02/07/1995 - trascrizione - Opera Omnia di Giacomo B. Contri

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GIORNATA CONCLUSIVA
2 Luglio 1995
“DA VENT’ANNI”
DA VENT’ANNI
GIACOMO B. CONTRI
La prima domenica di luglio, ormai da 6 anni, è dedicata all’incontro di un gruppo della Scuola per
alcune parole ultimative, consuntive, dell’anno appena trascorso e per iniziare a concepire i passi che
potranno essere intrapresi nel successivo anno di lavoro.
Questo è il primo anno in cui siamo più numerosi. Il compito è quello di provare a disegnare un nucleo,
anche secondo la vecchia dottrina dell’atomo, di quello che sarà l’anno venturo, lasciando implicito che
questo disegno è stato preparato dai passi dell’anno appena conclusosi. Io li considero passi inattesi anche se
ritengo che sia stato anche più originale l’anno precedente ancora (1993/94), quando leggevamo e
commentavamo l’Edipo Re o il Re Lear o il primo capitolo del secondo volume del Don Chisciotte, che ci è
servito per la giornata di incontro con i medici; era importantissimo poi — e ognuno individualmente coglie
in modo diverso la misura dell’importanza delle cose che stiamo dicendo — il compiere l’atto del qualificare
malati Re Lear piuttosto che Cordelia, o Edipo e qualificare sano Don Chisciotte, l’introduzione di quell’atto
letterario che è stato il Gregorius di Hartman.
Abbiamo sempre detto che il proprio della nostra scuola — fra un istante lo riprenderò a ripartire
dalla parola Studium — e l’unità dei nostri concetti, il trattarsi di un unico concetto allorché noi parliamo di
diritto, di morale, di psicologia e di filosofia e di psicopatologia. In una lezione alla Facoltà di Psichiatria a
Milano, qualche settimana fa, facevo osservare che uno dei nodi per caratterizzare la nostra operazione è
l’unità di cattedra di filosofia e psichiatria — lì si parlava della dottrina dell’anima — ed è ciò che ci
consente di dire che oggi come oggi non esiste nessuna cattedra di filosofia e nessuna cattedra di psichiatria e
nessuna cattedra di psicologia, perché la loro distinzione separa quello che è un concetto unico: l’unità del
concetto di psiche, e quant’altro, che perseguiamo. Esisterà la cattedra di psicologia, esisterà la cattedra di
filosofia, esisterà università il giorno in cui si tratterà di una sola cattedra.
E’ a questo punto che vi comunico il titolo finora approntato per il prossimo anno: inizia con la
parola università. Ricordo che la parola studium da noi scelta — e che si chiama Cartello perché si
riuniscono in un cartello unico ditte distinte in un unico studium — siamo andati a pescarla negli inizi del
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Testo non rivisto dall’Autore
STUDIUM CARTELLO 1994-1995
nostro millennio: il primo abbozzo di università europea fu quella bolognese che si chiamava Studium e
riuniva l’insegnamento della filosofia, della medicina e del diritto. Il titolo del prossimo anno sarà:
università-imputabilità-salute-corpo
In qualche modo queste parole corrispondono, si sovrappongono a quel nucleo che era già stato
disegnato con i tre anelli che hanno nel loro punto di incontro una zona intermedia che è il corpo: in alto
c’era il pensiero o Soggetto, a sinistra la città e a destra la lingua.
A una domanda di Cavalleri postami l’altra sera io rispondevo che questa è una serie ferma: sono i
quattro capitoli di quella ricapitolazione che ci proponiamo.
L’università, quella universitas che semplicemente iniziamo a balbettare — e per il mondo non si balbetta
neanche, e faccio apologia di balbuzie e sono felice di essere stato in epoche precedenti della mia vita un
balbuziente; e dato che un sintomo è una difesa, guarire almeno un po’ vuol dire riprendere libertà di difesa,
mentre la patologia significa soltanto il fatto che le difese sono diventate coatte e non più realistiche: mentre
il primo giorno che ciascuno di noi ha incominciato a difendersi elaborando un sintomo, fino a quel
momento si trattava di libera difesa; successivamente, ossia la difesa patologica, è quella che passa
all’eccesso di difesa, alla dismisura nella difesa, alla mancanza di misura come difesa: diventa quella difesa
che nata per adeguatamente difendersi dall’insulto patogeno o dall’insulto puro e semplice, successivamente
diventerà nemica della guarigione. La teoria pratica che perseguiamo è quella che fra i suoi saperi ha questo
sapere. Diciamo sempre che una volta instaurata non la malattia, ma la patologia, innanzitutto la nevrosi, il
desiderio di guarire cessa di esistere. Dunque, affinché si dia desiderio di guarigione, questo desiderio dovrà
essere una nuova costituzione, proprio come si dice “la Costituzione Italiana”. Ed è per questo che
insistiamo sempre che noi non parliamo di formazione, perché non esiste formazione ma esiste solo riforma.
