FN&V_1/2006_def.qxd 7-11-2006 9:13 Pagina 7 Interazioni farmacologiche nel trattamento delle malattie di Alzheimer e di Parkinson Giuseppe Imperadore1, Annalisa Rizzetto2 Psichiatrica AO Policlinico, Verona 3 Servizio di Psichiatria ASL 22, Verona 1 Clinica L a presenza di disturbi psichiatrici, soprattutto di tipo depressivo e psicotico, è particolarmente frequente nei pazienti affetti dalle malattie di Alzheimer (AD) e di Parkinson (PD). Tali condizioni di comorbilità sono in grado di influenzare in maniera significativa la prognosi delle patologie neurologiche di base, così come la qualità di vita dei pazienti e dei caregiver. L’associazione degli psicofarmaci con i trattamenti farmacologici specifici per queste condizioni diviene di conseguenza un passaggio spesso obbligato lungo il decorso della malattia, rimandando al clinico il problema della gestione delle polifarmacoterapie. I dati della letteratura, infatti, sono concordi nell’affermare che il ricorso, per quanto razionale, all’associazione farmacologica rappresenti un fattore di rischio importante per il manifestarsi di eventi avversi, che crescerebbe in maniera quasi esponenziale all’aumentare del numero di farmaci impiegati1. Nella maggioranza dei casi tale correlazione lineare sarebbe spiegata dall’aumento del rischio di interazioni farmacologiche tra i singoli composti, che potrebbe determinare una riduzione di efficacia di un trattamento e/o un aumento dei suoi effetti indesiderati. Tale problema verrebbe ancor più enfatizzato in quelle categorie di pazienti caratterizzate da una maggiore sensibilità agli effetti indesiderati, quali gli anziani e i pazienti affetti da pluripatologie o patologie croniche degenerative che già richiedono complesse polifarmacoterapie. La gestione clinica delle interazioni farmacologiche rappresenta quindi una questione estremamente complessa e articolata, la cui trattazione è quasi sempre demandata ai cosiddetti “esperti”. Comune è infatti il senso di impreparazione e inadeguatezza percepito dai clinici nel momento in cui si avvicinano a tale settore. Del resto la maggior parte della letteratura scientifica al riguardo, basata su studi di farmacocinetica o farmacodinamica condotti su modelli sperimentali (in vitro e animali) e/o in volontari sani, comporta non pochi problemi di interpretazione dei risultati e di trasferibilità degli stessi nella pratica clinica quotidiana. Il quesito fondamentale rimane quello della rilevanza clinica delle interazioni farmacologiche. Non sempre infatti un’interazione potenzialmente significativa, dedotta dalla conoscenza delle caratteristiche farmacologiche delle molecole che si vanno ad associare e/o osservata in ambito sperimentale, risulta essere anche clinicamente significativa e, come vedremo successivamente, tale distinzione è legata a una serie di variabili non facilmente analizzabili nella singola situazione. Nel corso del presente articolo verranno descritti i principali meccanismi che sono alla base delle interazioni farmacologiche e analizzati in maniera critica le evidenze relative alle interazioni tra gli psicofarmaci (antidepressivi e antipsicotici) e i trattamenti specifici dell’AD (inibitori delle colinesterasi) e del PD (farmaci antiparkinsoniani). I meccanismi delle interazioni farmacologiche Per interazione tra farmaci si intende una modificazione qualitativa o quantitativa degli effetti di un farmaco causata dalla precedente o contemporanea somministrazione di altri (uno o più) agenti farmacologici2. Le interazioni tra farmaci vengono generalmente distinte in farmacocinetiche e farmacodinamiche. Interazioni farmacocinetiche Le interazioni farmacocinetiche possono avvenire a livello dei processi di assorbimento, distribuzione, metabolismo o escrezione, determinando una significativa variazione nella concentrazione plasmatica dei composti interessati. In generale le interazioni riguardanti i processi di assorbimento (velocità e completez- SOCIETÀ ITALIANA DI NEUROPSICOFARMACOLOGIA za dell’assorbimento), distribuzione (legame dei farmaci con le proteine plasmatiche) e la stessa escrezione hanno un significato clinico relativo per la maggior parte dei farmaci. Per tale motivo negli ultimi anni l’interesse della ricerca si è focalizzato soprattutto sulla fase del metabolismo, in particolare sui processi metabolici della fase 1 mediati dal sistema del citocromo P450 (CYP450). Il CYP450 è costituito da una serie di isoenzimi, localizzati sulle membrane del reticolo endoplasmatico liscio di diverse cellule dell’organismo, in particolare del fegato, ma anche dell’intestino tenue, del rene, del polmone e del cervello. La superfamiglia CYP è suddivisa in famiglie e sottofamiglie di enzimi sulla base dell’omologia nella sequenza aminoacidica. Gli isoenzimi presenti nell’uomo appartengono alle famiglie CYP 1-4; tra i più di 30 isoenzimi identificati, i citocromi CYP1A2, CYP2C9, CYP2C19, CYP2D6 e CYP3A4 risultano essere di particolare importanza nel metabolismo degli psicofarmaci, così come di diversi altri farmaci. L’attività di questi isoenzimi è geneticamente determinata, ma può essere influenzata da fattori fisiopatologici