La patologia della personalità nell`adolescenza The pathology of

La patologia della personalità nell’adolescenza
The pathology of personality in adolescence
Valeria Verrastro1, Linda Millone2
Riassunto
La personalità dell’adolescente, in quanto instabile, è di difficile categorizzazione. Il
presente lavoro fa riferimento al DSM IV per l’individuazione di una eventuale diagnosi di disturbo di personalità in adolescenza, partendo dal presupposto che questa mostri
una continuità dai tre anni sino all’età adolescenziale. Da ulteriori studi condotti con il
Five Factor Model (FFM) si è constatato come le caratteristiche di personalità
nell’adolescente possono essere definite ma non immutabili, per cui costituiscono il
principale obiettivo dell’intervento terapeutico. Ulteriore scopo è indagare le principali
differenze fra personalità adulta ed infantile in comparazione con quella adolescenziale, attraverso l’analisi dei diversi percorsi formativi dell’identità.
Parole chiave
Adolescente, disturbo, intervento terapeutico, identità.
Abstract
The teenager personality, being unstable, it is difficult to be categorized. This work refers to the DSM IV for the detection of a possible diagnosis of personality disorder in
adolescence, assuming that such disorder shows continuity from an age of three years
up to adolescence. Further studies conducted with the Five Factor Model (FFM) have
proved that the adolescent personality characteristic can be defined, but they are not
immutable, therefore they are the main target of therapeutic intervention. Another aim
is to investigate the main differences between adults and children personality compared
with the one of the adolescent, using the analysis of various training identity.
Keywords
Adolescence, disorder, treatment, identity.
Introduzione
Questo articolo ha lo scopo di analizzare le difficoltà di diagnosi in un periodo dello sviluppo evolutivo molto particolare: l’adolescenza.
In Asse II del Manuale Diagnostico Statistico dei disturbi mentali 5 (APA, 2014) è stata
proposta una radicale modifica delle diagnosi dei disturbi di personalità, favorendo un
sistema di classificazione dimensionale, piuttosto che categoriale. Tale sistema è basato
sulla valutazione della gravità dei tratti di personalità nei seguenti domini: emotività ne 20
gativa, introversione, antagonismo, disinibizione, compulsività e schizotipia. I pazienti
sono diagnosticati quindi sulla base della loro somiglianza a cinque prototipi di personalità: l’antisociale/psicopatico, l’evitante, il borderline, l’ossessivo-compulsivo e lo schizotipico. Il disturbo di personalità narcisistico e quello istrionico sono stati eliminati e
inseriti all’interno di domini più ampi (ad esempio, all’interno del dominio
dell’antagonismo).
I dati riportati in questo articolo fanno riferimento al precedente DSM poiché è necessario prendersi il dovuto tempo per calibrare gli strumenti a disposizione e poterli efficacemente confrontare con il nuovo manuale statistico, pubblicato da poco.
Per precisazione di termini, verrà usata maggiormente l'espressione patologia di personalità che non disturbo di personalità, in quanto dati inequivocabili suggeriscono che solo un sottogruppo dei pazienti con pattern disadattivi, stabili e clinicamente significativi
di pensiero, sentimento, motivazione o comportamento (cioè la personalità) che a loro
volta conducono a disagio o disfunzioni, presenta problemi abbastanza gravi da giustificare una diagnosi di disturbo della personalità.
La comprensione, la classificazione e il trattamento della patologia di personalità in
adolescenza necessitano di una risoluzione di quattro problemi di fondo.
1.
La prima questione da porsi è se sia appropriato fare una classificazione dei disturbi della personalità degli adolescenti, data la presunta instabilità della personalità in
questo periodo della vita.
2.
Un secondo problema, connesso al primo, è se l'adolescenza è un periodo di relativo Sturm und Drang o un periodo di relativa continuità tra l'infanzia e l'età adulta.
3.
La terza problematica riguarda la natura della personalità in sé: quali sono le
aree o gli aspetti della personalità, e quali sono i cambiamenti che avvengono in queste
aree durante l'adolescenza?
4.
Quarta questione: su quali basi possiamo classificare le regolarità osservate nella
personalità dell'adolescente?
