s’istituisce un contenuto di senso secondo il quale è possibile l’azione dotata di senso di modo che questa sia insieme attesa e orientante il senso dell’azione che vi si determina a seconda dei contesti significativi del sociale che la rendono possibile, la nozione di senso è specificata proprio in conformità ai diversi contenuti di senso e ordinamenti sociali. Si può, perciò, ritenere che, nel caso in cui un individuo persegua un fine prettamente soggettivo, la azione, per potersi svolgere, debba implicare che il soggetto agente si aspetti che gli altri orientino in media le loro azioni secondo un certo contenuto di senso che deve, perciò, venir presupposto. L’individuo, pertanto, agisce sempre in riferimento al mondo sociale a cui appartiene e il “contenuto si senso” di una relazione sociale, che è definito da Weber “ordinamento”, esprime le norme e le attese che presiedono alla vita associata. 3 A sostegno di questo rapido schizzo del pensiero di Weber, si può ricordare che l’azione sociale è costruita secondo il modello dell’azione finalizzata, di modo che il soggetto agente, tramite l’azione, s’inserisce nel mondo dove appronta i mezzi per conseguire fini determinati che sono orientati dal riferimento ai valori. Del resto, il senso di un’azione che non fosse orientato ai valori sarebbe inintelligibile sia agli agenti stessi che all’osservatore. Da un lato, la sociologia di Weber, prende in considerazione il senso che l’individuo stesso dà alla propria azione; dall’altro, mette in rilievo come questo stesso senso intenzionato dal soggetto si determini in relazione ad un senso che s’instaura nella relazione e che presuppone sia come ‘contenuto’ sia come ‘ordinamento’. Ora, se teniamo presente che Weber tratta del senso dell’azione sociale e non semplicemente del senso dell’azione umana, per quanto questo sia presente in quello, 10 possiamo intravedere come nel concetto di ‘possibilità’ i due aspetti si fondino. Il senso che si stabilisce nelle relazioni apre il soggetto agente al senso della propria e altrui azione: il senso pre-dispone non solo la comprensione dell’azione ma anche la progettualità dello scopo dell’azione stessa. Pertanto, sebbene le critiche di Bubner a Weber possono essere in generale condivise, è, tuttavia, con Weber che viene posta in primo piano l’azione quale base d’analisi delle scienze umane o scienze dello spirito. Nel saggio “Alcune categorie della sociologia comprendente” del 1913, pubblicato nella rivista Logos (IV, 1913, pp. 427-474), nella cui redazione oltre lo stesso Weber figurava Husserl che, a sua volta, collaborò con il saggio “La filosofia come scienza rigorosa” (I, 19101911, pp. 289-341), Weber parla dell’agire come “oggetto specifico” della sociologia per distinguerlo apertamente da “ogni tipo di ‘stato interiore’ o di comportamento esterno”. Nello stesso saggio, in nota, Weber fa presente che nella stesura dell’articolo oltre ai lavori di Simmel, Rickert, K.Jaspers, fa riferimento, “sebbene più indirettamente anche”, all’opera di Husserl, si può, pertanto, ritenere che il senso soggettivo connesso all’azione non abbia a che fare con gli “stati interiori” della psiche del soggetto; del resto poco prima aveva ricordato che “non si deve essere Cesare, per intendere Cesare”. E’ per questo insieme di ragioni che Weber non sente il bisogno di definire il concetto di ‘senso’. Jürgen Habermas osserva, invece, che Weber non ha “sufficientemente chiarito le categorie del senso e del significato nelle loro diverse applicazioni” (Habermas 1970, p. 22). Recentemente lo stesso Habermas ha ricordato che il concetto di ‘senso’ ha alle spalle “una teoria intenzionalistica della coscienza” e non già una “teoria del significato”. Weber, secondo Habermas, “spiega il ‘senso’ non sulla base del modello di significati linguistici né riferisce il ‘senso’ al medium linguistico di una possibile intesa, bensì alle opinioni e alle intenzioni di un soggetto di azione immaginato innanzitutto isolato”. Infatti nell’economia