GEOGRAFIA DEL TERRITORIO LAGUNARE PREMESSA La Geografia è la scienza che ha per oggetto lo studio, la descrizione e la rappresentazione della Terra nella configurazione della sua superficie (geografia fisica), nella distribuzione spaziale dei vari fenomeni, in quanto connessi con la vita umana (geografia antropica), con la vita animale e vegetale (geografia biologica), con la vita delle società umane (geografia politica), con l’utilizzazione da parte dell’uomo delle risorse del mondo minerale, vegetale ed animale (geografia economica) (cfr. G.Devoto, G.C.Oli - Dizionario della lingua italiana). In questo senso importante per la descrizione del bacino lagunare ci pare importante sia la Geografia fisica sia la Biogeografia, ossia lo studio dei rapporti fra gli esseri viventi e l’ambiente in cui vivono. La laguna di Venezia è infatti uno degli ecosistemi costieri più estesi, 550 Kmq di superficie, e più importanti d'Europa e dell'intero bacino Mediterraneo, in quanto si tratta di un’area umida naturale (wetland) con un immenso patrimonio biologico, faunistico e floristico ed alcune specie di animali e di vegetali presenti in laguna sono rare o minacciate d'estinzione. La laguna racchiude, oltre alla città di Venezia, varie isole con importanti testimonianze storiche ed artistiche di una civiltà irripetibile. Venezia è inoltre capoluogo di una delle più importanti Regioni della Repubblica Italiana ed è inserita in un’area a forte sviluppo economico, il cosiddetto “Nordest”, ma anche ad intensa trasformazione ambientale ed urbanizzazione del territorio. La città storica è inscindibilmente legata alla sua laguna: la cultura e le tradizioni dei suoi abitanti, l’architettura dei suoi monumenti, il tessuto urbano ed edilizio ricamato sull’acqua, sono stati forgiati e hanno preso forma dal paesaggio e dall’ambiente lagunare, che le fanno non solo da meravigliosa cornice, ma conferiscono alla città di Venezia un significato che in un contesto diverso non sarebbe dato di cogliere. Altri insediamenti sono sparsi per la laguna e sul litorale, alcuni tuttora abitati e meta ordinaria di turisti (Murano, Burano, Torcello, Lido e Malamocco), altri lontani dagli ordinari percorsi turistici, ma ancora abitati da una popolazione che conserva antiche tradizioni, e dalla laguna, dal mare, dalla terra trae di che vivere, essendo dedita ancora alla pesca ed all’orticoltura (Pellestrina, S.Pietro in Volta, S.Erasmo, Treporti). Diverse sono le isole sparse per il bacino lagunare centrale e settentrionale, in gran parte disabitate, ma con importanti testimonianze di tempi gloriosi, ormai passati, quando erano luoghi deputati al culto o alla vita religiosa, ad opere di difesa militare od anche semplicemente ad attività agricole. DESCRIZIONE DELL’AMBIENTE Il bacino lagunare pur presentando, specie sulla fascia di gronda, insediamenti urbani, una marcata infrastrutturazione (aeroporto, ponte stradale e ferroviario translagunare, porto marittimo) e l’ampia area industriale di Porto Marghera, tuttavia riserva ancora un notevole spazio alle aree naturali. Il paesaggio lagunare è caratterizzato da ampi specchi acquei, la “laguna viva”, percorsi da canali navigabili e costellati da una miriade di isole prevalentemente di natura argillosa. Molte di esse costituiscono la città di Venezia e i centri minori, altre isole invece, un tempo abitate e sedi di importanti attività funzionali alla “civiltà” di Venezia, sono per la maggior parte in stato di completo abbandono. Gli isolotti naturali tabulari, appena emergenti dall'acqua e coperti di vegetazione alofita, che separano la laguna viva dalle zone retrostanti, formano le "barene", che sono solcate da una fitta rete di piccoli e tortuosi canali, chiamati “ghebi”. Tra le barene e gli ampi specchi d'acqua della "laguna viva", vi sono dossi, bassifondi e fondali sommersi, "le velme", che emergono solo in condizioni di bassa marea. Questo caratteristico ed affascinante paesaggio è ancora relativamente conservato nella laguna Nord, in quanto sono ancora presenti i dinamismi naturali, mentre è sostanzialmente scomparso, o sta scomparendo, nella laguna centrale e meridionale anche come conseguenza dell’erosione causata dal profondo e rettilineo “Canale dei Petroli” e della mancanza di apporti di sedimenti per l’estromissione quasi completa dei sistemi fluviali e per l’allontanamento al largo dei vettori di ripascimento delle correnti litoranee sottocosta. La laguna è separata dal Mare Adriatico da una fascia di litorali sabbiosi, in gran parte urbanizzati, che presentano tre aperture in corrispondenza dei porti di Chioggia, Malamocco-Alberoni e Lido-S.Nicolò. La marea regola il ricambio idrico delle acque lagunari, e con esse la funzionalità biologica ed ecosistemica di questa area umida, vivificando l’ambiente e rinnovandone i cicli vitali. Verso l'entroterra l'argine di conterminazione lagunare, già realizzato dalla Repubblica Veneta, separa la terraferma, la fascia di gronda e i sistemi fluviali, una volta sfocianti in laguna, dal bacino lagunare e dalle “valli da pesca” arginate, dove viene svolto l'allevamento del pesce in forma estensiva. Un tempo questa fascia di transizione era ricca, oltre che di percorsi fluviali in gran parte deviati, di acque, paludi, boschi ripari e planiziali, ambienti preziosi (si pensi alla utilità di una fascia di aree umide per la fitodepurazione) oggi quasi completamente scomparsi, bonificati o messi a coltura. La terraferma veneziana ha così gradualmente assunto l'aspetto monotono della pianura coltivata, disseminata di piccoli e medi centri urbani, di strade, di estese aree produttive ed industriali. VEGETAZIONE E FAUNA La vegetazione racchiusa nella laguna di Venezia denota la presenza di specie botaniche di grande valore ecologico (salicornia e apocino veneto ad esempio), in qualche caso a rischio di estinzione, in quanto l’estesa antropizzazione della fascia costiera e la bonifica di vaste aree umide nell’Alto Adriatico ha reso marginale l’estensione di alcune biocenosi, comunità vegetali, di grande valore floristico, che sono presenti in laguna ma che hanno comunque caratteristiche di rarità nella costa veneta, diffusamente urbanizzata. La vegetazione naturale che si sviluppa nel territorio lagunare oltre a dipendere dalle condizioni climatiche e dalla natura del suolo, è strettamente condizionata dalla quantità d'acqua e dalla sua qualità, dolce, salmastra o salata. Si può in sintesi distinguere: - una vegetazione di ambienti aridi, tipica dei litorali sabbiosi, sulle dune verso il mare; - una vegetazione alofita tipica dei bacini della laguna viva, in particolare le importanti praterie di fanerogame, ed una tipica delle barene, aree soggette a periodica sommersione di acqua salmastra; - una vegetazione igrofila tipica, dove vi è afflusso od accumulo di acque dolci; - una vegetazione arbustiva ed arborea, artificiale in gran parte, naturale solo in piccoli lembi di territorio. Grande è anche la ricchezza e la diversità faunistica in particolare di uccelli: i censimenti ornitologici dimostrano come migliaia di esemplari, appartenenti a molte specie di anatidi, ardeidi, limicoli e laridi si affollano durante le fredde giornate invernali in laguna, soprattutto nelle valli da pesca, dandosi il cambio con altri contingenti durante le stagioni del passo e ripasso migratorio ed infine lasciando il posto alle numerose specie nidificanti. In particolare è da segnalare la presenza del fraticello, del fratino, della sterna comune, del beccapesci, del gabbiano corallino, della pettegola, del mignattino, del cavaliere d’Italia, dell’avocetta, dell’airone bianco maggiore, dell’airone rosso e del falco di palude, del barbagianni, del martin pescatore. Altrettanto importante in questi ambienti è la presenza di pesci, ovviamente, di anfibi e rettili, e di mammiferi, che grazie alla presenza di ambienti naturali e corridoi ecologici lungo la gronda lagunare riescono a sopravvivere, anche se non certo con popolazioni significative, ma comunque importanti per il contesto già molto antropizzato in cui sono inserite. La laguna di Venezia rientrerebbe a pieno titolo nei criteri di gestione saggia (wise use) stabiliti dalla Convenzione di Ramsar per le aree umide di importanza internazionale, sia per il numero degli uccelli acquatici regolarmente sostenuti, come popolazione svernante, sia quale peculiare regione biogeografica mediterranea (sensibile escursione di marea, condizioni climatiche, endemismi floristici, popolamenti ittici). Per ora tale Convenzione è estesa solamente a Valle Averto, Oasi faunistica del WWF Italia. EVOLUZIONE E TRASFORMAZIONI DEL BACINO LAGUNARE La laguna di Venezia è il risultato della conservazione di un “equilibrio dinamico” e del controllo dei processi naturali che tenderebbero inevitabilmente a modificarla. Il bacino lagunare, compreso tra pianura e Mare Adriatico, è infatti un ambiente in continua evoluzione e che tenderebbe a trasformarsi per effetto della sedimentazione dei fiumi e degli agenti erosivi, in superfici emerse o in area marina costiera. L’azione dell’uomo che ha gestito l’ambiente contrastando sia le sedimentazioni, che tendevano ad interrarlo, sia i processi erosivi, ha mantenuto, grazie a continui interventi, la stabilità ed anche la naturalità del sistema. La laguna come unità ecosistemica e geografica risale a circa 6000 anni fa. Emergono sempre più chiaramente dalle testimonianze storiche e dalla ricerca archeologica e scientifica, le origini romane, forse anche paleovenete o etrusche, dei primi insediamenti in laguna: da quel momento la laguna è stata oggetto di interventi antropici decisivi, tra cui l'edificazione di alcuni centri abitati sulle terre emerse interne alle lagune (Rivoalto, Torcello) e sui litorali (Metamauco). L'uomo ha cercato di adattare sempre in modo elegante l'ambiente della laguna alle proprie esigenze: basti pensare che il Canal Grande, la via d'acqua principale di Venezia, su cui sono affacciati i più bei palazzi, sembra essere, con le due anse sinuose, l'impronta storica di un braccio fluviale del fiume Medoacus, l'antica Brenta, che in epoca romana sfociava in laguna. Fin dalle origini di Venezia, dai primi insediamenti, acqua e città si sono comunque mantenute in un rapporto inscindibile di simbiosi: Mentre però fino al secolo 