e ambientali, come la concomitante somministrazione di altri farmaci. Infatti, il metabolismo di un farmaco può essere modificato da un altro composto attraverso un meccanismo di inibizione o di induzione enzimatica. ■ Nell’inibizione enzimatica si ha una riduzione, fino a un vero e proprio blocco, dell’attività di un enzima da parte di un farmaco. Un secondo farmaco, metabolizzato dallo stesso enzima, verrà quindi eliminato più lentamente con conseguenti prolungamento della sua emivita, aumento della sua concentrazione plasmatica e potenziamento dell’effetto farmacologico sino alla possibile comparsa di effetti collaterali. L’inibizione enzimatica si realizza in tempi rapidi, non appena il composto inibitore ha avuto ac- FACTS NEWS & VIEWS n. 1, novembre 2006 7 FN&V_1/2006_def.qxd 7-11-2006 9:13 Pagina 8 Interazioni farmacologiche nel trattamento delle malattie di Alzheimer e di Parkinson cesso all’enzima bersaglio, e si protrae per tutto il periodo in cui esso rimane nella biofase a concentrazioni sufficienti per inibire l’enzima. ■ Nell’induzione enzimatica l’attività di uno o più isoenzimi aumenta in seguito alla somministrazione cronica di sostanze farmacologiche o non, dette “induttori”. Per manifestarsi, l’induzione richiede un tempo più lungo rispetto all’inibizione (solitamente 12 settimane) in quanto comporta la sintesi ex novo degli enzimi. Come conseguenza dell’accelerazione metabolica si avrà una diminuzione della concentrazione plasmatica dei farmaci metabolizzati dagli enzimi oggetto di induzione, con una possibile riduzione dell’efficacia terapeutica. È opportuno sottolineare, come si è detto in precedenza, che non tutte le interazioni teoricamente possibili hanno una rilevanza clinica. Nel valutare il significato di una potenziale interazione di tipo metabolico vanno considerati diversi fattori, tra cui: ■ il tipo di attività di un farmaco a livello enzimatico (substrato, inibitore o induttore); ■ la potenza dell’inibitore/induttore e la sua concentrazione a livello enzimatico; ■ il ruolo svolto dall’enzima inibito nel metabolismo complessivo del farmaco bersaglio dell’interazione; ■ il grado di attività enzimatica (fenotipo/ genotipo); ■ l’indice terapeutico del substrato; ■ la presenza di metaboliti attivi del substrato; ■ la frequenza dell’associazione nella pratica clinica3. Riguardo al terzo punto (ruolo svolto dall’enzima inibito nel metabolismo complessivo del farmaco bersaglio dell’interazione), occorre sottolineare che se un farmaco presenta diverse vie metaboliche, l’eventuale inibizione o induzione di una via che contribuisce in misura minore all’eliminazione complessiva di quel farmaco avrà verosimilmente limitata rilevanza clinica. Per quel che concerne il quarto punto (fenotipo/genotipo), la variabilità geneticamente determinata nel contenuto di un isoenzima potrà condizionare la possibilità di un’interazione. Infatti, poiché l’attività di alcuni isoenzimi – per esempio CYP2D6, CYP2C9 e CYP2C19 – è soggetta a polimorfismo genetico, è possibile distinguere in una popolazione i cosiddetti metabolizzatori lenti, intermedi, rapidi e ultrarapidi4. I metabolizzatori lenti non possiedono un enzima funzionalmente attivo e, pertanto, eliminano molto più lentamente i vari ■ farmaci metabolizzati da quell’enzima, non risentendo tuttavia dell’effetto di inibitori enzimatici. ■ D’altro canto, i metabolizzatori rapidi e gli ultrarapidi sono più suscettibili a interazioni di tipo inibitorio, e in seguito all’azione di potenti inibitori dell’enzima possono essere trasformati in soggetti fenotipicamente indistinguibili dai metabolizzatori lenti. Infine, rispetto al quinto punto (indice terapeutico del substrato), va ricordato che le conseguenze cliniche di un’interazione farmacologica variano in funzione dell’indice terapeutico del farmaco substrato, cioè dell’intervallo di concentrazioni plasmatiche nell’ambito del quale un farmaco può essere considerato efficace e generalmente ben tollerato. Nel caso, infatti, di composti a basso indice terapeutico, una modificazione anche modesta delle concentrazioni plasmatiche può determinare una riduzione dell’efficacia terapeutica o lo sviluppo di effetti indesiderati. Al contrario, nel caso di farmaci ad ampio indice terapeutico, modificazioni anche rilevanti delle concentrazioni plasmatiche non avranno conseguenze cliniche particolarmente significative5. Interazioni farmacodinamiche Le interazioni farmacodinamiche producono un cambiamento nell’azione di un farmaco in assenza di modificazioni della sua concentrazione plasmatica. Tali interazioni coinvolgono il meccanismo d’azione dei farmaci e possono portare a un aumento dell’effetto farmacologico (agonismo), oppure a una sua riduzione o al suo annullamento (antagonismo). In genere le interazioni farmacologiche vengono distinte in dirette e indirette. ■ Le interazioni dirette avvengono quando due farmaci agiscono a livello di uno stesso recettore, dando luogo a un effetto additivo (agonismo recettoriale) oppure determinando una riduzione o la scomparsa dell’effetto di uno dei due farmaci (antagonismo recettoriale). ■ Le interazioni indirette si realizzano