L’ORDINAMENTO GIURIDICO E LA NORMA 45 CAPITOLO I L’ORDINAMENTO GIURIDICO E LA NORMA 1. L’ordinamento giuridico. Tratto peculiare dell’uomo è la sua naturale inclinazione a vivere all’interno di un gruppo di individui, e ciò perché: - è ontologicamente socievole; - è attraverso la cooperazione che i suoi bisogni trovano soddisfazione e realizzazione. Affinché, però, si verifichi la cooperazione in modo stabile all’interno del gruppo di individui (societas), occorrono un insieme di regole o, meglio, di norme che ne disciplinino il funzionamento e di organi preposti a garantire la loro osservanza. L’insieme delle regole che regolano l’attività e la convivenza di ogni singolo individuo all’interno della società costituisce l’ordinamento giuridico ossia l’insieme delle norme giuridiche vigenti in una determinata comunità in un dato momento. 2. Le norme giuridiche. La norma giuridica è costituita da due parti: - il precetto, secondo cui un determinato comportamento è lecito o meno (comando nei reati omissivi, divieto nei reati commissivi); - la sanzione, cioè la minaccia di una pena in caso di violazione del precetto. Tuttavia esistono casi in cui alcune norme giuridiche sono prive di sanzioni: parliamo delle c.d. norme imperfette. Ricordiamo, ad esempio, talune norme di rango costituzionale che disciplinano i comportamenti del Presidente della Repubblica, del Parlamento e del Governo. I caratteri essenziali delle regole giuridiche, che le distinguono dalle regole del diritto naturale, sono i seguenti: a) generalità: si applicano a tutti quelli che si trovano in una situazione da esse disciplinata; b) astrattezza: prevedono in astratto la disciplina di situazioni eguali a quelle in esse contenute; c) novità: devono tendenzialmente innovare l’ordinamento giuridico; d) imperatività (o cogenza): contengono un precetto la cui attuazione è garantita da un sistema sanzionatorio che ne prevede un’applicazione coattiva da parte dell’autorità pubblica; 46 diritto costituzionale e) derogabilità (o relatività): la loro applicazione può anche essere disattesa dagli interessati; f) esteriorità: oggetto della loro disciplina è l’esterno operare degli individui; g) bilateralità: prevedono un’interdipendenza tra situazioni soggettive di vantaggio e situazioni soggettive di svantaggio. 3. Classificazione delle norme giuridiche. In base al contenuto, le norme giuridiche tradizionalmente si distinguono in: - norme precettive, le quali contengono dei comandi; - norme proibitive, le quali contengono un divieto e, dunque, proibiscono determinate condotte; - norme permissive, che autorizzano certi comportamenti o attribuiscono ad un soggetto una specifica facoltà. In base al tipo di comando, le norme giuridiche si distinguono in norme cogenti (o imperative) e norme relative. Sono cogenti le norme imposte in ogni caso dall’ordinamento giuridico, le quali devono essere necessariamente rispettate da tutti i consociati indipendentemente dalla loro volontà (es.: norme penali). Sono relative, invece, le norme derogabili, sull’applicazione delle quali può incidere una diversa volontà dei privati; i soggetti coinvolti, cioè, possono scegliere di comportarsi in modo diverso da quanto previsto dalla norma. Nell’ambito di questa seconda categoria si usa distinguere tra: norme dispositive, che pur regolando un rapporto consentono ai soggetti coinvolti di regolarlo in modo diverso; norme suppletive, che, invece, trovano applicazione solo laddove le parti non abbiano espresso alcuna volontà. In base al tipo di sanzione, infine, è possibile distinguere le norme giuridiche in: - norme perfette, le quali sono munite di un’idonea sanzione (sono perfette, ad esempio, le norme penali); - norme imperfette, le quali non sono munite di alcuna sanzione. Ad esempio, l’art. 315 c.c. prescrive l’obbligo, per i figli, di rispettare i genitori, ma non prevede alcuna sanzione in caso di inosservanza di tale obbligo; - norme men che perfette, cioè relativamente imperfette, che prevedono sanzioni non adeguate o comunque incapaci di ripristinare la situazione preesistente alla violazione. 4. Le fonti del diritto e il loro rapporto. Per fonte del diritto si intende ciò da cui trae origine la norma giuridica, cioè l’atto o il fatto idoneo ad innovare l’ordinamento giuridico. Tradizionalmente, si suole parlare di fonti di produzione e fonti di cognizione: le prime sono L’ORDINAMENTO GIURIDICO E LA NORMA 47 tutti gli atti, i fatti e i procedimenti in grado, secondo l’ordinamento giuridico, di creare le norme giuridiche, identificandosi pertanto con le fonti del diritto propriamente intese; le seconde sono gli strumenti attraverso i quali sono portate a conoscenza le fonti stesse. Esemplificando, la legge è una fonte di produzione e la Gazzetta Ufficiale è una fonte di cognizione. Nell’ambito delle fonti di produzione si distinguono le fonti-atto e le fontifatto. Le fonti-atto sono le manifestazioni di volontà normativa poste in essere dagli organi o enti abilitati alla produzione del diritto. Le fonti-fatto sono i comportamenti umani o altri fatti, sociali o naturali, rilevanti giuridicamente e considerati anch’essi idonei a produrre norme: le prime sono fonti di diritto scritto, sono cioè atti normativi nelle diverse forme in cui possono presentarsi (ad es., legge, decreto legge e decreto legislativo, legge regionale); le seconde sono tendenzialmente fonti non scritte (ad es. la consuetudine; la rivoluzione che sovverte il precedente ordinamento giuridico) ma possono concretizzarsi anche in fonti scritte, come nel caso del rinvio a fonti di altri ordinamenti giuridici (come