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Principi generali dell’Emodialisi
CAPITOLO
I
SEU
PRINCIPI GENERALI DELL’EMODIALISI
INTRODUZIONE ALLA TERAPIA SOSTITUTIVA
Sandro De Angelis
La terapia sostitutiva della funzione renale
si basa sui seguenti trattamenti:
• Trapianto renale;
• Dialisi peritoneale;
• Emodialisi.
Il trapianto renale, descritto nel capitolo X,
è la modalità terapeutica di scelta nel paziente
con insufficienza renale cronica (IRC) in termini di costi, qualità di vita ed aspettativa di vita.
In particolare, il trapianto renale da donatore vivente offre i risultati migliori per quanto
concerne la sopravvivenza dell’organo trapiantato.
La dialisi peritoneale (PD), descritta nel
capitolo II, è il trattamento di scelta in alcune
aree del mondo come il Messico, la Nuova
Zelanda, l’Australia, il Canada, nelle quali la
metodica di dialisi intracorporea si è imposta
non solo per i costi più contenuti, ma soprattutto per la grande autonomia del paziente da
strutture sanitarie di riferimento non facilmente
raggiungibili.
L’emodialisi (HD) è attualmente il trattamento sostitutivo più diffuso al mondo, oggetto
di continua evoluzione tecnologica per quanto
concerne le apparecchiature, il materiale d’uso
e la terapia di supporto (eritropoietina, chelanti
del fosforo, vitamina D, etc.).
È la metodica che risponde alle necessità
cliniche sia del paziente acuto che del paziente
cronico, ma a costi superiori alle altre metodiche e destinati a crescere in misura direttamente proporzionale all’incremento del numero dei
pazienti in trattamento.
In linea generale, la scelta del tipo di trattamento del singolo paziente può essere la risultante di vari fattori che influiscono nel processo
decisionale:
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• Aspetti economici ed organizzativi;
• Aspetti clinici del paziente;
• Aspetti legati all’esperienza ed alla preferenza dei nefrologi.
L’eterogeneità delle situazioni è dunque
talmente ampia da rendere difficile la semplificazione di criteri di indirizzo utilizzabili nella
scelta della metodica; tuttavia sono stati proposti algoritmi che possono aiutare a risolvere
almeno in parte il problema decisionale.
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2
La dialisi: tecnica e clinica
SEU
Fig. I.1 –Algoritmo raffigurante le modalità di scelta della metodica terapeutica più idonea al singolo paziente ( da Principles and practice of dialysis, 3rd edition, W.L.Henrich 2004 by LIPPINCOTT WILLIAMS & WILKINS, modificata).
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PRINCIPI FISICO-CHIMICI DELL’EMODIALISI
Stefano Condò
Storia della Dialisi
Thomas Graham (1805-1869), Professore
di Chimica dell’Università di Londra, coniò per
primo il termine dialisi per descrivere il movimento dei colloidi sospesi in un fluido attraverso una membrana vegetale essiccata e rivestita da albumina (Fig. I.2).
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Nel 1913 Abel, Roundtree e Turner, presso
la Johns Hopkins Medical School di Baltimora,
realizzarono con successo la rimozione di soluti
dal sangue di animali nefrectomizzati mediante
la circolazione extracorporea del sangue all’interno di tubi di collodio semipermeabile, della
lunghezza di 40 cm e del diametro di 8 mm,
immersi in un bagno di dialisi.
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Principi generali dell’Emodialisi
3
SEU
Fig. I.2 – Thomas Graham (1805-1869) ed il dispositivo utilizzato per studiare il movimento dei colloidi attraverso una
membrana vegetale rivestita da albumina.
Nel 1926 Georg Haas (1886-1971) utilizzò
per la prima volta nell’uomo la medesima tecnica, con tubi di collodio della lunghezza di 120
cm in grado di assicurare una grande superficie di scambio per la diffusione dei soluti (Fig.
I.4).
Infine nel 1940 Johan Kolff, sperimentò una
membrana di cellophane, derivato dalla cellulosa rigenerata ed utilizzato per avvolgere le salsicce, gettando le basi allo sviluppo delle attuali
membrane artificiali per la dialisi nel paziente
acuto (Fig. I.5).
Le tappe successive che hanno effettivamente contribuito alla diffusione della dialisi nei
pazienti cronici sono però rappresentate dallo
shunt di Quinton e Scribner, che realizzavano
nel 1960 il primo duraturo accesso vascolare,
nonché l’utilizzo, negli stessi anni, dell’eparina
che consentiva il blocco del sistema di emocoagulazione del paziente nel corso della circolazione extracorporea (Fig. I.6).
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Fig. I.3 – John Abel ed il dispositivo di tubi di collodio realizzato per la ricerca sperimentale sulla depurazione di animali
uremici (nefrectomizzati).
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La dialisi: tecnica e clinica
SEU
Fig. I.4 – Georg Haas nel 1926 utilizza il medesimo dispositivo realizzato con tubi di collodio nell’uomo, aumentando però
notevolmente la superficie di scambio.
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Fig. I.5 – Johan Kolff nel 1940 sperimenta una membrana di cuprophan in un paziente con insufficienza renale acuta,
gettando le basi della terapia dialitica attuale.
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Principi generali dell’Emodialisi
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SEU
Fig. I.6 – Belding Scribner nel 1960 realizza il primo “shunt”, dispositivo che costituisce l’accesso vascolare al paziente
uremico.
Principi fisico-chimici
Con i trattamenti sostitutivi della funzionalità renale si è cercato di imitare quello che avviene fisiologicamente nell’organismo umano.
Le membrane cellulari si comportano come
membrane semipermeabili, caratterizzate cioè
da una completa permeabilità all’acqua ed una
limitata permeabilità ai soluti in essa disciolti.
Gli spostamenti dell’acqua da un compartimento all’altro avvengono pertanto sotto la
spinta di una pressione idraulica esercitata su
uno dei compartimenti, oppure della pressione osmotica esercitata tra i due versanti della
membrana dalla differente composizione delle
soluzioni. Infatti, in due compartimenti chiusi
contenenti acqua pura e separati da una membrana semipermeabile, l’agitazione termica
delle molecole d’acqua è responsabile di un
movimento continuo bidirezionale delle stesse
attraverso la membrana, denominato movimento diffusivo.
Se si applica una pressione idraulica su
un versante dei due compartimenti si osserverà un flusso di acqua dal compartimento a
pressione maggiore verso il compartimento a
pressione minore fino al ripristino dell’equilibrio
pressorio. Il flusso di acqua sarà direttamente
proporzionale alla permeabilità idraulica della
membrana.
Se invece aggiungiamo in uno dei due compartimenti un soluto non in grado di attraversare la membrana semipermeabile, si osserverà un passaggio di acqua dal compartimento
senza soluto a quello con il soluto introdotto,
sino all’equilibrio della concentrazione tra le
due soluzioni. Questo fenomeno viene definito
“osmosi” e la differenza di pressione idraulica
che si realizza tra i due compartimenti viene
denominata “pressione osmotica”.
La pressione osmotica viene espressa pertanto dalla concentrazione molare (numero di
moli per litro di soluzione) dal momento che
dipende dal numero di particelle disciolte nella
soluzione.
A parità di peso molecolare del soluto, i
soluti più piccoli eserciteranno una maggiore
pressione osmotica.
La pressione osmotica esercitata dalle proteine nel sangue viene detta pressione oncotica ed è pari a 21 mmHg.
Tale pressione, durante la dialisi, si oppone
alla pressione idraulica negativa applicata al
versante del liquido di dialisi.
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La dialisi: tecnica e clinica
La dialisi ha due obiettivi principali: il primo
è il passaggio di sostanze tossiche dal sangue
del paziente al dialisato (soluzione con la quale
si confronta il sangue), come ad esempio il potassio e l’urea, o l’aggiunta di soluti al sangue
del paziente, come ad esempio il bicarbonato
ed il calcio; il secondo è la sottrazione di volume (ultrafiltrazione), questi due processi possono avvenire simultaneamente o indipendentemente uno dall’altro.
I due meccanismi principali su cui si basa
il primo obiettivo della dialisi sono la diffusione
e la convezione a cui si oppone la pressione
oncotica delle proteine ematiche.
La diffusione come abbiamo visto è il passaggio di soluti dal compartimento ad alta concentrazione verso quello a più bassa concentrazione, tale fenomeno è dipendente dal peso
molecolare del soluto.
La convezione invece è il passaggio di soluti da un compartimento ad un altro secondo un
gradiente di pressione idrostatica.
Il secondo obiettivo della dialisi è la sottrazione di volume che avviene mediante l’ultrafiltrazione che per definizione è il passaggio del
solvente da un compartimento ad un altro grazie ad una differenza di pressione idrostatica.
Poiché esiste una relazione tra l’entità dell’eliminazione dell’urea con la dialisi e la morbilità del paziente dializzato si è potuto stabilire che
l’urea è un indice perfettamente adatto alla valutazione dell’efficacia del trattamento dialitico.
Qui di seguito verranno riportate alcune
formule matematiche che forniscono una valida base ai fini dell’ottimizzazione della terapia
dialitica.
Vi è un tasso di formazione di urea dipendente dal tempo e dal metabolismo = tasso di
generazione dell’urea: G.
A causa della neoformazione cambia, in
rapporto al tempo, la concentrazione dell’urea:
C(t) nel suo costante spazio di distribuzione.
La clearance totale è data, quindi, da:
(clearance totale = clearance dell’urea residua
+ clearance dell’urea del dializzatore).
La variazione della concentrazione dell’urea è data dalla differenza tra il tasso di generazione G e l’escrezione (clearance totale x
concentrazione).
La concentrazione dell’urea C(t) in rapporto
al tempo si calcola con la formula:
SEU
dove:
C(t): Concentrazione dell’urea in rapporto al
tempo.
Co: Concentrazione iniziale dell’urea, per
esempio azotemia predialisi.
G: Tasso di generazione dell’urea.
KT: Clearance totale dell’urea.
V: Volume di distribuzione dell’urea.
t: Durata della dialisi
Nel modello dell’urea del National Cooperative Dialysis Study (N.C.D.S.) la clearance
residua renale viene posta ora con un valore
uguale a zero; ciò è assolutamente ammissibile, poiché la clearance residua renale dell’urea
è pressochè trascurabile se paragonata alla
clearance dell’urea attraverso il dializzatore.
Il volume di distribuzione per l’urea viene ottenuto calcolando il 58% del peso corporeo.
Per semplificare si può assumere che la formazione dell’urea durante il tempo di dialisi tD
può essere considerata trascurabile; (ciò è ammissibile quando si compara l’alta clearance
dell’urea di un dializzatore con il ridotto tasso
di formazione nel “breve” tempo di dialisi).
Si delinea pertanto questa relazione:
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Il paziente dializzato ha due possibilità di ridurre di nuovo la concentrazione dell’urea:
• attraverso la diuresi residua renale =
clearance residua dell’urea = KR che può
essere determinata attraverso la raccolta
dell’urina tra due dialisi e dosando la concentrazione urinaria e sierica dell’urea;
• attraverso il dializzatore la cui clearance
dell’urea KD è nota;
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dove:
C(t): Concentrazione dell’urea in rapporto al
tempo.
Co: Concentrazione iniziale dell’urea.
KD: Clearance dell’urea del dializzatore.
t: Durata della dialisi.
V: Volume di distribuzione dell’urea.
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Principi generali dell’Emodialisi
7
Dopo la dialisi (t=tD) il valore finale dell’urea
CT è :
dove:
CT: Valore finale dell’urea.
Co: Concentrazione iniziale dell’urea (azotemia predialisi).
KD: Clearance dell’urea del dializzatore.
tD: Durata della dialisi.
V: Volume di distribuzione dell’urea.
G: Esprime l’aumento della concentrazione
sierica di urea-azoto ureico interdialitico,
per cui l’azotemia deve essere determinata al termine di una dialisi e prima
della dialisi successiva; nella pratica si
userà il valore ottenuto dalla media di diverse misurazioni.
Per impiegare valori non falsati viene raccomandato di effettuare i dosaggi su campioni di
sangue prelevati durante il periodo lungo interdialitico (per esempio il venerdì al termine della
dialisi e il lunedì prima dell’inizio della dialisi).
Poiché la clearance totale dell’urea tra due
sedute dialitiche può essere considerata uguale a zero, il tasso di generazione G dell’ureaazoto ureico sarà dato da:
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L’esponente
viene indicato come indice di trattamento standardizzato e determina
l’efficacia della dialisi.
Il tasso del catabolismo proteico PCR si calcola nel modo seguente:
dove:
G: Tasso di generazione dell’urea-azoto
ureico.
V: Volume di distribuzione dell’urea-azoto
ureico.
dove:
ΔC: Differenza di concentrazione di ureaazoto ureico tra due dialisi.
V: Volume di distribuzione dell’urea-azoto
ureico.
t : Durata della dialisi.
Il DIALISATO
Sandro De Angelis
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La composizione del dialisato in emodialisi
ed in dialisi peritoneale ha lo scopo di assicurare il bilancio idro-elettrolitico del paziente con
insufficienza renale cronica terminale.
Il dialisato per l’emodialisi viene ottenuto
dalla miscelazione dell’acqua deionizzata con
le taniche di concentrato (acida e basica) la cui
composizione chimica viene scelta sulla base
delle conoscenze e dell’esperienza del responsabile del trattamento dialitico.
Nella pratica clinica la medesima soluzione
dialitica è di regola ben tollerata dalla maggior
parte dei pazienti, mentre in alcuni pazienti la
medesima soluzione può provocare instabilità
emodinamica e sintomi da disequilibrio dialitico.
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In questi casi è necessario variare la composizione del dialisato in rapporto alle caratteristiche cliniche del paziente, personalizzando
in pratica il trattamento dialitico.
Composizione del dialisato
per l’emodialisi
Il Sodio
La composizione del dialisato utilizzato in
emodialisi ha subìto un’evoluzione dettata dalla necessità di migliorare la tolleranza della
procedura dialitica.
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La dialisi: tecnica e clinica
All’inizio della dialisi, fino ai primi anni ’70,
veniva utilizzato un dialisato con basso contenuto di sodio (130-135 mEq/L) allo scopo di
ridurre le complicanze del sovraccarico idrico,
l’ipertensione volume-dipendente e lo scompenso cardiaco.
Con la successiva riduzione della durata
del trattamento e la maggiore efficienza delle
tecniche dialitiche, il basso contenuto di sodio
appariva inadeguato contribuendo a sua volta all’instabilità intradialitica ed aggravando la
sindrome da disequilibrio per la riduzione rapida dell’osmolalità plasmatica e del volume
intravascolare. Il contenuto del sodio nel dialisato veniva dunque aumentato sino a 139-144
mEq/L, livello tuttora utilizzato nella maggioranza delle procedure dialitiche.
Il timore che l’aumento del contenuto di
sodio nel dialisato avesse un effetto dipsogeno, causando quindi un aumento ponderale
del paziente ed uno scarso controllo dei valori
pressori è stato smentito dalla pratica clinica.
Infatti l’aumento del sodio nel bagno di dialisi
ha consentito una migliore tolleranza all’ultrafiltrazione e quindi un controllo ottimale dell’incremento ponderale interdialitico del paziente.