quando due farmaci, pur agendo su sistemi recettoriali differenti, influenzano lo stesso sistema fisiologico, determinando una sommazione (agonismo funzionale) o una riduzione dell’effetto farmacologico (antagonismo funzionale). Le interazioni farmacologiche nella malattia di Alzheimer Le alterazioni della sfera cognitiva presenti nell’AD sono abitualmente accompagnate da un deterioramento nel controllo delle emo- 8 FACTS NEWS & VIEWS n. 1, novembre 2006 zioni e da altri sintomi psichiatrici. La depressione e i sintomi psicotici e comportamentali rappresentano reperti clinici piuttosto frequenti, se si considerano i dati provenienti dagli studi epidemiologici. Seppur in assenza di evidenze forti relative all’efficacia degli antidepressivi nel trattamento della depressione in corso di AD, l’utilizzo di tali composti nella pratica quotidiana, in associazione agli inibitori delle colinesterasi, è diventato sempre più rilevante6. I farmaci antidepressivi comunemente usati includono composti di vecchia generazione, come gli antidepressivi triciclici (ATC), e composti di nuova generazione, quali gli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (SSRI), gli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina e della noradrenalina (SNRI), gli inibitori della ricaptazione della noradrenalina (NARI) e gli inibitori della noradrenalina e selettivi della serotonina (NaSSA). I criteri di scelta del trattamento antidepressivo, come ricordato dalla maggior parte degli autori, devono fare riferimento al profilo di tollerabilità della classe considerata, in particolare all’assenza di un rischio di peggioramento della performance cognitiva, e al rischio di interazioni in corso di co-somministrazione. Per quanto riguarda quest’ultimo, va ricordato come esistano in realtà differenze significative sia tra le diverse classi di antidepressivi sia tra i composti appartenenti a una stessa classe. Il trattamento dei sintomi psicotici, come deliri e allucinazioni, spesso accompagnati da misidentificazioni e disturbi del comportamento, sia di tipo non aggressivo (lamentarsi, vagabondare, interruzioni verbali, atti ripetitivi ecc.) sia di tipo aggressivo (mordere, gridare, scalciare, graffiare ecc.), richiede invece l’uso di composti antipsicotici e con minor frequenza di farmaci antidepressivi o di stabilizzatori dell’umore7. Sulla base delle loro caratteristiche farmacologiche gli antipsicotici vengono generalmente distinti in “tradizionali” e “nuovi”, sebbene quest’ultimo raggruppamento sia da molti autori impropriamente definito “classe” in virtù del diverso profilo farmacodinamico dei singoli composti di appartenenza. Anche in questo caso il profilo di tollerabilità e il rischio di interazioni rappresentano i criteri di scelta a cui fare riferimento nella pratica clinica. Nel corso del presente paragrafo verranno analizzati i dati di letteratura relativi alle interazioni farmacologiche tra gli psicofarmaci sopra citati e gli inibitori delle colinesterasi. Saranno inoltre riportate le principali interazioni tra gli antidepressivi e gli antipsicotici, in considerazione della loro possibile cosomministrazione nel trattamento dei disturbi psichici dell’AD. SOCIETÀ ITALIANA DI NEUROPSICOFARMACOLOGIA FN&V_1/2006_def.qxd 7-11-2006 9:13 Pagina 9 Interazioni farmacologiche nel trattamento delle malattie di Alzheimer e di Parkinson TABELLA 1 - AZIONE SUGLI ISOENZIMI DEL CITOCROMO P450 DEGLI ANTIDEPRESSIVI DI NUOVA GENERAZIONE Citalopram ■ Escitalopram ■ Fluoxetina ■ Fluvoxamina ■ Paroxetina ■ Sertralina ■ Mirtazapina ■ Duloxetina ■ Venlafaxina ■ Reboxetina ■ CYP1A2 CYP2C9 CYP2C19 CYP2D6 CYP3A4 0 0 + +++ + 0 0 0 0 0 0 0 ++ ++ + + 0 0 0 0 0 0 + / ++ +++ + 0 0 0 0 0 + 0/+ +++ + +++ + / ++ + + + + 0 0 + / ++ ++ + + +++ 0 + + Legenda: 0 = inibizione minima o assente; + = inibizione lieve; ++ = inibizione moderata; +++ = inibizione elevata. ATC e inibitori delle colinesterasi La presenza di una significativa attività anticolinergica, propria soprattutto di alcuni ATC, quali la clomipramina e l’amitriptilina, può determinare, da una parte, una riduzione nell’efficacia dell’effetto clinico degli inibitori delle colinesterasi e, dall’altra, un peggioramento della performance cognitiva dei pazienti affetti da AD. A ciò vanno aggiunte le proprietà chinidino-simili, rilevanti per tutti gli ATC, e di conseguenza il rischio di cardiotossicità, che assume particolare rilievo in una popolazione di pazienti anziani. Proprio tali motivazioni hanno indotto nel tempo a un uso sempre più limitato degli ATC, che allo stato attuale non sono più considerati dagli autori un trattamento di prima scelta nella depressione associata ad AD. SSRI e inibitori delle colinesterasi Gli SSRI sono composti dotati, da un lato, di un migliore profilo di tollerabilità rispetto agli ATC (sostanziale assenza di attività anticolinergica e di cardiotossicità) e, dall’altro, di un maggiore rischio di interazioni, in particolare di tipo farmacocinetico. Tutti gli SSRI, infatti, hanno un’attività di inibizione a livello del CYP450, ma la potenza di tale inibizione e i tipi di isoenzimi inibiti variano tra le sei molecole appartenenti