Lineamenti di diritto del lavoro giornalistico

Giancarlo Tartaglia
LINEAMENTI DI DIRITTO
DEL LAVORO GIORNALISTICO
LINEAMENTI DI DIRITTO
DEL LAVORO GIORNALISTICO
di Giancarlo Tartaglia
Roma, maggio 2016
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IL LAVORO GIORNALISTICO
Premessa
L’esercizio della professione giornalistica, sia in
regime di subordinazione che in regime di autonomia, ha una
sua specificità nell’ambito del diritto del lavoro in
considerazione del particolare ruolo sociale che il giornalismo
è chiamato a svolgere in una società democratica. Soprattutto
nella società contemporanea che, non a caso, viene definita
società dell’informazione, il giornalista, in quanto mediatore
sociale, ha assunto un ruolo di estrema rilevanza per la sua
possibilità di influire nella formazione dell’opinione pubblica.
Proprio per questo il giornalismo ha rilievo costituzionale in
quanto richiamato dall’articolo 21 della Costituzione che
sancisce il diritto alla libertà di stampa e di espressione del
proprio pensiero, ma anche, indirettamente, il diritto dei
cittadini ad essere informati. La particolarità del lavoro
giornalistico trova, peraltro, una sua legittimazione legislativa
nella legge istitutiva dell’Ordine professionale, che pone in
capo al giornalista non solo il diritto alla libertà di
informazione e di critica, ma anche e soprattutto doveri inerenti
la deontologia professionale, l’obbligo di tutelare la personalità
altrui e di rispettare la verità sostanziale dei fatti, nonché di
rettificare le notizie inesatte e di (come recita l’art. 2 della
legge istitutiva dell’ordinamento professionale) “riparare
eventuali errori”.
Ciò premesso, non esiste, però, una definizione
giuridica dell’attività giornalistica né nella legge professionale,
né nei contratti collettivi. Questa carenza è stata colmata dalla
giurisprudenza di Cassazione che più volte è intervenuta per
individuare i requisiti che consentono di definire come
giornalistica una specifica prestazione. Per tutte citiamo la
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sentenza del 20 febbraio 1995 n. 1827, mediante la quale la
Suprema Corte ha chiarito che “per attività giornalistica deve
intendersi la prestazione di lavoro intellettuale volta alla
raccolta, al commento e all’elaborazione di notizie destinate a
formare oggetto di comunicazione interpersonale attraverso gli
organi di informazione”. “Il giornalista – ha aggiunto la Corte
– si pone pertanto come mediatore intellettuale fra il fatto e la
diffusione della conoscenza di esso, nel senso, cioè, che sua
funzione è quella di acquisire esso stesso la conoscenza
dell’evento, valutarne la rilevanza in funzione della cerchia dei
destinatari dell’informazione e confezionare quindi il
messaggio con apporto soggettivo e creativo”.
A questi requisiti di contenuto devono aggiungersi
anche quelli legati alla temporalità, nel senso che per definire
un’attività come giornalistica assumono rilievo “la continuità o
la periodicità del servizio, del programma o della testata, nel
cui ambito il lavoro è utilizzato, nonché l’attualità delle notizie
trasmesse, in ordine alle quali si rinnova quotidianamente
l’interesse della generalità dei lettori, differenziandosi la
professione giornalistica da altre professioni intellettuali
proprio in ragione di una tempestività di informazione diretta
a sollecitare i cittadini a prendere conoscenza e coscienza di
tematiche meritevoli, per la loro novità, della dovuta
attenzione e considerazione”. (in senso conforme cfr. Cass. 19
maggio 1990 n. 4547, Cass. 1 giugno 1998 n. 5370, Cass. 19
novembre 2015 n. 23695).
Per quanto riguarda il mezzo attraverso il quale si può
espletare l’attività giornalistica, sempre la Cassazione ha
stabilito che costituisce “attività giornalistica qualsiasi forma
di manifestazione del pensiero con finalità di informazione”,
che “si esprima mediante la scrittura, la parola o l’immagine”
(Cass. 18 marzo 2013 n. 5456).
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Sulla base di questa definizione giurisprudenziale nel
corso degli anni sono stati allargati i confini della prestazione
giornalistica, facendo rientrare in essa figure professionali
precedentemente escluse. E’ il caso, per esempio, del
“grafico”, che deve essere considerato giornalista quando
“mediante l’espletamento di attività inerenti la progettazione e
la realizzazione della pagina di giornale, esprime, con la
collocazione del singolo pezzo giornalistico, come pure
mediante la scelta dei caratteri tipografici con il quale lo
stesso viene riportato sulla pagina, una valutazione sulla
rilevanza della notizia, valutazione rapportata ad un giudizio
sull’idoneità del fatto ivi riferito ad incidere sul convincimento
del lettore” (Cass. 1 febbraio 1996 n. 889). Ben potendo il
grafico “nel sottolineare la rilevanza o la preminenza della
notizia, incidere per un verso, sulla qualità e sul valore della
comunicazione
e,
peraltro,
concorrere
a
quella
rappresentazione complessiva della realtà che è il risultato
ultimo, quanto incessante, dell’attività informativa” (Cass. 18
marzo 2016 n. 5456).
Criteri di valutazione della natura giornalistica della
prestazione che valgono anche nel caso del “disegnatore”
(App. Roma 22 novembre 1994), del “vignettista” (Cass. 20
ottobre 1978 n. 4761), del “segretario di redazione”, in quanto
regolatore del flusso di notizie, (Cass. 22 novembre 1989 n.
5009), del “telecinefotoreporter”, figura giornalistica
riconosciuta per legge, quando eserciti in autonomia
decisionale la propria attività per organi di informazione
attraverso immagini che completano o sostituiscono
l’informazione scritta (Dpr. 19 luglio 1976 n. 649, legge 25
febbraio 1987 n. 67).
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Giornalismo: lavoro autonomo o lavoro subordinato?
Il lavoro giornalistico è regolato, storicamente, dal
Contratto Nazionale di Lavoro, tempo per tempo vigente, che
la Federazione Nazionale della Stampa stipulò per la prima
volta con l’Unione degli Editori nel lontano 1911. Ciò non
toglie che possano sorgere dubbi sull’inquadramento del lavoro
giornalistico, considerando che si tratta pur sempre di una
prestazione di lavoro intellettuale. Occorre premettere che
secondo il condiviso orientamento della giurisprudenza della
Cassazione “ogni attività umana economicamente rilevante
può essere oggetto sia di rapporto di lavoro subordinato sia di
rapporto di lavoro autonomo, a seconda delle modalità del suo
svolgimento, dovendo l’elemento tipico che contraddistingue il
primo dei suddetti tipi di rapporto individuarsi nella
sussistenza della subordinazione, intesa quale disponibilità del
prestatore nei confronti del datore di lavoro con
assoggettamento alle direttive da quest’ultimo impartite circa
le modalità di esecuzione dell’attività lavorativa” (Cass. sez.
lav. n. 10833 del 5 maggio 2010).
Ciò premesso, la differenza tra lavoro autonomo
(locatio operis) e lavoro subordinato (locatio operarum) si
evince da una numerosa e costante interpretazione
giurisprudenziale, che ha individuato come elementi
caratterizzanti la classificazione dei rapporti di lavoro i
seguenti requisiti: la collaborazione, la subordinazione, il
rischio e l’oggetto della prestazione.
La collaborazione, di norma e salvo le alterazioni
normative cui è stato sottoposto il Codice Civile nell’ultimo
decennio dal nostro legislatore, dovrebbe essere un elemento
presente nel solo lavoro subordinato, consistendo nella
prestazione delle proprie energie lavorative in modo
continuativo e sistematico (Cass. sent. 3569 del 9/12/1971)
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inserite nell’organizzazione dell’impresa (Cass. sent. 1432 del
15/5/1971). Quindi caratterizzano la collaborazione la
sistematicità e la continuità della prestazione, che nel caso del
lavoro giornalistico non devono essere valutate in funzione
temporale ma con riguardo alle concrete esigenze dell’impresa.
Si ha, pertanto, continuità e sistematicità e quindi
collaborazione nel caso di un giornalista che sia vincolato a
semplici prestazioni come, per esempio, la compilazione e la
cura di una rubrica.
La subordinazione, anch’essa elemento presente
ovviamente nella sola figura di lavoro subordinato, si
concretizza, in via di generica definizione, quando sussista un
vincolo di dipendenza gerarchica e disciplinare del prestatore
nei confronti del datore di lavoro. La stessa Corte di
Cassazione ha, però, precisato che “quando l’elemento
dell’assoggettamento del lavoratore alle direttive altrui non sia
agevolmente apprezzabile a causa della peculiarità delle
mansioni (e, in particolare, della loro natura intellettuale o
professionale) e del relativo atteggiarsi del rapporto, occorre
fare riferimento a criteri complementari e sussidiari” (Cass.
sez. lav. n. 10833 del 5 maggio 2010). Di conseguenza, nelle
imprese giornalistiche, data la particolare attività svolta dai
giornalisti, la subordinazione assume una configurazione
particolare e deve essere intesa come sistematica inserzione
dell’opera
professionale
nell’organizzazione
unitaria
dell’impresa (Cass. sent. 995 del 5/04/1971) quando la
prestazione sia soggetta alle modalità indicate dal datore (Cass.
sent. 3569 del 9/12/1971). In altre parole, per conforme
indicazione giurisprudenziale, nel rapporto di lavoro
giornalistico la subordinazione deve considerarsi un elemento
“affievolito” desumibile, pertanto, da altri requisiti. Il fatto che
un giornalista sia vincolato a scrivere articoli a scadenze fisse,
prestabilite dal direttore della testata, in quanto titolare
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dell’organizzazione del lavoro giornalistico, o che curi una
rubrica periodica e come tale inserita nell’organizzazione della
testata, o che copra organicamente uno specifico spazio
informativo, anche territoriale, configura il requisito della etero
direzione e quindi della subordinazione.
Il rischio, a sua volta, è un elemento presente soltanto
nei rapporti di lavoro autonomo, quando il prestatore d’opera
sia partecipe all’alea dell’impresa e assuma su di se il rischio
del proprio lavoro, organizzato autonomamente. L’assenza del
rischio, che si ha ogni qualvolta il giornalista svolge la sua
attività inserita in un processo produttivo, è indice del rapporto
di lavoro subordinato (Cass. sent. 3569 del 9/12/1971).
Infine, l’oggetto della prestazione, che è costituito nel
rapporto di lavoro autonomo dalla singola opera, nel rapporto
di lavoro subordinato è caratterizzato da una pluralità
consequenziale di opere. Quindi, per quanto riguarda l’oggetto,
nella distinzione tra lavoro autonomo e lavoro subordinato, è
decisiva la presenza o meno della continuità del rapporto di
collaborazione e il suo inserimento organico e sistematico nella
confezione del prodotto giornalistico, sia esso quotidiano o
periodico.
Sempre per quanto riguarda la distinzione tra lavoro
autonomo e lavoro subordinato la giurisprudenza ha stabilito
che non ha rilievo determinante il criterio di retribuzione
adottato dal datore di lavoro o la circostanza che il prestatore
d’opera esplichi altra prestazione lavorativa.
Un ulteriore elemento che ci consente di considerare
“affievolito” il requisito della subordinazione nel rapporto di
lavoro giornalistico è contenuto proprio nell’art. 1 del
Contratto Collettivo di Lavoro sottoscritto tra la Federazione
della Stampa e la Federazione degli Editori, laddove si
richiama esplicitamente la legge istitutiva dell’ordinamento
professionale il quale “garantisce l’autonomia professionale dei
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giornalisti e fissa i contenuti della loro deontologia
professionale”, svincolandoli in questo modo in termini
sostanziali dall’obbligo di fedeltà che vincola, cosi come
prescrive il Codice Civile, tutti i lavoratori subordinati al datore
di lavoro.
Il welfare di settore
Nel corso dei decenni, in oltre un secolo di storia, il
giornalismo italiano è riuscito a edificare un complesso di
normative e di istituti, che nella loro articolazione presidiano
all’esercizio della professione, creando una rete di tutele che
comprendono non soltanto il campo contrattuale, ma anche
quello previdenziale e assistenziale, oltre ovviamente quello
tipicamente professionale. Alla base di questa intelaiatura
normativa e di istituti si pone l’organizzazione sindacale
unitaria dei giornalisti italiani, la Federazione Nazionale della
Stampa Italiana, costituita nel 1908, attraverso la cui azione
sono stati sottoscritti, a partire dal 1911, i contratti collettivi di
lavoro di categoria, rinnovatisi negli anni. Grazie all’azione
politico sindacale della Fnsi sono stati realizzati nel tempo gli
altri strumenti di tutela giuridica, sia di natura pubblica che di
natura privata, del giornalismo e del lavoro giornalistico.
L’Inpgi, l’Istituto Nazionale di Previdenza dei
Giornalisti Italiani, che assicura ai giornalisti non soltanto i
trattamenti pensionistici, ma anche prestazioni di natura sociale
derivanti dalla legge, come gli ammortizzatori sociali, o dal
contratto, come l’assicurazione infortuni, è nato nel 1926 ed è
stato riconosciuto nel dopoguerra, nel 1951, come ente di
diritto pubblico e a partire dal 1994 come soggetto di diritto
privato sottoposto al controllo pubblico. La sua realizzazione è
stata il frutto di un lungo impegno della categoria, preceduto
dalle esperienze associative delle Casse Pie e da
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approfondimenti tecnici, oltre che politici della Federazione
della Stampa.
La Casagit, la Cassa Autonoma di Assistenza
Integrativa dei Giornalisti Italiani, che assicura ai giornalisti
prestazioni integrative del sistema sanitario nazionale, nata nel
1974, è anche essa frutto di una scelta solidaristica di categoria
realizzata mediante la contrattazione collettiva. Identico
discorso riguarda il Fondo di Pensione Complementare dei
Giornalisti Italiani costituito nel 1987 sulla base di un
precedente fondo integrativo sindacale. A cornice di questo
quadro complessivo si pone l’ordinamento professionale,
voluto dal legislatore su forte pressione della categoria
giornalistica e sulla base della preesistente esperienza dell’albo
professionale.
Di seguito ci soffermiamo sulla natura e le funzioni
degli organismi categoriali e sui più rilevanti aspetti
contrattuali per illustrare, sia pure in una sintesi articolata, le
linee di quell’insieme di norme e di tutele che formano il corpo
di quello che possiamo definire il diritto del lavoro
giornalistico.
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Cap. I
L’Ordinamento Professionale
Perché un ordine professionale?
Con legge del 3 febbraio 1963 n. 69 (ordinamento
della professione di giornalista) il legislatore italiano ha
regolato le modalità di esercizio della professione giornalistica,
mediante il riconoscimento dell’albo professionale e la
costituzione del Consiglio Nazionale dell’Ordine e dei Consigli
Regionali. In base alla legge nessuno può assumere il titolo, né
esercitare la professione di giornalista, se non è iscritto
nell’Albo professionale. La violazione di questa disposizione è
punita ai sensi del Codice Penale in quanto concretizza il reato
di esercizio abusivo della professione (art. 348 CP: “chiunque
abusivamente esercita una professione, per la quale è richiesta
una speciale abilitazione dello Stato, è punito con la reclusione
fino a 6 mesi o con la multa”).
Il Consiglio Nazionale dell’Ordine ha formalmente e
giuridicamente sede presso il Ministero di Grazia e Giustizia,
che ne esercita il controllo. Il Ministro della Giustizia, infatti,
ha il potere, sentito il parere del Consiglio Nazionale, di
sciogliere i Consigli Regionali con proprio decreto motivato,
quando questi non siano in grado di funzionare regolarmente, o
quando persistano nel violare i loro obblighi, o quando siano
stati superati i termini temporali di legge per la rinnovazione
degli organi, senza che si sia provveduto alla elezione dei
nuovi consigli.
Albo e Ordine rappresentavano, si può dire, da
sempre, obiettivi estremamente rilevanti perseguiti dalla
categoria. Sin dalla costituzione delle prime Associazioni
Regionali di Stampa, nella seconda meta dell’800, ci si è posti
l’interrogativo di chi dovesse fregiarsi del titolo di giornalista
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professionista e di quali fossero i contenuti di una attività
esercitata come professione. A questi interrogativi fu
inizialmente data una risposta attraverso gli statuti delle singole
Associazioni territoriali che prevedevano i requisiti per le
adesioni associative. Quando, nel 1908, fu costituita la
Federazione Nazionale tra le Associazioni Giornalistiche di
Stampa (Fnsi), emerse pressante la necessità di uniformare gli
statuti regionali in relazione alla definizione dello status di
giornalista professionista. La discussione attraversò nei decenni
successivi la vita associativa della categoria senza che mai si
arrivasse ad un traguardo condiviso. Le indecisioni e le
difficoltà su una definizione generalmente accettata nascevano
principalmente dal fatto che le retribuzioni dei giornalisti
erano molto spesso talmente basse e talvolta irrisorie da non
consentire la presenza di quel requisito della esclusività
professionale, che sarebbe dovuto essere l’elemento distintivo
della professione.
Nel 1919 con la stipula del Contratto Nazionale di
lavoro si precisò che erano considerati giornalisti professionisti
coloro che da almeno 6 mesi avevano fatto del giornalismo la
professione unica retribuita. Nel successivo contratto collettivo,
stipulato nel 1925, si previde anche la istituzione dell’albo
generale dei giornalisti professionisti, tenuto presso la
Federazione Nazionale della Stampa e l’Unione Nazionale
degli Editori, nel quale dovevano essere iscritti tutti coloro che
da almeno 18 mesi facevano del giornalismo la professione
unica retribuita. La norma contrattuale prevedeva anche la
costituzione di una commissione paritetica di 4 membri che
avrebbe dovuto provvedere all’aggiornamento dell’albo.
Gli accordi contrattuali furono successivamente
superati dall’intervento legislativo messo in atto dal governo
fascista con il Regio Decreto del 26 febbraio 1928 n. 384 che
istituiva l’albo professionale dei giornalisti “guarentigia di
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idoneità e correttezza professionale”. Se da un lato, con il
riconoscimento legislativo, si realizzava una pluridecennale
richiesta dei giornalisti, dall’altro si creava uno strumento di
controllo del governo sull’accesso alla professione, considerata
ormai come una funzione statale con il compito di “educare” la
pubblica opinione.
Alla caduta del fascismo, il governo Badoglio abolì le
organizzazioni sindacali fasciste dei giornalisti, che avevano lo
status di organismi di diritto pubblico e che gestivano gli albi
professionali, e nell’ottobre del 1944 il governo Bonomi istituì
la Commissione Unica per la tenuta degli albi, composta tutta
da giornalisti nominati dal Ministro di Grazie e Giustizia e
individuati tra una rosa di nomi indicati dalla Federazione della
Stampa, con il compito di gestire l’albo professionale,
provvedendo alle iscrizioni e alle cancellazioni. Il rapporto tra
Federazione della Stampa e Commissione Unica era così stretto
che a presiedere la Commissione fu chiamato il consigliere
delegato della Federazione, Leonardo Azzarita.
La Commissione Unica rimase in vita fino all’entrata
in vigore della legge del ‘63.
Il riconoscimento legislativo della professione
giornalistica pose ben presto l’interrogativo se l’istituzione di
un albo fosse in contrasto o meno con l’articolo 21 della
Costituzione Repubblicana che sanciva il principio della libertà
di stampa e di espressione. Ma la Corte Costituzionale
(sentenza 21-23 marzo 1968 n. 11), chiamata in causa, ha più
volte confermato la validità costituzionale della legge,
precisando che essa disciplina l’esercizio della professione e
non l’uso del giornale come mezzo di manifestazione del
pensiero, senza perciò ledere il diritto sancito dall’articolo 21
della Costituzione. Infatti, se il diritto alla libertà di stampa, di
opinione e di espressione appartiene a tutti i cittadini italiani,
l’esercizio dell’attività giornalistica, intesa come professione
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abituale, per l’influenza sociale che comporta, deve rispondere
ad obblighi di natura deontologica che non riguardano, perciò,
tutti i cittadini. L’Ordine, in altre parole, non può essere
considerato una corporazione che assicura specifici privilegi ai
propri iscritti. Lo scopo della legge è infatti, al contrario, quello
di garantire la collettività dei cittadini, imponendo a chi
esercita la professione giornalistica l’obbligo di attenersi a
precisi vincoli deontologici e, di conseguenza, di sottostare al
controllo disciplinare dell’Ordine. A tal fine risulta di
fondamentale rilevanza l’articolo 2 della legge istitutiva, nel
quale sai specifica che “è diritto insopprimibile dei giornalisti
la libertà di informazione e di critica, limitata dall’osservanza
delle norme di legge dettate a tutela della personalità altrui ed
è loro obbligo inderogabile il rispetto della verità sostanziale
dei fatti, osservati sempre i doveri imposti dalla lealtà e dalla
buona fede. Devono essere rettificate le notizie che risultino
inesatte e riparati gli eventuali errori”. Nello stesso spirito,
l’articolo 2 della legge si conclude con una norma di indirizzo
che impone a “giornalisti ed editori” l’obbligo di “rispettare il
segreto professionale sulla fonte delle notizie, quando ciò sia
richiesto dal carattere fiduciario di esse, e a promuovere lo
spirito di collaborazione tra colleghi, la cooperazione fra
giornalisti ed editori e la fiducia tra la stampa e i lettori”.
Le strutture dell’Ordine
L’Ordine è strutturato in 20 Consigli Regionali, e un
Consiglio Nazionale. Questi organi sono costituiti e sono eletti
dai giornalisti iscritti all’albo, in base al principio
dell’autoregolamentazione della categoria.
I Consigli Regionali sono composti da 6 giornalisti
professionisti e 3 giornalisti pubblicisti, scelti tra coloro che
abbiano più di 5 anni di iscrizione all’Ordine ed eletti
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separatamente da ciascuna delle due categorie, in apposita
assemblea regionale convocata a questo scopo 20 giorni prima
della scadenza del Consiglio in carica e mediante avviso
inviato a tutti i giornalisti iscritti. Le elezioni devono avvenire
a scrutinio segreto. Sono eletti coloro che ottengono la
maggioranza assoluta dei voti. Subito dopo la proclamazione
degli eletti, il presidente dell’assemblea deve comunicarne
l’elenco nominativo al Ministero della Giustizia. Il Consiglio
Regionale dura in carica tre anni e i consiglieri uscenti possono
essere rieletti.
Una volta insediato, ogni Consiglio Regionale elegge
un presidente, un vice presidente, un segretario ed un tesoriere.
Qualora il presidente sia un giornalista professionista, il vice
presidente deve essere scelto tra i giornalisti pubblicisti e
viceversa. Il presidente, che rappresenta il Consiglio
dell’Ordine, convoca e presiede l’assemblea degli iscritti. Il
vice presidente lo sostituisce in caso di assenza o impedimento
e in caso di assenza o impedimento anche di quest’ultimo le
funzioni sono svolte dal membro del Consiglio più anziano per
iscrizione all’ordine.
Il Consiglio Regionale è tenuto a curare l’osservanza
della legge professionale, a vigilare per la tutela del titolo di
giornalista, a intervenire per la repressione dell’esercizio
abusivo della professione, a curare l’albo e a gestire la normale
amministrazione.
Il Consiglio Nazionale, a sua volta, è composto da 2
giornalisti professionisti e da un giornalista pubblicista in
rappresentanza ed eletti in ogni ordine regionale. Inoltre, gli
ordini regionali con più di 500 professionisti iscritti hanno
diritto ad un ulteriore consigliere nazionale per ogni 500 (o
frazione di 500 superiori a 250) professionisti eccedenti tale
numero. Conformemente, quando un ordine regionale abbia più
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di 1000 giornalisti pubblicisti iscritti, deve eleggere un altro
consigliere nazionale pubblicista ogni 1000 (o frazione di 1000
superiori a 500) pubblicisti eccedenti tale numero. Anche i
consiglieri nazionali durano in carica tre anni e sono
rieleggibili.
Il Consiglio Nazionale elegge tra i suoi componenti il
presidente, che deve essere giornalista professionista, il vice
presidente che deve essere giornalista pubblicista, il segretario
e il tesoriere. Inoltre elegge, sempre tra i suoi componenti, un
comitato esecutivo formato da sei professionisti e tre
pubblicisti, tra i quali devono essere compresi il presidente, il
vice presidente, il segretario e il tesoriere.
Il compito del Consiglio Nazionale dell’Ordine è
quello di coordinare e promuovere le attività culturali dei
consigli regionali e di decidere sui ricorsi contro le
deliberazioni dei Consigli Regionali in materia di iscrizione e
di cancellazione dagli elenchi dell’albo e dal registro dei
praticanti nonché sui ricorsi relativi alle elezioni dei consigli
regionali e dei rispettivi collegi dei revisori. E’ anche funzione
del Consiglio Nazionale esprimere pareri, su richiesta del
Ministro della Giustizia sui progetti di legge e di regolamento
che riguardano la professione da giornalista.
A queste devono aggiungersi anche ulteriori
competenze quale quella di determinare la misura annua della
quota di iscrizione dei singoli giornalisti.
Nell’ambito del consiglio nazionale dell’Ordine sono
costituite 4 commissioni previste dalla legge, che si esprimono
in sede consultiva o referente. Tutti i componenti delle
commissioni durano in carica un anno e sono rieleggibili. La
commissione giuridica, composta di 7 consiglieri nazionali, ha
il compito di esprimere pareri sulle iniziative dell’Ordine volte
a tutelare le attribuzioni, la dignità e l’esercizio della
professione. Tra i compiti che la legge attribuisce alla
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commissione giuridica vi è anche quello di determinare gli
onorari, i diritti e le relative tariffe delle prestazioni di lavoro
giornalistico in regime di autonomia. Tale previsione deve,
però, ritenersi ormai abrogata dalla normativa generale che, in
recepimento della legislazione europea, ha escluso la
possibilità per gli ordini professionali di definire tariffari con
‘indicazione dei compensi minimi.
La commissione per le attività culturali e professionali,
anch’essa di 7 membri svolge attività consultiva su tutte le
attività e le iniziative del Consiglio Nazionale. La commissione
amministrativa, composta di 5 consiglieri nazionali, esprime
pareri consultivi sulle questioni concernenti l’assetto
patrimoniale e la gestione amministrativa dell’ordine
nazionale.