Di recente è stato introdotto un dispositivo che consente di variare la concentrazione
di sodio del dialisato nel corso del trattamento dialitico, delineando un profilo “a campana”
del sodio, elevato all’inizio della dialisi, quindi isotonico ed infine ipotonico al termine del
trattamento. Questa variazione programmata
consente sia di limitare il rapido declino dell’osmolalità plasmatica indotta all’inizio del trattamento dalla diffusione dell’urea e degli altri
soluti di piccolo peso molecolare, sia di contenere lo sviluppo dell’ipertonicità plasmatica,
della sete e quindi dell’incremento ponderale
nell’intervallo interdialitico. Altri sintomi efficacemente corretti dal sodio variabile sono l’emicrania intradialitica, i crampi e l’ipotensione arteriosa alla fine del trattamento.
Per quanto concerne la sindrome da disequilibrio in pazienti iperazotemici che iniziano il
primo trattamento dialitico, la migliore strategia
terapeutica consiste nel ridurre una quantità
di urea relativamente minore rispetto ai trattamenti cronici standard, programmando cioè
nell’arco di alcuni giorni la discesa graduale e
lenta della concentrazione ematica dell’urea.
Inoltre, l’utilizzo del sodio variabile nel dialisato
consente in questi pazienti di limitare il passaggio di liquidi all’interno del compartimento
intracellulare, limitando così le complicanze
neurologiche.
Il Potassio
SEU
La rimozione del potassio ematico in eccesso viene ottenuta dall’utilizzo di un dialisato
con bassa concentrazione di potassio (nell’ordine di 2-3 mEq/L), che crea un gradiente favorevole alla diffusione del potassio dal sangue al liquido di dialisi. Tuttavia tale rimozione
presenta una notevole variabilità da paziente a
paziente legata alla diversa distribuzione dello
ione potassio (prevalentemente intracellulare)
rispetto allo ione sodio (prevalentemente extracellulare). Infatti il passaggio del potassio
dall’interno all’esterno della cellula e quindi dal
liquido extracellulare al dialisato è condizionato dai seguenti fattori:
•
•
•
•
equilibrio acido-base;
concentrazione di glucosio ed insulina;
attività delle catecolamine;
osmolalità plasmatica.
Il movimento del potassio dallo spazio intracellulare all’extracellulare è influenzato
dalle modificazioni dell’equilibrio indotte dal
trattamento dialitico. Un’alcalosi extracellulare
favorisce il passaggio del potassio all’interno
della cellula mentre l’acidosi ne favorisce il
passaggio inverso. Pertanto nel corso della
dialisi la correzione dell’equilibrio acido-base
del paziente, prodotta dall’aggiunta di basi del
dialisato, tende a ridurre progressivamente la
rimozione del potassio.
Redaelli ha dimostrato che un dialisato privo di potassio favoriva un minor assorbimento
di basi al paziente rispetto all’uso di un dialisato con 2 mEq/L.
Ne consegue l’ipotesi che un elevato gradiente plasma/dialisato della concentrazione
di potassio possa ridurre lo spostamento degli
ioni idrogeno dal compartimento intracellulare
determinando una minore diffusione di bicarbonati dal dialisato al compartimento extracellulare. Nel trattamento dialitico di pazienti con
acidosi metabolica severa deve essere attentamente valutata tale condizione.
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Principi generali dell’Emodialisi
È noto che l’insulina determina l’incorporazione del potassio da parte delle cellule pertanto può influenzare la rimozione del potassio
durante il trattamento dialitico.
L’uso di dialisati privi di glucosio ha determinato la rimozione di quantità maggiori di
potassio rispetto all’uso di dialisati contenenti
glucosio in riferimento ad una minore presenza
di insulina prodotta dal paziente. Le variazioni
dell’osmolalità plasmatica si riflettono sulla distribuzione del potassio tra i due compartimenti, intra ed extracellulare.
La somministrazione di soluzioni saline ipertoniche o di mannitolo, utilizzati nella pratica
clinica per correggere l’ipotensione arteriosa
durante dialisi, favoriscono lo spostamento del
potassio dalle cellule verso spazio interstiziale,
una maggiore rimozione del potassio col liquido di dialisi, quindi una riduzione della kaliemia
del paziente.
L’ipokaliemia aumenta le resistenze periferiche tuttavia Pogglitsch ha osservato una riduzione degli episodi ipotensivi in seguito alla
somministrazione aggiuntiva di potassio eseguita nei 30 minuti finali del trattamento dialitico.
La spiegazione di questo apparente paradosso è insita nella nota interazione esistente
tra l’ipokaliemia ed il sistema nervoso autonomo. Infatti, nei pazienti con insufficienza renale
terminale può essere presente una disfunzione
del sistema autonomo provocata dall’uremia,
pertanto riduzioni della kaliemia indotte dalla
dialisi possono provocare una riduzione della
concentrazione plasmatica delle catecolamine
quindi un’alterata risposta vasoattiva.
Nei pazienti emodializzati con cardiopatie,
in trattamento con digossina, l’ipokaliemia può
provocare aritmie di gravità variabile sino alla
fibrillazione ventricolare, in particolare all’inizio
del trattamento dialitico quando la discesa del
potassio è più repentina.
Redaelli e collaboratori hanno studiato gli
effetti di un modello di potassio variabile allo
scopo di minimizzare gli effetti della riduzione
del potassio nella prima fase del trattamento
dialitico. In pazienti soggetti a frequenti aritmie
intradialitiche, è stato mantenuto costante un
gradiente sangue/dialisato di 1,5 mEq/L per
tutta la durata del trattamento, col risultato di
un’evidente riduzione dei complessi prematuri
ventricolari.
9
Il Tampone Bicarbonato
Il tampone bicarbonato ha sostituito completamente l’acetato da circa 20 anni a causa
dei problemi di instabilità emodinamica provocati dall’effetto vasodilatatore dell’acetato. La
produzione del dialisato con bicarbonato avviene ad opera del monitor che provvede alla
miscelazione del concentrato acido e del concentrato basico con l’acqua deionizzata.
L’esclusione dell’acido lattico, del calcio e
del magnesio dal concentrato di bicarbonato
impedisce la precipitazione di questi cationi
(come magnesio e calcio carbonato) che potrebbe altrimenti verificarsi nella soluzione ad
alto tenore di bicarbonato.
Nella pratica clinica la concentrazione finale
del bicarbonato è generalmente compresa tra
33 e 38 mmol/L.
L’utilizzo del tampone bicarbonato nel dialisato non è esente da complicazioni:
SEU
• contaminazione microbica resa possibile
dal fatto che la soluzione di bicarbonato
è un ottimo terreno di cultura dei batteri;
• ipossiemia conseguente all’aumento del
pH
• alcalosi metabolica, responsabile di
confusione mentale, letargia, debolezza
e crampi muscolari.
Queste complicanze sono state per lo più risolte dalla sostituzione del concentrato liquido
con quello in polvere, disponibile in cartuccia,
diluito on-line dal monitor.
La concentrazione ottimale di bicarbonato
nel dialisato è dunque quella minima atta a
prevenire l’alcalosi postdialitica e quella massima atta a controllare l’incremento dell’acidosi
nell’intervallo interdialitico.
Recentemente Ahmad ha proposto la sostituzione nel concentrato acido dell’acetato
con l’acido citrico, migliorando l’efficienza del
trattamento dialitico, probabilmente per l’effetto
anticoagulante dell’acido citrico sulla superficie
della membrana.
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Il Calcio
La concentrazione del calcio nel dialisato prevalentemente utilizzata è di 3,5 mEq/L,
quantità che può risultare eccessiva determi-
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La dialisi: tecnica e clinica
nando ipercalcemia nei pazienti che assumono contemporaneamente il calcio per os quale
chelante del fosforo e sono in terapia con vitamina D.
Infatti Slatopolsky in questi pazienti suggerisce di ridurre il calcio del dialisato a 2,5 mEq/
L lasciando inalterato il dosaggio del calcio utilizzato come chelante del fosforo e somministrando la vitamina D per evitare la stimolazione del Paratormone da parte del dialisato con
basso contenuto di calcio.
Tuttavia, in aggiunta agli effetti sul metabolismo minerale, la variazione della concentrazione del calcio nel dialisato può influire sulla
stabilità emodinamica del paziente nel corso
della dialisi.
In uno studio condotto su pazienti con riduzione della frazione di eiezione inferiore al 40%
è stata infatti rilevata una minore incidenza di
episodi ipotensivi con 3,5 mEq/L di calcio nel
dialisato rispetto ai pazienti dializzati con concentrazioni di 2,5 mEq/L. Questo dato è stato
posto in relazione all’influenza della concentrazione sierica del calcio sia sulle resistenze
periferiche sia sull’output cardiaco.
Pertanto, la scelta di una concentrazione di
calcio nel dialisato inferiore a 3,0 mEq/L impone un monitoraggio del calcio sierico e del PTH
onde evitare gli effetti sul circolo e sul metabolismo minerale di un bilancio negativo del calcio, in particolare nei pazienti che assumono
Sevelamer come chelante del fosforo.
Il Magnesio
La concentrazione usuale del magnesio nel
dialisato è di 0,5 – 1,0 mEq/L ed ha lo scopo
di mantenere costante la magnesiemia del paziente a livelli di 1,58-2,55 mg/dL. Una riduzione della concentrazione di magnesio nel dialisato può essere necessaria nei pazienti che
assumono idrossido di magnesio come chelante del fosforo.
SEU
Il Fosforo
Normalmente il dialisato è privo di fosforo,
tuttavia esistono in clinica alcune condizioni
che possono richiedere l’aggiunta di fosforo
alla soluzione di dialisi:
• ipofosfatemia da malnutrizione severa;
• ipofosfatemia da intossicazioni o da
overdose;
• ipofosfatemia nei pazienti in dialisi notturna prolungata.
La comparsa di ipofosfatemia nei pazienti in
dialisi notturna condotta oltre le 6 ore di trattamento comporta una riduzione del fosforo non
adeguatamente compensata dall’apporto alimentare, come segnalato da Pierratos e collaboratori, facilmente correggibile con l’aggiunta
del fosforo nel dialisato.
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MONITORAGGIO DELLA QUALITÀ DEI LIQUIDI PER DIALISI
Enzo Ancarani
Dall’inizio della terapia dialitica è stato affrontato il problema della depurazione dell’acqua necessaria per il trattamento dialitico
e contenuta nelle soluzioni dai contaminanti
chimici e batteriologici. Furono individuate le
patologie di accumulo dei contaminanti chimici
e fu messa in evidenza l’importanza dei contaminanti batterici, delle loro eso ed endotossine.
Fu reso obbligatorio il trattamento dell’acqua
di rete mediante deionizzazione ed infine per
mezzo di osmosi inversa.
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Contaminanti chimici
La qualità dei liquidi per dialisi può essere
influenzata da vari fattori relativi ai singoli costituenti del sistema dialitico, così rappresentati:
– acqua di diluizione;
– soluzioni concentrate;
– soluzioni di reinfusione;
– biomateriali artificiali di dialisi;
– membrane;
– tipo di sterilizzazione.
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Principi generali dell’Emodialisi
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Di particolare importanza è conoscere la
qualità dell’acqua proveniente dall’acquedotto
cittadino: il possibile inquinamento delle falde
acquifere dipende dalla provenienza delle acque, se superficiali,profonde o di bacino, dalla
presenza nei terreni di rifiuti industriali, dall’uso
e dal tipo di fertilizzanti, dalla presenza di sostanze radioattive.
Le patologie da accumulo dei contaminanti
chimici sono rappresentate nella Tabella I.1.
Particolare attenzione va rivolta alla possibile contaminazione chimica legata ai contenitori delle soluzioni concentrate e dei liquidi di
sostituzione.
È stato descritto infatti il rilascio di monomeri liberi (CVM) e di plastificanti (ftalati), i cui
possibili effetti sono rappresentati, dato il notevole volume delle reinfusioni, soprattutto legato
alle tecniche convettive, a un’interazione con le
strutture cellulari dell’organismo con induzione
di reazioni allergiche, aumento dell’incidenza
dei tumori e intolleranza dialitica.
La conoscenza di tali problematiche deve
indirizzare i responsabili a forniture di soluzioni
con contenitori privi di ftalati.
La sterilizzazione mediante ETO può determinare abbondante residuo di ossido di etilene
nei materiali, produzione di anticorpi anti-ETO
e reazioni allergiche determinanti intolleranza
dialitica.
La sterilizzazione mediante raggi gamma,
con particolare riguardo al poliacrilonitrile, al
policarbonato, all’acetato di cellulosa ed al
propilene, pur non alterando la biocompatibilità dei materiali, ne può alterare la stabilità con
modifica delle proprietà meccaniche (maggiore fragilità) e alterazione delle caratteristiche
estetiche (odore, colore).
La sterilizzazione con vapore offre a differenza degli altri metodi i seguenti vantaggi:
non altera la stabilità dei biomateriali, mantiene
inalterata la biocompatibilità e non sembra rilasciare carcinogeni.
SEU
Effetto del tipo di sterilizzazione dei
biomateriali
Il tipo di sterilizzazione può determinare di
per sé una contaminazione diretta o indiretta
dell’acqua per dialisi e un’alterazione chimica
delle membrane costituenti i filtri per dialisi.
Sistemi di depurazione dell’acqua
Deionizzazione
Determina lo scambio ionico di anioni e
cationi, raggiungendo un notevole grado di purezza dell’acqua. Le problematiche presentate
da questo sistema sono rappresentate da:
•
•
•
•
•
possibile contaminazione batterica;
rilascio monomeri;
alterazione pH dell’acqua;
impurità da HCl e soda caustica;
problemi ecologici di scarico.
ROMA
Tabella I.1 – Effetti tossici e sintomi provocati dai possibili contaminanti chimici dell’acqua.
Contaminante
Effetti tossici
Sintomi
Alluminio
Encefalopatia, danno osseo
Calcio-magnesio
Cloramine
Rame
Fluoro
Solfati
Zinco
Nitrati
pH
Nausea, vomito,dolori muscol.
Emolisi, anemia,metaemoglobinemia
Nausea, cefalea, senso di freddo,danno epatico,emolisi
Osteomalacia,osteoporosi
Nausea, vomito, acidosi
Anemia, nausea, febbre,vomito
Metaemoglobinemia con cianosi, ipotensione, nausea
Inattivazione eparina, prurito, nausea, vomito,acidosi
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12
La dialisi: tecnica e clinica
Osmosi inversa
È caratterizzata dalla seguente sequenza di
procedimenti, aventi ciascuno una determinata
finalità:
• clorazione → disinfezione
• prefiltrazione → eliminazione delle impurità grossolane
• addolcimento → trattamento acqua dura
• declorazione → salvaguardia moduli
osmotici
• microfiltrazione → eliminazione impurità
più fini
• osmosi inversa → dissalazione.
Tabella I.2 – Risultati a confronto della depurazione ottenuta rispettivamente mediante deionizzazione ed osmosi
inversa dell’acqua di rete.