15°, gli interventi antropici si sono limitati perlopiù ad opere contenute di consolidamento, arginatura e modesti scavi per assecondare i processi naturali, senza che la geografia dei luoghi risultasse modificata, nei secoli successivi le grandi opere di diversione dei fiumi, per evitare l'interramento delle bocche di porto e l'impaludamento del bacino lagunare, e la stabilizzazione con argini dei margini lagunari e litoranei, ne hanno invece mutato profondamente l'assetto morfologico. Dall’inizio del XVI° secolo i fiumi che sfociavano in laguna - il Brenta, il Bacchiglione, il Sile ed il Piave- furono infatti progressivamente deviati in mare per paura di un impaludamento, a causa del trasporto dei sedimenti in laguna, che continuava ad aumentare e a mettere in crisi gli accessi alla laguna delle bocche portuali. La deviazione fuori della laguna delle acque fluviali, ed in seguito lo scavo di profondi canali verso il mare ne ha inoltre modificato la salinità, accentuando il carattere marino dell’ecosistema ed aumentando le energie in gioco. Nel diciannovesimo secolo furono poi realizzate le dighe foranee alle entrate della laguna per incrementare e stabilizzare i fondali dei canali per la navigazione, permettendo che venissero approfonditi dalle correnti di marea scambiate con il mare Adriatico. A causa della maggiore energia delle correnti di marea si è però avuto anche come effetto collaterale una perdita netta di sedimenti e mancando un equilibrio di sedimenti tra apporto dei fiumi e scambio mare-laguna si è innescato un approfondimento progressivo del bacino, fenomeno acceleratosi in questo ultimo trentennio, con la trasformazione e l’assottigliamento di quegli elementi morfologici tipici, bassifondi, velme, barene, soprattutto in prossimità dei grandi canali di navigazione. La laguna continua a mostrare una perdita netta di sedimenti di 1.000.000 metri cubi l’anno e si sta gradualmente trasformandosi, in alcune estese zone, da zona umida salmastra costiera a “bassa energia” ad ecosistema marino ad “alta energia”. A questo si aggiunge un profondo cambiamento di logica gestionale, innescato dalle attività umane, e di trasformazione del territorio, che hanno caratterizzato la gronda lagunare e la fascia costiera, nel secolo presente, con consistenti opere di bonifica e di interramenti artificiali, che peraltro si configuravano non più come gestione ma come eliminazione di vaste superfici lagunari, e con l’immissione di sostanze inquinanti sia di origine organica sia derivanti da processi produttivi, che hanno alterato sensibilmente la funzionalità ecologica di tale ambiente delicato e unico. EMERGENZE AMBIENTALI DELLA LAGUNA DI VENEZIA In sostanza l’attività umana, che durante i secoli passati è stata il principale fattore di tutela e gestione dell’ambiente, oggi decisamente ha spinto l’acceleratore verso azioni incompatibili con la funzionalità e la conservazione del sistema lagunare. E’ opinione ormai consolidata che se queste azioni non verranno controllate e riportate in un ambito di compatibilità potrebbe verificarsi la perdita di molte delle caratteristiche fondamentali del bacino lagunare, ponendo così a rischio l’esistenza dell’ambiente naturale, così come lo vediamo oggi, ed anche la continuazione di quelle stesse attività che attualmente sono, o sono state, il maggiore fattore di disequilibrio dell’ecosistema. In questo senso si possono segnalare i nodi critici principali che più mettono a rischio l’ecosistema lagunare. a) Moto ondoso La gestione del traffico acqueo in Laguna di Venezia sta diventando una delle priorità da affrontare, se pensiamo che le barche che transitano mediamente in laguna sono per il 94% a motore e solo per il 6% a vela o a remi (dati tratti da uno studio preliminare del COSES). Da una parte c'è chi usufruisce delle acque della laguna come mezzo di spostamento: motoscafisti, trasportatori, conduttori di mezzi acquei pubblici, diportisti a motore; dall'altra chi si trova in difficoltà a percorrere la laguna a causa del moto ondoso, vogatori, gondolieri, velisti al terzo. Inoltre come nelle città lo smog, l'inquinamento acustico, l'intasamento delle arterie di traffico è una delle emergenze che si sta incominciando ad affrontare con i Piani Urbani del Traffico e con l'incentivazione di mezzi alternativi all'automobile (bici, tram, bus, metro di superficie), nel Centro Storico di Venezia, principalmente, ma anche negli altri centri insulari affacciati sulla laguna il traffico acqueo è causa di inquinamento acustico (è ormai assodata l’invivibilità delle case prospicienti alcuni rii di attraversamento del centro storico dove il rumore del transito di imbarcazioni a motore è eccessivo) e dell'acqua (i motori delle barche sono per lo più a due tempi ed inquinanti) e di un "inquinamento" da moto ondoso, causato dal passaggio di imbarcazioni con scafi non consoni, per forma della carena e potenza dei motori, alla delicatezza del tessuto urbano della città e che pongono a rischio la stabilità dei palazzi affacciati sui rii a maggior traffico. Il passaggio continuo di barche a motore provoca onde che, dove vanno ad infrangersi, stanno innescando un dissesto più o meno grave sia sulla delicata struttura edilizia della città e delle fondazioni degli edifici, prospicienti l'acqua che sono stati costruiti per altro tipo di traffico (non certo a motore ma remi e a vela, si guardino i quadri del Canaletto per capire ciò) sia sulla altrettanto delicata struttura della morfologia lagunare, bassi fondali, velme, barene, gengive dei canali, su cui si scarica l'effetto di pressione delle onde generate dagli scafi e di turbolenza causate dalla potenza delle eliche dei motori (tipico è l'esempio di un motoscafo su bassi fondali che solleva dietro se una scia di fango ed alghe dal fondale). Tutto ciò provoca una continua ma diffusa erosione della morfologia lagunare e un degrado della struttura edilizia della città. Facciamo presente al proposito che esiste un Regolamento Comunale del Traffico Acqueo, per il Centro Storico, e che recentemente è stato emanato dall’Amministrazione Provinciale un Regolamento per la navigazione in laguna che dovrebbe coprire l’intero ambito lagunare e trovare applicazione attraverso una serie di ordinanze ed una Conferenza di Servizi stabile tra i soggetti competenti in materia di navigazione, in particolare con Capitaneria di Porto (competente per i canali marittimi portuali) e con il Magistrato alle Acque. Si fa presente inoltre che esiste una Legge Regionale che impedisce il traffico di barche a motore nei laghi, eccetto alcune deroghe e sul Lago di Garda, parte Trentina, si è arrivati addirittura a vietare il traffico a motore. Infine si ricorda che nel Lago di S.Croce (Belluno) è stato recentemente approvata dalla Regione Veneto una norma che consente l’uso solo di motori elettrici a bassa potenza. Appare assai preoccupante in questo contesto il proliferare di progetti di costruzione di nuove darsene in gronda lagunare, senza un disegno complessivo, spesso in ambienti delicati (emblematico il caso della Darsena alle Conche di Portegrandi tra Parco del Sile e la Laguna di Venezia) e spesso frequentati da imbarcazioni da diporto che escono poi in mare aperto e che usano i canali lagunari come “autostrade” di attraversamento. Non è inoltre da sottovalutare il rilascio di concessioni, da parte delle autorità competenti, per approdi e ormeggi, senza valutare in che ambito si va ad incidere, e quale la tipologia dell’imbarcazione cui si concede tale uso. E in questo senso sarebbe bene approfondire ed elaborare delle valutazioni strategiche sul numero e sulla tipologia di barche abilitate al trasporto, in particolare di merci e di turisti, che sono una delle cause maggiori di moto ondoso nel Centro Storico. b) Pesca in laguna E’ noto che le lagune sono assieme alle scogliere coralline e alle foreste pluviali tropicali, tra gli ambienti naturali più produttivi al mondo. I fondali accumulano e liberano grandi quantità di sostanze nutritive, che unite alla forte illuminazione ed all’intensa fotosintesi sono alla base di reti trofiche molto consistenti con una produzione di sostanza organica (biomassa) superiore a quanto si verifica per qualsiasi altro ambiente: un fondale lagunare sano rappresenta perciò un ecosistema ricco di vita e molto produttivo sul piano biologico. Le risorse ittiche lagunari sono state perciò considerate nei tempi passati un bene che andava utilizzato prelevando il giusto senza intaccare il “capitale” produttivo, rappresentato dal bacino lagunare, ed è noto come la Serenissima avesse emanato disposizioni precise al riguardo, vietando ad esempio la pesca e la vendita di novellame, al di sotto di una certa pezzatura. Purtroppo da qualche anno l’immissione in laguna di un mollusco estraneo alla fauna originaria ma molto produttivo, “la vongola filippina” (capparossolo), sta alimentando una forma di pesca molto aggressiva nei confronti dei fondali. Gli strumenti meccanici che raschiano il fondo per la raccolta meccanica dei capparossoli, in particolare le turbosoffianti o le draghe trainanti, provocano effetti devastanti sui fondali lagunari, che vengono arati per 15-20 cm di profondità e spogliati della vegetazione algale consolidante. Tale tipologia di pesca sta alterando sensibilmente gli equilibri biologici dei fondali, oltre ad essere esercitata anche a ridosso dell’area industriale di Porto Marghera, in un’area vietata da un ordinanza del Sindaco, a causa dei sedimenti dei fondali inquinati. In ogni caso la pesca dei capparossoli incrementa la perdita di sedimenti smossi e portati in mare dalle correnti di marea calante in deflusso, specie nelle aree vicino ai canali portuali, ed impedisce il normale attecchimento della vegetazione algale a fanerogame nella laguna, importante “nursery”, sito di riproduzione, per la biologia di alcuni pesci. In sostanza tutto ciò comporta una perdita di biodiversità e un minor equilibrio dell’ecosistema, che in futuro potrebbe avere degli effetti anche sulla stessa capacità di produzione di biomassa del “capitale” laguna. Al proposito la Provincia di Venezia sta cercando di programmare in maniera razionale, con un Piano Pesca, l’uso delle acque lagunari per la pesca, concordando le modalità con gli organi preposti, tra gli altri lo stesso