Disodontiasi del Terzo Molare Inferiore

DISODONTIASI DEL TERZO MOLARE INFERIORE
Si definisce disodontiasi in senso etimologico una eruzione dentaria anomala la
quale, se non si realizza, configurerà il quadro di una inclusione dentaria. In senso
clinico, invece, la disodontiasi si riconosce nella patologia infiammatoria del
sacco pericoronario con cui la disodontiasi stessa costantemente si identifica. Tale
quadro, eccezionale per tutti gli altri elementi dentari, accompagna quasi
costantemente l’eruzione del terzo molare, in specie di quello inferiore.
L’eruzione di tutti gli elementi dentari avviene di solito senza una particolare
sintomatologia clinica soggettiva ed obiettiva, mentre quella del terzo molare
inferiore è accompagnata da tutto un corteo sintomatologico di varia intensità e
durata. Si pone maggiore interesse alla disodontiasi del terzo molare inferiore in
quanto la sua incidenza è di 20 a 1 rispetto a quella del superiore. Alla base dei
fenomeni che caratterizzano la disodontiasi esistono alcune condizioni
embriologiche ed anatomiche. Il germe dentario che dà origine al terzo molare si
forma o dal gubernaculum dentis del germe del secondo molare distalmente ad
esso, o da una proliferazione molto posteriore della lamina dentaria primitiva.
1
Tutto ciò posiziona il germe del terzo molare inferiore a livello dell’angolo della
mandibola, obliquamente alla faccia distale o posteriore del secondo molare
inferiore. Il terzo molare inferiore dà l’impressione di essere il dente di
sostituzione del secondo molare, in realtà non lo è: infatti il secondo molare,
raggiungendo la sua normale posizione nell’ambito dell’emiarcata della
mandibola non lascia spazio al terzo molare, il quale dovrà guadagnarselo; al
contrario, qualora la sua eruzione avvenga senza apportare disturbo ai denti
prossimali come il secondo molare, non si assiste a tutta quella teoria
sintomatologia di un’errata quanto complicata eruzione.
Il terzo molare inferiore si forma e si calcifica dai 7-8 anni fino ai 20 anni ed oltre
in una specifica posizione della mandibola, l’angolo definito epifisi fertile. Nella
normogenesi del dente la prima parte a formarsi è la corona; le radici, invece, che
si formano in un secondo momento, seguono lo sviluppo della mandibola la quale
si sviluppa in senso caudo-rostrale, cioè dal basso verso l’alto. Le radici, seguendo
lo sviluppo della mandibola assumono, una forma incurvata; la posizione del
germe dentario e la curvatura delle radici causano il complesso movimento del
molare il quale dovrà muoversi secondo una curva di raddrizzamento detta ”curva
2
di Capdepont” che presenta una concavità postero-superiore. In definitiva, il terzo
molare per guadagnarsi un posto nell’emiarcata dovrà spingersi prima verso la
faccia posteriore del secondo molare, poi scivolare su questa e pressare gli strati
della mucosa gengivale (quelli epiteliali privi di circolo) erompendo nella cavità
buccale. Nella maggior parte dei casi la eruzione del terzo molare non è così poco
traumatica, perché a causa delle già citate cause embriologiche ed anatomiche
l’eruzione si verifica molto spesso con un corteo sintomatologico che porta a stati
infiammatori della zona di eruzione i quali presentano il quadro paradigmatico
della disodontiasi, che si manifesta inizialmente con il sacrificio del sacco
follicolare ovvero con una pericoronarite causata dall’ingresso nel sacco
follicolare di germi patogeni già presenti nella cavità buccale.
Le ossa mascellari sia sotto l’aspetto strutturale che sotto quello funzionali sono
costituite da due porzioni ben distinte: una ossea propriamente detta , o basale, ed
una costituita dai processi alveolari; questi processi alveolari si formano ed
esistono esclusivamente in funzione degli elementi dentari della cui porzione
radicolare ripetono fedelmente la forme e la dimensione; infatti laddove il dente
non è ancora erotto o non esiste più perché estratto, la regione alveolare o non si
3
ancora formata o è scomparsa; quest’ultima fenomeno trova la sua più sana
espressione nei mascellari eduntuli.
Nell’evoluzione della razza umana la porzione ossea propriamente detta, o basale,
ha subito un’involuzione per riduzione dei diametri della faccia ed in specie del
diametro
antero-posteriore.