Demineralizzatore
Osmosi inversa
+++
+++
0
0
0
0
0
0
0
+++
+++
+
+++
++
++
+++
+++
+++
+++
+
+
+
+
+++
Ca Mg
inorganici
organici
particelle
batteri
pirogeni
colloidi
cloro
cloramine
fluoro
nitrati
metalli pesanti
SEU
Permette l’eliminazione del 90-95% dei sali,
il 100% delle sostanze organiche, il 99% dei
batteri e dei pirogeni con il vantaggio dal punto
di vista ecologico di totale mancanza di scarichi aggressivi.
Possibili problemi sono rappresentati dal
danneggiamento e rottura delle membrane
con possibile contaminazione batterica e dalla
non perfetta depurazione di coramine,fluoruri e
nitrati. A questo si può rimediare raddoppiando
i moduli e instaurando una procedura di biosmosi, che consiste in un doppio passaggio
consequenziale dell’acqua, consentendone la
massima depurazione.
Un quadro riassuntivo viene offerto dalla
Tabella I.2, che mette a confronto i risultati della depurazione dell’acqua mediante deionizzazione ed osmosi inversa.
Per quel che riguarda la carica microbica
nei vari passaggi dell’acqua attraverso i diver-
si sistemi di depurazione, la Figura I.7 mostra
come la possibile contaminazione batterica
sia rappresentata nella massima misura nell’ambito delle colonne di carbone attivo della
deionizzazione, viene azzerata dalla osmosi
inversa, ma diviene sensibile, e quindi oggetto
di particolare cautela, a carico dell’impianto di
distribuzione nei suoi diversi tratti, azzerandosi
di nuovo se si ha l’accortezza di dotare di ultrafiltro ciascuna attrezzatura per emodialisi.
Sistema di distribuzione
Il sistema di distribuzione dell’acqua costituisce un elemento di fondamentale importanza da tenere costantemente sotto osservazio-
ROMA
Fig. I.7 – Possibili sedi di contaminazione batterica nei diversi tratti dell’impianto di distribuzione.
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Principi generali dell’Emodialisi
ne: esso deve garantire la conservazione delle
caratteristiche chimiche, fisiche e batteriologice dell’acqua osmotizzata; deve mantenere
l’acqua in circolazione continua senza punti
di ristagno e deve garantire l’alimentazione
dei punti di prelievo in costanza di portata e di
pressione.
In passato esso veniva costruito utilizzando il PVC, che secondo l’esperienza maturata
negli anni ha dimostrato di essere passibile di
corrosione col passare del tempo o con l’uso
dei disinfettanti chimici, portando alla formazione di porosità che permettono l’annidamento
batterico.
Inoltre le giunzioni tra le parti del circuito costituivano una rugosità che favoriva la contaminazione batterica. Queste irregolarità comportavano la costituzione di un biofilm batterico
e incrostazioni, dai quali avveniva il rilascio di
endotossine.
Il materiale ideale per l’impianto di distribuzione è rappresentato attualmente dall’acciaio
inossidabile (molto costoso) e dal PVDF con
saldature interne che non devono permettere
la formazione di gradini >0,4 micron.
L’impianto di distribuzione va sottoposto a
un programma di disinfezione o sanitizzazione.
I disinfettanti più comunemente utilizzati
sono il cloro e l’acido peracetico che hanno
ottime capacità di rimozione anche del biofilm
dalla superficie dei materiali. La sanitizzazione
va compiuta almeno ogni due mesi, ma il suo
ritmo dipende essenzialmente dalle caratteristiche messe in rilievo dagli esami di laboratorio
Occorre ricordare che nel costruire l’impianto di distribuzione è necessario inserire
nei punti strategici punti di prelievo in acciaio
inossidabile (che può essere “flambato”) e precisamente:
1) all’uscita dall’osmosi;
2) nel punto medio del loop o all’ingresso di
ciascuna unità dialitica;
3) alla chiusura del loop.
Conosciuta la qualità dell’acqua di rete
di una certa zona ed essendo disponibile un
impianto di osmosi inversa, le caratteristiche
fisico-chimiche dell’acqua di dialisi possono
considerarsi stabili ed essere controllate ogni
tre-sei mesi.
13
Contaminanti batterici
Il monitoraggio batteriologico ed endotossinico (Tab.I.3) assume invece un’importanza
prioritaria, poiché da esso dipendono qualità di
vita, tolleranza dialitica, condizioni cliniche del
paziente in dialisi.
Tale monitoraggio, compiuto mediante determinazione della carica microbica a 22°C con
incubazione per settegiorni e a 37°C e utilizzando per le endotossine il LAL test con metodo semiquantitativo, va effettuato ogni tre mesi:
l’ impianto di distribuzione non garantisce infatti
la persistenza delle caratteristiche di purezza
batteriologica ed endotossinica dell’acqua, quale esse sono all’uscita dall’impianto di osmosi.
SEU
Tabella I.3 – Principali contaminanti batterici dell’acqua.
CONTAMINANTI BATTERICI
– MICRORGANISMI
– ENDOTOSSINE
– ESOTOSSINE
- coliformi
- Pseudomonas
- Gram negativi
- lipopolisaccaride complesso
LPS 10.000-1.000.000
Daltons
LAL
- frammenti di LPS
1000 - 20.000 Daltons LAL
- muramilpeptidi
400 - 1.000 Daltons
LAL
LAL
+
+
-
Lal test
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Mi sembra utile dare alcune notizie relative a questo test che si è rivelato di particolare
importanza per determinare la biocompatibilità
del sistema dialisi. Esso è utile per la determinazione semiquantitativa delle endotossine da
batteri Gram negativi.
È un acronimo di Limulus Amebocyte Lysate che rappresenta l’estratto acquoso di cellule
del sangue (amebociti) del Limulus Poliphemus, artropode acquatico, che vive lungo le
coste orientali degli Stati Uniti, in Papuasia e
in Malesia; si trova a basse profondità in acque
melmose e si nutre di anellidi.
La coagulazione del sangue del Limulus fu
scoperta nel 1885 da Howell, ma fu Bang negli
anni 50 a scoprire che i batteri Gram-negativi
causavano la coagulazione del sangue del Limulus.
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14
La dialisi: tecnica e clinica
Levin e Bang successivamente scoprirono
che la reazione era enzimatica e che l’enzima
si trovava nei granuli degli amebociti. Essi inoltre dimostrarono che la coagulazione ha inizio
da un componente della parete cellulare dei
batteri chiamata endotossina o lipopolisaccaride .
La reazione che porta alla formazione del
gel è una reazione enzimatica a cascata.
I reagenti disponibili sono divisi in lotti con
differenti sensibilità a partire da 0,03 sino a
0,25 UE/ml , che rappresenta la massima concentrazione endotossinica consentita.
Monitoraggio
raggio efficace può essere proposto secondo
le modalità descritte nella Tabella I.4.
Dialisato ultrapuro e tecniche on line
Negli ultimi anni sono state sviluppate tecniche dialitiche ad elevata efficienza con reinfusione di quantità elevate di liquidi proprio per
migliorare la depurazione delle piccole e delle
medie molecole.
Le tecniche on line permettono reinfusioni
di molte decine di litri a differenza della emodiafiltrazione ed emofiltrazione standard permettono anche un risparmio economico, non
dovendo utilizzare soluzioni confezionate.
La necessità di reinfondere on line elevate
quantità di liquidi, utilizzando l’acqua osmotizzata pone il problema di una ancora maggiore sorveglianza sulla sua qualità. D’altra parte
SEU
Tenendo conto delle caratteristiche dell’acqua greggia, dell’impianto di osmosi e di distribuzione, del ritmo di sanitizzazione, un monito-
Tabella I.4 – Modalità del monitoraggio sia nei tempi (frequenza) che nelle sedi del prelievo.
Parametro
Calcio
Magnesio
Potassio
Sodio
Bario
Arsenico
Cadmio
Cromo
Piombo
Mercurio
Selenio
Argento
Zinco
Alluminio
Rame
Composti organoalogen
Cloramine
Cloro libero
Fluoruri
Cloruri
Nitrati
Fosfati
Solfati
Carica microb. 22°C
Carica microb. 37°C
LAL test
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Frequenza
Prelievo
Tre-sei mesi
“
“
“
“
“
“
“
“
“
“
“
“
Tre mesi
Tre-sei mesi
“
Tre mesi
Tre-sei mesi
“
“
Tre mesi
Tre-sei mesi
“
Tre mesi
“
“
Inizio loop
“
“
“
“
“
“
“
“
“
“
“
“
Inizio,medio,fine loop
Inizio loop
“
Inizio,medio,fine loop
Inizio loop
“
“
Inizio,medio,fine loop
Inizio loop
“
Inizio,medio,fine loop
“
“
ROMA
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Principi generali dell’Emodialisi
sono comparsi recentemente studi sul benefico
effetto del dialisato ultrapuro sulla sopravvivenza e la qualità della vita del paziente in dialisi.
Schiffl e collaboratori hanno compiuto uno
studio sul rallentamento della perdita della funzione renale residua, utilizzando dialisato ultrapuro e dimostrando livelli inferiori di PCR e di
Il-6 e che la qualità microbiologica del dialisato
è un determinante indipendente della perdita
della funzione renale residua.
Sempre più è stato posto l’accento sul meccanismo mediante il quale la contaminazione
batterica del dialisato e la presenza di endotossine attiverebbero una cascata di eventi
infiammatori con produzione di citochine IL-1,
IL-6, TNFα che portano all’aumento della PCR
e alla produzione di beta2microglobulina e di
amiloide.
Inoltre Schiffl aveva dimostrato gli effetti del
dialisato ultrapuro sullo stato nutrizionale dei
pazienti in dialisi con aumento del peso corporeo, aumento dell’albumina sierica, dell’IGF-1,
della concentrazione della leptina , del protein
catabolic rate e miglioramento delle misure antropometriche.
Il ruolo della qualità del dialisato è stato focalizzato anche da Gerdemann, che ha dimostrato, nell’ambito di una policentrica tedesca,
livelli più bassi di AGE’s nei pazienti sottoposti
a trattamenti convettivi, utilizzando reinfusioni
ultrapure.
La qualità del dialisato è inoltre importante
nel determinare la risposta alla terapia con eritropoietina, come dimostrato da Fluck in uno
studio in cui viene riportata l’emolisi indotta da
contaminazione di cloramine, che mascherava una resistenza alla terapia con EPO; così
come l’assenza di endotossine può a lungo migliorare la risposta all’EPO.
Fatte queste premesse appare evidente
che l’evoluzione della ricerca scientifica e le
strategie dialitiche più avanzate richiedono
una maggiore attenzione per la qualità dei liquidi destinati al procedimento dialitico con
particolare riferimento ai contaminanti batterici
e ai loro prodotti.
Il valore massimo stabilito per le endotossine, mediante LAL test, di 0,25 EU/ml viene
considerato ancora molto elevato per permettere reinfusioni on line di diverse decine di litri
di acqua osmotizzata.
15
Il concetto di dialisato ultrapuro, secondo gli
studi cui si è accennato in premessa, non lo
consente.
Il meccanismo di base con il quale nelle tecniche on line si consegue un dialisato ultrapuro
è rappresentato dagli ultrafiltri mediante i quali,
a livello di ciascuna unità dialitica, i contaminanti sono non solo ultrafiltrati, ma anche adsorbiti dalla membrana dell’ultrafiltro; anche i
frammenti di endotossine sono trattenuti fino a
raggiungere valori < 0,125 EU/ml.
I principali sistemi attualmente disponibili
per le terapie on line sono rappresentati da sistemi che utilizzano o due ultrafiltri: uno subito
dopo la diluizione proporzionale del concentrato e l’altro, che serve come riserva in caso di
non funzionamento del primo, subito prima dell’uscita del liquido di sostituzione; prima di ogni
trattamento essi vengono testati per valutarne
l’integrità, oppure vengono usati tre ultrafiltri:
il primo per l’acqua in arrivo alla macchina, il
secondo subito dopo il sistema proporzionante e il terzo prima dell’infusione al paziente: il
terzo ultrafiltro viene sostituito dopo ogni trattamento.
Data l’impressionante capacità adsorbente
degli ultrafiltri qualunque residua contaminazione dell’acqua viene annullata, purchè gli ultrafiltri vengano assemblati e sostituiti secondo
le istruzioni della Ditta produttrice.
Questo comporterebbe una minore responsabilità medico legale, se si tiene conto che
i liquidi di sostituzione, in alcuni Paesi, sono
considerati prodotto farmaceutico.
SEU
ROMA
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Normativa
A fronte delle ricerche e dell’evoluzione
tecnologica non vi è stato un adeguamento
legislativo recente a livello mondiale, europeo
e nazionale per fissare i limiti massimi dei contaminanti chimici e batterici dei liquidi di dialisi
(Tab. I.5).
Le indicazioni AAMI del 1982 e della Farmacopea Europea costituiscono il riferimento
al quale si sono adeguate anche alcune Regioni Italiane, come la Regione Lazio che le ha recepite mediante una circolare inviata ai Centri
Dialisi nel 1999 (Tab.I.6).
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16
La dialisi: tecnica e clinica
Tabella I.5 – Successione temporale delle normative sia nazionali che internazionali relative ai limiti massimi dei contaminanti chimici e batterici del liquido di dialisi.
AAMI
F.U.IX.Ediz.
Risoluzione CEE
F.U.IX Ediz. 1 agg.
1981 standards americani acqua per dialisi
1985 soluz. perfus. e per dialisi
1986 A1 < 10 micro gr./L.
1987 avvertenze generali
DPR n° 236
F.U.IX Ed. 1 suppl.
Ministero Sanità nota
Ministero Sanità circ.
F.U.IX Ed. 2 aggiorn
Pro Pharmacopea
Pro Pharmacopea
Pro Pharmacopea
AAMI
Farmac. Europea
1988 caratteristiche acqua potabile
1988 acqua di diluiz per soluz. concentrate A1
1988 cleramine - uso filtri carbone
1988 composti organo alogenati
1989 soluz. concentrate dialisi
1989 cloramine
1990 preparazioni infusionali
1991 controllo particelle nelle soluz. parenterali
1992 revisione standards americani
1983 acqua di diluiz. soluzioni concentr, per dialisi
SEU
Tabella I.6 – Massima concentrazione di contaminanti mg/L permessa dall’AAMI e dalla Farmacopea Europea per il
liquido di dialisi.
Contaminante
Calcio
magnesio
sodio
potassio
fluoruri
cloro
cloramine
nitrati
solfati
rame
bario
Conclusioni
AAMI 92
Farmac.EU
Contaminante
AAMI 92
Farmac.EU
2,0
4,0
70,0
8,0
0,2
0,5
0,1
2,0
100,0
0,1
0,1
2,0
2,0
50,0
2,0
zinco
arsenico
cromo
piombo
argento
alluminio
cadmio
selenio
mercurio
carica microbica
endotossine
0,1
0,005
0,014
0,005
0,005
0,01
0,001
0,009
0,0002
200 ufc/ml
0,25 EU7ml
0,0001
100 ufc/ml
0,25 EU/ml
2,0
50,0
ROMA
L’utilizzo dell’acqua per il trattamento dialitico viene considerato come facente parte di un
sistema che deve avere insieme alla membrana dialitica complessivamente caratteristiche
di biocompatibilità.
