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L’EVOLUZIONE STORICO-CULTURALE DELLA RELAZIONE NIDO-FAMIGLIA IN ITALIA
Le diverse tipologie dei servizi per la prima infanzia succedutesi negli anni all’interno del contesto italiano
hanno rispecchiato i differenti panorami sociali e culturali in cui sono state inserite. Il cammino è stato
lungo e faticoso, prima di arrivare a modelli educativi e, dunque, a contesti e servizi educativi sempre più
sofisticati ed efficaci. È nel 1890, nel periodo della rivoluzione industriale, che con la legge numero 6792
che si iniziano a fornire disposizioni per la costruzione di luoghi dedicati all’accoglienza di bambini piccoli,
denominati “presepi”. Questi nascono in risposta all’aumento dell’impiego lavorativo delle donne
all’interno delle fabbriche. In questi contesti l’accudimento del bambino, però, è ancora molto lontano dalla
nostra attuale concezione di “agenzia educativa” e in effetti in tali luoghi dedicati i bambini vengono
accuditi perlopiù dal punto di vista dell’assistenza e custodia, a livello igienico e sanitario. La dimensione
relazionale ed educativa non era contemplata. Le stesse limitazioni le subisce l’Opera Nazionale per la
protezione della Maternità e dell’Infanzia, ente istituito in pieno regime fascista, costituito per
salvaguardare la politica di sviluppo demografico decisa da Mussolini, al fine di proteggere la maternità e di
prevenire le malattie infantili. La legge dell’Opera (numero 2277 del 1925) prevedeva anche l’istituzIone di
asili nido, costruiti vicino o all’interno degli stabilimenti industriali presso i quali lavoravano le madri. In
questi contesti le operatrici non avevano alcuna formazione specifica, non c’era alcuna programmazione di
attività e il tempo era scandito dai pasti, dal momento del sonno e dei cambi, privati di qualsiasi valenza
educativa. I bambini si ritrovavano in contesti molto affollati, in cui il rapporto più rilevante era quello con i
pari, infatti essi erano da subito spinti verso l’autonomia per due motivi: il primo era la convinzione che
instaurare relazioni affettivamente significative con l’adulto era considerata una forma di dipendenza non
proficua e il secondo, più pratico, era che data la numerosità dei bambini inseriti costruire forti legami tra
educatrice e bambino sarebbe stato controproducente per il corretto svolgimento del servizio. I genitori
non erano accolti all’interno delle strutture al fine di preservare le condizioni igieniche ottimali e non c’era
comunicazione con le educatrici se non su temi igienico-sanitari e con modalità didattica e unidirezionale.
In questa dimensione “educativa” la funzione delle educatrici era, dunque, svalutata e le madri erano
attivate da fortissimi sensi di colpa nel lasciare i propri figli in ambienti cosi poveri dal punto di vista
affettivo. È con la legge del 1971 (numero 1044) attraverso cui lo Stato si assume un impegno di
responsabilità verso i servizi per la prima infanzia, che le famiglie vengono finalmente chiamate a
partecipare attivamente alla vita all’interno del nido e inizia ad essere data maggiore rilevanza alla
formazione del personale. È un momento in cui inizia a delinearsi anche un progetto psicopedagogico e un
primo approccio alla costruzione della relazione nido-famiglia. Ma ancora ci sarà da lavorare e la svolta vera
e propria arriverà negli anni ottanta con l’elaborazione di approcci teorici in ambito della psicologia dello
sviluppo, i quali contribuiscono a creare la consapevolezza sociale riguardo l’importanza che rivestono le
relazioni nello sviluppo psichico del bambino e quanto sia importante dare risalto a questa dimensione,
quella psicologica. Il nido inizia, da qui, ad assumere una maggiore valenza educativa, anche se ancora ci
saranno molti aspetti da approfondire e ampliare. Negli anni Novanta i cambiamenti sociali, che porteranno
anche alla redazione della Convenzione sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza approvata dall’Assemblea
delle Nazioni Unite (ONU) a New York nel 1989 (l’Italia ha ratificato e reso esecutiva la Convenzione nel
1991), saranno lo stimolo per un ulteriore cambiamento dell’istituzione nido, diventa, infatti, sempre più
sentita la necessità di dare risalto all’importanza che rivestono le esperienze fatte nei primissimi anni di vita
del bambino. Il nido diventa ora una vera e propria scelta culturale, quindi non solo un luogo in cui i genitori
lasciano il figlio quando vanno a lavoro, ma un luogo in cui trovano l’opportunità di trovare l’aiuto per i
propri figli a crescere e un luogo di socializzazione sia per i bambini che per le famiglie.