Comune di Venezia e il Magistrato alle Acque, anche se appare allo stato di fatto molto difficile regolamentare tale tipologia di pesca, dove il fenomeno dell’abusivismo e del commercio senza regole del prodotto pescato dilagano, e dove la Magistratura e le Forze dell’Ordine stanno cercando tra mille difficoltà di organizzare ed imporre sistematici controlli. c) Trasformazione della morfologia lagunare L'approfondimento dei fondali e delle sezioni dei canali lagunari, a seguito della realizzazione delle dighe alle bocche di porto per necessità portuali, in particolare alla Bocca di porto del Lido (11-12 metri) e soprattutto il profondo "Canale dei Petroli" alla bocca di porto di Malamocco (16-17 metri), ha provocato un effetto di più veloce propagazione dei flussi di marea (correnti fino a 2m/sec) con maggiori volumi d’acqua scambiati tra mare e laguna. Le correnti di marea presenti soprattutto nel "Canale dei Petroli", alla bocca di Malamocco, provocano un aumento delle energie erosive che stanno trasformando il carattere stesso della laguna centro-meridionale, mettendo a rischio i fondali e i bassifondi limitrofi ed anche la permanenza di aree archeologiche significative. Si sta verificando l’approfondimento medio del bacino lagunare e la trasformazione della laguna centro-meridionale in un “braccio di mare”, fatto evidente soprattutto in vicinanza ai canali di navigazione dove l’erosione progressiva delle gengive dei canali e dei bassi fondali prospicienti, causata da moto ondoso di varia origine, e dall’effetto erosivo delle correnti sta portando via pian piano i sedimenti dai fondali della laguna. Le barene che ancora smorzavano gli effetti della marea, incanalandone i flussi e fungendo da casse di espansione, si sono ridotte inoltre, per cause molteplici (imbonimenti, erosione, arginature), da 90 chilometri quadri nel 1900 a 42 chilometri quadri nel 1975, fino ad arrivare a 39 chilometri quadri nel 1995. Il progressivo aumento della profondità dell’acqua in laguna, aumentata di circa 30-40 cm in questo secolo, e la riduzione in superficie delle barene, dei bassifondi e delle velme, agevola in alcuni punti “l’effetto spinta” del vento di scirocco o di bora, trovando in un bacino lagunare più uniforme ed appiattito, la strada spianata per aumentare l’altezza delle onde di vento e per contribuire all’incremento dei livelli di marea, riducendo anche l’effetto “cuscinetto” sulle mareggiate. L’estromissione dei sistemi fluviali, l’immissione di ulteriori agenti di erosione (vedi moto ondoso e ed aratura dei fondali per la pesca delle vongole, con conseguente scomparsa delle praterie di fanerogame) e la progressiva crescita del battente d’acqua in laguna e l’azione violenta delle onde, attraverso l’acqua più profonda e in concomitanza con forti venti, contribuiscono a favorire i fenomeni di dissesto morfologico del bacino lagunare. Ogni anno fuoriescono dalla laguna 1.000.000 di metri cubi di sedimenti ed è in atto una progressiva trasformazione in “braccio di mare” dell’ecosistema lagunare. Questo potrebbe avere anche degli effetti sulla ricchezza faunistica del bacino lagunare, in quanto la riduzione in superficie delle barene e dei bassi fondali tipici della Laguna di Venezia, fondamentali per la vita biologica di molte specie animali, potrà ridurre la complessità dell’ecosistema, a scapito di alcuni contingenti faunistici. A questo si deve aggiungere - la riduzione delle aree lagunari avvenuta attraverso le bonifiche per recuperare terre da destinarsi a coltivazione agricola e l'imbonimento delle barene per il primo insediamento e l’espansione dell'area industriale di Porto Marghera, con la conseguente scomparsa di vaste porzioni di paludi e sistemi d’acqua dolce, importante interfaccia di transizione tra laguna e terraferma, la cui funzione è in qualche modo svolta adesso dalle valli da pesca, seppure come ambiente di transizione a gestione artificiale. - il consumo di suolo, l’impermeabilizzazione e l'eccessiva urbanizzazione di tutto l'entroterra lagunare, delle stesse isole e dei litorali, che purtroppo non fanno che aumentare il rischio idraulico di un alluvione nel bacino idrografico che comprende la laguna e la pianura della Provincia di Venezia, in alcune aree anche estese, collocata sotto il livello del mare; - l'artificializzazione sempre più spinta del sistema ambientale agricolo, e dei relativi metodi di coltivazione sempre più spinti all’intensivizzazione, e dei sistemi fluviali connessi idraulicamente al bacino lagunare, non più gestiti e mantenuti in un ottica complessiva, ma sfruttati e trasformati per le attività umane (bacini idroelettrici, aree di cava, captazione per l’irrigazione). I fiumi quasi non assolvono più ad alcuna funzione idraulica, di apporto di sedimenti verso la fascia litoranea e il bacino lagunare - da cui sono stati estromessi nel passato - e di contenimento e di regolazione dei flussi di piena. Prova ne è che alla prima pioggia insistente sul Triveneto almeno ¼ della Provincia va sotto acqua, come si è verificato nell’ottobre dello scorso anno. In questo contesto si aggiunge la mancanza di un presidio costante del territorio, di una politica di prevenzione e studio attento delle dinamiche in atto e di una gestione del territorio indirizzata verso una manutenzione costante e capillare dell’ambiente, più che verso nuove opere, che comunque spesso poi necessitano di manutenzione. Non si riesce inoltre a programmare una gestione unitaria e a cogliere nel suo insieme le interrelazioni tra ambiente lagunare e quello che succede a monte o nei sistemi ambientali connessi, che invece era ben presente almeno nelle intenzioni della Repubblica Serenissima, che spendeva i migliori ingegneri per trovarvi rimedi efficaci. In questo senso Venezia oggi è un esempio emblematico di quali rischi può portare un modello di sviluppo che spinge il sistema produttivo verso un uso eccessivo di beni ambientali e culturali ed un consumo non pianificato e non sostenibile di risorse fondamentali per le comunità locali, ma che appartengono in qualche misura, almeno simbolicamente, a tutta l’umanità. La Legge Speciale per Venezia finanzia tutti gli interventi di riequilibrio e recupero morfologico in laguna la cui realizzazione è delegata al Magistrato alle acque di Venezia e al Concessionario Unico dello Stato Consorzio Venezia Nuova che ha programmato una serie di interventi, in parte già attuati, a questo fine. Quest’ultimo anno si è poi deciso mediante una delibera di Comitato Interministeriale di costituire un Ufficio di Piano che riassuma tutte le competenze in materia di Salvaguardia (Regione, Provincia, Comune, Ministero dei Lavori Pubblici, dell’Ambiente, dei Beni e delle Attività Culturali, dei Trasporti e della Navigazione etc.) e che rediga ed avvii un piano complessivo strategico di interventi finalizzati anche alla salvaguardia ambientale, morfologica ed idraulica dell’ecosistema lagunare. d) Inquinamento Uno delle questioni che sicuramente è prioritaria per la sopravvivenza stessa dell’ecosistema lagunare è l’inquinamento delle acque provocato dallo sversamento diretto di aree urbane, industrie e attività produttive e dall’inquinamento diffuso di origine agricola (fertilizzanti e fitofarmaci) e zootecnica. Di particolare rilievo è l'inquinamento di origine organica del bacino scolante, e l’inquinamento chimico dell'area industriale di Porto Marghera, grande polo di industrie chimiche e di raffinamento del petrolio. Tale inquinamento ha causato nel passato gravi squilibri, quali la crescita di macroalghe con conseguente eutrofizzazione ed anossia della laguna da un lato, e il deposito e l’assorbimento nei sedimenti di sostanze con un alto grado di tossicità e con conseguente risospensione nell’acqua, per varie cause, e biodisponibilità nelle reti trofiche dell’ecosistema lagunare. Il Piano Direttore di Disinquinamento del Bacino Lagunare, redatto dalla Regione Veneto e di recente approvazione, cerca di affrontare ciò con una visione integrata, sia con azioni di prevenzione, sia con azioni di depurazione. Per prima cosa alle spalle della città nel bacino scolante, il carico inquinante di origine organica dovrà essere controllato e ridotto nel deflusso verso la laguna e ciò richiede soprattutto un cambiamento delle pratiche agricole nel bacino scolante medio e superiore. Le sorgenti diffuse infatti contribuiscono al 50% del deflusso in laguna dei nutrienti (azoto, fosforo) e perciò sarà necessario raggiungere livelli sensibilmente inferiori nell’uso dei fertilizzanti; ciò sta cominciando ad accadere con la creazione di zone di fitodepurazione e di aree umide artificiali per ridurre lo scolo dei fertilizzanti nei canali, mediante l’assorbimento del carico organico da parte delle buffer stripes, costituite da fasce di vegetazione. Al proposito si dovrebbero assegnare finanziamenti consistenti per l’incentivazione di misure volte all’introduzione di colture in copertura invernale dei suoli, per il set-aside, per la rinaturalizzazione nelle aree agricole e delle rive delle reti di scolo, e per la riduzione dell’utilizzo di concimi chimici e fitofarmaci mediante l’introduzione di pratiche agricole compatibili, anche con tecniche di agricoltura biologica. Nel settore civile e soprattutto industriale si segnalano interventi consistenti attraverso il collettamento in fognature e il trattamento in impianti depurazione degli scarichi urbani ed industriali, per ridurre anche la componente di microinquinanti. Inoltre il Piano di Disinquinamento della Regione Veneto, dovendo recepire il Decreto Ronchi-Costa di aprile ’98, assegna fondi specifici per individuare le migliori tecnologie disponibili ed applicabili per l’abbattimento dei microinquinanti, (solventi clorurati, metalli pesanti, IPA, diossine). Si fa presente inoltre che il recente Decreto Ronchi-Micheli di febbraio ’99 sui carichi massimi ammissibili individua anche altre sostanze che in futuro non potranno essere più scaricate in laguna (ad. es il mercurio) e che altresì il Decreto Ronchi-Costa di aprile ’98 consentiva. In questa direzione appare importante il Progetto integrato Fusina, con un’area di fitodepurazione e di finissaggio, che poi prevede lo scarico (verso il Canale dei Petroli), di quanto viene pre-trattato degli scarichi industriali di Porto Marghera. Ma