Anche se alcuni teorici hanno sostenuto che la personalità dell'adolescente è abbozzata e
instabile, una considerevole mole di ricerche sostiene che la personalità mostra una sostanziale continuità almeno dall'età di 3 anni fino all'adolescenza (Caspi, 1998). I bambini piccoli timidi e inibiti hanno più probabilità di essere ansiosi e inibiti in adolescenza (Gest, 1997; Kagan, Snidman, 1991). I bambini che mostrano un attaccamento insicuro dai 12 ai 24 mesi di età hanno più probabilità, rispetto ai loro coetanei con attaccamento sicuro, di avere difficoltà interpersonali nell'infanzia (Jacobsen, Hofmann,
1997) e di avere, nel corso dell'adolescenza, punteggi più bassi di salute emotiva, autostima, adattabilità dell'Io e competenza a relazionarsi con i pari (Sroufe, Carlson, Shulman, 1993). Bambini aggressivi hanno maggiori probabilità di diventare adulti antisociali o altrimenti disfunzionali (Caspi, Elder, Herbener, 1990). I ragazzi meno controllati e più impulsivi e le ragazze ipercontrollate e coartate hanno maggiori probabilità di
incorrere in fenomeni depressivi nella tarda adolescenza e nella prima età adulta (Block,
Gjerde, Block, 1991). I sintomi infantili di Asse I (come il disturbo di condotta e la depressione maggiore) sono molto predittivi di patologia di personalità nella tarda adolescenza valutata con i criteri dell'Asse II (Bernstein et al., 1996). Tutti questi studi suggeriscono che esiste una significativa continuità nel corso del tempo tra la personalità
dell'infanzia e quella dell'adolescenza, proprio come i dati di Offer e collaboratori
(1998) mostravano una continuità nell'età adulta.
Altri dati importanti provengono dalla ricerca sul Five Factor Model (FFM) di personalità (nevroticismo con prevalenza di affetti negativi, estroversione, coscienziosità, piacevolezza e apertura all'esperienza) che mostra come le stesse dimensioni che catturano
molti aspetti importanti della personalità adulta, indipendentemente dalle culture di appartenenza (McCrae, Costa, 1997), sembrano cogliere importanti differenze individuali
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negli adolescenti (John, Caspi, Robins, Moffitt, Stouthamer-Loeber, 1994). Anche se la
maggior parte degli studi sul FFM si basano esclusivamente su self-report, John e collaboratori hanno studiato le relazioni tra personalità e psicopatologia in adolescenza usando una misura del FFM, valutazioni della personalità fornite dalle madri e resoconti di
problemi del comportamento forniti dagli insegnanti.
I loro risultati sostengono l'idea che il FFM può essere usato con gli adolescenti per predire importanti variabili criterio. Per esempio, ragazzi che hanno commesso gravi atti
delinquenziali, come taccheggio, vandalismo, spaccio di droga e risse tra bande, nelle
dimensioni piacevolezza e coscienziosità avevano un punteggio sostanzialmente più
basso rispetto ai ragazzi che non avevano commesso atti di questo tipo. Ragazzi che più
in generale presentavano una patologia da esteriorizzazione (furti, menzogne, mancanza
di attenzione, impulsività, iperattività, aggressività) mostravano un pattern simile. Ragazzi con tendenza all'interiorizzazione avevano punteggi più alti nella dimensione nevroticismo e più bassi nella dimensione coscienziosità. I dati del FFM sono stati anche
in grado di predire il rendimento scolastico: coscienziosità e apertura hanno entrambe
predetto, negli adolescenti maschi, valutazioni degli insegnanti più positive
nell’apprendimento di lettura, scrittura, ortografia e matematica.
Alla luce dei dati che abbiamo a disposizione, sembra che l’opinione secondo cui gli
adolescenti non hanno caratteristiche di personalità stabili è scorretta. Ciò naturalmente
non significa che la personalità è stabile o immutabile dai 15 anni (non più di quanto sia
immutabile dopo i 5 anni).
Uno degli aspetti più ovvi (e incoraggianti) del lavoro clinico con gli adolescenti è la
malleabilità della loro personalità, tenuto conto dei limiti imposti dal loro temperamento
(per esempio, Plomin et al., 1997), dalle loro esperienze infantili negative (per esempio,
Tizard, Hodges, 1978) e dalle circostanze familiari presenti. Tutti gli studi longitudinali
mostrano che la personalità dell'adolescente può predire il 50 per cento della varianza
della personalità dell'adulto (un dato che sembra non dire molto) e questo vuol dire che,
allo stesso tempo, il 50 per cento della varianza è instabile o non adeguatamente valutata. Le ricerche su ragazzi delinquenti non psicopatici ci forniscono un esempio particolarmente interessante, poiché molti di questi ragazzi riusciranno a condurre una vita
produttiva, mentre altri, da adulti, saranno intrappolati in pattern disfunzionali (Moffitt
et al., 1996).
Tuttavia, i dati sono chiari nell'indicare che la personalità in adolescenza è certamente
una forza che deve essere considerata in ambito clinico e che, probabilmente, è uno dei
principali obiettivi dell'intervento terapeutico.