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I NOSTRI VALORI
Siamo convinti che educare i bambini significhi anche trasmettere loro dei valori. Per questo formiamo le
nostre educatrici secondo dei principi condivisi all’interno della struttura, affinchè esse abbiano chiaro un
progetto educativo con fondamenta solide. Questo perché ogni bambino che viene educato acquisisce i
valori che gli vengono trasmessi e questi si trasformano in modelli comportamentali, che sono il seme delle
loro future scelte, decisioni ed azioni. Il bambino, dunque, segue le regole e i valori che l’adulto gli
trasmette, che sceglie per lui, e li assimila, e man mano si evolve in modo da appoggiarsi sempre meno alle
regole esterne e sempre più sui principi assimilati dalla sua coscienza. La coerenza tra ciò che i bambini
vivono a casa e al nido è importante perché tra il momento in cui viene trasmesso un valore al bambino e il
momento in cui tale valore viene assimilato a livello interiore intercorrono tutte le esperienze che lui fà. È
per questo che le nostre educatrici vengono preparate a cercare una collaborazione e una comunicazione
sempre più stretta con le famiglie: è fondamentale la cooperazione e l’essere “compatti” per poter far
crescere insieme un progetto comune. Valori come il rispetto dell’altro e di se stesso, la generosità, il senso
del dovere e del piacere, la condivisione e l’appartenenza, ed altri valori fondamentali, sono la base della
crescita sana del bambino e sarà fondamentale lavorare insieme affinché questi vengano assimilati dal
bambino.
MODELLO PEDAGOGICO
L’approccio pedagogico cui ci rifacciamo si ispira ad un modello in cui il bambino ha un ruolo centrale
nell’educazione e in cui non è più considerato come un semplice “recettore” o “contenitore”, ma un attore
protagonista attivamente partecipante al processo educativo. Quindi l’apprendimento non è più
meramente una causa-effetto, bensì opera dello stesso bambino, delle sue attività e delle sue risorse. In
quest’ottica l’apprendimento diventa auto-costruzione, sottoposta a stimolo esterno. L’attenzione, dunque,
è spostata sul bambino e non sulla materia da proporre o sul contenuto dell’apprendimento. L’educatrice
diventa un facilitatore, fautrice di un processo maieutico, inteso come un aiutare a tirare fuori ciò che già è
dentro al bambino, aiutandolo a crescere e a svilupparsi. Il bambino è un essere dotato di straordinarie
potenzialità, di capacità di pensare e di sentire e di diversi linguaggi attraverso i quali si esprime. Egli viene,
pertanto, sollecitato ad esprimere il proprio Sé, nel linguaggio che gli è più congeniale. Per questo è
fondamentale proporre nella quotidianità scolastica diversi modi di esprimersi, affinché ogni bambino
possa trovare il suo personale canale preferenziale. Nella sua attività esplorativa e, quindi, nel suo percorso
di apprendimento il bambino è mosso dalla curiosità, dalla ricerca e dall’interesse che gli sono propri e che
conferiscono qualità e valore all’azione educativa dell’adulto. La funzione dell’educatrice anche in questo è
di orientamento e di sollecitazione dell’emergere dell’individualità nella sua espressività sia a un livello
verbale che a un livello non-verbale. Si instaura, così, un circolo virtuoso che alimenta la crescita sia del
bambino sia del suo care-giver. In questa dimensione l’apprendimento, che origina nel confronto, nel gioco,
nelle emozioni di cui si fa esperienza, nelle relazioni, diventa piacevole e ricompensante. In quest’ottica
tutto assume il ruolo di compartecipazione all’azione educativa: la formazione permanente delle educatrici
e il loro sostegno psicologico, il coordinamento pedagogico, la progettazione didattica e degli ambienti, la
sicurezza e la progettazione della comunicazione interna ed interna/vs/esterna (nido vs famiglie e
viceversa) e infine, ma non ultimo per importanza, la partecipazione delle famiglie alle attività del nido e
della scuola materna.