avviene, ad es., con il recepimento del diritto comunitario nel nostro ordinamento). Non bisogna dimenticare la categoria delle c.d. fonti sulla produzione, che racchiude i procedimenti di formazione delle fonti del diritto, cioè l’individuazione dei soggetti competenti ad adottarle e le forme della loro adozione (si vedano, ad es., le “Disposizioni sulla legge in generale” preliminari al Codice Civile). Data la pluralità di fonti esistenti normalmente nell’ordinamento giuridico, è sorta la necessità di disciplinare i rapporti tra le stesse, anche al fine di risolvere gli eventuali conflitti o antinomie tra norme. Ciò avviene attraverso l’enucleazione di criteri, quali: a) il criterio cronologico, in base al quale si dà la preferenza alla norma successivamente emanata rispetto a quella precedente. Esso si applica quando le norme configgenti sono poste da fonti di pari grado; b) il criterio gerarchico, per effetto del quale la norma di rango superiore o primario prevale su quella di rango inferiore o secondario. Nel nostro ordinamento esiste infatti una gerarchia delle fonti del diritto che le colloca su diversi livelli, cosicché non è possibile – dando luogo ad annullamento o a disapplicazione – che fonti di rango inferiore producano norme in contrasto con altre norme poste da fonti di livello superiore; c) il criterio di competenza, fondato sulla diversità dell’oggetto della regolamentazione o dell’ambito territoriale di riferimento, ovvero basato sulla preferenza accordata dalla Costituzione ad una fonte piuttosto che ad un’altra per la disciplina di un determinata materia. Nell’ordinamento italiano la materia delle fonti del diritto può essere così classificata: 48 diritto costituzionale a) fonti di rango costituzionale o superprimario (i principi supremi dell’ordinamento costituzionale; la Costituzione; le leggi costituzionali e di revisione; gli statuti delle regioni ad autonomia speciale); b) fonti primarie (le norme comunitarie; le leggi ordinarie statali; il referendum abrogativo; i decreti-legge e i decreti legislativi; gli statuti delle regioni ordinarie; le leggi regionali e le leggi delle province autonome di Trento e Bolzano); c) fonti secondarie (regolamenti dello Stato e degli enti locali; gli statuti degli enti locali e degli enti minori; le ordinanze); d) usi normativi. Occorre sottolineare la differenza intercorrente fra: - fonti rinforzate cui appartengono gli atti con varianti di procedimento o forma rispetto agli atti cui appartengono. Ad esempio l’art. 132 Cost. che per la fusione o la creazione di nuove regioni prevede l’emanazione di una legge costituzionale previo parere dei Consigli regionali; - fonti atipiche cioè quelle che hanno una forza passiva o attiva diversa dal tipo loro proprio come le leggi di bilancio che non possono stabilire nuovi tributi o nuove spese. Si ricordi che l’art 23 della legge 229/2003 (c.d. legge di semplificazione) ha abrogato l’art. 7, L. 50/1999 che, ai fini della semplificazione della produzione legislativa, prevedeva i Testi Unici come strumento ricognitivo e sostitutivo. In luogo di questi ultimi attualmente si fa ricorso ai Codici che hanno la funzione di armonizzare e stabilizzare interi complessi normativi stratificatisi nel corso degli anni. 5. La Costituzione, le leggi di revisione costituzionale e le altre leggi costituzionali. La Costituzione formale è l’insieme delle regole scritte espresse da uno Stato in un determinato momento storico. Alla Costituzione formale si contrappone la Costituzione materiale, ovvero l’insieme delle regole costituzionali che effettivamente vengono applicate in un determinato Stato dal gruppo politico in quel momento al Governo. La Costituzione può essere variamente classificata: - scritta, redatta in un documento normalmente approvato in seguito ad un procedimento alquanto complesso e articolato, o non scritta o consuetudinaria formata da consuetudini consolidatesi nel tempo, cui si aggiungono disposizioni di legge o di altri atti (es. la Costituzione inglese); - ottriata concessa al popolo dal sovrano che autolimita i suoi poteri (es. lo Statuto Albertino e la Carta francese del 1814) o votata, in genere elaborata e deliberata da una assemblea rappresentativa del popolo (Assemblea costituente); L’ORDINAMENTO GIURIDICO E LA NORMA 49 - breve, se disciplina solo l’organizzazione dello Stato e le libertà fondamentali (come le Costituzioni liberali ottocentesche) o lunga, se disciplina dettagliatamente i rapporti fra gli organi dello Stato e prevede norme in materia di diritti sociali e a tutela delle autonomie e delle minoranze; - rigida, se può essere modificata solo con un procedimento costituzionale che necessita di maggioranze parlamentari qualificate (procedimento aggravato) o flessibile, se può essere modificata con una semplice legge ordinaria (es.: lo Statuto Albertino). Al vertice della scala gerarchica delle fonti accanto alla Costituzione, si trovano le leggi costituzionali. Si tratta delle leggi di revisione costituzionale, che modificano il testo della Costituzione e le altre leggi definite tali dalla Costituzione rispetto alle cui previsioni esse possono introdurre una deroga o una integrazione (come ad esempio quelle con le quali si creano nuove Regioni). Il procedimento di adozione è simile a quello ordinario ma la Costituzione ha previsto, a riguardo, una procedura aggravata. Va segnalato che alcune norme costituzionali non sono suscettibili di modificazione, nemmeno seguendo l’apposito iter normativo come, ad esempio, l’art. 139 relativo alla forma repubblicana (limite esplicito) oppure le norme relative ai dritti inviolabili dell’uomo e al principio di indivisibilità della Repubblica ex art. 5 Cost. (limite implicito). 