Solennità di Tutti i Santi - Pontificio Consiglio Giustizia e Pace

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Solennità di Tutti i Santi
1° novembre 2009
Ap 7, 2-4. 9-14. Ecco, una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare.
Sal 23. Ecco la generazione che lo cerca, che cerca il tuo volto, Dio.
1 Gv 3, 1-3. Quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come
egli è.
Mt 5, 1-12a. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli.
Scelti per essere santi
«Se potessimo sapere che è possibile una vita felice anche nelle ore d’oscurità. Ciò che
rende felice un’esistenza, è avanzare verso la semplicità: la semplicità del nostro cuore, e quella
della nostra vita. Perché una vita sia bella, non è indispensabile avere capacità straordinarie o grandi
possibilità: l’umile dono della propria persona rende felici. Quando la semplicità è intimamente
legata alla bontà del cuore, anche l’essere umano più sprovvisto può creare un terreno di speranza
attorno a sé. Si, Dio ci vuole felici! Ma non c’invita mai a rimanere passivi, mai ad essere
indifferenti alla sofferenza degli altri» (dalla Lettera di Taizé 2001).
Nella celebrazione della festa di Tutti i Santi, scopriamo ancora una volta la chiamata alla
santità dalla semplicità di cuore, quella che Gesù proclama nel Vangelo di oggi, il Vangelo delle
beatitudini. Beati voi, felici voi... se avete un cuore da povero, se siete umili, se siete misericordiosi,
se siete puri di cuore, se amate e difendete la giustizia, se siete operatori di pace, se siete
perseguitati per il fatto di vivere il Vangelo (Vangelo). La felicità ci arriva come un dono, qualcosa
che Dio ci concede, quando nella nostra vita creiamo le condizioni necessarie per ottenerla. Una
felicità che non è in funzione di noi stessi, come se si trattasse di qualcosa di puramente individuale,
ma che è sempre in relazione con l'atteggiamento che adottiamo nei confronti degli altri, e cioè con
la verità del nostro impegno sociale.
Oggi rendiamo grazie a Dio per quella «moltitudine immensa, che nessuno poteva contare,
di ogni nazione, tribù, popolo e lingua» (1ª lettura), moltitudine di santi e di sante, ai quali Gesù si
rivolge chiamandoli «beati», per la semplice ragione che hanno vissuto e amato come Lui, anche
fino al punto di aver offerto la propria vita per Lui e per i fratelli. L'esempio dei martiri ci mostra la
vicinanza di Dio nei momenti più impegnativi e difficili e, allo stesso tempo, la forza con cui si
resiste dinanzi alle difficoltà. L'amore ed il perdono sono sempre nei loro cuori e sulle loro labbra
per far vedere a chiunque, credente o no, chi è Dio e con che volto guarda all'umanità. In questa
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moltitudine, oltre ai santi conosciuti, si trovano tutte quelle persone, uomini e donne che,
nell'anonimato del loro comportamento cristiano, hanno fatto della loro vita la più grande
testimonianza d'amore. La Parola di Dio ci avverte del mancato riconoscimento dei figli di Dio, che
«il mondo non conosce: perché non ha conosciuto lui» (2ª lettura). Non conoscendo Cristo, risulta
difficile capire ed accettare la santità di quanti lo hanno seguito.
Tuttavia, quando viene offerta la testimonianza di un cristianesimo vissuto con fedeltà,
scopriamo subito di cosa si tratta e, pertanto, ne segue il riconoscimento. La Dottrina sociale della
Chiesa ci dice che «è la vita di santità, che risplende in tanti membri del Popolo di Dio, umili e
spesso nascosti agli occhi degli uomini, a costituire la via più semplice e affascinante sulla quale è
dato di percepire immediatamente la bellezza della verità, la forza liberante dell'amore di Dio, il
valore della fedeltà incondizionata a tutte le esigenze della legge del Signore, anche nelle
circostanze più difficili» (CDSC, 530; cf. Giovanni Paolo II, Veritatis Splendor, 107). Ci troviamo di fronte
alle qualità che ornano la vita di un cristiano e fanno di lui un segno vivo che rinvia a Dio che è
Santo.
