teologia etica - Biblia - Cristianismo - Judaismo

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2. Trascendenza, soggettività e altra persona come compimento della morale pura.
Tra gli assunti più importanti e comuni di volta in volta sviluppati per quanto attiene alla questione
teologica kantiana si possono individuare i seguenti punti:
Dio come idea trascendentale della ragione.32
L'idea di Dio come principio regolativo. L'idea di Dio non ha una valenza costitutiva, in quanto non si
riferisce ad un ente «L'ideale dell'Essere supremo [...] non è altro che un principio regolativo
della ragione [...] e non è un'affermazione di un'esistenza necessaria in sé» (Critica della
ragion pura, cit., vol. II, pp. 485, 486);
Dio non è oggetto o idea di esperienza33
La fondazione della teologia non è possibile attraverso un uso speculativo, ma solo morale34
Dio onnipotente, unico può essere solo supposto «Possiamo noi [...] ammettere un Creatore del
mondo, unico, sapiente, onnipotente? Senza alcun dubbio: e non solo possiamo, ma ne
dobbiamo supporre uno così» (Critica della ragion pura, cit., p. 539);
l'essere umano è immagine di Dio (imago dei); dall'idea di Dio si forma, per riduzione, l'idea di uomo;
la domanda che cosa mi è lecito sperare? (religione) è ascrivibile a «che cosa è l'uomo»;
L'esistenza di Dio come postulato I «postulati non sono dommi teoretici, ma supposizioni da un
punto di vista necessariamente pratico [...] Questi postulati sono quelli dell'immortalità , della
libertà e [...] dell'esistenza di Dio» (Critica della ragion pratica, cit., p. 160);
L'idea-Dio e non l'idea di Dio.
Gran parte degli assunti sembrano affermare la stessa cosa: quando Kant pensa a Dio se lo rappresenta
come il Dio morale, questa idea sembrerebbe informare tutta la teologia kantiana. Al Dio geometra di
Spinoza, al Dio garante dell'ordine fisico di Newton, al Dio sostanza di Cartesio..., Kant avrebbe apposto
il Dio morale e nient'altro.
Alla base degli assunti sopracitati, bisogna anteporre «l'umana ragione ha qui una propensione naturale
ad oltrepassare questi limiti (dati dal campo dell'esperienza possibile)».35
Oltre tutto ciò bisogna considerare che nella filosofia kantiana ci si imbatte spesso in termini come
tendenza, disposizioni, disposizione naturale, la ragione umana spinta da motivi pratici (Fondazione, cit.,
p. 27), propensione, anelito; questi assunti andrebbero colti nella loro specificità , nel senso che
andrebbero interpretati secondo due differenti significati: da una parte esistono disposizioni legate alla
natura sensibile, dall'altra coesisterebbero tendenze e disposizioni riferibili all'elemento intelligibile. La
caratterizzazione kantiana della metafisica si incentra su un dover essere (Sollen), (Fondazione) solo che
per il nostro studio si tratta di appurare se la questione dell'essere convertito in dovere oltre ad indicare
semplicemente un richiamo dell'essere alla moralità non implichi un significato diverso, nel senso che
ciò che viene denominato come morale non debba essere interpretato come un qualcosa che vada oltre
la stessa morale.
Kant, disgraziatamente, non chiarisce la genesi di molte facoltà ; oltretutto Kant insiste
sull'indeducibilità della morale pura. L'impianto pratico si struttura sull'assenza di un fondamento o su un
qualcosa che si è, ad un certo punto, voluto nascondere, una verità occultata?
Si tratta di scandagliare il materiale filosofico al fine di intravedere una sottile implicazione religiosa non
certo ovvia della valenza morale, giacché esisterebbe a detta di P. Martinetti un penetrante rapporto o
scambio reciproco tra moralità e religione come se la religione non sia che «un altro nome della
moralità o un semplice compimento della moralità ».36 Se per un verso, l'aspetto etico può rimandare
alla valenza religiosa, per l'altro la tematica circa la filosofia del limite e più specificamente i limiti della
ragione rappresentano un indubbio caposaldo della religiosità kantiana. Tale prospettiva è stata
sviluppata da Jaspers per il quale, nel pensiero di Kant, la tematizzazione della religione è
costantemente presente, proprio in considerazione dei limiti della ragione, nel senso che il limite della
ragione rappresenta l'origine per tutto ciò che in Kant può essere denominato come religione. La
filosofia del limite o metafisica del limite possiede un qualcosa di paradossale, in quanto la limitatezza
ostacola, ma nello stesso tempo, favorisce l'oltrepassamento.
