INDAGINE SUGLI INSEGNANTI L`ipotesi che i risultati dei test sulle

INDAGINE SUGLI INSEGNANTI
L’ipotesi che i risultati dei test sulle conoscenze degli studenti sui numeri decimali potessero
dipendere, oltre che dalle intrinseche difficoltà dell’argomento, anche dalle scelte contenutistichemetodologiche operate dai docenti, dalle loro concezioni su cosa e come insegnare, è stata
confermata da un’indagine rivolta ad insegnanti di scuola elementare e media inferiore (si veda
Bonotto, 1996).
Essa ha infatti evidenziato come di fatto i docenti
1. non sottolineano sufficientemente l’aspetto additivo sottostante la scrittura decimale, né
trattano adeguatamente le problematiche riguardanti l’ordinamento,
2. investono poco tempo e poche energie nella costruzione dei significati,
3. concentrano invece la loro attenzione sulle regole formali di scrittura e sugli aspetti
convenzionali, senza motivare la loro introduzione.
L’indagine ha anche messo in luce una forte estraneità del lavoro scolastico per quanto riguarda la
matematica rispetto alla ricchezza di esperienze che gli alunni maturano al di fuori della scuola,
anche riguardo alle conoscenze numeriche.
Questa scoperta ha confermato ciò che molti studi internazionali testimoniano: esiste un gap tra le
abilità matematiche attivate nel contesto scolastico e quelle attivate in contesti extra-scolastici.
Come colmare questa frattura ed evitare l’alto numero di fallimenti che si registrano
nell’insegnamento della matematica a tutti i livelli di scolarità, soprattutto a partire dalla scuola
media?
È necessario tener conto nelle scelte didattiche di molte componenti tutte fortemente intrecciate:
conoscenza dell’argomento, conoscenza degli alunni e conoscenza dei modi di presentare
l’argomento stesso agli alunni.
Si deve cercare allora di:
- cambiare il rapporto docente-contenuti
- cambiare il rapporto docente-allievi
- creare nuove situazioni didattiche.
RAPPORTO DOCENTE-CONTENUTI DISCIPLINARI
Dei tre diversi livelli di conoscenza che secondo Montague (1992) sono richiesti ad esempio per
l’attività di problem solving, e cioè
-
la conoscenza dichiarativa (riguarda i concetti quantitativi, gli algoritmi, le operazioni,
…“knowing that”),
la conoscenza procedurale (necessaria per applicare in modo efficace le conoscenze
dichiarative, “knowing how”),
la conoscenza condizionale (il sapere quando e perché applicare le varie strategie, “knowing
when and why”)
solo la prima componente sembra di fatto presente nella pratica didattica, ed in modo non sempre
soddisfacente. Mancano quindi la motivazione e la contestualizzazione dei saperi, che invece
devono avere un ruolo fondamentale.
L’insegnante di matematica deve quindi conoscere
l’argomento
come è collegato ad altri argomenti,
la sua articolazione,
i diversi modi di presentarlo,
come e perché introdurlo,
come contestualizzarlo,
la sua storia, la sua evoluzione.
“La tâche de l’educateur est de faire repasser l’esprit de l’enfant par où a passé celui de ces pères,
en passant rapidement par certaines étapes mais en n’en supprimant aucune. A ce compte,
l’histoire de la science doit ètre notre guide” (Poincaré 1899).
RAPPORTO DOCENTE-ALLIEVI
Noi riteniamo che anche le conoscenze degli insegnanti sugli alunni debbano articolarsi in un
“knowing that”,
“knowing how”,
“knowing why”.
È infatti chiaro che se può bastare la conoscenza del contenuto affinché un insegnante riconosca che
una risposta data da un allievo è corretta, essa non è più sufficiente a sviluppare reazioni da parte
del docente che possano guidare, aiutare l’alunno a costruire il proprio sapere. Tale reazione deve
tener conto
sia dei modi di pensare dell’alunno relativamente allo specifico argomento
sia dei ragionamenti sottostanti le concezioni dell’alunno.
Dovrà quindi trovare spazio anche un’analisi delle difficoltà, degli errori tipici, su come evidenziarli
e superarli.