L’albo professionale, il registro dei praticanti e gli elenchi
speciali
I Consigli Regionali, per quanto di loro competenza
territoriale, e il Consiglio Nazionale gestiscono la tenuta
dell’albo professionale, del registro dei praticanti e di elenchi
speciali. Ciascun giornalista può essere iscritto in un solo albo
regionale e quando cambia la sua residenza o il suo domicilio
professionale è tenuto a chiedere il trasferimento nell’albo
regionale, dove ha sede la sua nuova residenza o il suo nuovo
domicilio professionale. Se la richiesta di trasferimento non
avviene entro tre mesi dal cambio di residenza o domicilio
professionale, é lo stesso Consiglio Regionale che procede alla
sua cancellazione dall’Albo e a darne comunicazione al
Consiglio Regionale, nel cui ambito territoriale il giornalista si
sia trasferito per residenza o domicilio professionale.
Quando un giornalista perde, per qualsiasi motivo, il
godimento dei diritti civili o quando abbia avuto condanne
penali che comportino l’interdizione permanente dai pubblici
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uffici è automaticamente cancellato dall’Albo e non può
esercitare la professione.
Inoltre, gli ordini regionali provvedono all’automatica
cancellazione dall’elenco dei professionisti, quando risulti
accertato che il giornalista non abbia più il requisito della
esclusività professionale. In questo caso, se sussistono i
requisiti e il giornalista ne faccia esplicita domanda, può essere
trasferito nell’elenco dei pubblicisti.
L’albo professionale è costituito da due elenchi: quello
dei giornalisti professionisti e quello dei giornalisti pubblicisti.
Il professionista. Per giornalisti professionisti si
intendono tutti coloro che svolgono esclusivamente attività
giornalistica, sia in regime di lavoro subordinato che
autonomo, mentre per giornalisti pubblicisti si intendono tutti
coloro che svolgono attività giornalistica senza il requisito
dell’esclusività professionale. A tale proposito la
giurisprudenza ha precisato che l’esclusività professionale del
giornalista professionista può conciliarsi con l’esplicazione
anche di un’altra attività purché questa sia precaria,
discontinua, marginale e sussidiaria, in modo tale da non
incidere sulla pienezza dell’impegno delle energie intellettuali
a favore dell’attività giornalistica (Cassazione civile, sez. lav.
17 marzo 1984 n. 1855)
Per l’iscrizione nell’elenco dei professionisti sono
necessari due requisiti: l’aver svolto un periodo di praticantato
di 18 mesi presso una testata giornalistica e il successivo
superamento delle prove di esame professionali, scritte e orali,
oltre al requisito anagrafico dell’età superiore a 21 anni.
Il praticante. Il registro dei praticanti, tenuto
dall’Ordine, è l’elenco di coloro che svolgono il praticantato
propedeutico all’accesso alla professione. Per l’iscrizione nel
registro è necessaria la dichiarazione del direttore della testata
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presso la quale si svolge il praticantato, che certifichi l’inizio
della pratica. Anche per l’iscrizione nel registro dei praticanti
occorre aver maturato il requisito anagrafico di 18 anni. Nel
corso del praticantato il praticante deve essere assegnato a più
servizi redazionali e quando lavori in una redazione decentrata
deve essere assegnato alla redazione centrale per almeno due
mesi. Inoltre, deve svolgere il praticantato sotto la guida di un
capo servizio o comunque di un redattore professionista. Il
periodo di praticantato deve essere attestato, dopo 18 mesi, da
una dichiarazione di compiuta pratica del direttore responsabile
della testata presso la quale si è svolta la pratica giornalistica.
L’articolo 34 della Legge specifica che la pratica può svolgersi
presso un quotidiano o il servizio giornalistico della radio e
della televisione, o presso un’agenzia quotidiana di stampa a
diffusione nazionale e con almeno 4 giornalisti professionisti
redattori ordinari, o presso un periodico a diffusione nazionale
e con almeno 6 giornalisti professionisti redattori ordinari.
Questa previsione di legge è stata interpretata con il
tempo dal Consiglio Nazionale in termini molto più elastici.
Con due delibere del 1988 e del 1991 il Consiglio Nazionale ha
stabilito, infatti, che i Consigli regionali, i quali provvedono
all’iscrizione nel registro dei praticanti, in assenza delle ipotesi
e delle condizioni numeriche previste dalla norma di legge,
possono comunque procedere al riconoscimento del
praticantato quando siano accertate le seguenti condizioni: 1)la
non precarietà delle iniziative editoriali (che devono essere sul
mercato da almeno un anno), 2) la consistenza delle strutture
redazionali ed organizzative di ciascuna azienda editoriale (con
particolare riferimento alla composizione della redazione e alla
presenza di giornalisti professionisti e pubblicisti con rapporto
di lavoro a tempo pieno o di collaborazione coordinata e
continuativa), 3) la presenza di caratteristiche di completezza
operativa (attrezzature e supporti tecnologici, collegamenti con
18
agenzie di stampa e banche dati, strutture tecniche per
l’impaginazione e la titolazione) idonea ad assicurare al
praticante un’articolata esperienza dell’attività giornalistica, 4)
la qualità e l’ampiezza del lavoro svolto e la sussistenza dei
requisiti propri di un rapporto di praticantato, 5) l’affidamento
della direzione responsabile della testata ad un giornalista
iscritto all’albo, 6) la presenza di almeno un giornalista
professionista con rapporto di lavoro a tempo pieno che svolga
funzioni di tutor nei confronti del praticante.
In assenza della dichiarazione di chiusura del
praticantato da parte del direttore responsabile della testata,
qualora i consigli regionali abbiano accertato il rifiuto del
direttore di rilasciarla e la mancanza di un giustificato motivo
di tale rifiuto, possono, una volta accertata la presenza dei
requisiti oggettivi, procedere alla iscrizione nel registro dei
praticanti mediante dichiarazione sostitutiva.
A sua volta l’articolo 35 del contratto nazionale di
lavoro giornalistico prevede che presso quotidiani, agenzie e
periodici possono essere assunti praticanti in ragione di un
praticante ogni 10 redattori o frazione di 10, nelle testate che
abbiano fino a 100 redattori, e in ragione di un praticante ogni
25 redattori o frazione di 25 nelle testate che abbiano più di
100 redattori. Questi limiti, possono, però, essere derogati
quando ci sia una specifica intesa tra azienda direttore e
comitato di redazione.
L’assunzione del praticante deve essere comunicata
dall’editore all’Associazione regionale di stampa nel cui
territorio di competenza ha sede l’azienda, nonché al consiglio
regionale dell’Ordine e agli Istituti di previdenza e assistenza.
A seguito della nascita e dello sviluppo di nuovi
media non previsti dalla legge del ’63, come l’emittenza
radiotelevisiva di ambito locale o i siti informativi trasmessi
via internet, si è reso necessario interpretare l’articolo 34 della
19
legge in modo da farvi rientrare tutti i mezzi di comunicazione
di massa. Di conseguenza, oggi il praticantato giornalistico può
essere svolto anche in una testata radiotelevisiva locale che
abbia un direttore responsabile giornalista e una struttura
redazionale sufficiente alla produzione di radio-telegiornali
quotidiani. In queste testate il ruolo di tutor può essere svolto
anche da un giornalista professionista che abbia un rapporto di
collaborazione coordinata e continuativa, purché assicuri una
presenza atta a garantire il controllo del tirocinio professionale.
La delibera del Consiglio Nazionale prevede che in assenza di
un giornalista professionista con un contratto di collaborazione
coordinata e continuativa, l’emittente radiotelevisiva locale
possa chiedere al Consiglio regionale la designazione di un
giornalista professionista che svolga il ruolo di tutor.
E’ possibile, sempre sulla base delle delibere del
Consiglio Nazionale, stipulare contratti di praticantato a
termine, i quali, però, devono sempre essere a tempo pieno e
comunque cumulativamente non inferiori ai 18 mesi necessari
per lo svolgimento del praticantato.
Un'altra possibilità di iscrizione nel registro dei
praticanti è oggi prevista a favore dei lavoratori autonomi, a
condizione che siano presenti i seguenti specifici requisiti: 1)
che il lavoratore autonomo sia già iscritto all’albo come
giornalista pubblicista; 2) che svolga attività giornalistica da
almeno tre anni con rapporti di collaborazione coordinata e
continuativa (co.co.co) per una o più testate che siano
qualificate allo svolgimento del praticantato; 3) che il reddito
da lavoro giornalistico autonomo non sia inferiore a quello
previsto dal contratto nazionale di lavoro giornalistico per il
praticante. Per l’Ordine, il lavoro del giornalista co.co.co è
assimilabile alla fattispecie del telelavoro e quindi il
collaboratore coordinato e continuativo, che ne abbia i requisiti
e che intende iscriversi nel registro dei praticanti, deve anche
20
indicare nella sua domanda il giornalista professionista
redattore della testata o delle testate per le quali lavora, che
funga da tutor. Anche per i collaboratori coordinati e
continuativi, dopo i 18 mesi di praticantato, per poter accedere
agli esami è necessario presentare una dichiarazione di
compiuta pratica da parte del tutor precedentemente indicato.
Un ulteriore requisito per poter accedere alle prove di esame è
dato dalla attestazione di avere frequentato il seminario di
preparazione agli esami organizzato dal Consiglio nazionale
dell’ordine o gli eventuali corsi di formazione organizzati dai
Consigli regionali.
Una volta superata la prova orale di idoneità
professionale il praticante ha diritto al trattamento contrattuale
dovuto ai giornalisti professionisti dal giorno in cui ne da
comunicazione scritta all’azienda.
Il pubblicista. L’iscrizione nell’elenco dei giornalisti
pubblicisti richiede requisiti diversi, in quanto si presume che il
pubblicista svolga un'altra attività e che, di conseguenza, quella
giornalistica sia un’attività secondaria e comunque non
esclusiva. Per l’iscrizione nell’elenco dei giornalisti pubblicisti
occorre dimostrare di avere svolto per un periodo consecutivo
non inferiore a due anni attività pubblicistica, intendendosi per
tale attività la scrittura di articoli o di servizi giornalistici, non
necessariamente firmati e che, pertanto, possono essere anche
siglati o pubblicati anonimamente o con pseudonimo. Gli
articoli e i servizi, che devono essere presentati in copia al
Consiglio regionale dell’Ordine, possono essere stati pubblicati
su più testate, purché i singoli direttori ne documentino con
apposita dichiarazione la paternità. L’attività pubblicistica deve
risultare, peraltro, retribuita. La legge non prevede come
debbano essere compensati gli articoli, né prevede, per
l’iscrizione nell’elenco dei pubblicisti, un reddito minimo
21
derivante dall’attività giornalistica. Ciò nonostante, una
delibera del Consiglio Nazionale dell’Ordine ritiene “pur
tenendo conto delle diverse potenzialità economiche espresse
da regioni italiane fra loro anche molto differenziate”, che
possa essere giudicata adeguata una retribuzione che non sia
inferiore al 25% delle somme previste dal tariffario minimo
indicato dall’Ordine e che, tuttavia, è stato dichiarato decaduto.
In ogni caso, sempre su indicazione della stessa delibera, gli
Ordini regionali sono tenuti a valutare la congruità della
retribuzione dichiarata. Di recente, il Consiglio Nazionale
dell’Ordine ha stabilito che prima di procedere alla sua
iscrizione, l’aspirante pubblicista debba sostenere un colloquio
presso il Consiglio regionale territorialmente competente.
Gli elenchi speciali. Oltre l’albo dei giornalisti e il
registro dei praticanti, l’Ordine cura anche la tenuta di due
elenchi speciali. In uno sono iscritti tutti coloro che non
esercitano attività giornalistica ma che abbiano assunto la
direzione responsabile di un periodico o di una rivista a
carattere tecnico, professionale o scientifico (non sono
comunque inquadrabili tra queste categorie le testate di
informazione sportiva e cinematografica), in un secondo elenco
speciale possono essere iscritti tutti i giornalisti di nazionalità
straniera che svolgono il loro lavoro in Italia.
Per questi ultimi, in conseguenza del principio
stabilito dal testo unico sull’immigrazione che la cittadinanza
italiana non è più un requisito essenziale per l’iscrizione
all’albo professionale e a quello della reciprocità tra
legislazioni statali, quando si tratti di cittadini degli Stati
membri dell’Unione Europea, che abbiano titolo per esercitare
la professione nel paese di origine ai sensi di
quell’ordinamento giuridico, possono chiedere, con domanda
da inoltrare al Ministero di Grazia e Giustizia, il
22
riconoscimento del loro status professionale in Italia e quindi
possono essere iscritti nel registro dei praticanti e nell’Albo dei
giornalisti, nell’elenco dei professionisti o dei pubblicisti.
La legge prevede anche che la direzione di una testata,
che sia organo di un partito o di un movimento politico o di
un’organizzazione sindacale, possa essere affidata a persona
non iscritta all’albo. In questo caso il direttore viene iscritto
provvisoriamente nell’elenco dei professionisti, se la testata è
un quotidiano, o in quello dei pubblicisti, se la testata è un
periodico. In tutti i casi, la testata deve avere un vice direttore
iscritto all’albo, cui competono i diritti di certificazione di
inizio e compiuta pratica per i praticanti assunti nel giornale,
nonché di certificazione della documentazione richiesta dalla
legge per l’iscrizione nell’elenco dei pubblicisti.
Conseguenze della mancanza di iscrizione all’albo
Come si è ricordato in precedenza l’iscrizione all’albo
dei giornalisti costituisce requisito essenziale per poter
esercitare la relativa attività professionale e l’esercizio della
professione in assenza di iscrizione all’albo concretizza il reato
dell’esercizio abusivo della professione. Ciò nonostante la
Magistratura del lavoro chiamata più volte in causa ha
conformemente sostenuto che chi, pur non avendo lo status
professionale di giornalista, abbia espletato mansioni di lavoro
di natura giornalistica ha maturato il diritto a percepire le
competenze retributive corrispondenti alle mansioni svolte in
base all’art. 36 della Costituzione. In questo caso il rapporto
contrattuale deve ritenersi nullo per violazione delle
disposizioni di legge ma valido ai fini degli effetti economici,
per il periodo della sua esecuzione. (Cfr. Cass. Civ. sent. del 26
ottobre 1960 n. 2918, Cass. Civ. sent. del 6 luglio 1963 n.
1823, Cass. Civ. sent. del 14 gennaio 1976 n. 127, Cass. Civ.
sent. del 19 novembre 2015 n. 23695).
23
La deontologia professionale
Oltre all’attività di tenuta degli albi, l’Ordine
professionale svolge una ulteriore importante attività che è
quella di giudicare, in caso di contestazione, sul rispetto della
deontologia professionale da parte di tutti gli iscritti. La legge
istitutiva prevede, come si è già detto, nell’articolo 2 oltre al
“diritto insopprimibile dei giornalisti” alla “libertà di
informazione e di critica” anche l’obbligo di esercitare tale
libertà nell’ambito dell’osservanza “delle norme di legge
dettate a tutela della personalità altrui”, nonché il “loro obbligo
inderogabile” al “rispetto della verità sostanziale dei fatti,
osservati sempre i doveri imposti dalla lealtà e dalla buona
fede”. Questo principio di legge, che come si vede impone ai
giornalisti nell’esercizio della loro attività obblighi
deontologici, cui non sono tenuti tutti gli altri cittadini, si è
materializzato nel corso degli anni in una serie di carte etiche
sottoscritte dall’Ordine, dalla Federazione della Stampa e dalle
organizzazioni dei settori interessati, per meglio definire le
linee entro le quali debba esercitarsi il dovere di una corretta
informazione. In particolare si deve ricordare la Carta
informazione e pubblicità (1998), che tende a garantire la
distinzione tra messaggio informativo e messaggio
pubblicitario e il divieto di utilizzare a fini pubblicitari l’attività
giornalistica; la Carta di Treviso (1990-1995-2006), che regola
i rapporti tra informazione e mondo dell’infanzia, alzando il
livello di riservatezza che occorre avere quando si scrive di
bambini o adolescenti, la Carta di Perugia (1995), che regola
l’informazione sugli ammalati, la Carta dei doveri (1993),che
pone precisi vincoli etici ai giornalisti in merito a tutta la loro
attività, la Carta informazione e sondaggi (1995),che si
sofferma sui modi e le tecniche con cui i sondaggi vengono
svolti e resi pubblici sui giornali, il Codice deontologico
24
(Provvedimento del Garante 29 luglio 1998), sul trattamento
dei dati personali nell’esercizio dell’attività giornalistica (un
codice imposto dalla legge 675/1996 sulla tutela della privacy),
la Carta dei doveri dell’informazione economica (2005-2007),
che ha ampliato la precedente Carta dei doveri con riferimento
all’informazione economica e finanziaria, la Carta di Roma
(2008), che definisce i limiti e gli obblighi nell’informazione
relativa a coloro che richiedono asilo, ai rifugiati, alle vittime
della tratta e ai migranti.
Tutto questo complesso di Carte delinea nel suo
insieme un codice di comportamento etico che i giornalisti
sono tenuti ad osservare nell’esercizio della loro professione.
La formazione
Anche per i giornalisti, come per tutte le altre
professioni, dal gennaio del 2014, per effetto del DPR
137/2012, è previsto l’obbligo della formazione professionale
continua. Tutti i giornalisti sono tenuti ad aggiornarsi
costantemente. È questa una delle condizioni necessarie per
poter mantenere l’iscrizione all’Ordine e, quindi, poter
continuare ad esercitare la professione. Ogni giornalista è
tenuto a maturare 60 crediti formativi nell’arco di un triennio,
con un minimo di 15 crediti in un anno. Almeno 15 crediti
devono essere maturati sui temi che attengono alla deontologia
professionale. I crediti si possono ottenere seguendo i corsi
abilitati e autorizzati dal Consiglio nazionale. Sono possibili
anche attività formative a distanza. Ogni ora di partecipazione
comporta la maturazione di 2 crediti. Di norma, la
partecipazione ai corsi formativi non è onerosa e, comunque, i
corsi inerenti la formazione deontologica sono a totale carico
dell’Ordine professionale. Sugli aspetti deontologici è possibile
25
seguire un corso e-learning disponibile sul sito del Consiglio
nazionale.
Le sanzioni disciplinari
La violazione di questi obblighi comporta l’apertura di
un procedimento disciplinare in primo grado presso il
Consiglio di disciplina regionale e in appello presso il
Consiglio di disciplina nazionale. In quanto, come prescrive
l’articolo 48 della legge “gli iscritti all’albo… che si rendono
colpevoli di fatti non conformi al decoro e alla dignità
professionale… sono sottoposti a procedimento disciplinare”,
che di norma, è iniziato d’ufficio dal Consiglio regionale. Le
sanzioni disciplinari previste dalla legge istitutiva sono: a)
l’avvertimento; b) la censura; c) la sospensione dall’esercizio
della professione per un periodo non inferiore a due mesi e non
superiore ad un anno; d) la radiazione dall’albo.
I Consigli di disciplina
Il Decreto Legge n. 138 del 13 agosto 2011 ha
modificato sostanzialmente l’attività degli Ordini professionali,
e quindi anche quella dell’Ordine dei Giornalisti, imponendo la
distinzione tra funzioni amministrative e funzioni disciplinari.
In base a tale decreto e al successivo regolamento attuativo
contenuto nel Dpr 137 del 7 agosto 2012, sono state modificate
le competenze dei Consigli regionali e del Consiglio Nazionale
dell’Ordine, mediante l’introduzione di consigli di disciplina di
prima istanza, a livello territoriale, e un Consiglio Nazionale di
disciplina nell’ambito del Consiglio nazionale dell’Ordine. Il
Consiglio di disciplina territoriale è costituito da 9 membri.
Designati dal presidente del Tribunale nell’ambito di una rosa
di 18 candidati formulata dal Consiglio regionale dell’Ordine. I
Consigli di disciplina si strutturano in collegi giudicanti formati
26
da 3 membri individuati di volta in volta dal presidente del
Consiglio stesso, che è il giornalista più anziano per iscrizione
all’albo. Ogni collegio giudicante è formato da un pubblicista
e due professionisti. Almeno un componente deve essere
donna. Per essere designati nei consigli di disciplina territoriali
occorre essere iscritti al rispettivo albo territoriale, avere
un’anzianità di iscrizione all’albo non inferiore a 10 anni, non
aver avuto condanne penali per reati non colposi e non aver
avuto negli ultimi 10 anni sanzioni disciplinari, oltre ad essere
in regola con gli obblighi della formazione permanente.
Diversa è la composizione del Consiglio nazionale di
disciplina, composto da 12 consiglieri eletti nell’ambito dei
componenti il Consiglio Nazionale dell’Ordine. Anche i
componenti del Consiglio nazionale devono possedere gli
stessi requisiti dei componenti i consigli territoriali. I
componenti del Consiglio nazionale di disciplina sono esclusi
dall’esercizio delle funzioni amministrative. Il compito del
Consiglio di disciplina nazionale è quello di pronunciarsi
collegialmente sui ricorsi avversi alle decisioni di prima istanza
dei collegi di disciplina territoriali
L’azione disciplinare si prescrive entro cinque anni dal
fatto. Qualora per la stessa violazione sia stato promosso un
procedimento penale, il termine decorre dal giorno in cui è
divenuta irrevocabile la sentenza di condanna o di
proscioglimento. Tutte le deliberazioni dei Consigli territoriali
di disciplina possono essere impugnate dall’interessato o dal
Pubblico Ministero competente entro 30 giorni dalla data della
loro notificazione, mediante ricorso al Consiglio di disciplina
nazionale. Le delibere di secondo grado del Consiglio di
disciplina nazionale possono a loro volta essere impugnate
dall’interessato o dal Procuratore della Repubblica e dal
Procuratore Generale competenti per territorio, entro 30 giorni
dalla loro notifica, davanti al Tribunale del capoluogo del
27
distretto in cui ha sede il Consiglio regionale, al quale è iscritto
il giornalista. Contro la sentenza del Tribunale è possibile
ricorrere, sempre nel termine dei 30 giorni dalla notifica, alla
Corte d’Appello territorialmente competente. Anche la
sentenza della Corte di Appello è impugnabile in Cassazione
entro 60 giorni dalla notifica.
A
dimostrazione
della
particolare
natura
prevalentemente giurisdizionale dell’Ordine professionale la
legge prevede, (sulla base dell’art. 102 della Costituzione che
consente di istituire nelle sedi giudiziarie sezioni specializzate
“per determinate materie, anche con la partecipazione di
cittadini idonei estranei alla Magistratura”), che nei casi di
ricorso in Tribunale e in Corte d’Appello contro le delibere del
Consiglio di disciplina nazionale entrambi questi collegi
giudicanti siano integrati da un giornalista e da un pubblicista
nominati in numero doppio, ogni quadriennio, all’inizio
dell’anno giudiziario dal Presidente della Corte di Appello su
designazione del Consiglio Nazionale dell’Ordine. Il loro
incarico non è rinnovabile.
28
29
Cap. II
L’organizzazione sindacale dei giornalisti
La Federazione Nazionale della Stampa Italiana (Fnsi)
è il Sindacato unico e unitario dei giornalisti italiani ed agisce
nell’ambito dell’art. 39 della Costituzione che garantisce la
libertà di associazione sindacale.
Compito statutario della Federazione della Stampa è,
pertanto, quello di tutelare gli interessi della categoria
giornalistica e i diritti morali e materiali dei giornalisti,
qualunque sia la natura, subordinata o autonoma, della loro
prestazione.
Per perseguire questo obiettivo l’attività prevalente
della FNSI è quella di stipulare i contratti collettivi di lavoro e
di assicurare a tutti gli iscritti l’assistenza sindacale anche
tramite le sue strutture territoriali (Associazioni Regionali di
Stampa) e quelle aziendali (comitati e fiduciari di redazione).
La Federazione della Stampa è un’organizzazione
sindacale autonoma, in quanto non aderisce a nessuna delle
Confederazioni sindacali esistenti.
Dal 1947 è in vigore un “patto di alleanza” stipulato
con la CGIL e confermato in seguito con le altre
Confederazioni sindacali (CISL, UIL e CISNAL, oggi UGL),
in base al quale le Confederazioni sindacali hanno riconosciuto
alla Federazione della Stampa la rappresentanza degli interessi
di categoria dei giornalisti italiani. Sulla base di questo “patto
di alleanza” e così come prescrive lo statuto federale, un
rappresentante di ognuna delle Confederazioni sindacali fa
parte del Consiglio Nazionale della Federazione.
La Federazione della Stampa ha, anche, il compito di
“difendere la libertà di stampa e di informazione e il diritto di
cronaca nei limiti e nel rispetto delle norme deontologiche
30
della categoria, garantendo la pluralità degli organi di
informazione, l’accesso alle fonti delle notizie e il diritto del
cittadino di manifestare il proprio pensiero e di essere
informato in applicazione della Carta Costituzionale e nel
rispetto dei diritti inviolabili della persona”.
Le Associazioni Regionali di Stampa
Come è affermato nei principi del patto federativo,
“la struttura del sindacato dei giornalisti è federativa.
Mediante tale struttura esso definisce, esprime e attua le scelte
unitarie, del cui democratico formarsi sono strumento e
garanzia indispensabile gli organi liberamente eletti dalle
Associazioni Regionali di Stampa (AA.RR.SS.)”.
Sono federate nella FNSI, 20 Associazioni Regionali o
interregionali di stampa (Associazione della Stampa di
Basilicata, Associazione Stampa Marche, Associazione Stampa
Molise, Associazione Giornalisti della Valle D’Aosta,
Associazione Stampa di Puglia, Associazione Stampa
Emiliana, Sindacato Giornalisti Trentino-Alto Adige,
Associazione Stampa Sarda, Associazione Stampa Toscana,
Associazione Ligure dei Giornalisti, Associazione Lombarda
dei Giornalisti, Sindacato Unitario Giornalisti della Campania,
Associazione Stampa Siciliana, Associazione Stampa Umbra,
Associazione Stampa Abruzzese, Sindacato Giornalisti della
Calabria, Associazione Stampa Romana, Associazione Stampa
Subalpina, Associazione Stampa del Friuli-Venezia Giulia,
Sindacato Giornalisti del Veneto).