La qualità del dialisato garantisce non solo
la sopravvivenza del paziente, ma anche la
sua qualità di vita. Essa viene assicurata da
una continua sorveglianza delle varie componenti del “sistema acqua” mediante:
1) adeguamento agli standard fisico-chimici AAMI e Farmacopea europea dell’acqua di rete;
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2) ottimizzazione di un sistema di depurazione mediante osmosi inversa;
3) ottimizzazione di un impianto di distribuzione costruito con materiali adatti;
4) sanitizzazione mensile o bimestrale;
5) adeguata manutenzione degli impianti;
6) controllo microbiologico trimestrale con culture testate a 22°C e 37°C per sette giorni
nei punti strategici del loop di distribuzione
7) LAL test (possibilmente con metodo
quantitativo) effettuato nei punti strategici del loop ogni tre mesi;
8) nelle tecniche on line utilizzo degli ultrafiltri con scrupolosa attenzione alle direttive delle Ditte produttrici.
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Principi generali dell’Emodialisi
17
SCELTA DELLA TECNICA E DELLA MEMBRANA
Sandro De Angelis
La scelta di una tecnica di dialisi, sia essa
extracorporea (Emodialisi) o intracorporea
(Dialisi Peritoneale), è finalizzata a garantire
la migliore sopravvivenza e qualità di vita del
paziente ed è oggi prevalentemente condizionata dagli aspetti clinici, organizzativi ed economici.
I dati della letteratura internazionale sulla
sopravvivenza dei pazienti in emodialisi (HD)
ed in dialisi peritoneale (PD) sono ancora controversi, tuttavia i dati dei registri pubblicati in
Italia, adeguatamente corretti per fattori di comorbidità come il sesso, l’età anagrafica e la
razza, indicano una sopravvivenza equivalente
in HD e PD.
Emodialisi
ricombinante e dei farmaci in grado di controllare il bilancio calcio-fosforo, hanno consentito
il prolungamento della sopravvivenza dei pazienti con insufficienza renale cronica terminale
negli ultimi 20 anni. Nonostante ciò la mortalità
dei pazienti in terapia sostitutiva rimane ancora
elevata rispetto alla popolazione generale.
SEU
Finalità del trattamento dialitico
Gli obiettivi primari dell’emodialisi nel lungo
periodo sono: mantenere la stabilità dello stato
nutrizionale, ridurre la morbilità e mortalità dei
pazienti uremici.
Tali obiettivi sono resi possibili dagli effetti
dell’emodialisi sull’organismo, essenzialmente
costituiti da:
• trattamento dei sintomi uremici;
• correzione dell’acidosi metabolica;
• correzione degli squilibri elettrolitici;
• ricostituzione del bilancio dei soluti ematici;
• ricostituzione del bilancio idrico.
Tuttavia, le problematiche determinate dall’emodialisi sono costituite sia dalla risposta
infiammatoria del paziente alla biocompatibilità
della membrana del dializzatore e delle linee
ematiche utilizzate, sia dalle sequele indotte
dal trattamento cronico.
Lo sviluppo delle varie tecniche dialitiche,
della tecnologia degli accessi vascolari, dei
dializzatori a fibre cave e delle membrane biocompatibili, l’introduzione dell’eritropoietina
Tecnica dell’emodialisi
La tecnica dell’emodialisi si basa sull’assemblaggio di 2 circuiti : il circuito ematico extracorporeo ed il circuito del dialisato.
Il circuito ematico extracorporeo: comprende l’accesso vascolare del paziente, la linea
ematica arteriosa che trasporta il sangue all’apparecchiatura di dialisi (Monitor), il filtro di
dialisi o dializzatore, la linea ematica venosa
che consente il rientro del sangue depurato al
paziente.
L’accesso vascolare del paziente può essere realizzato sia da una fistola artero-venosa (FAV) confezionata chirurgicamente nei vasi
dell’arto superiore, sia dal posizionamento di
un catetere venoso centrale (CVC) nella vena
femorale, nella vena giugulare interna o nella
vena succlavia. Dalla FAV il sangue viene prelevato mediante venopuntura con appositi aghi
delle dimensioni variabili da 17 a 14 Gauge,
mentre dal CVC mediante la connessione diretta ai rispettivi terminali arterioso e venoso
del catetere.
La quantità di sangue prelevato dal paziente (Qb) è di solito compresa tra 200 e 400 ml/
minuto, con variazioni dettate dalle condizioni
cliniche del paziente o dalle necessità peculiari
della metodica dialitica utilizzata.
Il sangue procede all’interno della linea
ematica arteriosa grazie ad una pompa peristaltica, regolabile anch’essa in base alle
necessità del trattamento, che realizza una
pressione negativa che aspira il sangue sino al
dializzatore. Questo è costituito da una matassa di migliaia di capillari cavi, assemblati all’interno di un contenitore cilindrico.
ROMA
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18
La dialisi: tecnica e clinica
Linee ematiche
SEU
Tanica del
concentrato
Monitor di dialisi
Il sangue percorre il lume del capillare mentre la parete del capillare costituisce la membrana semipermeabile tramite la quale avviene
il passaggio dell’acqua plasmatica e dei soluti
in essa presenti, condizionato dalle dimensioni
dei pori della membrana medesima (cut-off di
membrana).
Il circuito a valle del filtro è costituito dalla
linea venosa di rientro del sangue al paziente,
dotata di appositi pozzetti per il controllo emodinamico della circolazione extracorporea. Nella
linea venosa è presente una pressione positiva
determinata ovviamente dalle resistenze periferiche create dal rientro del sangue nell’ago
venoso posizionato nell’accesso vascolare del
paziente.
Il circuito del dialisato: è costituito da una
linea esterna (Fig. I.8) che raggiunge il monitor
fornendo acqua demonizzata, da una seconda
linea interna al monitor e dal collegamento di
quest’ultima con lo scarico a parete o a terra.
All’interno del monitor avviene la miscelazione dell’acqua deionizzata con la soluzione
concentrata, contenuta in sacche o taniche,
sino al raggiungimento della composizione
elettrolitica prestabilita della soluzione di dialisi, denominata per l’appunto “dialisato”.
Il dialisato fluisce all’interno del dializzatore
(Fig. I.9) con direzione controcorrente al sangue presente all’interno dei capillari grazie ad
Fig. I.8 – Monitor di dialisi, cui vengono collegate le linee ematiche
(arteriosa e venosa) e la tanica di
concentrato per realizzare l’assemblaggio dei due circuiti: ematico e del
dialisato.
una pressione negativa realizzata da un’apposita pompa del monitor.
Scorrendo all’esterno dei capillari, la soluzione di dialisi riceve tutti i soluti che attraversano la membrana dei capillari e li trasporta all’uscita del dializzatore nella linea di drenaggio
verso lo scarico con l’esterno.
Il flusso del dialisato (Qd) varia di solito da
500 a 800 ml/minuto.
Il trattamento dell’acqua di rete per ottenere
l’acqua deionizzata, e possibilmente ultrapura,
ROMA
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Fig. I.9 – Filtro capillare costituito da una matassa di oltre
10.000 fibre capillari cave all’interno.
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Principi generali dell’Emodialisi
viene realizzato da un apposito impianto che
prevede il passaggio dell’acqua di rete in una
serie di filtri ed infine in un’apparecchiatura ad
osmosi inversa.
Il trattamento di demineralizzazione rimuove dall’acqua tutte le sostanze ed i metalli in
essa presenti, in particolare l’alluminio, responsabile nel passato di gravi patologie nei
pazienti emodializzati cronici.
19
Il volume di acqua plasmatica rimossa dal
sangue sotto la spinta della pressione idrostatica del circuito ematico viene definito ultrafiltrato, ed è destinato ad essere rimosso
dal dialisato, assicurando così la sottrazione di
acqua del paziente programmata all’inizio del
trattamento.
Durante il processo di ultrafiltrazione vengono rimossi i soluti e gli elettroliti contenuti nel
volume di acqua plasmatici ultrafiltrata e tale
tipo di trasporto viene definito convettivo.
I soluti vengono trasferiti insieme al solvente per cui l’equazione che descrive questo trasferimento è la seguente:
SEU
Diffusione ed ultrafiltrazione
La diffusione dei soluti attraverso la membrana del dializzatore è condizionata dalle dimensioni del soluto, dal suo peso molecolare e
dal gradiente di concentrazione nell’interfaccia
sangue-dialisato.
Il processo di diffusione è caratterizzato
inoltre dalla rimozione dei soluti di dimensione compatibile con il cut-off della membrana
utilizzata. Pertanto, questo tipo di trasporto
consente la rimozione dal sangue di sostanze
di piccolo peso molecolare, arrestandosi alle
dimensioni di circa 11.800 Daltons (come la
β2-microglobulina), cioè al limite inferiore del
range delle medie molecole. È stato infatti proposto (HEMO study) di utilizzare la clearance
della β2-microglobulina quale mezzo per definire le caratteristiche di permeabilità dei dializzatori.
Così, una clearance <10 mL/min identifica
dializzatori a bassa permeabilità (Low-Flux )
mentre la clearance > 20 mL/min identifica dializzatori ad alta permeabilità (High-Flux ).
La quantità del soluto trasferita (Qd) dipende dal gradiente di concentrazione, dalla superficie della membrana utilizzata (S) e dal suo
coefficiente di permeabilità (K) per cui:
dove:
Quf = quantità del soluto trasferito
K = coefficiente di permeabilità della membrana
S = superficie della membrana
Ptm = pressione trans-membrana
Il trasporto convettivo da solo non comporta
variazioni significative della concentrazione dei
soluti plasmatici mentre questa viene notevolmente modificata dal trasporto diffusivo. Infatti il
termine “Alta Efficienza” contraddistingue i dializzatori in grado di rimuovere notevoli quantità
di urea, sostanza di piccolo peso molecolare
rimossa facilmente dal trasporto diffusivo per
l’elevato gradiente tra il sangue iperazotemico
ed il dialisato totalmente privo di urea.
La pressione transmembrana, che si viene
a realizzare tra i due lati della membrana dialitica all’interno del dializzatore influisce inoltre
su entrambi i meccanismi di trasporto descritti, pertanto con l’aumentare della pressione
transmembrana aumenta proporzionalmente il
trasporto di acqua e soluti dal sangue al dialisato.
ROMA
dove: Qd = quantità del soluto trasferita
K = coefficiente di permeabilità della
membrana
Ci = concentrazione del soluto all’ingresso nel dializzatore
C0 = concentrazione del soluto all’uscita dal dializzatore
Cuf = concentrazione del soluto nel
dialisato
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Caratteristiche fisico-chimiche
della membrana
Le membrane di cellophane originate dalla
cellulosa sono costituite da unità polisaccaridiche contigue, a somiglianza della struttura della parete di una cellula batterica, e da gruppi
idrossilici.
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20
La dialisi: tecnica e clinica
Negli anni ’60 venivano utilizzate sotto forma
di fogli assemblati tra due piastre di plexiglas
(Rene artificiale di Keel) o in tubi avvolti a rotolo (Twin-Coil). Il cuprophan ed il cuprammonio
rayon, originati dalla cellulosa rigenerata, hanno consentito lo sviluppo di membrane sottili,
molto resistenti, dotate di grande permeabilità
ai soluti di piccole dimensioni (Fig. I.10).
Tabella I.7 – Tipi di membrane e composizione chimica del
materiale.
Tipo di Membrana
Composizione chimica
Cellulosa
Cellulosa rigenerata
Cuprophan
Cuprammonio rayon
Acetato di cellulosa
Diacetato di cellulosa
Triacetato di cellulosa
Hemophan
Poliacrilonitrile (PAN)
Poliammide
Polisulfone
Polimetilmetacrilato
Policarbonato
Cellulosa modificata
SEU
Cellulosa sintetica
Sintetica
Biologia della membrana di dialisi
Fig. I.10 – Diametro della sezione e spessore della parete
del singolo capillare.
Tuttavia, i gruppi idrossilici presenti sulla superficie di queste membrane innescavano l’attivazione del complemento e la produzione di
citochine, il che ha stimolato la ricerca di nuove
membrane che limitassero la reazione infiammatoria e nel contempo favorissero la clearance di soluti uremici di maggior peso molecolare.
Nelle membrane di acetato di cellulosa, costituite da polimeri di diacetato di cellulosa, venivano per la prima volta sostituiti i gruppi idrossilici con residui di acetile ed incrementata la
permeabilità all’acqua ed alle medie molecole.
Nelle membrane cellulo-sintetiche (Hemophan) i gruppi idrossilici venivano sostituiti
da gruppi amminici, mentre nuove membrane
di cellulosa modificata sono state ottenute dai
polimeri triacetati, ancora più efficienti dei polimeri diacetati.
Le membrane sintetiche realizzate nei primi
anni ’80 risultano ancora più idrofobiche delle
membrane in cellulosa rigenerata, essendo dotate di pori larghi al punto da assicurare sia la rimozione di soluti e molecole di dimensioni maggiori,
sia alti coefficienti di ultrafiltrazione, riducendo
nel contempo la reazione infiammatoria.
L’adsorbimento delle proteine plasmatiche
e la loro fissazione sulla superficie della membrana dialitica costituisce l’evento iniziale del
contatto del sangue nel corso della circolazione extracorporea.
Tale fenomeno è il risultato di forze elettrostatiche, forze idrofobiche e legame dei terminali H+ delle proteine con quelli presenti sulla
superficie della membrana.
I diversi tipi di membrane fissano differenti quantità e qualità di proteine plasmatiche.
Inoltre, l’adsorbimento delle proteine sulla superficie della membrana è invariabilmente seguito dalla fissazione sulle medesime proteine
adese alla membrana di piastrine e leucociti
responsabili a loro volta della trombogenesi e
dell’attivazione complementare.
Infatti, la presenza sulla superficie della
membrana di cariche elettriche negative favorisce il legame col fattore di Hageman (Fattore XII) che innesca l’attivazione della cascata
emocoagulativa e la conversione della protrombina in trombina. La formazione di trombina induce a sua volta l’attivazione, l’aderenza
e le modificazioni morfologiche delle piastrine.
Queste rilasciano quindi il Trombossano A2 ,
l’Adenosin Di fosfato (ADP), il fattore 4 piastrinico (PF4) e la β-tromboglobulina.
Un’ulteriore aggregazione piastrinica e degranulazione sono quindi indotte dal trombossano A2 e dall’ADP.
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Principi generali dell’Emodialisi
La trombogenesi e la formazione di coaguli
riducono progressivamente la superficie della
membrana disponibile per il trasporto dei soluti.
Tutti i tipi di membrane hanno mostrato la
capacità di formare aggregati di piastrine e leucociti, tuttavia numerosi dati della letteratura
indicano come il fenomeno sia più attivo con
l’utilizzo di membrane in cuprophan rispetto
alle membrane in hemophan o in polisulfone .
Il legame del fattore XII con il chininogeno
ad alto peso molecolare circolante (HMWK),
complessato con la precallicreina, porta alla
formazione di callicreina attivata. Una volta attivata, la callicreina è responsabile del rilascio
di bradichinina, potente vasodilatatore capace
di ridurre le resistenze periferiche arteriose e
mediare la risposta infiammatoria.