il salto di qualità che si dovrà compiere è indirizzare il sistema produttivo e industriale verso l’adozione delle migliori tecnologie anche di processo e non solo di depurazione finalizzata alla riduzione dell’apporto di inquinanti di origine industriale, pericolosi per la salute umana e potenzialmente agenti cancerogeni, adeguandosi progressivamente anche all’eliminazione di quei composti elencati nel Decreto Ronchi-Micheli di febbraio ’99, al fine di garantire una maggiore tutela ambientale e della salute pubblica nell’area lagunare. In questo senso sta muovendo i primi passi l’Accordo per la Chimica di Porto Marghera - di cui si occupa un altro capitolo di Agenda 21 - che dovrebbe definire e concretizzare alcuni di questi aspetti, anche se tale Accordo è uno dei primi passi, cui ne dovranno seguire altri, per avere risultati sostenibili nel tempo. Questi nodi critici contribuiscono a minare il fragile equilibrio su cui riesce ancora a sostenersi la laguna. Si devono individuare le linee di indirizzo per politiche di gestione complessiva del territorio, che puntino sulla compatibilità ambientale delle attività produttive, sulla salvaguardia attiva delle risorse ambientali e culturali, e sulla tutela e valorizzazione ambientale, che mantenga integre alle generazioni future le caratteristiche peculiari dell’ecosistema laguna. Ed in questo senso la salvaguardia fisica ed ambientale della laguna non può essere solo esclusivamente affidata ad azioni puntuali all’interno della laguna stessa o alle bocche di porto, ma deve essere il risultato di una pianificazione ecosistemica, di una programmazione delle attività produttive e di una gestione del territorio, che interagiscano in modo complesso ed articolato su tutto il bacino idrografico, anche a monte della laguna, senza tralasciare alcuna componente territoriale. ASPETTI ECONOMICI E PRODUTTIVI NELLA LAGUNA DI VENEZIA Venezia è stata fino a non poco tempo fa crocevia di attività non solo commerciali e turistiche, ma anche industriali e manifatturiere. In questi ultimi tempi però si è verificato un fenomeno di spiazzamento delle altre attività produttive, e del patrimonio socioculturale ad esse legato, a causa di un indirizzo univoco verso l’economia legata al turismo. La specializzazione produttiva nel campo turistico è uno dei fattori di squilibrio dell’economia veneziana, sia perché eventuali fenomeni imprevisti recessivi potrebbero venire tollerati meglio da un tessuto produttivo differenziato, sia perché il turismo rappresenta una delle cause paradossali dello spopolamento di Venezia, dove anche il mercato immobiliare è incentrato su questa attività e contribuisce non poco ad alzare i prezzi delle case e degli immobili ad uso ufficio del Centro Storico e dei beni economici e dei servizi messi a disposizione dell’ormai sempre più ridotto numero di abitanti. A questo si aggiunge l’enorme pressione del turismo, diretta o indotta, sulla risorsa naturale lagunare: basti pensare al fenomeno del “moto ondoso” delle imbarcazioni per il trasporto persone in tutta l’area lagunare, nonché alla pressione edificatoria sul litorale per un mercato sostanziale di “seconde case” o di strutture ricettive, considerato il fenomeno di stabilità se non di recessione dell’andamento demografico del Comune di Venezia, e dove anche la riconversione funzionale di complessi edilizi sarebbe destinata alla ricettività turistica. Anche per questa ragione, oltre che per mantenere vive le tradizioni peculiari di Venezia e della sua laguna, è opinione comune che sarebbe importante valorizzare ed incentivare maggiormente alcune delle sue attività, che da sempre sono caratteristiche della zona e sono in qualche modo rimaste sempre nei binari della compatibilità: l’artigianato e la cantieristica in legno, la pesca e la vallicoltura, l’agricoltura. Indirizzare la popolazione locale verso la riscoperta di tali attività anche in funzione di un turismo più sostenibile e più distribuito sul territorio, incentrato sulla fruizione compatibile dell’ambiente lagunare, potrebbe offrire maggiori opportunità alla permanenza della popolazione nell’ambito lagunare. a) Artigianato Con l’industrializzazione e con lo spostamento dell’economia verso il terziario, le attività artigianali hanno avuto un declino progressivo, riuscendo a sopravvivere dove vi era richiesta di alcuni prodotti di elevata qualità produttiva o unici nel suo genere (pensiamo agli squeri per barche in legno) o dove il mercato era fortemente integrato con la specializzazione turistica della città (vetrerie per piccoli oggetti e negozi di maschere). Di elevata qualità artistica è sicuramente la lavorazione del vetro soffiato e lavorato a mano, attività localizzata a Murano, che spicca per il numero elevato di addetti e l’alta qualità dei prodotti che sono destinati anche all’esportazione. Tra le attività artigiane troviamo inoltre settori molto diversi tra loro, alcuni dei quali necessiterebbero di incentivi e sostegni economici, in quanto a rischio di estinzione come “mestiere” tradizionale, come la lavorazione dei merletti, tipica di Burano o l’attività degli squeri per la costruzione e la riparazione delle barche lagunari tipiche in legno. Altre attività artigianali sono quelle dei tappezzieri, falegnami, restauratori di mobili e carpentieri, che hanno ancora un mercato. b) Agricoltura L’agricoltura lagunare ha origini antiche se pensiamo che isole e litorali erano considerati gli orti di Venezia ed ancora oggi l’agricoltura rappresenta un’attività importante per il Cavallino-Treporti, l’isola di S.Erasmo, il grande orto della Serenissima, e l’area perilagunare sud di Chioggia-Sottomarina. L’esiguità e la marginalità degli spazi agricoli hanno determinato una frammentazione estrema degli orti, localizzati in realtà periferiche del contesto urbano di Venezia, rappresentata dalle isole e dai litorali, che ancora adesso conservano nel paesaggio la specificità dell’attività agricola Sebbene i condizionamenti dell’ambiente sono sempre stati forti (natura sabbiosa o argillosa del terreno, scarsità di acqua dolce, influsso della salsedine) la produzione agricola proprio per le peculiarità dell’area lagunare si è orientata verso produzioni orticole e frutticole che permangono con condizioni di elevata qualità: gli ortaggi di S.Erasmo sono ancora adesso ricercati come prelibatezze nei mercati cittadini. La natura del suolo unitamente alla salsedine ha conferito particolari caratteristiche organolettiche ai prodotti dell’agricoltura lagunare. I mutamenti tecnologici che hanno riguardato la meccanizzazione e soprattutto le tecniche di concimazione e di diserbo, con l’impiego di sostanze chimiche, rappresentano però un fenomeno di squilibrio per il bacino lagunare, basti pensare al fenomeno dell’eutrofizzazione per il carico eccessivo di nutrienti sversati in laguna, che visto nell’ampio contesto del bacino scolante necessita di soluzioni efficaci e a breve termine. In questo senso la parziale conversione verso una produzione ortofrutticola con metodi integrati e basso impatto ambientale, avviato in tempi recenti ad esempio al Cavallino, anche con la creazione di un Consorzio ad hoc, è di buon auspicio per raggiungere l’obiettivo di mantenere elevati standard qualitativi connessi alla compatibilità dell’agricoltura in laguna. c) Vallicoltura La tecnica di pesca basata sulla migrazione della fauna ittica e sull’allevamento in valle è una delle attività produttive più tipiche ed antiche della Laguna di Venezia. Attualmente l’attività viene svolta in valli chiuse agevolando molto il lavoro degli addetti, che riescono a gestire meglio il patrimonio ittico. L’attività di itticoltura estensiva propria delle valli da pesca è correlata o per meglio dire scandita dal succedersi delle stagioni e delle dinamiche bioecologiche delle popolazioni ittiche. L’attività in valle è distinta in quattro fasi determinanti: 1) semine primaverili: sono la pratica artificiale di immissione in valle di avannotti di specie ittiche, oggetto poi di allevamento, catturati in mare e poi trasferiti in valle tra fine inverno-inizio primavera; 2) allevamento libero estensivo in valle: attività per mantenere le condizioni ottimali per lo sviluppo degli avannotti fino alle fasi adulte, nei bacini di valle, in un periodo che va dalla primavera avanzata fino a fine estate -inizio autunno; 3) migrazione autunnale: in questa fase le specie ittiche ormai mature come dimensioni, per poter essere commerciate, incominciano a trasferirsi verso il mare, essendo ormai le acque della laguna in fase di raffreddamento. I banchi di pesce si ammassano nelle vasche lavoriere dove vengono catturati e successivamente selezionati per essere avviati alla commercializzazione; 4) stabulazione invernale: gli esemplari più piccoli che non vengono selezionati per la vendita vengono immessi nei bacini di sverno dove affronteranno i rigori dell’inverno lagunare e le condizioni avverse (salinità, ossigeno disciolto, predazione di uccelli). Nelle varie fasi della gestione dell’attività di vallicoltura fondamentale è l’esperienza e la capacità degli addetti di valle e soprattutto del capovalle, che seguono ed aiutano nelle varie fasi lo sviluppo dei pesci. E’ da tener presente inoltre che l’importanza delle valli è connessa anche alla presenza di avifauna, che in valle trova, grazie alla scarsa presenza umana, l’ambiente ecologicamente adatto per svernare o prepararsi alla migrazione, nonostante l’attività venatoria presente. d) Turismo Venezia, in quanto città d’arte unica al mondo, è destinataria di una domanda di turismo sempre crescente, e qualunque persona al mondo, compatibilmente con le proprie possibilità economiche, vorrebbe visitarla. La media giornaliera annua di turisti è di 30.000 persone, con picchi di 200.000, quando la capacità di carico ipotetica è stata valutata in circa 25.000 turisti al giorno: questo pone dei problemi della gestione dei flussi per la ricerca di soluzioni per diminuire l’impatto sulla città e sui residenti. L’assetto urbano è fin troppo funzionale al mercato turistico (molti sono i cambi d’uso per realizzare alberghi, pensioni, negozi di maschere etc.) e vi è una generale tendenza alla banalizzazione dell’offerta turistica senza che ciò aiuti, in un ottica di salvaguardia della città, a risolvere anche