La seconda domanda mira a stabilire quanto la personalità dell'adolescente è qualitativamente o quantitativamente diversa dalla personalità del bambino e dell'adulto. I modelli basati sul conflitto, proposti per primo da Hall (1904) all'inizio del secolo, suggeriscono che in adolescenza le crisi e il conflitto sono normali e che questo è ciò che distingue 1’adolescenza dalle altre fasi della vita. Hall credeva che 1’adolescenza fosse un
periodo dello sviluppo di normale sconvolgimento, caratterizzato da turbolenza e stress
psicologico. Confusione relativa all'identità, relazioni interpersonali conflittuali e cambiamenti d'umore estremi erano considerati normali e non particolarmente sintomatici di
un disturbo della personalità. Successivi teorici di orientamento psicoanalitico hanno
esteso la visione dell'adolescenza come periodo in cui crisi d’identità (Erikson, 1968),
conflitti motivazionali (Freud, 1958) e regressione (Bios, 1968) non sono soltanto normali, ma anche necessari per lo sviluppo dell’adolescente. In realtà, come verrà descritto a breve, molti teorici sostengono che per gli adolescenti è funzionale attraversare un
periodo di crisi, per separarsi psicologicamente dai loro genitori e per formarsi una propria identità.
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A sostegno dei modelli centrati sul conflitto, o di ciò che Olbrich, (1990) chiama "modello del disturbo" dell'adolescenza, la ricerca suggerisce che il comportamento delinquenziale degli adolescenti maschi è normale e che i ragazzi che non mostrano nessun
tipo di comportamento antisociale tendono a essere inibiti e disadattati (Moffitt, 1993).
Secondo altre ricerche, gli adolescenti che non sperimentano droghe illecite (sia ragazzi
che ragazze) sono spesso mal adattati quanto i coetanei che ne fanno un uso eccessivo.
Relazioni problematiche con la madre, osservate fin dagli anni prescolari, ci permettono
di differenziare gli adolescenti che si collocano ai due estremi rispetto all’uso delle droghe (chi si astiene completamente e chi ne abusa) da coloro che provano le droghe ma
non ne diventano consumatori abituali (Shedler, Block, 1990).
In contrasto con i modelli del conflitto o del disturbo della personalità adolescenziale vi
sono le teorie della continuità, che suggeriscono che, durante l'adolescenza, il turbamento, gli sbalzi d'umore e il conflitto sono l'eccezione piuttosto che la regola (Bandura,
1964; Compas et al, 1995; Masterson, 1967; Offer et al, 1998). Offer e collaboratori
(1998) riportano risultati epidemiologici che indicano che adolescenti e adulti mostrano
simili percentuali di salute e di disturbo. In accordo con i loro risultati, ricavati in molti
anni di ricerche, Offer e collaboratori hanno scoperto che il 20% degli adolescenti esaminati era clinicamente disturbato, un altro 20% era a rischio, e un pieno 60% era "normale" e non presentava tutti i turbamenti e gli stress previsti dai modelli sul conflitto.
Risultati longitudinali provenienti da questo studio hanno dimostrato che gli adolescenti
con il maggior numero di conflitti e stress, che appartenevano al gruppo clinicamente
disturbato, tendevano ad avere pattern di personalità disturbati anche nella mezz’età.
Uno dei motivi che spiega la discrepanza tra il modello basato sul conflitto e quello che
sostiene la continuità risiede senza dubbio nei diversi “campioni” e metodi di osservazione. I modelli conflittuali si sono sviluppati dalla clinica che, verosimilmente, fornisce
un campione che non è rappresentativo per compiere generalizzazioni sulla personalità
degli adolescenti, ma presenta il vantaggio di permettere osservazioni straordinariamente ricche. Al contrario, i modelli basati sulla continuità si sono sviluppati da studi di laboratorio centrati su campioni normativi. I dati provenienti da questi studi sono più generalizzabili, ma dipendono molto da metodi self-report che probabilmente non colgono
una parte sostanziale dei conflitti adolescenziali. Un motivo altrettanto importante che
può spiegare le differenze evidenziate nel modo di considerare la personalità in adolescenza è la grande diversità degli adolescenti stessi: l’adolescenza è un periodo in cui vi
sono enormi differenze individuali e molti percorsi di sviluppo alternativi che variano a
seconda dell’individuo, della cultura e del periodo storico (Erikson, 1968; Hauser et al.,
1984).
Chiedersi se l’adolescenza è principalmente un periodo di conflitto o di continuità potrebbe quindi non essere la domanda giusta. La risposta dipenderà dalla sfera di funzionamento che si sta studiando, da come la si vuole studiare e da quali adolescenti si sceglie di descrivere.
Aspetti del funzionamento della personalità: aspetti di continuità e di cambiamento
Per comprendere che cosa cambia e che cosa può andare storto nello sviluppo della personalità dell'adolescente, verranno descritte di seguito le tre sfere principali della personalità che, prese insieme, forniscono una formulazione relativamente comprensiva del
funzionamento psicologico di un individuo (Westen, 1995, 1998). Secondo questo modello, che deriva dall'esperienza clinica con adolescenti e adulti e da dati empirici provenienti da una vasta letteratura psicologica (per esempio, cognizione, coping, difese,
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affetti, regolazione degli affetti, relazioni oggettuali, adattamento sociale), per comprendere la personalità bisogna porsi tre domande:
1. quali sono i desideri, le paure e le cose a cui il soggetto dà valore, e in quale misura
queste motivazioni sono compatibili o conflittuali, consapevoli o no?