del suo pensiero è considerata “fondamen-tale” non già l’azione comunicativa, che è considerata come “un fenomeno derivato”, e che si esplica nella relazione interpersonale, “ma l’attività 11 finalizzata di un soggetto di azione solitario” (Habermas 1986, vol. I, p. 387), “Weber - continua Habermas - prende quindi le mosse da un modello di azione teleologica e designa il ‘senso soggettivo’ come un’intenzione di azione (pre-comunicativa)”. Tuttavia, sottolinea lo stesso Habermas, è possibile rinvenire in Weber un secondo concetto che pone in luce la dimensione sociale dell’azione secondo il quale il soggetto agente orienta il proprio agire su quello degli altri di modo che gli orientamenti di azione dei partecipanti alla relazione sociale debbano essere “reciprocamente” correlati. A fianco della concezione ufficiale di azione ne esiste una seconda “non ufficiale”, alla quale Weber deve far ricorso tutte le volte che si trova ad affrontare tipi di azione che non ricadono nel primo modello dell’azione razionale finalizzata. Così le azioni sociali si possono differenziare “in base ai meccanismi del coordinamento” della relazione sociale. Habermas ne pone in luce le due dimensioni portanti a seconda che la relazione sociale si regoli solo su “situazioni di interesse” oppure anche su un “consenso normativo”, a seconda, in breve, che la relazione sociale sia mediata da situazioni di interesse o sia mediata dal consenso normativo. Weber, infatti, secondo Habermas «opera una distinzione fra l’esistenza meramente fattuale di un ordinamento economico e la validità sociale di un ordinamento giuridico. Nel primo le relazioni sociali acquistano stabilità grazie alla compenetrazione fattuale di situazioni di interessi, nel secondo mediante il riconoscimento di istanze di validità normativa. Un coordinamento delle azioni dapprima garantito soltanto dalla complementarità degli interessi può normativamente essere riformulato grazie al sopraggiungere di validità di consenso, cioè della ‘credenza nella doverosità giuridica o convenzionale di un determinato atteggiamento’. Weber spiega questo con il formarsi di tradizioni nel passaggio dal costume alla convenzione.» (Habermas 1986, p. 391). Queste indicazioni consentirebbero di costruire una nuova tipologia dell’azione sociale che tenga conto del “genere del coordinamento” (mediante interesse/mediante intesa normativa) e del “grado di razionalità della relazione sociale” (basso/alto). Nonostante questo saggio di ricostruzione dei due modelli di azione, Habermas rimane della convinzione che “Weber non può introdurre il concetto di ‘agire sociale’ tramite la spiegazione del concetto di senso”, poiché la sua 12 trattazione mantiene centrale il “modello di azione inteso monologicamente”. La centralità di questo modello è da mettere in relazione al fatto, come sottolinea lo stesso Habermas, che Weber ha alle spalle una teoria intenzionalistica della coscienza, tributaria della filosofia della coscienza e della filosofia del concetto. Eppure a più riprese e in diversi luoghi dei suoi saggi metodologici, Weber ha spiegato che “il senso che noi attribuiamo ai fenomeni” coincide con “la relazione ai ‘valori’ che noi effettuiamo” (Weber 1980, p. 54). Il senso, dunque, non inerisce ai fenomeni considerati in se stessi, siamo noi stessi che lo attribuiamo ad essi nel porli in relazione ai ‘valori’ Un fenomeno assume senso, un senso intelligibile e culturale, “solo se esso mostra una relazione ai valori, solo se è ‘rilevante’ dal punto di vista di una considerazione orientata ai valori” (Weber 1980, p. 59, nota). Se ci collochiamo dal punto di vista dell’osservatore, vale a dire del ricercatore, sia esso uno storico o un sociologo, la possibilità di una conoscenza fornita di senso dipende dal fatto che «il dato empirico è continuamente indirizzato in vista di quelle idee di valore che sole gli forniscono un valore conoscitivo, ed è inteso nel suo significato sulla loro base, ma tuttavia non diventa mai piedistallo