Bruno Carbonaro, Federica Vitale, Livelli di

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SCIENZE E RICERCHE • N. 44 • GENNAIO 2017 | MATEMATICA
Livelli di matematizzazione e stadi di
sviluppo delle teorie scientifiche
BRUNO CARBONARO & FEDERICA VITALE
Dipartimento di Matematica, Università degli Studi della Campania “Luigi Vanvitelli”, Caserta
Le scienze, come tutte le attività umane, si evolvono nel
tempo, modificano i propri metodi e i propri obiettivi, e
presentano in tempi successivi stadi di sviluppo diversi. In
questo lavoro si tenta di argomentare la convinzione che,
per le scienze che ambiscono ad essere «normative», e non
puramente tassonomiche o descrittive, stadi di sviluppo
più evoluti, e caratterizzati da maggior potere predittivo e
maggiore flessibilità rispetto a risultati sperimentali inattesi,
corrispondono ad interventi più massicci della matematica,
e soprattutto del suo metodo assiomatico-deduttivo, nel loro
linguaggio e nelle loro argomentazioni.
C
1. INTRODUZIONE
ontrariamente a quanto si può credere, la
parola «matematizzazione» — a dispetto
del suo suono truce e del suo apparente
riferimento a un’attività da iniziati — ha
un contenuto intuitivo che dovrebb’essere
noto non soltanto a coloro che svolgono studi scientifici, ma
a chiunque sia dotato di una cultura media (in particolare
agli studenti delle scuole medie superiori e dell’Università)
e abbia affrontato alcuni problemi proposti nelle riviste di
enigmistica. Naturalmente, talvolta, per portare a un livello cosciente questo contenuto intuitivo, occorre far riflettere
sull’etimologia e su qualche esempio. «Matematizzare», si
troverà, vuol dire «rendere matematico». Ma questo è piuttosto vago. Sorgono immediate altre due domande: che cosa si
può matematizzare?1 E come?
Nella discussione che segue, ci proponiamo anzitutto di
richiamare brevemente le risposte che immediatamente sorgono in mente a tutti in merito alla prima domanda, e poi
1 Ad esempio, nella sua prefazione a [29], Lucio Lombardo Radice argomenta: «sebbene ci siano problemi non matematizzati (e, a mio parere,
non matematizzabili) … ». Questa frase è del tutto oscura se non abbiamo
già risposto a questa domanda.
analizzare la seconda. Cercheremo di mostrare che esistono
diversi modi di «matematizzare» che però non dipendono
soltanto — come sarebbero subito disposti a pensare e dichiarare quasi tutti i matematici e moltissimi fra coloro che
si sono trovati o si trovano a usare la matematica nella loro
attività lavorativa — dal fatto che il patrimonio delle idee
matematiche si articola in un vero e proprio firmamento di
nozioni, teorie e discipline astratte distinte e indipendenti
l’una dall’altra, che possono spesso farsi corrispondere, ma
in genere non si spiegano né descrivono a vicenda, ma da
qualcosa di più profondo, che in qualche modo corrisponde
allo stesso sviluppo storico della matematica dai tempi più
antichi sino ad oggi, e ai diversi modi in cui si sono atteggiati
i suoi interventi nella cultura e nella scienza. Speriamo anzi
di riuscire a mostrare — anche se, per ovvi motivi di spazio,
saremo costretti a farlo soltanto per accenni — che l’evoluzione di questi interventi è speculare a quella delle scienze
che se ne giovano. In proposito, la tesi che intendiamo illustrare è che la matematizzazione si può pensare articolata in
tre livelli:
1. il livello puramente quantitativo-geometrico (quantificazione);
2. il livello formale (formalizzazione);
3. il livello logico-linguistico (assiomatizzazione).
A questi tre livelli corrispondono altrettante caratteristiche
delle descrizioni scientifiche del mondo. Come cercheremo
di argomentare ed illustrare nel seguito, le scienze propriamente dette che possono «matematizzarsi» soltanto ai primi
due livelli sono le cosiddette «scienze descrittive» oppure le
«scienze tassonomiche». Le descrizioni del mondo che hanno ambizioni normative o predittive ma si fermano al primo
o al secondo livello devono considerarsi ancora nella loro
forma «prescientifica». Pertanto la distinzione tra i livelli di
matematizzazione e l’analisi del livello che caratterizza la
pratica di ciascuna scienza ci consente di individuare il suo
tipo oppure il suo stadio di sviluppo.
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MATEMATICA | SCIENZE E RICERCHE • N. 44 • GENNAIO 2017
Questa discussione si articola in quattro ulteriori Sezioni:
in particolare, la Sezione 2 offrirà una discussione il più possibile sintetica di ciò che oggi può intendersi per «matematizzazione» di un qualsiasi sistema di descrizioni mutuamente
correlate di opportune porzioni del mondo empirico, mentre
ciascuna delle altre tre introdurrà e discuterà un diverso livello di matematizzazione, ne fornirà alcuni esempi, e discuterà
il modo in cui essa caratterizza alcune scienze.
2. COSA DOVREBBE INTENDERSI PER
«MATEMATIZZAZIONE»
Chiunque possegga una sia pur minima familiarità con la
matematica, anche se a un livello elementare, dovrebbe comprendere facilmente che cosa significhi «matematizzare».
Ma, per rendere questa esposizione il più possibile autosufficiente, cercheremo di delineare qui il senso di questa attività
com’è e dev’essere intesa oggi, con particolare riferimento
allo sviluppo attuale delle scienze e all’esattezza e alla condivisibilità delle loro affermazioni sul mondo.
Va da sé che la discussione non potrà che apparire ai più
incompleta e superficiale, soprattutto riguardo all’elencazione dei riferimenti bibliografici, che — moltiplicatisi a dismisura nell’ultimo secolo a partire dai dibattiti sui fondamenti
della matematica e sul suo ruolo nella conquista di una «conoscenza» riconoscibile universalmente come tale — da soli
potrebbero riempire una biblioteca. Ma dev’essere chiaro
che, anche in mancanza di citazioni esplicite, non si pretende
qui di presentare idee tanto nuove da non essere mai state
neppure adombrate in almeno alcuni elementi della vastissima letteratura epistemologica corrente, ma soltanto di evidenziare, soprattutto agli occhi degli scienziati specializzati
professionisti, una prospettiva che ancor oggi molti tendono
a trascurare. Perciò, riteniamo che l’inevitabile «rarità» dei
riferimenti bibliografici, e il tono un po’ naif dell’esposizione potrebbero meritare una certa indulgenza.
Ciò premesso, il naturale punto di partenza della nostra discussione sembra essere l’eliminazione di un equivoco, poiché la parola «matematizzazione» ha una connotazione ben
precisa nell’ambito della storia e della filosofia della scienza. Nella vastissima letteratura al riguardo [9, 20, 23, 27] si
usa spesso l’espressione «matematizzazione della natura»2
per identificare il metodo che, fondandosi sulla sua (troppo
citata) affermazione che l’universo «è scritto in lingua matematica» [9, 19, 20], si considera introdotto da Galileo nella descrizione dei fenomeni meccanici. Così interpretata, la
«matematizzazione della natura» risulta l’elemento caratteristico delle scienze moderne (la fisica, anzitutto, e poi chimica, zoologia e botanica, geologia, biologia, etc. … ), secondo
2 Riesce spontaneo osservare che — secondo questa espressione — non
si matematizzano le formulazioni dei problemi o le descrizioni degli oggetti e dei fenomeni naturali, ma direttamente questi ultimi. Probabilmente, si tratta solo di un’espressione infelice che alla fin fine vuol dire la
stessa cosa, tuttavia la scelta lessicale è interessante, perché sembra voler
sottolineare il presunto scopo di sostituire, non solo interpretare, con nozioni matematiche i contenuti stessi dell’esperienza.
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molti critici [23] essenzialmente legato all’obiettivo pratico
di prevedere e dominare gli eventi naturali stabilendo
connessioni ragionevolmente certe e precise (ossia basate su
misure che possano considerarsi tali) tra fenomeni non solo
distinti, ma anche del tutto indipendenti, ma almeno in parte
fondato sulla concezione platonico-pitagorica dell’armonia
dell’universo [20].