finanziariamente gli enormi costi di manutenzione urbana della città e a creare occasioni stabili di lavoro e di reddito per gli abitanti. Perché Venezia oltre ad essere bella è una città coi suoi abitanti, le sue tradizioni, i suoi ritmi di vita, la sua produzione culturale ancora viva. E’ significativo che il 41% del totale delle attività turistiche del centro storico sia il commercio di souvenirs ed è evidente come prevalga un'offerta a basso costo destinata al turismo “mordi e fuggi” (ad es.escursioni in lancione a Murano e Burano) senza che prevalga una scelta di turismo di qualità e più sostenibile, che garantisca il mantenimento di attività produttive e realtà socioeconomiche decentrate rispetto ai maggiori flussi. Tanto più che il turismo ambientale si sta affermando, anche secondo uno studio recente della Provincia di Venezia, come una possibile alternativa con una domanda sempre crescente, specie da parte del turismo proveniente dal Nord Europa. Il rapporto tra turista e chi abita Venezia e la sua laguna è uno dei problemi centrali con cui dovranno cercare di confrontarsi gli operatori del turismo, in particolare del turismo naturalistico e culturale, attraverso la ricerca di un rispetto reciproco per ambo le parti: in questa direzione sembra andare l’offerta turistica svolta da enti “no profit”, cooperative, gruppi di anziani ed associazioni culturali e naturalistiche, facenti parte del cosiddetto “terzo settore”, che pur essendo una risorsa sottovalutata, ma parte viva della città e del territorio lagunare, sta cercando di spingere verso una riqualificazione del mercato turistico attuale, per attirare un tipo di visitatore più attento alla qualità del soggiorno, dell’offerta di servizi e della tutela ambientale. Un visitatore che potrebbe preferire percorrere la laguna invece che su un veloce motoscafo, su una tranquilla “sanpierota” armata di vela al terzo, perché chi entra in laguna forse potrebbe e vorrebbe rallentare il proprio ritmo di vita quotidiano per assaporare meglio la bellezza e la pace nei luoghi più nascosti di questo ambiente unico al mondo. CONCLUSIONI E' indubbio che vadano perciò cambiate le prospettive d'intervento all'interno della Laguna di Venezia: se ad esempio all'inizio del secolo si è sviluppata un'area come Porto Marghera in laguna, con esigenze storiche diverse, di sviluppo e crescita economica "quasi obbligatoria" dell'area veneziana, creando anche situazioni di squilibrio dell'ecosistema - molti sostenevano che la laguna era una palude e quindi un ambiente improduttivo - sarebbe bene che per il futuro gli interventi di riequilibrio, risanamento e di salvaguardia siano riconsiderati sotto un aspetto sistemico, in modo da calibrare, attraverso un adeguato programma, gli interventi giusti nel sistema lagunare per non peggiorare la situazione e dover poi, attraverso una lunga e costosa opera di risanamento e riequilibrio, sanare nuovi guasti che si potrebbero creare. Lo sviluppo compatibile col mantenimento dell’ambiente lagunare va quindi ricercato, incoraggiato e promosso quale unica opzione valida, mentre tutto ciò che non è compatibile con questo obiettivo va riconsiderato ed eventualmente respinto, perché aggredisce la natura stessa della laguna per trasformarla in qualcosa di sostanzialmente diverso. Laguna di Venezia *il Magistrato delle Acque, l’organo repubblicano incaricato della gestione unitaria della laguna e del suo bacino idrografico e dotato tanto di competenze tecniche che di poteri giurisdizionali. Organo disgregato durante il regime austriaco. Fu adottato nel 1841 dal Governo austriaco il Regolamento per la laguna, un insieme di leggi e la loro applicazione: 530Kmq “pubblici” all’interno della con terminazione lagunare del 1791. Essa fu confermata per il suo significato idraulico e ambientale assieme ai conseguenti vincoli pratici e giuridici. Tale regolamento rimase in vigore per 122 anni fino al 1963, quando fu sostituito dalla nuova legge generale sulla laguna e da una nuova con terminazione lagunare determinata nel 1990 per un ambito territoriale che conserva l’area originaria. Teoricamente essa risulta leggermente più ampia di quella del 1791, ma comprende vaste zone ormai nel frattempo interrate, o precluse dall’espansione della marea, come le valli da pesca, cosicché in realtà la superficie della laguna di oggi si è ridotta di un terzo. L’annessione al Regno d’Italia (1866) segnò una ripresa di interesse per Venezia e il suo porto. Varie commissioni ministeriali si succedettero, allo scopo di analizzare le questioni ed i contrasti e di formulare un opportuno assetto idraulico e gestionale: la prima fu quella presieduta dal idraulico Paleocapa nel 1867. Le questioni idrauliche vertevano sovente sulle sezioni delle bocche di porto (approfondite dalla costruzione di dighe verso il mare per favorire il traffico marittimo), sulla superficie lagunare aperta all’espansione della marea ed altresì sugli apporti di acqua dolce e sedimenti dall’entroterra. Tutto ciò era messo in rapporto con questioni igieniche e con vantaggi e svantaggi delle opere di bonifica e dell’uso di idrovore, anticipando questioni che risultano ora di particolare attualità in relazione ai problemi di inquinamento. Parallelamente si seguitò a far fronte alle esigenze di lavori di manutenzione dei litorali a protezione dal mare, degli argini fluviali, e delle chiuse per la navigazione fluviale, fino a qualche decennio fa ancora attiva. Risultò molto utile il complesso di competenze di cui erano dotati gli ingegneri e corpi tecnici dello Stato, si imponeva alle commissioni ministeriali una periodica “visita generale statutaria della laguna”. Tuttavia non fu mai costituita una gestione globale della laguna né fu approntato un coerente complesso unitario di obiettivi con conseguenti regole giuridico-amministrative, nonostante la costituzione del nuovo Magistrato alle Acque nel 1907. Nel secondo dopoguerra, la laguna subì un deciso incremento della tendenza ad insediarvi grosse industrie, con la massiccia invasione di quelle chimiche dislocate a Marghera. Queste accumulano le loro scorie sui fondali e corrodevano con le loro esalazioni i marmi veneziani. Tutto ciò nel nome di una “Grande Venezia”. Il fondo lagunare, in quegli anni irreversibilmente abbassato da incontrollati emungimenti delle sottostanti falde freatiche. Per accogliere le nuove grandi petroliere fino ai bordi interni della laguna, proprio dietro Venezia, negli anni ’60 si iniziò a scavare un enorme canale a tratti rettilinei. Nel 1973 viene varato una legge speciale per Venezia, essa inizia con l’affermare che “la salvaguardia di Venezia e della sua laguna è dichiarata problema di preminente interesse nazionale. La Repubblica garantisce la salvaguardia dell’ambiente paesistico, storico, archeologico ed artistico della città di Venezia e della sua laguna, ne tutela l’equilibrio idraulico, ne preserva l’ambiente dall’inquinamento atmosferico e delle acque e ne assicura la vitalità socio-economica […]”. Si può trovare traccia delle difficoltà nella realizzazione solo parziali delle indicazioni concretamente operative espresse nel prosieguo del testo di tale legge: in quegli anni si arrestarono alcuni processi palesemente nociva alla sopravvivenza di Venezia, come le emungizioni d’acqua dal sottosuolo e la realizzazione in laguna di una nuova zona industriale. Es. il profondo canale completato nel ’68 per farvi transitare le superpetroliere verso Marghera, continuò ad erodere i fondali della laguna circostante, trasformandola in un braccio di mare. L’inquinamento originato dalla grande industria rallentò, ma ben poco si fece per contenere l’aumento di quello diffuso, di origine urbana e soprattutto agricola, provocato da un accresciuto uso di fertilizzanti che trasportati direttamente in laguna dalle piogge, finiscono per concimarla, alterando e depauperando il suo altrimenti ricco ecosistema. Quanto alla vitalità socioeconomica di Venezia, ebbe inizio un periodo di più accentuata decadenza e distorsione, verso un’economia di piccolo cabotaggio basta su quella “monocultura turistica usa e getta” a cui risulta ora così difficile quanto importante porre rimedio. Nel 1966, con la sua inondazione, ha segnato anche la data d’inizio di un capitolo della storia di Venezia e la sua laguna, in cui, per “salvarle”, furono proposti e promossi imponenti interventi specifici, una grande opera ingegneristica ed un grandioso evento. Il grande intervento ingegneristico, concepito allo scopo di preservare Venezia dalle acque alte, è consistito in progetti di sbarramento ai tre ingressi in laguna dal mare. Essi hanno tuttavia sollevato numerose perplessità e critiche. Vengono infatti da alcuni giudicati non rispondenti alla complessità dei meccanismi che regolano l’ecosistema lagunare nella sua globalità, non va dimenticato che le loro attuazione non eviterebbe comunque le frequenti acque medio-alte che minano le fondamenta degli edifici veneziani. Si tratterebbe quindi di un investimento di decine di migliaia di miliardi avente il solo scopo di evitare il pericolo di acque alte eccezionali: in una laguna che può essere irrimediabilmente inondata dal carico delle petroliere transitanti per quel Canale dei petroli. E’ stato comunque realizzato un prototipo: il MOSE (Modello Sperimentale Elettromeccanico) si erge come simbolo dei progressi ingegneristici che fanno oggi immaginare come tecnicamente risolvibili i problemi di assetto delle acque lagunari. Un’altra funzione del MOSE può essere quella di indurre a constatare il regresso, rispetto al passato, della cosiddetta ingegneria istituzionale, perlomeno applicata a Venezia. La storia dei progetti che hanno portato alla sua realizzazione (i più tecnicamente e finanziariamente impegnativi per annunciare opere di salvaguardia) potrà infatti fungere da filo conduttore allo storico del domani che volesse orizzontarsi nel dedalo di provvedimenti legislativi e amministrativi eccezionali ed ordinari, di matrice statale, regionale o locale. *l’Italia unita non poteva riconoscere a Venezia un ruolo più importante di quanto non le aspettasse come capoluogo di una regione, il Veneto, che rappresentava la parte debole del nord, priva o povera di industrie, rurale, dominata da agrari che rappresentavano le discendenze del vecchio