Anche sotto l'aspetto morale, da un lato la soggettività nel senso di persona è determinata dal limite
della natura umana, dall'altro è grazie all'io condizionato che viene a prodursi la tendenza dello spirito a
non disperdersi nel condizionato, ma ad orientarsi nella possibilità dell'incondizionato che coincide con la
vera questione dell'essere. La questione etica quindi implica sia la metafisica del limite (l'aspetto
condizionante dell'uomo), sia la questione incalzante della trascendenza, solo che bisogna definire il
valore autentico di questo trascendersi della volontà .
Il problema dell'oltre-passamento dipende da una ragione morale deputata al superamento dei limiti, da
una tendenza «La ragione da una tendenza della sua natura è spinta a procedere oltre l'uso empirico,
e ad avventurarsi, in un uso puro per semplici idee, fino agli estremi confini di ogni conoscenza».37 In
verità Kant non ha mai spinto la sua analisi per meglio precisare o definire la qualità di una simile
tendenza che permette l'esplicazione dell'oltre-passamento.
Rispetto all'assunto (f) -- imago dei -- tale aspetto è stato precisato dalla osservazione espressa da E.
Weil, secondo il quale «a partire dall'idea di Dio si è formata per riduzione e diminuzione l'idea
dell'uomo. Dio non è antropomorfo [...] l'uomo [...] si comprende a partire dal suo originale, dalla sua
origine».38
Rispetto al punto (e), bisogna notare che l'idea di Dio sottende un dover supporre (Possiamo noi
ammettere un creatore del mondo unico, sapiente, onnipotente? Senza dubbio: e non solo possiamo, ma
ne dobbiamo supporre uno così).39 Dover supporre non equivale al mero supporre, nel senso che il
supporre sottende un 'esigenza morale, un dovere che per Kant rappresenta la vera questione dell'essere
(il dover essere richiama l'essere del dovere). Dover supporre non comporta un 'supposto', ma un
'qualcosa' che per dovere si lascia supporre. Il dover supporre appartiene all'uomo e non tocca
minimamente la possibilità della Presenza o dell'essere-Dio.
Un'altra riflessione scaturisce dall'errore della metafisica tradizionale, non della teologia, che ha
scambiato il piano del pensiero con quello dell'ontologia; l'errore che è perdurato fino al criticismo che lo
avrebbe 'definitivamente' annullato sotto l'aspetto logico era stato, a più riprese, presentato da una parte
del pensiero cattolico e per lo più proposto da filosofi di solida fede cristiana, che certo non sarebbe
scaturita da quei sofisticati logicismi (prove ontologiche e cosmologiche). Quei ragionamenti, il riferimento
è soprattutto alla prova ontologica di Anselmo, erano svolti con l'uso della ragione, la quale
presupponeva, innanzitutto la fede, non considerata da Kant. Nella storia del pensiero non esiste un solo
esempio degno di rispetto che abbia maturato una fede grazie a certi ragionamenti logici. Quando Kant si
cimenta a vagliare criticamente le prove (ontologica e cosmologica) sull'esistenza di Dio, prende
volutamente in considerazione solo l'aspetto razionale della prova senza tuttavia considerare le fede o la
parte più significativa che accompagnava la razionalità , ossia l'amor Dei. Per esempio, a proposito della
critica alla prova ontologica di Anselmo, Kant ha ragione nell'analisi critica rivolta all'intelletto che estende
erroneamente le sue categorie al di là dell'uso esperienziale,40 ma non tiene in debito conto che
l'intelletto in Anselmo procede dalla fede: comprendere ciò in cui si crede (fides quaerens intellectum). In
verità , esiste un rapporto stretto tra ragione e la luce.41 Come se Kant non avesse voluto tener conto di
un fatto incontrovertibile: lo zelo religioso di coloro che con umiltà vogliono comprendere ciò, in cui
già credono. Anselmo con la sua prova ontologica del Proslogio e Tommaso con le sue cinque vie della
Somma teologica pensavano di dimostrare l'esistenza di Dio con il pensiero anche se in cuor loro già lo
sentivano. È vero che Kant fa riferimento, per quanto attiene alla religione, alla disposizione del cuore,
ma questo disporsi del cuore è orientato alla legge morale, in questo senso la sua può essere definita
una fede tutta laica.