I due aspetti basilari della matematizzazione galileiana
(che alcuni autori, tuttavia, riconducono a Copernico e a
Luca Pacioli) sono (1) la procedura di associare a oggetti e
fenomeni empirici oggetti matematici (numeri reali ed enti
geometrici euclidei) e (2) la concezione «di principio» (cui
si deve la nascita delle scienze moderne) secondo la quale
questa procedura deve essere applicabile ad ogni oggetto e
fenomeno dell’universo. Ma, proprio per questo, attenersi a
questo significato storico della parola «matematizzazione»
sarebbe un errore grave, in almeno due sensi.
Da un lato, la pura e semplice procedura del matematizzare è ovviamente molto più antica di Galileo. In un ambito
puramente scientifico, la legge della spinta idrostatica di Archimede e la sua formulazione delle condizioni di equilibrio
(uguaglianza tra i momenti — forza x braccio — dei pesi)
che hanno condotto ai principi di funzionamento delle leve,
della stadera e delle carrucole mobili, sono autentici esempi
di grande matematizzazione «galileiana» molto ante litteram. Ma, in termini assai più generali, una forma basilare di
matematizzazione deve riconoscersi risalire quasi agli albori
dell’homo sapiens, e fare tutt’uno con la nascita stessa della
matematica nelle sue forme oggi considerate più elementari
(aritmetica e geometria «intuitiva»). Un uomo primitivo che
dica: «Ehi! C’è un lupo … e (poi) un lupo … e (ancora) un
lupo!» dà una descrizione esattamente empirica (qualitativa)
delle sue percezioni; ma nel momento in cui dice:«Ehi! Ci
sono tre lupi!», sta matematizzando. Associa alla sua esperienza un oggetto matematico (il numero «tre»), e se ne serve
per darne un resoconto sintetico. Allo stesso modo, il capo
di una tribù primitiva che ritenga necessario sacrificare una
pecora a un’oscura divinità, dovendo scegliere tra le greggi
dell’uno o dell’altro dei membri della sua tribù, può decidere di essere del tutto arbitrario, capriccioso e casuale; ma
può decidere di sacrificare dal gregge più ricco, se e solo se
ha acquisito una visione «matematica» delle greggi, ovvero
se vede questa proprietà (la ricchezza), la cui definizione è
già un atto di creazione matematica, e impara a confrontarne i gradi. Il conteggio è la prima forma di matematizzazione. E quando il nostro antenato primitivo impara a farsi
(«scrivere», qualunque sia lo strumento che usi per farlo, per
esempio una pietra affilata, e qualunque sia il suo supporto
di scrittura, per esempio un ramo o un pezzo di osso [5]) un
promemoria del numero dei lupi (o di pecore, o di nemici, o
di possibili prede) nasce la matematica.
L’espressione quantitativa non soltanto è antichissima, ma
anche altrettanto naturale delle descrizioni qualitative. Gli
inizi del linguaggio umano logicamente articolato poggiano
sull’astrazione, e precisamente sull’invenzione di nomi per
cose e gruppi di cose (nomi comuni) e proprietà (predicati e
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aggettivi sostantivati). Un momento di riflessione potrebbe
convincerci del carattere astratto di quasi tutte le parole che
usiamo. Limitandoci ai nomi comuni e agli aggettivi sostantivati, riconosciamo che, ovviamente, non esiste il cane, ma
solo i singoli cani, né il colore rosso, ma solo i singoli oggetti rossi, né la ruvidezza, ma solo i singoli oggetti ruvidi.
Parlare della proprietà di essere cani, com’è implicito in frasi
quali «i cani sono carnivori», o dei colori o della ruvidezza,
comporta l’acquisizione dell’abitudine a un certo livello di
astrazione, senza dubbio ben presente a Platone [35] nello
sviluppo della sua nozione di «idea», e a tutti i logici da Aristotele [2] in poi. La nascita della matematica si deve allo
stesso tipo di astrazione: non si vede alcuna differenza tra le
frasi «Fido è un cane» o «questa mela è rossa» e «i miei fratelli sono una terna» (o «sono tre»). La differenza, semmai,
sta nella procedura di acquisizione della percezione e della
conseguente definizione delle due proprietà. Per la prima,
basta l’osservazione casuale; per la seconda, presumibilimente, serve l’esperimento. Più precisamente, un bambino
(o un uomo primitivo) che veda un fiore rosso qui e una mela
rossa domani a molti chilometri di distanza coglie subito la
sensazione comune che poi si tradurrà nella proprietà «essere
rosso». Ma se vede tre fiori su un cespuglio qui e tre frutti
su un albero lì, il carattere comune richiede uno sforzo di
attenzione: deve contare, il che significa che deve costruirsi
(per esempio con tre dita) un promemoria dei tre fiori, e poi
osservare che — per costruirsi un analogo promemoria per
i frutti — può usare le stesse tre dita. La costruzione degli
elementi di un linguaggio evoluto e quella delle nozioni matematiche a partire dalle esperienze sono dunque procedure
identiche, basate entrambe su un confronto.
La novità della matematizzazione galileiana rispetto alla
«matematizzazione naturale» sta nell’aver esplicitato e codificato il metodo di confronto tra grandezze variabili col
tempo, e di aver così dato, nella scia di Copernico [15] e Keplero, il decisivo impulso all’introduzione esplicita del concetto di «funzione». Così, l’esempio dei grandi scienziati dei
secoli XVI e XVII è un’ulteriore conferma della sostanziale
identità tra la necessità della matematizzazione e lo sviluppo
della matematica come disciplina.
D’altra parte, la matematizzazione galileiana era naturalmente progettata e fondata sulla matematica disponibile ai
suoi tempi, ossia essenzialmente sull’algebra e sulla geometria euclidea. Attenersi ad essa (come purtroppo ancora
accade in molte scienze contemporanee), nella definizione
o anche solo nell’applicazione della procedura di matematizzazione, sarebbe antistorico e significherebbe, da un lato,
limitare (e banalizzare) tanto gli scopi della matematizzazione quanto le procedure che la caratterizzano, dall’altro,
commettere una grave colpa contro la percezione obiettiva
dell’evoluzione storica, trascurando sia quella di tutte le
scienze sia quella della matematica stessa nel suo complesso. A questo proposito, in questa esposizione tenteremo di
evidenziare come l’evoluzione della matematica, soprattutto
nel periodo dalla scoperta delle geometrie non-euclidee ad
oggi, renda parziale e antiscientifica l’interpretazione della
matematizzazione come analisi delle dipendenze funzionali
tra classi di misure, in quanto limita le possibilità evolutive
della scienza stessa. In effetti, vorremmo che risultasse chiaro che la deliberata scelta di questa sola interpretazione denota un’altrettanto deliberata resistenza a qualsiasi possibile
cambiamento di paradigma [24].
Perciò, se non vogliamo cadere in questo errore paralizzante, dobbiamo interpretare la «matematizzazione» nel
senso più ampio possibile, non soltanto come procedimento
per attribuire alle nostre esperienze, agli oggetti e alle loro
proprietà, delle etichette numeriche o geometriche, ma come
procedura di rappresentazione, che di fatto sostituisce alcuni
contenuti della nostra esperienza con nozioni matematiche,
scelte tra tutte quelle che oggi la matematica descrive nelle
sue teorie, e ragiona su queste; a conclusione del ragionamento, si ritraducono le conclusioni raggiunte in termini di
fatti sperimentali, e l’accordo o il disaccordo delle descrizioni così ottenute con le nostre constatazioni empiriche stabilisce il successo, totale o parziale, o l’insuccesso del nostro
tentativo di matematizzazione. In altre parole, si «matematizza» in genere nell’ambito delle scienze che vogliono avere, nella loro descrizione del mondo, un valore «normativo»
o «predittivo», ossia mirano a stabilire regole di connessione
tra le nostre esperienze, ed orientare le nostre attese.
Questa interpretazione non è personale e arbitraria, e neppure del tutto nuova. Oggi, fortunatamente — sia pure nella
forma riduttiva del «mathematical modeling» [6,7,12], altamente specializzata e mirata a risultati pratici accuratamente
circoscritti, così da perdere di vista la visione panoramica
essenziale al vero progresso della scienza — è oggi anche il
senso più largamente condiviso, anche se probabilmente non
sarebbe unanimemente descritto nella forma che abbiamo
proposto, che, in termini più precisi, ma più arcigni, che il
lettore non familiare col linguaggio filosofico e matematico
può saltare a pié pari senza ledere la comprensibilità del seguito, può enunciarsi come segue.