6. Le leggi ordinarie e la riserva di legge. Come visto, secondo il criterio gerarchico delle fonti, dopo la Costituzione, le leggi costituzionali e le norme di diritto comunitario troviamo le fonti primarie, ossia le leggi ordinarie e gli atti del Governo aventi forza di legge (decreti legislativi e decreti legge). Le leggi ordinarie sono approvate dalle Camere in base ad una procedura appositamente disciplinata dagli artt. 70-74 Cost. Sono dette anche leggi formali (ossia tutti i provvedimenti legislativi approvati dal Parlamento) per contrapporle alle leggi sostanziali o materiali ossia tutti i provvedimenti legislativi emanati da qualunque autorità di rilievo costituzionale (Governo, Parlamento, Regione). In tutti i casi in cui la Costituzione o altra legge costituzionale stabilisce che una determinata materia debba necessariamente essere regolata da una fonte ordinaria, si parla di riserva di legge (legge o atto avente forza di legge, secondo la dottrina dominante), escludendo quindi la possibilità che possa essere demandata a fonti secondarie. La riserva di legge può essere: - assoluta (c.d. riserva di legge in senso stretto) quando il legislatore costituzionale impone che una determinata materia sia regolata dalla legge, non ammettendo la possibilità che alcuni aspetti possano essere regolati da 50 diritto costituzionale regolamenti governativi. Talvolta la Costituzione riserva ad una legge costituzionale una determinata materia ritenendo insufficiente anche la normale attribuzione di competenza al legislatore ordinario (c.d. riserva di legge costituzionale): come visto la creazione di nuove Regioni o la fusione di Regioni esistenti può essere disposta solo con legge costituzionale (art. 132 Cost.); - relativa (c.d. riserva della legge) che si manifesta è lasciata all’organo esecutivo la possibilità di emanare regolamenti di dettaglio (sebbene il legislatore ordinario debba definire i principi e le direttive fondamentali della materia); - rinforzata, quando la Costituzione oltre a disporre la riserva di legge (assoluta) impone particolari limiti di contenuto e di procedimento al legislatore. 7. Gli atti aventi forza di legge. Tra le fonti primarie rientrano anche i c.d. atti aventi forza di legge, cioè decreti legge e decreti legislativi di fonte governativa. Viene definito atto avente forza di legge l’atto normativo che, pur non rivestendo forma di legge in senso formale, produce gli effetti propri di una legge. I decreti legislativi o delegati sono così definiti perché adottati dal Governo, o meglio dal Consiglio dei ministri, su delega del Parlamento secondo quanto stabilito dall’art. 76 Cost. e dagli artt. 14 e 15 della L. 400/1988. La delega parlamentare è lo strumento mediante il quale le Camere non disciplinano una determinata materia direttamente ma determinano la «cornice» entro cui il Governo dovrà adottare i relativi atti. Per tale motivo la legge-delega conferita al Governo non potrà mai essere in bianco, ma possedere un contenuto che circoscrive l’ambito di emanazione dei decreti legislativi da parte del Governo. I decreti legge sono atti che, con forza di legge, vengono adottati dal Governo in casi straordinari di necessità e urgenza (ad es. in caso di calamità naturali). L’efficacia del provvedimento è immediata in quanto entra in vigore il giorno della sua pubblicazione in Gazzetta Ufficiale o il giorno successivo, ma non essendo un provvedimento definitivo seppure dotato di forza di legge, qualora non venga convertito in legge dal Parlamento entro sessanta giorni dalla sua pubblicazione, decade retroattivamente (ex tunc) venendone meno gli effetti giuridici proprio come se non fosse mai esistito. Tuttavia le Camere possono tramite una “legge di sanatoria”, regolare i rapporti giuridici che sono sorti nel periodo di vigenza del decreto non convertito, per effetto di questo. L’ORDINAMENTO GIURIDICO E LA NORMA 51 8. Il referendum abrogativo. Il referendum abrogativo è disciplinato dall’art. 75 della Costituzione. Si ricorre a questo tipo di referendum per deliberare l’abrogazione parziale o totale di una legge quando lo richiedano 500.000 elettori o cinque consigli regionali. Hanno diritto di partecipare al referendum tutti i cittadini chiamati ad eleggere la Camera dei deputati. La proposta soggetta a referendum è approvata se ha partecipato alla votazione la maggioranza degli aventi diritto, e se è raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi. Non è ammesso il referendum su leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e indulto, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali. Il meccanismo referendario è il seguente: a) fase 1 - Iniziativa: il referendum abrogativo può essere promosso, come detto, da 500.000 elettori o da 5 Consigli regionali. Nel primo caso i promotori, almeno 10, devono presentarsi, esibendo il certificato di iscrizione nelle liste elettorali, alla cancelleria della Corte di cassazione, indicando nella richiesta la legge o l’articolo di legge oggetto del referendum abrogativo sul quale si intende promuovere la raccolta delle firme. La cancelleria, redatto il verbale di richiesta, procede a darne annuncio sulla «Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana»; b) fase 2 - Raccolta delle firme: devono essere utilizzati fogli preventivamente vidimati dalle segreterie comunali o dalle cancellerie degli uffici giudiziari e devono essere indicati, su ognuno di essi, la legge o l’articolo da sottoporre a referendum