L’inibizione del sistema renina-angiotensina operato dagli ACE inibitori è stato pertanto
implicato nella patogenesi delle reazioni anafilattiche descritte nei pazienti che utilizzavano
membrane in Poliacrilonitrile ed avevano assunto ACE inibitori. Infatti, poiché l’enzima di
conversione dell’angiotensina catalizza la disgregazione della bradichinina, in presenza di
ACE inibibizione questa si accumula e si lega
alle cariche elettriche negative delle membrane
in poliacrilonitrile, generando nuova bradichinina responsabile degli effetti sopra descritti.
21
Studi condotti in vivo ed in vitro hanno dimostrato che l’esposizione del sangue alle membrane di dialisi stimola l’attivazione delle proteine della cascata emocoagulativa, l’espressione
di molecole di adesione della superficie cellulare da parte dei leucociti, delle piastrine, dei
monociti, così come la degranulazione e sequestrazione dei neutrofili.
La produzione di citochine da parte dei macrofagi e dei linfociti è stata proposta quale responsabile delle crisi acute febbrili e dell’amiloidosi osservate nei pazienti emodializzati.
L’entità della risposta infiammatoria e l’attivazione dei meccanismi cellulari sono variabili
da paziente a paziente, probabilmente dipendenti solo in parte dalle caratteristiche chimiche della membrana di dialisi. Infatti la membrana dialitica agisce da barriera nei confronti
dei batteri, ma nonostante gli sforzi per il trattamento dell’acqua, il dialisato può contenere
sia batteri che endotossine in grado di attivare
le citochine.
Le endotossine hanno un peso molecolare
sufficientemente grande da non consentire l’attraversamento della membrana, tuttavia nell’utilizzo di dializzatori high-flux può verificarsi
l’adsorbimento di frammenti di endotossine da
parte delle membrane ed il loro passaggio nel
sangue.
Questo passaggio è per lo più favorito sia
dal sottile spessore delle membrane che da
componenti strutturali in grado di realizzare una
differenza di carica elettrica tra la membrana
ed i lipolisaccaridi di origine batterica. Inoltre la
grandezza dei pori delle membrane high-flux può
consentire una retrodiffusione (backfiltration) di
endotossine dal dialisato al sangue innescando l’attivazione complementare. Tale fenomeno
viene infatti ritenuto responsabile dell’aumento
della proteina C reattiva prodotta da monociti e
macrofagi nei pazienti in dialisi cronica.
Cheung e collaboratori hanno dimostrato
che l’adesione di prodotti dell’attivazione del
complemento avviene più facilmente sulla superficie delle membrane sintetiche rispetto a
quelle cellulosiche.
La scelta di dializzatori high-flux dovrebbe
pertanto privilegiare quelli con membrane di
spessore maggiore e privi di componenti strutturali che favoriscono l’adesione dei lipolisaccaridi di origine batterica.
SEU
Biocompatibilità della membrana
Il termine “biocompatibilità” della membrana di dialisi identifica la reazione che si sviluppa nella fase del contatto del sangue con la
membrana del dializzatore, caratterizzata da
una risposta infiammatoria probabilmente dipendente dalle caratteristiche fisico-chimiche
della membrana e dal sistema immunitario del
paziente.
Kaplow e Goffiner nel 1968 descrissero
per primi una temporanea neutropenia che veniva osservata all’inizio del trattamento dialitico
eseguito con membrane cellulosiche.
Contemporaneamente Craddock descriveva l’attivazione della via alterna del complemento e come l’elevazione dei livelli sierici
delle citochine correlasse con i livelli sierici del
complemento, codificando questi due parametri quali markers della biocompatibilità delle
membrane di dialisi.
ROMA
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22
La dialisi: tecnica e clinica
Tuttavia, la biocompatibilità delle membrane
di dialisi non è l’unico fattore responsabile della
reazione infiammatoria del paziente uremico, infatti Kimmel ha dimostrato che elevati livelli di citochine erano rilevabili sia nei pazienti in emodialisi
che in quelli in dialisi peritoneale. Inoltre, elevati
livelli sierici di cellule T preattivate e di Il-2 venivano rilevate sia nei pazienti in emodialisi sia nei
pazienti con insufficienza renale cronica che non
avevano ancora iniziato il trattamento dialitico.
SEU
ADEGUATEZZA DIALITICA
Alessandro Naticchia
Dose dialitica: cenni storici
Fin dagli albori della dialisi i nefrologi hanno
sentito il bisogno di quantificare l’appropriata
dose di dialisi, concetto che ha subíto modifiche nel corso degli anni successivi.
Nei primi anni 60 aveva molta importanza il
bilancio idrico più che la rimozione di soluti.
Quindi l’interesse si è spostato sul miglioramento di segni e sintomi presenti nel paziente
uremico, dato estremamente soggettivo, quindi difficile da quantificare.
In seguito si è cercato di chiarire la patogenesi della sindrome uremica, posta in relazione a numerose sostanze, di piccole e medie
dimensioni molecolari, ritenute di volta in volta
responsabili del quadro clinico dell’uremia.
Oggi, più semplicemente, la sindrome uremica può essere considerata come la risultante dell’accumulo di acqua e varie sostanze
(soluti), che normalmente sono eliminati dal
rene, e che hanno un tossicità concentrazione
dipendente.
Già nell’800 veniva descritta un’elevata concentrazione di urea in pazienti con danno renale, che veniva pertanto considerata all’epoca la
principale tossina uremica.
Nel 1996 Vanholder e collaboratori hanno
individuato più di 40 soluti organici con PM che
varia da 60 Daltons (Urea) fino ad oltre 106 Daltons, ma solo di alcune è stata individuata una
potenziale tossicità organo-specifica (Tab. I 8).
Nel 2003 l’European Uremic Toxin (EUTox)
Work Group ha iniziato una classificazione del-
ROMA
Tabella I.8 – Alcune delle principali tossine uremiche riconosciute potenziali tossici organo-specifici(da Kidney Int.2003
Suppl.84, modificata).
Soluti di piccole dimensioni
Dimetil Arginina Asimmetrica
Benzilalcool
β-Lipotropina
Creatinina
Guanidina
Acido Guanidinoacetico
Acido Guanidinosuccinico
Ipoxantina
Malondialdeide
Metilguanidina
Mioinositolo
Acido Orotico
Ossalato
Dimetil Arginina Simmetrica
Urea
Acido Urico
Xantina
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Soluti legati alle proteine
3-Deossiglucosio
Fructoselina
Gliossale
Acido Ippurico
Omocisteina
Idrochinone
Acido Acetico
Chinurenina
Acido Chinurenico
Metilgliossale
N-Carbossimetillisina
P-Cresolo
Pentosidina
Fenolo
Acido Quinolinico
Spermidina
Spermina
Medie Molecole
Adrenomedullina
Peptide Natriuretico Striale
β2-Microglobulina
β-Endorfina
Colecistochinina
Cistatina C
Endotelina
Acido ialuronico
Interleuchina 1β
Interleuchina 6
Catene leggere Kappa
Catene leggere Lambda
Leptina
Metionina
Paratormone
Proteina legante il retinolo
Tumor Necrosis Factor α
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Principi generali dell’Emodialisi
le tossine uremiche, che sono state divise in
tre gruppi:
1. molecole solubili a basso PM, come
l’urea e la creatinina;
2. medie molecole, con PM maggiore di
500 Daltons, come la β2-microglobulina;
3. soluti a basso PM legati alle proteine.
23
manali, un target di 1000 ml/sett./litro acqua
corporea che corrispondeva all’1 dell’indice
suddetto.
Attualmente i metodi per quantificare la
dose dialitica sono basati sulla misurazione del
tasso riduzione dell’urea.
Misura della dose dialitica
SEU
Teoricamente sarebbe necessario stabilire
una dose dialitica per ognuna di queste categorie di molecole, ma attualmente solo le piccole molecole (urea) vengono usate per il calcolo della dose dialitica, essendo stati proposti
negli anni modelli cinetici per il comportamento
dell’urea e non delle altre molecole successivamente scoperte.
Nel 1971 De Palma definiva adeguato: “il
trattamento emodialitico che permette al paziente di essere pienamente riabilitato, avere
un soddisfacente stato nutrizionale, una sufficiente produzione di globuli rossi, un buon controllo pressorio e prevenire la neuropatia”.
Questa definizione non comprendeva dei
parametri oggettivamente quantificabili né
confrontabili tra loro, per cui era sentito il bisogno di stabilire dei parametri di laboratorio
misurabili e quindi confrontabili tra di loro, che
fossero utili per la quantificazione della dose
dialitica.
Gotch, che insieme al matematico Sargent
negli anni ’70 proponeva un modello per quantificare la dose dialitica diede questa definizione:
”la dialisi è una terapia empirica dell’insufficienza renale terminale, basata sul
concetto razionale che la sindrome uremica dipende dalla concentrazione dei soluti
tossici che si accumulano nell’insufficienza
renale.
Sebbene queste tossine non sono state
ancora ben identificate, l’urea è stata usata con successo come marker per definire
un’adeguata terapia dialitica, attraverso il
modello cinetico dell’urea”.
Nel 1979 Teschan propose come target di
efficienza dialitica una clearance di 3000 ml/
settimana/litro di acqua corporea.
Il punto di riferimento era un indice pari ad
1, ricavato considerando il volume di distribuzione dell’urea e, a regime di tre dialisi setti-
La definizione di Gotch riassume bene il
concetto di dose dialitica: poiché non si conoscono tutte le tossine che contribuiscono alla
sindrome uremica, la clearance dell’urea può
essere usata come riferimento per l’efficienza dialitica, in quanto la clearance delle altre
tossine non note correla in qualche modo con
quella dell’urea.
Perché è stata scelta proprio l’urea come
marker per la quantificazione della dose dialitica?
1) la sua concentrazione aumenta nell’uremia;
2) ha un basso Peso Molecolare (PM
60Da);
3) la sua diffusione tra i compartimenti è rapida e si può usare per la maggior parte
delle applicazioni un modello a singolo
compartimento;
4) il suo volume di distribuzione coincide
con l’acqua corporea totale (TBW);
5) è facilmente dializzabile attraverso qualsiasi tipo di membrana dialitica;
6) la sua concentrazione è facilmente dosabile sia nel sangue che nel liquido di
dialisi;
7) è il prodotto finale del catabolismo proteico, quindi è correlata all’intake proteico.
ROMA
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URR (Urea Reduction Ratio)
È dato dal rapporto tra la differenza di azotemia pre-dialisi e quella post-dialisi, diviso
quella pre-dialisi:
Il vantaggio di questo indice è quello di essere semplice, quindi adatto per studiare grandi popolazioni di emodializzati tuttavia non può
essere usato per definire lo stato nutrizionale
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24
La dialisi: tecnica e clinica
di un paziente (predittore indipendente di morbilità e mortalità); inoltre non prende in considerazione l’urea rimossa con l’ultrafiltrazione.
Per questi motivi le linee guida internazionali
(NKF-KDOQI) non raccomandano l’uso di questo indice per il calcolo della dose dialitica.
Kt/V
formale(UKM) il cui calcolo richiede l’ausilio di
un computer per risolvere l’equazione differenziale in cui le variabili sono:
V =volume di distribuzione dell’urea (circa
sovrapponibile al TBW)
K=valore estrapolato dal K0A (coefficiente
di tranfer dell’urea per un dato dializzatore)
G =velocità di generazione dell’urea, dal
quale si può calcolare il protein catabolic rate
(nPCR).
L’urea viene determinata all’inizio e alla fine
della prima seduta dialitica della settimana ed
all’inizio della seduta successiva.
Viene determinato il peso pre e post dialisi del primo trattamento settimanale; il tempo
di trattamento esatto in minuti del primo trattamento settimanale; la clearance effettiva del
dializzatore misurata in vivo e non quella in vitro riportata dalla casa costruttrice.
Per ovviare alla complessità computazionale del modello formale dell’urea, Daurgidas nel
1993 propose una formula di più facile applicabilità (DAURGIDAS II) che prende in considerazione l’urea rimossa con l’ultrafiltrazione e
la generazione dell’urea durante il trattamento
dialitico:
SEU
La diffusione di una molecola durante il
trattamento emodialitico segue un processo
cinetico di primo ordine, cioè: la quantità di un
soluto distribuito in un dato volume diminuisce
esponenzialmente in funzione del tempo,inoltre
il passaggio del soluto attraverso la membrana
semipermeabile è funzione del gradiente di
concentrazione.
Se si assume che il volume di distribuzione
V sia costante (UF=0) e che durante il trattamento emodialitico non viene prodotta urea,
allora la seguente formula traduce matematicamente il modello che abbiamo descritto:
dove :
Ct = concentrazione del soluto al tempo t
C0 = concentrazione del soluto al tempo 0
K = clearance dovuta al tipo di membrana
dialitica e all’eventuale funzione renale
residua
t = durata del trattamento dialitico
V = volume di distribuzione
ln =
R =
t =
UF =
W =
logaritmo naturale
BUN post dialisi/BUN predialisi
durata del trattamento dialitico
volume in litri di ultrafiltrato
peso post dialisi del soggetto
ROMA
dove il rapporto Kt/V rappresenta la clearance
dell’urea al tempo di dialisi t per unità di volume
di distribuzione e può essere calcolato teoricamente determinando la concentrazione ematica di urea al tempo 0 ed al tempo t:
Però in realtà il volume di distribuzione dell’urea non è costante poiché varia con l’ultrafiltrazione intradialitica e con l’introito di acqua
interdialitico; inoltre Ct non è dipendente solo
dalla rimozione dell’urea, ma anche dalla generazione dell’urea stessa.
Il modo più accurato per determinare il Kt/V
è dato dal cosiddetto modello cinetico dell’urea
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Questa formula è stata inclusa nelle linee
guida NKF-K/DOQI per la misurazione di scelta dell’adeguatezza dialitica, essendo l’UKM
troppo complessa pur rimanendo questo il
Gold Standard.
La formula (☼) si applica per il modello a
singolo compartimento ideato da Gotch.
Però l’urea non segue una cinetica a singolo
compartimento, come dimostrato dalla presenza di un rebound dell’urea dopo il trattamento
dialitico. Inizialmente si pensava che il rebound
potesse dipendere da un ritardato spostamento dell’urea dai compartimenti intracellulari a
quelli extracellulari. In seguito si è capito che il
rebound era invece dovuto al sequestro di urea
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Principi generali dell’Emodialisi
nei compartimenti a bassa perfusione (muscoli, pelle, osso).
Per ovviare a questo errore di stima (sovrastima del Kt/V), Garred e Canard hanno ideato
una formula per stimare il
basato sul BUN
postdialisi (modello a singolo compartimento)
e sul tempo di trattamento:
dalla massa corporea ma da qualche altro fattore ancora sconosciuto.
Sorprendentemente non è stata riscontrata nessuna interazione tra dose dialitica, età,
diabete ed altre comorbilità, suggerendo che
l’aumento della dose dialitica non prolunga la
sopravvivenza nei pazienti anziani e nei diabetici rispetto ad una coorte di dializzati senza
comorbilità.
Per quanto riguarda i trattamenti a basso o
alto flusso è emerso che il sottogruppo di pazienti con età dialitica > 3,7 anni , sottoposti a
terapia dialitica con tecnica high-flux, avevano
una diminuzione di mortalità rispetto ai pazienti
trattati con tecnica low-flux. Questo dato non
veniva però riscontrato nei pazienti con età
dialitica < 3,7 anni.
