antropologia africana: solidarietà tra cultura e morale.

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Teresianum 65 (2014) 263-278
antropologia africana:
solidarietà tra cultura e morale.
Approccio di un’ermeneutica cristiana
GaBRIeL GaSTon TaTa
Introduzione
oggi, quando si parla dell’africa, un’evidenza salta agli occhi: è
un continente che si spezza sotto il peso d’innumerevoli contraddizioni, interne ed esterne. osservando ad esempio gli africani che si uccidono a vicenda, pur abitando nella stessa zona e talvolta condividendo la stessa
lingua, ci si può chiedere: a che cosa serve la solidarietà riconosciuta all’africa? Come capirla e renderla più dinamica? Rispondere a tali domande ci porta a richiamare l’attenzione sul significato delle relazioni
dette di solidarietà e sull’impegno dell’uomo africano nella sua appartenenza culturale e nelle sue varie convinzioni.
questa ricerca invita tutti ad assumersi responsabilità sul fatto che,
nel contesto attuale, vivere insieme richiede un’esigenza privilegiata di
incontro tra soggettività e intersoggettività dinamica. Tale responsabilità
significa impegnarsi e fare delle scelte concrete per partecipare alla costruzione di una solidarietà fondata sull’unità nella diversità delle identità
particolari. La riflessione seguirà tre assi principali: solidarietà nell’antropologia culturale africana, solidarietà come un paradigma per la teologia africana, e solidarietà messa in dialogo con l’etica cristiana.
1. Capire la solidarietà nella prospettiva della cultura
1.1. Nota metodologica: unità o diversità?
L’africa si mostra, di primo acchito, come un’immensità diversa,
costituita da una cultura plurale e complessa. questa realtà, più articolata
di quanto appaia a prima vista, impedisce di trarre in fretta conclusioni
valevoli per l’insieme del continente1. Così, i parametri che legittimano
l’antropologia africana, per esser veramente compresi, chiedono di esser
situati nell’insieme socioculturale al quale fanno riferimento e fuori dal
quale essi non hanno più significato.
1
B. koSSou, «Pour l’identité culturelle africaine», in : uneSCo, L’affirmation de l’identité culturelle et de la formation de la conscience nationale dans l’Afrique contemporaine, Présence
africaine, Paris, 1981, p. 118.
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L’africa, infatti, ha una diversità di tribù, di gruppi etnici o di comunità con le loro usanze, diversità degli spiriti caratteristici, dei codici
morali, dei modi di vivere e delle lingue, tanto che, parlar dell’unità antropologica al singolare, diviene un compito arduo. numerosi fattori, quali
l’appartenenza etnica, l’ambiente ecologico, la produzione materiale, la
visione del mondo, e soprattutto la spiritualità, permettono di porre l’accento sulla diversità culturale che fonda e anima quest’antropologia.
In una stessa area geografica, si contano più etnie e diverse sensibilità culturali. da un’etnia all’altra, da una regione all’altra, vediamo
comparire grandi differenze nei riti di passaggio (nascita, matrimonio, funerali), nel culto reso agli antenati, nel nome dato alle divinità e soprattutto
a dio. Goetz dice che ciò che diversifica le culture che compongono quest’antropologia «è appunto la maniera, propria a ciascuna di esse, di affrontare la realtà e di stabilire le sue categorie. Ciascuna si è elaborata da
una situazione particolare in rapporto ai problemi dell’esistenza, riuscendo, secondo il modo a lei proprio, a integrare spiritualmente le sue
esperienze»2. Si tratta dunque di una grande diversità che sembra escludere
ogni tentativo di chiarificazione e rigida sistemazione delle società africane.
nonostante tutto ciò, esistono diverse maniere di comprendere
l’unità antropologica dell’africa. Poiché le ricerche non hanno difficoltà
a cogliervi un substrato comune. a parte qualche sfumatura c’è un certo
numero di caratteri comuni che si ritrovano nelle differenti società africane3. Infatti, coloro che conoscono superficialmente l’africa la vedono
come un monolite culturale, dove tutti vivono, sentono e pensano allo
stesso modo. Coloro che la conoscono meglio insistono sulla varietà di
lingue, usanze, retaggi comunitari; coloro che la conoscono molto bene
percepiscono, sotto questa diversità, una vasta unità culturale della stessa
ampiezza.
di conseguenza, la dimensione socio-culturale può permetterci di
rintracciare l’unità antropologica dell’africa. Ciò vuol dire che, sebbene
molteplici fattori dividono le differenti sensibilità, ve ne sono altri che difendono la causa dell’unità culturale dell’africa: unità fatta dall’insieme
degli elementi che mettono in evidenza una configurazione propria e comune. Perciò, Cheik anta diop consiglia di «partire dalle condizioni materiali per spiegare tutti i tratti culturali comuni agli africani, dalla vita
domestica fino a quella della nazione, passando per la superstruttura ideologica, il successo, i fallimenti e le regressioni tecniche […], per cogliere
il denominatore della cultura africana»4. david davidson non pensa altrimenti quando dice che «è chiaro che un certo numero di fattori comuni
2
Trad. it. di T. J. GoeTZ, «Tabou et péché chez les Primitifs», in: Théologie du péché, desclée, Paris, 1960, 126.
3
Cf. e.P. SkInneR, Peoples and Cultures of Africa, natural history Press, new york, 1973.
4
Trad. it. di C.a. dIoP, L’unité culturelle de l’Afrique noire. Domaines du patriarcat et du
matriarcat dans l’antiquité classique, Présence africaine, Paris, 1982, p. 7-8.
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hanno profondamente influito e agito sulla maggioranza dei popoli africani»5.
In questa contribuzione, la scelta metodologica è ricercare l’unità
nella diversità e farne un luogo privilegiato di riflessione, senza dimenticare che è possibile un’altra prospettiva.