Ecco quindi il ruolo importante che riveste la verbalizzazione, scritta od orale (si veda Bonotto,
1999). È utile stimolare gli alunni ad esplicitare per iscritto i loro ragionamenti, per abituarli a
scrivere di “fatti matematici” e a riflettere su di essi e sulle proprie inferenze; in questo modo
l’alunno acquisisce un primo livello di consapevolezza. Il rilievo dato all’osservazione dei
ragionamenti e delle procedure utilizzate dagli alunni permette all’insegnante di individuare i
diversi livelli di competenze cognitive raggiunte e di difficoltà incontrate.
È allora possibile aprire una successiva attività di discussione collettiva, indirizzata all’analisi delle
procedure emerse, al confronto fra di esse. Invitando gli alunni ad esporre le strategie da loro
utilizzate, corrette o meno, e a confrontarle con quelle usate dai compagni, si può favorire una
ulteriore riflessione sui propri ed altrui ragionamenti. In questa seconda fase gli allievi possono
riconoscere somiglianze e differenze tra le proprie strategie e quelle adottate dagli altri compagni.
Spesso questo riconoscimento denota un più alto livello di comprensione e l’acquisizione di un
secondo livello di consapevolezza.
In questo modo i docenti sono cosiin grado di avere un monitoraggio dell’intera classe, necessario
perché si possa arrivare a ritenere acquisita, almeno ad un certo stadio, una nuova conoscenza e
passare quindi alla realizzazione ad esempio di un testo collettivo, condiviso da tutto il gruppo
[terza fase, quella della sistematizzazione del sapere acquisito].
I testi scritti dai bambini, cosicome gli altri testi, possiedono, come sostiene il semiologo russo Yuri
Lotman, un “dualismo funzionale” rappresentato da una funzione “univoca” e da una funzione
“dialogica”. La funzione del testo scritto da un alunno è importante in quanto il testo trasmette
significati ad altri, siano essi insegnanti o coetanei (funzione univoca) ma costituisce anche
materiale di riflessione diventando cosi“strumento di pensiero” (funzione dialogica) in grado di
generare nuovi significati.
È importante l’interazione e il confronto tra il proprio testo – inteso come la tessitura di significati
elaborati in base alle esperienze incontrate, processo che sta alla base dello sviluppo intellettuale – e
i testi altrui – intesi come la gamma di input offerti da tutte le fonti che uno ha a disposizione,
confronto che favorisce la riflessione intra-mentale attraverso la comunicazione inter-mentale.
La scrittura infatti “rende la lingua capace di rappresentarsi simbolicamente e cosipermette che il
pensiero diventi consapevole, un fatto di enorme importanza per l’educazione matematica. In
quest’ottica il vero processo di educazione (ex-ducere) comincia quando il bambino riesce a
trattare il proprio punto di vista come l’oggetto di un discorso alimentato dal dialogo che
intraprende con il proprio testo ... e i testi altrui” (Dodman, 1995).
L’influenza dell’opera di Vygotsky fa siche oggigiorno le conoscenze vengano percepite “come
qualcosa che si costruisce e si modifica attraverso l’interazione, e la lingua è concepita in primo
luogo non come veicolo per l’espressione del pensiero ma come veicolo per lo sviluppo del
pensiero. ... Per l’insegnante, si tratta di agire in modo da far siche lo studente possa appropriarsi
delle forme dialogiche della lettura e della scrittura ed anche della conversazione in modo che
diventino una risorsa per il pensiero nel dialogo interno del “parlato intrapersonale”. ... L’azione
didattica deve rendere le risorse culturali della matematica accessibili e disponibili tramite la
mediazione del passaggio dalla funzione dialogica del testo alla funzione univoca. Certamente il
processo non è semplice o lineare. È un processo a doppio senso e non a senso unico... ” (Dodman,
1995).
Schema riassuntivo delle tappe del processo di insegnamento – apprendimento dell’iter
metodologico proposto (si veda Bonotto, 1996).