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PROGETTO 0-3: ASILO NIDO
La fascia di età dagli zero ai tre anni è una delle fasi evolutive più delicate attraverso la quale il bambino
passa. In questo periodo di sviluppo il bambino sente e si esprime prevalentemente attraverso il corpo, e
tramite il contatto fisico e le cure che riceve egli costruisce l’identità corporea e quella psicologica. Le
risposte degli adulti alle sue richieste sono fondamentali per aiutarlo a sviluppare il suo senso di autoefficacia e, quindi, di autostima. Un bambino che piange sta di fatto avanzando una richiesta, se, però a
questa non riceve riscontro egli percepisce un senso di insoddisfazione rispetto al suo bisogno, avvertendo,
allo stesso tempo, un senso di in-efficacia. La risposta appropriata del care-giver gli offre, dunque,
l’opportunità di ottenere ciò di cui ha bisogno, sentendosi adeguato e di imparare a comprendere come
può farlo, ovvero attraverso la comunicazione. È sempre in questa fase che inizia a svilupparsi
l’attaccamento con le figure di riferimento fondamentali, tra le quali anche quella dell’educatrice che
diventa anch’essa un punto di riferimento importante. L'obiettivo esterno del sistema di attaccamento è
quello di garantire la vicinanza con il care-giver, mentre quello interno è di motivare il bambino alla ricerca
di una sicurezza interna, senso di sicurezza che lo porterà all’autonomia. In effetti i suoi bisogni sono di
esplorazione e sperimentazione, ma sempre partendo da una base sicura il bambino potrà permettersi di
soddisfare questi suoi bisogni, e la curiosità è l’elemento propulsore del processo esplorativo e di
apprendimento.
Nel progetto Nido 0-3 che abbiamo disegnato per i nostri bambini teniamo conto di tutti questi elementi
psico-pedagogici fondamentali per il loro sviluppo ottimale, aiutandoli a svilupparsi nelle diverse aree vitali
come quella socio-relazionale, quella del linguaggio, quella psicomotoria e quella emotiva.
PROGETTO 3-6: SCUOLA MATERNA
Questo è’ il periodo in cui il bambino matura una completa autonomia di movimento e di espressione,
sviluppa una capacità espressiva sempre maggiore sino ad avere man mano un linguaggio ricco, corretto,
ben comprensibile. L’aumentata indipendenza permette al bambino di staccarsi dai genitori con maggiore
serenità e di coinvolgersi sempre di più nelle relazioni sociali allargate, coi pari e con gli altri adulti
significativi. Anche in questo periodo evolutivo la curiosità e la ricerca sono elementi preponderanti ma
coinvolgono non solo o non prevalentemente, come nel periodo precedente, l’esplorazione a livello
corporeo o ambientale circostante, ma anche a un livello intellettivo. È la fase dei Perché e dei No, quindi
della ricerca di significati e dell’opposizione. Entrambi questi comportamenti del bambino hanno come
finalità l’acquisizione di una sempre maggiore autonomia e sicurezza. In questa fase evolutiva il bambino ha
il compito anche di imparare a distinguere man mano la fantasia dalla realtà. Questa distinzione lo aiuterà a
superare le paure che lo hanno accompagnato nella precedente fascia di sviluppo, in cui ogni cosa per lui
era “animata” e, dunque, potenzialmente minacciosa. L’acquisizione di un senso di “razionalità”, inteso
come la capacità di comprendere dati di realtà e differenziarli da quelli immaginativi, gli permetterà anche
di iniziare ad acquisire maggiori competenze nella regolazione emotiva. Il bambino dai 3 ai 6 anni consolida,
inoltre, (ma inizia a svilupparla già da prima) la sua identità di genere, ovvero il genere sessuale (maschio o
femmina) nel quale si identifica. Inizia, quindi, ad essere maggiormente interessato anche ad aspetti
sessuali. Fa domande ed esplora il suo corpo, è un primo contatto con una sfera delicata e importante per
lo sviluppo della sua identità e le risposte degli adulti saranno, ancora una volta, fondamentali.
La progettazione educativa per i bambini che si trovano in questo periodo evolutivo deve, ancora una volta,
tenere conto di questi importanti cambiamenti per poterli sostenere, stimolare e sviluppare. L’azione
educativa dovrà, dunque, coinvolgere attivamente elementi quali l’intelligenza emotiva e l’educazione
emotiva, lo stimolo della meta-cognizione (ovvero della capacità di riflettere su se stesso), e il
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consolidamento dell’identità corporea, con la finalità di sostenere il bambino nella ricerca della
maturazione della sua identità personale.