Non esiste più pensiero se non a partire da una foss’anche locale, parziale, guarigione. Impensabile e anzi
contro-pensato da Cartesio a proposito del pensiero. Si può pensare solo a partire dal guarire: ecco perché è
compito di ognuno l’individuare i punti di un qualsivoglia proprio guarire. A proposito dell’ergo cartesiano,
si potrebbe dire: guarisco, dunque penso.
Il perverso è il vero e perfetto idiot savant, perché il pensiero da esso coltivato, e la pseudo-università da esso
coltivata, è quel pensiero che parte dalla denuncia del pensiero e di un preciso pensiero
La giornata di oggi ha anch’essa un titolo: Da 20 anni. Che cosa è accaduto da 20 anni? Da 20 anni,
più o meno esatti, e non siamo solo noi ad avere notato questo terminus ad quo, a partire dal quale
quest’anno, anzi da quanto siamo nati come Scuola, riprendiamo a notare che c’è un termine temporale da
cui si parte o riparte, non nostro, ma della storia umana, del nostro pianeta, e che data da 20 anni ed è una
datazione testimoniata ufficialmente, intenzionalmente da quella forma unica nella storia di affermazione
mondiale di un partito della cultura perversa che è il Movimento Gay, i quali dicono di aver cominciato circa
nel 1975.
Noi non siamo nel post-comunismo, nel post-muro di Berlino, nel post-1968, post-Concilio, ma neanche nel
post-Basaglia: tutto questo è già retrò. Noi siamo in un dopo di cui c’è l’inizio all’incirca 20 anni fa e che è
iniziato e non possiamo affatto dire quando finirà e neanche se finirà: è l’epoca in cui si è affermato quello
che Kierkegaard chiama il vangelo della sofferenza.
Per noi dire “il ventennio passato” — questo è il mio suggerimento — è servirsi dell’espressione il
Ventennio, proprio come quando ero ragazzo dire il Ventennio significava il ventennio fascista. Ci sono
voluti 20 anni perché a livello mondiale i movimenti politici, culturali, nel cinema, nella letteratura, nella
storia della filosofia, si è affermato il vangelo della sofferenza, il punto di vista perverso.
Per caratterizzarne solo un lato il punto di vista perverso è definibile come quello che rende istituzionale il
togliere dall’uomo l’imputabilità. Voi sapete che la nostra concezione è quella della imputabilità, fino alla
frase slogan anche gli schizofrenici vanno all’inferno.
Il tanto lodato Kierkegaard — e specialmente lodato da tanti cattolici quando io ero ragazzo — è lui
il manifesto del Vangelo della sofferenza. Il breviario di Kierkegaard può essere oggi il “libretto nero” del
movimento della perversione — oggi si chiamano Gay — allo stesso modo che in passato avevamo il libretto
rosso del Presidente Mao. Non solo come libretto pubblico, ma benissimo anche come livre de chevet, il
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libro che tengo sul comodino e di cui leggo due pagine prima di addormentarmi; per questo è preferibile, se
si ha un livre de chevet, L’essenza del cristianesimo di Feuerbach, l’eccellente ateismo di Feuerbach 1.
Mi fermo un momento su Kierkegaard. Mi sono accorto ieri che un lavoro che sto facendo su Kierkegaard
poteva servire questa mattina e sono stato incoraggiato a parlarne un momento da una conversazione con
Raffaella Colombo che confermava che era una scelta abbastanza buona. Non è un caso che per Kierkegaard
il primo eroe è Don Giovanni, questo catastrofico essere, liber-tardolibertinismo, a pochi anni di distanza ha
detto e scritto ben più e oltre Salgari e ancora un po’ lo fanno santo.
Vi leggo solo una frase importantissima riguardo alla donna, autentico manifesto della perversione:
«L’essere della donna — e poi qui sente subito il bisogno di aprire un inciso — la parola esistenza direbbe
troppo perché essa non ha vita propria — il vecchio adagio di Lacan la donna non esiste, formula della
perversione, non è solo desunta dalla frase di Kierkegaard, ma è la frase di Kierkegaard: la donna non esiste.