1.2. Valenza etico-antropologica
La solidarietà è l’espressione dell’antropologia comunitaria, cioè il vivereinsieme come “essere-con” e “essere-per”. Secondo una prospettiva condivisa nell’etica africana, l’uomo da che esiste, non è un semplice frutto
della natura. egli è il prodotto della cultura grazie alla quale raggiunge la
sua piena crescita e la sua maturità in seno alla comunità chiamata alla comunione e alla relazione6.
non è concepibile un individuo solitario che possa progettare se
stesso partendo da un punto zero. questo vuol dire che, per l’etica africana,
l’individuo non è chiuso nel suo piccolo mondo dell’io, ma si apre all’orizzonte indeterminato del gruppo. essere-persona è sempre un essere
con gli altri. ogni individuo è allo stesso tempo membro di una catena di
relazioni vitali. egli influenza ed è influenzato, e stabilisce delle relazioni
fra le generazioni precedenti e le forze a lui soggiacenti. È difficile quindi,
persino impossibile, rappresentare l’uomo come un essere indipendente
dalla comunità, che esiste per se stesso7.
La solidarietà rimanda alle relazioni comunitarie o sociali imperniate su modalità al contempo naturali, culturali o funzionali. Il gruppo
all’interno del quale essa si esercita è percepito non solo come dato biologico, ma anche come realtà socialmente costituita. La solidarietà ingloba
così dei “luoghi” di aiuto reciproco che ci spingono verso coloro che riconosciamo come nostri simili (famiglia, comunità, amicizie, unione matrimoniale, società, umanità), che non derivano da una contrattazione
formale a priori, ma sono causati da moventi etici o antropologici.
Tutte queste relazioni hanno un significato: la solidarietà è vita. Infatti, se per l’antropologia comunitaria africana la vita è il valore supremo,
la solidarietà è il suo optimum, ed è percepita come tramite indispensabile
per mantenere la forza vitale. Presso gli yoruba (nigeria, Benin, Togo),
l’adagio Agba jò òwò l’afi s’òyà, letteralmente, «è con l’insieme delle
mani che ci si batte il petto», mette in gioco la forza del gruppo mediante
la sinergia, l’unione delle persone. qui l’unione-solidarietà si oppone a
5
Trad. it. di d. daVIdSon, Which way Africa?, Penguin african Library, harmonds worth,
1971, p. 31.
6
Trad. it. di Cf. G.G. TaTa, L’anthropologie communautaire africaine. Solidarité dynamique
ou tragique? Essai d’une herméneutique morale chrétienne, (Tesi), Puu, Roma 2012, p. 66-74.
7
Cf. B. BuJo, La pretesa universalità della morale occidentale. Fondamenti di un’etica
africana, Cittadella editrice, assisi, 2009, p. 10-22.
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una forma d’individualismo collettivo. Si tratta di un’esperienza esistenziale che esige la compenetrazione, ciò significa che finché esistiamo, non
possiamo mai considerarci indipendenti dagli altri in seno alla comunità.
L’individuo, infatti, se si isola precipiterebbe in un’esistenza indebolita, se non caotica. I Bemba dello Zambia avvertono dunque: Ubwingi
bwatunyele bwaimishe insofu, «è un’armata di formiche che solleva un
elefante». un’espressione yoruba sottolinea la stessa necessità di interazione: Oju ki tobì lai si ègbò, vale a dire «il viso non ingrassa senza le
guance», espressione tradotta in Fon (Sud Benin) con Noukounmè nòn klò
klìn min vò à.
Tutti questi adagi africani hanno l’obiettivo di mostrare che le relazioni interpersonali rendono forti e portano la sicurezza, poiché gli uni dipendono dagli altri in una logica di complementarietà. L’adagio Fon Ado
yi atòn ni fli zèn à, letteralmente «il focolare con tre pietre non rovescia la
pentola», che traduce bene questa idea d’interdipendenza e di sicurezza,
dunque di unione vitale, che è presente anche presso i Bwa del mali: Nubèro de’ero bè se nyuntun, cioè «un solo dito non può afferrare il canarino».
La presenza degli altri si offre come garanzia, perché si è forti unendosi ma, ben inteso, qui non si tratta di essere al di sopra degli altri, ma bisogna essere forti con loro. nella stessa logica, gli azande del Sud Sudan
parlano di Songodatise, «rinforzo», sostantivo derivato da Songoda, che significa rinforzare, sopportare. Così, in seno al A nu ilé (famiglia in yoruba), dunque la domus che include parentela, matrimonio, amicizia,
vicinato, la rete rinforza la sua coerenza con l’esercizio attivo della solidarietà: la presa in carico e il tutoraggio degli orfani, l’apprendistato e la
formazione professionale, l’arbitraggio dei conflitti d’interesse.
Si comprende allora l’adagio Fon: Alò de wè nò klò alò de, vale a
dire «è una mano che lava l’altra». I membri (i parenti, gli amici e gli alleati) si uniscono per darsi migliore assistenza nel corso degli avvenimenti
felici (la nascita, il matrimonio) o dolorosi della vita (i decessi), nell’avere
e nello spogliamento, nella salute e nella malattia, nella giovinezza vigorosa e nella vecchiaia privata di forze. nello stesso ordine d’idee di compenetrazione di energia vitale, l’antropologia keniana utilizza il termine
Harambee, in Swahili, che significa in inglese «all pull together», cioè tirare tutti insieme8.
8
questo spirito Harambee, di solidarietà, che Jomo kenyatta, l’uomo politico keniota più famoso, lanciò nel 1963, perdura fino ad oggi in kenya nella realizzazione di molti progetti di sviluppo
solidale (Cf. m.J.d. hILL, The Harambee Movement In Kenya: Self-Help, Development And Education Among The Kamba Of Kitui District, The athlone Press, London, 1991).