Non sono state riscontrate differenze significative neppure per outcomes secondari come:
tutte le cause di mortalità o prima ospedalizzazione per motivi cardiaci, tutte le cause di mortalità o prima ospedalizzazione per infezioni,
tutte la cause di mortalità o primo declino dei
valori di albumina.
Veniva rilevata tuttavia una riduzione del
20% di mortalità cardiovascolare nel gruppo
sottoposto a trattamento high-flux.
Riassumendo, da questo grande trial si può
dedurre che l’aumento della dose dialitica o il
trattamento con metodiche high-flux non migliora la mortalità per tutte le cause, nell’intera
popolazione studiata (1846 pazienti).
Tuttavia in alcuni sottogruppi (donne, pazienti con età dialitica >3,7 anni), una dose dialitica maggiore o l’uso di metodiche high-flux
conseguivano un miglioramento del rischio di
mortalità.
SEU
calcolato con la formula (☼).
HEMO study
25
HEMO study è un trial prospettico randomizzato, multicentrico disegnato per studiare gli effetti della dose dialitica e del flusso di
membrana (membrane ad alto e basso flusso)
sulla morbilità e mortalità dei pazienti in trattamento emodialitico.
I pazienti sono stati randomizzati usando
una matrice 2 x 2 secondo i seguenti parametri: dialisi a dose standard (Kt/V equilibrato;
eKt/V) di 1,05 e dialisi ad alta dose dialitica,
1,45 e flusso di membrana basso (low flux) o
alto (high-flux), avendo come outcome primario la mortalità per tutte le cause.
Al termine dello studio non sono emerse
significative differenze, per tutte le cause di
mortalità, tra i pazienti trattati con emodialisi a
dose standard e a dose elevata, e a basso o
alto flusso.
Sono emersi dei dati interessanti valutando
le interazioni statistiche fra il tipo di trattamento dialitico e le sette caratteristiche prestabilite per i pazienti: età, sesso, razza, diabete
mellito, età dialitica, comorbidità (secondo lo
score ICED, e la concentrazione di albumina
sierica).
La sola variabile che correlava con la dose
dialitica era il sesso; le donne sottoposte a trattamenti ad alta dose dialitica (Kt/V=1,45) avevano un tasso di mortalità minore, differenza
non riscontrata tra gli uomini.
Sembrerebbe che il motivo del differente
comportamento tra i due sessi non dipenda
ROMA
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Dialisi intermittente di lunga durata
La lunga durata del trattamento dialitico è
stata attivata in Francia da Tassin, articolata su
trattamente dialitici di 8 ore a giorni alterni.
I risultati della dialisi di lunga durata hanno
dimostrato come questo trattamento si associ
ad un buon controllo pressorio e ad una buona
sopravvivenza, al contrario di un trattamento
emodialitico breve che può influenzare negativamente il controllo della volemia, della pres-
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26
La dialisi: tecnica e clinica
sione arteriosa, ed in ultima analisi dell’outcome dei pazienti emodializzati.
Dialisi notturna
La dialisi quotidiana, eseguita di notte a
domicilio del paziente, venne proposta per la
prima volta da Robert Uldall nel 1994 in Canada.
Il razionale era basato sulle caratteristiche
di efficacia e tollerabilità dei trattamenti continui eseguiti in terapia intensiva. La dialisi notturna, tuttora in uso, viene programmata su 6
o 7 giorni la settimana, variando dalle 6 alle 10
ore per trattamento, con un flusso sangue di
250 mL/min ed un flusso del dialisato di 300
mL/min. Vengono utilizzati dializzatori di superficie variabile da 0,7 a 1,7 m2.
La composizione del dialisato è la seguente:
Na 140 mEq/L
K 2 mEq/L
Bicarbonato da 28 a 35 mEq/L
Ca 3 - 3,5 mEq/L.
In alcuni pazienti è necessaria l’aggiunta di
fosfato al bagno dialisi allo scopo di prevenire
un’ipofosfatemia. In considerazione dell’aumentata frequenza dei trattamenti dialitici viene raccomandato l’uso di acqua demineralizzata “ultrapura”, inserendo un apposito filtro a
monte del monitor di dialisi.
La dialisi notturna è risultata particolarmente indicata nei pazienti cardiopatici, nei pazienti con instabilità emodinamica ed in quelli con
ascite. Dalla maggior parte dei pazienti trattati
è stato riferito un netto miglioramento dello stato di benessere e della forza muscolare.
SEU
TECNICHE AD ALTA EFFICIENZA CONVETTIVE E DIFFUSIVO-CONVETTIVE
Luigi Iorio, Paolo Ghezzi, Sandro De Angelis, Giuseppe Nacca, Gennaro Iengo
Lo sviluppo delle diverse tecniche di dialisi
è derivato dalla necessità di raggiungere i principali obiettivi della terapia sostitutiva :
• Una correzione ottimale dell’acidosi uremica
• La rimozione di un ampio range di soluti
ematici
• La riduzione dei tempi di trattamento
• Una soddisfacente stabilità emodinamica intradialitica
• La migliore biocompatibilità del circuito
extracorporeo
Le tecniche di dialisi, a seconda del tipo di
meccanismo di trasporto dei
soluti utilizzato, comprendono:
• Emodialisi (HD)–trasporto per diffusione
• Emofiltrazione (HF)-trasporto per convezione
• Emodiafiltrazione (HDF)–trasporto per
diffusione + convezione
La quantità dei soluti rimossi dalla tecnica
dialitica utilizzata definisce invece l’efficienza
della dialisi, espressa dal coefficiente di rimozione dell’urea: KoA urea.
L’aumento dell’efficienza dialitica si ottiene
in primo luogo aumentando la superficie della
membrana di dialisi (>1,5 m2) al fine di ottenere un valore di KoA urea > 450 ml/min, che
ROMA
Cap_01.indd 26
Tabella I.9 – Caratteristiche tecniche della dialisi ad alta
efficienza.
Membrana
Cellulosica ad ampia superficie
(> 1.5m2)
Tampone
Bicarbonato
Flusso dialisi
~ 500 ml/min
Flusso sangue ≥ 300 ml/min
UF
Solo calo ponderale
Durata
< 4 ore
Apparecchiatura Come per bicarbonato convenzionale
01/10/2007 12.03.44
Principi generali dell’Emodialisi
27
SEU
Fig. I.11 – L’evoluzione delle tecniche dialitiche dal prototipo del rene di Kolff sino ad oggi.
corrisponde in vivo ad una urea clearance di
200 mL/min. In secondo luogo, la sostituzione delle membrane tradizionali cellulosiche
con membrane sintetiche ad alta permeabilità
(membrane “High-Fux), migliora ulteriormente
l’efficienza dell’emodialisi tradizionale.
I vantaggi della dialisi ad alta efficienza
sono principalmente rappresentati da:
• riduzione dei tempi di trattamento;
• ampio range di rimozione di tossine uremiche, come la β2 microglobulina.
Mentre gli svantaggi sono costituiti da:
• rischio di insorgenza della sindrome da
squilibrio osmotico;
• rischio di back-filtration (insorgenza di
reazioni pirogeniche);
• necessità di flussi ematici piuttosto elevati.
ove l’allontanamento dei soluti avviene, come
in fisiologia, senza discriminazione della taglia
molecolare, fino al cut-off della membrana (limite massimo di peso molecolare dei soluti
che possono attraversare la membrana).
In questa tecnica la funzione tubulare viene, invece, mimata dalla reinfusione, in postdiluizione e/o prediluizione con liquidi sterili
ed apirogeni a composizione controllata, che
compensano qualitativamente e quantitativamente la sottrazione di acqua plasmatica.
ROMA
L’emofiltrazione
L’emofiltrazione, fra i trattamenti sostitutivi
dell’insufficienza renale, rappresenta la migliore imitazione della funzione glomerulare.
Essa è basata sul principio della convezione,
Cap_01.indd 27
Storia
Questa tecnica, già conosciuta dal 1947,
nel 1967, con la produzione di nuove membrane ad alta permeabilità idraulica, fu applicata
sperimentalmente da Henderson, Quellhorst et
al. nel trattamento di uremici con ultrafiltrazione di elevati volumi di acqua plasmatici, reintegrati dall’infusione di soluzioni saline sterili.
La sua storia può essere definita da tre differenti fasi:
– una prima fase intorno alla seconda
metà del 1980, caratterizzata da un
grosso entusiasmo basato sulla similari-
01/10/2007 12.03.44
28
La dialisi: tecnica e clinica
tà con la filtrazione glomerulare. Questa
nuova terapia conservativa fu creduta la
panacea della dialisi. Nel 1982 fu fondata persino una società scientifica dedicata alla HF. Nel 1984 il registro dell’EDTA
mostrava un 2,2% della popolazione
dializzata trattata con HF;
– una seconda fase di declino, successiva, in cui l’entusiasmo verso l’HF si spegneva. L’HF veniva considerata costosa
per l’utilizzo di importanti quantità di volumi ed infusioni, nonché tecnicamente
complessa. I benefici erano sicuramente
evidenti, ma il clima della dialisi in quei
tempi non era favorevole alla terapia
convettiva. La bicarbonato dialisi e l’eritropoietina, largamente usate, rendevano migliore la qualità di vita, e l’uso di
membrane ad alto flusso rendeva possibile rimuovere maggiori quantità di soluti
anche in emodialisi;
– una terza fase coincide con la terza decade di HF. L’introduzione in commercio di sistemi di trattamento, mediante i
quali è possibile l’utilizzo di alti volumi di
infusione on-line in prediluizione, risolve i problemi del basso flusso, dell’urea
clearance e della viscosità. Più recentemente l’utilizzo del bicarbonato come
tampone ha creato un rinnovato interesse in HF, che può trovare conferma nel
lieve ma costante incremento del numero dei pazienti trattati con tale tecnica.
Principi fisici
SEU
La clearance convettiva di un soluto è definita dal prodotto del flusso di ultrafiltrazione
per il coefficiente di sieving della membrana.
Il coefficiente di sieving (o di setacciamento) esprime la capacità di un soluto di attraversare i pori della membrana. Il suo valore va da
0, per i soluti che non attraversano la membrana, a 1 per quelli che passano liberamente.
Tutte le membrane da dialisi ad esempio hanno S = 1 per l’urea ed S = 0 per l’albumina.
ROMA
I meccanismi di trasporto di acqua e/o soluti attraverso una membrana semipermeabile
si basano su due principi fisici fondamentali:
convezione e diffusione.
La diffusione è un processo di trasporto
passivo di soluto attraverso una membrana semipermeabile, dovuto al gradiente di concentrazione chimica.
Le molecole di soluto, per effetto di movimenti causali, tendono ad occupare tutto lo
spazio ad esse a disposizione. La risultante
netta di questo movimento causale è un passaggio da una zona a più elevata concentrazione ad una zona a minore concentrazione
chimica (Legge di Fick).
Cap_01.indd 28
Le molecole attraversano la membrana in
funzione della loro dimensione e di quella dei
pori della membrana. In questo processo non
c’è trasporto di acqua.
La convezione è un processo di trasporto
simultaneo di soluti ed acqua attraverso una
membrana semipermeabile ed è dovuto al gradiente di pressione di transmembrana.
Le molecole d’acqua attraversano la membrana semipermeabile (ultrafiltrazione) in funzione di:
• TMP (pressione di transmembrana);
• Km (coefficiente di permeabilità idraulica della membrana);
• A (superficie della membrana).
I soluti sono trascinati dall’acqua attraverso la membrana e la oltrepassano in funzione
della loro dimensione e di quella dei pori della
membrana.
La clearance è il termine clinico che descrive il trasporto dei soluti, rappresenta la
quantità di sangue completamente depurata o
riequilibrata rispetto ad un determinato soluto
nell’unità di tempo, e si esprime in ml/min.
A differenza della diffusione ove si assiste
ad una progressiva riduzione della clearance
01/10/2007 12.03.45
Principi generali dell’Emodialisi
29
Tabella I.10 – Il trasporto di soluti tramite convezione è regolato dalla legge di Staverman ed è dovuto al gradiente di
pressione transmembrana.
SEU
con l’aumento del peso molecolare dei soluti,
in convezione le clearance sono relativamente
costanti per poi azzerarsi bruscamente oltre un
determinato limite di peso molecolare. Poiché
nell’emofiltrazione il volume/minuto di ultrafiltrato è limitato, ed è inferiore alla clearance
diffusiva dell’urea della dialisi standard, si dice
comunemente che la clearance convettiva dei
piccoli soluti è inferiore di quella diffusiva, mentre più elevata è la clearance dei soluti di alto
peso molecolare.
La clearance è tanto maggiore quanto più
elevati sono il volume dell’ultrafiltrato e il coefficiente di Sieving.
Il volume minuto dell’ultrafiltrato dipende
dalle caratteristiche dell’emofiltro, da parametri
operativi e dalle peculiarità del sangue trattato.
Le caratteristiche dell’emofiltro derivano dalle dimensioni della superficie, dalla permeabilità idraulica e dalla conformazione strutturale.
I parametri variabili, sono rappresentati dalla pressione di transmembrana (TMP) e dal
flusso ematico.
Poiché la Puf (pressione ultrafiltro) è negativa, dovuta alla pompa di aspirazione, essa
apporta un contributo positivo alla pressione di
filtrazione. Aumentando il TMP il valore dell’ul-
trafiltrato aumenta proporzionalmente fino ad
un valore limite oltre cui ogni aumento del TMP
non sortisce alcun effetto. Pertanto vi è una
fase iniziale in cui il fattore limitante la TMP è
dato dalla permeabilità della membrana, successivamente lo stesso è limitato dallo strato
di cellule e proteine che si concentrano sulla
superficie della membrana limitando l’ultrafiltrazione. In questa fase un aumento del volume di ultrafiltrato può essere ottenuto solo con
l’aumento del flusso ematico determinante per
ottenere clearance elevate.
Quando la TMP è elevata la concentrazione
delle proteine sulla membrana supera il limite
di solubilità e dà luogo alla formazione di un
gel proteico (protein cake) sulla parete interna del capillare. Lo spessore di questo strato
è inversamente proporzionale alla velocità del
flusso ematico nel capillare del filtro. Pertanto per aumentare questa mobilizzazione delle
proteine stratificate sulla membrana e quindi
l’ultrafiltrato occorre aumentare il Qb o ridurre il
diametro delle fibre.
La concentrazione delle proteine plasmatiche esercita un’influenza negativa sulla formazione dell’ultrafiltrato, il cui flusso si riduce
proporzionalmente all’aumento della concen-
ROMA
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30
La dialisi: tecnica e clinica
trazione stessa, con un più rapido raggiungimento del plateau.
Anche la composizione qualitativa delle
proteine ha un ruolo importante, in quanto le
proteine di più grosse dimensioni, diffondendo
più lentamente ostacolando maggiormente la
formazione di ultrafiltrato. Alle lipopoproteine,
in particolare, vengono attribuite diversità di
flusso di ultrafiltrato osservate tra pazienti con
sovrapponibili valori di protidemia ed ematocrito.
