Valentina Massimi I NEURONI SPECCHIO Una scoperta a tutto tondo I neuroni specchio sono stati scoperti nel 1996 da Giacomo Rizzolatti e collaboratori (C. Sinigaglia, V. Gallese et al.) apportando radicali innovazioni alle neuroscienze e ai campi ad esse correlati. L’ eccezionalità di questi neuroni riguarda la loro funzione: sono alla base del riconoscimento e della comprensione del significato di “atti motori”, ossia atti,degli altri. Ciò significa che essi si attivano (scaricano) sia durante il compimento di un’ azione sia quando si vede qualcun altro compierla. Esistono neuroni specchio specializzati in diversi compiti che scaricano a un solo atto, o due o, più raramente, a tre. Nel corso degli anni molti scienziati sono giunti a queste formulazioni eseguendo numerosi esperimenti dapprima sulle scimmie e in seguito su volontari sani, o studiando casi di patologie specifiche. In particolare, hanno localizzato dei neuroni specchio (mirror neurons) visomotori, cioè che si attivano anche da stimoli visivi, nell’area premotoria F5 del cervello delle scimmie. Ciò corrisponde, nel cervello umano, alla regione di Broca situata nelle aree del lobo frontale dell’emisfero sinistro, rilevate grazie alle tecniche di brain imaging . I neuroni specchio dell’uomo sono più specializzati di quelli delle scimmie perché egli possiede un patrimonio motorio più articolato, dunque essi possono codificare sia atti transitivi (cioè rivolti verso un oggetto) sia atti intransitivi (mimati, senza oggetto) e tener conto degli aspetti temporali delle azioni osservate. Per cui l’uomo ha maggiori possibilità di imitare e di apprendere via imitazione. In campo biologico si ha una rivalutazione dei compiti del sistema motorio: esso si rivela non isolato o periferico, bensì con un ruolo centrale nelle trasformazioni senso-motorie per l’individuazione, la localizzazione e l’attuazione dei movimenti. Inoltre, esso costituisce il substrato neuronale primario per la comunicazione degli esseri umani . Posto che il sistema motorio non serve semplicemente alla realizzazione meccanica dell’azione, occorre ora ridefinire anche il concetto di “spazio”. Esso non è misurato esclusivamente tramite il nostro campo visivo, ma viene codificato da una molteplicità di sistemi di riferimento corporei diversi. Così la localizzazione dello stimolo risulta indipendente dalla posizione degli occhi e questa è una fondamentale facilitazione per l’organizzazione del corpo di per sé (sapere dove sono situati i vari organi, gli arti etc.) e per il contatto con il mondo esterno (dove sono gli altri, gli oggetti ….). Per dirla come Ernst Mach: “i punti dello spazio fisiologico altro non sono che scopi di vari movimenti: movimenti prensili, dello sguardo di locomozione. E’ a partire da questi movimenti che il nostro corpo mappa lo spazio che ci circonda, ed è in virtù dei loro scopi che lo spazio assume forma per noi” (pag. 66). Poincarè considerava il corpo lo strumento per misurare lo spazio poiché, tramite questo, possiamo entrare in contatto con gli oggetti esterni stabilendo tante relazioni quante possibilità motorie nel raggiungerli. Per quanto concerne l’uso finalizzato al compimento di un determinato scopo di strumenti esterni al corpo, le indagini scientifiche hanno rivelato che i neuroni specchio scaricano durante l’impiego di quello strumento come se esso fosse un’estensione del nostro corpo. Quando però lo stesso strumento viene utilizzato per compiere un’azione differente, i neuroni specchio attivati sono diversi. J. J. Gibson definiva le affordances come processi di modalità dell’azione messe in atto per l’elaborazione di informazioni e la realizzazione di trasformazioni senso-motorie, ovvero come combinazioni di proprietà fisiche dell’oggetto e conoscenze del soggetto. Le affordances attivano selettivamente gruppi di neuroni. Quelli visomotori ne codificano gli atti motori ad essi congruenti, per cui l’informazione visiva viene attuata concretamente in informazione motoria. Potenzialmente le affordances dei singoli oggetti sono molteplici ma ci si abitua ad associare quelle più efficaci per portare a termine l’azione motoria che noi decidiamo (quindi intervengono istanze motivazionali e decisionali). Nell’uomo la rappresentazione motoria e l’interazione con lo spazio e con i suoi oggetti avviene già nel ventre materno: all’ottava settimana di gestazione il feto riesce