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1.3. Dinamica della solidarietà
Si può dire che la solidarietà nell’antropologia africana è dinamica.
essa non è da considerarsi un semplice dovere, è di più; è un obbligo
socio-culturale e socio-economico. m. Tshobo definisce tale solidarietà
come «la coscienza del gruppo, vale a dire l’insieme delle idee e degli interessi che sono comuni, un prodotto naturale e necessario della resistenza
all’azione isolata delle unità sociali»9.
In questa solidarietà funzionale, infatti, l’interdipendenza non è dissociata dalla logica della condivisione: la solidarietà di relazioni di scambio dei doni (materiali e spirituali) fra i membri della comunità. I membri
sono chiamati a condividere i benefici della loro educazione o dei loro affari, prendendosi cura dei parenti più poveri, sia per la via traversa di sostanziali contributi finanziari, sia rendendo loro dei servigi o dando loro
asilo.
Lo spirito della condivisione, meglio della condivisione-assistenza,
non fa eccezione di persona. La comunità agisce sempre come rifugio affettivo e soprattutto economico. evidentemente, precisa m. konaté, «la
casa deve essere aperta ai genitori che possono giungere senza preavviso
e soggiornare quanto lo desiderino. Compatire le preoccupazioni, farsi carico, nella misura del possibile, dei costi sanitari e scolastici dei propri
prossimi in comunità, sono altrettante obbligazioni morali alle quali non
ci si può sottrarre, pena violare il patto dei propri antenati»10.
La solidarietà comunitaria non si basa su una norma di responsabilità sociale, ma piuttosto sul fatto che la relazione esistente è il frutto dell’ethos comunitario che invita ciascuno a coltivare questo spirito di
condivisione che, infatti, incoraggia a donare il proprio sostegno agli altri.
dispersi o riuniti, lontani o vicini, essi sono invitati a condividere. Senza
questo spirito di condivisione in tutte le sue forme (condivisione, assistenza, sicurezza, provvidenza), i disoccupati, i minatori, i vecchi e i malati soffrirebbero del trauma causato da un clima di abbandono e di
solitudine11.
Si può dunque affermare che la solidarietà in africa è dinamica,
poiché, prima di essere compresa quale valore morale, è la traduzione di
una constatazione esistenziale secondo la quale i membri delle cellule di
vita sono vincolati da norme di mutuo sostegno, affinché l’insieme della
comunità faccia corpo, in un’unità vitale.
9
Cf. m. TShoBo, Réflexions sur la notion de solidarité africaine: Théorie et pratique,
unaZa, Lubumbashi, 1979.
10
Cf. m. konaTe, L’Afrique noire est-elle maudite?, arthème Fayard, Paris, 2010, p. 40.
11
Cf. G.G. TaTa, Vivere-insieme. Aspetti etico-sociali dell’antropologia africana, Puu,
Roma, 2014, p. 109-119.
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1.4. Dai rischi ai limiti
La solidarietà, così come compresa e vissuta nell’antropologia africana, comporta qualcosa di positivo. dalle ramificazioni delle relazioni si
sfocia nella creazione delle “alleanze matrimoniali” che legano più famiglie, nei “patti di terra” fra i villaggi, vicini o lontani e nei “patti di sangue” che legano più tribù fino alla morte.
Le clausole di queste alleanze di solidarietà sono tuttavia fluide e
ambigue, poiché il compromesso non fa alcuna differenza tra bontà e rettitudine morale. In africa, infatti, la logica dei gesti di solidarietà è di
creare lo spirito di confidenza, rendersi reciprocamente dei servizi, assicurare una grande discrezione riguardo alle confidenze fatte tra alleati (imparentati o affini), vivere nell’assistenza all’altro.
Se questa forma di solidarietà serve al meglio della vita comunitaria, essa serve anche al peggio. Ad intra, vi è la problematica di una solidarietà che non solo incoraggia la pigrizia e il parassitismo, ma vi si scopre
un tipo di rapporto di strumentalizzazione dell’alterità. Così si può identificare un certo atteggiamento che sembra lasciar spazio a un modo alternativo di decidere il senso che l’altro ha per noi. In realtà l’altro, in virtù
dei rapporti di solidarietà, pare talvolta essere non tanto un soggetto di
rapporto di differenziazione, ma piuttosto un complemento che serve a
realizzare i nostri progetti personali. In questo tipo di relazioni di solidarietà, ciò che interessa in primo luogo, non sono tanto l’accettazione piena
e il rispetto dell’altro, ma la sua utilità. È una solidarietà che racchiude le
relazioni tra ciò che si può misurare.
Ad extra, vi è una solidarietà che obbliga a delle complicità nel male
e nelle vendette, tragiche o anonime. La solidarietà diventa più pericolosa
quando si erge a dovere di difendere la propria famiglia, villaggio, razza
o etnia, il proprio paese o continente, contro gli altri. È una solidarietà che
veicola un’ideologia dell’alterità. L’ideologia dell’“altro” manifesta un disprezzo totale, perché l’“altro” è visto come minaccia e diventa un potenziale pericolo12. Tale situazione può svilupparsi in un clima di regno della
cattiveria gratuita, o in un dramma della violenza cieca o calcolata, che
conduce alle ecatombi a carattere genocidario13. Tensione e conflitto diventano così inerenti alla vita di solidarietà e sfociano, talvolta, in una volontà di sterminio, dietro alla quale si profila l’idea di cancellare
definitivamente un gruppo umano dalla superficie della terra.
12
Cf. B.G. mw’aTekumu, Pour une éthique de la solidarité africaine. Approche interprétative et critique de l’agir ntu-ngombe, PuB, Rome, 1994, p. 127-132.
13
Cf. d. nGoÏe-nGaLLa, Congo-Brazzaville, le retour des Ethnies, la violence identitaire, multiprint, abidjan, 1999.