ceto nobiliare ormai decaduto e priva di una borghesia forte ed emergente. La formazione del “triangolo industriale” la ricacciava nell’emarginazione orientale del nord. Dopo l’unità la città si fermò in attesa d trovare una soluzione ai suoi problemi di declassamento, trovandola nella valorizzazione come sbocco portuale associato ad un centro industriale con il quale riguadagnare le posizioni perdute e con esse la centralità perduta. L’Italia giolittiana, che avviò l’industrializzazione secondo i dettati del grande capitale, capace di condizionare l stesse forze politiche, la creazione di Porto Industriale di Marghera avvenne su iniziativa di importanti gruppi industriali con il pieno appoggio dello Stato, che in quel periodo aveva di mira i Balcani e poteva trovare a Venezia una base per il suo sogno espansionistico. Fu scelta la località Bottenighi (poi Porto Marghera), che offriva la possibilità, con interventi di colmata sui suoli barenosi, di ricavare ampi spazi per i depositi di mercanzie, carbone, olii ecc. questi molli divennero poi la base del nuovo porto industriale entrato in funzione nel 1917. Gli sviluppi urbani suscitati da questa crescita industriale hanno portato alla formazione del vicino aggregato di Mestre, una città per gran parte nuova, cresciuta con la virulenza propria dei fenomeni spontanei e incontrollati attraverso abusivismi, speculazioni, improvvisazioni . Nel ultimo dopoguerra vennero dati ulteriori impulsi al polo industriali con la creazione di nuovi impianti attraverso l’industria pubblica (settore petrolchimico in particolar modo) Origine ed evoluzione della laguna Le lagune sono aree costiere costituite da specchi d’acqua poco profondi, in comunicazione col mare e da questo separate per mezzo di sottili barriere, generalmente sabbiose, solo nei mari tropicali si trovano lagune racchiuse entro barriere coralline. Le lagune di coste sabbiose sono solitamente formazioni transitorie rappresentative di una particolare fase di processo evolutivo sottoposto all’azione di molteplici fattori. I principali fattori che agiscono sull’evoluzione fisica sono: il trasporto solido dei fiumi (oppure l’accumulo di sabbie provenienti dalla disgregazione provenienti da promontori costieri), le correnti marine litoranee, le maree, l moto ondoso e talora l’abbassamento del suolo e l’aumento del livello del mare. I fiumi provenienti da rilievi montuosi di più recente formazione, e quindi soggetti a forte erosione trasportano molto materiale solido, le sabbie e i limi riescono giungere il mare, dando luogo a formazioni protese, i delta. I varchi tra le barre costiere corrispondo no in genere a foci di fiumi rimasti inclusi all’interno del bacino lagunare; le formazioni deltizie di questi fiumi contribuiscono a costituire quell’alternarsi di terreni emersi, canali e specchi acquei tipico dei bacini lagunari. Le barre costieri su cui il moto ondoso del mare antistante continua a depositare sabbie in forma di dune, si trasformano poi in lidi veri e propri. I varchi tra i lidi sono detti bocche di porto e porti. Le correnti di flusso e riflusso, che si producono tra mare e laguna quando il mare antistante è soggetto a oscillazioni di marea elevate, mantengono efficienti le bocche di porto, trasportando in mare anche parte dei sedimenti provenienti dai fiumi interni, in certo modo rilupendo la laguna. L’intensità delle correnti di marea delle bocche di porto dipende, oltre che dall’escursione del livello del mare durante un ciclo de marea, anche dall’ampiezza del bacino lagunare: infatti la velocità delle bocche sono tanto maggiori quanto maggiore è il bacino. Però se il bacino è abbastanza grande, in relazione alla sezione delle bocche di porto, le acque più interne non raggiungono i livelli massimi e minimi del mare aperto, poiché i livelli interni dipendono dalla dimensione complessiva degli invasi. Un lento sprofondamento del sottosuolo lagunare (dovuto a compattazione dei sedimenti o bradisismo) può compensare l’apporto solido dei fiumi interni ed essere quindi il fattore determinante per la conservazione della laguna. L’aumento del livello del mare può favorire la formazione di lagune secondo un meccanismo che produce l’innalzamento del letto del tratto terminale dei fiumi, per la minore pendenza degli alvei, esondazioni e formazioni di paludi costieri, l’invasione trasforma infine le paludi in lagune. Durante l’ultimo periodo glaciale durato da 120.000 a 18.000 anni fa, il livello del mare era circa 90m più basso dell’attuale e la linea di costa alto-adriatica era scesa all’altezza di Pescara. Con il successivo miglioramento climatico il livelli del mare incominciò a raggiungere intorno a 7-6000anni fa circa il livello attuale. L’area della laguna odierna e l’area costiera veneta, che durante il periodo glaciale costituivano una pianura continentale percorsa da numerosi fiumi, furono soggette a estese alluvioni che formarono uno spesso strato di depositi. Gli stessi fiumi veneti, insieme al Po, con il loro apparati deltizi protesi in mare e soggetti alle correnti costiere, diedero logo alla formazione di barre che accresciute dalle sabbie sospinte dal mare, andarono a delimitare vaste zone di acque paludose. Il mare continuando ad aumentare di livello e risalendo il corso dei fiumi, invase le paludi trasformandole in lagune di acque salmastre, separate tra loro da apparati deltizi, in una sequenza che andava dal Po all’Isonzo. Tra queste lagune quella di Venezia risultò compresa tra le foci dell’Adige a sud e del Piave a nord. Al suo interno sfociavano alcuni fiumi importanti come il Brenta, il Bachiglione e alcuni rami del Piave, oltre ad altri minori, di risorgiva come il Sile e il Dese. Queste antiche vicende sono state ricostruite mediante l’analisi dei sedimenti sottostanti i fondali lagunari. Le variazioni di livello del mare causate da variazioni climatiche, con conseguenti ingressioni e regressioni marine sono state calcolate anche su grande scala mediante datazioni al C14 da reperti organici provenienti da molti punti stabili della superficie terrestre. Tale fenomeno è noto con il nome di eustatismo, positivo se il livello aumenta, negativo se diminuisce. Il clima caldo umido, caratteristico dell’epoca di formazione della laguna, durò fino a circa 4500 anni fa, favorendo le alluvioni dei fiumi: quelle del Brenta provocarono un primo spostamento verso mare della linea di costa della laguna meridionale lungo l’allineamento di Malamocco-Peta di Bò-Ca’ Manzo (un successivo avanzamento di questa linea di costa su una posizione corrispondente al litorale dell’antica città di Spina e coincidente grossomodo con l’attuale, avverrà poi in epoca etrusca contemporaneamente all’avanzamento del delta dell’Adige. I resti degli insediamenti romani del II e III secolo sono oggi alla profondità di 2-3m nell’area mediana della laguna, per effetto combinato di successivi aumenti del livello del mare e dell’abbassamento del suolo, questo fenomeno di abbassamento della laguna è noto come subsidenza. Tutta la pianura padano-veneta risulta soggetta ad una subsidenza naturale, dovuto sia a una deformazione tettonica profonda sia, soprattutto al consolidamento di depositi fini recenti (ultimi 10.000 anni). Tale con consolidamento si è rivelato più accentuato laddove le acque saline si sono sostituite a quelle palustri determinando fenomeni chimico-fisici che hanno favorito il consolidamento dei depositi di argilla e limi. Al fenomeno della subsidenza naturale, il cui valore medio è stato calcolato di 4-5cm al secolo della laguna, si è aggiunto nel XX secolo a partire degli anni ’30 con l’insediamento del polo industriale a Marghera, un processo di sprofondamento indotto dall’estrazione intensiva di acqua dalle falde artesiane del sottosuolo per l’approvvigionamento idrico degli stabilimenti. L’estrazione di ingenti quantità di acqua ha provocato infatti una diminuzione della pressione idrostatica delle falde acquifere, favorendo la compattazione degli strati di sedimenti argillosi-silosi. Il fenomeno si è arrestato negli anni ’70 con la costruzione del nuovo acquedotto industriale. Esso è stato anche se per breve tempo, estremamente più intenso della subsidenza naturale (8mm annui nel periodo 1950-70 contro gli 0,4mm annui dovuti alla subsidenza naturale all’inizio del secolo). Il lento processo di subsidenza naturale ha contribuito per un lungo tempo alla conservazione della laguna, compensando l’innalzamento dei fondali dovuto alla sedimentazione degli apporti fluviali. Non così della “subsidenza antropica”, che ha provocato sommando sei a quella naturale e all’eustatismo , un rapido approfondimento del bacino lagunare, contribuendo ad innescare modificazioni nel regime idrodinamico. Gli interventi antropici tra il XIX e XX secolo La deviazione a mare del fiume Brenta, pur contribuendo a combattere l’impaludamento della laguna, continuava ad essere causa di rotte e inondazioni delle campagne circostanti. I progetti di diversione più a monte dell’alveo redatti al tempo della Repubblica di Venezia, non furono attuati. Caduta la Repubblica, l’amministrazione austriaca decise intorno alla metà del XIX secolo, di ricondurre il fiume nella laguna di Chioggia. A seguito di tale intervento, si formarono più di 2000 ettari di paludi. La foce venne allora di nuovo riportata a mare (1896) attraverso una diversa sistemazione dell’alveo tuttora perdurante. Gli interventi più caratteristici sono tuttavia quelli volti a risolvere i problemi relativi all’insabbiamento delle imboccature portuali per opera delle correnti litoranee. Le 3 imboccature infatti si rivelano insufficienti sia agli scopi della nuova navigazione a vapore sia ad assicurare il ricambio delle acque lagunari già inquinate dagli scarichi dei primi stabilimenti industriali. Era quindi necessario progettare imboccature portuali di sezione adeguata all’estensione dei 3 bacini idraulici delimitate e protette da molli foranei, capaci inoltre di bloccare le migrazioni costiere delle sabbie. Il fine doveva essere quello di determinare un nuovo assetto idraulico-morfologico adatto agli scopi della navigazione, ma in grado anche di stabilizzarsi nel tempo a seguito di un raggiunto equilibrio tra mare e laguna. Negli anni ’60 la bocca di Malamocco verrà approfondita e a suo proseguimento sarà