a questa classe, come riportato nella tabella 18,9. Una riduzione della clearance della tacrina può essere determinata dalla contemporanea somministrazione della fluvoxamina, in grado di agire come potente inibitore sull’isoenzima CYP1A2. Uno studio di cinetica ha confermato come la somministrazione di tacrina alla dose di 40 mg/die in un campione di volontari sani in trattamento con placebo o con fluvoxamina (100 mg/die) sia stata seguita da un aumento significativo delle concentrazioni plasmatiche di tacrina e del suo metabolita idrossilato nel gruppo che assumeva la fluvoxamina10. La stessa fluvoxa- mina, inibendo il CYP3A4, può determinare un aumento delle concentrazioni plasmatiche della galantamina, farmaco oggetto di inibizione a livello del CYP2D6 anche da parte della paroxetina e della fluoxetina11. Due case-report sono disponibili in letteratura relativamente a un aumento delle concentrazioni plasmatiche di donepezil (5 mg/ die), composto metabolizzato dal CYP2D6, in caso di associazione con la paroxetina (20 mg/die)12. Un unico case-report ha invece descritto un quadro di epatite fulminante in seguito a contemporanea somministrazione di sertralina e donepezil13. Il dato rimane in realtà di difficile interpretazione, considerando l’attività di inibizione non particolarmente elevata di questo antidepressivo sul CYP2D6 e gli stessi risultati degli studi di cinetica relativi a tale combinazione farmacologica. In uno studio condotto su 16 volontari sani le concentrazioni plasmatiche di donepezil, dopo somministrazione di una dose di 5 mg/ die per 15 giorni, non sono state in realtà modificate dalla co-somministrazione di sertralina alla dose di 100 mg/die14. Non sono segnalati, infine, rischi di interazione conseguenti all’impiego in associazione agli inibitori delle colinesterasi di composti quali il citalopram e l’escitalopram che condividono una debole attività di inibizione a livello del CYP450. Per le sue caratteristiche metaboliche peculiari (breve emivita, basso legame farmaco-proteico e trascurabile metabolismo ossidativo), la rivastigmina non è oggetto di interazioni farmacologiche con gli SSRI15. Una sintesi delle interazioni sopra riferite è riportata nella tabella 2. Dal punto di vista clinico l’aumento della concentrazione plasmatica degli inibitori delle colinesterasi potrà portare al manifestarsi di effetti indesiderati di tipo gastrointestinale (nausea, vomito, diarrea), cardiovascola- SOCIETÀ ITALIANA DI NEUROPSICOFARMACOLOGIA re (bradicardia), muscoloscheletrico (crampi muscolari, astenia) e neurologico (agitazione, cefalea e insonnia). Altri antidepressivi e inibitori delle colinesterasi In letteratura vi è una sostanziale mancanza di dati relativamente al rischio di interazione delle altre classi di antidepressivi di seconda generazione in caso di co-somministrazione con gli inibitori delle colinesterasi. Il profilo farmacologico di tali composti non sembra comunque rappresentare, almeno dal punto di vista teorico, un fattore di rischio per il manifestarsi di interazioni sia di tipo farmacocinetico (tabella 1) sia di tipo farmacodinamico. La duloxetina e la venlafaxina (SNRI) presentano infatti una debole attività di inibizione sul CYP2D6, a cui si associa per la sola venlafaxina un’altrettanto debole inibizione sul CYP3A416,17. In maniera analoga si comportano la mirtazapina (NaSSA) sul CYP2D616 e la reboxetina (NARI) sui CYP2D6 e 3A418,19. Antipsicotici e inibitori delle colinesterasi L’associazione tra antipsicotici, sia tradizionali sia nuovi, e inibitori delle colinesterasi rappresenta un fattore di rischio per lo sviluppo di effetti extrapiramidali, agendo entrambi in maniera sinergica sulla bilancia dopamina-acetilcolina. Tale rischio sembrerebbe maggiore per quei composti tradizionali che presentano una maggiore potenza di blocco al livello dei recettori D2 postsinaptici dello striato. Diversi case-report documentano, infatti, l’insorgenza di gravi effetti indesiderati di tipo extrapiramidale nel caso di co-somministrazione di aloperidolo e tacrina20,21. Alcuni antipsicotici tradizionali dotati di maggiore attività anticolinergica (per esempio, le fenotiazine) sono in grado, sempre attraverso un’interazione di tipo farmacodinamico, di ridurre l’efficacia clinica degli inibitori delle colinesterasi e di de- FACTS NEWS & VIEWS n. 1, novembre 2006 9 FN&V_1/2006_def.qxd 7-11-2006 9:13 Pagina 10 Interazioni farmacologiche nel trattamento delle malattie di Alzheimer e di Parkinson TABELLA 2 - INTERAZIONI FARMACOCINETICHE DEGLI SSRI CON GLI INIBITORI DELLE COLINESTERASI Inibitori delle colinesterasi Farmaco interagente Tacrina Rivastigmina Galantamina Fluvoxamina – ■ Paroxetina, fluoxetina, fluvoxamina ■ Paroxetina ■ Donepezil terminare la comparsa di effetti anticolinergici periferici e centrali, quali l’induzione di un quadro di delirium o un peggioramento della performance cognitiva dei pazienti affetti da AD. Dal punto di vista farmacocinetico si ricorda il rischio teorico di un aumento delle concentrazioni plasmatiche di donepezil e galantamina nel caso di somministrazione con alcuni antipsicotici tradizionali (per esempio, fenotiazine) in