2. quali sono le risorse psicologiche - processi cognitivi, tendenze affettive, modalità di
regolazione degli affetti e degli impulsi - di cui la persona dispone per affrontare le
pressioni interne e le richieste esterne?
3. qual è la capacità della persona di relazionarsi agli altri e qual è 1'esperienza che ha di
sé e degli altri?
Queste sfere di funzionamento non sono indipendenti, ma verranno di seguito esaminate
singolarmente focalizzando l’attenzione sui cambiamenti che avvengono in adolescenza
e sui punti in cui lo sviluppo può subire deviazioni.
1. La prima domanda prende in considerazione le motivazioni dell'individuo. La domanda comprende i classici conflitti freudiani tra desideri e proibizioni, il desiderio di
essere ben voluto da tutti e quello di avere successo, che spesso negli adolescenti sono
conflittuali, tra desideri e paure (come il desiderio di assomigliare a una figura di identificazione e contemporaneamente la paura di assomigliare a quella persona), e tra paure e
altre paure (per esempio, la paura di deludere il padre versus la paura di essere escluso
dai compagni).
Naturalmente, la risoluzione dei conflitti di cui si sta parlando è la formazione di un
compromesso (Brenner, 1982): un compromesso che soddisfa più “spinte” motivazionali possibili come nel caso di un adolescente che nel rapporto con i genitori soddisfa contemporaneamente desideri di rabbia, aggressività, ribellione o autonomia e, contemporaneamente, nei rapporti con i pari soddisfa i suoi desideri affiliativi compiendo atti di
vandalismo. Attualmente, una vasta quantità di dati empirici, provenienti da diverse aree
della psicologia e delle neuroscienze cognitive, confermano questa ipotesi. Per esempio,
Slavin (1996) sostiene che l’allontanamento dalla famiglia e dalle prime figure di attaccamento è in parte motivato dal riconoscimento, da parte dell’adolescente, che le persone e le relazioni esterne alla famiglia “offrono possibilità di gratificazione, risoluzione
del conflitto e revisione della propria relazione con la realtà che non si possono ottenere nell'ambiente familiare” (ibidem). La visione dell'adolescenza come periodo in cui si
va attivamente alla ricerca di opportunità extra-familiari nella speranza di appagare i
propri desideri e risolvere i propri conflitti, naturalmente, non è incompatibile con la visione che pone l'accento sul conflitto, sulle difese e sullo spostamento. Essa, in realtà,
sottolinea gli aspetti più adattivi delle formazioni di compromesso costruite dagli adolescenti man mano che entrano nel mondo adulto, del lavoro e dell’amore.
Più in generale, l’adolescenza è un periodo di cambiamenti motivazionali sostanziali. I
cambiamenti ormonali determinano alterazioni drammatiche delle motivazioni che guidano il comportamento adolescenziale, in particolare quello sessuale, ma anche quello
aggressivo. Nei ragazzi, per esempio, il livello di testosterone in circolo aumenta in modo cospicuo, e ciò sembra essere collegato sia ai ritrovati interessi sessuali, sia
all’ondata di crimini e violenze che sono associati, trasversalmente alle diverse culture,
alla presenza di un numero elevato di adolescenti maschi nella popolazione.
Da una prospettiva psicosociale, l’adolescenza è anche un periodo nel quale i ragazzi
vanno verso l'assunzione di ruoli e responsabilità adulte alle quali la maggior parte degli
adolescenti probabilmente si avvicina allo stesso tempo con eccitazione e con ansia. I
modi di interagire con gli adulti che una volta erano gratificanti possono adesso essere
fonte di conflitto.
Il contatto fisico con i genitori assume un nuovo significato (sia per gli adolescenti sia
per i loro genitori), e la stessa cosa accade per la sottomissione ai valori o ai desideri
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delle figure adulte di identificazione (anche se, naturalmente, questo varia a seconda del
contesto culturale).
Molte ragazze adolescenti, per esempio, vivono conflitti, confusione e disagio quando i
padri, imbarazzati dal loro sviluppo sessuale, si allontanano in modo doloroso e inspiegabile, lasciando le figlie a domandarsi che cosa abbiano fatto per perdere l'amore del
padre. Clinicamente, dinamiche di questo tipo sono comuni in molti casi di anoressia
adolescenziale nei quali uno dei significati del sintomo sembra essere il disperato tentativo di non crescere per non essere abbandonate dal padre (anche se spesso il non crescere è ugualmente funzionale al mantenimento di legami di dipendenza con la madre).