1. la matematizzazione deve intendersi come un procedimento strettamente logico e metodo-logico;
2. sotto il profilo logico, riguardante la descrizione degli
oggetti e dei fatti dell’esperienza, essa è un procedimento semantico, attraverso il quale si rappresentano oggetti ed eventi empirici e le loro relazioni (e perciò anche i problemi che li
riguardano) tramite nozioni matematiche, che naturalmente
vanno cercate e scelte fra tutte quelle che oggi la matematica
offre, grazie alla sua evoluzione storica, e che vanno ben oltre le nozioni di «misura» e «disposizione spaziale»;
3. sotto il profilo metodologico, le ipotesi e le argomentazioni riguardanti le proprietà delle «immagini matematiche»
dei contenuti dell’esperienza vanno rispettivamente formulate e sviluppate coi metodi attuali della matematica, quali
sono venuti configurandosi nel corso del suo sviluppo (con
particolare riguardo agli ultimi due secoli).
Nel seguito, cercheremo di mostrare che le scienze seguono in generale questa procedura a diversi livelli, identificabili
attraverso l’esame delle nozioni e dei metodi matematici che
scelgono di utilizzare. In particolare, individueremo i tre li41
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velli di matematizzazione indicati nell’Introduzione, cercheremo di descriverli e caratterizzarli, di mostrare che scienze
diverse, con scopi diversi, possono attenersi ai primi due livelli, o anche soltanto al primo, ma che le scienze che mirano
a fornire un quadro predittivo particolarmente ampio rispetto
alla classe di fenomeni della quale si occupano non possono
che intraprendere procedure di matematizzazione al massimo livello. Conseguentemente, il loro stadio di sviluppo può
essere valutato e definito in base al loro livello di matematizzazione, e non esiteremo a valutare come «prescientifico»
lo stadio di sviluppo di quelle fra esse che si sono fermate ai
primi due livelli.
Fra l’altro, questo ci consentirà di offrire una reinterpretazione dell’abituale e ormai scontata distinzione tra le scienze comunemente qualificate come soft e le classiche scienze
hard, o «esatte» (tipicamente la fisica e la chimica), che si
riconoscerà non essere riconducibile unicamente o principalmente ad aspetti intrinseci delle scienze, ma soprattutto a
stadi del loro sviluppo.
3. MATEMATIZZAZIONE QUANTITATIVOGEOMETRICA DELLE DESCRIZIONI EMPIRICHE
Il primo livello di matematizzazione, quello che abbiamo
chiamato di «quantificazione», o quantitativo-geometrico,
avrà in questa discussione un ruolo quasi puramente introduttivo, e perciò sarà trattato molto brevemente. Ed anche
gli esempi di quelle scienze che ad esso si attengono, o si
sono attenute agli inizi del proprio sviluppo metodologico,
costituiranno un catalogo decisamente minimale. Del resto,
sarebbe impossibile esaminare i livelli (e le necessità) di matematizzazione, non diremo di tutte, ma di una percentuale
sufficientemente elevata dell’enorme numero delle scienze
moderne, senza scrivere un trattato in più volumi.
Precisando quanto abbiamo detto nella Sezione precedente, per sottolineare la nostra interpretazione di ciò che
dovrebbe intendersi per «matematizzazione», questo primo
livello consiste precipuamente nelle procedure di conteggio
e misura (e, contestualmente, nell’introduzione delle prime
grandezze «fisiche», come il peso3 e la velocità4), e nell’associazione di figure geometriche «stilizzate» alla percezione
dei terreni da recintare e coltivare (si pensi all’etimologia
della parola «geometria»).
Questo, tuttavia, è semplicemente il procedimento di matematizzazione più ovvio ed elementare, e non a caso è il
più antico. Sarebbe un grave errore logico ed epistemologico
pensare che il primo livello di matematizzazione si esaurisca
in esso. Due strumenti potenti ed
estremamente diffusi di matematizzazione quantitativa
sono la statistica descrittiva e la probabilità [13], una procedura e una nozione strettamente legate l’una all’altra ed
3 Che solo molti secoli dopo l’introduzione della bilancia a bracci uguali e della stadera si sarebbe scoperto essere, più correttamente, la massa
gravitazionale.
4 Che permise di valutare le distanze in «giorni di cammino», «ore di
corsa a cavallo», e così via.
42
emerse esplicitamente, descritte ed elaborate stranamente
tardi rispetto al tacito uso che l’uomo ha quasi certamente
dovuto farne sin dai primordi per la soluzione dei suoi problemi di apprendimento e decisione [21, 42, 44], o anche
solo per orientarsi nei giochi d’azzardo [16]. Entrambe concorrono talvolta, quando opportuno, a descrivere fenomeni
(ripetuti) o comportamenti di (classi di) oggetti o individui.
Ci riferiremo perciò alla prima come «descrizione statistica», e alla seconda come «descrizione stocastica».
Inoltre, con la creazione della geometria analitica, la rappresentazione geometrica «stilizzata» di (classi di) oggetti
empirici si raffina. I contenuti dell’esperienza, quando identificabili con gruppi di misure, si rappresentano con punti del
piano o dello spazio. Siamo alle porte del secondo livello
di matematizzazione, che identificheremo come «formalizzazione», e che si compirà, come vedremo nella prossima
Sezione, con la considerazione di spazi a più di tre dimensioni e l’acquisizione della capacità di descrivere le relazioni
tra misure in termini di (sistemi di) equazioni di luoghi geometrici. Ma, finché ci si attiene alla rappresentazione simbolica, siamo ancora al primo livello di matematizzazione. Un
esempio, tratto proprio dal prototipo delle scienze esatte, la
fisica, e specificamente dalla meccanica, varrà a chiarire senza ambiguità la natura di questo primo livello: si tratta della
cinematica (dei corpi rigidi quanto di quelli deformabili, anche nel caso limite in cui si considerino sperimentalmente
non rilevabili i moti delle loro diverse parti le une rispetto
alle altre), non a caso ormai tradizionalmente considerata
come mera «base linguistica» per formulare i problemi e le
leggi della dinamica e della statica, e nella quale si introducono la velocità, l’accelerazione e tutte quelle grandezze
geometriche che ci forniscono i criteri per una rigorosa tassonomia dei diversi tipi di possibili moti.
Quasi tutte le scienze utilizzano questa «matematizzazione» di primo livello costituita dai quattro tipi di descrizione
che stiamo considerando in questa Sezione: il quantitativo
e il geometrico — di cui abbiamo visto poco prima qualche esempio elementare — e lo statistico e lo stocastico.
Le scienze della natura (fisica, chimica, biologia, zoologia,
botanica, mineralogia, … , etc.), ovviamente, basate non
soltanto sull’attenta osservazione dei fenomeni, ma sulla necessità di riferire gli esiti degli esperimenti in termini non
ambigui, condivisibili e correggibili, ossia su attività iniziali consistenti nella raccolta di «dati», ovvero di risultati di
misurazioni precise; ma anche alcune delle scienze umane
(antropologia, psicologia, economia, e persino, sotto alcuni
aspetti, la filologia — in quanto utilizza più o meno esplicitamente considerazioni combinatorie e analisi di regolarità
sintattico-semantiche5 — e anche la critica letteraria, almeno in riferimento alla poesia, quando si analizzano i diversi
tipi di «musicalità» dei versi. Più in generale, possiamo dire
che questo genere di matematizzazione interviene in tutte le
scienze che abbiano una sezione per la quale sia stato coniato un nome col suffisso «-metria»: così, l’antropologia ha
5 Che sono analoghe a certi tipi di corrispondenze geometriche.
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l’antropo-metria [26], la psicologia ha la psico-metria [1],
l’economia ha l’econo-metria [43] e la filologia e la critica
letteraria, quando applicate a testi poetici, hanno la prosodia
e la metrica dei versi.
La psicologia, ad esempio, nella descrizione e nell’elaborazione delle proprie indagini sui comportamenti umani e
sulle pulsioni che li determinano, fa oggi un vasto uso (cfr.