grado di inibire in maniera significativa l’isoenzima CYP2D6. Non sembrano esservi, invece, particolari problemi nelle associazioni tra inibitori delle colinesterasi e nuovi antipsicotici, se si eccettua la combinazione con il risperidone. Singoli case-report descrivono il manifestarsi di effetti extrapiramidali dopo l’aggiunta del risperidone a un trattamento in corso con donepezil, suggerendo la possibilità che si verifichi un’interazione farmacodinamica22,23. Informazioni decisamente rassicuranti provengono, invece, da tre recenti studi di cinetica. Nel primo la contemporanea somministrazione di risperidone (1 mg/die) e galantamina (24 mg/die) in 16 volontari sani non ha determinato significative modificazioni nelle concentrazioni plasmatiche dei due composti24. Analoghi risultati si sono avuti dagli altri due studi in cui il donepezil (5 mg/die) è stato associato al risperidone (1 mg/die) in 24 volontari sani e allo stesso far- Meccanismo Inibizione del CYP1A2 – Inibizione del CYP2D6 Inibizione del CYP3A4 Inibizione del CYP2D6 maco (1-4 mg/die) in 16 pazienti affetti da schizofrenia25,26. ATC e antipsicotici L’associazione tra ATC e antipsicotici tradizionali, per quanto non più così frequente nel trattamento dell’AD, comporta la possibilità di interazioni di tipo sia farmacocinetico sia farmacodinamico. Le prime sono sostanzialmente legate all’impiego di alcuni antipsicotici, in particolare le fenotiazine, che essendo potenti inibitori del CYP2D6 possono rallentare le reazioni di idrossilazione degli ATC aumentandone significativamente i livelli ematici (fino al 50100%), con conseguente rischio di effetti tossici27. Le interazioni farmacodinamiche sono determinate da un meccanismo di agonismo recettoriale in virtù della condivisione delle due classi di farmaci delle attività alfa-litica, anticolinergica e antistaminica. Analogo meccanismo è infine in grado di spiegare la presenza di sintomi legati a una significativa attività alfa-litica (in particolare l’ipotensione ortostatica) nei casi in cui gli ATC sono somministrati con alcuni nuovi antipsicotici quali l’olanzapina, il risperidone e la quetiapina. SSRI e antipsicotici Gli SSRI possono interagire a livello farmacocinetico con alcuni antipsicotici tradizionali, rallentandone l’eliminazione. Fluoxetina e paroxetina, poten- Effetto clinico Ridotta clearance della tacrina – Aumento delle concentrazioni di galantamina Aumento delle concentrazioni di galantamina Aumento delle concentrazioni di donepezil ti inibitori del CYP2D6, possono incrementare significativamente i livelli ematici di aloperidolo, flufenazina e perfenazina con possibili implicazioni cliniche quali disturbi extrapiramidali e compromissione della performance psicomotoria28,29. Anche la fluvoxamina e la sertralina possono causare un lieve aumento delle concentrazioni plasmatiche dell’aloperidolo, ma le conseguenze cliniche non sono state documentate30. Per quanto riguarda il citalopram e l’escitalopram non sono al momento riportate interazioni farmacologiche rilevanti. Gli SSRI possono anche influenzare l’eliminazione di alcuni nuovi antipsicotici utilizzati nell’AD (tabella 3). Dati recenti indicano che la paroxetina e la fluoxetina possono causare un aumento moderato, rispettivamente del 45 e del 75%, della frazione attiva del risperidone (somma delle concentrazioni plasmatiche del risperidone e del suo metabolita attivo 9-idrossirisperidone), verosimilmente mediante l’inibizione del CYP2D631. La fluvoxamina, attraverso l’inibizione del CYP1A2, e in misura minore la fluoxetina, inibendo il CYP2D6, possono determinare rispettivamente un aumento moderato e lieve delle concentrazioni plasmatiche dell’olanzapina. La possibilità di questo nuovo antipsicotico di essere metabolizzato da due diversi isoenzimi limita comunque la rilevanza clinica della singola interazione. TABELLA 3 - INTERAZIONI FARMACOCINETICHE TRA SSRI E NUOVI ANTIPSICOTICI SSRI Antipsicotico Effetto sui livelli ematici Citalopram/ Escitalopram Fluoxetina Clozapina Risperidone Clozapina Risperidone Olanzapina Quetiapina Clozapina Olanzapina Risperidone Clozapina Risperidone Clozapina Risperidone Olanzapina Modificazioni non significative Modificazioni non significative Aumento (fino al 100%) Aumento (fino al 75%) Lieve aumento (< 30%) Lieve aumento (< 30%) Aumento (5-10 volte) Aumento (fino al 100%) Lieve aumento (< 30%) Lieve aumento (< 30%) Aumento (fino al 45%) Modificazioni non significative Lieve aumento (< 30%) Modificazioni non significative Fluvoxamina Paroxetina Sertralina 10 FACTS NEWS & VIEWS n. 1, novembre 2006 Meccanismo Inibizione CYP2D6 Inibizione CYP2D6 e CYP3A4 Inibizione CYP1A2, CYP2C19 e CYP3A4 Inibizione CYP1A2 Inibizione CYP3A4 Inibizione CYP2D6 Inibizione CYP2D6 Inibizione CYP2D6 SOCIETÀ ITALIANA DI NEUROPSICOFARMACOLOGIA FN&V_1/2006_def.qxd 7-11-2006 9:13 Pagina 11 Interazioni farmacologiche nel trattamento delle malattie di Alzheimer e di Parkinson Per la quetiapina allo stato attuale è segnalato un lieve aumento della concentrazione plasmatica in caso di associazione con fluoxetina. Altri antidepressivi e antipsicotici Le caratteristiche