Le adolescenti spesso devono far fronte alle reazioni suscitate in loro dai sentimenti che
i padri provano al cospetto dei loro cambiamenti fisici; allo stesso tempo iniziano a essere attratte da altri maschi diversi dal padre, e quest'esperienza a sua volta influenza il
loro vissuto di perdita e i conseguenti modi di reagire dei padri. Inoltre, quando cominciano a essere notate dagli uomini più di quanto lo siano le loro madri, le ragazze adolescenti spesso provano la sensazione nascente - condivisa dalle loro madri - di essere diventate fisicamente più attraenti di loro – esperienza che per le madri può essere dolorosa quanto lo è per i padri la perdita "della loro bambina". E così, i cambiamenti determinati dalla pubertà conducono probabilmente a formazioni di compromesso sia negli adolescenti sia nei loro genitori, e a compromessi familiari che riflettono il compromesso di
molti compromessi intrapsichici.
2. La seconda domanda, invece, riguarda il funzionamento adattivo e può essere definita
nei termini delle risorse cognitive, affettive, comportamentali e di regolazione del sé di
cui l'adolescente dispone per affrontare le richieste interne ed esterne.
Per quanto riguarda la sfera cognitiva, gli adolescenti differiscono sostanzialmente nelle
loro capacità intellettuali, nel grado in cui il loro pensiero è di tipo globale o analitico e
nell' accuratezza e integrità dei loro processi cognitivi. Dal punto di vista affettivo, gli
adolescenti variano per l'intensità e la labilità dei loro stati emotivi, per la tendenza a vivere stati affettivi diversi (per esempio, se sono inclini alla vergogna), per la consapevolezza della loro esperienza emotiva e per i processi che utilizzano per regolare le loro
emozioni (cioè, le strategie di coping consce e i processi difensivi inconsci). Essi inoltre
differiscono nella loro capacità di regolare gli impulsi: possono essere motivati da
preoccupazioni morali o, semplicemente, possono riconoscere, in certe circostanze, i potenziali pericoli connessi agli agiti.
La ricerca sullo sviluppo cognitivo degli adolescenti dimostra che in questo periodo della vita avvengono cambiamenti considerevoli che sono importanti per capire la patologia di personalità in adolescenza. Molti di questi cambiamenti sembrano riflettere, almeno in parte, la maturazione dei lobi frontali. Uno sviluppo importante è la capacità di
pensiero astratto, che Piaget ha messo in evidenza nel suo concetto di operazioni formali
(Inhelder, Piaget, 1958) e che permette agli adolescenti di elaborare pensieri più complessi su se stessi e sugli altri. Un secondo sviluppo importante è l'ampliamento della
capacità della memoria di lavoro (Case, 1998) che permette di integrare consciamente
un maggior numero di informazioni durante i processi decisionali. Fino all'età di quindici anni aumenta anche la velocità con cui vengono processate le informazioni (Kail,
1991) e questo permette agli adolescenti di confrontarsi intellettivamente con i loro genitori in modi prima impossibili. Infine, l'adolescenza è un periodo di sviluppo continuo
della metacognizione, intesa come capacità di pensare sui propri processi di pensiero
(Metcalfe, Shimamura, 1994). Un danno in una qualsiasi di queste funzioni, o semplicemente uno sviluppo inferiore rispetto a quello dei coetanei, può probabilmente influire in modo sostanziale sulle prestazioni scolastiche e sociali e, in definitiva,
sull’autostima e sul funzionamento interpersonale.
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Anche i processi affettivi cambiano considerevolmente durante gli anni
dell’adolescenza. Uno dei principali cambiamenti è la maggiore labilità affettiva, una
caratteristica centrale sottolineata dalle teorie sull' adolescenza basate sul conflitto che
ha ricevuto supporto empirico. Alcuni dei risultati più importanti provengono dai cosiddetti studi “cerca-persona” (beeper), nei quali i ricercatori chiamavano i soggetti a intervalli casuali durante un periodo prefissato, per esempio di una settimana, e chiedevano loro di riferire che cosa stavano provando e con quale intensità lo stavano provando
(Csikszentmihalyi, Larson, 1984). Studi longitudinali che utilizzano la tecnologia dei
cerca-persona e altri metodi mostrano che gli adolescenti provano, in media, emozioni
più variabili e intense dei bambini, e che mostrano meno ostilità e meno emozioni negative (quindi più diligenza, autocontrollo e piacevolezza) man mano che si avvicinano
all’età adulta (McGue et al., 1993).
Quando lo sviluppo procede in modo relativamente tranquillo, gli adolescenti mostrano
una maggiore capacità di fare esperienza di emozioni ambivalenti, riconoscendo che
possono, allo stesso tempo, provare emozioni diverse per lo stesso oggetto (per esempio, Barter, Buddin, 1987).