[1, 14, 17]) di punteggi, che da un lato fanno quasi spontaneamente riferimento a un’«intensità» (tanto degli uni quanto
delle altre), dall’altro, come vedremo nel seguito, possono
costituire un prezioso strumento iniziale per inferire leggi
di dipendenza tra stati psicologici e comportamenti. Come
primo passo verso questo metodo d’inferenza, si adotta un
linguaggio geometrico, rappresentando condizioni psicologiche complesse come punti di uno spazio cartesiano a più
dimensioni, le cui coordinate sono i punteggi associati ai diversi comportamenti (e caratteri psicologici collegati).
Un altro esempio, lampante nella sua sedimentazione storica, ci è offerto dall’economia, trasformatasi da branca della
filosofia a studio naturalmente quantitativo con l’introduzione delle nozioni di «prezzo», «valore», «domanda» e
«offerta» (intese rispettivamente come quantità di beni
richieste oppure prodotte e immesse sul mercato), che alla
fin fine non fanno altro che trasporre in termini descrittivi la
presenza fisica del denaro nelle attività economiche [32,40].
Questa quantificazione diviene più specificamente statistica
(in senso descrittivo) in ambito macro-economico, nel quale
si utilizzano medie aritmetiche o somme di dati individuali
per descrivere le condizioni economiche di intere collettività.
Ora, la questione che vogliamo porre è: basta questo tipo
di matematizzazione al pieno sviluppo di tutte queste scienze? Nelle Sezioni che seguono ci sforzeremo di mostrare che
la risposta è, in generale, negativa, o, più precisamente, dipende dallo scopo che ciascuna scienza si prefigge. Qui, a
questo proposito, possiamo limitarci ad osservare che essa
sembra rispondere pienamente alle esigenze e agli scopi di
scienze come la zoologia, la botanica, la mineralogia, l’antropologia, e persino vaste branche della biologia e della
chimica. In effetti, queste scienze sono descrittive (hanno
spesso in parte lo scopo di fornire delle tassonomie il più
possibile esatte e non ambigue6) ed «esplicative», cioè, laddove non mirino semplicemente a scoprire ed evidenziare
analogie e differenze, formulano ipotesi sulla loro origine. E
tuttavia, in questa ricerca di spiegazioni, anche queste scienze debbono spesso ricorrere al secondo livello di matematizzazione. Se, come abbiamo visto nella Sezione precedente,
la «matematizzazione quantitativo-geometrica» delle descrizioni delle nostre esperienze deve considerarsi, tanto in una
6 Riteniamo doveroso osservare esplicitamente che si tratta di un compito
tutt’altro che semplice: richiede un profondo spirito di osservazione, attenzione per i dettagli, e una grande accuratezza nel descrivere i contenuti
dell’esperienza, oltre che — spesso — una grande sensibilità alla presenza
o all’assenza di trasformazioni geometriche di tipo metrico o anche solo
topologico tra i diversi oggetti di sperimentazione. Questo chiarisce sia il
titolo della Sezione, sia l’insistenza che abbiamo posto sul fatto che ciascun livello di matematizzazione si evolve insieme con gli strumenti che la
matematica è capace di fornire per esso.
prospettiva puramente logica quanto nella prospettiva storica
(almeno fino alla fine del secolo XVIII), non solo contestuale
ma essenzialmente coincidente con la stessa «creazione della
matematica», ora possiamo notare che — proprio per questo
— essa è troppo elementare per esaurire le necessità descrittive e argomentative di ogni scienza che non voglia limitarsi
ad essere puramente descrittiva e tassonomica.
4. FORMALIZZAZIONE, RELAZIONI EMPIRICHE ED
ARGOMENTAZIONI
Nella Sezione precedente, abbiamo visto, in sostanza, che
un complemento — se non essenziale — molto utile e potente della nostra conoscenza e della nostra descrizione del
mondo esterno, un fondamentale arricchimento delle nostre
esperienze, è il riconoscimento delle forme e l’introduzione
della nozione di «misura», che è poi la nozione unificatrice
di tutte le procedure di associazione di etichette numeriche
ai contenuti delle nostre osservazioni. Abbiamo anche visto
come l’attività scientifica si giovi di questa nozione per rendere le proprie descrizioni meno arbitrarie, più precise e universalmente condivise.
Questa nozione, tuttavia, è legata da un lato a una chiara prescrizione delle procedure di misurazione, attraverso le
quali si quantificano certi contenuti dell’esperienza, dall’altro alla definizione di «che cosa stiamo misurando». Questi
due aspetti sono strettamente interconnessi, e si traducono
nelle nozioni di «variabile», «parametro» e (nome più infelice di tutti) «grandezza». In effetti, la ripetizione delle procedure significa che stiamo misurando lo stesso parametro,
che ne resta definito, e d’altra parte esso è «variabile» perché
differenti ripetizioni, in circostanze diverse, produrranno in
generale valori numerici distinti.
L’introduzione di queste nuove nozioni offre nuove percezioni, e perciò la possibilità di nuove descrizioni, coi
problemi che ad esse possano accompagnarsi, aprendo in
definitiva la strada alla procedura descrittiva e conoscitiva
che abbiamo identificato come «formalizzazione». Questa,
in effetti, consiste in una ben precisa sequenza di passi, per
comprendere la quale si può fare riferimento a un fenomeno
semplice (o meglio, alla classe di tutte le sue possibili ripetizioni): quello che, qualitativamente, si può descrivere come
«caduta sul pavimento di un qualsiasi oggetto che era fermo
in un luogo elevato della stanza». Si quantifica la descrizione del fenomeno misurando (almeno) l’altezza del posto
dove l’oggetto è inizialmente e il tempo tra il momento in cui
lo vediamo cominciare a muoversi e quello in cui urta il pavimento; ma il primo passo verso la formalizzazione si compie
quando riconosciamo che, usando la stessa cordicella (magari graduata) e la stessa clessidra, possiamo descrivere in
termini quantitativi tutte le possibili cadute (dello stesso oggetto, diciamo) da qualsiasi posto e su qualsiasi pavimento: e
le due misure che prenderemo saranno sempre, in ogni caso,
l’altezza di caduta e il tempo impiegato da quell’oggetto per
arrivare a colpire il pavimento. Così, «altezza» e «tempo»
(di caduta) diventano due nozioni astratte indipendenti dalla
43
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particolare caduta e dalle particolari misure ottenute, e molto
più collegate ai metodi che abbiamo usato per ottenerle. Diventano due parametri.
Questa nozione ci consente di unificare le nostre osservazioni (spesso in origine casuali, e poi ripetute volutamente)
circa le relazioni tra le diverse misure prese in corrispondenza di ciascuna ripetizione del fenomeno «caduta». Per esempio, possiamo osservare che una biglia di gomma che cada da
3 metri impiega circa 78 centesimi di secondo a raggiungere
il suolo; la stessa biglia, cadendo da 5 metri, impiega circa un
secondo e, se cade da 10 metri, impiega 1,42 secondi. Vediamo così che i tempi non sono proporzionali alle altezze. Ma,
se tra noi c’è Galileo Galilei, si accorgerà che lo sono i quadrati dei tempi, e che, per ogni coppia di misure dell’altezza
h e del tempo t, è risultato h = 4.9t2. Avremo dunque una forma generale (non a caso, «formula») per ricavare una delle
due misure dall’altra attraverso un calcolo, e non attraverso
la misurazione diretta, almeno nei casi constatati. Facendo
poi l’ipotesi che essa sia stata sempre vera da quando esistono la terra e le biglie di gomma, e che lo sarà per sempre, a
ogni possibile caduta di un’identica biglia, avremo ottenuto
una conoscenza formale di una regola che dovrà essere rispettata da tutte le cadute di siffatte biglie7.
Enucleando da questo esempio (che tuttavia coglie soltanto un aspetto molto particolare della grande varietà di descrizioni di origine empirica che si potrebbero considerare)
una definizione di «formalizzazione», possiamo dire che
essa, come passo successivo alla descrizione quantitativogeometrica (o quantitativo-disposizionale), consiste nel sostituire alle descrizioni singole la considerazione di tutte le
descrizioni possibili, attraverso l’introduzione della nozione
di «variabile» e di quella di «funzione» (e, conseguentemente, quelle di «incognita» e di «equazione»): grosso modo,
essa sancisce il passaggio dell’intervento della matematica
dalla sola classe di quelli che Popper [36] chiama «enunciati
singolari» alle «teorie», o agli «enunciati generali». In sintesi, e ipersemplificando in qualche modo, possiamo asserire
che, in definitiva, una scienza può considerarsi formalizzata
quando è in grado di sostituire con una relazione tra variabili
ogni collezione di relazioni tra contenuti empirici particolari, quantitative o disposizionali nel senso più ampio, che ne
facciano parte8.