scavato un canale di collegamento diretto col polo industriale che sostituisce con un tratto rettilineo una grande curva del vecchio canale Spignon. Al nuovo canale detto poi Canale dei Petroli, e alla bocca di porto vennero rispettivamente assegnate le profondità di 12 e 15m. Altri interventi sono quelli di chiusura al diretto flusso mareale delle valli da pesca, la bonifica di zone paludose della foce del Brenta nel bacino di Chioggia, gli imbonimenti per l’insediamento della zona industriale di Marghera, dell’aeroporto di Venezia e di “sacche” (aree interrate mediante lo scarico di materiali edili di risulta) sia al Lido che a Venezia e a Murano. Bisogna ricordare la costruzione del ponte ferroviario con il successivo allargamento per la carreggiata stradale, lo scavo del canale Vittorio Emanuele per il Porto industriale e la costruzione del viadotto per la strada Romea nella laguna di Chioggia. L’estrazione intensiva di acqua dalle falde artesiane necessaria a partire degli anni ’50 agli insediamenti industriali di Marghera e la zona scavata per il Canale de petroli. Morfologia della laguna L’attuale laguna è situata tra la foce del Piave a nordest e quella del Brenta a sudovest per una lunghezza di circa 50Km e una larghezza media di 10-12km. Le acque marine penetrano in laguna attraverso le tre bocche: di Lido, Malamocco e Chioggia che danno i nomi ai rispettivi bacini idraulici. I bacini sono separati tra loro da “linee di spartiacque” che sono fasce attraverso le quali non c’è movimento di acqua se non in casi eccezionali (forte vento di bora); perciò l’acqua marina che entra durante la fase di flusso esce dalla stessa bocca in fase di deflusso. Ciò avviene in quanto l’alta marea, così come la bassa, si presenta quasi nello stesso momento all’ingresso delle tre bocche di porto. La ciclicità, 2 volte al giorno, le correnti di marea, d flusso e riflusso, entrano ed escono dalle bocche di porto espandendosi verso l’estremità dei rispettivi bacini attraverso una fitta rete di canali che gradualmente si ramificano e si restringono verso l’interno. Questi canali, che in parte si sovrappongono agli alvei degli antichi fiumi, sono il risultato dell’opera di modellazione della marea che ne determina anche l’esistenza. Gli ultimi e più sottili rami dei canali sono detti ghebi; attraverso di essi la mare raggiunge anche le zone più interne, che in passato erano dette “laguna morta” perché quando le bocche non erano sufficientemente ampie non risentivano se non in modo estremamente limitato all’azione vivificatrice della marea. La propagazione della marea all’interno della laguna è infatti condizionata della lunghezza e profondità dei canali abduttori e dalla estensione e profondità delle zone interne a basso fondale che i canali alimentano. Tipiche forme di queste zone interne sono le “paludi” e le “velme”. Le paludi sono bacini minori a forma di catino, alimentati dai ghebi e caratterizzati da una profondità sufficiente a lasciarli costantemente sommersi; le velme sono invece caratterizzate da un fondo particolarmente fangoso, che emerge durante le basse maree. La distinzione tra zone sommerse e zone emerse in laguna non è netta; le cosiddette emerse come le isole e Venezia sono soggette a saltuaria sommersione. Tra le zone emerse si includono le barene, forme che più di altre caratterizzano il tessuto lagunare, vengono periodicamente sommerse e per questo sono coperte di vegetazione alofila (codego). Le barene si possono classificare in gruppi diversi sulla base dei processi genetici che hanno portato alla loro formazione: Barene di antichi bordi fluviali o localizzati ai lati dei corsi d’acqua formano apparati morfologici caratteristici, allungati e stretti chiamate “punte dei lovi”. Barene costituite dalla parte emergente dell’antica pianura costiera invasa dalle acque salmastre, sono localizzate sul bordo lagunare verso la terraferma e nei loro sedimenti. Barene residue di ambiente palustre, caratterizzate da strati di torba nei sedimenti, si sono formati dalla deposizione entro il bacino lagunare di alluvioni fluviali che, a seguito di emersione, sono state ricoperte da vegetazione palustre. Dopo la diversione delle acque dolci non ricevono più apporti di sedimenti sufficienti a contrattare il loro rapidi sprofondamento dovuto al costipamento delle torbe. Barene di bordo dei canali lagunari, sono soggette a una sedimentazione sufficiente a compensare il lento sprofondamento. Il loro lato lungo, il canale è generalmente ripido mentre l’altro digrada dolcemente verso una palude o una velma. La loro crescita in altezza avviene perché le acque che debordano su di esse durante le alte maree di sizigia (escursione fra alta e bassa marea è al massimo livello dovuto all’avvicinamento della luna alla terra), rallentate dalla vegetazione, rilasciano parte del loro trasporto solido. Queste barene si trovano oggi soltanto nel bacino nord di Lido e nel bacino di Chioggia, ove hanno ancora foce alcuni corsi d’acqua e canali di scolo. Altro elemento caratteristico della laguna sono le valli da pesca, costituiti da specchi acquei poco profondi detti “laghi” e da addensamenti di barene, erano anticamente alimentate da canali secondari e dai relativi ghebi che facevano parte integrante del tessuto morfologico delle valli. Benché la delimitazione delle valli fosse in parte realizzata con argini di fango, la separazione tra la parte interna ed esterna dei canali alimentatori era costituita da arelle, strutture a graticcio di canne palustri, che allo stesso tempo trattenevano il pesce all’interno e consentivano il passaggio delle correnti di marea. VALLI DA PESCA Le valli da pesca sono ampie estensioni di acqua salmastra delimitate da arginelli, comunicanti a mezzo di chiaviche con il fiume e con la laguna. L'importante attività di pesca legata alle valli si basa sulla tendenza migratoria di molte specie di pesci che periodicamente si spostano dal mare al fiume e dal fiume al mare. Tali spostamenti vengono sfruttati prima portando cefali, anguille, orate e branzini nella valle, nelle cui acque tranquille e riparate il pesce trova la pastura adatta alla crescita; poi, al momento della discesa a mare, incanalando i pesci verso i "lavorieri" dove vengono pescati. Le trasformazioni ambientali recenti Dopo la costruzione delle dighe foranee alla bocche di porto di Malamocco (1840-65) e di Lido (1872-91) con la conseguente demolizione degli scanni sabbiosi che ostruivano i due accessi più importanti alla laguna) i rispettivi canali portuali avevano raggiunto spontaneamente le profondità di 9-10m (Malamocco) e di 7-8m (Lido). Intorno agli anni ’20 il canale di Lido viene approfondito a 10-11m e mantenuto con scavi periodici per consentire il passaggio delle navi di stazza sempre più grandi, per congiungere il porto industriale di Marghera con la bocca di poro di Lido attraverso il canale della Giudeca. Allo scavo dei canali si accompagnarono gli imbonimenti: per la 1° zona industriale vennero sottratti alla laguna 500 ettari circa, mentre per la 2° e 3° negli anni ’60 3 nuove casse di colmata, 1700 ettari vengono riempite col fango proveniente dallo scavo di un nuovo e più profondo canale di accesso all’area industriale, detto canale dei petroli, profondo 12m nella parte interna e 15 all’imboccatura portuale. Altri interrimenti per 4000 ettari furono realizzati a scopo di bonifica agraria, il più esteso è quello del delta lagunare del Brenta, formatosi durante la re immissione di questo fiume in laguna nel 1860 e ’96. Interramenti effettuati per l’espansione elle aree urbane, strade e servizi come l’aeroporto e per le discariche di materiale di risulta. Aree sottratte all’espansione della marea sono anche quelle occupate dalle numerose valli da pesca, oggi tutte arginate per 8500 ettari complessivi. La nuova linea di con terminazione lagunare stabilita dal Magistrato delle Acque nel 1990, delimita oggi un bacino lagunare caratterizzato da una minore estensione e di una maggiore profondità. Barene velme e paludi Le barene sono aree di terreno prevalentemente argilloso, sottoposte a periodiche immersioni durante le late maree, rimanendo in vario grado emergenti nei restanti periodi. La vegetazione che le ricopre. Detta alofila è perfettamente adattata all’ambiente salino e alle periodiche sommersioni e le radici di queste piante concorrono a frenare i fenomeni di corrosione dei margini (o gengive) e a trattenere materiale trasportati dalle maree nelle porzioni più interne. Le barene sono spesso attraversate da strette canali poco profondi e dal percorso irregolare. Nei ghebi, soggetti sol occasionalmente all’emersione, troviamo una fauna molto simile a quella delle velme, aree fangose adiacenti ai canali. In laguna ampi specchi d’acqua a fondale più o meno melmoso, vengono periodicamente posti all’asciutto durante le basse maree, sono le paludi soprattutto nella laguna viva e sono popolati da una fauna adattasi alle periodiche emersioni. Porto Marghera La realizzazione della prima zona industriale in porzioni lagunari imbonite ha rappresentato l’esito di una viva discussione sul futuro della città di Venezia. I prodromi di questa discussione si possono trovare già nell’annessione al Regno d’Italia, il cui problema verteva sul nuovo ruolo della città in un contesto economico e politico in rapida trasformazione. La questione del porto sulla cui vitalità si sono rette per secoli le vicende veneziane rappresentava il tema centrale. L’ampliamento delle banchine portuali nei primi decenni del secolo si imponeva come risposta all’inadeguatezza della stazione marittima rispetto alla quantità movimentate. Due impostazioni si confrontavano: quella che risulterà vincente prevedeva la realizzazione sul bordo lagunare ai piedi del ponte ferroviario del nuovo porto di Marghera (Bottenighi); l’altra prevedeva l’ampliamento delle strutture portuali nella città storica e nelle aree lagunari adiacenti. La prima proposta si fondava sul riconoscimento della trasformazione dei porti da aree nelle quali si realizzava la rottura di carico e la vendita di merci (porto emporio) e aree nelle quali si immettevano grandi quantità di merci povere (carbone e metalli metalliferi) nelle maglie delle nuove regioni industriali; in questa prospettiva la localizzazione delle strutture portuali