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2. Capire la solidarietà nella prospettiva della fede
2.1. Solidarietà, un paradigma di teologia africana
nel 1994, la prima assemblea speciale del Sinodo dei Vescovi per
l’africa, ha lanciato ai teologi africani il compito di elaborare una teologia, sfruttando i fondamenti antropologici, il cui paradigma è la solidarietà comunitaria della famiglia, del lignaggio, del clan e della tribù14.
C’era bisogno di identificare certi valori di solidarietà dell’antropologia comunitaria africana: un senso acuto della parentela, della filiazione e della fratellanza, un rispetto innato dei costumi e degli anziani, un
senso profondo dell’onore e della crescita della famiglia, uno spirito sensibile all’ospitalità. È dunque una solidarietà basata su valori morali, religiosi e culturali.
queste preoccupazioni mettono i teologi africani nella necessità di
superare il quadro di un semplice adattamento delle rappresentazioni
socio-culturali. Così, la teologia deve prendere in considerazione un momento di riflessione molto marcato, partendo dalle relazioni di solidarietà,
per giungere a un’altezza spirituale ed etica.
In termini chiari, in tutti i settori dell’orizzonte ecclesiale e del
campo pastorale e sociale, l’antropologia teologica africana dev’essere
pensata, non come il frutto di un’emozione culturale che porta alla rivendicazione, ma soprattutto come lo scopo di una messa in opera dello slancio creatore che porta l’africano alla scoperta del Cristo.
questa nuova prospettiva teologica nel contesto africano spinge a
tener conto delle necessità, allo stesso tempo esistenziali, spirituali ed etiche e mette i teologi davanti alla responsabilità di creare nuovi luoghi di
azione per l’inculturazione della solidarietà africana15.
La solidarietà comunitaria, con le relazioni di gruppo, proprie a ogni
comunità, rappresenta i fondamenti alla problematica della teologia africana. La solidarietà è presa qui in modo globale e dinamico, con lo sguardo
volto verso alla tradizione. In altri termini, l’esperienza delle comunità costituisce il luogo privilegiato a partire dal quale la teologia africana può
fondare la sua elaborazione nella logica di una teologia dell’inculturazione16. L’interesse teologico sembra porsi in questi termini: quale comunità o “famiglia di solidarietà” vuole incarnare la Chiesa in africa? Come
salvaguardare lo spirito di solidarietà, di comunione e di unità delle comunità africane? In quale misura si può partire dai concetti antropologici
per arrivare a un senso nuovo ed ecclesiale del valore della solidarietà africana?
Cf. Synode deS êVequeS PouR L’aFRIque, in: DC 2094 (1994), 470-497.
Cf. m. nGIndu, «L’inculturation du christianisme comme problème théologique», in:
m. nGIndu (éd.), Combat pour le christianisme africain. Mélanges à l’honneur du professeur Vincent Mulago, Faculté de Théologie Catholique de kinshasa, kinshasa, 1981, p. 9-19.
16
ConCILe VaTICan II, Const. Past. Gaudium et Spes, le 7 décembre 1965, n. 43.
14
15
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2.2. Solidarietà ed ecclesiologia africana
La tematica della solidarietà è un’opportunità per ricercare e ripensare l’ecclesiologia nel contesto africano. Si ritorna a dire che, per meglio
accogliere il Vangelo e vivere il suo spirito, le comunità cristiane africane
devono cercare di scoprire nuovi sentieri, contestuali ma fedeli alla Tradizione vivente della Chiesa universale. In questo senso un teologo camerunense, Jean-marc ela, voleva già sapere: «qual è il posto della
personalità di un popolo all’interno della Chiesa una?»17. La Chiesa-Famiglia di dio, infatti, suppone la creazione di piccole comunità a misura
umana, di comunità ecclesiali vive o comunità ecclesiali di base.
In queste comunità, che sono le cellule della Chiesa-Famiglia, ci si
forma a vivere concretamente e autenticamente l’esperienza della fraternità. In esse, regnano la gratuità, la solidarietà, una sorte comune; ciascuno
ivi è motivato a costruire la famiglia di dio, famiglia interamente aperta
sul mondo e che non esclude assolutamente nessuno. queste comunità saranno i migliori mezzi per lottare contro l’etnocentrismo in seno alla
Chiesa stessa e nelle nostre nazioni18.
nelle comunità ecclesiali ci si sforzerà di vivere l’amore universale
del Cristo, un amore che supera le barriere della solidarietà naturale dei
clan, delle tribù o di altri gruppi di interessi. Tutto ciò è ben apprezzato
come ideale. La comunità, in quanto luogo di trasmissione del flusso vitale, crea la rete di relazioni che unisce tutti i membri tramite un principio
vivificante, cioè l’unione vitale.
Le relazioni di solidarietà familiari costituiscono l’anima della comunità ecclesiale, della simbolica “Chiesa-Famiglia” o “Chiesa-Fraternità”, due espressioni, particolarmente appropriate, della natura della
Chiesa per l’africa.
entro una simile comunità ecclesiale, i cristiani sono chiamati a vivere, tutti legati, uniti e in comunione, in maniera che non vi sia altro modo
di essere dei veri cristiani-testimoni della pace, se non vivendo in un rapporto di comunione e di partecipazione, cioè di solidarietà dinamica, con
gli altri uomini.
La solidarietà ecclesiale nel contesto africano deve essere perciò
una traduzione della carità quale principio di comprensione e di azione,
che esprima la maniera in cui è riconosciuta la dignità di ciascuno, al di là
delle ineguaglianze strutturali e sociali.
questo concetto s’inserisce nella logica di Giovanni Paolo II che
diceva che «La solidarietà ci aiuta a vedere l’altro – persona, popolo o nazione – come nostro simile, un “aiuto” (Gen 1,18-20) colui che bisogna far
17
Cf. J. m. eLa, «L’eglise, le monde noir et le Concile», in: Personnalité africaine et
catholicisme, Présence africaine, Paris, 1963, p. 60.