7 Il metodo adottato da Galileo, su basi puramente intuitive, senza alcuna «formale» prescrizione delle procedure, e perciò — se ci si passa
l’avverbio provocatorio — quasi inconsapevolmente, è quello statistico
inferenziale della ricerca di leggi di correlazione \cite{carvit}, a sua volta
formalizzato soltanto quasi tre secoli più tardi, con la nascita della Statistica Inferenziale e con le indagini sulla corrispondenza tra frequenze relative
e probabilità, che a sua volta condusse alla deduzione rigorosa e puramente
formale della «legge empirica del caso» di Bernoulli.
8 Si deve osservare, sia pure a volo d’uccello, che è importante il riferimento alle relazioni disposizionali, nelle quali intervengono, in linguaggio
magari simbolico, ma certo non quantitativo, particolari relazioni di «ordine» e di «equivalenza», per sottolineare la vastità e la multiformità del processo di formalizzazione, che trova la sua prima applicazione nel mondo
delle relazioni quantitative, ma poi si diffonde a tutti i casi nei quali intere
classi di affermazioni «particolari», ossia riferite a singole osservazioni, si
sostituiscono con enunciati «generali» (o «universali») — cfr. [36].
44
Giunti a questa stipulazione, riconosciamo da un lato che
il nome infelicemente generico di «matematizzazione» col
quale si indica la proposta descrittiva galileiana si riferisce,
più precisamente, a questo secondo passo, dall’altro che la
matematica stessa si è evoluta anzitutto grazie a una costante e ripetuta procedura di auto-formalizzazione. Un esempio
ovvio ed elementare si può trovare nel raffronto tra i risultati
di tipo aritmetico e geometrico contenuti in uno dei documenti più antichi e significativi della storia della matematica,
il papiro Rhind (cfr. [5]), che tradiscono la loro origine chiaramente empirica (come la consapevolezza che l’ipotenusa
di un triangolo rettangolo i cui cateti siano rispettivamente
lunghi 3 e 4 è lunga 5), e le prime opere dei matematici greci,
che generalizzano in teoremi, come il teorema di Pitagora, i
contenuti di siffatte osservazioni particolari9. In particolare,
costituiscono un esempio lampante e particolarmente significativo di formalizzazione gli Elementi di Euclide [18], che
raccolgono e collegano le numerose formalizzazioni parziali
ottenute dal piccolo ma agguerrito e geniale esercito dei matematici precedenti, il cui merito principale fu di aver capito
che la geometria, l’agrimensura propriamente detta, poteva
affrancarsi dall’attività empirica del misurare, e che ogni forma, piana o solida, poteva decomporsi in elementi singoli e
identificarsi con un sistema fisso di relazioni tra le loro misure, e di essersi impegnati a cercare ed applicare dei metodi
che fossero in grado di condurli a tali relazioni senza passare
per la constatazione empirica. Questo metodo si articolava in
due passi, il primo dei quali, la formalizzazione propriamente detta, era destinato a svincolare il secondo, la deduzione,
dal caso particolare, rendendolo efficace in tutti i possibili
casi riconosciuti formalmente simili ad esso.
Ma, ai fini di questa esposizione, risultano molto più interessanti gli interventi della procedura di formalizzazione
nelle scienze a base empirica, destinate non solo a descrivere
i fenomeni naturali, ma anche a prescrivere le nostre aspettative circa fenomeni non ancora constatati, in condizioni non
ancora realizzate. A tal proposito, ci limiteremo a richiamare
l’attenzione soltanto su alcuni esempi di particolare rilievo
storico, per rivolgerla poi alle scienze che solo in tempi relativamente recenti hanno considerato la possibilità di una
trattazione formale dei loro oggetti di studio.
Nell’astronomia e nello studio del moto dei corpi celesti,
dobbiamo riconoscere che veri capolavori di formalizzazione sono già l’Almagesto di Claudio Tolomeo [22], e il De
Revolutionibus orbium coelestium di Niccolò Copernico
[15], e le tre leggi di Keplero. In tutti questi casi, la formalizzazione consiste nell’adozione di variabili suscettibili di
assumere come valori i dati osservativi, cosicché le relazioni
aritmetiche tra misure divengono relazioni funzionali tra variabili. Queste variabili «abitano» in strutture matematiche
opportunamente definite, le cui proprietà e le cui «regole
d’uso» si studiano indipendentemente nell’ambito di quella
che usualmente si chiama «matematica pura». Questa defini9 E non è affatto un caso che la parola greca qewr˜
hma derivante dal verbo
qewr`
ew, «guardo», significhi letteralmente «osservazione».
SCIENZE E RICERCHE • N. 44 • GENNAIO 2017 | MATEMATICA
zione e questo studio sono la chiave della formalizzazione di
ciascuna scienza, e contribuiscono a precisarla e potenziarla.
Così, lo sviluppo della formalizzazione di una scienza va di
pari passo con l’arricchimento del linguaggio matematico.
Si deve anche notare — l’importanza di questa osservazione apparirà chiara nella Sezione seguente — che la formalizzazione è in tutti questi casi geometrica10, non meccanica. La
cinematica, che è essenzialmente geometrica per sua natura,
e la statica, che usa un linguaggio puramente geometrico almeno nel suo stadio iniziale, allorquando si occupa soltanto
di gravi vincolati, concependo il peso non come una forza
ma come una proprietà intrinseca dei corpi11, sono il punto di
partenza dell’indagine fisica, che ha prodotto gli esempi più
perfetti di formalizzazione delle descrizioni, delle previsioni
e delle leggi che governano vaste classi di comportamenti
del mondo empirico. E, in effetti, a quanto oggi ci risulta, i
più perfetti esempi di geniale formalizzazione delle scienze
sono la Relatività Generale e la Meccanica Quantistica, che
non a caso sono le teorie più avanzate e comprensive di cui
disponga la nostra descrizione del mondo empirico.
Il livello di formalizzazione raggiunto da queste due branche della fisica è da molto tempo un modello e un obiettivo
per quasi tutte quelle discipline che ambiscano alla qualifica
di «scienze», Oggi, come abbiamo già sottolineato nell’Introduzione, quasi tutte le scienze che ambiscano ad essere
predittive12 fanno un largo uso della formalizzazione. Si assiste a una quasi sterminata produzione di lavori matematici
che studiano la possibilità di ottenere informazioni non ambigue da qualcuna delle tantissime equazioni proposte dagli
scienziati «applicati» per descrivere certe classi di comportamenti del mondo naturale e, almeno per alcuni dei suoi aspetti, del mondo umano. Spiccano, in quest’ambito, molte branche della Biologia, compresa la cosiddetta «Developmental
Biology» con le sue analisi dei meccanismi dell’evoluzione,
la Psicologia e l’Economia.
La Psicologia, cui per molto tempo si è da più parti negato
(e continua a negarsi tuttora), tra gli epistemologi e i cultori
delle «scienze esatte», lo status di scienza vera e propria, utilizza oggi le procedure statistiche più avanzate e complesse
(segnatamente l’«analisi fattoriale» e l’«analisi in componenti principali»13 [14, 17]) per giungere alla formalizzazione delle relazionI tra i diversi aspetti dell’animo umano e
tra essi e i comportamenti individuali (cfr. [14]). Lo scopo
dell’intero procedimento è proprio rintracciare parametri definibili, addirittura allo stadio iniziale del collegamento tra
osservazioni per pervenire a una qualche prescrizione delle
tecniche di misurazione. Naturalmente, questo è un proble-
ma che non potrà mai considerarsi completamente risolto,
non lo è mai neppure per le scienze riconosciute come tali
da maggior tempo, poiché si presentano sempre nuovi sistemi di osservazioni, e nuove possibili misurazioni indirette,
ma se e quando lo si sarà risolto per una classe sufficientemente ampia di sistemi di osservazioni (e soprattutto si
saranno stabiliti in termini non ambigui dei criteri di valutazione dell’ampiezza degli errori di misura), la Psicologia
sarà pronta a descrivere i profili psicologici e le previsioni
di comportamento tramite sistemi di relazioni tra parametri
e diverrà una scienza almeno parzialmente formalizzata. Al
momento, la si deve considerare al livello iniziale di formalizzazione [12, 25, 28, 30, 31].