Questo,
in
genere,
corrisponderebbe
ad
un’involuzione della componente splancnica dell’estremo cefalico a favore del
neurocranio. La riduzione del diametro antrero-posteriore della porzione ossea
propriamente detta è avvenuta, però, molto più rapidamente ed in maniera molto
più consistente rispetto alla riduzione della porzione alveolare. Questo perché la
componente alveolare dipende strettamente dal numero e dal volume degli
elementi dentari che in essa si alloggiano. Questi ultimi nella specie umana, dopo
l’inizio dell’epoca quaternaria sono rimasti numericamente e volumetricamente
fissi, per cui la somma dei diametri mesio-distali non è cambiata. Al contrario, è
cambiata considerevolmente la lunghezza mesio-distale o antero-posteriore della
porzione basale o porzione ossea propriamente detta che è diminuita. Esiste,
pertanto, in sintesi, una disarmonia tra porzione ossea basale e porzione alveolare
sovrastante che esprime, come già detto, la dimensione volumetrica degli elementi
4
dentari. Da questa disarmonia deriva che il terzo molare ultimo a comparire
sull’arcata non ha lo spazio osseo sufficiente per erompere liberamente. Invece
nella mascella superiore il terzo molare potrà sempre trovare dove alloggiarsi,
sfruttando lo spazio concessogli dalla tuberosità mascellare e lo spazio libero
posteriore ad essa. Nella mandibola l’assenza
di spazio condizionata
anteriormente dalla presenza del secondo molare e posteriormente dal margine
anteriore della branca ascendente della mandibola stessa, costringe il dente a non
completare la sua eruzione oppure a erompere presentandosi in posizione
anomala, il più delle volte verso la faccia interna della regione dell’angolo
(linguo-versione). Inoltre, va aggiunto che il terzo molare si forma, si calcifica ed
erompe con particolare lentezza. La sua calcificazione, infatti, comincia ad essere
radiograficamente apparente verso i 7-8 anni e termina all’incirca verso i 18-20
anni. Questa estrema lentezza evolutiva, mentre sembra testimoniare una tendenza
alla scomparsa di questo dente nel futuro, ci fa però evincere che il molare del
giudizio, al momento della sua eruzione, si troverà a dover attraversare un tessuto
osseo adulto, compatto ben calcificati, il che significa che incontrerà delle
resistenze maggiori.
La mancata eruzione del terzo molare inferiore,
5
frequentissima, o la sua eruzione in posizione anomala fanno considerare il terzo
molare come funzionalmente inesistente tanto che oggi da un lato si ritiene
completato il processo eruttivo con l’eruzione del secondo molare e dall’altero si
ritiene completa l’arcata dentaria accorciata a 14 denti dopo l’eruzione del
secondo molare.
L’inclusione dentaria va intesa come entità patologica solo se è causa, come
spesso accade, di complicanze. Si passa, quindi, da uno stato di potenziale
malattia (inclusione dentaria) ad uno stato attuale di malattia ( complicanze legate
all’inclusione dentaria). La sintomatologia sarà muta nel primo caso ed esprimerà,
invece, nel secondo tutto quel corteo sintomatologico che caratterizza le
complicanze sopravvenute. La diagnosi, in tema di inclusioni, è esclusivamente
radiografica, perché l’esame obiettivo evidenzia soltanto l’assenza di un elemento
dentario . Il terzo molare inferiore, nell’eccezione di quei casi in cui erompe
normalmente, assume delle posizioni anomale, in specie in mesio-versione che è
la più frequente. Si definisce mesio-versione quella situazione in cui la faccia
masticatoria del dente guarda verso la faccia posteriore del secondo dente molare,
invece si definisce disto-versione quella situazione in cui la faccia masticatoria
6
guarda verso il ramo ascendente della mandibola. Sia la mesio-versione che la
disto-versione raramente sono pure, ma si presentano quasi sempre unitamente ad
una certa inclinazione o verso la faccia vestibolare o esterna della mandibola
oppure verso la faccia linguale o interna della mandibola stessa si presentano 4
evenienze: la vestibolo-mesio-versione, la disto-vestibolo-versione, la mesio-
linguo-versione e la disto-linguo-versione. A queste particolari versioni sono
legate alcune ben precise localizzazioni ascessuali .
Alla disodontiasi è legata una serie di complicanze che partono dalla
pericoronarite fino a manifestazioni ascessulai con interessamento della mucosa.
Si riconoscono due forme di pericoronarite, una congestiva semplice ed un’altra
suppurativa; la prima è caratterizzata dalla comparsa di dolore nella regione
retromolare che aumenta nei movimenti di masticazione. La mucosa che si trova
posteriormente al secondo molare è arrossata ed edematosa, la pressione in questo
punto provoca dolore di modesta entità e la fuoriuscita di qualche goccia di siero o
di sangue dove incomincia a presentarsi una discontinuità per la comparsa di una
cuspide del terzo molare. Questa forma, molto frequente, tende alla guarigione o
spontaneamente o in seguito a specifica terapia.