18
Cf. m. CheZa (éd.), Le synode africain. Histoires et textes, karthala, Paris, 1996, p. 225227.
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partecipare, al pari nostro, al banchetto della vita al quale tutti gli uomini
sono ugualmente invitati da dio»19.
nella stessa prospettiva, Benedetto XVI sottolineava anche la pertinenza del principio di solidarietà in una portata politico-economica:«nell’epoca della globalizzazione, l’attività economica non può prescindere
dalla gratuità, che dissemina e alimenta la solidarietà e la responsabilità per
la giustizia e il bene comune nei suoi vari soggetti e attori. Si tratta, in definitiva, di una forma concreta e profonda di democrazia economica»20.
questa visione del magistero ecclesiale deve illuminare la teologia africana sulla solidarietà, sviluppando la relazione personale con dio e con il
prossimo, cioè il principio delle micro-relazioni: rapporti amicali, familiari, tra piccoli gruppi e delle macro-relazioni: rapporti sociali, economici
e politici.
La comunione ecclesiale alla quale partecipa la solidarietà si pone
così nella categoria della relazione “io-nella comunità”, “io-con gli altri”,
e “io-per l’insieme” che è da mettere nell’ordine della struttura costitutiva. nella Chiesa-Famiglia o nella Chiesa-Fraternità, la vita di ogni battezzato sarà colta in quanto partecipata, perché egli non vive della sua
propria vita, ma di quella della comunità di fede. I mezzi esistenziali di ciascun soggetto, la loro conservazione, il loro rafforzamento, dipendono
continuamente dal suo attaccamento alla comunità tramite relazioni solidali molto strutturate e profonde.
2.3. Valenza cristologica
La teologia africana si augura che si dia al Cristo una titolatura tributaria del linguaggio e delle culture, una titolatura che sia più parlante e
più comprensibile per l’antropologia comunitaria africana21. Così viene
attribuito a Gesù Cristo il titolo di “Proto-antenato” africano22. ma quale
incidenza avrà questo riconoscimento sull’antropologia comunitaria di solidarietà nel contesto africano? nella comunità africana, infatti, coloro che
diventano “antenati” sono degli uomini che hanno vissuto in modo virtuoso, positivo e che sono stati riconosciuti giusti; sono gli uomini di cuore
Jean-PauL II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, AAS 80 (1988), 571-572, n. 39.
BenoÎT XVI, Lett. enc. Caritas in veritate, AAS 101 (2009), 641-730, n. 38.
21
I riferimenti bibliografici sulla cristologia costruita attorno al tema di antenato sono
molteplici: le prime ricerche sulla cristologia (Cristo come antenato) sono quelle di B. BuJo, «nos
“ancêtres”, ces saints inconnus», Bulletin de Théologie Africaine 2 (1979), 165-178; Id., «Pour éthique
aficano-christocentrique», Bulletin Théologie Africaine 3 (1981), 41-52; k.o. BImwenyI, «Le problème du salut de nos ancêtres. Le Christ pôle d’attraction de toutes choses», Revue du Clergé Africain 25 (1970/1), 3-19; C. nyamITI, «Christ as our ancestor», Pastoral Orientation Service 4-6
(1982), 1-20; F. kaBaSeLe, «autour de “Christ as our ancestor” », Telema 46 (1986), 37-38; m.d.L.
Boka, «Les “ancêtres” médiateurs», Telema (1995/2), 53-70.
22
Cf. B. BuJo, African Theology in Its Context, orbis Books maryknoll, new york, 1992.
19
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e di bene con e per la comunità dei vivi23. ugualmente, il Cristo, dalla sua
Incarnazione che è amore e dono di sé, deve essere considerato “Protoantenato” della vita comunitaria di solidarietà africana.
Il fatto che il Cristo abbia messo al centro la sua morale sull’amore,
mostra che egli raggiunge perfettamente l’ideale ancestrale africano.
Senza l’amore, non c’è ambiente favorevole alla vita di solidarietà; questa vita trova le sue radici in Cristo che è sorgente di vita24. Il Cristo precede gli antenati della comunità, essendo ormai l’unico e l’inevitabile
luogo delle relazioni solidali della famiglia o del clan. In altri termini, il
Cristo, entrando nella vita comunitaria africana assume integralmente le
relazioni di solidarietà degli africani, con tutto quello che esse comportano come valori e aspirazioni.
Cristo solidarizza pienamente con l’uomo africano, tranne che nel
male morale. nulla di quell’uomo è lasciato fuori dal suo ministero, compreso il vivere solidale che esso assume e adempie in modo singolare e privilegiato attraverso la sua incarnazione. Ciò che risalta da questa
prospettiva è la scoperta della dimensione pienamente umana di Gesù, di
modo che il suo messaggio non svanisca nell’astratto, ma si rivolga all’uomo concreto, ossia, all’africano con i suoi problemi. Così, se c’è un
uomo radicalmente uomo, umano e umanizzante, è proprio il Cristo, che
diventa il luogo privilegiato della comprensione totale delle relazioni solidali.
Bishwende tuttavia mette in guardia contro l’ottimismo idealizzante
e alle volte ingenuo, che sembra circondare l’immagine della famiglia
nella teologia africana25. questo vuol dire che, al di là dei legami umani e
naturali, già di per sé così forti e stretti, si deve profilare, alla luce della
fede, un nuovo modello di unità del genere umano, cui deve, in ultima
analisi, ispirarsi la solidarietà.
allora, più che di una coesione, si tratta di un legame organico che
unisce l’insieme delle creature di dio, attraverso il suo unico Figlio. Pertanto, non ci potrà essere una solidarietà senza un legame con la cristologia, essendo Cristo il capo del Corpo, della Chiesa, la quale riceve da lui
forza e consistenza. nella prospettiva dell’inculturazione della solidarietà
in contesto africano, perciò, l’etica cristocentrica è sollecitata a entrare in
dialogo con l’antropologia culturale africana.