e il relativo quesito. Le firme dei sottoscrittori devono essere accompagnate dalle generalità di questi e devono essere autenticate da un notaio o da un funzionario abilitato a conferire pubblica fede ai documenti. La raccolta delle firme dev’essere effettuata entro tre mesi dal momento in cui è stata presentata l’iniziativa; c) fase 3 - Deposito delle sottoscrizioni: il termine stabilito è il 30 settembre di ogni anno. Le sottoscrizioni, corredate dai certificati elettorali dei sottoscrittori vanno depositate presso l’ufficio centrale per il referendum istituito presso la Corte di cassazione; d) fase 4 - Controllo di legittimità: effettuato dall’ufficio centrale entro il termine del 31 ottobre. Tale ufficio rileva le eventuali irregolarità delle richieste assegnando un termine (entro il 20 novembre) per sanarle o per presentare memorie finalizzate a contestarne l’esistenza; scaduto tale termine (e non oltre il 15 dicembre) l’ufficio centrale si pronuncia sulla legittimità di tutte le richieste; e) fase 5 - Controllo di legittimità costituzionale: effettuato dalla Corte costituzionale, finalizzato a stabilire se l’oggetto del referendum verta su leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e di indulto, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali, materie sulle quali il referendum abrogativo non è ammesso dalla Costituzione; 52 diritto costituzionale f) fase 6 - Indizione del referendum da parte del Presidente della Repubblica su deliberazione del Consiglio dei ministri: la convocazione degli elettori generalmente viene fissata in una delle domeniche comprese tra il 15 aprile e il 15 giugno. Nel caso di scioglimento anticipato delle Camere il procedimento relativo al referendum precedentemente indetto viene posticipato al 365° giorno successivo alla data delle elezioni; g) fase 7 - Votazione e scrutinio da parte del popolo: la proposta si intende approvata e, quindi, la legge o l’articolo abrogato, se viene riportata la maggioranza assoluta dei voti validamente espressi; si richiede che abbiano partecipato al voto almeno la metà degli aventi diritto; h) fase 8 - Proclamazione dei risultati da parte dell’ufficio centrale per il referendum: se il risultato è favorevole all’abrogazione, il presidente della Repubblica, con proprio decreto, dichiara l’abrogazione della legge, che ha effetto dal giorno successivo a quello della pubblicazione del decreto sulla «Gazzetta Ufficiale». Per evitare pericolosi vuoti legislativi può disporre, su proposta del ministro interessato, che l’abrogazione non avvenga immediatamente, ma che venga posticipata fino a un termine non superiore ai 120 giorni dalla data di pubblicazione: ciò per consentire al Parlamento di sostituire le norme abrogate. Se il risultato è contrario all’abrogazione della legge, ne viene data notizia sulla «Gazzetta Ufficiale» e non può proporsi nuovo referendum prima che siano trascorsi cinque anni. 9. Le fonti regionali. Rientrano in tale categoria, gli statuti delle regioni ordinarie e speciali, le leggi regionali che, a differenza delle leggi statali, hanno un ambito di applicazione limitato al territorio regionale, i regolamenti regionali. In particolare: 1) gli Statuti delle Regioni ordinarie (complesso di norme che disciplina l’organizzazione e il funzionamento dell’ente) sono vere e proprie leggi regionali tenute al rispetto della Costituzione che vengono approvate con un procedimento speciale rispetto a quello delle altre leggi regionali e quindi collocate nella gerarchia delle fonti ad un livello superiore in quanto non possono essere modificate o abrogate da leggi non approvate con quel medesimo procedimento; 2) gli Statuti delle Regioni speciali (Sicilia, Sardegna, Friuli Venezia Giulia, Valle d’Aosta, Trentino Alto Adige) sono stati approvati con legge costituzionale e, dunque, ancorché qualificati con terminologia che li colloca gerarchicamente al pari delle leggi ordinarie, detengono il rango di legge costituzionale; 3) le Leggi regionali vengono adottate dalle Regioni come espressione della potestà legislativa ad esse attribuita dalla Costituzione nel rispetto del dettato costituzionale (art. 117 Cost. nel testo modificato dalla L. cost. 3/2001) e delle L’ORDINAMENTO GIURIDICO E LA NORMA 53 norme di diritto internazionale o comunitario, in una serie di materie che non sono riservate esclusivamente allo Stato; la potestà legislativa regionale può disciplinare integralmente la materia oggetto dell’intervento (potestà residuale o esclusiva) escludendo qualunque intervento dello Stato, oppure limitarsi a fissare le norme di dettaglio nell’ambito di principi fondamentali fissati o desumibili da leggi statali (potestà ripartita o concorrente). In base all’art. 1, comma 2, L. 131 del 2003 (c.d. Legge La Loggia) le disposizioni delle legge statali continuano ad operare nei settori riservati alle Regioni, fino a che quest’ultime non abbaino legiferato ex se in materia. Tale principio opera anche nelle materie attribuite alla competenza dello Stato, dove opereranno le disposizioni regionali fino a che lo Stato non provvederà con proprie norme; 4) i Regolamenti regionali operano, in base a quanto previsto dall’art. 117 comma 6 Cost., in quelle materie affidate alla legislazione regionale e in quelle in cui il legislatore ha operato una delega in questo senso (v. infra). 