per la prova, empiricamente impossibile, della loro validità.» (Weber 1966, p. 134). Se, invece, ci collochiamo dal punto di vista del soggetto agente che connette un senso al proprio agire e che nello stesso tempo orienta il proprio senso sul senso dell’azione dell’altro, la possibilità che egli possa (come del resto l’altro) alla sua stessa azione connettere un senso soggettivo, comprensibile per l’altro, non può che discendere dal fatto che egli stesso (come l’altro) si riferisca ai valori. La dialettica tra comprensione ed attribuzione del senso dell’azione presuppone che l’azione si riferisca sempre di per sé ai valori. Nel caso del soggetto agente, il riferimento ai valori, è vissuto e compreso prima ancora di essere interpretato, ma in ogni modo è presupposto: l’uomo che agisce volontariamente “misura e sceglie tra i valori... secondo la propria coscienza e secondo la sua personale concezione del mondo” (Weber 1966, p. 59), questi valori, assieme a quelli che Weber dice “ultimi”, 13 “stanno a base del contenuto del suo volere, vale a dire a quegli ultimi criteri di valore da cui egli inconsapevolmente muove o - per essere conseguente - dovrebbe muovere” (Weber 1966, p. 61), questi valori “che determinano il nostro agire e che danno senso e significato alla nostra vita, sono da noi avvertiti come qualcosa di ‘oggettivamente’ valido” (Ibidem). E’ noto che Weber per la sua teoria dell’interpretazione dei valori si richiami all’opera di H.Rickert. Ma, nello stesso tempo, Egli l’ha prospettata in un modo completamente nuovo giacché ha posto il senso intenzionato soggettivamente dall’individuo agente ad oggetto proprio dell’interpre-tazione sociologica. La nozione di agire sociale sposta decisamente la nozione di senso al senso che si costituisce nelle relazioni tra gli agenti. I valori grazie al quale il senso dell’agire sociale diviene intelligibile e interpretabile hanno una validità intersoggettiva e, nello stesso tempo, hanno, nella misura in cui gli individui vi aderiscono e vi si riconoscono, una dimensione soggettiva di orientamento delle scelte dei medesimi. Dire allora che l’agire sociale è un agire che si orienta “in base al senso” significa dire che l’intelligibilità dell’agire, sia per gli stessi individui che per lo scienziato sociale, implica il riferimento ai valori, che fungono insieme da strumento donatore di senso e da modello culturale intersoggettivo di comportamento. Niklas Luhmann, a sua volta, nel riprendere la discussione intorno al senso, rompe con la tesi weberiana dell’azione sociale, egli infatti si propone di definire la nozione di senso senza riferirsi al concetto di soggetto “giacché questo, in quanto identità costituita conforme al senso, presuppone già il concetto di senso” (Cfr. Habermas, Luhmann 1973, p.16). Luhamnn può, di conseguenza, sostenere che «La coscienza non è più considerata come soggetto (hypokeimenon, subiectum) del senso, soggetto sostanzializzabile mediante la riflessione, ma come l’esperire vivente da problematizzare nelle sue potenzialità e nei suoi confini, in riferimento al quale il senso può venire analizzato funzionalmente.» (Habermas, Luhmann 1973, p. 23). 14 In quest’ottica il senso è “la forma dell’ordine dell’esperire vivente dell’uomo”, è ciò a partire da cui è per l’uomo possibile elaborare l’esperienza, non solo quella attuale ma anche quella possibile; il senso si apre nell’orizzonte dei latenti rapporti di significato in cui si anticipa la totalità che funge, a sua volta, da guida alla penetrazione progressiva dei rapporti di significato che si determinano solo in rapporto al contesto della totalità. Luhmann può così sottolineare che anche il senso dell’azione implica “sempre il mondo nel suo complesso”, ma se il senso viene ridotto all’intenzionalità dell’azione è destinato a rimanere non tematizzato giacché non è l’esperire che è costitutivo del senso, ma, viceversa, è questo che è costitutivo dell’esperire. L’intento di Luhmann, infatti, è “di definire non il senso dal soggetto, ma viceversa il soggetto dal senso”. Sia Luhmann che Habermas tentano di delineare il concetto di senso indipendentemente dal riferimento e dal nesso con l’intenzionalità di un soggetto “monologico”; tuttavia le loro teorie sociologiche sono tributarie della nozione di senso. 