Alcune Associazioni sono sorte all’inizio del secolo,
prima della nascita della Federazione, le altre si sono costituite
in seguito nel corso degli anni. L’ultima Associazione nata, la
ventesima, è l’Associazione Stampa del Molise, costituitasi e
federata nel 2005. Nel 2015, a seguito dello scioglimento
dell’Associazione Napoletana della Stampa, è stata ammesso
31
nell’ambito della Federazione Il Sindacato Unitario Giornalisti
della Campania. Ogni Associazione gode di autonomia
politica, organizzativa ed amministrativa ed è retta da un
proprio statuto, che deve essere “conforme con lo statuto
federale”, e proprie strutture.
Alle Associazioni Regionali di Stampa possono
iscriversi tutti i giornalisti, professionisti o pubblicisti, e i
praticanti iscritti nell’albo professionale e nel registro previsti
dalla legge 1963 n.69, istitutiva dell’Ordine professionale.
“Professionali” e “collaboratori”
Con l’ultima riforma statutaria, approvata a Riccione
nella sessione straordinaria del XXII congresso nazionale, del
1998, la Federazione ha modificato la sua base associativa,
dividendo i propri iscritti tra giornalisti “professionali” e
giornalisti “collaboratori”. Ovviamente, questa distinzione non
ha alcun valore giuridico ma risponde ad esigenze funzionali
alla vita del Sindacato. Possono essere iscritti tra i giornalisti
“professionali” tutti i giornalisti professionisti, i praticanti e
quei giornalisti pubblicisti che abbiano un contratto di lavoro
giornalistico o, che comunque, abbiano un reddito prevalente
derivante dal lavoro giornalistico. Possono iscriversi
nell’elenco dei “collaboratori”, tutti i pubblicisti che, pur
collaborando con testate giornalistiche, svolgano altra attività
lavorativa prevalente, o che siano iscritti a Ordini, Collegi o
Associazioni professionali concernenti “professioni diverse da
quella giornalistica”.
Gli organi statutari
Gli organi statutari attraverso i quali si articola la vita
della Federazione della Stampa sono:
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a) il Congresso Nazionale, che si svolge
ordinariamente ogni quattro anni con la partecipazione di 312
delegati (234 “professionali” e 78 “collaboratori”) eletti
nell’ambito delle venti Associazioni federate;
b) il Consiglio Nazionale, organo deliberativo fra un
congresso e l’altro, che realizza le decisioni del congresso e
che è composto da 91 consiglieri “professionali” e da 25
“collaboratori”, eletti in parte direttamente dal congresso, in
parte dalle delegazioni regionali. Fanno parte di diritto del
Consiglio Nazionale gli ex presidenti e gli ex segretari della
Federazione e, come sopra precisato, un rappresentante per
ognuna delle Confederazioni sindacali;
c) il collegio dei revisori dei conti, con compiti di
controllo contabile e amministrativo sulla gestione federale;
d) il collegio nazionale dei probiviri, che regola le
controversie relative alla disciplina associativa e sindacale dei
giornalisti.
Organi esecutivi della Federazione sono la Giunta
Esecutiva, il Presidente e il Segretario Nazionale.
La Giunta Esecutiva è l’organo di governo ed è eletta
dal Consiglio nazionale; è composta dal Segretario Generale,
dal Presidente, da 11 “professionali” e 3 “collaboratori”.
All’interno della Giunta Esecutiva è costituita la Segreteria
Nazionale organizzata per dipartimenti. È compito del
Segretario Generale attribuire gli incarichi ai Segretari Generali
aggiunti con deleghe per specifici settori.
Il Segretario Generale, eletto dal Congresso tra i
delegati professionali, guida l’azione sindacale della FNSI e ne
ha la rappresentanza legale, presiede la Giunta Esecutiva e la
Segreteria Nazionale.
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Il Presidente della Federazione, garante del Patto
federativo e dell’applicazione dello Statuto è eletto nella sua
prima seduta dal Consiglio Nazionale. Il Presidente, che
convoca e presiede il Consiglio Nazionale, è anche il
destinatario dei ricorsi in materia di applicazione e di
interpretazione delle norme statutarie e regolamentari.
Tra gli organi statutari della Federazione sono previsti,
inoltre:
a) la Conferenza Nazionale dei Comitati e fiduciari
di redazione, organo consultivo che riunisce i rappresentanti
sindacali di tutte le testate quotidiane e periodiche e che è
convocata almeno una volta l’anno,
b) la Consulta delle Associazioni regionali,
anch’essa organo consultivo alla quale partecipano i
rappresentanti legali delle 20 Associazioni federate,
c) le Commissioni Nazionali per i Contratti,
organismi permanenti presieduti dal segretario generale,
composti dalla Giunta esecutiva, dai rappresentanti dei comitati
di redazione eletti nella Conferenza dei Cdr, dai rappresentanti
delle Associazioni regionali, dei gruppi di specializzazione a
natura sindacale, degli organismi sindacali di base (Usigrai e
Ungp). E’ compito delle Commissioni elaborare le proposte per
i rinnovi contrattuali e condurre le trattative, fermo restando
che la stipula dei contratti nazionali è affidata alla Giunta
Esecutiva.
Nell’ambito della Federazione sono inquadrati i
Gruppi di specializzazione, ovvero associazioni e unioni fra
giornalisti che perseguono finalità specifiche di natura
professionale-sindacale (l’Unione Nazionale Cronisti Italiani,
l’Unione Stampa Sportiva Italiana, il Gruppo Uffici Stampa) o
di natura professionale-culturale (l’UGAI, Unione Giornalisti
Aerospaziali Italiani, l’ASMI, Associazione della Stampa
Medica Italiana, il GIST, Gruppo Italiano Stampa Turistica, il
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SNCCI, Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani,
il SNGCI, Sindacato Nazionale Giornalisti cinematografici
Italiani, l’UIGA, Unione Italiana Giornalisti dell’Automobile,
l’UNAGA, Unione Nazionale Associazione Giornalisti
Agricoltura Alimentazione Ambiente Territorio Foreste Pesca
Energie Rinnovabili, l’ANSI, Associazione Nazionale Stampa
Interculturale). Ai gruppi di specializzazione possono essere
iscritti soltanto i giornalisti già iscritti ad una delle venti
Associazioni di Stampa Regionali. I presidenti dei gruppi di
specializzazione costituiscono la Consulta dei Presidenti dei
Gruppi di Specializzazione, convocata e presieduta dal
Segretario generale della Federazione. La Consulta si riunisce
una volta l’anno ed ha lo scopo di promuovere lo scambio di
informazioni sull’attività svolta da ciascun gruppo.
Al fianco dei gruppi di specializzazione vi sono poi gli
Organismi Sindacali di Base con compiti specifici di tutela
sindacale. Sono organismi sindacali di base l’USIGRAI,
l’Unione Sindacale Giornalisti Rai, che rappresenta i
giornalisti dipendenti dal servizio pubblico radiotelevisivo e
l’UNGP, Unione Nazionale Giornalisti Pensionati.
I rapporti internazionali
La Federazione della Stampa aderisce dal 1985 alla
Fédération Internationale des Journalistes (FIJ), che riunisce e
rappresenta sul piano mondiale le organizzazioni giornalistiche
nazionali di quasi tutti i paesi del mondo.
L’adesione alla Federazione internazionale è stata
deliberata dal Consiglio Nazionale nel 1985 a seguito di una
scelta politica unitaria maturata dopo anni di discussione. Sino
al 1985, infatti, la FNSI, in nome della sua unitarietà e
rappresentatività di tutti i giornalisti italiani, di ogni fede
politica, aveva scelto una linea di neutralità (e di non adesione)
tra le due organizzazioni internazionali di giornalisti (FIJ e
35
OIJ); ciò nonostante, l’interesse per i problemi internazionali è
sempre stato vivo nell’ambito del sindacato. Già nel 1967 la
Federazione aveva organizzato in Italia, a Lignano Sabbiadoro,
un convegno internazionale al quale parteciparono i sindacati
dei giornalisti europei dei paesi occidentali aderenti alla FIJ
(Bruxelles) e dei paesi sotto l’influenza sovietica, aderenti alla
Organisation Internationale des Journalistes (OIJ-Praga).
Era una scelta coraggiosa e lungimirante che aveva lo
scopo di tentare un riavvicinamento tra le organizzazioni
giornalistiche dei vari paesi europei, a prescindere dai rispettivi
regimi politici, e di mettere intorno allo stesso tavolo le due
organizzazioni internazionali, sorte negli anni della guerra
fredda con scopi prevalentemente propagandistici.
Al Convegno di Lignano Sabbiadoro seguì un altro
convegno internazionale a Capri nel 1973, un secondo
convegno, sempre a Capri, nel 1975 e un ultimo convegno a
St. Vincent nel 1979. Tutte queste occasioni di incontro hanno
contribuito ad avvicinare i sindacati dei giornalisti dei paesi
europei e ad individuare comuni tematiche di riflessione. Nel
1990 la Federazione della Stampa ha organizzato in Italia, a
Baia Chia (Sardegna), il congresso mondiale della FIJ e nel
giugno del 2012 (Bergamo) il congresso della EFJ, la
Federazione Europea dei Sindacati giornalistici aderenti alla
FIJ.
Una storia secolare
La FNSI ha alle sue spalle una lunga storia, ormai
secolare. Essa nasce ufficialmente nel 1908, ma sulla base di
precedenti esperienze associative realizzatesi in ambito
regionale. La prima associazione giornalistica è, infatti,
l’Associazione della Stampa Periodica Italiana costituitasi a
Roma nel 1877 sotto la presidenza di Francesco De Sanctis.
Nel 1890 nasce l’Associazione Lombarda dei Giornalisti. Nel
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1899 l’Associazione della Stampa Siciliana, nel 1895
l’Associazione della Stampa Veneta, nel 1903 l’Associazione
Ligure dei Giornalisti, nel 1905 l’Associazione della Stampa
Emiliana.
Le motivazioni che dettero vita all’Associazione della
Stampa Periodica a Roma, che comprendeva giornalisti ed
editori, non erano, tuttavia, di natura sindacale. L’idea, infatti,
era nata come tentativo di limitare, per quanto possibile, il
ricorso ai duelli nelle controversie d’onore. Nell’ambito
dell’Associazione Stampa Periodica operava, in tal senso, una
corte d’onore.
A seguito dell’entrata in vigore della legge 15 giugno
1893, che prevedeva l’istituzione nelle industrie di collegi
probivirali con il compito di tentare la conciliazione e dirimere
le controversie tra datori di lavoro e lavoratori all’interno delle
aziende, fu costituito in seno all’Associazione della Stampa
Periodica il Collegio dei Probiviri, con compiti arbitrali nelle
vertenze a carattere patrimoniale tra giornalisti ed editori e che
produsse una copiosa giurisprudenza, primo telaio di quello
che sarebbe stato in seguito il contratto collettivo.
Le prime discussioni all’interno della categoria e
delle Associazioni regionali riguardarono l’individuazione dei
meccanismi di tutela del lavoro giornalistico.
L’insufficienza della giurisprudenza probivirale e la
scarsa incisività sindacale delle Associazioni indussero, ben
presto, a guardare con favore all’approvazione di un
provvedimento legislativo che regolasse il rapporto di lavoro
giornalistico.
Nel 1902 l’on. Luigi Luzzatti, presidente
dell’Associazione Stampa Periodica, presentò alla Camera un
suo disegno di legge che, tuttavia, decadde con la fine della
legislatura.
37
La necessità di individuare un organismo di
rappresentanza della categoria giornalistica maggiormente
rappresentativo sul piano nazionale indusse le Associazioni di
stampa sorte sino a quel momento a dare vita ad una
Federazione Nazionale delle Associazioni Giornalistiche.
Nasceva, così, nel 1908 la Federazione Nazionale della Stampa
sotto la presidenza dell’on.le Salvatore Barzilai.
Il primo congresso della Federazione ebbe luogo a
Bologna nel 1909 e vide la contrapposizione tra chi perseguiva
l’obiettivo di una legge di regolamentazione, chi intendeva
marciare verso una trattativa diretta con gli editori e chi si
accontentava dei risultati della giurisprudenza probivirale.
Tra il 1908 e il 1910, anno in cui si svolse il secondo
congresso di Genova, decaddero, per vari motivi, altri progetti
di legge sul lavoro giornalistico. Ciò favorì la tendenza, uscita
maggioritaria dal congresso di Genova, a individuare nella
trattativa con gli editori l’unico strumento per regolamentare il
rapporto di lavoro giornalistico. Nello stesso anno gli editori,
pur aderendo alla Federazione, davano vita ad una loro
organizzazione di categoria.
Su queste premesse nel 1911 fu stipulata tra la
Federazione Nazionale della Stampa Italiana e l’Unione degli
Editori, la prima Convenzione d’opera giornalistica, ovvero il
primo contratto nazionale di lavoro, composto di solo 8
articoli. Due anni dopo, nel 1913, veniva stipulato un
supplemento alla Convenzione, che regolava in termini
economici favorevoli per i giornalisti le conseguenze derivanti
dalla nascita di trust o da trapasso di proprietà dei giornali.
Nella stessa convenzione si prevedeva una norma, che in
seguito sarebbe stata denominata “clausola di coscienza”, che
sanciva il diritto del giornalista di abbandonare l’azienda, per
fatto dell’editore, quando fossero avvenute modifiche
sostanziali nella linea politica del giornale.
38
I successivi contratti di lavoro furono stipulati nel
1919 e nel 1925. Con il contratto del 1919 fu introdotta la
tredicesima mensilità, l’indennità in caso di malattia e gli scatti
di anzianità.
Con l’avvento del fascismo e l’approvazione delle
prime misure repressive nei confronti dell’informazione, la
Federazione della Stampa iniziò una intensa azione di lotta a
tutela della libertà dei giornalisti e degli organi di
informazione. Nel 1924 si svolse a Palermo l’ultimo congresso
della Federazione, nel quale furono riaffermati i valori della
libertà di stampa e duramente criticati i provvedimenti
governativi.
Nel 1926 a seguito delle leggi “fascistissime”, che
abrogavano la libertà di stampa e la libertà di associazione, la
Federazione della Stampa, come le altre organizzazioni
sindacali e i partiti politici, fu soppressa.
Al suo posto nacque nel 1927 il Sindacato Nazionale
Fascista dei giornalisti.
La struttura del sindacato fascista dei giornalisti
rispondeva ai canoni del nuovo stato corporativo e si
inquadrava in una complessa rete legislativa che il regime mise
a punto tra il 1928 e il 1941.
A differenza della FNSI, che era stata una libera
associazione di natura privatistica, il sindacato fascista aveva
personalità giuridica riconosciuta. Si articolava in sindacati
interprovinciali che rappresentava, per legge, sul piano
nazionale.
In questo periodo furono stipulati tra il sindacato
fascista e l’associazione nazionale fascista degli editori di
giornali tre contratti collettivi (5 marzo 1928, 2 febbraio 1932 e
22 febbraio 1939).
Questi contratti, che peraltro recepivano integralmente
la normativa dei contratti precedenti, avevano, in conseguenza
39
del mutato quadro giuridico del lavoro, una diversa natura.
Mentre i contratti precedenti erano accordi di diritto privato
con valore cogente limitato alle parti stipulanti, i contratti
firmati nel regime corporativo erano contratti di diritto
pubblico, avevano valore di legge e si applicavano, quindi,
automaticamente a tutti i rapporti di lavoro giornalistico.
Con la caduta del fascismo si ricostituiva, già dal 26
luglio 1943, la Federazione Nazionale della Stampa Italiana il
cui primo congresso si celebrò, non a caso, a Palermo, nella
stessa città dove si era svolto l’ultimo congresso della libera
Federazione prima della sua soppressione, dal 6 all’8 ottobre
del 1946. Memore delle sue tradizioni storiche la Federazione
si ricostituiva, come nel passato, in Federazione di
Associazioni Regionali di Stampa con propria autonomia
politica e organizzativa.
Nel corso di questo mezzo secolo di vita repubblicana
la FNSI ha celebrato 27 congressi, di cui l’ultimo a Chianciano
Terme nel gennaio del 2015, ed ha rinnovato con la
Federazione Italiana Editori Giornali 24 contratti nazionali di
lavoro (il primo firmato il 23 luglio 1947, l’ultimo il 24 giugno
2014).
Il 3 ottobre 2000 è stato firmato con Aer, Anti e
Corallo,
organizzazioni
di
categoria
maggiormente
rappresentative, il primo contratto collettivo di lavoro per la
regolamentazione del lavoro giornalistico nelle imprese di
radio diffusione sonora e televisiva di ambito locale. Questo
contratto ha una rilevanza “storica” in quanto ha introdotto il
principio della articolazione contrattuale del lavoro
giornalistico in considerazione della diversa tipologia
aziendale.
I contratti collettivi firmati nel nuovo regime giuridico
post-corporativo sono tornati ad essere contratti di diritto
privato ed hanno, quindi, valore di accordi validi tra le sole
40
parti stipulanti, ma con DPR 16 gennaio 1961, in attuazione
della legge 14 luglio 1959, n. 741, che delegava il governo ad
emanare norme che equiparassero i trattamenti di tutti i
lavoratori appartenenti alla stessa categoria, il contratto di
lavoro giornalistico stipulato nel 1959 fu reso obbligatorio erga
omnes.
Significative battaglie sostenute dal sindacato dei
giornalisti dal dopoguerra ad oggi a favore della categoria sono
state quelle per il riconoscimento giuridico dell’Istituto di
Previdenza (INPGI), nel 1951, per la nascita dell’Ordine
Professionale (1963), per la costituzione della Cassa di
Assistenza Integrativa per i Giornalisti Italiani (Casagit 1974),
per la costituzione del Fondo di Pensione Complementare dei
Giornalisti Italiani (1987).
Non meno significative sono state le iniziative della
Federazione in difesa della libertà di stampa e del pluralismo
informativo. Basterà ricordare a questo proposito, limitandoci
alle realizzazione forse più rilevante, come la Federazione della
Stampa si è posta negli anni ’70 alla guida di un vasto
movimento di riforma, che ha portato nel 1981
all’approvazione della legge sull’Editoria (Legge 5 agosto
1981, n. 416), che, insieme ai contributi economici alle aziende
per favorirne il rinnovamento tecnologico, ha previsto per la
prima volta una normativa anti-trust, l’istituzione del Garante
per l’editoria, del registro della stampa e ha reso obbligatoria la
pubblicazione dei bilanci, norma che ha realizzato a distanza di
quasi 40 anni dalla sua approvazione, il dettato costituzionale
(art. 21) sulla pubblicità dei mezzi di finanziamento della
stampa periodica.
Tra gli interventi più recenti della FNSI deve essere
ricordato l’impegno per la riforma della legge sull’editoria
(Legge 7 marzo 2001 n.62), per la regolamentazione degli
Uffici Stampa negli enti pubblici (Legge 7 giugno 2000 n.150),
41
per l’estensione della tutela previdenziale dell’INPGI anche ai
giornalisti pubblicisti in regime di lavoro sia autonomo che
subordinato (art.76 della Legge 23 dicembre 2000 n.388), per
la revisione delle norme della legge sulla stampa del codice
penale relative alla diffamazione a mezzo stampa.
42
43
Cap. III
La regolamentazione contrattuale del rapporto di lavoro
Come abbiamo già ricordato, il contratto collettivo
(Contratto Nazionale di Lavoro Giornalistico) ha una lunga
tradizione che risale al 1911, quando fu sottoscritta la
Convenzione d’Opera Giornalistica. Limitato inizialmente ai
soli giornalisti che lavoravano nelle testate quotidiane, la sua
applicazione è stata estesa nel tempo alle aziende editrici di
periodici, alle agenzie di stampa e alla RaiTv. Il contratto, così
come prevede l’articolo 39 della Costituzione (“i sindacati…
possono, rappresentati unitariamente in proporzione dei loro
iscritti, stipulare contratti collettivi di lavoro con efficacia
obbligatoria per tutti gli appartenenti alle categorie alle quali
il contratto si riferisce”), è stato stipulato periodicamente tra la
Federazione Nazionale della Stampa Italiana e la Federazione
Italiana Editori Giornali, che ha la rappresentanza sindacale
delle aziende editoriali della carta stampata. E’, quindi, come
dicevamo, un contratto di diritto privatistico applicabile ai
rapporti di lavoro individuali intercorrenti tra aziende e
lavoratori entrambi iscritti alle Associazioni stipulanti, ovvero
alle aziende aderenti alla Fieg e ai giornalisti iscritti alle
Associazioni Regionali di Stampa. Il contratto giornalistico,
come tutta la contrattazione collettiva di diritto privato, ha
efficacia vincolante limitatamente agli iscritti ai soggetti
collettivi stipulanti o a quanti esplicitamente o implicitamente
vi abbiano aderito.
Si deve, tuttavia, tener presente, che in base dell’art.
36 della Costituzione ogni lavoratore ha diritto ad una
retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del lavoro
svolto. In applicazione di questo principio costituzionale il
Magistrato chiamato a stabilire quale debba essere la giusta
44
retribuzione di chi ha prestato opera di natura giornalistica, pur
non essendo iscritto al Sindacato dei giornalisti o per
un’azienda non iscritta alla Federazione degli Editori, può
utilizzare i trattamenti minimi definiti nel contratto
giornalistico come parametro per riconoscere al lavoratore
giornalista il cosiddetto “minimo costituzionale”, fermo
restando che spetta in questo caso sempre al giudice di merito
valutare sul singolo caso concreto l’adeguatezza della
retribuzione. In tal caso il giudice oltre cha ai parametri della
contrattazione collettiva, può tener presente anche il livello
dell’azienda e la natura e le caratteristiche dell’attività svolta.
Non va, però dimenticato che il contratto collettivo del
10 gennaio 1959, è stato esteso erga omnes per effetto del DPR
16 gennaio 1961, il quale stabiliva che “i rapporti di lavoro
costituiti per le attività per le quali è stato stipulato il Contratto
Nazionale di Lavoro 10 gennaio 1959 per i giornalisti”
dovessero essere regolati “da norme giuridiche uniformi alle
clausole del contratto anzidetto”. Ne consegue che tutta la
normativa contenuta in quel contratto continua ad avere
efficacia di legge e, quindi, deve trovare applicazione in
qualsiasi azienda editoriale e nei confronti di qualunque
giornalista dipendente.
Ciò premesso, in conseguenza della natura giuridica
privatistica del contratto collettivo e dei limiti di
rappresentanza della Fieg, cui sono associate soltanto le
aziende editoriali dei quotidiani, dei periodici e delle agenzie di
stampa, il contratto nazionale di lavoro giornalistico non ha
automatica applicazione nei confronti dei giornalisti che
lavorano nella radio e nella televisione pubblica e privata o
negli altri mezzi di comunicazione di massa. Questa condizione
ha comportato la necessità per il Sindacato dei giornalisti di
sottoscrivere una convenzione con la RAI e, separatamente,
con le altre aziende dei network nazionali, per l’estensione
45
della normativa del cnlg ai giornalisti che operano nei media
radiotelevisivi.
Per questi stessi motivi di natura giuridica e per
rispondere alla necessità di individuare nei nuovi segmenti
informativi, differenti e più articolati rispetto a quelli
tradizionali, tutele contrattuali capaci di garantire trattamenti
minimi inderogabili normativi ed economici, allo storico
contratto tra la Fieg e la Fnsi, si è affiancato, a partire
dall’ottobre del 2000 un contratto collettivo, stipulato tra Fnsi e
Aeranti-Corallo che regolamenta il lavoro giornalistico nelle
imprese di radiodiffusione sonora e televisiva in ambito locale,
nelle loro sindycations e agenzie di informazione radiofonica.
Questo contratto è stato reso necessario anche perché altre
organizzazioni sindacali avevano sottoscritto con la FRT la
Federazione delle Radio Televisioni, un’organizzazione
associativa dell’emittenza radiotelevisiva privata, uno specifico
contratto collettivo di lavoro nel quale è prevista la figura del
“addetto all’informazione-telereporter”. Una figura, come è
evidente, che poteva dar luogo ad equivoci interpretativi e fare
intendere che in tale regolamentazione contrattuale si potessero
far rientrare anche le prestazioni lavorative dei giornalisti. A
favorire tale ambiguità interpretativa è anche la dizione di quel
contratto in cui nella qualifica del telereporter si specifica
“anche se già iscritto ad albi o ordini professionali”.
L’equivoco interpretativo è stato, però, definitivamente chiarito
dalla giurisprudenza (Cass. sent. n. 6932 del 2000) che ha
esplicitamente confermato che il contratto FRT “concernente le
televisioni private ha un contenuto eminentemente tecnico”.
Questo contratto
regolamenta mansioni in cui prevale
l’aspetto tecnico inerente le produzioni televisive rispetto a
quello intellettuale proprio del giornalista tenuto alla scelta e
alla diffusione delle notizie.
46
Il contratto Aeranti-Corallo-Fnsi trova, peraltro,
esplicito riconoscimento anche da parte delle aziende associate
alla Fieg. Infatti nell’art.1 del contratto Fieg-Fnsi si prevede la
sua automatica applicazione ai giornalisti dipendenti da
emittenti radiotelevisive di ambito locale collegate con aziende
editoriali, riconoscendone la validità come contratto collettivo
di settore.
Ovviamente, e non è questa una norma di secondaria
importanza, in tutte le emittenti radiotelevisive locali collegate
con aziende Fieg e nelle quali era obbligatoria l’applicazione
del contratto Fieg-Fnsi, lo stesso continua a trovare integrale
applicazione nei confronti di tutti i giornalisti già dipendenti
alla data di sottoscrizione del contratto nazionale dell’11 aprile
2001.
Nel corso del 2010 ai contratti collettivi si è aggiunto
un accordo contrattuale stipulato dalla Fnsi con l’Uspi,
l’Unione della Stampa Periodica Italiana, che ha regolamentato
alcune specifiche qualifiche giornalistiche, inquadrate sia in
regime di lavoro subordinato che in regime di lavoro
autonomo, che trovano applicazione nelle testate periodiche di
informazione a diffusione locale, purché non siano collegate ad
aziende che editano quotidiani o periodici nazionali. La stessa
normativa trova applicazione nei confronti delle testate
periodiche nazionali quando siano no profit.