10. Le fonti secondarie. Come detto il nostro ordinamento giuridico è contraddistinto dal principio di gerarchia delle fonti, in base al quale una fonte di rango inferiore non può derogare ad una norma di rango superiore. All’interno di tale ordine gerarchico le fonti secondarie costituiscono il mezzo con il quale si estrinseca il potere normativo della pubblica amministrazione sia centrale (Governo, Ministri) che periferica (Enti locali) che con il loro tramite disciplina gli specifici settori assegnati alla sua competenza. Tra le fonti secondarie si annoverano i regolamenti, le ordinanze e gli statuti. I regolamenti sono gli atti emanati dagli organi del potere esecutivo in grado di innovare l’ordinamento giuridico, essendo dotati dei caratteri della generalità e dell’astrattezza. Essi soddisfano l’esigenza di porre regole di dettaglio, spesso a carattere tecnico, destinate a dare esecuzione o a puntualizzare le regole generali di rango legislativo. Si distinguono pertanto dagli atti amministrativi generali, che - caratterizzati anch’essi dalla generalità dei destinatari ma dalla determinabilità a posteriori degli stessi (ad es., bando di gara o di concorso) - sono volti, in quanto aventi natura di provvedimento amministrativo e non di fonte del diritto, alla cura concreta degli interessi pubblici coinvolti. La questione della loro differenziazione sul piano concreto assume un aspetto particolarmente importante dal momento che, dalla qualificazione in termini di atto generale o di regolamento, discendono differenze notevoli in punto di disciplina (così in tema di principi applicabili; di ammissibilità della loro disapplicazione o annullamento da parte del giudice amministrativo; di applicabilità delle garanzie previste dalla L. n. 241 del 1990; e ancora, dal punto di vista pe- 54 diritto costituzionale nalistico, con riferimento alla possibilità di integrazione del reato di abuso d’ufficio, che, ai sensi dell’art. 323 c.p., richiede la violazione “di leggi e di regolamenti”). Il fondamento della potestà regolamentare è da rinvenire nella legge, occorrendo un’espressa attribuzione legislativa, ad un determinato organo amministrativo, della competenza ad adottare regolamenti. La principale disposizione al riguardo, che funge da clausola generale, è l’art. 17 della L. n. 400 del 1988, la legge sulla Presidenza del Consiglio. Tale norma è di aiuto anche al fine della classificazione dei regolamenti, operazione peraltro non agevole data l’eterogeneità della categoria. Sulla sua scorta distinguiamo: a) regolamenti di esecuzione, di leggi, decreti legislativi e regolamenti comunitari, volti alla puntualizzazione di una normativa preesistente attraverso norme di dettaglio (ad es., regolamento di esecuzione del Codice della strada); b) regolamenti attuativi e integrativi, a completamento di leggi e decreti legislativi che prevedono disposizioni di principio; c) regolamenti di organizzazione che disciplinano l’organizzazione ed il funzionamento delle P.A. sulla base di norme di legge (art. 97 Cost.: la legge si limita a stabilire gli aspetti essenziali dell’organizzazione dei pubblici uffici, che verranno poi nel dettaglio disciplinati da regolamenti governativi; allo stesso modo, il T.U. enti locali determina gli ambiti entro i quali intervengono i regolamenti locali per la disciplina dell’organizzazione degli enti territoriali); d) regolamenti indipendenti, che intervengono in materie non disciplinate dalla legge e non oggetto di riserva di legge; essi pongono problemi di compatibilità col principio di legalità; e) regolamenti di delegificazione, previsti dal comma 2 dell’art. 17 L. n. 400 del 1988: tale disposizione contempla la facoltà, in capo al legislatore ordinario, di autorizzare il Governo ad emanare regolamenti volti alla disciplina di materie non coperte da riserva assoluta di legge. In questo caso alla legge spetta dettare “le norme generali regolatrici della materia” e disporre l’abrogazione delle norme vigenti al momento dell’entrata in vigore dei regolamenti stessi. Attraverso di essi viene quindi operata la delegificazione della materia, da quel momento in poi sottratta alla competenza del legislatore ed attribuita a quella del Governo. È quel che si è verificato, da parte delle c.d. leggi annuali di semplificazione ex art. 20, L. 59/1997 (c.d. legge Bassanini), con riferimento alla materia dei procedimenti amministrativi: la disciplina di alcuni di essi, a fini di semplificazione, è stata attribuita a regolamenti che sostituiscono così le norme di legge in precedenza in vigore. Vi è da dire tuttavia che il fenomeno della delegificazione ha subito una notevole battuta di arresto a seguito della riforma del Titolo V della Costituzione che assegna allo Stato la potestà regolamentare nelle sole materie di sua competenza esclusiva, escludendo quindi dall’area della delegificazione le materie di competenza concorrente ed esclusiva delle regioni. Si tratta di un categoria di L’ORDINAMENTO GIURIDICO E LA NORMA 55 regolamenti c.d. delegati o liberi, di creazione dottrinale, la cui definizione è controversa: hanno natura eccezionale, perché esorbitano dagli ordinari limiti della potestà regolamentare, disciplinando materie in precedenza oggetto di regolamentazione legislativa. Lo strumento del regolamento può essere utilizzato anche per il recepimento di direttive comunitarie ai sensi dell’art. 11, L. n. 11 del 2005. Con riferimento alla titolarità della potestà regolamentare, possono aversi regolamenti: - governativi, emanati con decreto del Presidente della Repubblica, previa delibera del Consiglio dei Ministri e parere obbligatorio ma non vincolante del Consiglio di Stato (si tratta di regolamenti di esecuzione); - ministeriali ed interministeriali, adottati con decreto ministeriale. Allo stesso livello si pongono i regolamenti del Presidente del Consiglio; - di