•
Esperienze scolastiche ed
extrascolastiche
• Preconoscenze matematiche
• Ragionamenti messi in atto per
raggiungere nuove conoscenze
Verbalizzazione
scritta
1-
Interazione individuale (ed
anche con l’insegnante)
2Discussione
•
•
•
•
Controllo dei ragionamenti altrui
Autoregolazione dei propri ragionamenti
Condivisione delle conoscenze
Socializzazione di un nuovo sapere
matematico
Interazione sociale
3-
Testo collettivo
•
•
Memoria storica del percorso
Esplicitazione delle nuove conoscenze
raggiunte
• Istituzionalizzazione del sapere
matematico
In sintesi, la scelta di privilegiare procedure di lavoro che mirano a costruire conoscenze mediante
pratiche sociali di discorso risulta vantaggioso per entrambi i soggetti del rapporto educativo.
Consente agli insegnanti di
- sapere ciò che i bambini pensano intorno a determinati concetti o problemi
- utilizzare il materiale prodotto nelle discussioni per creare negli alunni nuove conoscenze,
affinché rielaborino e amplino quelle in loro possesso
- rinforzare le capacità argomentative degli studenti, controllare in itinere l’attività didattica e
verificarne gli esiti.
Permette agli allievi di
- rendere note le loro idee su concetti o problemi esplicitando nozioni, informazioni, procedure
apprese nei contesti reali dell’ambiente culturale di appartenenza
- pervenire "naturalmente" alla formulazione di nuove ipotesi e all’elaborazione di nuove
conoscenze modificando le proprie posizioni iniziali.
QUALI NUOVE SITUAZIONI DIDATTICHE?
I programmi ministeriali per la scuola elementare indicano che
“l’introduzione al pensiero e all’attività matematica deve rivolgersi in primo luogo a costruire ...
una larga base esperienziale di fatti, fenomeni, situazioni e processi, sulla quale poi sviluppare le
conoscenze intuitive, i procedimenti e gli algoritmi di calcolo e le più elementari formalizzazioni
del pensiero matematico”
ed ancora in essi si trova scritto che per giungere all’astrazione matematica si deve percorrere
“un lungo itinerario che collega l’osservazione della realtà, l’attività di matematizzazione, la
risoluzione dei problemi, la conquista dei primi livelli di formalizzazione”.
Più di recente nel Documento della Commissione dei Saggi si fa riferimento a
“situazioni problematiche concrete, che scaturiscano da esperienze reali del fanciullo. “La ricerca
sulla matematica non scolastica indica la necessità di insegnare agli studenti ad usare idee e
tecniche di tipo matematico nella soluzione di problemi diversi ... Sembra essenziale, a questo
riguardo, che bambini e ragazzi non perdano il piacere di matematizzare ...”.
Questa affermazione tiene conto anche di alcuni studi sulla etnomatematica:
“il potere cognitivo, le capacità di imparare e le attitudini all’apprendimento vengono
incrementate mantenendo l’ambiente dell’apprendimento legato al contesto culturale. ... È ben
documentato il fatto di bambini e adulti che riescono “matematicamente” bene nel loro ambiente
non scolastico, a contare, misurare, risolvere problemi e giungere a delle conclusioni usando arti e
tecniche [tics] volte a spiegare, comprendere, far fronte al loro ambito [mathema] che hanno
imparato nel loro ambiente culturale [ethno]” (D’Ambrosio, 1995).
La richiesta di connettere la matematica scolastica con le esperienze extrascolastiche degli studenti,
di superare il cosiddetto gap tra
in and out of school,
però non è di facile implementazione. Il trasferimento da un ambito all’altro è difficile dal momento
che i due contesti differiscono in modo significativo. Non solo la pratica matematica “in school”
differisce da quella “out of school”, si vedano per questo i lavori di Lave, 1988, e Nunes, 1993, ma
anche i relativi processi di apprendimento, Resnick, 1987, e più recentemente Masingila, 1996.
Pur riconoscendo la specificità di entrambi i contesti e che alcune differenze sono intrinseche, e
quindi non eliminabili, altre differenze possano essere notevolmente ridotte, e anzi nelle attività in
classe si possano e debbano ricreare, almeno parzialmente, quelle condizioni che rendono
l’apprendimento extrascolastico spesso più efficace (Bonotto, 1999).