I BISOGNI DEI BAMBINI
Il nostro interesse primario nei confronti dei bambini del nostro Asilo Nido e della nostra Scuola Materna è
di porci come figure di riferimento valide e competenti, nell’ottica di soddisfare i loro bisogni primari, per
poi perseguire la soddisfazione di quelli di sicurezza, quelli sociali, dei bisogni di stima, promuovendo,
infine, la loro auto-realizzazione. L’essere umano, sappiamo bene, è infatti mosso da bisogni, intesi come
desiderio di appagamento, nell’obiettivo di un maggior benessere personale. Come indicato dai concetti
alla base dell’elaborazione della Piramide dei bisogni sviluppata da Maslow , alla sua base si pongono i
bisogni fisici che una volta soddisfatti lasciano emergere quelli di sicurezza, come il bisogno di protezione,
per poi, una volta soddisfatti, lasciare spazio a quelli sociali, di ordine superiore. A l’Arcobalena diamo
molta importanza alla considerazione dei bisogni che motivano il comportamento dei bambini e miriamo ad
aiutarli a soddisfarli nei loro diversi livelli e sfaccettature inserendo, all’interno della progettazione
quotidiana da proporre, attività ludiche, estetiche, psicomotorie, di manipolazione, routine e rituali,
laboratori espressivi (musica, teatro) che li aiutino, appunto, a perseguire questo obiettivo di benessere. La
formazione permanente allo staff l’Arcobalena mira anche a dare supporto alle nostre educatrici nel
sostenere emotivamente i bambini, stimolandole a tenere saldo l’impegno nel porsi come figure di
riferimento sensibili e responsive, mantenendo costantemente un ascolto e un’osservazione attivi verso i
bambini, un contatto affettivo/emotivo, ponendosi come modelli da seguire e riponendo sempre molta
attenzione anche ad evitare i giudizi e gli stereotipi morali, etici e religiosi sul comportamento dei bambini,
perché ogni bambino è un essere unico e speciale per ciò che è.
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Tra il 1943 e il 1954 lo psicologo statunitense Abraham Maslow concepì il concetto di "Hierarchy of Needs" (gerarchia dei bisogni o
necessità) e la divulgò nel libro Motivation and Personality del 1954. Questa scala di bisogni è suddivisa in cinque differenti livelli, dai
più elementari (necessari alla sopravvivenza dell'individuo) ai più complessi (di carattere sociale). L'individuo si realizza passando per i
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vari stadi, i quali devono essere soddisfatti in modo progressivo. Questa scala è conosciuta a livello internazionale come "La piramide di
Maslow".
LA SCUOLA DELL’INFANZIA COME FRONTIERA MULTICULTURALE
La scuola dell’infanzia bilingue l’Arcobalena si pone come frontiera, ovvero come punto di contatto tra
culture diverse, inserendo il bilinguismo all’interno della progettazione didattica permanente. Non risulta
superfluo sottolineare l’arricchimento culturale, psicologico ed emotivo che l’inserimento di allievi stranieri
comporta per la scuola e, dunque, per la cultura italiana; quanto i bambini della nostra scuola materna
potendosi confrontare con diversi modi di relazionarsi, di sentire e pensare e con le diverse tradizioni,
abbiano l’opportunità di crescere con una mentalità più aperta e articolata. Per non parlare poi dei vantaggi
che l’apprendimento di una seconda lingua (per i stranieri l’italiano e per gli italiani l’inglese) comporta per i
bambini oggi e per gli adulti che saranno. Molti studi, infatti, hanno recentemente confermato che
apprendere una seconda lingua stimola nei bambini importanti aspetti, quali: la crescita dei centri del
linguaggio nel cervello; il ritardo nella comparsa futura di patologie senili quali Demenza e Alzheimer;
apprendere una seconda lingua aumenta la capacità di ascolto dei suoni, potenzia la memoria, l’abilità nel
calcolo mentale e nella lettura; stimola una maggiore flessibilità cognitiva e, quindi, l’adattamento;
aumenta la capacità attentiva; per non parlare degli ovvi vantaggi in termini pratici futuri (professionali, di
vita) che il bilinguismo apporta.
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