Bisogna oltretutto aggiungere che, razionalmente, la critica alle tre prove stabilisce solo l'impossibilità di
dimostrare con certezza l'esistenza di Dio, ma non la sua possibilità e di fatto la filosofia kantiana non
afferma e non nega l'esistenza di Dio. La critica alle tre prove testimonia, essenzialmente, l'inconsistenza
di qualsivoglia teologia fondata sulla ragione speculativa o sui concetti puri e in fondo è Kant a sostenere
che alla base di tutte le prove c'è sempre lo stesso concetto puro e ontologico «A base [...] della prova
fisico-teologica c'è quella cosmologica, ma a base di questa la prova ontologica dell'esistenza di un
Essere originario come Essere supremo» (Critica della ragion pura, cit., vol. II, p. 493).
La riflessione «il reggitore del mondo ci lascia soltanto congetturare e non scorgere o dimostrare
chiaramente la sua esistenza e la sua maestà »42 fa pensare che Dio è in rapporto solo alla
possibilità , e la postulazione deve essere intesa come l'eterno domandarsi su Dio. È come se Kant
avesse apposto alle due tendenze di chi crede e di chi non crede -- una terza via (che non coincide come
è stato ritenuto da molti critici con l'agnosticismo).
Un'analisi più attenta dovrebbe indurci ad un'altra considerazione: la postulazione potrebbe avere il
significato di una richiesta, di una domanda sull'esistenza di Dio, sul regno dei fini; che l'essere virtuoso
possa mediarsi con la felicità ; tutto ciò dipende dalla coscienza che si progetta, si 'getta a favore' della
aspettazione. Tale prospettazione è convalidata dall'assunto, estrapolato dalla Critica della ragion pura,
secondo un progresso logico che procede dalla «conoscenza di se stesso (dell'anima) alla conoscenza
del mondo, e attraverso di questo all'Ente supremo» (Critica della ragion pura, vol. II, cit, p. 315).
Questa affermazione avvalora la tesi, secondo cui Kant pensa alla teologia in un rapporto con la
'soggettività ', che può essere considerata, in via provvisoria, la continuità ideale, il filo conduttore di
tutta la sua filosofia; così rispunterebbe l'idea di quel principio fondamentale (soggettività ) già , a suo
tempo, presente e attiva dalla Prima edizione della Critica della ragion pura del 1781.
Alla base dell'aspettazione c'è la morale (da Kant già introdotta nella stessa Critica della ragion pura),
anche se ci sono tutte le ragioni per credere che questa attività ha tutte le caratteristiche di segnarsi
nella volontà di trascendere, e già postulare implicherebbe un'autentica volontà , deputata alla
trascendenza. La metafisica classica prospettava la trascendenza, ossia si progettava nella domanda cui
seguiva una risposta, per la metafisica kantiana la domanda incessante e tormentosa sarebbe la vera
legge della coscienza; la teologia, a ragione, converte la domanda in 'speranza'(che implica sempre la
fondamentale disperazione dell'animo umano).
Il riferimento alla morale indica il volere; la volontà che si qualifica come un volere essere, come un porsi
a favore di..., quindi come un gettarsi verso, un tendere a, desiderare, un aspirare a... Ma il fondamento
di tutto ciò è 'oscuro' soprattutto se mi pongo la domanda esplicativa: perché mi devo porre nella
direzione di...? In altre parole, perché trascendere in sé e fuor di sé per essere pienamente se
stessi e non contentarsi dell'essere nel pieno egoismo? In altri termini perché la trascendenza a posto
dell'immanenza del sé?