farmacologiche degli altri antidepressivi di seconda generazione, in precedenza descritte, determinano, seppur in assenza di dati specifici, un basso rischio di interazioni nel caso di una loro associazione con gli antipsicotici sia tradizionali sia nuovi. Le interazioni farmacologiche nella malattia di Parkinson Oltre il 60% dei pazienti affetti da PD presenta uno o più sintomi psichiatrici. I sintomi ansiosi e depressivi sono i più frequenti e a questi seguono, generalmente in fasi successive della malattia, sintomi cognitivi e disturbi psicotici e comportamentali32. In particolare, per la depressione viene descritto un andamento bimodale con un primo picco di prevalenza nella fase precedente o immediatamente successiva alla diagnosi di PD e un secondo picco nelle fasi più avanzate della malattia. Nonostante la presenza di evidenze deboli a sostegno dell’efficacia degli antidepressivi nella depressione in corso di PD33 e i rischi, sottolineati da alcuni case-report, relativi a un peggioramento della sintomatologia motoria di tipo iatrogeno, il loro impiego nella pratica clinica in associazione ai farmaci antiparkinsoniani risulta sempre più rilevante34. Per quanto riguarda i disturbi cognitivi, comportamentali e psicotici, questi abitualmente compaiono in fase tardiva, tanto da essere considerati un marker del deterioramento della malattia. Più frequentemente, tuttavia, i sintomi psicotici nel PD riconoscono una patogenesi iatrogena, configurandosi come effetti indesiderati di alcuni farmaci antiparkinsoniani. In tal senso va ricordato come, nonostante quasi tutti i composti impiegati nel trattamento del PD possano indurre fenomeni psicotici, soprattutto se somministrati ad alte dosi e in politerapia protratta, il farmaco maggiormente coinvolto sia rappresentato dalla levodopa35. Anche in questo caso l’associazione con alcuni nuovi antipsicotici, in particolare clozapina, quetiapina e in misura minore olanzapina, può essere considerata una strategia farmacologica razionale mirata a un controllo della sintomatologia psicotica in assenza di un peggioramento rilevante della sintomatologia motoria32. ATC e farmaci antiparkinsoniani In generale non sono riportate interazioni farmaco- cinetiche significative tra gli ATC e i farmaci specifici utilizzati nel trattamento del PD. L’unica eccezione è rappresentata dalla concomitante somministrazione di ATC caratterizzati da elevata attività anticolinergica e levodopa, in quanto il rallentato svuotamento gastrico determinato dai primi può portare a una riduzione della biodisponibilità del precursore della dopamina5. Dal punto di vista farmacodinamico occorre ricordare il rischio di induzione di una sindrome serotoninergica in seguito alla cosomministrazione di alcuni ATC a prevalente azione serotoninergica (per esempio clomipramina e amitriptilina) e un inibitore delle monoaminossidasi-B quale la selegelina. Tale sindrome è caratterizzata clinicamente da una costellazione di sintomi quali mioclonie, diarrea, confusione mentale, agitazione ed eccitamento, iperreflessia, incoordinazione motoria, febbre, brividi, nausea, vomito, ipo- o ipertensione arteriosa. L’intensità del quadro può variare da forme lievi a forme gravi, talora a esito letale36. L’associazione, infine, di ATC e farmaci anticolinergici può portare a un potenziamento degli effetti anticolinergici sia centrali (disturbi della memoria, confusione ecc.) sia periferici (secchezza delle fauci, diplopia, stipsi e ritenzione urinaria). Tale strategia risulta particolarmente pericolosa nei pazienti anziani, nei quali possono insorgere veri e propri quadri di delirium, glaucoma acuto e ileo paralitico. SSRI e farmaci antiparkinsoniani Anche per gli SSRI non sono riportate interazioni farmacocinetiche significative nel caso di loro associazione con i farmaci antiparkinsoniani. È ovviamente presente un significativo rischio di induzione di sindrome serotoninergica in caso di co-somministrazione con la selegelina. Altri antidepressivi e farmaci antiparkinsoniani L’assenza di rischio di interazioni farmacologiche per gli altri antidepressivi di nuova generazione viene dedotta più dal loro profilo farmacologico che dai dati presenti in letteratura, che appaiono ancora piuttosto carenti. Per gli SNRI e i NaSSA permane il problema dell’associazione con la selegelina precedentemente ricordato. Antipsicotici e farmaci antiparkinsoniani Le ben note interazioni di tipo farmacodinamico tra gli antipsicotici tradizionali e i farmaci antiparkinsoniani possono portare, da un lato, a una riduzione di efficacia di questi ultimi e, dall’altro, a un peggioramento della sintomatologia motoria. Tali intera- SOCIETÀ ITALIANA DI NEUROPSICOFARMACOLOGIA zioni sembrano interessare in misura minore i nuovi antipsicotici (in particolare la clozapina e la quetiapina), in virtù del loro profilo farmacologico caratterizzato da un blocco meno intenso e duraturo dei recettori D2 postsinaptici a livello dello striato e da un’attività di inibizione sul sistema serotoninergico (recettori 5HT2A) che determinerebbe, sempre a livello dello striato, un aumento nel rilascio di dopamina. Antidepressivi e antipsicotici