7
Invece, la pericoronarite suppurativa, che è una forma evoluta di quella congestiva
non curata, procura un dolore notevolmente intenso e proiettato all’orecchio,
manifestando un fenomeno di otalgia, si aggiunge un serramento delle mascelle
per contrattura antalgica del massetere e dello pterigoideo interno, con disfagia e
difficoltà alla masticazione. Questi sintomi sono la prova che l’infiammazione
non si localizza al recesso dell’angolo della arcata mandibolare, ma si estende sia
verso i pilastri e la tonsilla che verso i fasci muscolari degli elevatori. La
palpazione dell’osso fa constatare l’integrità dell’elemento, mentre la pressione
sul cappuccio gengivale pericoronario fa fuoriuscire qualche goccia di pus, si
presenta alla attenta semeiotica del collo una linfadenite satellite nella regione
sottomascellare, specie verso l’angolo della mandibola. Questo corteo
sintomatologico, se non regredisce spontaneamente o dopo adeguata terapia,
evolve in quella che è la vera complicanza della pericoronarite, l’ascesso che si
localizza in diverse sedi a seconda della posizione del dente. Nella distovestibolo-versione l’ascesso sottomucoso drena verso l’angolo della mandibola e
guadagna le fibre di inserzione del massetere localizzandosi preferibilmente al
disotto di esso. Si instaura così una raccolta ascessurale sottomasseterina
8
caratterizzata da una tumefazione a grande asse verticale parallela alle fibre del
massetere e da un serramento marcato dei mascellari sia per una contrattura
antalgica del massetere stesso che per una vera e propria miosite reattiva che
accompagna la raccolta ascessurale. Nella disto-linguo-versione possiamo avere
un ascesso peritonsillare, sottotonsillare, del pilastro anteriore o del faringe.
Queste raccolte sono caratterizzate da una peculiare tumefazione del velo pendulo,
estremamente dolorosa, accompagnata da disfagia e serramento dei mascellari per
interessamento del muscolo pterigoideo interno. Nella mesio-vestibolo-versione si
realizza quel reperto semeiotico definito ascesso migrante di Chompret e
L’Hirondel. Questo ascesso formatosi a livello del terzo molare, migra in avanti
attraverso una doccia osteo-muscolare costituita all’esterno dal muscolo
buccinatore e all’interno dalla faccia esterna del corpo della mandibola. L’ascesso
si arresta all’incirca all’altezza dei premolari perché trova un ostacolo anatomico
formato dall’inserzione dei muscoli triangolare e quadrato del mento che
chiudono anteriormente la doccia. I sintomi di questo ascesso localizzati nel
sottocutaneo all’altezza dei premolari, sono quelli di una tumefazione di volume
più o meno considerevole di forma rotondeggiante, fluttuante, dolente, ricoperta
9
da cute tesa, lucida, arrossata. All’esame endorale anche il vestibolo appare
sollevato e occupato da una raccolta ascessurale extra-ossea. È doveroso fare una
diagnosi differenziale con la parodontite apicale, in primo luogo perché non sono
presenti tutti i sintomi della parodontite, in secondo luogo si procede con la
classica manovra semiologica per rilevare l’ascesso migrante, che è quella di
esercitare una compressione sulla tumefazione, in modo da far percorrere al pus il
tragitto inverso rispetto a quello compiuto all’atto della migrazione e se ne vedrà
fuoriuscire qualche goccia dal cappuccio mucoso che ricopre il terzo molare in
disodontiasi. Altri sintomi sono il tipico serramento dei mascellari assente nelle
parodontiti apicali e più modesto di quello presente nelle raccolte sottomasseterine
o in regione tonsillare si rivelano inoltre un dolore all’orecchio e una lifoadenite
sottomascellare con manifestazione di rialzo febbrile. Nella mesio-linguo-versione
la raccolta ascessurale guadagna il pavimento della bocca in regione
sopramiloioidea. Per quanto riguarda la mucosa questa si presenta infiammata
manifestando due esiti: la gengivite ulcero-membranosa o neurotrofica. Tali
manifestazioni a volte si presentano senza un’evidente fenomenologia clinica a
carico del terzo molare inferiore. Essa presenta caratteristiche cliniche rilevanti
10
quali la monolateralità , che è sempre omolaterale, che iniziano dal cappuccio
gengivale del terzo molare e guadagnano la gengiva dei denti successivi fino
all’incisivo centrale fino a quando non viene eliminato l’elemento causa
dell’infiammazione che è il terzo molare in disodontiasi. Si sottolineano le rare
quanto complesse complicanze delle cisti radicolari, le quali hanno bisogno di un
trattamento chirurgico. La diagnosi per quanto riguarda l’inclusione è
esclusivamente radiografica.
BIBLIOGRAFIA
G. Laskaris, Malattie del cavo orale, Stuttgard, 1995, trad. it. A. c. di A. Taglienti.
G. Valletta, Clinica odontostomatologica, Salerno, 1995.
11