Dire che la donna non esiste e riprendendo la nostra formula fondamentale, il rapporto S-A, la donna non
esiste, essendo che la donna e l’uomo sono generati per quella distinzione di posti, dire la donna non esiste è
dire che non esiste la distinzione soggetto-altro. Segnate S-A, le due frecce γ e δ, sulla prima γ scriviamo
pensiero e su δ scriviamo volontà.
L’annullamento della distinzione di posti è da Kierkegaard applicato con un solo gesto a due
applicazioni: uno alla donna e poi a Cristo. Avevo annotato una frase di M. Delia Contri “la perversione è
la secolarizzazione del corpo morto e sofferente di Cristo”, che ho annotato vicino a un altro mio appunto:
“la perversione è il discorso dell’amore senza i sessi”; se voi avete presente i vari enunciati del Movimento
Gay lo vedrete: è scritto in tutti i risvolti, in tutti i manifesti gay.
Lo stesso annullamento della differenza di posti, il che significa della differenza di competenza della
distribuzione delle competenze fra Soggetto e Altro in quanto comportante la ripartizione nell’uno del
pensiero e nell’altro della volontà, questo annullamento è operato da Kierkegaard su Cristo stesso. Nel
Breviario Kierkegaard si dà un compito e dice: «Il compito della vita è quello di riformulare il concetto di
Cristo». Ritengo specialmente importante questo punto perché per l’affermazione nel mondo come cultura
— ricordate che Freud è stato l’unico critico della cultura che sia mai esistito — della perversione come
cultura, dunque non si tratta più dei feticismi personali di qualcuno, occorre ed occorreva la secolarizzazione
ovvero la perversione del cristianesimo. La perversione del cristianesimo è da me asserita con il passaggio
obbligato all’affermazione della perversione come cultura.
Kierkegaard è il luteranesimo dal volto umano. Come Lutero — con riferimento al problema della certezza
della salvezza — Kierkegaard vuole un rapporto da singolo a singolo, da Altro a Altro, da caballero a
caballero, ambedue con il cappello in testa, da pari a pari, da pensiero a pensiero, da volontà a volontà, non
come nella nostra legge da pensiero a volontà. E’ questo il solo significato del sola fide e di Lutero e di
Kierkegaard: siamo due Io, siamo Io e tu, pensiero a pensiero, volontà a volontà, siamo due io senza ragione.
Ecco perché Kierkegaard continua a parlare dello “scandalo”, dell’irrazionalità, della fede come salto, della
fede come opzione, della fede come scelta, che ritroveremo in tutto il lessico perverso Gay il quale dice “il
proprio sesso uno se lo sceglie” o se se lo ritrova in quanto già dato perché si trova ad essere impostato
omosessualmente si tratta di scegliere per il dato.
Siamo due io senza ragione, cioè senza da parte dell’uno l’elaborazione razionale della ragionevolezza
dell’assenso alla volontà dell’altro. Dicendolo in un altro modo: non c’è pace fra te e me, c’è solo mettersi
d’accordo. Io mi metto d’accordo con te nel sola fide.
Ci sono voluti alcuni secoli di decantazione del A tu per tu — e fin da ragazzo quando lessi la storia di Bube,
non fui affatto contento, non mi piacque — sono bastati alcuni secoli di decantazione dell’ a tu per tu, da
Altro a Altro, per arrivare alla perversione che è implicita a questo a tu per tu, come l’ultimo risultato
dell’iniziale rigetto dell’avere una regola, una ratio propria di soggezione all’Altro. In questo caso, all’Altro,
Cristo nel caso di Kierkegaard, come in ogni caso un certo, particolare, singolare Altro, foss’anche il più alto
di tutti gli Altri, o l’unico Altro degno della considerazione.
Se c’è qualcosa di cui ho cominciato a sospettare presto sono i toni della modestia nel discorso. E’ ciò che
aveva già fatto Lutero a proposito della certezza: Lutero priva, sottrae all’Altro, ancora Cristo, il potere di
avere un potere certificativo proprio. Lutero dice: la questione della certezza la posso risolvere soltanto io,
tu sei privo di potere certificativo intorno a ciò che stai asserendo di te. Per avocare a sé tutto il potere
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G.B.Contri, “Perché Feuerbach aveva ragione”, pubblicato sul mensile “30 Giorni”, …
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certificativo. Avessi anche tu detto di essere ciò che sembri essere, tu manchi di potere certificativo quando
alla certezza dell’avermelo effettivamente detto.