Dal punto di vista farmacocinetico le interazioni più significative sono quelle che si possono manifestare in caso di co-somministrazione di alcuni SSRI con la clozapina. In particolare la fluvoxamina, potente inibitore del CYP1A2, ma anche moderato inibitore del CYP3A4, può indurre un aumento da 5 a 10 volte nelle concentrazioni plasmatiche della clozapina37. Anche la fluoxetina può determinare un aumento, di circa il 50-100%, delle concentrazioni plasmatiche della clozapina38, mentre un lieve incremento del farmaco, sostenuto in realtà da dati di letteratura contraddittori, è stato segnalato in corso di terapia con paroxetina39,40. Sertralina, citalopram ed escitalopram non determinano invece significative variazioni nei livelli plasmatici di clozapina9. Analoghe conclusioni valgono anche per altri antidepressivi di seconda generazione, nonostante la carenza di dati specifici. Da monitorare attentamente sono infine le associazioni tra clozapina e ATC, in considerazione del profilo farmacodinamico di tali composti. Proprio su tale base, secondo un meccanismo di agonismo recettoriale, si potrebbero manifestare effetti indesiderati conseguenti al potenziamento delle attività alfa-litica, anticolinergica e antistaminica. Per quanto riguarda i rischi di interazioni farmacologiche tra antidepressivi e altri antipsicotici si rimanda a quanto precedentemente esposto nella sezione dedicata all’AD. Conclusioni Il capitolo delle interazioni rappresenta uno dei settori della medicina in cui appare più marcata la distanza tra l’evoluzione delle evidenze prodotte nei setting sperimentali e la possibilità di tradurre questi risultati in regole di comportamento clinico, direttamente applicabili ai singoli pazienti. Ciò risulta ancora più evidente in patologie come l’AD e il PD che richiedono complesse polifarmacoterapie e interessano una popolazione particolarmente sensibile agli effetti indesiderati quale quella anziana. La conoscenza delle proprietà farmacocinetiche e farmacodinamiche dei diversi com- FACTS NEWS & VIEWS n. 1, novembre 2006 11 FN&V_1/2006_def.qxd 7-11-2006 9:13 Pagina 12 Interazioni farmacologiche nel trattamento delle malattie di Alzheimer e di Parkinson posti contribuisce senza dubbio alla definizione di protocolli terapeutici sicuri ed efficaci e deve rimanere un punto di riferimento nella pratica quotidiana. Tuttavia, come già sottolineato, il problema della rilevanza di un’interazione farmacologica in una specifica situazione clinica resta ancora irrisolto. Troppe sono, infatti, le variabili da considerare e ancora insufficien- ti gli strumenti di conoscenza di cui disponiamo per poterle definire a priori. Per tali motivi, in questo complesso settore della farmacologia clinica, a un approccio evidencebased che tenga conto in maniera critica delle evidenze fornite dalla letteratura deve potersi integrare una buona pratica clinica in grado di fornire le informazioni necessarie al paziente e ai famigliari relativamente al ri- schio di un’interazione e di registrare eventuali annotazioni positive o negative rispetto alle conseguenze di un’interazione. Va ricordato, infatti, che anche nel caso di interazioni a basso rischio teorico è sempre possibile evidenziare, in particolari pazienti, situazioni cliniche conseguenti a specifiche alterazioni del metabolismo dei farmaci o ad anomala iperattività. Bibliografia 1 Garattini S, Nobili A. Interazioni tra farmaci. Padova: Selecta Medica, 2001. Morselli PL. Interazioni tra farmaci. In: Fuccella LM, Perrucca E, Sirtori C (eds). Farmacologia clinica. Torino: UTET, 1998:142-59. 3 Brunello N. Interazioni farmacologiche degli antidepressivi. Boll Aggiorn Neuropsicofarmacologia;XVIII(85). 4 Ingelman-Sundberg M. Pharmacogenetics of cytochrome P450 and its applications in drug therapy: the past, present and future. Trends Pharmacol Sci 2004;25(4):193-200. 5 Spina E, Scordo MG. Le interazioni farmacologiche. In: Bellantuono C, Balestrieri M (eds). Trattato di psicofarmacologia clinica. Roma: Il Pensiero Scientifico, 2003. 6 Lyketsos CG, Olin J. Depression in Alzheimer’s disease: overview and treatment. Biol Psychiatry 2002;52(3):243-52. 7 Marcon G, Godeas E, Mulè P, Balestrieri M. Il trattamento farmacologico della malattia di Alzheimer. In: Bellantuono C, Balestrieri M (eds). Trattato di psicofarmacologia clinica. Roma: Il Pensiero Scientifico, 2003. 8 Shad MU, Preskorn SH. Antidepressants. In: Levy RH, Thummel KE, Trager WF, Hansten PD, Eichelbaum M (eds). Metabolic drug interactions. Philadelphia: Lippincott Williams & Wilkins, 2000:563-77. 9 Imperadore G. Il rischio di interazione farmacologica nel paziente in polifarmacoterapia. In: Bellantuono C, Racagni G. Sindromi depressive in “special populations”. Milano: Airon, 2004. 10 Becquemont L, Ragueneau I, Le Bot MA, Riche C, Funck-Brentano C, Jaillon P. Influence of the CYP1A2 inhibitor fluvoxamine on tacrine pharmacokinetics in humans. Clin Pharmacol Ther 1997;61(6):619-27. 11 Defilippi JL, Crismon ML. Drug interactions with cholinesterase inhibitors. Drugs Aging 2003;20(6):437-44. 12 Carrier L. Donepezil and paroxetine: possible drug interaction. J Am Geriatr Soc 1999;47(8):1037. 