Nella usuale prassi scolastica il processo di legare la matematica scolastica con la realtà è ancora
sostanzialmente delegato ai classici
problemi a parole
Ma oltre a rappresentare l’interfaccia tra matematica scolastica e realtà essi spesso costituiscono
l’unico esempio di “realistic mathematical modeling, i.e., both real-world based and quantitatively
I limiti dei classici problemi a parole, sono stati ampiamente descritti a livello internazionale [si
vedano gli studi di Greer, Gravemeijer, Verschaffel, De Corte, & Borghart, e di Wyndhamn &
Säljö, a tale proposito].
“Il contesto [del problema del macellaio, n.d.r.] è il libro di testo, piuttosto che la realtà,
ovvero, in altri termini, dà un’immagine pseudoisomorfa del mondo. Nel contesto del libro
di testo ogni problema ha una sola soluzione: non vi è posto per la realtà, con i suoi
problemi insolubili, oppure che ammettono più soluzioni. Si suppone che lo scolaro scopra i
pseudo-isomorfismi considerati dall’autore del libro di testo, e risolva i problemi, che si
presentano come se fossero collegati con la realtà, per mezzo di questi pseudo-isomorfismi.
Non vale forse la pena di indagare se e come questa didattica alleva gli atteggiamenti
contrari alla matematica, e come mai le reazioni dei ragazzi contro questa deformazione
mentale sono cosivarie?” (Freudenthal, 1991).
Secondo Lave [1995], i problemi a parole riguardano
“una supposta conoscenza culturale generale che ci si può aspettare abbiano (anche) i
bambini. Non riguardano le particolari esperienze dei bambini con il mondo. ... Le
intuizioni dei bambini sul mondo quotidiano sono in effetti costantemente violate nelle
situazioni in cui viene chiesto loro di risolvere i problemi in parole. Questa discontinuità da
se stessa può contribuire a creare la divisione tra la matematica “vera” e l’“altra”
trasmettendo il messaggio che ciò che i bambini sanno sul mondo reale non è valido …”.
Queste ed altre considerazioni la portano a concludere che
“le esperienze di questo genere in apparenza quotidiane sono lontane dal riguardare la vita
del mondo e i problemi sono progettati per praticare la separazione della matematica dalla
esperienza, piuttosto che la sua matematizzazione”.
Se, in accordo con molti ricercatori e con gli estensori di molti curricula, tra cui quello italiano,
vogliamo
a. problemi che nascano da esperienze reali dei discenti al fine di mettere in relazione metodi e
conoscenze apprese fuori dall’ambito scolastico con quelli appresi dentro la scuola, e
viceversa,
b. situazioni di modellizzazione matematica cosiddetta realistica ed una vera attività di
problem solving,
dobbiamo operare dei cambiamenti (si veda Bonotto, 2001a):
1. Sostituire il tipo di attività a cui deleghiamo il processo di creare un interfaccia tra realtà e
matematica.
2. Applicare una varietà di metodologie didattiche tra di loro complementari, integrate ed
interattive [ad esempio attraverso un uso estensivo di verbalizzazioni scritte da parte dei
bambini, di descrizioni dei ragionamenti fatti e delle strategie usate, di discussione collettive,
…].
3. Stabilire una nuova cultura in classe anche attraverso new “classroom socio-math norms”, nel
senso datone recentemente da Yackel, Cobb, et al., 1996. The development of people’s
their participation in the interactive constitution of taken-as-shared mathematical meanings and
norms”, Yackel & Cobb, quot. Questo processo richiede un cambiamento nelle concezioni e
nell’atteggiamento nei confronti della matematica anche da parte dei docenti.
Il processo di portare
la realtà nella matematica
nel senso di partire, nella pratica scolastica, dalla realtà per sviluppare nuove conoscenze
matematiche, è fondamentale; risulta però necessario, ma non sufficiente favorire
“un atteggiamento positivo verso la matematica, intesa sia come valido strumento di conoscenza e
di interpretazione critica della realtà, sia come affascinante attività del pensiero umano”,
come auspicato dai programmi della scuola elementare.