Questo per tanti anni è stato l’esistenzialismo. Ma ormai siamo oltre questo: da 20 anni in qua. Ecco perché
salta, salto, il problema del ponte: la mia scelta sostituisce il tuo potere certificativo. Potrei passare l’intera
vita e dare l’intera vita per te allo stesso modo che ritirarmi in qualsiasi momento: mi tengo sempre i ponti
aperti alle spalle. Come minimo è il discorso generale dell’isteria: in ogni momento ti posso abbandonare,
perché il principio della scelta è autonomo e in ogni momento la scelta può essere revocata.
Non è che tu mi hai amato e allora se tu l’hai fatto devi avere una tua ratio, altrimenti sei uno stupido e il tuo
amore non vale niente. La bestemmia di questa specie di sola fide è di dire all’altro, in questo caso Cristo,
«Sei uno stupido» o sei un impotente su tutto l’arco di ciò che è facoltà, compreso e innanzitutto intellettuale.
Allora io ti scelgo per e solo per una tua trascendenza, che ormai significa soltanto la abrogazione da te di
qualsiasi ratio, di qualsiasi ragione: non hai alcuna ragione. E allora abrogata dall’altro della sua ineffabile
trascendenza ogni ratio, ogni ragione, si capisce che questo rapporto può essere soltanto di timore e tremore,
non di amore. E lo dice esplicitamente.
Si tratta dello stesso uomo che rigetta la donna, perché per avere la donna, rapporto con la donna, perché per
avere rapporto sessuale — e noi diciamo sempre che non è anzitutto l’alcova — occorre una ratio, una
ragione della mia soggezione ad essa. Allora l’altro è reso impotente e la fede non è altro che il mio
riconoscimento dell’impotenza dell’altro, della sua resa. Ecco perché sempre il Cristo sofferente. Non solo
sempre, ma solo il Cristo sofferente.
Il riconoscimento della mia colpa, del mio peccato, — il concetto del senso di colpa è tutto lì — non è altro
che ciò che io dò in cambio per la tua impotenza, per l’impotenza da me costituita in te, per la tua resa. Tu ci
metti l’impotenza, io ci metto la colpa. Ecco il Vangelo della sofferenza, della miseria, della colpa senza
imputato.
Faccio solo notare due cose. Si tratta qui del vero punto in cui noi siamo plaudenti di Freud e
razionalmente aderenti e vicini a Freud e discepoli di Freud. E a proposito di vent’anni, il titolo del seminario
di Lavoro Psicoanalitico che faremo sarà: «Perché Freud ha ragione oggi». Si tratta dell’invenzione
freudiana di quell’articolo giuridico — siamo noi a esplicitarlo come tale — che è designato dal nome
castrazione.
Freud si ferma in quello che chiama il rifiuto della femminilità, da uomo a uomo; è il rifiuto della
distinzione, ripartizione tra pensiero del soggetto — ratio — e la volontà in quanto è il contributo dell’altro,
contributo all’affare (abbiamo sempre sottolineato che parliamo il linguaggio degli affari). Nell’espressione
corrente il rifiuto della femminilità è illustrabile come il rifiuto del dire “ti ringrazio”, perché dire “ti
ringrazio” comporta il disporre come soggetto della ratio di riconoscere il beneficio — se tale è — in quanto
beneficio proveniente dall’altro. Noi parliamo sempre della legge come di una legge economica, di beneficio,
principio di piacere, etc.
In Kierkegaard si tratta esattamente di questo: del rifiuto della castrazione, applicata niente meno che al
rapporto con Cristo e simultaneamente al rapporto con la donna, al rapporto in quanto rapporto con la
donna.
Il vero nocciolo è il nesso fra sapere e castrazione, questa castrazione che noi chiamiamo la norma di
accesso al rapporto, come norma di costituzione — costituzionalmente parlando — del rapporto, rapporto in
quanto di beneficio. Fra i contenuti e gli elementi del beneficio noi oggi collochiamo in modo singolare il
sapere.
Mi ero chiesto se avessero ragione o torto quelli che si sono fermati a criticare la parola femminilità
prescelta da Freud: l’uomo, poniamo Kierkegaard, che rifiuta la femminilità nel suo rapporto con un altro
uomo. La non omosessualità consistente precisamente nella posizione di questa femminilità.