Con l’estensione dei confini della professione
giornalistica è probabile che in futuro intervengano altre intese
contrattuali per la regolamentazione del lavoro giornalistico in
settori produttivi non rappresentati dai soggetti che hanno sino
ad oggi sottoscritto i contratti collettivi di categoria. E’ il caso,
per esempio, degli uffici stampa. Nel contratto Fieg-Fnsi è
specificato che la sua normativa trova applicazione anche negli
uffici stampa “comunque collegati ad aziende editoriali”. Il che
significa ovviamente che quel contratto non si applica a tutti i
47
giornalisti che lavorano negli uffici stampa. Cosa, peraltro,
ovvia in quanto il contratto collettivo ha natura giuridica
privatistica e impegna esclusivamente i soggetti che lo hanno
sottoscritto e quindi, per parte editoriale, soltanto le aziende
editrici di giornali. E’ da ricordare che, per quanto attiene il
settore pubblico, la legge 7 giugno 2000 n. 150 (Disciplina
delle attività di informazione e di comunicazione delle
pubbliche amministrazioni) ha previsto la possibilità per gli
enti pubblici di istituire uffici stampa, anche consorziati, cui
adibire esclusivamente giornalisti iscritti all’albo professionale.
La legge ha stabilito che il profilo professionale dei giornalisti
addetti agli uffici stampa degli enti pubblici debba essere
definito nella contrattazione collettiva di settore. Nonostante
siano passati 15 anni dall’entrata in vigore della legge l’aspetto
contrattuale non è stato ad oggi ancora definito. Ciò non toglie
che, in prospettiva e proprio in adempimento di una normativa
di legge, si debba arrivare ad una specifica regolamentazione
contrattuale per i giornalisti che prestano attività lavorativa
nella pubblica amministrazione.
I contratti collettivi di categoria si applicano ai
giornalisti, cioè a tutti coloro che ai sensi della legge istitutiva
dell’ordinamento professionale, risultino iscritti all’albo dei
giornalisti nell’elenco dei professionisti o dei pubblicisti,
ovvero nel registro dei praticanti. Storicamente, il contratto
collettivo è nato per regolare le prestazioni lavorative dei
giornalisti
professionisti.
Nel
tempo,
a
seguito
dell’utilizzazione delle prestazioni di lavoro dei pubblicisti, si è
resa necessaria anche una tutela di questi ultimi.
Il processo di parificazione nei trattamenti economici
e normativi delle due categorie è stato graduale, ma oggi può
considerarsi ormai compiuto. L’intera normativa del contratto
collettivo si applica senza alcuna discriminazione di
appartenenza ordinistica a tutti i giornalisti, siano essi
48
professionisti o pubblicisti. Permane la sola specifica figura del
pubblicista nelle redazioni decentrate e negli uffici di
corrispondenza di cui parleremo più specificamente, quando
affronteremo il tema dell’organizzazione del lavoro.
Le normative dei due contratti collettivi sono,
ovviamente, differenti, rispondendo alle specificità dei relativi
settori, ma mantengono inalterato l’impianto di tutele di una
particolare prestazione lavorativa, quale è quella giornalistica,
che, pur svolgendosi in regime di subordinazione mantiene
sempre le sue caratteristiche di autonomia professionale. Non a
caso, l’articolo 1 di entrambi i contratti richiama esplicitamente
la legge istitutiva dell’ordinamento professionale, i diritti e gli
obblighi cui i giornalisti sono tenuti per la loro appartenenza ad
un albo, limitando il vincolo giuridico di fedeltà al datore di
lavoro con il vincolo all’autonomia e al rispetto della
deontologia professionale.
Che il contratto di lavoro giornalistico abbia
caratteristiche particolari, dovendo sempre contemperare
autonomia professionale e vincolo di subordinazione, lo si
evince con chiarezza dall’esame delle sue singole norme che lo
rendono un unicum nel panorama della contrattualistica
collettiva.
Verifichiamo, quindi, queste specificità partendo dal
cnlg Fieg-Fnsi per esaminare successivamente i contenuti del
contratto Aeranti-Corallo-Fnsi e dell’accordo Uspi-Fnsi.
49
Cap. IV
La regolamentazione contrattuale nei quotidiani, nei
periodici, nelle agenzie di stampa e nelle emittenti
radiotelevisive di ambito nazionale
(il contratto collettivo Fieg-Fnsi)
Si richiamano di seguito gli aspetti normativi più
rilevanti che caratterizzazione la prestazione di lavoro dei
giornalisti nei mass media tradizionali così come regolati nel
contratto collettivo di categoria stipulato tra la Fieg e la Fnsi.
La difesa della professionalità
La tutela del contenuto professionale della prestazione
giornalistica si riscontra in tutta l’articolazione contrattuale.
Oltre il richiamo alla legge istitutiva dell’Ordine Professionale,
e al “diritto insopprimibile dei giornalisti alla libertà di
informazione e di critica”, di cui abbiamo già parlato, vi sono
nel contesto contrattuale altri aspetti rilevanti che devono
essere sottolineati. E’ il caso per esempio dell’articolo 9 nel
quale si stabilisce il così detto “diritto di paternità” del singolo
articolo, ovvero il divieto di apportare modifiche ed
integrazioni agli articoli o ai servizi firmati, senza il consenso
del loro autore e l’obbligo di pubblicarlo non firmato quando
l’autore dell’articolo non concordi con le modifiche.
E’ il caso dell’articolo 34, di cui parleremo dopo, nel
quale si prevede il diritto di ogni singolo giornalista di
intervenire tramite il comitato di redazione quando ravvisi un
pregiudizio alla propria funzione professionale e in tema di
completezza dell’informazione.
50
E’ il caso dell’articolo 44 (rapporto tra informazione e
pubblicità), che riconosce il diritto dell’utente lettore ad una
corretta informazione sempre facilmente distinguibile dal
messaggio pubblicitario e che prevede l’obbligo di rendere
chiaramente individuabile la pubblicità, anche attraverso
precisa indicazione. In tale linea di chiarezza si inserisce il
divieto di utilizzare come materiale pubblicitario gli articoli
scritti dal giornalista nell’ambito della sua normale attività
redazionale.
In questo quadro si inserisce anche la normativa
sull’aggiornamento professionale che prevede diversi livelli di
operatività: quello nazionale per iniziative concordate tra Fieg
ed Fnsi, quello aziendale concordato tra comitato di redazione
e azienda e quello individuale. A tale proposito la norma
specifica che ciascuna azienda è tenuta a favorire la
partecipazione dei singoli giornalisti a corsi di aggiornamento,
seminari, iniziative culturali-professionali che riguardino le
loro specifiche competenze.
Un’ultima annotazione deve essere fatta sul così detto
diritto di esclusiva. La norma contrattuale prevede che quando
il giornalista sia stato assunto con la clausola di esclusività non
possa collaborare né assumere altri incarichi senza
l’autorizzazione scritta del direttore e dell’editore, ma in ogni
caso il giornalista, ancorché in esclusiva, può sempre
manifestare le proprie opinioni attraverso altre pubblicazioni di
carattere culturale, religioso, politico o sindacale.
Il direttore e l’area di direzione
La figura del direttore svolge in ogni testata
giornalistica un ruolo di centralità ineludibile. Non a caso è
spesso paragonato, per i poteri che esercita, al comandante di
una nave. Poteri che gli derivano in parte dalla legge, che
51
imputa al direttore la responsabilità penale di tutti i reati
realizzati a mezzo stampa, in parte e soprattutto dall’articolo 6
del contratto collettivo. Il direttore, come qualsiasi altro
giornalista dell’azienda, è un giornalista dipendente, cui si
applicano tutti i diritti e i doveri derivanti dal contratto
collettivo, ma possiede poteri, indicati dal contratto, che
normalmente, in tutti gli altri settori produttivi, appartengono
alla sfera decisionale dell’imprenditore. Infatti, in base
all’articolo 6, è il direttore che propone le assunzioni e i
licenziamenti dei giornalisti, ed è sua competenza specifica ed
esclusiva “fissare ed impartire le direttive politiche e tecnicoprofessionali del lavoro redazionale, stabilire le mansioni del
giornalista, adottare le decisioni necessarie per garantire
l’autonomia della testata… dare le disposizioni necessarie al
regolare andamento del servizio e stabilire gli orari”.
In definitiva, con l’articolo 6 si determina una
differenziazione di competenze all’interno di ogni azienda
editoriale, in base alla quale, fermi restando i diritti gestionali e
amministrativi propri dell’imprenditore, tutto quanto attiene la
gestione e l’organizzazione del lavoro giornalistico è sottratto
alle possibilità di intervento dell’imprenditore e affidato al
direttore.
Peraltro, la limitazione dei poteri imprenditoriali nella
organizzazione del lavoro giornalistico e nella quotidiana
fattura del prodotto è evidenziata dalle procedure indicate
nell’articolo 6 sulla nomina del direttore. Infatti, la norma
prevede che, fermi restando i suoi poteri contrattuali, le facoltà
del direttore devono essere determinate da accordi da stipularsi
con l’editore che non possono, comunque, risultare in
contrasto con le norme sull’ordinamento professionale e con
quelle contrattuali. Gli accordi tra editore e direttore “con
particolare riguardo alla linea politica, all’organizzazione e allo
sviluppo del giornale” devono essere comunicati integralmente
52
al corpo redazionale “contemporaneamente alla comunicazione
della nomina del direttore”. Successivamente e quale suo primo
atto il direttore, al momento dell’insediamento, illustra
all’assemblea dei redattori i contenuti dell’accordo stipulato
con l’editore e il programma politico-editoriale concordato. Da
queste previsioni procedurali si deduce che il ruolo
dell’imprenditore si limita alla scelta e alla nomina del
direttore e alla indicazione in un documento scritto della linea
politica del giornale. Spetta al direttore nella sua piena
autonomia professionale e nell’ambito dell’incarico concordato
con l’editore, provvedere quotidianamente a definire e
coordinare i contenuti del giornale senza alcuna interferenza da
parte dell’editore.
Nell’ambito della direzione di ciascuna testata il
contratto individua l’area direzionale, composta oltre che dal
direttore anche dagli eventuali condirettori e vicedirettori, i cui
compiti specifici rientrano tra le competenze che il contratto
assegna al direttore e con il quale devono, perciò, essere
concordate caso per caso. Queste qualifiche, in quanto
appartengono all’area direzionale, sono giuridicamente
inquadrabili tra quelle apicali previste dal Codice Civile (art.
2095).
Le qualifiche e l’organizzazione del lavoro
Di norma l’organizzazione del lavoro redazionale che,
come abbiamo visto, è affidata alla competenza esclusiva del
direttore, sentito il comitato di redazione, si articola nella
suddivisione di singoli servizi di competenza (interni, esteri,
economia, cultura, cronaca ecc.) affidati alla responsabilità di
capi servizio e coordinati da uno o più redattori capo.
Le qualifiche di ogni organico redazionale sono
definite in alcuni articoli contrattuali, in particolare negli
53
articoli 2 (collaboratori fissi), 11 (qualifiche), 12
(corrispondenti), 35 (praticanti).
La scala gerarchica prevede nel gradino più basso la
figura del praticante, assimilabile in parte all’apprendista, che
in quanto tale è tenuto a svolgere la pratica giornalistica a
rotazione in tutti i settori produttivi della redazione e deve
essere affidato per l’apprendimento alla guida di un
caposervizio o da un redattore delegato (tutor). Il praticante è
un lavoratore subordinato a tutti gli effetti ed ha tutti i diritti
economici e normativi degli altri giornalisti, nei limiti indicati
dall’articolo 35. Egli ha un particolare trattamento economico e
matura il diritto al trattamento del redattore ordinario dal
momento in cui dà comunicazione scritta all’azienda del
superamento degli esami di idoneità professionale. Nel
passaggio, quindi, da praticante a redattore non vi è risoluzione
di rapporto, bensì continuità.
Al di sopra del praticante si colloca la fascia dei
redattori ordinari, che sono suddivisi in due categorie: i
redattori con più e quelli con meno di 30 mesi di anzianità
professionale. E’ bene precisare che l’anzianità professionale
decorre dalla data di iscrizione all’albo e non coincide quindi
con l’anzianità aziendale. Ai redattori possono essere affidate
dal direttore le mansioni che lui ritiene più opportune e
possono essere spostati da un servizio all’altro, sempre su
decisione del direttore, ma ovviamente sempre nel rispetto
dell’articolo 2103 del codice civile che vieta la possibilità di
adibire un lavoratore a mansioni inferiori a quelle
precedentemente svolte.
La norma contrattuale, tuttavia, a differenza della
maggioranza dei contratti collettivi,
non contiene una
declaratoria della mansioni giornalistiche, limitandosi ad
elencarne alcune (vaticanista, informatore politicoparlamentare, critico, inviato ecc.), alle quali, per
54
l’impossibilità di definirne l’orario di lavoro giornaliero, è
attribuita una particolare indennità. Questo vuoto normativo
non è certo casuale, non potendosi rigidamente delineare i
confini e i contenuti di mansioni che variano da testata a
testata, ma provoca molto spesso conflitti, anche giudiziari, sul
demansionamento.
Subito dopo la fascia dei redattori il contratto
individua le qualifiche gerarchiche e professionali, a partire da
quella del capo servizio (il giornalista a cui sia stata affidata la
responsabilità di un determinato servizio e che ha la
responsabilità gerarchica del lavoro di un certo numero di
redattori e/o collaboratori fissi), al quale è assimilata quella di
redattore senior (per “riconosciuta notevole esperienza”) e, a
salire, di redattore capo (il giornalista a cui sia affidata la
responsabilità di coordinare il lavoro dei vari servizi
redazionali).
Questa articolazione classica del lavoro redazionale si
è arricchita nel tempo di nuove figure, in particolare mediante
l’introduzione delle mansioni vicarie di vice capo servizio (a
cui è assimilato il redattore esperto, intendendosi per tale il
giornalista con una particolare esperienza e almeno 8 anni di
permanenza nella qualifica di redattore ordinario), e di vice
capo redattore e degli incarichi funzionali per le figure
dell’inviato e del capo redattore centrale. Delle figure
funzionali ci soffermeremo in seguito quando esamineremo la
normativa sulla flessibilità, mentre, per quanto riguarda le
figure vicarie, occorre specificare che non si tratta di
qualifiche. Il vice capo servizio (scelto tra i redattori del
servizio) e il vice capo redattore (scelto tra i capi servizio)
sostituiscono rispettivamente il capo servizio e il capo redattore
in caso di assenza di questi, ma normalmente svolgono le
mansioni della loro qualifica di appartenenza.
55
Nell’organico redazionale devono essere ricompresi
anche i collaboratori fissi (art. 2), ovvero quei giornalisti che
pur non fornendo opera quotidiana e pur non vincolati da un
orario di lavoro, prestano la loro opera con continuità e in
regime di subordinazione assicurando la copertura di uno
specifico servizio giornalistico. La particolare forma di lavoro
del collaboratore fisso trae origine dalla specificità del lavoro
subordinato del giornalista, che può essere inserito attivamente
e continuativamente nell’azienda editoriale, anche senza
svolgere opera quotidiana, pur restando un lavoratore
subordinato. In base alla norma contrattuale si riscontra una
collaborazione fissa quando vi siano i requisiti del vincolo di
dipendenza, della responsabilità di un servizio e della
continuità della prestazione. Il vincolo di dipendenza è,
ovviamente, inteso in termini molto attenuati e si concretizza
quando il giornalista abbia messo a disposizione la propria
opera in relazione alla specifica prestazione lavorativa che gli è
stata richiesta. La responsabilità di un servizio si estrinseca
nell’impegno del giornalista collaboratore di trattare con
continuità, mediante la redazione di articoli, uno specifico
settore o specifici argomenti di informazione. Il collaboratore
fisso mette a disposizione le proprie energie lavorative al fine
di fornire con continuità ai lettori della testata un flusso di
notizie in una specifica e predeterminata area
dell’informazione, mediante la sistematica redazione di articoli
o con la tenuta di specifiche rubriche (Cass. Civile, sez. lav. n.
7931 del 9 giugno 2000, Cass. Civile sez. lav. n. 4047 del
2003, Cass. Civile sez. lav. n. 16543 del 21 agosto 2004).
Sulla base di queste precisazioni contrattuali è
evidente che al collaboratore fisso non possono essere imposte
né la presenza giornaliera in redazione, né l’osservanza di un
orario di lavoro. Nella sostanza, la differenza tra un giornalista
ex art. 1 (redattore a tempo pieno) e un giornalista ex art. 2
56
(collaboratore fisso) si riscontra proprio in questi elementi. Il
giornalista ex art. 1 è obbligato a svolgere le proprie
prestazioni quotidianamente, mentre il collaboratore fisso non è
obbligato ad una prestazione quotidiana. Ma esiste anche una
differenza qualitativa delle prestazioni. Lo svolgimento della
così detta attività di “cucina” redazionale, come la
partecipazione alle riunioni di redazione, al “disegno” e
all’impaginazione, alla scelta dei titoli ecc. è di competenza
esclusiva del giornalista ex art. 1. Inoltre, mentre al giornalista
ex art. 1 si chiede una prestazione temporale continuativa, al
collaboratore fisso si chiede una somma di singole prestazioni
(articoli, servizi, ecc.).
E’, infine, da richiamare la figura del corrispondente
(art. 12), ovvero del giornalista che assicura l’informazione da
un comune, diverso da quello dove sono collocate la redazione
centrale e le redazioni decentrate del giornale. In
considerazione della diversa dimensione dei comuni italiani la
norma contrattuale prevede trattamenti minimi differenziati
secondo che si tratti di capoluoghi di regione, di provincia o di
altri centri, classificati sulla base della popolazione. Il
corrispondente
è
normalmente
tenuto
a
mettere
quotidianamente a disposizione della redazione da cui dipende
la propria attività che deve essere finalizzata alla ricerca e
raccolta di notizie locali, sulla base delle direttive impartitegli
circa la loro scelta le modalità di composizione e di
comunicazione.
Il corrispondente da un comune, da una provincia o da
una regione non va confuso con il corrispondente da Roma di
testate nazionali che hanno la redazione centrale in un'altra
città o con i corrispondenti dalle capitali estere e da New
York. Questi corrispondenti (art. 5) sono giornalisti a tempo
pieno ai sensi dell’art. 1 del Cnlg ed hanno perciò il trattamento
economico e normativo del redattore ordinario, a cui si
57
aggiunge un’indennità compensativa del 15% della
retribuzione mensile. I corrispondenti da Parigi, Londra,
Bruxelles, Washington, Mosca, Pechino, Tokio, New York,
Ginevra e Berlino hanno diritto al trattamento economico e
normativo del capo servizio, con l’aggiunta, ovviamente,
sempre dell’indennità compensativa del 15%.
Nell’organizzazione del lavoro giornalistico un ruolo
sempre più rilevante ha acquisito nel tempo l’informazione
locale, determinando la necessità di affiancare alla redazione
centrale redazioni decentrate e uffici di corrispondenza sparsi
sul territorio con il compito di realizzare le pagine dedicate alla
informazione locale. Il contratto stabilisce che per redazione
decentrata si deve intendere quella istituita in un comune
diverso dalla sede della redazione centrale, con il compito di
preparare quotidianamente e integralmente (comprendendo
quindi anche la titolazione e l’impostazione del menabò) una o
più pagine di cronaca locale, mentre per ufficio di
corrispondenza si deve intendere quello istituito in un comune
diverso dalla sede della redazione centrale o delle redazioni
decentrate, dove si raccoglie e si coordina il materiale
trasmesso dai corrispondenti e dagli informatori, per poi
trasmetterlo nella sede dove si confezionano le pagine, che può
essere la redazione centrale o una redazione decentrata.
Ovviamente, tutto il lavoro che si svolge nelle
redazioni decentrate e negli uffici di corrispondenza deve fare
sempre riferimento alla responsabilità del direttore e deve
svolgersi nell’ambito dell’organizzazione del lavoro da questi
fissato e delle direttive politiche e tecnico-professionali
ricevute.
Nelle redazioni decentrate e negli uffici di
corrispondenza il contratto individua una ulteriore figura che è
quella del pubblicista addetto alle redazioni decentrate e agli
uffici di corrispondenza. Si tratta di un ruolo che può essere
58
svolto esclusivamente da chi è iscritto negli elenchi dei
pubblicisti (e che in quanto tali esercitano altre professioni o
impieghi) ed appare quindi precluso ai giornalisti
professionisti. In buona sostanza il giornalista pubblicista nelle
redazioni decentrate e negli uffici di corrispondenza è tenuto a
svolgere attività giornalistica continuativa e subordinata, ma
con un orario di lavoro che non può superare le 24 ore a
settimana. In conseguenza di questa limitazione di orario il
pubblicista ha diritto a un particolare trattamento economico
ridotto e a uno specifico trattamento normativo che è indicato
nell’articolo 36.
La struttura della retribuzione
La retribuzione del giornalista è normalmente
composta da una quota base e da elementi aggiuntivi
determinati dalla particolarità della prestazione. La quota base
è costituita dal così detto minimo tabellare, che varia da
qualifica a qualifica, e dalla indennità di contingenza, ormai
un residuo di un superato meccanismo di aggiornamento
retributivo. Dai primi anni del dopoguerra in poi le
organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro
avevano individuato un meccanismo di indicizzazione salariale
che consentiva periodicamente di adeguare gli stipendi al costo
della vita. In base a questo meccanismo nelle retribuzioni di
tutti i lavoratori veniva inserita la indennità di contingenza.
Con accordo interconfederale dell’8 luglio 1993,
successivamente recepito dalla FNSI e dalla FIEG, il sistema
di indicizzazione dei salari è stato abolito e l’indennità di
contingenza è stata congelata ai valori dell’aprile 1992.
A queste due voci si devono aggiungere gli aumenti
periodici di anzianità, nella misura del 6% calcolato sul
minimo della qualifica di appartenenza maggiorato
59
dell’indennità di contingenza, e nel numero massimo di
quindici. Di questi, i primi tre scattano ad ogni biennio di
permanenza nella stessa azienda, gli altri ad ogni successivo
triennio.
La retribuzione base viene poi incrementata da altre
voci legate alla particolarità della prestazione, come per
esempio le maggiorazioni per lavoro domenicale, per il lavoro
festivo infrasettimanale, per il lavoro notturno o per il lavoro
straordinario. In merito a questo ultimo aspetto bisogna
ricordare che, benché il contratto collettivo preveda un orario
di lavoro del giornalista di 36 ore a settimana, questo orario
non deve intendersi come tassativo, bensì di massima, in
considerazione della peculiarità della prestazione giornalistica.
Non a caso la norma sull’orario di lavoro si apre con una
dichiarazione in cui si afferma che “le parti concordano nel
ritenere che l’esercizio dell’attività giornalistica rende difficile
l’esatta determinazione del numero delle ore di lavoro e della
loro distribuzione”.
Proprio questa difficoltà favorisce in molte aziende
l’uso della forfettizzazione del lavoro straordinario e lo stesso
contratto collettivo esclude dall’osservanza dell’orario tutte le
qualifiche e le funzioni di vertice dell’organizzazione
redazionale e tutte quelle mansioni che vengono normalmente
svolte all’esterno della redazione. Per tutti i giornalisti che
ricoprono tali incarichi viene riconosciuta una indennità
compensativa.
Molto spesso ai minimi tabellari si aggiungono
superminimi aziendali (previsti dai contratti integrativi
aziendali), e superminimi individuali, contrattati direttamente
tra il singolo giornalista e il suo editore.
La retribuzione del giornalista si completa con la
tredicesima mensilità (una mensilità aggiuntiva pari ai 30/26
della retribuzione mensile), percepita insieme alla retribuzione
60
di dicembre, e con la indennità redazionale e relativa aggiunta,
un particolare istituto economico, di fatto congelato nei rinnovi
dell’ultimo ventennio e che consiste in una cifra, differenziata
per qualifica, che il giornalista percepisce nel mese di giugno.
Al momento della risoluzione del rapporto il
giornalista ha diritto al trattamento di fine rapporto (TFR), il
cui meccanismo di calcolo ormai regolato dalla legge (articolo
2120 del Codice Civile) è identico per tutti i lavoratori, nonché
all’indennità di mancato preavviso, quando la risoluzione del
rapporto avvenga per fatto dell’editore o per raggiunti limiti di
età. L’indennità di mancato preavviso, che sostituisce un
vecchio istituto contrattuale, la così detta “indennità fissa”, è
commisurata alla retribuzione di 8 mensilità, qualunque sia la
qualifica ricoperta dal giornalista.
Gli strumenti della flessibilità
Nel contratto collettivo sono stati introdotti elementi
innovativi nell’organizzazione del lavoro, con lo scopo di
coniugare le esigenze di una maggiore flessibilità nell’esercizio
dell’attività professionale resa in regime di lavoro subordinato
con le garanzie di autonomia tipiche della professione
giornalistica.
In particolare, con la regolamentazione dei contratti a
termine, dei contratti a tempo parziale, del ricorso al lavoro
temporaneo, con l’introduzione nell’art.4 della possibilità di
lavorare per più testate e la previsione nell’art.11 di funzioni a
termine.
I contratti a termine (art.3). I contratti a termine,
ovvero limitati in un tempo predefinito, erano regolati dalla
L.230 del 1962 che stabiliva il principio fondamentale in base
al quale il contratto di lavoro subordinato dovesse ritenersi
sempre a tempo indeterminato. Di conseguenza, il contratto a
61
termine era considerato un’eccezione possibile soltanto nei casi
tassativamente previsti dalla legge.
Successivamente, la rigidità della disposizione
legislativa è stata superata dalla L.56 del 1987 che ha rimesso
alla disponibilità dei soggetti deputati alla contrattazione
collettiva la possibilità di prevedere nuove fattispecie di
contratti a termine. In base a questa norma, il contratto
collettivo giornalistico, al fine di favorire la riassunzione di
giornalisti disoccupati, aveva incluso tra le causali in cui è
possibile stipulare contratti a termine, quella di assunzione di
giornalisti iscritti nell’elenco nazionale dei disoccupati, ma
aveva individuato anche altre situazioni possibili, ovvero nella
fase di avviamento di nuove iniziative editoriali; per sostituire
giornalisti assenti per ferie; per sostituire giornalisti assenti per
aspettativa; per sostituire giornalisti assenti ai sensi degli artt.6
e 7 della legge 9 .12.77 n.903 (adozione e affido) o in
aspettativa ai sensi della legislazione sulla maternità.