1 2 AGIRE SOCIALE, ATTIVITÀ FINALIZZATA E COMUNICAZIONE h) La versione non ufficiale. Non appena Weber tenta di applicare una tipologia sul piano concettuale dell'agire sociale, si imbatte in altri aspetti della razionalità dell'azione. E possibile differenziare le azioni sociali in base ai meccanismi del coordinamento delle azioni, a seconda se una relazione sociale si fonda soltanto su situazioni di interessi oppure anche su un consenso normativo. In tal modo Weber opera una distinzione fra l'esistenza meramente fattuale di un ordinamento economico e la validità sociale di un ordinamento giuridico. Nel primo le relazioni sociali acquistano stabilità grazie alla compenetrazione fattuale di situazioni di interessi, nel secondo mediante il riconoscimento di istanze di validità normativa. Un coordinamento delle azioni dapprima garantito soltanto dalla complementarità degli interessi può normativamente essere riformulato grazie al sopraggiungere di validità di consenso, cioè della «credenza nella doverosità giuridica o convenzionale di un determinato atteggiamento»27. Weber spiega questo con il formarsi di tradizioni nel passaggio dal costume alla convenzione: «Le regole convenzionali rappresentano nor- 15 malmente la via per la quale le semplici uniformità di fatto dell'agire (e quindi il puro e semplice 'costume') passano nella forma di 'norme' vincolanti, garantite in un primo momento mediante una coercizione psichica»28. Ora, l'interazione fondata sulla complementarità degli interessi non esiste soltanto sotto forma di costume, vale a dire di consuetudine accettata ottusamente, bensì anche sul piano del comportamento concorrenziale razionale, ad es. nelle relazioni moderne di scambio in cui i partecipanti hanno maturato una chiara coscienza della complementarità, ma anche della contingenza delle proprie situazioni di interessi. Dall'altro versante anche l'interazione fondata sul consenso normativo non assume soltanto la forma dell'agire convenzionale legato alla tradizione. Cosi il sistema giuridico moderno dipende da una credenza illuminata di legittimità che il diritto naturale razionale, con l'idea di un contratto fondamentale fra liberi ed uguali, fa risalire a procedure di formazione della volontà razionale. Se si seguono siffatte considerazioni, risulterà evidente costruire i tipi dell'agire sociale a) secondo il genere di 27 Weber, "Economia e società", cit., p, 326. 28 Ibidem. FIG. 13. Una tipologia alternativa di azione coordinamento e b) secondo il grado di razionalità della relazione sociale (fìg. 13). Questa costruzione di tipi trova punti di appoggio in Economia e società29; essa è dimostrabile con relativa facilità sulla base del saggio Su alcune categorie della sociologìa comprendente 30. Intendo però rinunciarvi perché Weber non svolge con chiarezza sul piano degli orientamenti di azione l'interessante distinzione fra relazioni sociali, mediate dalla situazione di interessi, e relazioni mediate dal consenso normativo (riprenderò tutto ciò sotto il titolo: orientamento al successo versus orientamento all'intesa). Più grave risulta l'altra circostanza per cui Weber, pur differenziando tra intesa legata alla tradizione e intesa razionale, spiega (come abbiamo visto) in modo insufficiente questa intesa razionale con il modello dell'accordo fra soggetti di diritto privato, senza ricondurlo a fondamenti pratico-morali di formazione della volontà discorsiva. Invece a questo punto sarebbe dovuto emergere con chiarezza che l'«agire di società» si qualifica rispetto all'«agire di comunità» non per orientamenti di azione razionali rispetto 29 Ibidem, pp. 23-33, 318-30. 