Il rinnovamento della teologia e la possibilità di Dio sottendono per Kant una disposizione, un'apertura,
giacché l'essere che comanda non è fuori dell'uomo, come sostanza distinta dall'uomo. La toccante e
profonda riflessione di «[...] un essere in me che, distinto da me, sta su di me [...] ed io, l'uomo, sono io
stesso quest'essere, ed esso non è, poniamo, una sostanza fuori di me [...]»43 è la riprova che l'uomo
per essere pienamente se stesso non può non rapportarsi a ciò che è in sé, senza pienamente
coincidere con il se stesso (su di me). Per tale aspetto il Dio di Kant si esprime nell'identità (essere in
me) e nella distinzione di sé (distinto da me). Chi rifiuta la trascendenza, si pone nella non Apertura
(come nell'accezione di Jaspers), nel non voler Trascendersi; si instaura come giustamente ha chiarito
Kant, l'amore di sé o amor proprio,44 cioè la tendenza a fare di sé il motivo determinante della
volontà (Critica della ragion pratica, cit., p. 92).
La ristrutturazione filosofica kantiana si incentra su un Dio, un uomo e un mondo secondo un ordine che - partendo dalla ragione teoretica (in cui già riaffiora l'aspetto morale), prima con le idee trascendentali
(idea di Dio di anima e di mondo) e successivamente con i postulati della ragion pratica (come quelli
dell'immortalità , della libertà e dell'esistenza di Dio) e infine con l'Opus postumum di idea-Dio (non più
l'idea di Dio)45 -- non avrebbe dovuto palesare, svelare dal fondo l'essenza; Kant esplicita solo la
tendenza naturale o disposizione perché possa darsi la 'possibilità ' di cogliere l'Incondizionato prima
con le «idee trascendentali della ragione» e successivamente con la 'supposizione' attraverso i
postulati.
La condizione fondamentale per il filosofare kantiano consiste nella possibilità di superare il concetto di
Dio, inteso come sostanza o come ente oggettivamente dato, la cui individuazione oggettivistica
invaliderebbe il presupposto della ricerca, in quanto il 'darsi' come sostanza oltre ad impedire un'analisi
trascendentale si delinea già definito e fissato. Il Dio inteso come 'oggetto' o come sostanza (il Dio
sostanza) contrasta la possibilità di un'autentica ricerca teologica, che si fonda proprio nel non pre-porre
Dio come semplice ente sostanziale. Nella Critica della ragion pura non è l'idea trascendentale di Dio a
fondare una nuova teologia e la nuova metafisica, ma la trascendentalità stessa è già per se stessa
fondatrice di una nuova teologia e di un'inedita metafisica; solo che Kant si è guardato bene dal
precisarne il fondamento.
Per Kant il Cristo-persona è rappresentato da un'idea come «sinonimo dell'incarnazione teologica non
in un uomo, che possa diventare oggetto di adorazione, ma nella umanità idealmente intesa ossia al
massimo della perfezione morale»46 Kant non concepisce né Dio né Cristo come Persone, in
quanto Dio viene concepito secondo una rappresentazione morale e a snaturarsi in Dio morale e Cristo
nell'ideale della santa umanitÃ
Bisogna chiedersi, se nonostante queste raffigurazioni soggettivissime, ci siano aspetti e implicazioni
inediti e comunque riferibili ad una teologia che non riduca il significato della religiosità a mera
rappresentazione morale.
Il motivo per cui Kant rifiuta a più riprese di pensare a Dio in senso 'oggettivo' può dipendere dalla
considerazione che l'ens summum è un'idea (idea-Dio e non idea di Dio) pura pratica pensata
soggettivamente «e nella ragione pratica dell'uomo è pensato soggettivamente in maniera necessaria
un Dio, sebbene non sia dato oggettivamente»;47 l'assunto non sia dato oggettivamente non nega Dio
come presenza, ma solo la pretesa di vedere Dio come un mero essere fuori di sé, come ente
oggettivamente offerentesi senza che possa essere sentito nell'in sé dell'uomo. Dio o meglio l'idea di
Dio della Critica della ragion pura (successivamente convertita in idea-Dio nell'Opus postumum)
andrebbe concepita secondo una deduzione trascendentale di tipo soggettivo...
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