Ricordo tanti anni fa le discussioni: ma allora Freud ci propone una specie di sublime omosessualità? E’
esattamente la via della non omosessualità, ossia del rapporto sessuale. Ecco perché mi sembra bene
rispondere ora a un sospeso di quest’anno, emerso in discussioni varie. Ricordo che avevo avanzato
l’affermazione che il prototipo dell’amore è l’amore del padre per la figlia. Lo mantengo a condizione della
ripetizione di tre concetti: siamo stati noi a dare un chiarimento definitivo a questa parola castrazione,
rimasta oscura nel corso dei decenni, anzi sempre più oscurata; noi abbiamo detto che il primo errore
dell’umanità, chiamato errore filosofico dell’umanità e errore psicologico della filosofia è la sessualità, ossia
il costituirsi di un errore della ragione: non esiste l’astrazione la sessualità, esistono i sessi; l’astrazione la
sessualità abolisce a lungo andare, in senso logico e pratico, i sessi. La perversione è l’ultima delle
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conseguenze dell’errore la sessualità. La parola castrazione significa semplicemente la castrazione di questo
errore, la correzione di quell’errore divenuto patologicamente costituzionale dell’umanità che si chiama la
sessualità, o l’idea della sfera sessuale. Il finale di questa storia è la perversione.
La sessualità, non i sessi, è ciò che impedisce all’universo umano di essere come universo, ossia, ciò che
impedisce all’universo di essere, in ogni suo punto, possibile fonte di beneficio per un soggetto, foss’anche
uno solo, isolato. La sessualità è l’obiezione all’universo, cioè alla possibilità che tutto il reale sia fonte di
beneficio per uno.
Mi fermo sulla parola figlia. Osservavo che sarebbe interessante se per figlio/figlia esistesse, come in
tedesco, un termine in più rispetto al rapporto uomo-donna: in tedesco si dice Mann per “uomo-maschio” e
Frau per “donna”, ma l’uomo in senso di uomo o donna è mensch. In italiano noi non abbiamo questa risorsa
lessicale e in ogni caso neanche in tedesco c’è la risorsa lessicale di un terzo termine per dire e figlio e figlia.
Nella figlia non è altro che quel mensch, che designa sia uomo che donna — ed è un errore la sessualità, ma
non è un errore l’umanità: l’umanità è un’astrazione debita, dovuta; la sessualità è un’astrazione indebita,
errata e ingannevole; è un ente che è stato moltiplicato praeter necessitatem; ecco perché la castrazione va
benissimo se è raffigurata come il bravo, antico rasoio di Occam, che diceva di tagliare via ciò che è stato
superfetato, aggiunto erroneamente fra gli enti. La sessualità è l’ente errato — la figlia è il figlio, proprio
come mensch, che puramente e semplicemente dalla natura è stata dotata di un’occasione in più fra i suoi
oggetti, — in questo caso proprio la costituzione corporale, sessuale, — un’occasione in più per non fare
un’obiezione all’altro. Naturalmente è dotata di un’occasione in più per fargliene. La donna può applicare al
pari dell’uomo alla propria costituzione, cioè ai suoi propri oggetti, il principio di obiezione: non collocherò i
miei oggetti nel campo della tua volontà, oppure collocherò i miei oggetti, il corpo, nel campo della tua
volontà, secondo la mia ratio, ma essendo la tua volontà; collocherò o non collocherò gli oggetti, in
particolare del mio corpo, nel campo della tua volontà; queste sono possibilità opposte pari in uomo e in
donna. La donna semplicemente ha un’occasione corporale in più — la costituzione fisica — per
un’obiezione all’Altro oppure per la non obiezione all’Altro. La vistosità di ciò nella patologia isterica non
ha bisogno di essere eccessivamente documentata e l’isteria non è solo femminile.
Allora che il prototipo dell’amore riguardi la figlia è lo stesso che dire che riguarda il figlio; semplicemente è
sottolineata la figlia, perché questa è connotata da un’occasione in più, per quello che abbiamo chiamato
talento negativo.
Ecco la grande intelligenza di Freud nell’insistere che il complesso di castrazione è uguale nei due sessi, che
non c’è nessun complesso di Elettra da una parte, e nessuna protesta virile dall’altra. Ma ora lasciamo,
perché è già un ritornare retrò.