23
In africa ci sono certi elementi positivi su cui l’antenato è riconosciuto dalla sua comunità:
la vita, la presenza, l’anzianità e la mediazione. L’antenato veglia sulla vita dei discendenti e rinforza
continuamente la sua comunità. L’antenato è il principale alleato dei vivi della comunità, attento alle
vicissitudini quotidiane dei membri del gruppo, e che lotta al loro fianco per il trionfo della vita sulla
morte; l’antenato con la sua esperienza di vita accumula tanta sicurezza, poiché vicino anche al villaggio della genealogia ancestrale. In questo senso compie il suo ruolo di mediatore fra i vivi e i morti.
24
Cf. F. kaBaSeLe, Le Christ comme Ancêtre et Aîné, desclée, Paris 1986, p. 133.
25
Cf. a.R. BIShwende, Eglise-famille-de-Dieu. Esquisse d’ecclésiologie africaine, L’harmattan, Paris, 2001.
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3. Etica cristiana in dialogo
3.1. Etica teologica e solidarietà
La teologia morale nel contesto africano approda alla tematica della
solidarietà, nella logica di una coscienza di responsabilità. In effetti, se il
fine fondamentale della solidarietà è di salvaguardare la vita che è un valore archetipale, essa è la modalità che rende possibile il mantenimento
della forza vitale. Perciò, il suo funzionamento deve essere mediato da un
certo parametro etico di relazionalità.
Tale relazione deve comportare necessariamente l’obbligo di condividere la propria vita con gli altri e il diritto di ricevere la propria energia dalla comunità. Relazione di solidarietà è dunque l’insieme delle
prestazioni, materiali e immateriali, alle quali l’individuo è sottoposto a
causa della sua incompiutezza e alla sua appartenenza a una comunità,
prestazioni caratterizzate dalla partecipazione, dalla condivisione e dalla
reciprocità.
Per questo, la morale teologica africana pone il problema dell’agire
umano che deve essere al centro della tematica della solidarietà. Poiché
non è l’appartenenza a una comunità, sia pure solidale, che deve conferire
l’identità, ma piuttosto un agire comune che fa diventare un uomo una
persona umana e gli impedisce di essere un soggetto sconnesso, un essere
isolato, privo di qualunque relazione sociale. Bujo non la pensa diversamente quando dice che «l’etica africana non definisce la persona, né come
realizzazione di sé, né come atto dell’essere, ma piuttosto la descrive come
un processo in divenire nel corso della dipendenza reciproca tra l’individuo e la comunità, nella quale quest’ultima include non soltanto i defunti
ma assolutamente anche dio»26.
Logicamente, la teologia morale africana vuol mettere in guardia
contro un certo soprassalto di individualismo o di isolazionismo indifferentista che accarezza talvolta le relazioni. Proprio perché, se la vita come
valore supremo diventa il bene di tutti, bisogna salvaguardarla attraverso
relazioni responsabili: l’azione buona di un membro, infatti, accresce la
forza vitale, così come il comportamento cattivo o sbagliato di un solo
membro ferisce la dignità personale di tutto il gruppo.
In concreto ciò significa che le azioni di ciascuno contribuiscono
alla crescita della vita dell’intera comunità, o partecipano al suo indebolimento e alla sua perdita. Ben inteso, ciò che attenta alla comunità, non è
soltanto la solidarietà nel male: anche la mancanza di ogni relazione solidale responsabile fa languire e uccide la vita della comunità intera. Si capisce perché n. Soédé chieda che ci sia «un soggetto morale, nel gioco
dei rapporti con le cose e con gli altri, che bisogna convertire e responsabilizzare, a tutti i livelli, per rendere il nostro mondo più umano»27.
26
Cf. B. BuJo, La pretesa universalità della morale occidentale. Fondamenti di un’etica
africana, Cittadella editrice, assisi, 2009, p. 167-168.
27
Trad. it. di n.y. Soede, Sens et enjeux de l’Ethique. Inculturation de l’éthique Chrétienne,
L’harmattan, Paris, 2007, p. 190.
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Insomma, per l’etica cristiana africana, la vita di solidarietà è il cammino della comunità verso la pienezza della vita, e intorno ad essa; è tutto
l’universo che deve affrancarsi, unificarsi, personalizzarsi e compiersi. essere solidale nello spazio e nel tempo significa che i problemi toccano sia
i vicini prossimi che i vicini lontani.
3.2. Uno sguardo più positivo dell’alterità
L’idea della solidarietà è intrinsecamente legata alla concezione
della comunità di sangue, di amicizia o di alleanza. obbiettivamente, riconoscersi solidali tra parenti, amici o alleati, dimostra una solidarietà che
crea rapporti tra le persone che sono coinvolte in questo grande movimento esistenziale. Spesso però una solidarietà così circoscritta, come si
è detto prima, crea una certa insicurezza dovuta al ripiegamento troppo
forte del gruppo su se stesso. Ciò genera tutte le forme possibili di ferite
dell’altro. mukeng’a, l’ha sottolineato in modo chiaro: «In tutta l’africa,
il razzismo e il tribalismo fanno la legge, e issano barriere e divisioni tra
gli uomini e le nazioni. questa situazione indica il bisogno di fraternità, di
solidarietà e di mutua assistenza a tutti i livelli»28.