In aggiunta a queste, erano previste ulteriori
possibilità di assunzione con contratto a termine: nella fase di
sviluppo di nuove iniziative editoriali; nella fase di avviamento
e sviluppo di iniziative multimediali; per fronteggiare
situazioni imprevedibili che richiedano temporanee
integrazioni degli organici redazionali, previa informativa al
Cdr; per l’assunzione di direttori, condirettori e vicedirettori.
Le disposizioni sulla contrattazione a termine sono
state, però, oggetto negli ultimi anni di numerosi interventi
legislativi, spesso contraddittorii, che ne hanno modificato
sostanzialmente l’ambito di applicazione limitando le
possibilità di intervento e di miglioramento in sede di
contrattazione collettiva.
Già il Decreto legislativo 6 settembre 2001 n.368, che
recepiva nella legislazione italiana gli accordi europei in
materia, aveva allargato le possibilità di ricorso alla
62
contrattazione a termine prevedendo che si potessero stipulare
contratti di lavoro con l’apposizione di un termine di scadenza
“a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo,
organizzativo o sostitutivo”, una casistica decisamente molto
ampia, che, sempre per disposizione della nuova legge, non
poteva essere modificata nei contratti collettivi.
La materia della contrattazione a termine ha
continuato e continua ad essere tormentata dal legislatore che
sembra accanirsi su questa fattispecie con interventi che si
muovono tuttavia in direzioni opposte. La Legge 24 dicembre
2007 n. 247 ha allargato le maglie della contrattazione a
termine e ristretto le possibilità di intervento della
contrattazione collettiva. Con la Legge 28 giugno 2012 n. 92
(disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in
una prospettiva di crescita), meglio nota come Legge Fornero,
subito modificata con decreto legge 28 giugno 2013 n. 76
(primi interventi urgenti per la promozione dell’occupazione)
si è stabilito il principio che il contratto di lavoro subordinato a
tempo indeterminato “costituisce la forma comune del rapporto
di lavoro”. In questo modo si è voluto stabilire che il contratto
a termine non costituisce più una eccezionalità nel panorama
contrattuale. La normativa è stata a sua volta rivisitata,
nell’ambito del così detto jobs act, con il decreto legislativo 15
giugno 2015 n. 81 (disciplina organica dei contratti di lavoro e
revisione della normativa in tema di mansioni).
E’, perciò, alla luce di questo nuovo quadro
normativo e dei limiti di agibilità imposti dalla legge che
devono essere valutate le disposizioni contrattuali.
La normativa contrattuale ha dovuto recepire, e non
poteva fare diversamente per obbligo di legge, il precetto
legislativo che è possibile procedere ad un’assunzione a tempo
determinato, senza indicare la causale, per un periodo di durata
63
del contratto non superiore a 36 mesi, anche comprensivo di
proroghe.
Sempre la legge prevede che ogni singola azienda non
possa stipulare con lo stesso lavoratore più contratti di lavoro a
termine per lo svolgimento delle stesse mansioni o di mansioni
equivalenti per più periodi che sommati tra loro superino
complessivamente i 36 mesi, a prescindere dai periodi di
interruzione intercorrenti tra un contratto e l’altro. E’ possibile,
però, una sola proroga che deve essere stipulata presso la
Direzione provinciale del lavoro, territorialmente competente,
con l’assistenza sindacale e per un periodo di tempo definito
nella contrattazione collettiva. Il periodo di possibile proroga è
stato fissato in 12 mesi e la stipula del relativo contratto dovrà
avvenire con l’assistenza dell’Associazione Regionale di
Stampa competente.
Sempre su questo capitolo, inoltre, la normativa
contrattuale esclude che debbano essere soggetti al limite dei
36 mesi complessivi tutti i casi di assunzione a termine per
sostituzioni o nella fase di avviamento e sviluppo di nuove
iniziative. Il motivo della esclusione dal computo dei 36 mesi
dei contratti per sostituzione è evidente: molti giornalisti
disoccupati in attesa di una stabile assunzione trovano sollievo
al loro status mediante contratti a termine, in particolare nel
periodo estivo, per le sostituzioni ferie. Impedire a questi
giornalisti di poter continuare ad avere con la stessa azienda
contratti a termine per sostituzione, una volta superato il limite
massimo di 36 mesi, si sarebbe rivelata una disposizione
soltanto punitiva e che non avrebbe in alcun caso favorito la
loro stabilizzazione. E’, anche, prevista, sempre nell’ottica di
favorire la stabilizzazione dei giornalisti precari, la possibilità,
demandata a livello aziendale, di accordi, che devono essere
stipulati dai comitati di redazione con le loro aziende, per il
superamento del limiti dei 36 mesi nelle assunzioni per
64
sostituzione quando queste, sulla base di criteri definiti e
concordati, siano finalizzate a garantire la stabilizzazione. Si è
voluto, in altri termini, recepire nel contratto collettivo la
positiva esperienza realizzata dall’Usigrai all’interno della Rai
mediante la realizzazione dei cosiddetti “bacini”, ovvero di
elenchi di giornalisti contrattualizzati a termine che maturano
automaticamente il diritto all’assunzione a tempo
indeterminato dopo aver raggiunto, sommandoli, un predefinito
numero di mesi con contratti a termine. In questo caso, quindi,
quando l’obiettivo sia quello di una sicura stabilizzazione si
potranno allungare i tempi per la contrattazione a termine,
superando i limiti dei 36 mesi complessivi.
Inoltre, per l’assunzione con contratti a termine, sono
stati posti limiti numerici e percentuali rispetto all’organico
giornalistico a tempo pieno (art.1). In particolare, il numero
complessivo dei contratti a termine e di quelli di
somministrazione lavoro (che sono sempre a termine) non
potrà superare il numero massimo di 6 unità nelle aziende che
abbiano fino a 20 giornalisti dipendenti, fermo restando in
questo caso che i contratti a termine non potranno mai superare
il numero dei contratti a tempo indeterminato. Ciò significa che
nelle aziende che abbiano 6 o meno di 6 giornalisti dipendenti i
contratti a termine dovranno comunque essere in numero
inferiore.
Nelle aziende che hanno più di 20 giornalisti
dipendenti e fino a 50 il limite alle assunzioni con contratto a
termine è fissato al 30% dell’organico redazionale a tempo
pieno, mentre nelle aziende con più di 50 giornalisti dipendenti
e fino a 100, la percentuale è ridotta al 25% e ulteriormente
ridotta al 20% nelle aziende che hanno oltre 100 giornalisti
dipendenti a tempo pieno. Non sono, comunque, computati in
questi limiti le assunzioni a termine per ragioni sostitutive e per
65
la fase di avvio e sviluppo di una nuova iniziativa editoriale
che è stata complessivamente circoscritta a 36 mesi.
Il lavoro a tempo parziale. Il contratto di lavoro a
tempo parziale, sia orizzontale (con riduzione dell’orario
giornaliero) o verticale (con riduzione dell’orario settimanale o
mensile), inizialmente limitato alle sole aziende editrici di
periodici è oggi esteso a tutti i media. Sul piano legislativo la
materia è oggi regolata dal decreto legislativo 15 giugno 2015
n. 81.
La legge prevede il diritto del lavoratore che sia
affetto da patologie oncologiche o da gravi patologie cronicodegenerativi, che comportino una ridotta capacità lavorativa, di
trasformare il proprio rapporto di lavoro a tempo pieno in
rapporto di lavoro a tempo parziale e anche il diritto di
riportarlo, a richiesta, a tempo pieno.
La stessa possibilità di trasformazione del rapporto di
lavoro da full-time a part-time è consentita al lavoratore che
abbia il coniuge o un figlio o un genitore affetto dalle stesse
patologie o anche quando il lavoratore assiste una persona
convivente con totale o permanente invalidità lavorativa.
La trasformazione del rapporto di lavoro da tempo
pieno a tempo parziale può essere anche richiesta in alternativa
al congedo parentale.
Fermo restando che il giornalista con rapporto di
lavoro a tempo parziale ha diritto all’integrale trattamento
economico e normativo contrattualmente previsto per il
giornalista a tempo pieno, riproporzionato sull’impegno orario
di lavoro, la norma del contratto tende a garantire, in
particolare, i passaggi dal tempo pieno al tempo parziale. La
trasformazione di un rapporto di lavoro a tempo pieno in essere
in un rapporto part-time, non rientra nella disponibilità
unilaterale dell’editore, ma deve sempre essere il risultato
66
dell’incontro di due volontà, quella del singolo giornalista e
quella del datore di lavoro, anche in questo caso “sentito il
direttore”, che ha la responsabilità unica dell’organizzazione
del lavoro.
In presenza di una trasformazione del rapporto da fulltime a part-time, deve essere indicato un termine alla durata del
rapporto part-time, ma la norma prevede che ad ogni scadenza
il contratto possa essere rinnovato, sempre con il consenso
delle parti.
Inoltre, si deve ricordare che quando in un’azienda si
presentino occasioni di assunzioni a tempo pieno si dovrà
prioritariamente verificare le possibilità di trasformazione a
full-time dei contratti part-time esistenti.
Quando il rapporto di lavoro parziale sia
“orizzontale”, ovvero quando si sia convenuta una riduzione
dell’orario giornaliero, può essere richiesto, qualora sorgessero
esigenze organizzative e produttive, un proseguimento della
prestazione lavorativa giornaliera, senza però superare il 30%
dell’orario concordato. Questa prestazione eccedente, che per
legge viene definita “supplementare”, in quanto si aggiunge
all’orario concordato, ma è pur sempre nei limiti dell’orario
contrattuale ordinario (art.7) deve essere retribuita con la paga
base oraria maggiorata del 19%. La regolamentazione della
prestazione in orario “supplementare” è demandata dalla legge
alla contrattazione collettiva, l’averne limitato percentualmente
l’utilizzo e l’aver previsto per essa una maggiorazione
economica, oltre che garantire il giornalista interessato,
dovrebbe funzionare anche da deterrente nel ricorso oltre il
necessario a tale prestazione, che la legge prevede, ma che
potrebbe determinare penalizzazioni nei confronti di coloro che
per esigenze personali hanno richiesto e ottenuto la
trasformazione del loro rapporto da tempo pieno a tempo
parziale.
67
E’ previsto anche che in presenza di un rapporto di
lavoro a tempo parziale di tipo “verticale”, ovvero quando la
prestazione si svolga per alcuni giorni della settimana, o per
alcune settimane del mese, l’eventuale prestazione lavorativa
richiesta e data oltre l’orario contrattuale giornaliero (7 ore e 12
minuti) deve essere retribuita secondo i criteri previsti per il
lavoro straordinario e, quindi, con la retribuzione oraria
maggiorata del 20%.
I contratti di somministrazione lavoro. Si è a lungo
dibattuto sulla possibilità di utilizzo per il lavoro giornalistico
nelle aziende editoriali, della legge 24.6.97 n.196 che
regolamentava i contratti di fornitura di lavoro temporaneo, il
cosiddetto lavoro interinale. La sua introduzione del contratto
giornalistico ha trovato giustificazione nella necessità di
favorire il rientro in attività dei giornalisti disoccupati. Lo
spirito della legge era, infatti, quello di creare ulteriori
possibilità di allargamento del mercato del lavoro. La materia è
stata successivamente oggetto di un ulteriore intervento
legislativo (D.Lgs. 10 settembre 2003 n.276) che ne ha
cambiato anche la denominazione definendoli contratti di
somministrazione lavoro. La nuova formulazione contrattuale,
che si è adeguata al gt4sto di legge, ribadisce la valutazione
delle parti che anche per i giornalisti assunti con contratto di
somministrazione lavoro i relativi contributi previdenziali
devono essere versati all’INPGI, che, così come prescrive la
legge 388/2000, è sostitutivo di ogni altra forma previdenziale
nei confronti dei giornalisti. La precisazione non è superflua.
Infatti, la legge, come la precedente, prescrive che i contributi
dei lavoratori dipendenti da agenzie interinali debbano essere
versati alla gestione dell’INPS, a prescindere dal tipo di lavoro
che il lavoratore è chiamato a svolgere. Già quando con il
precedente contratto fu introdotta la possibilità di utilizzare
68
giornalisti con contratti interinali il Ministero del Lavoro si
assunse l’impegno, formalizzandolo nel contratto, di risolvere
il problema dell’ente previdenziale al quale versare la relativa
contribuzione, in presenza di una prestazione di natura
giornalistica data da un giornalista iscritto all’albo
professionale. Un impegno, però, che sino al momento della
firma del nuovo accordo contrattuale non era stato ancora
mantenuto, determinando un’incertezza interpretativa, che ha
indotto le parti, con la loro dichiarazione, a riaffermare il
principio che, in caso di utilizzo di giornalisti con contratti di
somministrazione
lavoro,
la
relativa
contribuzione
previdenziale deve essere versata all’INPGI e a reiterare al
Ministero del Lavoro la richiesta ad esprimersi in tal senso.
Il contratto di somministrazione lavoro garantisce
integralmente al giornalista il trattamento economico e
normativo del contratto nazionale e degli accordi integrativi
aziendali applicati nell’azienda in cui è chiamato a prestare
temporaneamente servizio. Gode di tutti i diritti sindacali. Le
sue prestazioni lavorative non possono essere utilizzate per
sostituire personale in sciopero.
Ciò premesso, il ricorso al lavoro interinale, che è di
fatto un contratto a tempo determinato, non è una fattispecie
aggiuntiva a quelle previste per la stipula di contratti a termine,
bensì una possibilità alternativa e sostitutiva degli stessi
contratti a termine. Di conseguenza, le aziende editoriali in
presenza delle causali previste dall’art.3 possono optare tra la
stipula diretta di un contratto a termine o l’assunzione tramite
un contratto di somministrazione lavoro. In ogni caso, come si
è già specificato, contratti a termine e contratti interinali,
sommati, non possono superare le soglie percentuali definite
contrattualmente.
69
Lavoro per più testate (art.4). Il più rilevante nodo
che è stato affrontato nella rinnovazione contrattuale firmata il
26 marzo 2009 è stato quello della integrazione produttiva,
ovvero della possibilità di utilizzare, anche ordinariamente, la
prestazione lavorativa del giornalista oltre i confini della testata
di appartenenza e con qualsiasi strumento, anche tecnologico,
idoneo all’esercizio della propria attività professionale, senza,
però, recidere il rapporto giornalista-testata di assegnazione e
senza cancellare i vincoli e le garanzie che legano il giornalista
alla testata: dal direttore, cui fa capo l’organizzazione del
lavoro nella singola testata, al comitato di redazione che ne
rappresenta e tutela i diritti contrattuali e sindacali. Pur
venendo incontro alle esigenze di maggiore articolazione
nell’espletamento delle proprie funzioni, la normativa non
elimina nessuna delle garanzie e delle tutele, professionali e
sindacali, che caratterizzano il lavoro dei giornalisti, ancorché
in regime di subordinazione, tenendo, ovviamente, presente il
complessivo quadro giuridico legislativo che presiede il nostro
ordinamento e dal quale i giornalisti non possono sentirsi
esclusi.
E’ fermo il legame tra il giornalista e la testata. Ogni
giornalista, infatti, deve essere inserito in una testata di
assegnazione, indicata nella lettera di assunzione, che può,
tuttavia, essere modificata nel corso del rapporto di lavoro. Ma,
l’eventuale cambiamento di testata può realizzarsi soltanto in
presenza di due specifiche condizioni: in primo luogo che ci sia
il direttore di una testata, il quale manifesti esplicitamente la
volontà di avere nella testata che dirige un giornalista che
lavora in un’altra testata dell’azienda, in secondo luogo che ci
sia, anche, una comprovata esigenza organizzativa e produttiva.
Non basta, dunque, una generica affermazione di esigenza
produttiva o organizzativa, è necessario che la stessa sia
comprovata e comprovata, ovviamente, sia al giornalista
70
interessato, sia al comitato di redazione, che mantiene integri
tutti i poteri che l’art.34 gli attribuisce, in particolare per
quanto riguarda l’organizzazione del lavoro, la composizione
degli organici, i mutamento di mansioni e di qualifiche.
Quindi, anche in caso di mutamento della testata di
assegnazione, l’azienda e i direttori sono tenuti a sentire il
parere sia del comitato (o fiduciario) di redazione della testata
di provenienza, sia del comitato (o fiduciario) di redazione
della testata di nuova assegnazione. La mancata preventiva
comunicazione del provvedimento che si intende adottare ai
comitati di redazione interessati realizza, senza alcun dubbio,
un comportamento antisindacale censurabile ai sensi dell’art.28
dello Statuto dei lavoratori.
Nell’eventuale passaggio da una testata ad un’altra
deve, comunque, essere rispettato quanto previsto dall’art.2103
del Codice Civile e cioè che al giornalista possono essere
affidate mansioni diverse, purché queste siano qualitativamente
equivalenti a quelle per le quali è stato assunto o a quelle
superiori che abbia successivamente acquisito nel corso del
rapporto di lavoro. Non è perciò, mai possibile l’assegnazione
di mansioni qualitativamente inferiori. Inoltre, se esistono
trattamenti integrativi differenti tra le varie testate della stessa
azienda, il giornalista assegnato ad una differente testata ha
diritto al trattamento integrativo di miglior favore in vigore
nella testata di provenienza o in quella di nuova assegnazione.
Nell’ottica di una possibile ristrutturazione
dell’organizzazione del lavoro aziendale, in particolare nelle
aziende che pubblicano più testate, il contratto prevede la
possibilità di realizzare le cosiddette “unità organizzative
redazionali”, con lo scopo di produrre un’informazione
specifica per tutte le testate edite dall’azienda o da aziende
editoriali controllate dalla stessa proprietà. Queste “unità
organizzative redazionali” sono, a tutti gli effetti contrattuali,
71
equiparate ad una testata e, di conseguenza, devono avere un
direttore e un comitato o fiduciario di redazione,
salvaguardando in questo modo l’esercizio dei diritti
contrattuali sindacali e professionali dei giornalisti assegnati a
queste unità.
Fermo restando il diritto alla testata di assegnazione
(che può essere modificata soltanto nei termini già esposti) ad
ogni giornalista, ovviamente nei limiti dell’orario giornaliero di
lavoro e con le garanzie previste dall’art.7, possono essere
richieste prestazioni lavorative anche per le altre testate
dell’azienda, comprese quelle multimediali, o per quelle edite
da aziende controllate. Ovviamente, anche in questo caso,
devono essere rispettate le disposizioni dell’art.2103 del C.C.
che vietano il demansionamento e devono essere rispettate le
dipendenze gerarchiche delle singole testate ed è richiesto un
tempestivo e costante intervento dei comitati o dei fiduciari di
redazione interessati, tenuti a esprimersi sulla nuova
organizzazione del lavoro definita dai direttori. Non a caso la
norma prevede che, proprio a seguito delle modifiche
contrattuali, devono essere armonizzate le intese aziendali che
regolavano in precedenza la stessa materia.
Cessione del contratto e distacco. Nell’ambito della
possibilità di utilizzare la prestazione lavorativa di un
giornalista per un’altra testata è stata regolamentata
l’eventualità che il mutamento della testata di assegnazione
possa avvenire nei confronti anche di testate che siano edite da
altre aziende editoriali, (e quindi da altri soggetti giuridici),
ancorché collegate alla stessa proprietà. Questa possibilità non
è un’invenzione contrattuale, ma è giuridicamente prevista da
due istituti di legge: la cessione di contratto e il distacco.
La cessione del contratto, che comporta il passaggio
definitivo del contratto individuale di lavoro da un’azienda ad
72
un’altra, è regolato dagli artt.1406 e seguenti del C.C. e
prevede, però, il requisito dell’accordo tra le parti e quindi
della volontarietà. Un’azienda può cedere il contratto di lavoro
che ha in corso con un giornalista ad un’altra azienda purché,
ovviamente, il giornalista sia d’accordo.
Ma oltre alla cessione del contratto, la legge, in
particolare l’art.30 del decreto legislativo 10.7.2003 n.276, ha
introdotto un nuovo istituto, quello del distacco, che consente
la possibilità per ogni datore di lavoro di distaccare un proprio
dipendente in un’altra azienda, anche collocata territorialmente
fuori del comune di provenienza.
La norma di legge che regola il distacco prevede che
un datore di lavoro per soddisfare un proprio interesse possa
mettere temporaneamente a disposizione di un altro datore di
lavoro uno o più dei suoi lavoratori dipendenti. Nel corso del
distacco il lavoratore rimane sempre alle dipendenze del suo
datore di lavoro, mantenendo il trattamento economico e
normativo. Per il distacco non è necessario il consenso del
lavoratore interessato, se non quando vi sia un mutamento di
mansioni. Se il distacco comporta anche un trasferimento a più
di 50 Km. dalla sede di provenienza, il distacco può avvenire
soltanto per comprovate ragioni tecniche, organizzative,
produttive o sostitutive.
Questi sono gli ambiti e le garanzie (modeste) entro i
quali, in base alla legge, è possibile distaccare un lavoratore.
Poiché questa norma è legge, si applica automaticamente a tutti
i lavoratori in qualsiasi settore produttivo essi operino e non è,
perciò, necessario il suo esplicito richiamo nei contratti
collettivi.
Non potendo abolire la norma di legge, il contratto
giornalistico l’ha sostanzialmente modificata, aumentando
notevolmente le tutele per i giornalisti che dovessero essere
interessati. In primo luogo, il distacco può essere messo in atto
73
soltanto verso testate edite da società controllate e, comunque,
sempre a fronte di comprovare esigenze produttive,
organizzative o sostitutive. Anche in questo caso occorre,
perciò, che l’editore dimostri la oggettiva esistenza di
un’esigenza produttiva, organizzativa o sostitutiva.
La legge, pur prevedendo che il distacco sia
temporaneo, non definisce i limiti della temporaneità. Nel
contratto si è previsto che il periodo del distacco non possa
essere superiore a 24 mesi. La legge prevede che il datore di
lavoro distacchi il lavoratore a suo insindacabile giudizio. Il
contratto prevede che per distaccare un giornalista ci debba
essere la specifica richiesta del direttore di una testata che
richiede quello specifico giornalista.
Ancora, il contratto prevede che ogni distacco debba
essere preceduto da un preavviso di un mese, elevato a 2 mesi
quando il distacco comporti il trasferimento ad oltre 40 Km.
dalla sede ordinaria di lavoro. In questo caso, il giornalista avrà
diritto anche ad un’indennità pari a 2 mesi di retribuzione, a 2
giorni di permessi retribuiti e, inoltre, per tutta la durata del
distacco, ad un’indennità economica, che dovrà essere definita
in sede aziendale, per coprire le maggiori spese che il
giornalista sarà chiamato a fronteggiare a seguito del distacco.
Infine, qualora un giornalista rientri nella propria
testata dopo un distacco non inferiore a 12 mesi, non potrà
essere in nessun caso nuovamente distaccato prima che siano
trascorsi almeno 8 mesi. È stato anche introdotto il divieto di
distacco presso testate di aziende che abbiano personale
giornalistico in cassa integrazione.
Com’è di tutta evidenza, rispetto alla norma di legge
la possibilità di distacco per i giornalisti è stata fortemente
limitata e sono state introdotte ulteriori e specifiche garanzie,
che consentono al comitato di redazione di intervenire sulla sua
applicazione a livello aziendale. È, infatti, chiaro che distaccare
74
uno o più giornalisti da una testata ad un’altra comporta
inevitabilmente una modifica dell’organizzazione del lavoro sia
nella testata di provenienza sia in quella di destinazione e
questo determina la specifica possibilità di intervento del
comitato di redazione secondo le procedure e modalità previste
dall’art.34 del Cnlg.
Le funzioni a termine (art.11)
In tema di flessibilità deve essere segnalata la
previsione, al fianco delle normali qualifiche, di funzioni a
termine per due specifiche prestazioni.
E’ classificato come incarico funzionale quello di
capo redattore centrale, che pertanto può essere assegnato per
un periodo predeterminato e concordato. Il giornalista che
ricopre un incarico funzionale ha diritto a percepire,
limitatamente alla durata dell’incarico, una indennità di
funzione il cui importo deve essere determinato d’intesa con
l’editore. Al termine dell’incarico, il giornalista torna a volgere
le mansioni proprie della qualifica di provenienza, ma può, a
sua scelta optare per la risoluzione consensuale del rapporto di
lavoro, nel qual caso avrà diritto a percepire, oltre al TFR
maturato, anche una particolare indennità pari a 10 mesi di
retribuzione, maggiorata del 50 per cento.
Anche quella dell’inviato non è più, come in
precedenza, una “mansione”, ma è regolata come un incarico
funzionale. Qualsiasi giornalista può essere chiamato, per un
determinato avvenimento o per un determinato periodo, a
svolgere la funzione di inviato. Per il tempo in cui svolge la
funzione, ha diritto ad un particolare trattamento economico.
Resta, tuttavia, nel contratto la figura residuale
dell’inviato speciale, nella quale rientrano tutti coloro che al
75
momento dell’entrata in vigore del contratto 11 aprile 2001
ricoprivano la relativa mansione e che continuano a mantenere
lo status maturato con i relativi trattamenti economici e
normativi, e che, quando non sono impegnati in servizi esterni,
continuano a prestare la loro opera in redazione in mansioni
che richiedano le loro competenze professionali e, comunque,
“alle dirette dipendenze del direttore.
Il trattamento delle festività
In caso di prestazione lavorativa nei giorni di domenica
o di festività infrasettimanali, il contratto prevede un
trattamento economico particolare. Per quanto riguarda il
lavoro domenicale sono previste due possibilità alternative
legate all’organizzazione del lavoro redazionale. Fermo
restando che in base alla legislazione vigente l’obbligo del
riposo settimanale può essere assolto in qualsiasi giorno della
settimana, il giornalista che lavora la domenica ha diritto a
percepire un ventiseiesimo della retribuzione mensile
maggiorato del 55%, ovvero alla sola maggiorazione del 55% e
ad un giorno di riposo compensativo. I due diversi regimi di
trattamento
del
lavoro
domenicale
dipendono
dall’organizzazione del lavoro aziendale, cosi come definita dal
direttore nell’ambito dei poteri che il contratto gli conferisce
nell’art. 6. In merito è, comunque, da sottolineare che il
contratto, proprio in considerazione delle caratteristiche della
prestazione richiesta al giornalista di domenica, prevede che
qualora l’organizzazione del lavoro dovesse modificare il
regime di trattamento preesistente le parti sono tenute a
esaminare preventivamente con l’azienda e con il corpo
redazionale interessati gli effetti che possono conseguirne sul
piano retributivo nei confronti dei giornalisti.