Questo obiettivo può essere raggiunto solo se si riesce anche a portare [o a far vedere]
la matematica nella realtà.
Detto in altri termini oltre a
matematizzare il quotidiano
si dovrebbe
quotidianizzare la matematica
(si veda Bonotto, 1999).
Chiunque ponga un po’ di attenzione, cercando di vedere sotto altri occhi la realtà che lo circonda,
può facilmente scoprire che c’è una grande quantità di matematica incorporata nella vita quotidiana.
“Il nostro mondo ... è già stato matematizzato ad un tale livello che noi non ce ne accorgiamo
neppure più, a meno che la nostra attenzione non sia attirata su questo fatto” (Freudenthal, 1991).
Si possono cosicreare nella prassi scolastica delle situazioni di apprendimento di forte impatto
educativo evidenziando e lavorando su alcuni “fatti matematici”, presenti e codificati nella realtà.
I risultati di alcuni studi esplorativi condotti nell’ambito del nostro gruppo dii ricerca hanno
evidenziato come l’utilizzo di opportuni artefatti culturali [scontrini di supermercato, etichette di
prodotti, cartine del tempo, strumenti di misura, monete, depliant pubblicitari,…] nelle attività
scolastiche riguardanti la matematica, può soddisfare questa richiesta e costituire un utile ponte di
collegamento tra queste due realtà cosidiverse; in questo modo i bambini possono mantenere la
significatività dei propri ragionamenti ed il controllo delle proprie inferenze, “liberando in tal modo
spazio cognitivo”, risorse mentali, usando una felice espressione di Arcavi [1994].
Che cosa si intende per artefatto culturale?
Gli artefatti sono
- "historical products that can be conceptual (for ex. scìentific concepts), symbolic forms (for ex.
numerical system) or material (for ex. toois)” (Saxe, 1991), o
- "Artifact and conventions are cultural forms that have been created over the course ot social
history which also figure into the goals that emerge in cultural practices", (Saxe, 1996) o
ancora
- sono risorse per la realizzazione di eventi interattivi.
Essi sono "strumenti costruiti dall’uomo, dalla storia, dalla cultura, che modificano l’attività
umana e che mediano i rapporti che bambini e adulti hanno con il mondo" (Pontecorvo, 1997).
Un artefatto è quindi un rappresentante, testimone della società in cui viviamo, della cultura a cui
apparteniamo, dei mezzi e modi di comunicare tipici della nostra epoca.
“Crediamo che un importante obiettivo educativo, almeno della scuola dell’obbligo, sia quello di
insegnare ai ragazzi ad interpretare anche criticamente la realtà in cui sono immersi, a capirne
codici e messaggi, per non restarne esclusi o fuorviati" (Bonotto, 1999).
Nella nostra attività abbiamo preso in considerazione degli artefatti riscontrabili nella vita
quotidiana e con i quali il bambino viene a contatto nell’esperienza familiare ed extra-scolastica
come ad esempio l’orologio, il calendario, gli strumenti di misura, le monete, gli scontrini del
parcheggio, del supermercato, dell’autobus, i depliant pubblicitari, gli orari delle programmazioni
televisive o dei servizi pubblici, e così via.
L’artefatto culturale rappresenta, dal nostro punto di vista, un efficace strumento di mediazione tra
la realtà extra-scolastica e il sapere matematico: collega il mondo reale a fatti matematici e, nello
stesso tempo, permette di lavorare su problemi legati all’esperienza del bambino e non su problemi
fittizi (Bonotto, 1999).
Gli artefatti culturali possono racchiudere in sé o fatti matematici già codificati (questo succede ad
esempio in uno scontrino di un supermercato o nelle etichette di confezioni alimentari) o fatti
matematici da interpretare (in un orologio, in un calendario, in un termometro, ecc., dove il fatto
matematico da interpretare è costituito dallo spezzettamento delle tacche) o fatti matematici da
ipotizzare (ad esempio utilizzando uno scontrino di un parchimetro, i biglietti dell’autobus a tempo
determinato).