Le teorie sulle relazioni oggettuali hanno dato molta importanza allo sviluppo della capacità di ambivalenza che emerge alla fine del periodo pre-edipico, intorno all'età di
cinque anni. Tuttavia, la ricerca empirica suggerisce che è molto più lungo il periodo di
tempo necessario per passare dalla capacità infantile di provare simultaneamente emozioni di valenza simile (per esempio, ansia e colpa), a una piena capacità (in adolescenza e oltre) di riconoscere che possono, allo stesso tempo, amare e odiare la stessa persona (e quindi non porre fine a una relazione in un momento di rabbia) (Westen, 1989,
1990).
Un'altra caratteristica centrale dello sviluppo dell'adolescente è la maggiore capacità di
regolare gli stati d'animo e le emozioni sia consciamente (coping) sia inconsciamente
(difese), e di regolare gli impulsi che spesso emergono accanto ai sentimenti. Durante
l'adolescenza è possibile rilevare empiricamente differenze individuali stabili nelle strategie di coping e nell'assetto difensivo associate a differenze nella gravità e nel tipo di
psicopatologia.
In merito alle strategie di coping consce, gli adolescenti che utilizzano uno stile di coping più attivo (caratterizzato da una tendenza ad affrontare le situazioni stressanti con
un approccio di tipo problem-solving, a riconcettualizzare cognitivamente eventi negativi o a stimolare un sostegno sociale) hanno meno probabilità di manifestare una sintomatologia depressiva. Al contrario, coloro che utilizzano l'evitamento come principale
strategia di coping tendono a essere più vulnerabili alla depressione (Berman-Stahl,
Stemmler, Peterson, 1995).
In merito ai processi difensivi, Feldman e collaboratori (Feldman, Araujo, Steiner,
1996) hanno dimostrato delle differenze negli stili difensivi tra adolescenti con patologie centrate sull'interiorizzazione, adolescenti con patologie centrate attorno all'esteriorizzazione e soggetti di confronto non clinici. Nel loro studio, le ragazze con disturbi da
interiorizzazione tendevano a usare difese immature come proiezione, diniego, regressione, somatizzazione e rimozione. Ragazzi in carcere con storie di disturbi di esteriorizzazione erano meno inclini a utilizzare difese mature come rimozione, umorismo, affiliazione, sublimazione e anticipazione (Vaillant, 1992; Westen et al., 1997).
3. La terza domanda prende in considerazione aspetti sia intrapsichici sia interpersonali:
“qual è l'esperienza che 1'adolescente ha del sé e degli altri e qual è la sua capacità di
stabilire relazioni intime e reciprocamente soddisfacenti”.
Questo campo comprende un insieme di variabili correlate ma distinte. Qual è la complessità con la quale il paziente tende a considerare il sé e l'altro? Si aspetta di trarre beneficio dalle relazioni o le considera pericolose, e quanto ciò varia in funzione del tipo
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di relazione (per esempio con coetanei o adulti, con maschi o femmine) e delle diverse
circostanze (per esempio a scuola, in situazioni sportive, in incontri romantici)? In quale
misura 1'adolescente considera gli altri come strumenti da usare per la propria gratificazione o per calmarsi, o quanto considera gli altri come individui indipendenti con propri
bisogni e una propria soggettività con i quali può sviluppare un'intimità profonda, coinvolgimento e interdipendenza? Qual è la sua capacità di comprendere il funzionamento
delle persone - cioè, con quale precisione riesce a fare inferenze sulle ragioni che determinano il comportamento degli altri e a fornire resoconti coerenti di eventi interpersonali? Quanto considera se stesso positivamente o negativamente, e in quali condizioni
la visione che ha di sé cambia? Quanto vive se stesso come persona integrata con una
continuità dell'esperienza del sé nel corso del tempo e quanto si considera 1'agente delle
proprie azioni e la sede dei propri pensieri e sentimenti? Come regola l'aggressività nelle relazioni interpersonali e quanto è in grado di affrontare conflitti tra i bisogni personali e quelli dell'altro? Infine, quali sono i temi interpersonali dominanti, o i pattern relazionali che ricorrono nelle sue fantasie, rappresentazioni ed esperienze interpersonali?
Queste domande prendono in esame i modi caratteristici con cui la persona fa esperienza del sé, degli altri e delle relazioni e i suoi modi di comportarsi nei contesti interpersonali. Alcune ricerche confermano proprio che la formazione dell’identità in adolescenza ha un impatto durevole sulla personalità dell' adulto.