76
Oltre la domenica il contratto prevede alcune festività
civili e religiose per le quali, in caso di prestazione lavorativa,
è prevista una maggiorazione retributiva. Le festività
infrasettimanali sono il 1° gennaio, il 6 gennaio, il lunedì di
Pasqua, il 15 agosto, il 1° novembre, l’8 dicembre, il 25
dicembre, il 26 dicembre e il giorno di ricorrenza della festività
del patrono della città in cui ha sede l’azienda giornalistica.
Nelle predette festività il giornalista ha, ovviamente, il
diritto a riposare, ma qualora sia chiamato a dare prestazione
lavorativa avrà diritto ad un compenso pari ad un ventiseiesimo
maggiorato dell’80%. Se la festività dovesse coincidere con la
domenica, al giornalista deve essere riconosciuto il trattamento
per il lavoro festivo (un ventiseiesimo maggiorato dell’80%) in
aggiunta al trattamento economico previsto per il lavoro
domenicale.
Qualora, invece, il giorno festivo coincida con la
domenica e il giornalista non presti la sua attività avrà,
comunque, diritto a percepire un ventiseiesimo della
retribuzione mensile.
Per quanto riguarda le festività è il caso di sottolineare
che non è incluso tra queste il giorno di Pasqua, che cade
sempre di domenica. Di conseguenza, in caso di prestazione
lavorativa la domenica di Pasqua il giornalista ha diritto
soltanto al compenso previsto per il lavoro domenicale.
Ci sono poi altre tre festività, il 25 aprile, il 1° maggio e
il 2 giugno, per le quali il contratto esclude la prestazione
lavorativa. Tuttavia, qualora il giornalista sia chiamato a
lavorare in una di queste tre festività ha diritto a percepire, in
aggiunta alla retribuzione mensile, un ventiseiesimo
maggiorato del 260%. Ovviamente, tale compenso non muta
qualora una di questa tre festività dovesse coincidere con la
domenica.
77
Il contratto regola anche la prestazione lavorativa data
nelle giornate ex festive abrogate dalla legge 5 marzo 1977 n.
54. Queste giornate sono il 19 marzo, l’Ascensione, il Corpus
Domini, il 29 giugno e il 4 novembre. Anche in questi casi il
giornalista può non essere chiamato a dare la sua prestazione
lavorativa. Se, al contrario, lavora avrà diritto a percepire un
compenso pari a un ventiseiesimo della retribuzione mensile.
Qualora una di queste ex festività dovesse coincidere con la
domenica il giornalista chiamato al lavoro avrà diritto a
sommare i compensi, ovvero avrà diritto a percepire un
ventiseiesimo, in quanto ha lavorato in una ex festività, oltre al
compenso previsto per il lavoro domenicale.
Infine, se due ex festività dovessero coincidere nella
stessa giornata, il giornalista, in caso di prestazione, avrà
diritto al compenso di un ventiseiesimo della retribuzione
mensile e ad un giorno di riposo retribuito compensativo da
usufruire nel corso dell’anno, ovvero ad un altro ventiseiesimo
di retribuzione.
In merito alle ex festività è, comunque, da sottolineare
che le due ex festività dell’Ascensione e del Corpus Domini
sono state spostate al giorno di domenica soltanto per quanto
riguarda le celebrazioni religiose, e poiché esse cadono
normalmente all’interno della settimana il compenso previsto è
dovuto al giornalista che lavori nel giorno infrasettimanale in
cui cade l’Ascensione o il Corpus Domini.
Un’ultima annotazione deve essere fatta in relazione al
calendario di uscita dei giornali quotidiani. Il contratto, infatti,
prevede che i giornalisti dipendenti dai quotidiani del
pomeriggio che fossero chiamati a prestare la loro opera il 16
agosto hanno diritto a percepire una maggiorazione pari a un
ventiseiesimo della retribuzione mensile. Identico trattamento
spetta ai giornalisti dipendenti dei quotidiani del mattino
chiamati a prestare la loro opera il 24 dicembre e il 31
78
dicembre, nonché ai giornalisti dipendenti dalle agenzie di
stampa chiamati a prestare la loro opera prima delle ore 18.00
del 16 agosto o dopo le ore 18.00 del 24 dicembre e del 31
dicembre.
Ovviamente, qualora il 16 agosto, il 24 e il 31 dicembre
dovessero coincidere con la domenica ai giornalisti che
lavorano sarà riconosciuto il solo trattamento economico
previsto per il lavoro domenicale.
Il trattamento delle ferie
La normativa contrattuale, in adempimento dell’art.
2109 del Codice Civile, il quale ha stabilito il diritto di ogni
lavoratore ad un periodo annuale di ferie retribuite, prevede per
tutti i giornalisti con orario di lavoro settimanale il diritto alla
maturazione di un periodo di ferie, che deve essere articolato in
base all’anzianità aziendale del singolo giornalista. Tutti coloro
che hanno fino a 5 anni di anzianità aziendale maturano, per
ogni anno di lavoro, un periodo di ferie di 26 giorni lavorativi.
I giorni lavorativi di ferie salgono a 30 per i giornalisti con
un’anzianità aziendale con oltre 5 anni e sino a 15 anni.
Salgono a 35 per i giornalisti con un’anzianità aziendale
superiore a 15 anni.
Nello specificare il numero di giorni di ferie il contratto
collettivo parla di “giorni lavorativi”. Il giorno di settimana
corta che ogni giornalista matura settimanalmente rientra nel
periodo di ferie? La risposta nasce da un’intesa tra le parti
condivisa nel momento in cui fu introdotto nel contratto
collettivo l’istituto della settimana corta. In quella occasione si
specificò che il giorno di corta dovesse essere considerato
come giorno “lavorativo non lavorato”. Di conseguenza, nel
calcolo dei giorni di ferie devono essere ricompresi anche i
79
giorni di settimana corta che, pertanto, non si aggiungono al
periodo di ferie ma ne rimangono assorbiti.
E’ chiaro che quando il giornalista usufruisce in
maniera continuativa dei giorni di ferie contrattualmente
maturati, il calcolo è abbastanza semplice, perché in una
settimana di ferie si considerano “consumati” sei giorni. Più
complesso può apparire il calcolo quando il giornalista
usufruisce di singole giornate di ferie. Anche in questo caso nel
conteggio delle ferie occorre ricomprendere i giorni di
settimana corta e poiché in una settimana i giorni di ferie sono
6, pure in presenza di settimana corta, è evidente che ogni
giorno di ferie effettivo equivale ad un giorno più il 20% del
giorno di settimana corta.
Le qualifiche contrattuali non legate all’osservanza
dell’orario, ovvero i collaboratori fissi (di cui all’art. 2) e i
corrispondenti (di cui all’art. 12), hanno, invece, diritto ad un
mese di ferie per ogni anno di anzianità aziendale.
E’ bene chiarire che l’anzianità aziendale prescinde
dalla qualifica. Il che vuol dire che l’eventuale periodo di
praticantato svolto all’interno della stessa azienda, deve essere
considerato ai fini dell’anzianità aziendale.
La norma contrattuale specifica che quando il
giornalista non abbia potuto usufruire dei giorni di ferie
maturate, ha diritto al relativo compenso sostitutivo, quando il
mancato godimento sia certo e, comunque, non oltre il 31
dicembre dell’anno di maturazione. Questa disposizione
sembrerebbe contrastare con la normativa di legge che ha
regolato per tutti i lavoratori il diritto alle ferie. In realtà non
esiste alcun contrasto. Il decreto legislativo 8 aprile 2003 n. 66
(attuazione delle direttive comunitarie su alcuni aspetti
dell’organizzazione dell’orario di lavoro) e il successivo Dlgs.
19 luglio 2004 n. 213 (Modifiche ed integrazioni al decreto
legislativo 8 aprile 2003, n. 66, in materia di apparato
80
sanzionatorio dell'orario di lavoro) hanno previsto che ogni
lavoratore ha diritto ad un periodo annuale di ferie retribuite
non inferiore a 4 settimane e che il periodo delle ferie deve
essere goduto per almeno 2 settimane, consecutive quando lo
richiede il lavoratore, nel corso dell’anno di maturazione e nei
18 mesi successivi al termine dell’anno di maturazione per le
restanti due settimane.
Le disposizioni di legge impongono, perciò, l’obbligo al
godimento delle ferie, che non possono essere in alcun caso
“monetizzate”. Questo obbligo e questo divieto devono essere
limitati, però, al periodo di ferie obbligatorio previsto dalla
legge, ovvero 24 giorni lavorativi. Ciò significa che la
differenza tra 24 giorni (periodo legale di ferie) ed il numero di
giorni di ferie spettante contrattualmente ad ogni giornalista,
rientra pienamente nella richiamata disciplina contrattuale e, di
conseguenza, i giorni di ferie annuali eccedenti i 24 di legge,
che non siano stati utilizzati dal giornalista, possono essere
“monetizzati” secondo le disposizioni contrattuali.
Il richiamato art. 2109 del Codice Civile prevede che il
periodo di ferie è stabilito dal datore di lavoro “tenuto conto
delle esigenze dell’impresa e degli interessi del prestatore di
lavoro”. La norma contrattuale a sua volta prevede che, in linea
di massima, il periodo di ferie debba essere goduto tra il 1°
maggio e il 31 ottobre. In ogni caso, poiché l’assenza di
giornalisti per ferie altera, di fatto, l’organico presente, appare
evidente che anche tutta la materia relativa alle ferie, in quanto
rientrante nell’organizzazione del lavoro, sia di competenza
specifica del direttore, sentito ovviamente il comitato di
redazione, cosi come prevede l’art. 34 del contratto.
In aggiunta al periodo di ferie i giornalisti hanno anche
diritto a 5 giorni lavorativi all’anno di permessi straordinari,
che possono essere frazionati, su richiesta del giornalista, in
mezze giornate lavorative. Oltre questi 5 giorni di permessi
81
straordinari sono previsti altri 5 giorni di permesso
straordinario per i giornalisti inviati, i quali siano stati
impiegati in servizi ininterrotti di durata superiore a 30 giorni.
Questi ulteriori 5 giorni di permesso devono essere goduti,
però, consecutivamente entro 15 giorni dal rientro in sede.
La clausola di coscienza
Tra le peculiarità del contratto giornalistico vi è la così
detta clausola di coscienza, definita nell’articolo 32 come
“legittimi motivi di risoluzioni del rapporto”. Si tratta di una
disposizione inserita nel contratto sin dal 1913, ampliata e
aggiornata nel tempo, che rappresenta un significativo
strumento di difesa del lavoro giornalistico e di rivendicazione
dell’autonomia professionale di ogni redattore e che travalica il
mero aspetto economico.
In sostanza si concretizza nella possibilità per il
singolo giornalista di dimettersi dal giornale con diritto, oltre
che al trattamento di fine rapporto, anche all’indennità di
mancato preavviso, quindi “per fatto dell’editore”, ogni
qualvolta ci sia un sostanziale cambiamento dell’indirizzo
politico del giornale, ma anche quando l’opera del giornalista
sia stata utilizzata in un altro giornale della stessa azienda in
maniera tale da menomarne la sua dignità professionale e,
comunque, ogni qualvolta si sia creata per responsabilità
dell’editore una situazione incompatibile con la sua dignità.
La giurisprudenza accumulatasi negli anni su questa
materia, pur scarsa, sembra confermare l’indirizzo generale in
base al quale il cambiamento di linea politica di un giornale
può anche non essere formale. Importante e rilevante è che il
giornale abbia nella sostanza modificato la sua linea politica e
che comunque “in un certo momento del rapporto, il giornalista
ritenga la linea politica del giornale incompatibile con la sua
82
dignità e libertà professionale”, dimostrandolo “tramite
l’accertamento di fatti e circostanze che, traendo origine dal
mutato orientamento politico del giornale, siano obiettivamente
sintomatiche della improseguibilità della collaborazione tra le
parti. E poiché tale situazione viene a determinarsi
progressivamente, si dovrebbe provare da parte del giornalista
di essere stato in più circostanze oggetto di pressioni o di
interventi limitativi della propria libertà di espressione ad opera
del direttore o della proprietà del giornale; oppure, provare che
in più occasioni i servizi e gli articoli svolti sono stati ragioni di
richiamo o di vivo dissenso da parte dello stesso direttore o
della stessa proprietà e comunque… ogni altra eventuale
circostanza dalla quale inequivocabilmente possa trarsi la
conclusione di una definitiva rottura del rapporto politico tra il
giornalista e il giornale qualificante la reciproca
collaborazione” (Pret. Milano, 26 aprile 1975; Bettiza e altri
contro Il Corriere della Sera).
Un altro problema posto dall’interpretazione della
norma riguarda i tempi, ovvero stabilire sino a quando il
giornalista possa invocare il legittimo motivo di risoluzione del
rapporto di lavoro. La magistratura al riguardo richiede che ci
sia la tempestività delle dimissioni rispetto al fatto contestato e
che debba riscontrarsi immediatezza tra il mutamento di
indirizzo politico di un giornale e le dimissioni del giornalista.
Il comitato di redazione
Il comitato di redazione (art.34) è la rappresentanza
sindacale aziendale dei giornalisti all’interno di ogni singola
testata quotidiana e periodica. I suoi poteri, così come definiti
nella norma contrattuale, sono, però, ben più ampi di quelli
normalmente esercitati dalle RSU.
Oltre a vigilare sulla corretta applicazione delle
disposizioni di contratto, a rappresentare gli interessi sindacali
83
di ogni singolo giornalista e ad essere titolare in nome di tutta
la redazione alla contrattazione integrativa aziendale, il
comitato di redazione esercita funzioni di grande rilevanza, che
sono precisate nel contratto. In particolare, il comitato di
redazione deve essere chiamato ad esprimere il suo parere ed a
formulare proposte su tutto quanto attiene l’organizzazione del
lavoro redazionale, come ad esempio, la fissazione degli
organici complessivi e di quelli dei singoli settori, i criteri per
la loro realizzazione, l’utilizzo dei collaboratori fissi, la
definizione degli orari di lavoro, le decisioni su trasferimenti,
licenziamenti, mutamenti e assegnazione di mansioni e
qualifiche. In generale, il comitato di redazione deve essere
consultato su qualsiasi decisione che possa avere riflessi sui
livelli dell’occupazione e può intervenire a difesa
dell’autonomia della testata.
La norma contrattuale stabilisce che su tutto il
complesso di decisioni che attengono all’organizzazione del
lavoro redazionale debbano avvenire incontri ogni quindici
giorni (termine ovviamente indicativo e non perentorio) tra il
comitato di redazione e il direttore e specifica che qualunque
decisione del direttore al riguardo deve essere portata a
conoscenza del comitato di redazione 72 ore prima della
realizzazione del singolo provvedimento, consentendo al
comitato di redazione altre 72 ore per esprimere il proprio
parere. La norma specifica che il parere del comitato di
redazione è obbligatorio per le decisioni che riguardano i
mutamenti di mansioni che possono portare a risoluzione del
rapporto di lavoro da parte del giornalista.
Ciò non significa che negli altri casi è discrezione del
direttore richiedere il parere del comitato di redazione. Il
direttore è sempre tenuto a richiedere il parere del cdr, il quale
può o meno esprimerlo, ma deve obbligatoriamente esprimerlo
84
nei casi di mutamento di mansioni che possono portare a
risoluzione del rapporto.
Il potere di intervento del comitato di redazione non si
limita, però, alla sola organizzazione del lavoro redazionale,
ma investe anche materie che attengono la complessiva attività
aziendale. Infatti, il comitato di redazione può esprimere il suo
parere, sempre preventivamente, sui programmi e le iniziative
di ristrutturazione aziendale, sui trasferimenti di impianti e su
ogni attività che investa la struttura dell’azienda e che possa
recare pregiudizio alle prerogative dei giornalisti. Anche per
l’esame di questi aspetti è indicata una precisa procedura.
Fermo restando l’obbligo alla comunicazione preventiva da
parte dell’azienda al cdr di 72 ore, la norma prevede che su
questi argomenti si svolgano incontri bimestrali tra il
rappresentante dell’azienda, il direttore e il comitato di
redazione, integrato dai rappresentanti di ogni servizio (così
detti delegati di settore) e delle redazioni decentrate che non
fossero già rappresentate nel comitato di redazione.
Un ruolo imprescindibile, in particolare, è svolto dal
comitato di redazione in occasione di crisi aziendale che
comportano il ricorso alla riduzione di personale e agli
ammortizzatori sociali. In questo caso il contratto delinea una
precisa procedura di consultazione tra l’azienda e il comitato di
redazione, che può essere assistito dall’associazione regionale
di stampa territorialmente competente e dalla Federazione
Nazionale della Stampa.
Infine, tra gli obblighi dell’editore nei confronti del
comitato di redazione vi è quello di consegnare e illustrare
annualmente il bilancio consuntivo dell’azienda, in coincidenza
con il suo deposito presso la camera di commercio, così come
previsto dalla legge, e tra i poteri del comitato di redazione vi è
quello di intervenire sulla completezza dell’informazione,
85
anche quando lo richieda un singolo giornalista, che abbia
ravvisato una lesione della propria funzione professionale.
Le procedure indicate dalla norma contrattuale devono
essere obbligatoriamente rispettate da parte dell’azienda
ogniqualvolta intenda intervenire su materie specificamente
richiamate. Interventi e decisioni unilaterali assunti
dall’azienda senza l’attivazione delle procedure di
consultazione realizzano, infatti
un comportamento
antisindacale e le decisioni prese possono essere annullate dal
giudice del lavoro in base all’articolo 28 della legge 20 maggio
1970 n. 300, che disciplina la repressione della condotta
antisindacale. In presenza, perciò, di una violazione
procedurale l’associazione regionale di stampa competente per
territorio può ricorrere al magistrato, che entro 48 ore è tenuto
a convocare le parti ed assunte sommarie informazioni, quando
accerti la sussistenza della violazione, emana un decreto
immediatamente esecutivo per far cessare il comportamento
illegittimo e rimuoverne gli effetti.
Tutte le testate, che hanno almeno 10 giornalisti dipendenti
eleggono un comitato di redazione. All’elezione del comitato
di redazione partecipano tutti i giornalisti e i praticanti
dipendenti dall’azienda editoriale e che lavorano nella testata e,
ovviamente, tutti i giornalisti possono essere eletti. Di norma il
comitato di redazione è composto da tre giornalisti eletti dalla
redazione centrale ed è integrato, a tutti gli effetti: da un
fiduciario professionista per ogni redazione decentrata o ufficio
di corrispondenza con almeno 10 giornalisti; da un fiduciario
eletto unitariamente da tutte le redazioni decentrate e tutti gli
uffici di corrispondenza che abbino meno di 10 giornalisti, da
un fiduciario della redazione romana, ove esista e quando
questa abbia almeno 5 giornalisti professionisti; da un
fiduciario pubblicista eletto dai corrispondenti dai collaboratori
86
fissi e dai pubblicisti delle redazioni decentrate degli uffici di
corrispondenza.
Nelle testate con meno di 10 giornalisti dipendenti, al posto del
comitato di redazione si elegge un fiduciario di redazione, che
esercita gli stessi poteri del comitato.
Nelle aziende che pubblicano più testate periodiche la
rappresentanza sindacale dei giornalisti ha un’articolazione
diversa. I rappresentanti sindacali vengono eletti in ciascuna
testata, purché la testata abbia almeno 6 giornalisti. In ogni
testata con oltre 60 giornalisti e praticanti si eleggono 3
rappresentanti sindacali, nelle testate da 31 a 60, due e nelle
testate da 6 a 30, uno. Tra tutte queste rappresentanze sindacali
viene composto un organismo unico aziendale, che nelle
aziende con meno di 200 giornalisti dipendenti, deve essere di
3 rappresentanti. Nelle aziende con oltre 200 giornalisti il
numero
della
rappresentanza
unitaria
è
rimesso
all’organizzazione sindacale interna.
Le innovazioni tecnologiche
All’inizio degli anni ’80 il settore editoriale ha
imboccato la via di una intensa rinnovazione tecnologica che in
pochi anni ha rivoluzionato l’intero processo produttivo. La
macchina da scrivere e la linotype, tradizionali emblemi del
lavoro giornalistico e tipografico, sono state sostituite dal
computer e da software sempre più sofisticati che hanno
consentito una impensabile accelerazione dei tempi di
produzione nella scrittura degli articoli, nella fase di
impaginazione e titolazione, nella possibilità di lavorazione di
materiale tipografico e iconografico.
Di fronte alla prospettiva di un cambiamento
produttivo rivoluzionario, dagli esiti non prevedibili,
l’organizzazione sindacale dei giornalisti si è preoccupata di
87
inserire nel corpo contrattuale una complessa architettura di
procedure e di limiti volti a garantire l’autonomia professionale
del singolo giornalista, del singolo servizio, della singola
redazione, e la non sovrapposizione di ruoli e mansioni tra
lavoro giornalistico e lavoro poligrafico.
Molte delle iniziali preoccupazioni sono ovviamente
con il tempo venute meno e oggi lo sviluppo tecnologico è
generalmente accettato in tutte le redazioni. Rimane, a garanzia
del lavoro giornalistico, una copiosa intelaiatura normativa
presente nell’articolo 42 e nell’allegato E del contratto.
Principio fondamentale che presiede le modificazioni
tecnologiche è l’impegno del singolo giornalista ad utilizzare le
nuove tecnologie con le caratteristiche proprie della
professione giornalistica per elaborare testi redazionali o per
intervenire sul materiale proveniente nel sistema da fonti
esterne (di norma l’informazione di agenzia).
Sul piano delle garanzie la norma contrattuale prevede
che deve essere sempre assicurata la “segretezza” del lavoro
giornalistico mediante l’adozione di chiavi di accesso, di
memorie riservate o di altri accorgimenti tecnici; l’obbligo di
conservare in memoria per almeno 72 ore tutti i testi destinati
alla pubblicazione con l’indicazione dell’autore del testo
originario e di tutti coloro che vi hanno apportato modifiche; la
previsione di diversi livelli di accesso agli archivi di servizio a
secondo dei gradi di competenza; l’obbligo di informazione
preventiva su programmi tipografici che possano interagire sul
sistema editoriale; l’obbligo di misure per salvaguardare il
mantenimento dei testi in memoria in caso di guasto del
sistema.
E’ vietata la possibilità di inviare in produzione testi
giornalistici che non siano stati preliminarmente esaminati
dalla redazione secondo le specifiche responsabilità e
competenze.
88
Inoltre è previsto che la partecipazione dei redattori al
processo di videoimpaginazione, oggi realizzato integralmente
in redazione, deve limitarsi nei quotidiani all’ideazione delle
pagine e ad eventuali successivi interventi di modifica o di
verifica. Nei periodici, invece, la videoimpaginazione è affidata
alla figura del redattore grafico, che ha il compito di ideare,
progettare e realizzare le pagine secondo i criteri tipici della
sua professionalità, mentre restano di competenza dei
lavoratori grafici, su indicazione del giornalista, gli interventi
di carattere tecnico-produttivo.
La norma prevede anche garanzie procedurali. Le
aziende che intendono avviare processi di rinnovazione
tecnologica devono definire un piano da presentare alle
organizzazioni sindacali. Entro 15 giorni dalla presentazione
del piano, deve essere avviato il confronto in sede aziendale
tra azienda direttore e comitato di redazione, eventualmente, se
richiesto, con l’assistenza delle Organizzazioni nazionali.
Ad ulteriore garanzia, qualora in sede di confronto
aziendale dovessero insorgere contrasti sull’applicazione delle
disposizioni contrattuali, si può, su iniziativa di una delle parti
aziendali, spostare il confronto a livello nazionale.
Tra gli
aspetti rilevanti della normativa sulle
tecnologie si devono segnalare le disposizioni sulla tutela della
salute e in particolare l'istituzione di un Osservatorio per lo
studio dei problemi connessi alla prevenzione e alla tutela della
salute dei giornalisti in relazione all'uso di sistemi tecnologici.
L'osservatorio, costituito paritariamente, ha il compito di
svolgere indagini sugli ambienti di lavoro e di compiere
ricerche mediche ed ergonomiche al fine di fornire alle parti
indicazioni precise per favorire i rinnovi tecnologici delle
redazioni.
L’introduzione di innovazioni tecnologiche deve
essere preceduta dalla eventuale trasformazione degli ambienti
89
di lavoro alla luce di quanto concordato tra le parti e tutti i
giornalisti devono essere sottoposti preventivamente e
periodicamente ad esami medici di controllo predefiniti e
anch’essi concordati a livello sindacale.
Nel quadro delle misure a tutela della salute si
pongono le disposizione sui limiti del lavoro al videoterminale.
In primo luogo, una precisa disposizione contrattuale prevede
che il giornalista deve essere esentato dall’uso del
videoterminale quando lo richieda una comprovata inidoneità
certificata da strutture mediche specializzate. Inoltre, alla luce
della direttiva comunitaria in materia e dei conseguenti
provvedimenti legislativi, le parti hanno voluto affrontare in
sede contrattuale un problema che riveste un particolare rilievo
nel lavoro giornalistico. L'uso di videoterminali è generalizzato
in tutte le aziende editoriali ed ha modificato il modo stesso di
fare giornalismo. Attraverso tecnologie, sempre più sofisticate,
il flusso di notizie e informazioni che arriva nelle redazioni si è
decuplicato nel giro di pochi anni, provocando un ampliamento
del lavoro di «cucina» redazionale, il cosiddetto lavoro al desk,
e attenuando nello stesso tempo il rapporto diretto tra il
giornalista e le fonti di informazione, rendendo estremamente
difficile una verifica delle fonti stesse. Questa nuova realtà
produce inevitabili effetti negativi sul piano della salvaguardia
della salute fisica, ma anche sulla professionalità dei
giornalisti.
La soluzione al riguardo individuata (art. 7) si
inserisce, considerando la complessa articolazione e
diversificazione del lavoro giornalistico, in un processo di
revisione dell'organizzazione del lavoro più adeguato alle
esigenze professionali e di salvaguardia della salute dei
giornalisti.