Il loro uso nel processo di insegnamento-apprendimento favorisce un percorso che passa attraverso:
- la lettura e l’esplicitazione dei sensi personali;
- l’interpretazione dei fatti matematici;
- l’appropriazione del significato;
- l’autoregolazione dei ragionamenti fatti.
Gli artefatti culturali che noi abbiamo utilizzato, e nel modo in cui lo abbiamo fatto, si possono
considerare dei contesti o materiali “ricchi” nel senso datone da Freudenthal, 1991, che ne
evidenzia i pregi confrontandoli in contrapposizione col materiale strutturato:
“i blocchi logici sono un esempio tipico di successi, che possono essere mietuti con materiale
ricco, aperto alla strutturazione, che offre più numerose opportunità didattiche, richiede di più e
quindi è meno facile da sfruttare ... Molti materiali ricchi adatti per l’istruzione matematica sono
oggi disponibili, più di quanto si possano immaginare”.
E ne trarrà la conclusione seguente:
“è sbagliato guardare al contesto come ad un rumore che disturba il messaggio chiaro della
matematica: il contesto è il messaggio, e la matematica è lo strumento per decodificarlo”.
Ecco perché, ad esempio, uno scontrino del supermercato "povero di parole ma ricco di significati
impliciti" permette ai bambini di sfruttare le conoscenze apprese nella realtà culturale in cui sono
immersi per operare un controllo significativo di tipo quantitativo sui dati ottenuti.
"Si ribalta la situazione rispetto all’usuale problema di compra-vendita che risulta spesso ricco di
parole, ma povero di riferimenti significativi" (Basso e Bonotto, 1996).
L’attività matematica che si può fare utilizzando alcuni di questi artefatti si articola in più fasi,
ciascuna ricca di potenzialità educative ed obiettivi contenutistici diversificati.
In primo luogo si favorisce il percorso dalle situazioni di riferimento ai concetti ma anche il ritorno,
dai concetti alle situazioni di riferimento, secondo la prospettiva della “matematizzazione
orizzontale” della scuola di pensiero olandese (si veda Treffers, 1986). E questo muoversi “back
and forth” tra i due ambiti, quello dei concetti e quello delle situazioni di riferimento, non può che
rafforzare le rispettive comprensioni. La duplice natura di questi artefatti, di appartenere sia al
mondo della vita sia al mondo dei simboli, per usare un’espressione di Freudenthal, la rende
possibile.
Un loro diverso uso offre lo spunto per fare anche della “matematizzazione verticale”, dai concetti
sui concetti. Questa si manifesta quando si riutilizzano i simboli, i fatti matematici incorporati come
oggetti da mettere in relazione, da modificare o manipolare, su cui riflettere, rilevandone proprietà,
facendo congetture.
Ad esempio nella fase in cui gli artefatti culturali vengono spogliati di alcuni dati [come in alcune
esperienze con scontrini, buoni sconto, ecc] essi diventano più esplicitamente strumenti di
mediazione e di integrazione tra conoscenze extrascolastiche e scolastiche, tra esperienze interne ed
esterne alla scuola e, se opportunamente utilizzati, possono anche creare nuovi obiettivi nella
pratica didattica, diventando così strumenti di matematizzazione (si veda Bonotto,1999). In questo
nuovo ruolo l’artefatto culturale può infatti servire ad introdurre nuove conoscenze matematiche
attraverso un processo di apprendimento per anticipazione o per organizzazione anticipata
(anticipatory learning).
Freudenthal, 1991, chiama questo tipo di apprendimento anche “prospettivo” come controparte di
quello da lui definito “retrospettivo”, che si ha quando si richiamano vecchie nozioni
riconsiderandole ad un livello più alto ed in un contesto più ampio, processo tipico dei matematici
adulti.
“L’apprendimento in prospettiva dovrebbe essere non soltanto permesso, ma stimolato, cosicome
l’apprendimento retrospettivo dovrebbe essere non soltanto organizzato nell’insegnamento, ma
anche attivato come un abito di apprendimento”(Freudenthal, 1991).