Come esempio di scienza formalizzata, l’Economia riveste
un interesse particolare, essenzialmente per due ragioni: 1) i
primi tentativi di formalizzazione che la riguardano, esplicitamente mirati ad ottenere strutture teoriche il più possibile
simili a quella della meccanica newtoniana, risalgono al secolo XVIII e ne fanno una delle prime scienze formalizzate
[3, 45-47]; 2) essa risulta particolarmente esemplare della
nozione di «pura formalizzazione» come l’abbiamo descritta
più o meno implicitamente prima [4, 32, 40].
In effetti, dalla precedente descrizione della procedura di
formalizzazione, dovrebbe essere apparso chiaro che essa ha
due caratteristiche essenziali: in primo luogo, essa trae origine da problemi specifici di predizione (ed è per questo che
costituisce il passo fondamentale nella nascita delle scienze
in quanto tali) e, in secondo luogo, le definizioni dei parametri introdotti in relazione ai diversi ambiti problematici
sono — come ovvia conseguenza — altamente dipendenti
dal contesto, col possibile risultato che di parametri distinti,
definiti per sottolineare aspetti distinti di uno stesso tipo di
fenomeni, si finisca con l’ignorare la mutua dipendenza, e se
ne deducono e descrivono proprietà che, a uno sguardo unificante, potrebbero risultare sottilmente contraddittorie. Un
esempio macroscopico di questa situazione è il conflitto concettuale tra la Relatività Generale e la Meccanica Quantistica
[8, 48], per il quale solo relativamente di recente sono state
proposte soluzioni in competizione (teoria delle stringhe, teoria dei loop). Sebbene in Economia non si presentino
conflitti dello stesso tipo, ma solo contrapposizioni chiaramente collegate a incompletezze di schema, la forte dipendenza dal contesto delle nozioni economiche appare ovvia,
ed anzi sembra l’elemento che meglio descrive e motiva tali
incompletezze, e le contraddizioni puntuali che così frequentemente ne derivano.
5. ASSIOMATIZZAZIONE E SCIENZA
10 Oggi si direbbe ``cinematica’’.
11 Questa è la ben nota confusione tra massa e peso, contro la quale è
ancora necessario mettere in guardia gli studenti.
12 O normative, e di queste fanno parte anche alcune scienze preminentemente tassonomiche, come per esempio la Botanica e la Mineralogia.
13 Queste sono un’evoluzione dei metodi di ricerca delle leggi di correlazione citati nella Nota \ref{corr}, riguardano la correlazione tra molte
variabili, e partono addirittura dalla ricerca dei parametri da definire
come indipendenti, dei quali tutti gli altri parametri osservabili possano
considerarsi funzioni.
Può apparire bizzarro, ma una scienza (del tipo di quelle
che stiamo considerando nel nostro lavoro) può considerarsi prossima al proprio stadio «maturo» e perciò pienamente
scientifico quando si interroga circa i propri «fondamenti» ed
arrischia una qualche forma di risposta. Allorquando questo
accade, essa prende coscienza dell’inevitabile carattere arbitrario dei suoi primi passi, non soltanto della scelta degli og45
MATEMATICA | SCIENZE E RICERCHE • N. 44 • GENNAIO 2017
getti del suo studio, ma anche dell’interpretazione che essa
deve darne nel momento stesso in cui ne formula una descrizione. Questi oggetti saranno i suoi «indefinibili», dal momento che una qualsiasi definizione equivarrebbe a una selezione da un ambiente (classe di oggetti) più ampio, e perciò
non soltanto a un rinvio a una classe di indefinibili più vasta
e indeterminata, ma anche alla pretesa di disporre di un’interpretazione preferenziale, perlopiù non dichiarata e meno
che mai giustificata. Le caratteristiche degli «indefinibili»,
dalle quali dedurre le leggi dei loro comportamenti e tutte le
previsioni particolari che li riguardano e alle quali siamo interessati, devono essere proposte, nella consapevolezza che
l’accettabilità della proposta dipenderà dall’aderenza delle
previsioni dedotte ai comportamenti sperimentati: saranno
gli assiomi della scienza. Quasi sempre, come accade ad
esempio nella stessa matematica e nella fisica, questa si articolerà in teorie. Potranno esserci — cioè — alcuni assiomi
formulati per descrivere in tutta generalità l’intera collettività
degli oggetti di cui la particolare scienza si occupa, ma il più
delle volte avremo soltanto un certo numero di gruppi distinti
di assiomi differenti, ciascuno dei quali isolerà in questa collettività una particolare classe di elementi, e concorrerà alla
previsione dei comportamenti di questi ultimi, e di nessun
altro. Ciascun gruppo di assiomi definirà una diversa teoria
nell’ambito della scienza considerata. E la classe completa
degli oggetti di cui questa si occupa resterà indefinita finché
non si possa essere certi che non ci sono altre teorie (ossia
gruppi di assiomi) ad essa pertinenti da aggiungere. Il che,
quasi certamente, non accadrà mai per alcuna scienza14.
L’esplicitazione degli indefinibili e degli assiomi che li descrivono sembra essere considerata del tutto marginale nelle
indagini epistemologiche e metodologiche, e poco più di una
pura perdita di tempo, una curiosità intellettuale forse innocua, ma certamente improduttiva, dalla stragrande maggioranza degli scienziati professionisti, molto più interessati alla
soluzione di problemi specifici e all’ottenimento di risultati
nuovi. Si tratta di atteggiamenti un po’ superficiali, e sicuramente sbagliati, per parecchie ragioni.
In primo luogo, per quanto paradossale possa sembrare, la
procedura di assiomatizzazione serve a prendere le distanze
dagli oggetti di cui vogliamo parlare, o meglio, a renderci
conto di tali distanze. In effetti, quando ci limitiamo a formalizzare vogliamo soltanto enunciare leggi di mutua dipendenza tra risultati di misure, ma la scelta dei parametri,
del modo in cui raggrupparli e delle strutture algebrico-geometriche cui questi si assumeranno appartenere, dipende dal
modo in cui il nostro cervello ha creato gli oggetti dell’esperienza, con quell’attività cognitiva nota nella letteratura filosofica col nome di «reificazione» (da res, «cosa», e facere,
«fare», costruzione delle cose), attraverso la quale — prima
ancora della nascita di qualsiasi forma di scienza — il nostro
mondo di percezioni (o stimoli sensoriali, se si vuole) vie-
14 Ci saranno sempre assiomi da aggiungere per ampliare e suddividere
più finemente la classe dei fenomeni da studiare.
46
ne trasformato in un mondo di cose15. E questi oggetti sono
identificati e nominati secondo le nostre abitudini mentali
più inveterate. Ora, ogni scienza da un lato arricchisce —
attraverso l’introduzione di metodi e strumenti di osservazione — la nube di stimoli che concorrono ad identificare
ciascun oggetto, dall’altro ne seleziona certi gruppi a scopi
specifici. Così, gli oggetti di cui parla ciascuna scienza non
coincidono con quelli della nostra esperienza, anzi hanno
con essi ben poche somiglianze, ed è un errore sia logico che
metodologico usare acriticamente i nomi di questi ultimi per
indicarli. La meccanica classica — per esempio — non parla
di sassi, palloni da calcio e missili, ma di oggetti astratti le
cui proprietà, accuratamente enunciate, si suppongono avere in quelli dei corrispondenti che dovrebbero produrre dei
comportamenti a loro volta corrispondenti, almeno approssimativamente, ma in modo non ambiguo, a certe funzioni
matematiche. Nel linguaggio prescientifico, la «forza» è la
mia forza, grazie alla quale sollevo una valigia e la carico in
auto; in meccanica classica, la forza è solo una legge che collega in ogni istante l’accelerazione della valigia alla sua posizione e alla sua velocità (e anche alle mie). è evidente che
la prima descrive delle percezioni, tra le quali quella della
maggiore o minore «facilità» con la quale io riesco a spostare
una valigia, e l’altra è una pura nozione matematica, la quale
può interpretarsi come regola di corrispondenza tra valori di
misure istantanee e simultanee, totalmente inesistenti in natura (nessuna azione percettibile è istantanea, e non esistono
coppie di azioni simultanee, in natura: o almeno, se esistono,
non lo sappiamo16. Tutta la fisica classica è un monumentale
sistema di belle favole che hanno l’enorme pregio di essere interpretabili e reputabili «vere» nell’esperienza a patto
di ignorare certe discrepanze che decidiamo di considerare
«trascurabili».