I globuli rossi aumentando le velocità di
flusso laminare sulla membrana facilitano il distacco delle proteine dalla membrana. Tuttavia
per valori di ematocrito superiori al 25% l’influenza dei GR è negativa e la formazione di
ultrafiltrato è inferiore. L’aumento dell’ematocrito determina infatti reciproche interferenze fra i
GR riducendone i movimenti che aumentano il
coefficiente di retrodiffusione delle proteine.
SEU
Fig. I.12 – Modalità di reinfusione dei liquidi : in prediluizione o in postdiluizione.
e dalla sua composizione. Solitamente i parametri del trattamento sono fissati per raggiungere una velocità di infusione pari all’80-120%
del flusso sangue.
Postdiluizione
Tecniche
In questa tecnica convettiva gli elevati volumi di acqua plasmatici ultrafiltrati, vanno reintegrati dall’infusione di soluzioni saline sterili e
apirogene.
Il volume di sostituzione richiesto (Vi) è pari
alla differenza tra il volume di ultrafiltrato totale
ed il volume del liquido in eccesso da sottrarre
al paziente nel corso del trattamento.
L’infusione di questi liquidi può avvenire in
pre ed in post-diluizione.
Nella postdiluizione il sangue del paziente
arriva all’emofiltro ove viene ultrafiltrato e concentrato per mezzo di una pompa in aspirazione che esercita sulla membrana una pressione
negativa. L’infusione di liquidi di sostituzione
avviene all’uscita dell’emofiltro in una camera
posta sulla linea venosa, ove il sangue viene riportato al volume iniziale meno il calo peso desiderato. La velocità massima di ultrafiltrazione
è in genere intorno al 30% del flusso sangue. In
tale condizione il sangue si concentra all’interno dell’emofiltro al punto in cui non è più possibile aumentare la velocità di UF. L’ematocrito
e i livelli di proteine e lipidi nel plasma fissano
questo limite per la capacità di ultrafiltrazione.
Per cui nell’HF in post-diluizione possono essere necessari una velocità di flusso sangue elevata e/o un tempo più lungo del trattamento, al
fine di raggiungere la dose dialitica desiderata.
ROMA
Prediluizione
In questa modalità il sangue viene diluito
con un volume di soluzioni sterili ed apirogene,
prima di giungere all’emofiltro, dove a seguito
dell’ultrafiltrazione, viene riportato al suo volume iniziale, meno il calo peso programmato. La velocità di infusione e di ultrafiltrazione
sono collegate tra loro e vengono determinate
più dalla capacità di ultrafiltrazione della membrana che non dalla velocità del flusso sangue
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Parametri di trattamento
Dose dialitica in HF
Applicando l’indice dialitico di Gotch, un Kt/
V di 0,9 – 1, inadeguato in emodialisi, risulta
sufficiente a fornire una buona depurazione in
emofiltrazione.
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Principi generali dell’Emodialisi
Volume di ultrafiltrazione
Per i piccoli soluti, per i quali la membrana
dell’emofiltro è assolutamente permeabile, il
volume di acqua plasmatica ultrafiltrata determina la clearance globale. In modalità prediluizione deve essere preso in considerazione
anche il fattore di diluizione QB/(QB+Qinf); quando il sangue è diluito con la stessa quantità di
liquido di sostituzione, l’ultrafiltrato viene diluito nella stessa misura. Nel caso in cui Qinf sia
uguale a QB, la clearance è metà dell’ultrafiltrazione. Così, per raggiungere un Kt/V dell’urea
di 1.0 in HF in prediluizione, il volume totale
di UF deve essere di circa due volte il volume
di distribuzione dell’urea, oppure 110-120% il
peso corporeo. In post diluizione il valore corrispondente di UF è 55-60 % il peso corporeo.
Emofiltro
31
L’emofiltrazione in postdiluizione è un trattamento volume-dipendente e non tempo-dipendente, in quanto la sessione ha termine
quando viene raggiunto un determinato volume
di ultrafiltrato. La durata del trattamento non è
prevedibile per tutti i motivi precedentemente
descritti.
Il flusso ematico è un parametro condizionante e l’ultrafiltrazione massima non supera il
50% del flusso plasmatico.
Con un flusso ematico di 400 ml/min ed una
filtrazione media inferiore solo del 10% della
massima teorica, la durata del trattamento per
un paziente di 70 Kg è superiore alle 5 ore.
SEU
Per soluti più grandi, quali la β2-microglobulina (β2-m), la proprietà di filtrazione della
membrana diventa un fattore addizionale determinante della clearance. Il coefficiente di filtrazione che indica la permeabilità della membrana ai soluti, varia nelle singole membrane
ma può anche variare a seconda della durata
del trattamento e della velocità dei flussi applicata.
Per l’emofiltrazione in prediluizione l’emofiltro deve avere una membrana ad alto flusso con una elevata capacità di UF. Inoltre la
superficie della membrana deve essere grande. La membrana dovrebbe anche mostrare
un coefficiente di sieving elevato e stabile per
soluti della grandezza della β2-m o superiore,
ed infine, essere pressoché impermeabile all’albumina.
Velocità del flusso sangue
Se tutti i parametri restano invariati, la clearance nell’HF in prediluizione aumenta con
l’incremento della velocità del flusso sangue.
L’effetto sulla clearance diviene ancora più
marcato con un concomitante aumento del volume di infusione, a generare maggiore ultrafiltrazione.
Nell’HF in post-diluizione, una velocità del
flusso sangue elevata offre maggiori possibilità di ultrafiltrazione; si può raggiungere una
maggiore UF prima che l’emoconcentrazione
la limiti.
Nella figura I.13 si nota come la clearance
dell’urea in HF in prediluizione rimane stabilmente più elevata rispetto alla HF in post-diluizione e come il Qb abbia maggior importanza
nella post rispetto alla pre-diluizione.
Nella figura I.14 il grafico indica il rapporto
tra volume da reinfondere e peso corporeo in
funzione del Kt/V dell’urea.
ROMA
Durata del trattamento
In genere un trattamento di HF in modalità
di prediluizione dura 3,5 – 4,5 ore.
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Fig. I.13 – Clearance dell’urea in emofiltrazione (stabilmente
più elevata in prediluizione rispetto alla HF in postdiluizione.
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32
La dialisi: tecnica e clinica
Il bilancio sodico, meno negativo che in
emodialisi per la formazione di un ultafiltrato
iponatriemico rispetto al plasma, determina
un maggiore potere osmotico di quest’ultimo
che richiamando acqua dal compartimento intracellulare (refilling) determina un compenso
della riduzione del volume plasmatico.
Anche se alcuni autori avrebbero dimostrato non significative differenze nel bilancio sodico fra le tecniche diffusive e convettive, comunque risulta sempre una maggiore stabilità
emodinamica. Pertanto altri fattori non dimostrati dovrebbero intervenire, tra questi si può
ipotizzare una rimozione di soluti vasoditatativi
fra cui il fattore natriuretico intratriale.
Sicuramente un’origine multifattoriale è alla
base della maggiore stabilità emodinamica di
questa tecniche convettiva che determinando
una rimozione di fluidi più adeguata e meno
sintomatica migliora anche il controllo dell’ipertensione arteriosa. Altri aspetti di questa tecnica sono:
• una maggiore l’eliminazione di soluti
quali la β2-microglobulina con un’estrazione media di 120/140 mg/m2/seduta
(produzione media giornaliera di circa 3
mg/kg/die);
• un bilancio del calcio legato alla quantità contenuta nel bagno ed all’entità dell’UF;
• una rimozione di potassio maggiore in
post che in prediluizione, ma comunque
in minor misura rispetto all’emodialisi;
• un guadagno di basi più rapido ed intenso nei trattamenti on-line con tampone
bicarbonato, ma senza conferma della
SEU
Fig. I.14 – Emofiltrazione in prediluizione: rapporto tra il
volume da reinfondere ed il peso corporeo in funzione del
Kt/V dell’urea.
Nelle Tabelle I.11 e I.12 si riportano i principali parametri tecnici della emofiltrazione utilizzati negli studi più recenti:
Indicazioni della tecnica
L’elevata stabilità emodinamica e la riduzione della sintomatologia intra e postdialitica
sono l’indice di superiorità della emofiltrazione
rispetto all’emodialisi tradizionale.
Come per l’ultrafiltrazione isolata anche in
emofiltrazione il paziente mantiene le capacità di aumentare il tono simpatico, adattandosi
all’ipovolemia provocata dalla sottrazione di
liquidi. In HF il mantenimento di buoni valori pressori è legato ad un aumento dei livelli
plasmatici di noradrenalina e delle resistenze
periferiche.
ROMA
Tabella I.11 – Principali parametri tecnici e risultati dell’emofiltrazione.
Post HF
Pre-HF
Qb
(ml/min)
OUF
(ml/min)
Vol UF
(L) seduta
K urea
(ml/min)
∆ β2 – m
Emofiltro
Superficie m2
400
400
164
317
29
57
157
162
- 66 %
-71%
2 – 2,1
1,8 - 2
Tabella I.12 – Composizione e quantità reinfusato (mmol/l).
Na
139-140
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K
1,8-2
Cl
109,2
Ca
1,6-1,7
Mg
0,49
HCO3
31,5-33,7
Acetato
5,34
Glucosio Ratio Infusioni/peso secco
5,33
1,15 – 1,25 in preHF
0,60 in postHF
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Principi generali dell’Emodialisi
maggior efficacia sull’acidosi metabolica
rispetto all’emodialisi;
• una migliore risposta immune con riduzione di IL6 ed TNFα;
• una riduzione degli AGEs, mioglobina,
osteocalcina, TNFα, omocisteina, Dimetilarginina asimmetrica (ADMA);
• una perdita di albumina da 2 a 20 g sessione che non determinano effetti negativi sullo stato nutrizionale;
• maggiore rimozione di molecole inibitorie dell’eritropoiesi con miglioramento
dell’anemia e minori dosi di epo.
Alla luce di quanto sopra tali tecniche convettive trovano indicazione in pazienti con instabilità vascolare come gli anziani, i diabetici, i
cardiopatici con ischemia, con disfunzioni cinetiche e con aritmie, inoltre soggetti con osteopatie ed amiloidosi dialitica.
L’emofiltrazione continua è stata utilizzata
come terapia acuta nella grave insufficienza
cardiaca (II – IV classe NYHA) già nel 1987 e
nel 1997 contava almeno 400 pazienti trattati
in paesi Europei e non Europei con trattamenti
che potevano sottrarre da 2 a 40 kg di fluidi con
durata per singolo trattamento che andavano
da 2 ore a 126 ore.
In altre esperienze il trattamento veniva
utilizzato non in modo acuto ma in maniera
ripetitiva nelle anurie refrattarie alla terapie
33
diuretiche. Queste esperienze utilizzavano
trattamenti giornalieri con reinfusato in post-diluizione di circa 10 litri e una ultrafiltrazione di
12 litri con effettiva perdita di circa due chilogrammi di liquidi al giorno.
L’introduzione in commercio di sistemi di
trattamento in cui è possibile l’utilizzo di alti
volumi di infusione on-line in prediluizione ha
ridotto il ricorso alla HF in post-diluizione e
recentemente con le l’utilizzo del bicarbonato
come tampone ha creato un rinnovato interesse in HF, che è convalidata da un aumento dei
pazienti trattati.
SEU
L’emodiafiltrazione
L’emodiafiltrazione (HDF) è la metodica basata sulla combinazione dei trattamenti diffusivi (Emodialisi: HD) e convettivi (Emofiltrazione:
HF).
Le tecniche di emodiafiltrazione nel corrente uso clinico comprendono: HDF standard
(Fig.I.15), HDF on-line (Fig. I.16), PFD (Fig.
I.17), HFR on-line (Fig. I.20), AFB (Fig. I.24).
I vantaggi della metodica mista derivano
principalmente da:
• l’utilizzo di membrane biocompatibili;
• la biocompatibilità del circuito extracorporeo;
ROMA
Fig. I.15 –
Schema della tecnica
HDF.
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34
La dialisi: tecnica e clinica
SEU
Fig. I.16 – Schema della tecnica HDF
con reinfusione in postdiluizione.
• la correzione ottimale dell’acidosi uremica;
• la personalizzazione del trattamento;
• la riduzione dei tempi di trattamento;
• la maggiore stabilità del sistema cardiovascolare.
Associando i due sistemi di trasporto transmembrana l’HDF ottiene infatti una migliore
rimozione di tossine uremiche di medio-alto
peso molecolare (quando paragonata alla HD)
e di piccolo peso molecolare (quando paragonata alla HF) .
Tuttavia, il trasferimento di soluti ottenibile
in HDF non è dato dalla somma della diffusione e della convezione dal momento che per un
soluto diffusibile come l’urea, la coesistenza
dei due processi nella stessa membrana provoca un’interferenza negativa.
Il trasporto convettivo dei soluti di piccolo
peso molecolare viene infatti inibito proprio dal
contemporaneo trasporto diffusivo.
Pertanto, la K convettiva (Kconv) è calcolabile mediante l’ equazione:
Cbi = concentrazione ematica del soluto in
ingresso filtro.
Ne consegue che: quanto più basso è il
valore di Cbo rispetto a Cbi (cioè quanto più
elevata è la K diffusiva di un filtro), tanto più
risulterà < 1 il loro rapporto.
Elevate quote di Quf, entro i limiti consentiti
dal flusso ematico (Qb), dall’ ematocrito (Hct),
dalle proteine totali (TP) e dalla frazione di filtrazione (ff), migliorano la resa depurativa rendendo però indispensabili idonee quantità di
soluzioni di reinfusione.
Normalmente si reinfondono, in postdiluizione, dai 10 ai 20 litri di sacche ready-to-use
prodotte dall’industria farmaceutica (Fig. I.16).
Tuttavia la reinfusione pone i seguenti problemi:
• connessioni ripetute alle linee ematiche,
• stoccaggio delle sacche;
• costi del materiale e degli ambienti di
stoccaggio.
Si comprende pertanto il successivo ricorso
a sistemi alternativi di produzione del liquido di
infusione, prelevato direttamente dall’impianto
di osmosi del centro dialisi, reso sterile ed ultrapuro dall’azione di 2 o più filtri posti a monte
del monitor di dialisi (Fig. I.17).
La soluzione di infusione così prodotta può
essere utilizzata in prediluizione, in postdiluizione o in modo combinato.
ROMA
dove:
Quf = portata di ultrafiltrazione
Cbo = concentrazione ematica del soluto in
uscita filtro
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Principi generali dell’Emodialisi
35
SEU
Fig. I.17 – Schema del trattamento HDF on line.
L’elevata biocompatibilità della soluzione di
infusione è testimoniata dalla ridotta attivazione
del sistema immunitario del paziente. Tuttavia,
sussiste il problema della certezza di sterilità e
apirogenicità delle soluzioni prodotte on-line, dal
momento che i risultati dei controlli programmati
o estemporanei (culture, Limulus Amebocyte Lisate [LAL]) sono ovviamente disponibili solo in
tempi successivi al trattamento dialitico.
La sicurezza dell’effettiva qualità dei liquidi
di reinfusione non può essere dunque garantita ma solo statisticamente presunta. L’ottimizzazione dell’HDF deve pertanto risolvere i
seguenti problemi:
• interferenza diffusione/convezione;
• difficoltà operative e costi del trattamento;
ROMA
Fig. I.18 – PFD schema della metodica.