nella terra ferma rendeva tecnicamente ed economicamente possibile la prima trasformazione di materiali grezzi gi importati sulla banchina grazie a spazi non disponibili nel centro storico. Si trattava perciò di un progetto di una “più grande Venezia”, estesa alla terra ferma, articolata conurbazione dei centri specializzati all’interno della quale la Venezia lagunare doveva conservare la funzione di quartiere residenziale, direzionale e turistico. La seconda proposta mirava a un sottrarre alla città il controllo sulla sua attività più importante ma bensì a garantire lo sviluppo autocentrato guidato dal ceto mercantile veneziano. La vittoria della prima soluzione risultava coalizzata agli interessi di alcuni circoli industriali e finanziari veneziani e della borghesia lombarda, esso segnò l’avvio di una nuova perifericità della città lagunare: lo sviluppo industriale a Porto Marghera secondo i canoni dell’industria pesante porterà infatti all’economia locale posti di lavoro e popolazione. Mestre per effetto della cesura lagunare caratterizza la conurbazione veneziana. Ma Milano grazie alla ferrovia a presenza della grande imprenditoria legata alle nuove linee politiche nazionali, la metropoli lombarda si qualificherà come il vero centro ordinatore del territorio padano. La scelta di portare gran parte del traffico portuale in terra ferma e il suo successivo imponente sviluppo sulla base di logiche geografiche sempre meno governabili a scala locale, sottrarrà definitivamente alla città il suo ruolo direttivo. Alla città lagunare, percepita più come spazio della memoria, resteranno quasi esclusivamente le attività turistiche. La valle da pesca lagunare La valle da pesca e caccia è formata da un’area lagunare separata dalla laguna aperta mediante un’arginatura fissa. Essa costituisce un impianto di ittiocoltura estensiva, ma conserva una funzione primaria di tipo venatorio. La sostanziale separazione tra la superficie valliva e la circostante laguna mediante un’argine, ne determina l’esclusione dei flussi e riflussi di marea. La particolare destinazione produttiva della valle implica la sua dotazione mediante specifiche strutture funzionali. Nonostante l’apparente naturalità, la valle da pesca rappresenta dunque un frammento di laguna a notevole antropizzazione, poiché attrezzata per gestire i naturali fenomeni di produzione ittica e di presenza avifaunistica. Le chiaviche costituiscono gli elementi di intercambio idraulico che consentono l’effettiva gestione della qualità delle acque vallive a fini di produzione ittica. Il ricambio delle acque ed il dosaggio del tasso di salinità, determinanti per instaurare condizioni ottimali per le specie di pesci allevate, vengono attuati mediante la periodica manovra delle paratie proprie delle chiaviche. Nel paesaggio della valle da pesca, le chiaviche formate da strutture in muratura che sostengono i dispositivi di manovra e le paratie, sono collocate sugli argini interni interposti tra i diversi bacini della superficie valliva. Le strutture di abduzione idraulica della valle da pesca sono costituite dagli alvei, naturali o artificiali, che collegano gli specchi d’acqua vallivi consentendo i ricambi idrici. Il tracciato rettilineo degli alvei artificiali, che contrasta con l’andamento sinuoso di quelli naturali conferisce una fisionomia tipica ai paesaggi della gronda lagunare racchiusa entro la cintura protettiva delle arginature vallive. Processi funzionali e gestionali **** “laguna viva”, dove il flusso delle maree produce un forte movimento di masse acquee, e la “laguna morta”, con specchi acquei tranquilli, banchi di sabbia e di fango, barene. Nella parte viva, fauna e flora sono quelle tipiche dell’ambiente marino. La vegetazione delle barene dipende dal grado di salinità del terreno: ai argini, nelle zone maggiormente soggette ai fenomeni della marea troviamo la spartina e la salicornia. Particolarmente diffuso è anche il limonium, caratterizzato da splendide fioriture di colore viola. Il canneto costituisce la prima linea tra acqua e terra, seguono poi la menta d’acqua, l’iris, lo scirpo, la dulcamara. Sui terreni asciutti crescono i ginepri, l’artemisia cerulea e le tamerici. Sulle spiagge si trovano il convolvolo di spiaggia, la salsola, l’ammofila, la medica gialla e l’ambrosia marittima. In prossimità delle foci dei canali, dove l’acqua è ancora dolce, crescono salici e pioppi. Le odierne pinete sono di solito il risultato di forestazioni artificiali a base di pini marittimi (provenienti dalla Toscana) o di pini neri (dal Friuli). Dove le dune costiere sono rimaste intatte nei decenni si trovano resti dell’originaria macchia mediterranea con lecci, asparagi selvatici, tamarri, edere. La laguna è separata dal mare (golfo di Venezia) mediante lunghi e stretti cordoni litoranei, detti “lidi”, ma è tenuta in comunicazione con esso tramite le tre aperture, dette “porti”, di Lido, di Malamocco e di Chioggia, attraverso le quali le acque dell'alta marea penetrano in laguna, uscendone durante la bassa marea e contribuendo così alla sua sopravvivenza per l'asporto continuo dei materiali detritici depositativi. Una fitta rete di canali subacquei si ramifica dai porti lagunari verso l'interno, riducendosi progressivamente di larghezza e di profondità; essi possono mettere capo – o lo facevano in passato – alle foci dei fiumi (rii) oppure si inoltrano e si perdono nelle zone paludose al margine tra la laguna e la terraferma (ghebbi e code). Si è soliti distinguere una “laguna viva”, dove più regolare si fa sentire il flusso della marea e dove l'estensione delle acque prevale nettamente su quella delle terre emerse, dalla “laguna morta”, costituita dalle aree più interne, paludosa e interessata da numerose e vaste barene e velme (aree poste allo scoperto durante la bassa marea). I tre grandi bacini idrografici, che prendono il nome dai porti alimentatori, sono nettamente divisi da soglie subacquee, mentre altre dorsali minori separano tra loro i bacini minori. Complessivamente è di ca. 800 km lo sviluppo dei canali subacquei che solcano la Laguna Veneta; di essi solo 150 km sono navigabili: il tracciato dei principali, che sono tuttora utilizzati per la navigazione lagunare, è segnato da pali, chiamati “bricole”. I cordoni litoranei, che separano la laguna dal mare, si presentano diritti e uniformi verso il mare, variamente articolati verso la laguna e fiancheggiati da dighe, gettate allo scopo di impedire la formazione di barre sabbiose nei porti e di accrescere l'efficacia del flusso entrante di marea. I tre cordoni principali prendono il nome di litorale del Cavallino, litorale di Lido e litorale di Pellestrina, ma vi sono anche il litorale di Sant'Erasmo, il Lido di Iesolo e il Lido di Chioggia. Tra le isole che affiorano nella laguna le più importanti, oltre a quelle, numerosissime, su cui è stata costruita Venezia, sono quelle su cui sorgono Murano e Burano, e poi Sant'Erasmo, Torcello e San Francesco del Deserto. Ecologia Il governo della Serenissima, conscio di quanto la sopravvivenza di Venezia fosse intimamente legata alla difesa e alla conservazione dell'ambiente lagunare, operò energicamente per secoli onde evitare il progressivo naturale interramento della laguna, che sarebbe avvenuto per l'accumularsi dei detriti portati dai fiumi e per l'inadeguata azione di alleggerimento effettuata dalle maree qualora fossero state ostacolate dalla barra di foce. I magistrati preposti a questa enorme opera difensiva provvidero efficacemente, proteggendo i litorali e rafforzandoli con i famosi murazzi (poderosi muraglioni in pietra calcarea d'Istria con uno spessore di 14 m e un'altezza di ca. 5 m), deviando dalla laguna tutti i fiumi che vi si gettavano, regolando i confini lagunari verso la terraferma affinché le acque di scolo avessero deflussi regolari e costanti, sistemando le comunicazioni con il mare attraverso i porti, mantenendo infine nelle necessarie condizioni di profondità e di incolumità i canali e i bacini con scavi e opere murarie. Particolarmente importante fu lo spostamento direttamente in mare della foce dei fiumi, operato a iniziare dal 1327 e proseguito fino al 1896: furono deviati fuori dalle acque lagunari vari fiumi, quali il Brenta, il Bacchiglione, il Sile, il Piave. Dalla seconda metà del sec. XIX la Laguna Veneta risente, dal lato del mare, di uno squilibrio fra i processi di sedimentazione e quelli erosivi, con una prevalenza di questi ultimi dovuta al minore apporto solido dei fiumi, ma soprattutto alla costruzione delle dighe foranee in corrispondenza delle bocche di porto, che hanno profondamente alterato l'andamento delle correnti marine. Ciò rischia di compromettere la tenuta dei cordoni litoranei nell'ipotesi di chiusura temporanea delle bocche, a difesa della laguna e della città di Venezia dalle “acque alte”. Quest'ultimo fenomeno è accentuato dall'innalzamento relativo del livello del mare, misurato, fra il 1897 e il 1980, in ben 25 cm e dovuto a cause sia eustatiche sia climatiche di medio periodo. Per porre un limite all'“acqua alta” è stato progettato un sistema di barriere galleggianti (progetto MOSE, avversato da ambientalisti e da alcune correnti politiche) che, facendo siepe sugli sbocchi della laguna, dovrebbe ridurre gli eventi di marea a un episodio ogni tre-cinque anni, su livelli accettabili di sommersione delle aree urbane. BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE AAVV - Ripristino, conservazione ed uso dell’Ecosistema Lagunare Veneziano - Comune di Venezia (1980) AAVV - Venezia, la laguna e l’acqua alta: posizioni a confronto (bozza) - Ministero dell’Ambiente/Comune di Venezia (1998) FORUM per la laguna - La laguna di Venezia: attività produttive e stili di vita - (1998) IUCN, UNEP e WWF - Caring for the Earth: Prendersi cura della Terra, strategia per un vivere sostenibile Edizione italiana a cura del WWF Italia (1991) A.Paolella, P.Perlasca (a cura di ) – Venezia Capace di Futuro – Rapporto allegato ad Attenzione, rivista WWF per l’ambiente e il territorio (2001) M.Wackernagel, W.E.Rees - L’impronta ecologica: come ridurre l’impatto dell’uomo sulla terra - Edizioni Ambiente (1996) Guerzoni, S; Tagliapietra, D. “Atlante della Laguna: Venezia tra terra e mare”; Ed. Marsiglio 2006. 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