13 Verrico MM, Nace DA, Towers AL. Fulminant chemical hepatitis possibly associated with donepezil and sertraline therapy. J Am Geriatr Soc 2000;48(12): 1659-63. 14 Nagy CF, Kumar D, Perdomo CA, Wason S, Cullen EI, Pratt RD. Concurrent administration of donepezil HCl and sertraline HCl in healthy volunteers: assessment of pharmacokinetic changes and safety following single and multiple oral doses. Br J Clin Pharmacol 2004;58(Suppl 1):25-33. 15 Jann MW. Rivastigmine, a new-generation cholinesterase inhibitor for the treatment of Alzheimer’s disease. Pharmacotherapy 2000;20(1):1-12. 16 Owen JR, Nemeroff CB. New antidepressants and the cytochrome P450 system: focus on venlafaxine, nefazodone, and mirtazapine. Depress Anxiety 1998; 7(Suppl 1):24-32. 17 Skinner MH, Kuan HY, Pan A, et al. Duloxetine is both an inhibitor and a substrate of cytochrome P4502D6 in healthy volunteers. Clin Pharmacol Ther 2003;73(3):170-7. 18 Wienkers LC, Allievi C, Hauer MJ, Wynalda MA. Cytochrome P-450-mediated metabolism of the individual enantiomers of the antidepressant agent reboxetine in human liver microsomes. Drug Metab Dispos 1999;27(11):1334-40. 19 Fleishaker JC. Clinical pharmacokinetics of reboxetine, a selective norepinephrine reuptake inhibitor for the treatment of patients with depression. Clin Pharmacokinet 2000;39(6):413-27. 20 McSwain ML, Forman LM. Severe parkinsonian symptom development on combination treatment with tacrine and haloperidol. J Clin Psychopharmacol 1995;15(4):284. 2 12 FACTS NEWS & VIEWS n. 1, novembre 2006 21 Maany I. Adverse interaction of tacrine and haloperidol. Am J Psychiatry 1996; 153(11):1504. 22 Magnuson TM, Keller BK, Burke WJ. Extrapyramidal side effects in a patient treated with risperidone plus donepezil. Am J Psychiatry 1998;155(10):1458-9. 23 Liu HC, Lin SK, Sung SM. Extrapyramidal side-effect due to drug combination of risperidone and donepezil. Psychiatry Clin Neurosci 2002;56(4):479. 24 Huang F, Lasseter KC, Janssens L, Verhaeghe T, Lau H, Zhao Q. Pharmacokinetic and safety assessments of galantamine and risperidone after the two drugs are administered alone and together. J Clin Pharmacol 2002;42(12):1341-51. 25 Zhao Q, Xie C, Pesco-Koplowitz L, Jia X, Parier JL. Pharmacokinetic and safety assessments of concurrent administration of risperidone and donepezil. J Clin Pharmacol 2003;43(2):180-6. 26 Reyes JF, Preskorn SH, Khan A, et al. Concurrent administration of donepezil HCl and risperidone in patients with schizophrenia: assessment of pharmacokinetic changes and safety following multiple oral doses. Br J Clin Pharmacol 2004;58(Suppl 1):50-7. 27 Mulsant BH, Foglia JP, Sweet RA, Rosen J, Lo KH, Pollock BG. The effects of perphenazine on the concentration of nortriptyline and its hydroxymetabolites in older patients. J Clin Psychopharmacol 1997;17(4):318-21. 28 Avenoso A, Spina E, Campo G, et al. Interaction between fluoxetine and haloperidol: pharmacokinetic and clinical implications. Pharmacol Res 1997; 35(4):335-9. 29 Ozdemir V, Naranjo CA, Herrmann N, Reed K, Sellers EM, Kalow W. Paroxetine potentiates the central nervous system side effects of perphenazine: contribution of cytochrome P4502D6 inhibition in vivo. Clin Pharmacol Ther 1997;62(3):334-47. 30 Lee MS, Han CS, You YW, Kim SH. Co-administration of sertraline and haloperidol. Psychiatry Clin Neurosci 1998;52(Suppl):S193-8. 31 Spina E, Avenoso A, Facciola G, Scordo MG, Ancione M, Madia A. Plasma concentrations of risperidone and 9-hydroxyrisperidone during combined treatment with paroxetine. Ther Drug Monit 2001;23(3):223-7. 32 Schrag A. Psychiatric aspects of Parkinson’s disease: an update. J Neurol 2004;251(7):795-804. 33 Weintraub D, Morales KH, Moberg PJ, et al. Antidepressant studies in Parkinson’s disease: a review and meta-analysis. Mov Disord 2005;20(9):1161-9. 34 Lemke MR, Fuchs G, Gemende I, et al. Depression and Parkinson’s disease. J Neurol 2004;251(Suppl 6):VI/24-7. 35 Factor SA, Friedman JH. The emerging role of clozapine in the treatment of movement disorders. Mov Disord 1997;12(4):483-96. 36 Werder SF, Preskorn SH. Managing polypharmacy: walking the fine line between help and harm. Curr Psychiatry 2003;2(2):24-46. 37 Jerling M, Lindstrom L, Bondesson U, Bertilsson L. Fluvoxamine inhibition and carbamazepine induction of the metabolism of clozapine: evidence from a therapeutic drug monitoring service. Ther Drug Monit 1994;16(4):368-74. 38 Spina E, Avenoso A, Facciola G, et al. Effect of fluoxetine on the plasma concentrations of clozapine and its major metabolites in patients with schizophrenia. Int Clin Psychopharmacol 1998;13(3):141-5. 39 Centorrino F, Baldessarini RJ, Frankenburg FR, Kando J, Volpicelli SA, Flood JG. Serum levels of clozapine and norclozapine in patients treated with selective serotonin reuptake inhibitors. Am J Psychiatry 1996;153(6):820-2. 40 Wetzel H, Anghelescu I, Szegedi A, et al. Pharmacokinetic interactions of clozapine with selective serotonin reuptake inhibitors: differential effects of fluvoxamine and paroxetine in a prospective study. J Clin Psychopharmacol 1998;18(1):2-9. SOCIETÀ ITALIANA DI NEUROPSICOFARMACOLOGIA