altre autorità statali, quali, ad esempio, il Prefetto; - non statali: di competenza delle Regioni, Province e Comuni nelle materie di loro spettanza secondo la Costituzione; - di altri enti pubblici, sulla base di espressa attribuzione di potestà regolamentare (ad es. regolamenti dell’Università). I regolamenti, al pari delle altre fonti secondarie, non possono contrastare o derogare: - con la Costituzione e con i principi ivi contenuti (si veda in tal senso il nuovo art 117 comma 1 Cost.); - con le fonti comunitarie; - con le leggi ordinarie, salva l’autorizzazione a delegificare la materia. I regolamenti emanati da autorità gerarchicamente inferiori non possono, invece, contrastare con quelli emanati da autorità superiori. Il novellato art. 117 Cost. comma 6, così come attuato dalla L. n. 131 del 2003 (c.d. legge La Loggia), ha comportato il riassetto della competenza regolamentare statale a favore di quella regionale: ed infatti, il potere regolamentare viene attribuito ora allo Stato nelle materie di sua competenza esclusiva, mentre nelle materie di competenza concorrente o residuale delle regioni è assegnato solo a queste ultime. In tal modo, il potere regolamentare statale risulta limitato al fine di un reale adeguamento delle tecniche di legislazione alle esigenze di autonomia e decentramento richieste dall’art. 5 Cost. (sul punto, v. Corte cost. n. 303 del 2003). L’art. 17-bis L. 400/1988 (aggiunto dall’art. 5. L. 18 giugno 2009, n. 69), disciplina i c.d. testi unici compilativi e si inserisce nella più generale opera di chiarificazione e riordino normativo avviata dal legislatore. Come è noto, infatti, il testo unico, che non sia animato da una delega normativa, raccoglie e coordina disposizioni originariamente comprese in atti diversi, per semplificare il quadro normativo. Il loro scopo, quindi, non è innovare la disciplina di una materia, sebbene, nell’opera di riordino, potrebbe emergere l’opportunità o la necessità di compiere alcune innovazioni. 56 diritto costituzionale Dal punto di vista formale i testi unici si distinguono in base alla fonte con cui vengono emanati. Quindi ci possono essere testi unici con valore costituzionale, legislativo, regolamentare. Dal punto di vista materiale la dottrina è solita distinguere i testi unici in base al loro carattere innovativo o non innovativo (compilativo). Il testo unico, pertanto, solitamente di tipo compilativo, ha il pregio di accomunare in un solo corpo testuale tutta la regolamentazione su una materia, evitando così al destinatario la possibilità di incorrere in errori di carattere ermeneutico dovuti alla pluralità di norme sparse per il sistema legislativo. I testi unici compilativi che contengono fonti di rango primario (e, quindi, non innovativi) vengono approvati con decreto del Presidente della Repubblica mentre i testi unici innovativi vengono emanati attraverso decreto legislativo. A riprova di ciò il comma 2 del citato art. 17-bis prevede espressamente l’emanazione del Testo unico tramite decreto Presidenziale. Il legislatore ha, poi, indicato espressamente i criteri cui attenersi nell’adozione dei predetti testi unici compilativi, probabilmente sempre con l’intento di fornire chiarezza anche agli operatori ed evitare l’insorgere di probabili querelle interpretative, soprattutto in ordine alla conformità dei testi unici compilativi (subordinati al testo legislativo con cui sono autorizzati) con le fonti anteriori che, disponendo di una efficacia primaria, non possono essere in questo modo sostituite dal Governo (con la conseguenza che si alimentano e non si riducono, le incertezze). Il terzo comma della norma in commento, consente, inoltre, di demandare la redazione degli schemi dei testi unici al Consiglio di Stato, che potrà anche avvalersi di esperti in discipline non giuridiche ma in un numero non superiore a cinque, e, comunque, senza alcun onere aggiuntivo a carico del bilancio dello Stato. Lo statuto è una norma che regolamenta l’organizzazione e l’attività di un ente. La sua origine è antica, risalente all’età comunale (XII-XIII sec.), allorquando enti locali minori, i Comuni, si autodisciplinavano mediante statuto, una regola costituita volta a dotare l’ente stesso di uno stabile assetto organizzativo. Anche oggi le disposizioni statutarie sono espressione della autonoma potestà normativa dell’ente cui si riferiscono, essendo rari i casi di statuti posti dall’esterno (c.d. etero-statuti, ad es. gli statuti delle Regioni ad autonomia speciale, adottati con legge costituzionale). Essi sono quindi di regola deliberati dall’ente stesso e poi approvati da un’autorità superiore. Si distinguono: a) gli statuti delle Regioni ordinarie (art. 123 Cost.), statuti autonomi perché deliberati dal Consiglio regionale attraverso una legge regionale. Oggi, a seguito delle riforme costituzionali del 1999 e 2001, non è più necessaria la loro approvazione con legge del Parlamento e la legge regionale di adozione non richiede più il visto del Commissario del governo. In linea con il carattere tipico dello statuto, esso deve contenere le indicazioni circa la forma di governo della regione e i principi fondamentali di organizzazione e funziona- L’ORDINAMENTO GIURIDICO E LA NORMA 57 mento. Si può dire pertanto che esso rappresenti, in un certo qual modo, la Costituzione della Regione; b) gli statuti delle Regioni ad autonomia speciale, che sono etero-statuti essendo adottati con legge costituzionale, quindi deliberati dal Parlamento e poi “imposti” alle Regioni; c) gli statuti comunali e provinciali, previsti a livello di legge ordinaria dall’art. 3 