Certamente oggi possiamo rallegrarci di come veniamo trattati. Prestiamo attenzione alle
prime parole della lettera dell'apostolo Giovanni che abbiamo appena ascoltato: «vedete quale
grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente!» (2ª
lettura). La domanda che dobbiamo porci è fin dove ci porta questa convinzione di fede. Osservando
l'insieme del popolo di Dio e specialmente il laicato, la Chiesa ci aiuta a trovare l'orientamento di
cui abbiamo bisogno e ci dice che «i fedeli laici sono chiamati a coltivare un'autentica spiritualità
laicale, che li rigeneri come uomini e donne nuovi, immersi nel mistero di Dio e inseriti nella
società, santi e santificatori» (CDSC, 545). Più avanti, il Compendio della Dottrina sociale lo
concretizza così: «Una simile spiritualità edifica il mondo secondo lo Spirito di Gesù: rende capaci
di guardare oltre la storia, senza allontanarsene; di coltivare un amore appassionato per Dio, senza
distogliere lo sguardo dai fratelli, che si riescono anzi a vedere come li vede il Signore e ad amare
come Lui li ama. È una spiritualità che rifugge sia lo spiritualismo intimista sia l'attivismo sociale e
sa esprimersi in una sintesi vitale che conferisce unità, significato e speranza all'esistenza, per tante
e varie ragioni contraddittoria e frammentata».
Quando, come in questi momenti, si subisce il problema globale di una crisi economica dalla
quale riesce difficile uscire, si fa sempre più chiaro che per trovare la soluzione bisogna andare alla
radice del problema, porre nuove basi e dare un altro orientamento all'organizzazione della vita
personale, familiare, sociale ed economica. Quando l'attività economica ed il progresso materiale si
mettono al servizio dell'uomo e della società e non al servizio degli interessi egoistici di pochi,
quando ci sono persone che si dedicano ad essi con le fede, la speranza e la carità dei discepoli di
Cristo, allora l'economia ed il progresso possono trasformarsi in luoghi di salvezza e di
santificazione (cf. CDSC, 326). Lo spirito delle beatitudini ci porta a rendere tutto ciò realtà e ci
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spinge verso l'ideale proclamato da Gesù come segno inequivocabile della presenza, già tra di noi,
del Regno che Egli ha inaugurato con la sua morte e resurrezione.
Lo sappiamo già, ma conviene ripeterlo: la prima vocazione del cristiano è la santità.
«Questa è la volontà di Dio, la vostra santificazione» (1 Te 4, 3; Ef 1, 4). «La Chiesa, il cui mistero è
esposto dal sacro Concilio, è agli occhi della fede indefettibilmente santa. Infatti Cristo, Figlio di
Dio, il quale col Padre e lo Spirito è proclamato "il solo Santo", amò la Chiesa come sua sposa e
diede se stesso per essa, al fine di santificarla (cf. Ef 5,25-26), l'ha unita a sé come suo corpo e l'ha
riempita col dono dello Spirito Santo, per la gloria di Dio. Perciò tutti nella Chiesa, sia che
appartengano alla gerarchia, sia che siano retti da essa, sono chiamati alla santità» (Concilio Vaticano
II, Lumen gentium, 39). La provocazione di una vita santa ed esemplare, al seguito di Cristo, può
offrirci tanti argomenti per presentare l'attrazione di qualcosa di insolito, originale, totalmente
nuovo e radicale.
La santità, come ideale di vita, è oggi una provocazione per molte persone, che,
nell'incontro con Cristo e nel seguirlo in modo radicale, scoprono il senso della loro vita. E a
maggior ragione, quando, incontrandosi con dei testimoni, si vive la gioiosa esperienza di essere in
contatto con qualcuno che ha trovato la propria felicità nell'offerta radicale e generosa della sua vita
alla causa del Vangelo. La forza della santità sta nell'Eucaristia, quando, come in questo momento,
rendiamo realtà l'incontro con Cristo e la comunità cristiana. Rallegriamocene!
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