Ora l’ultima definizione per chiudere la dimostrazione di validità e verità della frase il prototipo
dell’amore è l’amore del Padre per la Figlia: perché non esistono padri. Il Padre o è il concetto della legge
stessa come noi la definiamo, come legge del beneficio, come legge di relazione economica con il reale, in
quanto legge di beneficio, o è il Padre Eterno, sia che si ci creda o no. Ma se esiste il Padre, è Dio Padre,
quello di Gesù Cristo. Faremo a meno del Padre e ci accontenteremo, nella misura in cui ci riusciamo, del
nostro disegno della legge. Non esistono padri se non per quel tanto che i singoli esseri umani riescono a
raccogliere un po’, a portare sulle proprie spalle un po’ di funzione paterna. Dunque non è il padre carnale
quello cui si applica la frase il prototipo dell’amore è l’amore del Padre per la Figlia. Potremmo dunque
dire che il prototipo dell’amore è l’amore per la Figlia, in quando è semplicemente il figlio in forma ancora
più spinta.
Un punto importante su cui ci eravamo fermati tempo fa: il Gregorius di Hartman von Aue, e
l’importanza che abbiamo dato al fatto che nel XIII secolo ci sia stato un autore come Hartman a riimpostare
una questione come quella dell’incesto, mai più ripresa dopo la grande epoca pre-cristiana, greca, e a
risolverlo positivamente e poi Thomas Mann che tanti anni dopo ha voluto opporsi all’idea di Hartman. Solo
una cosa è da dire sull’incesto, solo una frase è da dire sull’incesto: che l’incesto non esiste.
Questo andrebbe portato addirittura a livello del codice; ormai la parola incesto deve essere da noi giudicata
esclusivamente come un errore nevrotico appartenente al nostro intelletto e alla nostra cultura; bisogna essere
nevrotico per usare con convinzione la parola incesto. Avrete notato sui giornali che negli ultimi anni c’è un
permanente attacco, specialmente da questa specie di cultura, all’incesto. C’è la grande guerra all’incesto, lo
si vede. La grande guerra comporta che l’incesto esiste. Un pensiero inizialmente nevrotico è stato fatto
passare alla cultura perversa. L’incesto non esiste: allorché esiste ciò che si descrive come incesto, in specie
sul minore o sulla minore, dico che si tratta di trarne la conclusione che si tratta di un caso, come tutti gli
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altri, di violenza carnale, corruzione di minore, pedofilia, etc. E’ importantissima la conclusione sulla non
esistenza dell’incesto.
Il finale è anche un invito alla discussione: ciò che è veramente proposto in questo giro, è il nesso
fra la castrazione, come definita, e l’universo. Connotato l’universo anche come fonte di sapere, fra i
benefici possibili, il sapere di altri, generato, elaborato, prodotto, fatto da altri, la castrazione è qui proposta
come condizione per l’universitas. Diventa interessante nella sequenza delle quattro parole anzidette —
università-imputabilità-salute-corpo — che la parola sapere e una serie di parole — enciclopedia —
vengono ad allinearsi sotto le quattro ricapitolanti, vengono a collocarsi sotto queste quattro parole come
inizi di colonne: le quattro parole ricapitolano l’enciclopedia, tutte le parole dell’universo.
La parola sapere viene a collocarsi, insieme alla parola competenza, alla parola soggetto, nella colonna della
imputabilità, della competenza individuale, non sotto la parola università.
Sotto la parola università noi collochiamo quello che chiamiamo l’enciclopedia. Il suggerimento è che quella
che abbiamo chiamato con Freud — noi accettiamo il lemma freudiano — castrazione, diversamente da altri
(e sapete che abbiamo svolto tanti lemmi freudiani e come tali non li usiamo quasi più: pulsione, inconscio; i
concetti sono pienamente rilevati, ma non è questo il nostro lessico). Su castrazione, la parola rimane perché
è semplicemente esatto: si tratta di castrare qualcosa avente contenuto sessuale, ma ciò riguarda un contenuto
sessuale di pensiero, un contenuto ideologico di pensiero che è un errore, la sessualità. La sessualità è il
nemico dei sessi, della distinzione dei sessi e del rapporto sessuale, non in quanto l’alcova, ma quel rapporto
che consente all’universo di essere universo, ossia che in nessuna sua parte possa non essere fonte di
beneficio per uno.
E’ una notevole definizione di universo. Il giorno che qualcuno si dedicasse a costruire un articolo o una
lezione intitolata “universo”, si troverebbe di sicuro a confrontarsi con altre definizioni di universo.
Introdotta questa diventa interessante il dibattito interno intorno a ciò che è pensato essere universo.
© Studium Cartello – 2007
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