Si giunge così al secondo motivo per cui trascurare deliberatamente l’analisi delle radici assiomatiche profonde di
quelli che oggi si chiamano «modelli matematici (quantitativi e formali) dei fenomeni» è un errore tanto epistemologico
quanto metodologico: è infatti del tutto ovvio che le regole
secondo le quali si manipolano gli oggetti matematici destinati a unificare diversi sistemi di esperienze sparsi nello
spazio e nel tempo debbono, in linea di principio, considerarsi del tutto arbitrarie. Esse — alla stregua delle descrizioni dei personaggi delle opere letterarie — si riferiscono a
prodotti della nostra immaginazione, e dai capricci di questa
dipendono (salvo l’obbligo di essere coerenti, o consistenti).
Questa arbitrarietà sembra, a un primo sguardo, un difetto, e
senza dubbio lo è se viene ignorata o sottaciuta, perché in tal
caso si tenta d’imporre come necessaria una scelta persona-
15 In termini grossolani, le «cose» sono costruzioni del nostro cervello,
che percepisce la costante compresenza di stimoli sensoriali (per esempio,
per una mela, il colore rosso, la levigatezza, la friabilità e il sapore) che si
ripetono pressoché inalterati, e tutti insieme, nello spazio e nel tempo, e
chiama «mela» questa compresenza.
16 Sono circa ottant’anni che la Meccanica Quantistica cerca di spiegarcelo, e di rimuovere certe ingenuità dal nostro modo di pensare.
SCIENZE E RICERCHE • N. 44 • GENNAIO 2017 | MATEMATICA
le, prevaricando qualsiasi proposta alternativa17; ma diviene
una ricchezza se la si riconosce e la si prende come spunto
per ricerche alternative: le geometrie ellittica e iperbolica
non sarebbero esistite se il postulato delle parallele fosse stato considerato «necessario».
Nella precedente discussione, poi, abbiamo toccato un
punto estremamente importante, che di fatto è il terzo motivo
della rilevanza del procedimento di assiomatizzazione per lo
sviluppo della scienza, ed è il fatto che gli oggetti matematici
descritti dagli assiomi sono destinati a unificare i fenomeni
che la teoria descrive e vuole prevedere. I modelli matematici oggi così usati e diffusi (cfr. ad es. [6, 7, 12]) di rado si
pongono questo problema: come abbiamo visto nella Sezione precedente, essi si limitano a proporre relazioni formali
tra parametri formalmente definiti da metodi di misurazione.
Ora, tali parametri esprimono soltanto alcune delle proprietà
dei soggetti, considerati intuitivi o percepiti nella loro interezza, e convenzionalmente descritti in linguaggio naturale,
che definiscono lo schema teorico generale nel quale s’inscrive il modello, e precisamente quelle che intervengono nella
classe di fenomeni che il modello stesso mira a regolamentare. Ogni altra proprietà è ignorata come ininfluente. Il felice
risultato di questo procedimento è che spesso, quando qualcuno di questi parametri compare simultaneamente in due
o più modelli diversi, oppure si considerano fenomeni che
richiederebbero la loro sovrapposizione, ci si trova di fronte
a contraddizioni. Il primo caso è di gran lunga il peggiore,
poiché si tende a risolvere la contraddizione semplicemente
ignorandola, ossia tenendo i modelli rigorosamente separati e servendosene unicamente come strumenti per risolvere
problemi specifici. È il modello del progresso dell’interazione uomo-mondo (non della conoscenza, per carità!) a compartimenti stagni. In questo modello, gli oggetti delle teorie
che dovrebbero stare alla base dei modelli finiscono col diventare puri pretesti linguistici.
Un esempio di questa situazione, e di come la ricerca
dell’unificazione possa essere lo strumento d’elezione per
risolverla, è fornito dalla storia della Fisica, che non a caso è
tra le scienze più evolute, se non la più evoluta. Le equazioni
di Maxwell, in origine un «modello» per i fenomeni elettromagnetici (correnti elettriche indotte, campi magnetici concatenati, etc.) risultarono in contraddizione con la trasformazione di Galilei, che in origine era soltanto un «modello» per
il raffronto delle misure meccaniche di due osservatori qualsiasi in moto traslatorio uniforme l’uno rispetto all’altro18.
I fisici dell’epoca avrebbero potuto infischiarsi altamente di
questa contraddizione, e continuare ad usare le equazioni
di Maxwell per studiare gli impianti elettrici e la dinamica
classica per studiare il moto dei proiettili di cannone, del17 In qualche libro scolastico di molti anni fa, dedicato all’esposizione
della geometria euclidea, si legge la frase «un postulato è una verità evidente che non si dimostra». In testi più moderni è stata rilevata la palese
assurdità di una tale affermazione.
18 Qui dobbiamo limitarci a questi brevi cenni. Per ulteriori dettagli, può
essere utile la lettura di [37, 39] o di un qualsiasi buon manuale universitario di Fisica che non trascuri la Relatività Ristretta.
le automobili e degli aerei. Ma invece, cercarono di capire
che tipo di assunzioni di contrabbando fossero intervenute
tanto nella deduzione delle equazioni di Maxwell quanto in
quella della trasformazione di Galilei, e quale fra esse fosse sbagliata: e scoprirono che la trasformazione di Galilei
era basata sull’implicita convinzione che le misure di lunghezza fossero istantanee, ossia che la luce viaggiasse a velocità infinita. Corressero questa convinzione, e sostituirono
la trasformazione di Galilei con quella di Lorentz [39], che
metteva d’accordo le equazioni di Maxwell con tutte le leggi
della meccanica, anche nella loro forma classica, purché ci si
limitasse a usarla solo per descrivere fenomeni nei quali fossero coinvolte unicamente velocità molto più basse di quella
della luce. Trovarono dunque che la Meccanica Classica si
basava implicitamente sull’assioma: «La velocità della luce
è infinita», che era sbagliato, e andava sostituito dalla sua
negazione: «La velocità della luce è finita (ed è la stessa per
tutti gli osservatori in reciproco moto traslatorio uniforme)»
[10, 11, 37, 39]. Così nacque la Relatività Ristretta, e la Fisica progredì enormemente, giungendo a scoprire leggi che
condussero alla propulsione atomica e alla costruzione delle
centrali nucleari.
L’analisi in termini di assiomi (espliciti o impliciti) degli
oggetti di studio dell’ambito teorico generale cui appartengono diversi modelli matematici apparentemente indipendenti è unificante e sempre feconda, ed è per questo che forse
— tra i tre motivi sinora discussi per i quali tale analisi non
andrebbe trascurata né sottovalutata — è proprio questo il
più importante.
Ma c’è di più. La nostra breve e senza dubbio incompleta
rievocazione della nascita della Relatività Ristretta e, soprattutto, del chiarimento delle sue relazioni con la Meccanica
Classica, cui si riduce nella descrizione di tutti gli ordinari fenomeni meccanici che sperimentiamo nella vita quotidiana,
ci insegna un’altra circostanza fondamentale, che costituisce
il quarto motivo dell’importanza dell’analisi assiomatica: le
convinzioni ampiamente condivise, per quanto ovvie possano sembrare, come la validità della trasformazione di Galilei,
dedotta rigorosamente da un ragionamento puramente geometrico e sostanzialmente elementare, possono nascondere
un altrettanto ampiamente condiviso errore marchiano, ossia
essere collegate (o essere equivalenti) ad altre convinzioni,
nascoste ed erronee. Nel caso in esame, la deduzione puramente geometrica passa sotto silenzio il fatto che le distanze e le velocità non si calcolano soltanto teoricamente, ma
vanno rilevate, ed ogni tipo di rilevazione richiede l’invio
e la ricezione di un segnale, per esempio lo stimolo visivo,
ovvero un raggio di luce; essa19 risulta perciò equivalente
all’inconsapevole assunzione che la velocità della luce sia
infinita [10, 11, 37, 39]. Quando quest’assunzione silenziosa
è dimostrata falsa, si va a sbattere contro una contraddizione.