Nella realtà dello sviluppo tecnologico occidentale, alcuni individui formano un’identità
stabile dopo un periodo di ricerca della propria identità (di se stessi), mentre altri si impegnano troppo precocemente e senza alcuna esplorazione a ruoli, persone, valori e
scelte professionali, e in questo modo si precludono uno sviluppo completo della propria identità. Altri ancora rimangono perennemente confusi, o rimandano la consolidazione della propria identità per molti anni, sperimentandosi in vari ruoli durante la prima età adulta (Marcia, 1993). Le ragazze che in tarda adolescenza hanno difficoltà a costruire la propria identità hanno maggiori probabilità, rispetto alle loro coetanee, di separarsi dai mariti in età adulta; i ragazzi con problemi di identità in tarda adolescenza
hanno maggiori probabilità di rimanere single e di essere insoddisfatti della propria vita
nella mezza età (Kahn, et al., 1985). La formazione di un'identità sana nella prima adolescenza è inoltre predittiva del raggiungimento di un'intimità più soddisfacente nella
prima età adulta e di una maggiore soddisfazione generale per la propria vita nella tarda
età adulta (Stein, Newcomb, 1999). Da una prospettiva clinica, ricerche più recenti hanno distinto quattro diverse forme di disturbo dell'identità:
assorbimento in un ruolo (una tendenza a definire se stessi nei termini di un solo
ruolo o di una sola categoria - per esempio, "figlio adulto di genitori alcolisti"),
un senso soggettivo di dolorosa confusione, un'incoerenza più oggettiva (per
esempio, una tendenza a provare sentimenti e a compiere azioni molto discrepanti),
un'incapacità di coinvolgersi in ruoli, valori e con altri significativi (WilkinsonRyan, Westen, 2000), ciascuna delle quali, ci permette di differenziare i pazienti con un
disturbo borderline di personalità dagli altri pazienti.
Una questione ancora oscura è quanto queste forme di disturbo dell’identità variano nei
diversi adolescenti e quanto differiscono dai normali processi di formazione dell'identità
in adolescenza.
I diversi percorsi che conducono alla formazione dell'identità qui descritti riflettono non
solo le esperienze peculiari dell'individuo, ma anche il suo contesto storico e culturale.
Molte culture tradizionali hanno riti d’iniziazione adolescenziali che segnano il passaggio del bambino all'età adulta e impongono un'identità che sembra più conferita dalla
società che conquistata dall'adolescente in un percorso individuale. Periodi di confusione dell'identità si verificano soprattutto nelle società tecnologicamente più avanzate o in
culture in rapido mutamento, come accade in gran parte del mondo contemporaneo.
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I ricercatori stanno riconoscendo e documentando sempre di più l'importanza del contesto storico e culturale nello sviluppo dell'identità, del sé e del sé in relazione agli altri
(Feldman, Mont-Reynaud, Rosenthal, 1992; Lopez, Hernandez, 1986; Markus, Kitayama, 1991; Roland, 1996; Westen, 1985; Westermeyer, 1987). Per esempio, in contrasto
con le concezioni occidentali contemporanee sulla individualità, che sottolineano l'importanza di sviluppare una sempre maggiore indipendenza (operazione compiuta sia dai
modelli presenti nella cultura, sia dai modelli psicologici che riflettono questi modelli),
in molte culture dell'Asia l'identità riflette più un senso di interdipendenza e unione con
le radici culturali e familiari (Bradshaw, 1990; Markus, Kitayama, 1991; Roland, 1996).
Alcuni studi sullo sviluppo dell'identità etnica in società multiculturali mettono in evidenza il ruolo dei conflitti relativi all'assimilazione di una certa cultura e il loro impatto
sullo sviluppo dell'identità. Gli adolescenti che hanno preso in esame relativamente poco la loro identità etnica, o la cui identità etnica è in continuo mutamento, mostrano livelli più bassi di autostima, sicurezza in se stessi e attribuzione di significato alla vita,
rispetto a quelli che hanno affrontato il conflitto relativo alle "due culture" all'interno
delle quali vivono (Martinez, Dukes, 1997).
È interessante notare che in Occidente, lo sviluppo dell'identità e dell'autostima delle
femmine sembra essere più simile, per alcuni aspetti, ai modelli che si osservano in Asia
e nelle società meno sviluppate tecnologicamente. Con uno studio longitudinale, Block
e Robins (1993) hanno scoperto che le caratteristiche di personalità in adolescenza erano predittive di aumenti o diminuzioni dell'autostima dall'adolescenza all'età adulta. Le
ragazze che mostravano un aumento dell'autostima durante l'adolescenza, avevano in età
adulta qualità interpersonali come calore e capacità di prendersi cura dell'altro, mentre
un aumento dell'autostima dei ragazzi era predetto da caratteristiche di tipo auto centrato (come la capacità di controllare l'ansia personale). Thorne e Michaelieu (1996) hanno
trovato pattern simili nel loro studio longitudinale su genere e autostima. Per le femmine, la capacità infantile di aiutare le amiche era correlata a livelli alti e crescenti di autostima nel periodo di età tra i 14 e i 23 anni. Al contrario, per i ragazzi erano significativamente predittivi i ricordi degli episodi in cui avevano avuto successo nell'essere assertivi (Thorne, Michaelieu, 1996).