Si demanda, infatti, al direttore il compito di
programmare, per i giornalisti che normalmente svolgono la
90
loro attività al desk redazionale, periodi di turnazione, sulla
base delle specifiche esigenze delle redazioni, che consentano
almeno per un giorno alla settimana lo svolgimento di altre
mansioni professionali, eventualmente anche con l'uso di
videoterminali, ma esclusivamente per la stesura di articoli di
propria elaborazione. Una norma, quindi, estremamente
flessibile che tiene conto della specificità del lavoro
giornalistico e che ha lo scopo di frenare la tendenza a dividere
il giornalismo in due categorie, una di serie a, il giornalismo
degli inviati e delle firme, una di serie b, il giornalismo
anonimo della cucina.
Le sinergie editoriali
Il processo sinergico, ovvero l'utilizzazione dello
stesso materiale giornalistico per più testate, è un fenomeno
ormai diffuso nell'editoria quotidiana poiché, favorendo
consistenti economie, assicura la possibilità di sopravvivenza a
testate e aziende marginali e consente la nascita in aree ristrette
di mercato di nuove iniziative editoriali, che per la loro limitata
diffusione non potrebbero mai nascere con i tradizionali sistemi
di produzione del giornale. Tuttavia esiste un pericolo, del tutto
evidente, insito nell'accentuazione dei processi sinergici. In
primo luogo si pone un problema di salvaguardia
dell’occupazione: quando una sinergia si realizza tra testate
esistenti si crea, se la sinergia non è indirizzata ad un
arricchimento del prodotto, un'eccedenza negli organici
giornalistici. Ma non è questo il solo problema. Lo scambio di
materiale sinergico tra testate, quando supera i limiti di
compatibilità, rischia di modificare l'immagine, il patrimonio
culturale, le caratteristiche tipiche delle singole testate,
intaccandone la stessa autonomia. Esiste, pertanto, un problema
di salvaguardia dell'autonomia delle singole testate a garanzia
della professionalità dei corpi redazionali e degli stessi utenti-
91
lettori. L’obiettivo della normativa contrattuale sulla
regolamentazione delle sinergie è quello di individuare
soluzioni che possano contemporaneamente salvaguardare gli
interessi dei lettori, le professionalità dei giornalisti e le
necessità economico-gestionali delle imprese, soprattutto in
presenza di una fenomenologia molto differenziata che non
consente l'individuazione oggettiva di limiti di compatibilità
nell'utilizzazione sinergica di materiale giornalistico che
possano adattarsi a tutte le realtà.
La norma definisce un itinerario procedurale, a livello
nazionale e aziendale, che permette di costruire i processi
sinergici, definendone di comune accordo e caso per caso i
limiti di compatibilità e le garanzie necessarie. Si assicura così
alle organizzazioni sindacali un'ampia possibilità di intervento
rendendo i giornalisti partecipi delle varie fasi di ogni processo
di formazione di un piano sinergico.
La norma si apre con una elencazione, che deve
ritenersi tassativa, degli obiettivi che un piano sinergico deve
porsi e che sono: l'economicità delle gestioni, il recupero
produttivo, lo sviluppo del pluralismo, il miglioramento della
qualità dell'informazione, l'ampliamento della diffusione dei
giornali, la nascita di nuove iniziative. Obiettivi che devono
essere perseguiti tutelando l'occupazione, valorizzando la
professionalità giornalistica e garantendo le caratteristiche
tipiche delle testate.
Ogni redazione deve avere a disposizione gli strumenti
tecnici per intervenire sul materiale sinergico proveniente
dall'esterno, e i piani devono rispettare l'autonomia
professionale di ogni singolo giornalista e prevedere che sia
possibile conoscere sempre la utilizzazione finale di ogni
articolo.
Solo in questo ambito di obiettivi e di garanzie le
aziende possono procedere a realizzare processi sinergici,
92
previa elaborazione di un piano, alla cui definizione
partecipano i direttori delle testate interessate, piano che
comunque deve assicurare l'autonomia dei direttori, la
valorizzazione di tutti i giornalisti e il «ruolo attivo» delle
redazioni, escludendosi, quindi, la possibilità che vi siano
redazioni destinate solo a ricevere passivamente materiale
sinergico prodotto da altre redazioni.
Una volta definiti, i piani aziendali vengono trasmessi
ai comitati di redazione interessati e alle organizzazioni
sindacali, territoriali e nazionali, oltre che alla Fieg.
Il confronto sul piano avviene a livello aziendale, ma
qualora dovessero insorgere contrasti “le questioni, su
iniziativa di una delle parti, potranno essere rimesse alla
cognizione delle organizzazioni stipulanti per gli esami degli
aspetti controversi”.
In casi di particolare conflitto e quando la mancata
intesa riguardi casi di rilevanza nazionale, si può fare ricorso al
Ministero del lavoro, al quale si riconosce una funzione
arbitrale.
Vi è, infine, da sottolineare la previsione, a proposito
di sinergie, della non obbligatorietà per i giornalisti di fornire
prestazioni multimediali esterne al settore della stampa, in
pratica uno sbarramento all'utilizzazione sinergica di articoli e
servizi di giornalisti dipendenti da quotidiani o periodici a
favore di emittenti radiotelevisive e viceversa.
I services giornalistici
Tra le tante nuove iniziative rese possibili dallo
sviluppo delle tecnologie comunicative vi è il fiorire del
fenomeno dei cosiddetti services, che assicurano alle aziende
editoriali la possibilità di affidare ad altri soggetti
93
imprenditoriali la confezione di parti del proprio prodotto
giornalistico, con il rischio evidente di una riduzione degli
organici redazionali e il pericolo di perdita di ruolo e
autonomia della singola testata.
La norma contrattuale, che reca il titolo
"Dichiarazione congiunta" (Allegato M), prevede che il ricorso
a società di servizi o cooperative deve essere finalizzato
all'arricchimento del prodotto informativo, al miglioramento
della qualità dell'informazione, all'ampliamento della
diffusione, in una prospettiva di tutela dell'occupazione, e nel
rispetto della legislazione che vieta l’interposizione di mano
d’opera.
Inoltre, la realizzazione del materiale informativo
integrativo deve essere affidata a strutture che attestino di
applicare il contratto giornalistico. La centralità operativa delle
redazioni deve essere garantita, oltre che dal controllo dei
direttori responsabili, dalla possibilità di disporre interventi
redazionali per esigenze tecniche ed editoriali. I Comitati di
Redazione devono essere informati sul contenuto e la finalità
delle iniziative, per poter esprimere i pareri preventivi di
competenza. L’arricchimento informativo cui i services si
devono collegare, deve infine avvenire “nella salvaguardia
dell’attualità, con la cadenza delle uscite per i quotidiani, e –
per i periodici – con riferimento alle specifiche caratteristiche,
secondo le esigenze della testata”.
La norma contrattuale è arricchita da una
dichiarazione del ministro del lavoro, che, pur testimoniando la
difficoltà per le parti di regolamentare un argomento certo
spinoso, ne facilita la corretta interpretazione. Vi si chiarisce,
infatti che “il ricorso a società di servizi e cooperative riguarda
la realizzazione di materiale integrativo: pagine, fascicoli ed
inserti.”
94
La multimedialità
La possibilità per il giornalista di lavorare per più
testate, anche multimediali, utilizzando diversi sistemi
tecnologici di comunicazione, deve sottostare ad una specifica
procedura contrattuale che è stata introdotta con il capitolo
“multimedialità”.
La norma prevede che qualora le aziende editoriali
intendano utilizzare le prestazioni dei propri giornalisti su
piattaforme multimediali, e quindi mediante l’elaborazione di
testi scritti destinati alla carta stampata o all’on line, di
prestazioni audio o video destinate a radiotelevisioni o siti on
line, devono preventivamente presentare ai comitati o ai
fiduciari di redazione interessati uno specifico programma sulla
multimedialità aziendale, definito con i direttori delle testate
coinvolte. Il programma, in particolare, deve delineare gli
organici necessari, la nuova organizzazione del lavoro, le
modalità attraverso le quali si intendono realizzare le
integrazioni informative tra testata e testata, e dovrà
individuare gli strumenti multimediali a disposizione dei
singoli giornalisti.
Ovviamente,
l’ingresso
sul
terreno
della
multimedialità deve sempre garantire il rispetto dell’autonomia
professionale del singolo giornalista, al quale non possono in
nessun caso essere richieste prestazioni che non siano di natura
giornalistica, come quelle a carattere pubblicitario o
commerciale. Inoltre, devono essere previsti specifici corsi di
formazione, di addestramento e di aggiornamento
professionale. Per il confronto sul piano tra l’azienda e i
comitati di redazione è previsto un periodo di 40 giorni, ben
più ampio di quello di 25 giorni previsto dall’allegato D) per
l’esame dei piani di crisi aziendale.
95
Infine, gli aggiornamenti del programma multimediale
che non comportano variazioni sostanziali dell’organizzazione
del lavoro devono essere comunicati ai comitati di redazione.
Quando, invece, essi comportino mutamenti sostanziali dovrà
essere attivata integralmente la procedura di confronto definita.
Le norme per l’accesso dei giovani, il passaggio degli
autonomi al lavoro subordinato, e le facilitazioni per la
rioccupazione dei disoccupati
Per l’accesso al mercato del lavoro dei giovani è stato
utilizzato lo strumento di legge del contratto di apprendistato
professionalizzante. Le aziende che intendono assumere
giovani (fino all’età massima di 29 anni) possono stipulare
contratti di apprendistato professionalizzante, che prevedono il
trattamento economico e normativo del praticante per i primi
18 mesi, al termine dei quali il minimo tabellare è incrementato
del 10% per i successivi nove mesi e di un ulteriore 5% fino al
termine dei 36 mesi di apprendistato previsti dalla legge. Dopo
questo periodo trova integrale applicazione la normativa
contrattuale e, di conseguenza, decorrono i trattamenti del
redattore con meno di 30 e più di 30, considerando l’anzianità
dalla data di superamento della prova di idoneità professionale.
Per quanto riguarda le facilitazioni per il passaggio dal
lavoro autonomo al lavoro subordinato e per la rioccupazione
dei giornalisti disoccupati è prevista una retribuzione di
ingresso che tiene conto dello status professionale del
giornalista. A tutti coloro che abbiano un’anzianità
professionalità superiore a 30 mesi di iscrizione all’albo è
riconosciuto, in caso di assunzione e per un periodo di 36 mesi,
il trattamento economico e normativo del redattore con meno
di 30 mesi.
Superati i 36 mesi deve essere applicato il
trattamento economico e normativo previsto dal contratto
collettivo per il redattore con più di 30 mesi di anzianità
96
professionale. A coloro (autonomi, inoccupati e disoccupati)
che hanno un’anzianità professionale inferiore a 30 mesi,
fermo restando il trattamento normativo del redattore con
meno 30 è riconosciuto, sempre in caso di assunzione un
minimo tabellare pari a quello del praticante con più di 12 mesi
di servizio maggiorato del 18%. Anche in questo caso superati
i 36 mesi è applicato il trattamento economico e normativo del
redattore più di 30 mesi. A queste facilitazioni retributive si
accompagnano quelle contributive previste dalla legge nei casi
di assunzione a tempo indeterminato.
Il regolamento di disciplina
Come è noto i regolamento di disciplina rientra tra le
disposizioni che lo Statuto dei lavoratori pone a garanzia dei
lavoratori.
Ogni lavoratore subordinato è vincolato all’osservanza
sia degli obblighi contrattuali sia degli obblighi di legge, in
particolare degli articoli 2104 e 2105 del C.C. che si riferiscono
alla diligenza del prestatore di lavoro e all’obbligo di fedeltà.
A sua volta l’art.2106 del C.C. stabilisce che
l’inosservanza di tali obblighi “può dar luogo all’applicazione
di sanzioni disciplinari” da parte del datore di lavoro.
Questo potere di ogni imprenditore nei confronti dei
suoi dipendenti e quindi di ogni editore nei confronti dei
giornalisti ha trovato una limitazione nell’art.7 della Legge 20
maggio1970 n.300 (statuto dei lavoratori), il quale ha previsto
che le norme disciplinari relative alle sanzioni, alle infrazioni
in relazione alle quali ciascuna di esse può essere applicata,
“devono essere portate a conoscenza del lavoratore mediante
affissione in luogo accessibile a tutti”. La stessa norma
aggiunge che “essi devono applicare quanto in materia è
stabilito da accordi e contratti di lavoro ove esistano”. Ciò
significa che in assenza di regolamentazione della materia a
97
livello di contrattazione collettiva il datore di lavoro può
autonomamente redigere un disciplinare che trova immediata
applicazione nella propria azienda. E’ di tutta evidenza che,
nell’ambito di questa cornice normativa e senza ulteriori
precisazioni contrattuali ogni editore sarebbe libero di imporre
a suo piacimento norme disciplinari valide per i propri
dipendenti, anche giornalisti. Questa possibilità è però limitata
dall’introduzione nel contratto collettivo del regolamento di
disciplina che definisce garanzie ineludibili per tutti i
giornalisti, vincola e limita il potere disciplinare degli editori,
sostituisce automaticamente tutte le norme disciplinari che, a
livello aziendale, sono state assunte dagli editori e che
dovessero risultare difformi e peggiorative della normativa
concordata a livello nazionale.
Tutto ciò premesso, ed entrando nel merito del
regolamento concordato, si deve sottolineare come il potere
disciplinare dell’editore sia stato limitato alle violazioni di
norme di comportamento senza alcuna possibilità di
interferenza sulla prestazione del lavoro e sui suoi contenuti
professionali. In premessa, infatti, il regolamento esclude la
possibilità di intervento dell’editore nel campo dei diritti e dei
doveri fissati dalla legge istitutiva dell’Ordine e che rientrano
nelle competenze disciplinari dei Consigli Regionali e
Nazionali dell’Ordine.
Inoltre, si prevede che l’azienda possa assumere un
provvedimento disciplinare soltanto dopo aver sentito il
direttore.
I provvedimenti disciplinari vanno dal rimprovero
verbale, in presenza di lievi infrazioni, o quando il giornalista
sia venuto meno agli obblighi derivanti dall’applicazione
dell’art.7 (orario di lavoro), al rimprovero scritto in caso di
recidiva o quando non abbia comunicato la sua assenza dal
lavoro senza giustificato motivo, alla multa in presenza di
98
gravi recidive per le violazioni precedenti, alla sospensione dal
lavoro e dalla retribuzione per un periodo non superiore a 5
giorni quando si usino gli strumenti aziendali per lavori
estranei all’attività dell’azienda o quando, per colpa grave, si
procuri un danno di notevole entità al materiale aziendale, per
finire al licenziamento, misura estrema, che può essere assunta
in presenza di una giusta causa o di un giustificato motivo, così
come prevede la Legge 604 del ’66, ovvero in presenza di una
violazione del diritto di esclusiva sancito dall’art.8 del
contratto.
Il diritto d’autore e la reprografia
La regolamentazione del diritto d’autore sta subendo
una costante evoluzione legislativa anche su sollecitazione
delle istituzioni comunitarie. Le parti contrattuali hanno voluto
inserirsi nella discussione, formalizzando impegni reciproci
che in prospettiva potranno portare a risultati certamente
interessanti. Una norma del contratto, infatti, sottolinea
l’intento comune di editori e giornalisti di individuare
strumenti, anche legislativi, per garantire la regolamentazione
del diritto d’autore nel settore dell’informazione e stabilisce, in
relazione alla reprografia (le rassegne stampa su carta o
realizzate su qualsiasi altro mezzo), che la relativa
regolamentazione, comunque avvenga, per legge, accordo o
altro, dovrà prevedere una suddivisione degli introiti economici
tra giornalisti ed editori.
La contrattazione aziendale
Il contratto nazionale non esaurisce le possibilità di
contrattazione collettiva. Infatti, al primo livello, quello
nazionale, può aggiungersi un secondo livello, quello
99
aziendale, che adatta la normativa nazionale alle condizioni
aziendali, sviluppa le materie delegate dalla contrattazione
nazionale, come per esempio la regolamentazione
dell’aggiornamento
professionale,
introduce
elementi
normativi non regolati dal contratto nazionale. Ovviamente, per
un principio di gerarchia delle fonti normative e di tutela del
lavoro, la contrattazione di secondo livello non può modificare
in senso peggiorativo istituti economici e normativi regolati
dalla contrattazione nazionale.
La contrattazione collettiva a livello aziendale deve
avere una durata triennale e non può sovrapporsi “per il
principio dei cicli negoziali” con quella di livello nazionale.
Le erogazioni economiche del livello aziendale non
possono riguardare aspetti retributivi ripetitivi di quelli già
definiti nel contratto collettivo e devono essere strettamente
correlate ai risultati conseguiti nella realizzazione di
programmi concordati fra le parti, che abbiano come obiettivo
incrementi di produttività, di qualità, di sviluppo delle
professionalità ed altri elementi di competitività a disposizione
delle aziende. In pratica gli aumenti aziendali sono legati al
positivo andamento economico dell'impresa nel periodo
interessato. Per questo motivo la contrattazione aziendale, per
quanto riguarda gli aspetti economici è caratterizzata dal
criterio della temporaneità di vigenza
Il lavoro nei giornali on line (editi da aziende editoriali di
testate cartacee)
Lo sviluppo dei siti informativi on line, una nuova
realtà editoriale favorita dall’esplosione di Internet, aveva
spinto le parti ad individuare nell’ambito della contrattazione
nazionale, in occasione del rinnovo dell’11 aprile 2001
(contratto 2001-2005) una regolamentazione ad hoc (Allegato
100
N) per i giornalisti che vi lavorano. La normativa non poteva
certamente ritenersi esaustiva, ma assicurava risposte
fondamentali soprattutto a chi da tempo operava nelle testate e
nei giornali on line senza alcun riconoscimento professionale,
normativo ed economico del suo lavoro.
Che anche l’intervento nel settore multimediale
dovesse rientrare nelle occasioni di verifica tra le parti lo si era
specificamente previsto al primo punto dell’accordo, laddove si
prevedeva l’obbligo per le aziende editoriali di fornire “agli
organismi sindacali dei giornalisti le informazioni relative alle
loro iniziative multimediali”.
Quella normativa aveva il pregio di introdurre una
definizione del lavoro giornalistico on line (oggi cancellata)
che rispondeva all’esigenza di chiarire con precisione cosa si
dovesse intendere per lavoro giornalistico e di escludere,
quindi, dall’ambito di applicazione dell’accordo tutte quelle
altre figure e prestazioni che, pur presenti in maniera
consistente nei siti on line, non possono assimilarsi alla tipicità
del lavoro giornalistico. L’accordo, infatti, prevedeva che “il
presente protocollo si applica ai redattori di nuova assunzione
utilizzati nelle redazioni di giornali elettronici per la ricerca,
elaborazione, commento, invio e verifica delle notizie ed
elaborazione di ogni altro elemento di contenuto giornalistico
relativo alla ricerca e predisposizione degli elementi
multimediali ed interattivi da immettere direttamente nel
sistema. Non sono considerate di pertinenza giornalistica
prestazioni attinenti alle informazioni di servizio, pubblicitarie
e di contenuto commerciale”. Una formulazione cancellata nel
contratto vigente, ma che in presenza di contenzioso, anche
giudiziario, può essere a buon diritto richiamata quale
strumento interpretativo. Dopo 8 anni di applicazione
contrattuale la Federazione della Stampa ha ritenuto che questa
fase provvisoria di emersione dovesse considerarsi ormai
101
esaurita e che si dovesse passare alla fase di applicazione
integrale del contratto in tutte le testate on line.
Da aprile 2009 l’allegato N) è stato abolito e dalla
stessa data tutti i giornalisti che lavorano nei giornali elettronici
devono essere inquadrati, sulla base della posizione
professionale aziendale in atto, nelle qualifiche di redattore con
meno di 30 mesi di anzianità professionale, redattore con più di
30 mesi di anzianità professionale e di caposervizio, per chi
ricopriva in precedenza l’incarico di coordinatore. Ad essi,
sempre a partire da aprile 2009, è riconosciuto l’equivalente
trattamento economico (minimo tabellare + indennità di
contingenza) previsto per la qualifica di appartenenza. Sempre
da aprile 2009 decorre il periodo per la maturazione
dell’indennità redazionale e relativa aggiunta (dalla quale erano
esclusi), nonché il periodo per la maturazione degli aumenti
periodici di anzianità. È il caso di ricordare che in base
all’allegato N) i giornalisti che lavoravano nei giornali
elettronici non avevano prima il diritto agli scatti di anzianità.
Inoltre, ferma restando l’applicazione integrale di tutte le
norme contrattuali, è stata prevista una gradualità di
adeguamento per quanto riguarda il lavoro prestato nelle
festività infrasettimanali. L’abolizione dell’allegato N) ha
comportato anche il venir meno dei limiti numerici previsti per
la costituzione della rappresentanza sindacale oltre al venir
meno dei limiti posti alla sua attività. In tutte le testate on line è
possibile eleggere un comitato o un fiduciario sindacale. I
fiduciari e i comitati di redazione delle testate on line hanno
tutti i poteri di intervento previsti dall’art.34.
La risoluzione del rapporto di lavoro.
Il rapporto di lavoro può risolversi per licenziamento,
dimissioni, decesso del giornalista o per risoluzione
102
consensuale. In tutti questi casi il giornalista ha diritto al
trattamento di fine rapporto (Tfr), cosi come previsto dall’art.
2120 del Codice Civile. Il trattamento di fine rapporto consiste
in una somma che si cumula annualmente e che annualmente è
rivalutata. Il meccanismo è semplice: la retribuzione annua
lorda percepita dal giornalista è divisa ogni anno di lavoro per
13,5. Questa cifra è accantonata e sarà rivalutata di anno in
anno in misura del 75% dell’indice di svalutazione del costo
della vita aumentato di un punto e mezzo.
Quando il legislatore ha introdotto questa disposizione
nel Codice Civile l’inflazione galoppava a due cifre e di
conseguenza, il meccanismo individuato di ricalcolo del Tfr,
finiva per “raffreddare” gli importi maturati. Questo era
l’obiettivo che il legislatore in quel momento si prefiggeva non
tenendo presente che, quando, l’inflazione è sotto il 6%,
inevitabilmente, il ricalcolo del Tfr si risolve in una percentuale
superiore all’indice di svalutazione.
Se il rapporto di lavoro è risolto dall’azienda per
licenziamento, tranne che non si tratti di licenziamento per
fatto o colpa del giornalista cosi grave da non consentire la
prosecuzione anche provvisoria del rapporto di lavoro, il
giornalista ha diritto a percepire, oltre al Tfr, anche l’indennità
di mancato preavviso nella misura di 8 mensilità di
retribuzione, che salgono a 9 quando il giornalista abbia più di
20 anni di anzianità aziendale.
In caso di decesso del giornalista l’azienda è tenuta a
corrispondere agli eredi, oltre al trattamento di fine rapporto
maturato dal giornalista, anche l’indennità di mancato
preavviso.
A differenza di qualsiasi altro rapporto di lavoro
subordinato, nel rapporto di lavoro giornalistico non è previsto
un periodo di preavviso lavorato e, pertanto, in caso di
103
licenziamento deve essere comunque sempre erogata al
giornalista l’indennità di mancato preavviso.
La norma contrattuale (art. 33) prevede che l’azienda
possa risolvere il rapporto di lavoro quando il giornalista abbia
raggiunto il 65° anno di età. Non si tratta, quindi, di una
clausola di automatica risoluzione del rapporto di lavoro per
raggiunti limiti di età, ma soltanto di una facoltà dell’azienda.
Il che significa che in tutti i casi di risoluzione del rapporto di
lavoro da parte dell’azienda motivata con il raggiungimento o
il superamento del 65° anno di età, il giornalista ha sempre
diritto all’indennità di mancato preavviso.
Per quanto riguarda le figure apicali, ovvero, il
direttore, il condirettore e il vicedirettore, in caso di risoluzione
del rapporto di lavoro ad nutum da parte dell’azienda, oltre al
Tfr e all’indennità sostitutiva del preavviso è dovuto un
indennizzo fino ad un massimo di 12 mensilità di retribuzione.
Il giornalista che si dimette è tenuto a dare un preavviso
di due mesi. In caso contrario l’editore avrà diritto ad una
indennità pari alle due mensilità di retribuzione per il mancato
preavviso del giornalista.
Non è, però, il caso del giornalista che si dimetta
invocando l’art. 32 del Contratto, ovvero quando le dimissioni
siano motivate da un sostanziale mutamento della linea politica
del giornale o da una utilizzazione della prestazione del
giornalista tale da menomarne la sua dignità professionale.
Quando si realizza una di questa fattispecie il giornalista,
ancorché dimissionario, ha diritto oltre che al Tfr anche
all’indennità di mancato preavviso. La risoluzione del rapporto
deve, considerarsi, infatti, avvenuta per “fatto” dell’editore.
Ovviamente, quando la risoluzione del rapporto
avvenga per accordo consensuale tra le parti, nello stesso
accordo sono definiti i termini economici per la risoluzione del
rapporto, fermo restando che, comunque, il giornalista ha
104
sempre diritto a percepire l’importo del trattamento di fine
rapporto maturato.
Se il rapporto di lavoro si risolve per licenziamento o
per decesso del giornalista il rapporto di lavoro deve ritenersi
concluso con la fine del mese nel quale è avvenuto il
licenziamento o il decesso e, quindi, per quel mese il
giornalista matura la retribuzione intera. Se, invece, il rapporto
si risolve per dimissioni la retribuzione e il calcolo di tutte le
spettanze dovute cessano alla data delle dimissioni.
Non va dimenticato che per il calcolo dell’importo delle
retribuzioni mensili dovute per il mancato preavviso occorre
ricomprendere anche i ratei di 13ª mensilità nonché i ratei della
indennità redazionale e della relativa aggiunta.
105
Cap. V
La regolamentazione contrattuale dei giornalisti
che lavorano nell’emittenza di ambito locale
(il contratto Aeranti-Corallo Fnsi)
Il primo contratto collettivo per la regolamentazione
del lavoro giornalistico nelle aziende radiotelevisive di ambito
locale è stato sottoscritto dalla Federazione Nazionale della
Stampa il 3 ottobre 2000 con il Coordinamento di Aer-Anti e
Corallo, associazioni maggiormente rappresentative del settore
dell’editoria radiotelevisiva locale, e può essere considerato un
passaggio di rilevanza storica nella vita quasi secolare del
sindacato dei giornalisti italiani.