Come si vede, ci troviamo di fronte a due barriere di comportamento: la scelta del fratello supera quella dell’altro, cioè, lo straniero che
potrebbe rappresentare una minaccia per l’interesse e la sicurezza della
vita comunitaria29. Si identifica un particolarismo esclusivo. Come dice
bene Ratzinger: «Lo straniero, il barbaros appare come non-fratello»30.
In realtà, il problema fondamentale che pone questa forma di relazione è chiaro: qualsiasi atto all’interno della comunità dei fratelli è sempre diverso del rapporto che si potrebbe avere con soggetti esterni, cioè,
«gli altri», i non-fratelli. Tutto ciò ci conduce a questa conclusione di Ratzinger: «L’idea di fratellanza in senso allargato, crea quasi necessariamente due zone diverse di comportamento morale, la prima “interna” (tra
fratelli), la seconda nei confronti degli altri»31.
Il fratello di sangue diffida del non-fratello, che è così estraneo al
punto di essere considerato come l’epifania dello sconosciuto, l’apparizione della strana invasione della novità pura, e quindi l’irruzione dell’imprevisto o forse l’indesiderabile32. Possiamo dire che l’alterità, vista
28
Trad. it. di G. mukenG’a kaLond, Exsurge au service du monde, Pastoralia, Luisa,
1993, p. 3.
29
Si tratta in questo senso di un’ideologia dell’alterità. Facilmente, all’altro, si erigono degli
spazi lottizzati in cui quell’altro non può avere accesso.
30
Trad. it. di J. RaTZInGeR, Frères dans le Christ, Cerf, Paris, 20052, p. 12.
31
Trad. it. di J. RaTZInGeR, Frères dans le Christ, p. 13.
32
un antropologo congolese descrive anche lui questa visione della fraternità comunitaria:
«Lo straneo è una minaccia perché non conosco le sue vere intenzioni, le notizie di cui è portatore (o.
BImwenyI-kweShI, «L’étranger, celui qui vient d’ailleurs», in: Id., Discours théologique négroafricain. Problème de fondements, Présence africaine, Paris, 1981, p. 37-38).
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come un ospite inatteso, diventa una minaccia per la sicurezza di tutto il
gruppo; disturba e confonde la disposizione dello schema dell’unità relazionale.
di tutto questo, la responsabilità deve riguardare le pesantezze della
cosiddetta solidarietà di impronta culturale: l’etnismo, il clanismo, il tribalismo, il regionalismo, l’esclusivismo, che non favoriscono né la stabilità politica, né l’unità delle varianti etniche in quanto comunità cristiane
di base. La riuscita delle relazioni di solidarietà deve passare attraverso
un rinnovamento della mentalità.
Vivere la solidarietà significa che possiamo trovare autenticamente
noi stessi soltanto nell’incontro pacifico con l’altro, e dunque fare i conti
con l’alterità. Le parole del magistero ecclesiale ne danno le ragioni fondamentali: «lo sviluppo dei popoli dipende soprattutto dal riconoscimento
del fatto che noi formiamo una sola famiglia che collabora in una comunione vera e che è formata di soggetti che non vivono semplicemente gli
uni a fianco degli altri»33.
In altri termini, la responsabilità nell’agire solidale significa che
ogni individuo nella comunità è chiamato a crescere e a svilupparsi attraverso un senso di apertura e di auto-trascendenza. queste nuove attitudini,
lungi dal diminuire la sicurezza identitaria dell’individuo, la mantengono,
perché esse rafforzano la sua unicità e la sua irresistibilità. Finalmente, diventare solidali in un contesto interculturale vuol dire crescere come persone di valore unico, scoprendo la nostra propria unicità identitaria
attraverso il dialogo con il mondo culturale degli altri34.
La nostra identità culturale deve riconciliarsi con la nostra vita di
fede. di conseguenza, la vita comunitaria è invitata a riconciliarsi con il
vissuto nella Chiesa-Famiglia. non ci potrebbe essere una dicotomia fra
questi due livelli di vita; le radici culturali non devono sacrificare l’opzione a seguire Cristo nella comunità ecclesiale.
3.3. Cristologia in dialogo con l’etica africana di solidarietà
L’approccio cristologico permette di abbozzare una nuova comprensione della solidarietà nelle differenti culture africane. L’incontro con
il Cristo permette di apprezzare con simpatia certi elementi e di mettere in
luce i luoghi opachi. In una certa misura, infatti, l’etica cristocentrica conferma parecchi elementi positivi dell’antropologia africana di solidarietà:
lo spirito del gruppo, il rispetto degli anziani, l’interdipendenza, il collettivismo, la condivisione, sono tutte le diverse dimensioni dell’amore del
prossimo predicato dal Cristo.
33
34
BenoIT XVI, Lett. enc. Caritas in veritate, n. 53.
Cf. G. CRea, Gli altri e la formazione di sé, dehoniane, Bologna, 2010, p. 112.
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ma questa etica centrata sul Cristo serve anche a correggere e a
completare i costumi africani, tradizionali e moderni. qui, siamo d’accordo con Bujo che, nella sua prospettiva cristologica, pensa che l’idea
del Cristo come «Proto-antenato», possa diventare la base dell’etica e del
comportamento pratico dell’africa di oggi35. ed ecco come Bujo giustifica
la sua tesi cristocentrica: «Se il Cristo è il primo antenato, sorgente di vita
e di adempimento, la nostra condotta umana deve modellarsi sulla memoria della sua passione, morte e risurrezione. questa etica richiede l’assimilazione personale contenuta nel mistero pasquale del Cristo. In altri
termini le virtù che questo mistero contiene devono fare parte della nostra
vita»36.