Solo l’esplicitazione assiomatica ci fa capire dove avevamo
sbagliato prima e che cosa dobbiamo correggere20.
19 La sopra menzionata deduzione puramente geometrica.
20 Rinunciamo qui alla discussione di esempi più attuali e profondi, come
47
MATEMATICA | SCIENZE E RICERCHE • N. 44 • GENNAIO 2017
Per tutte queste buone ragioni, e probabilmente molte altre che qui non abbiamo preso in considerazione,
l’«assiomatizzazione profonda» delle proprietà degli oggetti
generali del suo studio andrebbe riguardata come la meta finale del percorso evolutivo di ogni scienza, la condizione che
ne armonizzerebbe e verosimilmente renderebbe più rapidi
ed efficaci tutti i successivi sviluppi. Non è un caso che la Fisica, la quale ha più o meno esplicitamente applicato quest’analisi con grande assiduità e rigore in tutto il corso della sua
storia21, si palesi come la scienza più evoluta, completa e
comprensiva. Nessun’altra delle scienze moderne mostra, a
un livello sufficientemente generale, lo stesso tipo di analisi
appena descritto, la stessa limpidezza nell’espressione delle
assunzioni. Per molte scienze questo si deve senza dubbio a
un interesse prevalentemente tassonomico; per altre, specialmente quelle individuate come soft, come la sociologia o la
psicologia, ciò si deve quasi certamente all’impegno preliminare di raggiungere almeno lo stadio della formalizzazione,
attraverso il superamento dello storico uso di un linguaggio
qualitativo e la sua disambiguazione. Questo, al momento,
assorbe naturalmente le energie e il tempo dei ricercatori impegnati in ricostruzioni teoriche. Per quanto riguarda la psicologia, un tentativo particolarmente interessante in questo
senso si deve allo psicanalista cileno I. MATTE BLANCO
[28] (cfr, anche [25, 30, 31]), la cui formalizzazione22 delle
nozioni di «conscio» e «inconscio» ha, non a caso, attratto
l’attenzione di studiosi informatici [30, 31] e fisici [25].
Sarebbe interessante che analoghi tentativi si facessero
nell’ambito di indagini e riflessioni di carattere eminentemente filosofico, qualitativo e pre-matematico: potremmo
ambire a un Diritto scientifico, e a una Sociologia scientifica
o, più profondamente, a un’Etica scientifica (e a un’Estetica,
a una Politologia, ecc.).
Altre scienze ancora, come la Biochimica, la Biologia Molecolare e molte di quelle designate con l’etichetta comune
di «Scienze Biologiche», vivono una condizione ben diversa. Gli oggetti del loro studio sono ancora (o ancor più che
in passato) suscettibili di definizione «ostensiva», anche se
in un senso lato, o «generalizzato», nel quale la percezione
è mediata da una strumentazione estremamente composita
e sofisticata (microscopio elettronico, risonanza magnetica,
spettrofotometria, ecc.), e gran parte degli sforzi degli studiosi è concentrata nella ricerca di evidenze sperimentali che
consentano di giungere alla formulazione di un’ampia classe
di «assiomi locali», ovvero regole empiriche di comportal’analisi del dualismo onda-particella o della contraddizione tra Meccanica
Quantistica (rigorosamente valida su scala microscopica) [8, 48] e Relatività Generale (rigorosamente valida su scala cosmica). Il primo motivo di
questa rinuncia è che tale discussione eccederebbe enormemente i limiti di
un’esposizione come questa; il secondo è che l’analisi di questi problemi
non sembra aver ancora superato i limiti della geniale formalizzazione tramite gli strumenti della matematica più sofisticata: essa perciò è ancora al
secondo livello, e non ha rilievo per l’assiomatizzazione.
21 Spesso, e di nuovo non a caso, anche grazie al contributo di grandi
matematici, tra i quali citeremo soltanto Poincaré e von Neumann, tanto
per limitiarci solo a due fra i più grandi.
22 Possiamo a buon diritto classificarla così.
48
mento, riguardanti classi ben circoscritte e relativamente limitate di fenomeni, la cui unificazione, per il loro esorbitante numero, la loro inevitabile provvisorietà, e la complessità
dei sistemi che esse devono descrivere, sembra un’impresa
ancora ben lungi dall’essere realizzabile. E tuttavia, vanno
diffondendosi pubblicazioni dedicate alla «Biologia Matematica», nelle quali si propongono sempre più numerosi e
profondi tentativi di formalizzazione di un numero sempre
maggiore di problemi generali: il passo intermedio verso
l’assiomatizzazione si sta compiendo; per l’ultimo passo
manca al momento la percezione di possibili nozioni abbastanza fondamentali e condivise, ma si può nutrire fiducia
che in un futuro non troppo lontano tale passo sarà compiuto.
Una posizione speciale occupa invece, tra le scienze moderne, l’Economia. Il suo statuto epistemologico è, per la
verità, alquanto dubbio persino agli occhi di qualche economista, ma la si deve considerare in quanto la stragrande
maggioranza dei suoi cultori rivendica per essa un ruolo di
particolare rilievo nel novero delle scienze sociali. Eppure, il
livello della sua matematizzazione, che trae origine dai lavori di LÈON WALRAS [45-47] e di LOUIS BACHELIER [3]
che di fatto sono alla base dell’uso del linguaggio matematico
in quei settori dell’Economia oggi noti rispettivamente come
Microeconomia, Macroeconomia e Finanza, è sorprendentemente basso, nonostante sembri altrimenti a causa della
notevole complessità dei metodi statistici di cui si serve. Con
ogni evidenza, essa si trova più o meno nelle stesse condizioni delle scienze biologiche menzionate prima, ossia è ancora
alla ricerca di risultati empirici che le consentano di fondare
meglio (o, all’occorrenza, modificare) i suoi «assiomi locali»
(noti come «leggi fondamentalli dell’economia»), e possibilmente di formularne di nuovi, alcuni dei quali possano costituire la descrizione di una prospettiva unitaria per le attività
economiche nel loro complesso. E di fatto, è l’urgenza di
ampliare e integrare questi risultati empirici una ragione non
secondaria del successo delle opere di THOMAS PIKETTY
[33, 34], che si è dedicato con grande rigore scientifico ed
estrema perizia tecnica al tentativo di istituire correlazioni
empiriche tra parametri economici classici (redditi, capitale,
crescita … etc.), senza peraltro proporre una formalizzazione
compiuta delle conclusioni che ne trae. Nello stesso tempo,
sulla base di ardite generalizzazioni di esperienze personali,
o di una sorta di «esperimenti pensati» il cui esito è in massima parte influenzato da inclinazioni personali23, gli studiosi
di economia hanno proposto e propongono modelli parziali
di attività economiche particolari (scambi, produzione, imposizione fiscale, e soprattutto investimenti e transazioni
finanziarie), ottenendo una modellazione frammentaria. In
tal modo, l’economia si presenta imme-diatamente come
un’attività di riflessione con mire conoscitive, che ambisce
al ruolo, alla sicurezza, al potere, e soprattutto alle capacità
di crescita e miglioramento della scienza, ma è ferma a uno
stadio intermedio tra la quantificazione e la formalizzazione,
23 Questa procedura è chiaramente riconoscibile sin dalle opere dei cosiddetti «economisti classici», a cominciare da ADAM SMITH [42].
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e non riesce a raggiungere il livello di maturità caratterizzato
dall’assiomatizzazione. In effetti, da quanto discusso prima
risulta che il metodo dell’assiomatizzazione è precisamente
lo strumento più importante per il miglioramento e la crescita (intesi non in senso meramente estensivo, cioè collegato
all’aumento dei tipi di problemi affrontati, ma in senso intensivo, ossia come approfondimento delle descrizioni) di qualsiasi scienza. Ed è per questo che le scienze più mature sono
quelle che mostrano di aver compreso e di saper utilizzare
questo metodo. Quelle che si fermano a uno dei primi due
livelli, ma pretendono di essere «prescrittive», sono chiaramente soltanto agli inizi del loro cammino.
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