L’apprendimento prospettivo e retrospettivo mirano ad una integrazione del passato e del futuro dei
processi di apprendimento: ciò si ottiene con il riannodare insieme ed intrecciare localmente i fili
“Una antinomia molto di moda nell’insegnamento e nell’apprendimento della matematica è quella
che si verifica quando si mette da un parte di un profondo abisso delle nobili idee come: intuizione,
comprensione, pensiero, e dall’altra parte delle cose basilari come: esercizio, routine, abilità,
memorizzazione, algoritmi ... suggerendo che l’apprendimento per intuizioni è una nobile teoria,
mentre la pratica è imparare con l’esercizio e la memorizzazione. Tuttavia le cose non sono
cosisemplici e non lo sono mai state .... anzitutto perché la questione non è di scegliere una delle
sponde dell’abisso, ma di gettare un ponte ...” (Freudenthal, 1991).
Proprio l’utilizzo di opportuni artefatti culturali nella pratica scolastica permette, secondo noi, di
“creare, rinforzare, e mantenere i legami con la realtà”, sviluppando al contempo conoscenze,
proprietà, relazioni e concetti di tipo matematico racchiusi e codificati negli strumenti, nei sistemi e
nei segni che regolano la nostra vita sociale.
Inoltre invitando gli allievi a recuperare artefatti culturali presenti nella loro vita di ogni giorno, a
leggervi la parte di matematica evidenziata, a riconoscervi alcuni fatti matematici più o meno
nascosti, a vederne analogie e differenze [ad esempio modi diversi di rappresentare i numeri], a
porsi dei problemi [trovare rapporti tra i dati, anticipare proprietà, e cosivia], si possono
moltiplicare le occasioni di incontro tra studenti e matematica, ora relegate alle sole ore scolastiche.
Questo può risultare un primo avvio ad una vera attività di matematizzazione del reale, nel senso
auspicato dai programmi, ed alla formazione di un diverso atteggiamento nei confronti di questa
disciplina (Bonotto, 1999).
La gestione di queste nuove attività in classe non è però un compito facile, o comunque di
immediata implementazione, per l’insegnante, il quale deve cercare, soprattutto nei livelli scolastici
superiori, di superare i limiti della semplificazione della matematica codificata nella realtà, per
arrivare a far cogliere le caratteristiche peculiari di questa disciplina [astrazione, generalizzazione,
formalizzazione, …]. Si deve infatti evitare che queste attività magari interessanti, stimolanti e
coinvolgenti, non vengano adeguatamente finalizzate.
Inoltre il docente deve cercare di cambiare anche il proprio atteggiamento nei confronti della
matematica, che risente ovviamente del modo in cui gli è stata insegnata. Questi strumenti sono
infatti molto diversi da quelli che egli è abituato a padroneggiare, e che sono, quasi sempre,
fortemente strutturati, rigidi, poco adatti a sviluppare percorsi alternativi che nascano sulla scorta di
sollecitazioni contingenti, interessi imprevisti, situazioni-classe particolari (Bonotto, 1999).
L’insegnante si deve preparare a creare e gestire situazioni aperte, in continua trasformazione, che
non può pensare di dominare a priori, se non dopo averle a lungo sperimentate e delle quali non può
quindi prevedere l’evoluzione né l’esito finale. Queste situazioni risentono infatti in maniera
sensibile dell’interattività che si viene a creare, delle reazioni degli studenti, della loro capacità di
suscitare domande, di fare connessioni tra conoscenze scolastiche e non.
“L’interattività significa che tanto l’insegnante quanto l’allievo agiscono uno sull’altro e quindi
sono soggetti attivi e passivi nello stesso tempo, Freudenthal, 1991.
Il docente perciò deve saper modificare in itinere anche gli obiettivi contenutistici della lezione ed
essere, e sentirsi, molto forte e preparato sia sui contenuti matematici che sugli obiettivi educativi
potenzialmente racchiusi in questi artefatti.
In questo modo l’iter della lezione non può essere pre-programmato in tutti i suoi aspetti, né
dall’alto; vanno semmai previste più “ramificazioni” da far successivamente convergere, secondo
un processo non certo facile da gestire.