Giustamente, perché l’avvenimento-Cristo è tanto memoria di liberazione quanto memoria di sovversione, tanto liberatrice quanto sovversiva; è umanizzante e purificante per l’ethos dell’africa. e lo stesso
Bujo conclude in questo modo evidente: «dall’incarnazione, l’uomo è diventato il luogo di incontro con dio. d’altronde, il Verbo Incarnato è ormai
il luogo privilegiato e unico della rivelazione totale dell’uomo. Se il Cristo è l’esegesi di dio, conviene dire che lo è anche dell’uomo. È proprio
in questa prospettiva che il Cristo è il proto-antenato per il negro-africano»37.
Chiaramente, il Cristo «universale Concreto», diventa il luogo privilegiato e unico dell’inserimento totale della solidarietà africana38.
quindi, in lui tutte le relazioni umane, comunitarie, ad intra ed ad extra,
devono essere salvaguardate, curate, ricercate e migliorate. La conseguenza di questa centralità cristologica è che, gli africani possono seguire
le tracce di Gesù Cristo soltanto se vedono in lui, non il modello del parassita, dell’individualista, del tiranno, del razzista, del violento. devono
vedere Cristo come il primo antenato la cui eredità è un richiamo alla posterità. questo richiamo alla nuova generazione invita ognuno a mettere
fine a ogni forma di disumanizzazione, e così a liberare, purificare e umanizzare tutte le dimensioni della solidarietà africana.
La dimensione principale e essenziale della centralità del Cristo
nella solidarietà africana consiste nella lettura etica del reale, un’etica teonomica dove le relazioni dell’africano con se stesso, con gli altri uomini
e con il mondo, non saranno fondate sulle opzioni claniche o tribali arbitrarie, ma sul piano voluto da dio con la legge di amore di Cristo. La fraternità dorata che apporta il Cristo alla solidarietà africana è un’immensa
parabola dove si realizzano le etnie solidali e riconciliate. Il Cristo è la fi35
Cf. B. BuJo, African Christian Morality at the Age of Inculturation, St. Paul Publicationsafrica, nairobi, 1990.
36
Trad. ital. di B. BuJo, «a christocentric ethic for black africa», Theology Digest (1982/2),
44.
37
Trad. ital. di B. BuJo, Introduction à la théologie africaine, académie Press Fribourg, Fribourg, 2008, p. 83-84.
38
Cf. G.C. oGuI, Le Christ comme Universel Concret dans les œuvres de Bruno Forte et de
Christian Duquoc, PuG, Rome, 1999.
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gura di questa africa solidale che tutti gli africani sono chiamati a realizzare oggi: mettere fine agli scontri interetnici, riconciliare le differenti comunità divise fra loro. Gli africani sono chiamati a scoprire la centralità del
Cristo nelle relazioni interpersonali e a correggere le deformazioni che
hanno sovente falsato queste relazioni, anche all’interno delle comunità
cristiane.
Capire la necessità di questa altezza spirituale ed etica, permetterà
alla solidarietà del clan, alle amicizie giurate, di aprirsi alle altre solidarietà. È dunque l’inizio del cammino verso una solidarietà più umana, cioè,
una solidarietà che desidera il bene di ogni africano e non soltanto quello
di un parente, di un amico o di un alleato. Il riferimento continuo al Cristo farà scoprire alla solidarietà africana l’immagine reale del fratello e
definirà con obiettività i legami interpersonali.
In definitiva, il Cristo è l’epicentro delle relazioni, il punto obbligato
e il luogo irrinunciabile di un’autentica comunità che valorizza la solidarietà nella dimensione sociale, materiale, spirituale e morale. Sono interpellanze che si possono formulare in domande che riteniamo
indispensabili: come essere in relazione con gli altri per mezzo di Cristo?
Sintesi conclusiva
ogni riflessione che si fa oggi sull’antropologia africana della solidarietà deve mirare non solo all’aspetto economico, dove il soggetto condivide o subisce il peso delle obbligazioni, ma anche e soprattutto alla
dimensione relazionale dove l’altro non è usato come strumento, o visto
come un nemico da combattere e da eliminare. Così, la solidarietà attinge
valore etico: la presenza dell’altro è un appello rivolto verso la comunità,
investimento della responsabilità di tutti.
nella prospettiva teologica, la Chiesa in africa dovrà ridefinire
nuovi parametri di relazionalità in Cristo a partire dal contesto conflittuale
generalizzato che caratterizza oggi questo continente, evitando così di essere essa stessa un altro fattore di conflitto. Poiché c’è sempre conflitto fra
tradizioni culturali e fenomeni di modernizzazione, fra economie in rovina e lotte per la sopravvivenza, fra regime politico autoritario e desiderio collettivo di democrazia, fra sistema internazionale di sfruttamento e
necessità dell’aiuto esterno, fra Chiesa istituzionale e nuovi movimenti religiosi, fra unità nazionale o regionale e entità etniche o statali39. L’elaborazione teologica deve tenere conto della dimensione etica per mettere
l’accento sui valori famigliari ed evangelici della solidarietà in africa. Bisogna quindi prendere in considerazione il progetto ecclesiologico africano sotto l’angolo cristologico.
39
Cf. J. e. Penoukou, «quel type d’eglise? Pour quelle mission en afrique?», Spiritus
123 (1991), 203.
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Abstract: The understanding of solidarity in africa starts from the
conception of the person in the african anthropology. human being
writes his personal history through many links and structures linking him together to other individuals. Solidarity in seing as sharing,
opening to other people, presence in the side of others when in trial
or difficulty. Then, solidarity in community life, taken theologically,
becomes a value that can help to understand in another way the
mystery of the Church and the relationships between individuals
especially africans themselves first. The ecclesiology in africa perceives the solidarity as a link or a relationship of human being with
his whole community. This ecclesiological african project must then
be considered under the christological angle so that the africans are
called to discover the centrality of Christ in their interpersonal relationships and to correct the distortions that have often been distorted these relationships even within the Christian communities.
Keywords: anthropology; Solidarity; Community; Relationship;
ecclesiology; Christology; ethics.
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