a muoversi e dal sesto mese può compiere le prime azioni specifiche (come succhiarsi un dito). In seguito alla nascita, i suoi movimenti diventano sempre più precisi in base allo spazio che lo circonda nonostante inizialmente non riesca a discriminare tra stimoli vicini e lontani poiché vede con chiarezza solo oggetti a 20 cm. da lui. Dal terzo mese in poi, grazie anche alla maturazione per lo più completa della vista, può finalmente raggiungere lo “spazio lontano”. Altra potenzialità dei neonati è quella di riuscire a riconoscere le emozioni sui volti dopo soli due o tre giorni dalla nascita. Inoltre, verso il secondo-terzo mese, sviluppano una “consonanza affettiva” con la madre che ne riflette lo stato emotivo. Dunque, i neuroni specchio svolgono anche un ruolo centrale per quanto riguarda le funzioni sociali: è infatti evolutivamente vantaggioso saper riconoscere le espressioni facciali e mimiche dei propri simili (ma anche di esemplari di altre specie, basti pensare a un semplice esempio: nessuno si avvicinerebbe a un cane che ringhia mostrando i denti, così come non scapperebbe spaventato da un gatto che fa le fusa). “In quel capolavoro che è L’espressione delle emozioni (1872) Darwin ci ha insegnato come gran parte delle nostre reazioni emotive, e in particolare quelle cosiddette primarie (paura, rabbia, disgusto,dolore, sorpresa, gioia, etc.), consistano di un insieme di risposte sedimentatesi nel corso dell’evoluzione in virtù della loro originaria utilità adattativi, e come non sia perciò sorprendente che esse rivelino una notevole somiglianza tra specie differenti e, all’interno di quella umana, tra culture diverse.” (pag. 166). Si pensi all’importanza dell’empatia, in particolare nel rapporto madre-neonato: non vi è necessità di un linguaggio comprensibile al livello sintattico affinché la madre riesca in qualche modo a “intuire”, ad “entrare in contatto” con le necessità del figlio e quindi a soddisfarle. Senza una tale capacità non sarebbe stata possibile né la sopravvivenza né l’evoluzione della specie umana che, partendo da 20 milioni di anni fa con il nostro antenato comune con la scimmia, fino a giungere i 250 mila anni fa con la comparsa dell’Homo sapiens sapiens, ha conosciuto uno sviluppo lento ma progressivo della scatola cranica e delle capacità cerebrali ad essa associata; su tutte il perfezionamento dei neuroni a specchio alla base della comunicazione umana, partendo dall’esperienza preverbale e prettamente gestuale fino ad essere associata (e quasi completamente soppiantata) da quella verbale. Tutto ciò è avvenuto grazie allo sviluppo e al perfezionamento dell’imitazione (intesa sia come ripetizione di un comportamento visto, o meglio copiato, da altri sia come acquisizione di pattern nuovi dell’osservatore) stretto con quello dell’apprendimento. Perché vi sia imitazione, però, è necessario un duplice sistema di controllo sui neuroni specchio: da una parte deve esserci facilitazione del passaggio della codificazione e dell’esecuzione dell’atto motorio visto, ma dall’altra deve esserci inibizione se e quando tutto questo processo si riveli inutile per l’osservatore. Sebbene, come direbbe Andrew Meltzoff “non ci sono specchi nelle culle” , i neonati sono in grado di imitare alcuni movimenti della bocca dei genitori, nonostante non abbiano ancora visto il proprio volto. Alcuni processi di imitazione sono involontari: se si osservano gli spettatori di uno stadio di calcio, si vedrà che nei momenti più salienti della partita avranno tutti le medesime espressioni facciali e posturali. Lo stesso si riscontra, almeno emotivamente, nella visione di un film coinvolgente o nel successo di trasmissioni o programmi televisivi non propriamente di qualità: più c’è possibilità di immedesimazione dei personaggi da parte del pubblico e più verrà seguito lo show. Dunque è stato grazie alla neurofisiologia che si sono potuti risolvere decenni di quesiti sulle capacità dell’agire e della comprensione umana a dispetto degli eccellenti filosofi della teoria della mente. In conclusione vorrei citare l’illuminata quanta lungimirante previsione (rivelatesi azzeccatissima!) dello scienziato Vilayanur S. Ramachandran “I neuroni specchio saranno per la psicologia quello che il DNA è stato per la biologia.” Bibliografia RIZZOLATTI, G. , SINIGAGLIA C. (2006), “So quel che fai. Il cervello che agisce e i neuroni specchio”