Una delle maggiori aree di cambiamento in adolescenza, che influenza anche lo sviluppo delle relazioni, è la social cognition (Flavell Miller, 1998; Livesley, Bromley, 1973;
Westen, 1989, 1991). Bambini in età prescolare e nei primi anni scolari tendono a pensare a se stessi e agli altri in modo relativamente concreto, basandosi su comportamenti
e qualità più o meno osservabili come il fatto che sono maschi o femmine, i giochi che
preferiscono e così via (Blatt et al., 1979; Damon, Hart, 1988). Tuttavia, intorno agli otto anni, i bambini (almeno nell'Occidente industrializzato, dove questi cambiamenti
evolutivi sono molto più omogenei e massicci) cominciano a definire se stessi non soltanto attraverso questi attributi facilmente percepibili, ma anche attraverso alcuni aspetti
delle loro personalità, come ciò che a loro piace e ciò che a loro non piace, il modo in
cui interagiscono e percepiscono gli altri e i loro modi di sentire e pensare. In adolescenza, le rappresentazioni del sé diventano molto più sottili (Harter, 1998; Harter,
Monsour, 1992), così come la capacità di fare inferenze complesse e accurate sulle ragioni del comportamento degli altri (Westen, et al., 1991). Per esempio, una ragazza di
17 anni intervistata per un progetto di ricerca sullo sviluppo delle rappresentazioni del
sé e degli altri nei bambini ha descritto se stessa in questo modo: "Sembro molto timida
se mi si guarda dall'esterno, ma dentro di me mi sento molto coinvolta quando sono con
gli altri, e penso molto a quello che le persone dicono e fanno. E mi sento molto a mio
agio con le persone, probabilmente non sembro per niente timida". Un altro aspetto molto importante per la sempre maggiore complessità o sottigliezza della social cognition
dell'adolescente è la crescente capacità di guardare le cose dalla prospettiva degli altri,
28
per esempio, facendo inferenze esplicite sulle rappresentazioni che gli altri hanno di sé
(Selman, 1980).
Gli adolescenti differiscono dai bambini più piccoli non soltanto per le rappresentazioni
che hanno degli altri, ma anche per la loro capacità di investire negli altri in modo maturo, intimo e reciprocamente soddisfacente (Westen, 1990; Westen, et al., 1991). Per
esempio, le ricerche sullo sviluppo dell'esperienza dell'amicizia nei bambini documentano che dagli anni prescolastici all'adolescenza avvengono tre cambiamenti sostanziali
(Damon, 1977). Il primo è il passaggio da una definizione dell' amicizia nei termini delle sue caratteristiche più superficiali (per esempio, "giochiamo spesso insieme") a una
maggiore importanza data al prendersi cura dell' altro, condividere i propri pensieri e
sentimenti e confortarsi a vicenda. Il secondo è il passaggio da un orientamento auto
centrato in cui è considerato amico colui che soddisfa i desideri e i bisogni del bambino,
a una relazione reciprocamente soddisfacente. Il terzo mutamento va da una descrizione
dell'amicizia come atti momentanei e transitori al senso di una relazione che dura nel
tempo e sopravvive ai conflitti. Per esempio, Damon (1997) riporta la seguente intervista a un bambino di otto anni, che illustra la qualità "non faccio niente per niente" tipica
dell'investimento emotivo nelle relazioni del bambino.
Alcune ricerche che si sono servite di tecniche proiettive hanno documentato uno cambiamento simile. Per esempio, alcuni studi hanno mostrato un aumento stabile nel numero delle figure umane delle risposte del Rorschach dall'infanzia all'adolescenza (questo è un indicatore associato a migliori relazioni oggettuali nell' età adulta) (Blatt, Lemer, 1983) e risultati simili sono emersi anche dalle risposte al TAT. I resoconti narrativi prodotti dai bambini in risposta alle tavole del TAT con la consegna di descrivere
eventi interpersonali importanti (come le interazioni con le loro madri e con il loro migliore amico), hanno dimostrato un cambiamento normativo simile da un approccio alle
relazioni basato sulla gratificazione del bisogno, tipico dell'infanzia, a modi di relazionarsi sempre più intimi e reciproci (Westen, et al., 1991). È interessante notare come
questo cambiamento sembra essere considerevolmente ritardato, se non completamente
bloccato, negli adolescenti e negli adulti con disturbi gravi della personalità (Porcerelli,
et al., 1998; Westen, et al., 1991, 1990).
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1
Ricercatore in psicologia dello sviluppo e dell’educazione, Università degli Studi di Cassino e del Lazio
Meridionale. 2
Psicologa, psicoterapeuta, Istituto per lo studio delle psicoterapie.
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