comma 4 del Testo unico degli enti locali (D.Lgs. n. 267 del 2000) e dall’art. 114 comma 1 Cost., che qualifica, appunto, Comuni e Province come “enti autonomi con propri statuti”. Il procedimento per la loro adozione ricorda quello per la deliberazione e modificazione delle leggi costituzionali. Essi rivestono un ruolo molto importante nell’ambito dell’ordinamento degli enti locali; d) gli statuti degli enti pubblici non territoriali, come ad esempio, quelli delle Università o delle Camere di Commercio. A volte tale potere statutario è ridotto perchè è la legge stessa a dettare le linee di fondo dell’organizzazione dell’ente oppure perchè lo statuto deve seguire lo schema di uno statuto-tipo adottato dall’esterno. Gli statuti degli enti pubblici e le loro modificazioni devono di regola essere approvati da autorità o organi superiori, come ad esempio i Ministri. La loro posizione nella gerarchia delle fonti è controversa in dottrina: secondo la tesi prevalente, si collocano tra le fonti secondarie, pur se dotate di un grado maggiore di autonomia rispetto alle altre, dato il fondamento costituzionale del relativo potere; secondo altri, si tratterebbe di fonte subprimaria, dando luogo ad un rapporto, tra essi e la legge, non già di gerarchia, bensì di competenza. Secondo altra opinione ancora, gli statuti andrebbero considerati, sulla base del loro fondamento costituzionale, fonti primarie, seppur atipiche, non essendo stato per essi previsto il controllo di costituzionalità ai sensi dell’art. 134 Cost. Le ordinanze sono atti che impongono obblighi o divieti, quindi ordini in generale. Tra di esse rivestono un rilievo particolare le c.d. ordinanze contingibili ed urgenti, espressione del potere d’urgenza attribuito dalla legge a determinati organi dello Stato - in occasione del verificarsi di eventi imprevedibili ed eccezionali (calamità naturali, situazioni di pericolo per l’ordine pubblico o la sanità e l’igiene pubblica) - potere extra ordinem che consente di derogare alle disposizioni di legge ordinaria, salvo il rispetto della Costituzione e dei principi generali dell’ordinamento. Sono adottate laddove non si possa far fronte alla situazione straordinaria con i normali strumenti posti a disposizione dal legislatore. Le ordinanze di necessità e urgenza costituiscono una categoria assai variegata: il dato comune e caratterizzante è rappresentato dal fatto di non avere esse un contenuto predeterminato ma atipico, pur essendo invece previamente tipizzati ex lege i presupposti e lo scopo della loro adozione, sulla scorta del principio di legalità che deve ispirare in toto l’azione amministrati- 58 diritto costituzionale va. In ciò si differenziano rispetto ai provvedimenti amministrativi d’urgenza, i quali sono atti tipici anche nel contenuto. È evidente quindi come il ricorso ad esse costituisca una extrema ratio, comportando una deroga al principio di necessaria tipicità degli atti amministrativi. La loro durata è commisurata a quella dell’evento che intendono regolare. Si discute in ordine alla natura giuridica delle ordinanze in parola: secondo una prima tesi, esse sono da annoverare tra le fonti del diritto, appunto secondarie, dato il loro carattere generale e astratto, quindi normativo. Secondo altri si tratterebbe, al contrario, di veri e propri atti amministrativi, dal contenuto concreto, le cui statuizioni temporanee incidono direttamente sulla sfera giuridica dei destinatari. La tesi prevalente assegna alle ordinanze di necessità ed urgenza una natura mista, in parte normativa e in parte amministrativa. Più precisamente, esse hanno di regola un carattere amministrativo e provvedimentale, essendo dirette a risolvere un problema ben individuato e circoscritto nel tempo; eccezionalmente, presentano rango normativo, qualora dettino prescrizioni che, seppur temporanee, siano dotate del carattere dell’innovatività tipico delle fonti del diritto. Secondo questa interpretazione, pertanto, occorre verificare caso per caso, analizzando le singole fattispecie concrete, per stabilire quando si sia in presenza di una fonte del diritto o di un atto amministrativo. 11. Le consuetudini. La consuetudine rappresenta un tipico esempio di fonte-fatto non scritta. Essa consiste nella ripetizione costante nel tempo di una data condotta da parte della generalità dei consociati (diuturnitas), accompagnata dalla consapevolezza che la sua osservanza sia prescritta come obbligo giuridico (opinio iuris ac necessitatis). Essa è annoverata tra le fonti del diritto dall’art. 1 delle Disposizioni preliminari al Codice Civile, ultima nella gerarchia delle stesse. Si individuano tre tipologie di consuetudini, sulla base del rapporto con il diritto scritto: - consuetudine praeter legem, che riguarda le materie non regolate dalla legge; - consuetudine secundum legem, nei soli casi in cui ad essa fanno rinvio norme di legge o di regolamento, ai sensi dell’art. 8 disp. prel. c.c.; - consuetudine contra legem, inammissibile dal momento che l’abrogazione di una legge non può avvenire che attraverso altre leggi posteriori ex art. 15 disp. prel. c.c. Parimenti inammissibile nel nostro ordinamento giuridico è la c.d. desuetudine, cioè l’abrogazione di una legge per mezzo della sua mancata applicazione. Tale fonte ha una certa rilevanza nell’ambito del diritto costituzionale (la c.d. consuetudine costituzionale, cioè la consuetudine degli organi costituzionali) e in quello internazionale (si pensi al diritto internazionale consuetu- L’ORDINAMENTO GIURIDICO E LA NORMA 59 dinario di cui all’art. 10 Cost.: “l’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme di diritto internazionale generalmente riconosciute”). Nel diritto amministrativo rileva invece la c.d. prassi amministrativa che, a differenza della consuetudine, non costituisce fonte del diritto perché si concreta nella ripetizione generale e uniforme di un determinato comportamento ma senza la convinzione della sua giuridica necessità. Essa non è dotata quindi né del carattere della innovatività né di quello della vincolatività, potendo essere seguita dalla P.A. nel suo agire discrezionale, così come essere disattesa. D’altro canto essa conserva una propria rilevanza giuridica ed è idonea ad ingenerare legittimi affidamenti nei terzi circa la sua osservanza da parte dell’amministrazione. Infatti la P.A. può non osservare una prassi seguita da tempo dai propri uffici soltanto adducendo un’espressa motivazione al riguardo, pena il vizio di eccesso di potere della scelta discrezionale. A titolo esemplificativo, si ritiene che escluda la configurabilità della colpa grave, ai fini della responsabilità amministrativa del funzionario pubblico, l’osservanza da parte sua di una prassi amministrativa diffusa, salvo che ricorra un disposto normativo - di segno contrario alla prassi - assolutamente chiaro e inequivoco. Analogamente, integra errore incolpevole, e quindi giustificato, del cittadino, in grado di impedire l’irrogazione di sanzioni, l’attenersi a prassi amministrative consolidate ed esplicite della P.A., ad es. in materia tributaria. 12. Le fonti sovranazionali. Nel corso degli ultimi anni sempre maggior importanza hanno assunto e vanno assumendo le fonti comunitarie attraverso il loro recepimento - nelle forme dell’adattamento automatico o rinvio ex art. 10 Cost. o del procedimento ordinario ex L. n. 11 del 2005 - all’interno dell’ordinamento giuridico nazionale. In particolare, gli istituti ed i principi del diritto interno risultano oggi notevolmente influenzati e modificati dal diritto europeo, tanto da conferire ad esso un nuovo volto. I Trattati istitutivi e gli atti normativi provenienti dagli organi comunitari, intervenendo in amplissimi settori del diritto, arricchiscono il tessuto normativo interno di nuove esigenze da soddisfare e aspetti di cui tenere conto. Il principio del primato del diritto comunitario sul diritto nazionale ha trovato ingresso a livello costituzionale con la modifica del Titolo V della Parte II della Costituzione (L. cost. n. 3 del 2001): il riformato art. 117, al comma 1, sancisce l’obbligo del rispetto, nell’esercizio della potestà legislativa da parte dello Stato e delle Regioni, oltre che della Costituzione, anche dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli accordi internazionali. Tra le singole fonti comunitarie, ricordiamo: a) i regolamenti dotati dei caratteri della generalità ed astrattezza, essi attribuiscono diritti e impongono obblighi ai singoli Stati, ai loro organi e ai 60 diritto costituzionale privati, essendo obbligatori nel loro intero contenuto e direttamente applicabili in ciascun Stato membro, senza necessità di alcun atto di recepimento; b) le direttive, al contrario, non sono direttamente applicabili e vincolano il singolo Paese solo relativamente al risultato da raggiungere, lasciandolo libero circa le modalità di perseguimento, cioè circa le forme ed i mezzi di adeguamento entro il periodo di tempo fissato nelle stesse. Vi è da dire, però, che sempre più frequentemente - tanto da aver dato vita ad una vera e propria norma consuetudinaria in tal senso - le direttive assumono un carattere tanto particolareggiato da limitare anche fortemente la discrezionalità dello Stato destinatario. Si tratta delle c.d. direttive dettagliate o autoesecutive (c.d. self-executing), le quali trovano diretta applicazione nell’ordinamento interno, senza necessità di un atto di recepimento, qualora siano dotate di un contenuto sufficientemente chiaro e preciso e contengano obblighi incondizionati, cioè tali da non richiedere l’emanazione di ulteriori atti. Proprio a causa del loro contenuto puntuale e completo, la Corte di Giustizia ha ricollegato loro la suddetta efficacia diretta in caso di mancato recepimento nel termine stabilito. Al fine di evitare che il singolo Stato membro possa avvalersi della propria inadempienza per non riconoscere ai privati i diritti che derivano dalla direttiva non attuata, si è attribuita loro la capacità di produrre effetti diretti in senso verticale, cioè nei rapporti tra i singoli e l’ordinamento nel suo complesso. Ciò comporta la diretta azionabilità in giudizio dei diritti di derivazione comunitaria. Viceversa, nei rapporti c.d. orizzontali, quindi di equiordinazione, tra privati, tale efficacia diretta della direttiva autoesecutiva inattuata non è riconosciuta, potendo il privato far valere soltanto la responsabilità dello Stato legislatore per inadempimento; c) le decisioni che sono atti aventi portata concreta e si indirizzano a destinatari determinati, soggetti singoli - persone fisiche o giuridiche - oppure Stati membri. Essi sono gli atti tipici attraverso i quali le istituzioni comunitarie disciplinano i casi individuali; d) le raccomandazioni e i pareri privi di efficacia precettiva, si sostanziano le prime in esortazioni o moniti, indicazioni, rivolte ai singoli Paesi membri, affinché assumano un dato atteggiamento oppure uniformino la propria legislazione alle regole comunitarie; i secondi in opinioni su una data questione. Secondo una non trascurabile giurisprudenza della Corte Costituzionale, costituiscono fonti di diritto direttamente applicabile anche le pronunce della Corte di Giustizia.