16 30 Cfr. Weber, in "II metodo delle scienze storico-sociali", cit., pp. 239-307. allo scopo, bensì per il livello superiore, post-convenzionale, della razionalità pratico-morale. Poiché ciò non avviene, un concetto specifico di razionalità al valore non può acquisire per la teoria dell'azione l'importanza che gli sarebbe attribuita se la razionalizzazione etica — che Weber ha indagato sul piano delle tradizioni culturali — potesse essere còlta nelle sue conseguenze per i sistemi di azione sociale. Weber non ha potuto rendere fruttuosa per la problematica della razionalizzazione sociale la tipologia non ufficiale dell'azione. Per contro la versione ufficiale è impostata in modo tanto ristretto che in questo quadro le azioni sociali possono essere valutate soltanto sotto l'aspetto della razionalità rispetto allo scopo. Da tale prospettiva concettuale la razionalizzazione di sistemi di azione deve limitarsi all'affermazione e alla diffusione di tipi di agire razionale rispetto allo scopo specifici per ogni sottosistema. Affinchè i processi della razionalizzazione sociale possano essere indagati in tutta quanta la loro ampiezza, occorrono altri fondamenti di teoria dell'azione. Voglio perciò riprendere il concetto di agire comunicativo esposto nell' "Introduzione" e, sulla scorta della teoria dell'atto linguistico, ancorare nei fondamenti concettuali quegli aspetti dell'agire suscettibili di razionalizzazione che sono trascurati nella teoria ufficiale weberiana dell'azione. Per questa via spero di ricuperare sul piano della teoria dell'azione quel concetto complesso di razionalità che Weber usa nelle sue analisi culturali. Parto da una classificazione delle azioni che poggia sulla versione non ufficiale della teoria weberiana dell'azione: le azioni sociali sono distinte secondo due orientamenti di azione che corrispondono ad un coordinamento delle azioni mediante una situazione di interessi e mediante un'intesa normativa. Il modello dell'agire razionale rispetto allo scopo prende le mosse dal fatto che l'attore è orientato in prima linea a conseguire un fine sufficientemente determinato da obiettivi precisi, sceglie mezzi che gli sembrano adeguati nella situazione data e calcola altre conseguenze prevedibili dell'azione in quanto condizioni concomitanti del successo. Quest'ultimo è definito come il verifìcarsi nel mondo di una situazione auspicata che può essere provocata casualmente in un contesto dato mediante il fare o il tralasciare finalizzato. Gli effetti prodotti dall'azione si compongono di risultati dell'azione (quando lo 17 FIG. 14. Tipi di azione scopo prefissato è stato realizzato), di conseguenze dell'azione (che l'attore ha previsto e inteso o scontato) e di conseguenze concomitanti (che egli non ha previsto). Definiamo strumentale un'azione orientata al successo se la consideriamo sotto l'aspetto dell'osservanza di regole tecniche di azione e valutiamo il grado di efficacia di un intervento in un contesto di situazioni e di eventi; definiamo strategica un'azione orientata al successo se la consideriamo sotto l'aspetto dell'osservanza di regole di scelta razionale e valutiamo il grado di efficacia dell'influenza esercitata sulle decisioni di un antagonista razionale. Le azioni strumentali possono essere connesse con le interazioni sociali, le azioni strategiche rappresentano di per se stesse azioni sociali. Parlo invece di azioni comunicative se i prosetti di azione degli attori partecipi non vengono coordinati attraverso egocentrici calcoli di successo, bensì attraverso atti dell'intendersi. Nell'agire comunicativo i partecipanti non sono orientali primariamente al proprio successo; essi perseguono i propri fini individuali a condizione di poter sintonizzare reciprocamente i propri progetti di azione sulla base di comuni definizioni della situazione. In tal senso il concordare definizioni della situazione costituisce una componente essenziale delle prestazioni interpretative necessario per l'agire comunicativo. (da Habermas, "teoria dell'agire comunicativo", tr. it. il Mulino, pp. 391-394). 18