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36
La dialisi: tecnica e clinica
SEU
Fig. I.19 – Rigenerazione e reinfusione dell’ultrafiltrato.
• garanzia di qualità della soluzione di
reinfusione preparata on-line.
Allo scopo di migliorare l’efficienza depurativa dell’HDF eliminando l’interferenza diffusione/convezione, Ghezzi e collaboratori nel 1983
hanno proposto di utilizzare separatamente la
diffusione e la convezione.
La nuova tecnica era basata infatti su di un
sistema a doppia camera composto da due filtri in serie, il primo costituito da una membrana
sintetica ad alta permeabilità idraulica per l’allontanamento convettivo dei soluti, il secondo
da una membrana cellulosica ad alta permeabilità diffusiva e bassa permeabilità idraulica
per l’allontanamento diffusivo dei soluti e il
controllo del peso del paziente.
Fra i due settori del doppio filtro veniva reinfusa una soluzione di sostituzione in quantità
pari al Quf, in modo da ricostituire il Qb effettivo.
Il metodo, definito Paired Filtration Dialysis
(PFD), evita l’interferenza fra convezione e diffusione minimizzando il rischio di backfiltration
a livello del secondo filtro e assicurando una
disponibilità continua di ultrafiltrato non mescolato con la soluzione dializzante.
Tali caratteristiche garantiscono l’efficacia di
questo trattamento depurativo nei confronti dei
soluti sia a basso che a medio-alto peso molecolare associata a un’alta tolleranza clinica.
La disponibilità continua di ultrafiltrato caratteristica della PFD, ha suggerito l’ipotesi di
una sua utilizzazione, dopo opportuna “rigenerazione”, come liquido di reinfusione “endogeno”, nel tentativo di risolvere i problemi relativi
all’utilizzazione di soluzioni in sacca preparate
dall’industria o alla preparazione on-line a partenza dalla soluzione dializzante.
Nel 1992 è stato dunque messo a punto un
sistema di “rigenerazione” a circuito chiuso,
costituito da una cartuccia contenente 130 ml
di carbone non ricoperto, inserita sul circuito di
ultrafiltrazione.
La metodica, denominata Hemo Filtrate
Reinfusion (HFR) e schematizzata nella Figura
I.20, rappresenta una HDF con liquido endogeno che ha dato risultati positivi non solo dal
punto di vista operativo ma anche da quello clinico, permettendo un miglioramento ulteriore
della tolleranza della seduta emodialitica, correlato probabilmente, fra l’altro, a un ottimale
bilancio dei bicarbonati, alla diminuzione dello
stimolo infiammatorio legato alla purezza della
soluzione di reinfusione.
ROMA
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Disegno del circuito idraulico dell’HFR standard
Il sistema a doppia camera consiste in 2 filtri
posti in serie. Il primo è un emofiltro in polisul-
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Principi generali dell’Emodialisi
37
SEU
Fig. I 20 – HFR standard.
fone ad alta permeabilità di 0,5 mq, il secondo
è un filtro a bassa permeabilità di 1,9 mq. Il
sangue viene prima ultrafiltrato e successivamente depurato.
L’HDF con tecnica HFR è stata ulteriormente perfezionata con la messa a punto di una
cartuccia rigenerante ad adsorbimento integrato, contenente 20 ml di resina a interazione
idrofobica e 120 ml di carbone minerale non
ricoperto, sterilizzata a vapore umido.
L’ultrafiltrato prodotto dall’emofiltro attraversa una cartuccia contenente carbone e resina,
nella quale verranno adsorbite solo alcune sostanze. Successivamente l’ultrafiltrato viene
reinfuso all’ingresso del secondo filtro dove
verrà ulteriormente depurato delle sostanze
che non sono state adsorbite.
ROMA
Fig. I 21 – HFR on-line, caratteristiche della cartuccia sorbente Selecta Plus.
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38
La dialisi: tecnica e clinica
La resina adsorbe le seguenti sostanze:
• β2-microglobulina;
• omocisteina;
• cisteina;
• glutatione (ossidato e ridotto);
• peptidi ad attività vasodilatatoria;
• aminoacidi (in quantità minima rispetto
alle membrane di dialisi);
il carbone adsorbe a sua volta:
• creatinina;
• acido urico;
• tossine uremiche a basso peso molecolare (identificabili con HPLC in fase inversa) [30];
• Ca++ (solo nei primi 5-15 min di trattamento);
• glucosio (nei primi 60-90 min).
no, passa nel corso della dialisi dal comparto
del dialisato al sangue, svolgendo la funzione
tampone. La scelta dell’acetato come tampone
nel bagno dialisi era dovuta alle seguenti caratteristiche:
• basso peso molecolare della sostanza;
• stabilità della sostanza in soluzione concentrata;
• rapido metabolismo;
• permanenza in soluzione degli ioni Ca++
e Mg++. È stato però successivamente
dimostrato che l’acetato presenta numerosi effetti clinici negativi;
• Graefe et al. hanno rilevato che, usando
membrane ad elevata superficie dializzante, si ha una brusca riduzione intradialitica del pH e della bicarbonatemia
nel paziente, con successivo aumento
circa una/due ore dopo il termine della
seduta dialitica.
Inoltre, esiste una soglia di metabolismo
degli acetati, oltre la quale la sostanza non
segue più la via che porta alla formazione dei
bicarbonati, ma innesca processi diversi, come
quello del metabolismo lipidico, potendo così
causare dislipidemia nel paziente.
Gli ulteriori effetti negativi derivanti dall’uso
dell’acetato sono evidenziati nella Figura I.22.
La valutazione dei numerosi effetti collaterali, che si accentuano in metodiche dialitiche ad
alta efficienza, ha indotto, a partire dagli anni
‘80, all’utilizzo del bicarbonato come tampone.
La correzione dell’EAB avviene pertanto
esclusivamente mediante l’infusione, in postdiluizione, di una soluzione sterile di bicarbonato di sodio (NaHCO3).
Il fatto che il dialisato sia completamente
privo di tampone fa sì che in AFB i meccanismi
SEU
Urea, Na+, K+, fosfati e bicarbonati non vengono adsorbiti e rimangono pertanto presenti
nell’ultrafiltrato all’uscita dalla cartuccia.
In particolare, i bicarbonati presenti nell’ultrafiltrato, non subendo variazioni a livello della
cartuccia adsorbente, vengono reinfusi come
tampone fisiologico “endogeno”.
A tale proposito occorre sottolineare che
il liquido di reinfusione ottenuto dopo la “rigenerazione” non contiene acetato o lattato, che
sono entrambi presenti nelle sacche precostituite in commercio o nelle soluzioni preparate
on-line a partire dal dialisato.
L’ultrafiltrato così rigenerato a circuito chiuso costituisce pertanto una soluzione di reinfusione “endogena” sterile, ultrapura, contenente
i bicarbonati e gli aminoacidi originali del paziente.
Il rilascio di particelle e metalli pesanti rispetta le normative vigenti.
ROMA
Acetate free biofiltration (AFB)
L’AFB è una Emodiafiltrazione basata principalmente sull’utilizzo di un bagno dialisi completamente privo di tampone acetato, sterile e
apirogeno.
L’aggiunta di acetato di sodio (CH3COONa)
nel bagno dialisi (acetato dialisi) era utilizzata
negli anni ’60 e ’70 per il raggiungimento dell’equilibrio acido-base (EAB).L’acetato di sodio,
fisiologicamente assente nell’organismo uma-
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Fig. I.22 – Effetti collaterali dell’acetato.
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Principi generali dell’Emodialisi
39
SEU
Fig. I.23 – Cinetica del bicarbonato in AFB.
di acquisizione e cessione del bicarbonato siano completamente separabili tra loro.
Questo permette di calcolare più facilmente la quantità di HCO3- somministrata al paziente e quindi di prevederne la bicarbonatemia al termine del trattamento.
In particolare, attraverso il dializzatore si realizza sempre un passaggio di bicarbonato dal
sangue al dialisato; è questa la sola via di
perdita (output)le grazie ad un gradiente diffusivo ed al trasporto convettivo. Viceversa, il
bicarbonato viene acquisito dal sangue (input)
esclusivamente attraverso l’infusione in postdiluizione (Fig. I 23).
In tal modo, si tende a raggiungere uno
stato di equilibrio (steady-state) in cui input ed
output di bicarbonato si equivalgono, consentendo la quantificazione del bilancio di massa
del bicarbonato.
Per tale motivo l’AFB è comunemente definita “autolimitante” per quanto riguarda la correzione dell’EAB.
Tra gli obiettivi del trattamento dialitico è
prioritario riportare le concentrazioni elettrolitiche ed il pH ad un valore prossimo a quello
fisiologico. A seguito di questo meccanismo di
reciprocità, infatti, la correzione dell’equilibrio
acido base dà luogo ad uno scambio ionico
tra gli ambienti intracellulare ed extracellulare,
che causa l’ingresso di potassio nella cellula e
il possibile insorgere di ipokaliemia. Anche in
questo caso, come in iperkaliemia, il rischio clinico è lo sviluppo di aritmie dialitiche precoci.
Le moderne apparecchiature di dialisi sono
concepite per fornire un profilo di concentrazione del potassio durante il trattamento, i cui limiti
sono determinati dalla concentrazione di potassio nelle sacche di preparazione del dialisato.
ROMA
Fig. I.24 –Schema funzionale della tecnica AFB.
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40
La dialisi: tecnica e clinica
BIDIALISI ON-LINE: UNA NUOVA SOLUZIONE DEPURATIVA
PER I PAZIENTI IPERCATABOLICI O CON ELEVATO PESO CORPOREO
Giorgio Splendiani, Stefano Condò
SEU
La sfida della dialisi nel terzo millennio può
essere individuata, oltre che nella riduzione
della mortalità e della morbilità, nel miglioramento della qualità di vita dei pazienti uremici.
Il tentativo più importante è quello di aumentare la rimozione dei soluti tossici senza
effetti collaterali ed ottenere, per quanto possibile, la riduzione dei tempi di dialisi.
Per i pazienti con un peso corporeo che eccede i 80 kg, con una grande massa muscolare o con ipercatabolismo, è difficile giungere,
attraverso le tecniche convenzionali, ad un accettabile livello di depurazione.
I pazienti più grandi, in termini di peso corporeo, sono perciò spesso sottodializzati in
quanto richiederebbero un periodo di trattamento di 5 o più ore in genere non accettato.
Un trattamento adeguato durante un ragionevole periodo di tempo (4 ore o meno) può
essere ottenuto solo se vengono impiegate
nuove tecniche.
Come è noto la dialisi è un trattamento sostitutivo della funzionalità renale che si basa sullo
scambio di sostanze tra il sangue ed un liquido
contenente sali utili per l’organismo, attraverso
membrane semipermeabili a piccoli fori.
Per aumentare l’efficienza depurativa del
trattamento si deve aumentare il tempo di contatto fra il sangue ed il liquido dializzante, oppure la superficie di scambio.
L’aumento del tempo di dialisi non è accettato dai pazienti che vedono prolungarsi il periodo di sosta nei centri dialisi con conseguente
diminuzione del tempo libero.
L’aumento della superficie della membrana semipermeabile e/o del diametro dei pori
comporta un rapido scambio di sostanze tra
il sangue ed il liquido dializzante con conseguente malessere del paziente sottoposto al
trattamento dialitico ed un aumentato rischio di
ipotensione o aritmie cardiache.
Abbiamo sperimentato delle nuove tecniche di dialisi che permettono una adeguata
depurazione in soggetti di grossa corporatura,
la prima utilizzava due emodializzatori in Cuprophan da un metro quadrato in sequenza,
ciascuno connesso separatamente alla soluzione dializzante (Double Filter System: DFS).
Sono stati trattati 15 pazienti con peso corporeo eccedente gli 80 Kg; i risultati sono stati
confrontati con quelli ottenuti con emodialisi
convenzionale (Conventional Hemodialysis:
CHD).
Con quella nuova tecnica il Kt/V è aumentato da 1,10 a 1,29 (18%) pur essendo invariati
il flusso di sangue, la superficie dializzante, lo
spessore della membrana ed i tempi di dialisi.
Il miglioramento del Kt/V potrebbe essere
dovuto all’incremento del flusso della soluzione
dializzante (1000ml/min) ed al più lungo tempo
di transito attraverso i due emodializzatori in
sequenza con un più lungo tempo di contatto
tra sangue e superficie della membrana.
Quella nuova tecnica si era dimostrata utile
nei pazienti con peso eccedente gli 80 Kg al
fine di ottenere un incremento della diffusione
dei soluti senza effetti collaterali ed importante
modificazione dei costi.
Successivamente abbiamo sperimentato
una variante della tecnica sopra menzionata vale a dire che abbiamo utilizzato sempre
due emodializzatori in sequenza ciascuno connesso separatamente al dializzato fresco ma
il primo dializzatore era in polisulfone a basso
flusso da 1,2 metri quadrati ed il secondo era in
polisulfone ad alto flusso di 1,3 metri quadrati,
con reinfusione on line di 200 ml/min tra il primo ed il secondo filtro (Double Filter System
on-line: DFS-on line) (Fig.I.25).
Sono stati trattati 10 pazienti con peso corporeo eccedente i 73 Kg ed i risultati sono stati confrontati con quelli ottenuti con l’emodialisi convenzionale (Conventional Hemodialysis: CHD).
Con questa nuova tecnica (DFS-on line) si
è osservato una riduzione dei valori di β2 microglobulina ed il Kt/V è aumentato da 1,11 a
1,9 (79%) pur essendo invariati il flusso di sangue ed i tempi di dialisi.
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Fig. I.25 – Metodica di Bidialisi on-line (Double Filter System on-line: DFS-on line).
Il miglioramento del Kt/V potrebbe essere dovuto oltre che all’incremento del flusso
della soluzione dializzante (1000ml/min) ed
al più lungo tempo di transito attraverso i due
emodializzatori in sequenza con un più lungo
tempo di contatto tra sangue e superficie della
membrana, come per la prima tecnica, anche
allo sfruttamento del sistema convettivo, che
avviene a livello del secondo filtro grazie alla
reinfusione on line di 200 ml/min tra il primo
ed il secondo filtro, ed alle caratteristiche e superfici delle membrane utilizzate (il primo dializzatore in polisulfone a basso flusso da 1,2
metri quadrati ed il secondo in polisulfone ad
alto flusso di 1,3 metri quadrati).
Anche la DFS on-line si è dimostrata utile
nei pazienti con peso eccedente i 73 Kg al fine
di ottenere una migliore depurazione ematica
senza effetti collaterali ed importante modificazione dei costi.
Le tecniche sperimentate hanno dato buoni
risultati in termini di depurazione senza effetti
collaterali e con costi contenuti.
Il trattamento con due emodializzatori in
sequenza e reinfusione on-line è semplice da
applicare e ben accettato dai pazienti.
Può essere eseguito con tutti gli apparecchi
di dialisi, richiedendo solo piccole modifiche.
Infine va ricordato che come indicato dalle
linee guida National Kidney Fondation (NKF
DOQI) (4) la riduzione degli effetti collaterali
durante la dialisi migliora la possibilità di realizzare il trattamento programmato.
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