Questo contratto (adeguato con accordo dell’11 luglio
2006 e rinnovato il 27 gennaio 2010), che si affianca al
contratto stipulato dalla Fnsi con la Fieg è da considerarsi un
contratto completo ed esaustivo che disciplina integralmente un
particolare settore del mondo dell’informazione, quello
dell’emittenza locale, e che ha ormai una sua vita autonoma e
separata da quella del contratto tradizionalmente stipulato tra la
Fieg e la Fnsi.
Il contratto per l’emittenza radiotelevisiva privata di
ambito locale ha durata quadriennale per la parte normativa e
biennale per la parte economica, secondo i criteri fissati
dall’accordo interconfederale 3 luglio 1993.
Questo contratto regola l’attività professionale
giornalistica riferita allo specifico della radiotelevisione locale,
coniugando le esigenze di flessibilità e di semplificazione
dell’apparato normativo con quelle di difesa dei principi e dei
valori della professione giornalistica. Non a caso nell’art.1 del
contratto, come in quello Fieg-Fnsi, è richiamata la legge
istitutiva dell’Ordine ed il diritto insopprimibile del giornalista
106
alla libertà di informazione e di critica, a conferma che anche
in questo settore e pur in presenza di un rapporto di lavoro
subordinato, vale il principio della autonomia professionale. I
diritti professionali sono anche garantiti dall’art.14 (modifiche,
cessione e pubblicazione di articoli) che sancisce il “diritto di
paternità” di ogni singolo servizio radiotelevisivo, mediante il
divieto di apportarvi modifiche o integrazioni senza
l’autorizzazione dell’autore del servizio stesso, e il “diritto di
firma”, attraverso il divieto di mandare in onda servizi firmati
quando questi siano stati modificati senza il consenso del loro
autore. Ne consegue che ogni teleradiogiornalista ha il diritto,
in caso di dissenso, di fare ritirare, con la firma, la voce e
l’immagine di un servizio già registrato.
Sempre nell’ambito delle tutele professionali deve
essere, inoltre, inquadrata la normativa dell’art.30 (rapporto tra
informazione e pubblicità) che obbliga a distinguere
chiaramente tra messaggio informativo e messaggio
pubblicitario e che pone il divieto di utilizzare, anche
parzialmente, i servizi dei teleradiogiornalisti per trasmissioni a
carattere pubblicitario. La stessa norma riconosce, fermo
restando l’obbligo di effettuare una prestazione professionale
che non comporti in alcun modo la firma, il diritto
“insopprimibile” del giornalista di non prestare la sua voce e la
sua immagine, purché esistano tempi minimi necessari per la
sua sostituzione, quando siano diffusi servizi o notizie sulle
quali abbia espresso un dissenso motivato. In particolare questo
diritto è garantito quando non sia stata possibile da parte del
giornalista una verifica adeguata delle fonti di informazione e
quando la diffusione della notizia o del servizio possa, per i
suoi contenuti, mettere a repentaglio la deontologia
professionale del giornalista stesso.
Sempre in base al principio della chiarezza
informativa con particolare attenzione ai diritti dell’utente
107
radiotelevisivo, la stessa norma prevede, da un lato che
l’azienda deve informare gli organismi sindacali sulla natura di
eventuali trasmissioni in convenzione, dall’altro che ogni
trasmissione a contenuto informativo ed ogni rubrica
giornalistica realizzate all’esterno della redazione, in regime di
convenzione devono essere segnalate al pubblico come
prodotto proveniente dall’esterno con l’indicazione delle
generalità del committente.
Ciò premesso, esaminiamo più nel dettaglio i
contenuti principali di questo contratto, che possono essere così
riassunti per capitoli:
Le qualifiche
A differenza del contratto Fieg-Fnsi e in
considerazione della ridotta dimensione della maggior parte
delle emittenti radiotelevisive locali, sono previste soltanto
quattro qualifiche (art.2), di cui due legate all’anzianità nel
settore giornalistico e che prescindono dalla qualificazione
professionale (professionista, pubblicista, praticante).
La prima di queste è quella del teleradiogiornalista
con meno di 24 mesi di attività nel settore giornalistico.
La seconda è quella del teleradiogiornalista con oltre
24 mesi di attività, il cui trattamento minimo economico si
articola su due livelli differenziati, uno per il settore
radiofonico e uno per quello televisivo.
A queste due qualifiche, legate all’anzianità, si
aggiunge quella del coordinatore redazionale, prevista in
funzione della dimensione della struttura giornalistica
dell’azienda, che ha il compito di coordinare gerarchicamente
il lavoro della redazione. Il coordinatore, che deve avere
specifica lettera di incarico, ha diritto ad una indennità di
108
funzione da concordarsi aziendalmente e comunque non
inferiore al 13% del minimo tabellare.
E’ prevista anche la qualifica di vice coordinatore
redazionale, con il compito di svolgere funzioni vicarie come
sostituto del coordinatore redazionale in caso di sua assenza e
sulla base di specifiche istruzioni ricevute dallo stesso
coordinatore. Al vice coordinatore redazionale deve essere
riconosciuta una indennità da concordarsi in sede aziendale e
che non sia comunque inferiore al 5% del minimo dello
stipendio.
Il Direttore
E’ anche definita la figura del direttore (art.6) le cui
facoltà sono determinate dall’accordo stipulato con l’editore,
che deve garantire, in ogni caso, l’autonomia di tutti i
giornalisti e non può essere in contrasto con le norme
sull’ordinamento professionale. La nomina del direttore deve
essere comunicata alla rappresentanza sindacale dei giornalisti
almeno 48 ore prima del suo insediamento. Entro 10 giorni
dall’assunzione dell’incarico il direttore è tenuto ad illustrare
all’assemblea dei giornalisti dipendenti i contenuti dell’accordo
sottoscritto con l’editore e il suo programma politico editoriale.
Il praticante
Particolare rilievo assume la regolamentazione del
praticantato (art.34) che non ha riflessi sulla “carriera” e sul
trattamento economico. Infatti, tutti coloro che sono assunti ex
novo come praticanti hanno diritto al trattamento economico
che spetta al teleradiogiornalista con meno di 24 mesi di
attività nel settore giornalistico e ad essi deve essere rilasciata
la documentazione necessaria per l’iscrizione nel registro dei
praticanti.
109
Buona parte della norma ha avuto il valore di norma
transitoria in quanto tendeva inizialmente a regolarizzare un
settore nel quale per molti anni avevano operato soggetti senza
qualifica professionale e nel quale erano stati applicati i più
disparati contratti di lavoro.
Con l’entrata in vigore di questo contratto, a tutti
coloro che prestavano attività di lavoro giornalistico
nell’emittenza locale, iscritti nell’elenco dei pubblicisti o non
iscritti all’Albo, compresi quelli che erano stati inquadrati con
le qualifiche di telereporter o radioreporter sulla base del
contratto di settore firmato da altre organizzazioni sindacali
non rappresentative dei giornalisti è stata applicata la
normativa di questo contratto e rilasciata da parte delle aziende
l’attestazione per consentire l’iscrizione nel registro dei
praticanti. Qualora, per qualsiasi motivo, non si fosse dato
luogo all’iscrizione, lo status professionale non modificava in
alcun modo il trattamento economico.
Ovviamente, in presenza di trattamenti economici in
atto di miglior favore, questi continuano ad avere piena validità
e devono essere specificati nelle singole buste paga come
superminimi ad personam eventualmente riassorbibili nei
miglioramenti economici dei futuri rinnovi contrattuali.
Trattamento economico
Il teleradiogiornalista, oltre al minimo tabellare (con
meno di 24 mesi di anzianità professionale;
per il
radiogiornalista con più di 24 mesi e per il telegiornalista con
più di 24 mesi) ha diritto ad una indennità redazionale (art.18)
che percepisce con la retribuzione del mese di giugno e ad una
tredicesima mensilità pari ai 30/26esimi della retribuzione di
dicembre.
Il teleradiogiornalista ha diritto ad aumenti periodici
di anzianità pari al 3% del minimo contrattuale per ogni
110
biennio di anzianità aziendale. Per la maturazione del primo
scatto, il biennio inizia a decorrere dal momento in cui il
teleradiogiornalista ha superato i 24 mesi di attività lavorativa
nel settore giornalistico e maturato il diritto al relativo
trattamento economico.
L’orario di lavoro è fissato in 36 ore a settimana
suddiviso su 5 o 6 giorni in base all’organizzazione del lavoro
definita all’interno della singola testata. La maggiorazione per
il lavoro straordinario è calcolata sulla paga base oraria
maggiorata del 20%, ma il diritto a tale maggiorazione matura
soltanto dopo la 40esima ora settimanale. Le eventuali ore di
lavoro aggiuntivo, tra la 36esima e la 40esima, vengono
compensate con la paga base oraria. Il diverso trattamento
economico, frutto di una mediazione contrattuale, non
significa, però, considerare l’orario di lavoro settimanale del
settore di 40 ore. L’orario ordinario di lavoro settimanale è, pur
sempre, di 36 ore. Il superamento di questo limite determina
una
prestazione
lavorativa
in
straordinario,
che,
conseguentemente, non può che essere occasionale e non può
essere obbligatorio.
Le maggiorazioni per prestazioni particolari sono
specificate nell’art.12 che prevede per il lavoro ordinario
notturno (quello prestato tra le ore 23.00 e le ore 6.00) una
maggiorazione oraria del 18%, mentre il lavoro straordinario
notturno è compensato con una maggiorazione oraria del 30%;
per il lavoro festivo infrasettimanale una maggiorazione oraria
del 30% e in presenza di lavoro festivo notturno del 35%; per il
lavoro domenicale con riposo compensativo una
maggiorazione oraria del 10%; per il lavoro domenicale
notturno una maggiorazione oraria del 30%.
La maggiorazione per il lavoro straordinario fornito in
giornata festiva passa dal 20 al 40% e sale al 50% quando il
lavoro straordinario festivo sia reso in orario notturno.
111
Il teleradiogiornalista ha diritto ad un periodo di ferie
di 26 giorni lavorativi ogni anno e in caso di risoluzione del
rapporto, oltre al TFR, ad una indennità sostitutiva del
preavviso che è pari ad una mensilità per il teleradiogiornalista
con meno di 24 mesi e a due mensilità per il
teleradiogiornalista con oltre 24 mesi.
E’ prevista anche la “cessione servizi”, ovvero il
diritto ad una maggiorazione mensile retributiva del 10% in
presenza di cessione sistematica di servizi giornalistici a più
testate radiotelevisive appartenenti ad altri editori che non
siano comunque collegati o controllati, così come prescrive il
C.C., dall’editore da cui dipende il teleradiogiornalista.
Legittimi motivi di risoluzione del rapporto
Anche nella regolamentazione contrattuale del lavoro
giornalistico nell’emittenza radiotelevisiva di ambito locale è
prevista la cosiddetta “clausola di coscienza”, presente nella
contrattazione collettiva sin dal 1913. Si tratta di una norma
peculiare del lavoro giornalistico, che ne caratterizza
l’autonomia e la professionalità. La norma prevede che quando
ci sia un cambiamento dell’indirizzo politico della testata, o
quando l’opera del teleradiogiornalista sia utilizzata in termini
tali da menomarne la dignità professionale, o quando, per
responsabilità dell’editore, si sia creata una situazione di
incompatibilità con la dignità del teleradiogiornalista,
l’interessato può chiedere la risoluzione del rapporto di lavoro
per “responsabilità dell’editore”, avendo, di conseguenza,
diritto al trattamento di fine rapporto e ad una cifra pari
all’indennità di mancato preavviso, a titolo risarcitorio.
112
Innovazioni tecnologiche
Anche nell’emittenza radiotelevisiva si assiste da
molti anni ad un cambiamento tecnologico che influisce
consistentemente sulle modalità di svolgimento del lavoro
giornalistico. Il contratto collettivo ha, perciò, voluto prevedere
limiti e garanzie nella introduzione di innovazioni
tecnologiche. La principale garanzia riguarda gli ambienti di
lavoro che, prima dell’introduzione di ogni nuovo sistema
tecnologico devono garantire condizioni ambientali e di lavoro
idonee allo svolgimento del lavoro redazionale. In secondo
luogo, ogni innovazione di carattere tecnologico deve essere
preceduta dalla comunicazione alla rappresentanza sindacale
dei giornalisti.
E’ anche obbligatorio un periodo di addestramento
professionale, i cui costi devo essere a carico dell’editore.
Quando l’addestramento dovesse avvenire al di fuori dal
normale orario di lavoro, il teleradiogiornalista ha diritto al
compenso di lavoro straordinario. Un aspetto rilevante riguarda
la segretezza dei testi elaborati dal singolo giornalista e la
inviolabilità della sua posta elettronica, che devono essere
garantiti dal sistema tecnologico.
Rappresentanza sindacale
Nelle testate radiotelevisive è sancito il diritto alla
rappresentanza sindacale dei giornalisti, autonoma e distinta
dalla rappresentanza sindacale degli altri lavoratori dipendenti
dell’azienda. La norma (art.29) prevede che nelle aziende che
occupano più di 4 e fino a 11 teleradiogiornalisti deve essere
eletto un fiduciario di redazione; nelle aziende con 12 e sino a
20 teleradiogiornalisti viene eletto un comitato di redazione di
due membri, mentre nelle aziende con oltre 20
113
teleradiogiornalisti il comitato di redazione deve essere di 3
membri.
Per la copertura sindacale di tutte quelle redazioni che
hanno meno di 5 teleradiogiornalisti, è previsto l’intervento
delle Associazioni territoriali di Stampa della regione dove ha
sede
l’emittente,
che,
su
richiesta
del
singolo
teleradiogiornalista dipendente, possono intervenire per
vigilare sull’applicazione delle norme contrattuali e per tentare
la conciliazione di controversie individuali.
I fiduciari e i componenti dei comitati di redazione
hanno diritto a permessi sindacali retribuiti nel numero
massimo di 10 giorni all’anno.
La rappresentanza sindacale dei teleradiogiornalisti ha
il compito di: a) mantenere il collegamento tra il corpo
redazionale e l’Associazione di stampa territorialmente
competente; b) controllare sull’applicazione all’interno della
testata delle norme contrattuali e delle norme di legge sul
lavoro; c) tentare di conciliare eventuali controversie tra
l’azienda e il singolo giornalista dipendente; d) di poter
formulare proposte in merito all’organizzazione del lavoro e
alla struttura informativa dell’azienda, oltre che esprimere
pareri su ogni iniziativa al riguardo. Inoltre, la rappresentanza
sindacale può, sempre attraverso pareri o proposte, intervenire
su nuovi programmi aziendali, su ogni iniziativa di
ristrutturazione, trasferimenti di impianti e su tutto ciò che
riguarda la struttura dell’azienda e che possa in qualche modo
influire sul lavoro giornalistico. Per l’esame delle
problematiche emergenti da quest’ultimo aspetto è prevista una
specifica riunione tra rappresentanza sindacale direttore e
azienda nel corso della quale l’azienda è tenuta a fornire tutta
la necessaria informativa sulle sue iniziative, in modo da
consentire alla rappresentanza sindacale di esprimere le
proprie valutazioni.
114
E’ prevista, inoltre, una norma transitoria per quelle
aziende dove era antecedentemente applicato il contratto FiegFnsi, e nelle quali era stato costituito un comitato o un
fiduciario di redazione ai sensi dell’art.34 del CNLG Fieg-Fnsi.
In tutti questi casi è previsto che le predette rappresentanze
sindacali continuino ad operare sino alla naturale scadenza del
loro mandato e comunque non oltre il 31 dicembre 2001. Dal
1° gennaio 2002 in tutte le aziende dell’emittenza
radiotelevisiva locale la rappresentanza sindacale dei giornalisti
è stata adeguata alla nuova normativa.
Passaggio dal contratto Fieg-Fnsi al contratto Fnsi-AerAnti-Corallo per le situazioni in atto
Il contratto di settore ha affrontato un problema molto
delicato quale quello del passaggio al nuovo contratto in tutte
quelle aziende dove in precedenza era applicato ai giornalisti
dipendenti il contratto Fieg-Fnsi.
Nei confronti di questi giornalisti ha continuato a
trovare applicazione il contratto Fieg-Fnsi, con tutti i suoi
istituti economici, fino alla naturale scadenza contrattuale.
Successivamente, e fermi restando i trattamenti economici in
atto e già maturati, sono stati riconosciuti esclusivamente i
miglioramenti economici del contratto Fnsi-Aer-Anti-Corallo.
Ciò significa che i giornalisti già con contratto Fieg-Fnsi hanno
mantenuto i minimi tabellari di quel contratto, l’indennità
redazionale, la 13esima mensilità, le maggiorazioni previste
per il lavoro notturno, festivo e straordinario, il numero dei
giorni di ferie e dei permessi, l’istituto del preavviso e della
relativa indennità sostitutiva, il meccanismo ed il numero degli
scatti di anzianità.
A differenza degli istituti economici, tutti gli altri
istituti normativi previsti dal nuovo contratto hanno trovato
immediata applicazione. In particolare, per quanto riguarda
115
l’inquadramento categoriale, sono stati riportati nell’ambito
delle qualifiche di teleradiogiornalista con più o meno di 24
mesi di anzianità e di coordinatore. La normativa ha previsto
anche che nelle aziende nelle quali era antecedentemente
applicato il contratto Fieg-Fnsi si dovesse procedere a redigere
con i singoli lavoratori un atto di ricognizione della posizione
individuale al fine di definire, alla luce dell’accordo collettivo,
il passaggio alla nuova normativa contrattuale.
La Previdenza, l’Assistenza e l’Assicurazione infortuni
Il contratto assicura ai teleradiogiornalisti la copertura
previdenziale con l’Inpgi con gli stessi criteri e meccanismi
previsti per tutti i giornalisti con rapporto di lavoro
subordinato, mas anche tutti gli istituti integrativi che sono
riconosciuti ai giornalisti della carta stampata e dell’emittenza
nazionale nel contratto Fieg-Fnsi.
In particolare, è prevista la possibilità per il
teleradiogiornalista di iscriversi al Fondo di Pensione
Complementare, volontaria in base alla vigente normativa di
legge, con un versamento a suo carico, che può variare dallo
0,10% al 12%. L’onere a carico dell’editore è pari all’1% della
retribuzione mensile con obbligo di versamento al Fondo della
quota integrale del TFR maturato nel corso dell’anno.
E’ riconosciuta anche l’assistenza sanitaria
integrativa assicurata dalla Casagit. Il teleradiogiornalista è
tenuto a versare un contributo mensile pari al 3,60% della
retribuzione, mentre le aziende versano per ogni singolo
giornalista dipendente un contributo mensile pari allo 0,50%
della retribuzione.
Inoltre, le aziende dell’emittenza radiotelevisiva locale
sono tenute ad assicurare tutti i teleradiogiornalisti,
professionisti e praticanti, dipendenti tramite l’assicurazione
116
infortuni gestita dall’Inpgi a seguito di convenzione con la
Fnsi. A fronte di un costo mensile di £.13.000 per ogni
teleradiogiornalista, professionista e praticante, viene
riconosciuto, in caso di infortunio sul lavoro o anche
extraprofessionale e nel caso di morte o di invalidità
permanente per infarto del miocardio o ictus cerebrale non
conseguente ad infortunio, una indennità pari a 92.962,24 euro
in caso di morte e 108.455,95 euro in caso di invalidità
permanente totale; in caso di invalidità permanente parziale
l’indennità deve essere
proporzionata sulla base della
constatata riduzione della capacità lavorativa.
L’indennità prevista per il caso di morte è soggetta a
maggiorazioni che variano a seconda della anzianità del
teleradiogiornalista e del carico familiare.
La flessibilità
Sul terreno della flessibilità il contratto Fnsi-AerantiCorallo regolamenta gli istituti della contrattazione a termine,
dell’assunzione di disoccupati, del lavoro part-time.
Per quanto riguarda i contratti a termine viene
richiamata la nuova disciplina nella materia introdotta con il
decreto legislativo 6 settembre 2001 n. 368 e dalle sue
successive modificazione e integrazioni.
Quando un teleradiogiornalista abbia sottoscritto con
lo stesso editore e per lo svolgimento delle stesse mansioni o di
mansioni equivalenti più contratti a termine per un periodo
complessivo di 36 mesi è possibile sottoscrivere con lo stesso
editore soltanto un ulteriore contratto a termine della durata
massima di 12 mesi, ma la stipula del contratto deve avvenire
presso la competente direzione provinciale del lavoro e il
teleradiogiornalista deve essere assistito dall’Associazione
Regionale di Stampa di appartenenza. Ovviamente, in base alle
possibilità previste dalla legge, ai fini del computo del limite
117
massimo di 36 mesi di contratti a termine non rientrano tute le
fattispecie di contratti a termine stipulati per la sostituzione di
altri teleradiogiornalisti assenti con diritto alla conservazione
del posto di lavoro (in aspettativa, malattia, maternità, ferie
ecc.)
Per facilitare l’assunzione dei giornalisti disoccupati o
in cassaintegrazione è stata prevista la possibilità, per le
aziende dell’emittenza locale, di assumere con qualifica di
teleradiogiornalista, con contratto a termine, non superiore ai
12 mesi e non inferiore ai 4, i giornalisti iscritti negli elenchi
nazionali dei giornalisti disoccupati o in cassaintegrazione.
In tutte le aziende dell’emittenza radiotelevisiva locale
sarà possibile assumere teleradiogiornalisti con contratto parttime e trasformare in part-time i rapporti full-time in essere,
ovviamente previo accordo tra l’azienda e il giornalista
interessato, sentito il direttore.
L’orario parziale può essere concordato con riduzione
oraria giornaliera, ovvero settimanale, o mensile, o annua. In
presenza di un contratto part-time i trattamenti economici e
normativi definiti dal contratto sono applicati secondo il
criterio della proporzionalità rispetto all’orario di lavoro ridotto
concordato.
Risoluzione delle controversie
Sostanzialmente innovativa è la materia della gestione
delle relazioni industriali che introduce due organismi
paritetici: la commissione paritetica nazionale ed il collegio per
le conciliazioni delle controversie.
Il primo organismo, la commissione paritetica
nazionale, ha il compito di gestire l’applicazione contrattuale e
di interpretarne le norme in caso di conflitto interpretativo a
livello aziendale, oltre a monitorare l’andamento
dell’occupazione nel settore radiotelevisivo locale. In tale
118
ambito sarà compito della commissione verificare la
possibilità, anche d’intesa con gli altri organismi di categoria,
in particolare con l’Ordine professionale, di promuovere
iniziative volte all’aggiornamento professionale “dei giornalisti
occupati nel settore”.
Il secondo organismo, il collegio per la conciliazione
delle controversie, nasce dalla consapevolezza, maturata in
anni di gestione del contratto Fieg-Fnsi, che le parti, in quanto
tali, non sono in grado di procedere direttamente ad un
tentativo di conciliazione efficace in presenza di individuali
controversie di natura contrattuale. Per questo si è deciso di
istituire un collegio nazionale di tre membri, nominati uno per
ciascuna delle due parti firmatarie ed il terzo, con funzioni di
presidente, scelto di comune accordo, con il compito di
“promuovere un tentativo di composizione delle vertenze di
lavoro di qualsiasi tipo prima di adire le vie giudiziarie”. Il
collegio, al quale potrà ricorrere sia il singolo giornalista, sia
l’azienda, ha l’obbligo di esperire il tentativo di conciliazione
entro 15 giorni dal ricevimento della richiesta.
119
Cap. VI
La regolamentazione contrattuale nei periodici locali e no
profit
(l’accordo USPI- FNSI)
Ambito di applicazione
Nell’ambito di una articolazione contrattuale meglio adeguata
alle specifiche esigenze dei diversi settori produttivi il 30
marzo 2010 è stato firmato per la prima volta un accordo tra la
Federazione Nazionale della Stampa Italiana e l’USPI (Unione
Stampa Periodica Italiana), organizzazione rappresentativa
delle imprese editrici di periodici, con l’obiettivo di definire
norme di regolamentazione di alcune specifiche figure
lavorative nell’ambito delle testate periodiche di informazione
diffuse a livello locale o anche a livello nazionale quando siano
no profit e purché non siano collegate con aziende editrici di
quotidiani o non facciano parte di gruppi editoriali nazionali.
Quest’ultima limitazione non è, tuttavia, assoluta,
infatti le aziende interessate possono richiedere alla
commissione paritetica nazionale (prevista nell’accordo)
l’applicabilità delle norme in esso contenute.
Le qualifiche
L’accordo si limita a individuare due specifiche figure
di lavoro: quella del collaboratore redazionale e quella del
pubblicista.
Il collaboratore redazionale può essere sia un
giornalista professionista che pubblicista. La sua prestazione
lavorativa si caratterizza per non avere l’obbligo di un orario
120
di lavoro, né quello di dare una prestazione quotidiana. Ciò
nonostante, egli è giuridicamente considerato un lavoratore
subordinato in quanto la sua prestazione possiede i requisiti
della continuità di prestazione, del vincolo di dipendenza e
della responsabilità di un servizio. La norma specifica che per
“continuità di prestazione” si debba intendere l’impegno del
collaboratore a fornire una prestazione non occasionale tesa a
soddisfare le esigenze formative e informative del periodico.
La “responsabilità di un servizio” si riscontra ogni qualvolta al
collaboratore sia affidata la responsabilità di uno specifico
impegno lavorativo con carattere di continuità, mentre il
“vincolo di dipendenza” consiste nella continuità dell’impegno
del collaboratore a prestare la sua opera sulla base degli
obblighi concordati con l’azienda e legati alle esigenze
produttive del periodico e alla specificità della sua prestazione.
L’accordo prevede un trattamento minimo di stipendio
per il collaboratore redazionale con la specificazione, tuttavia,
che la retribuzione mensile deve essere comunque
proporzionata all’impegno di frequenza della collaborazione
nonché alla natura, all’importanza e all’impegno lavorativo del
collaboratore.
Il pubblicista, impiegato nei periodici ha, a sua volta,
una specifica regolamentazione. Tutti coloro che hanno lo
status professionale di pubblicista ai sensi della legge istitutiva
dell’ordinamento professionale possono essere assunti per
prestare la loro opera quotidiana nei periodici con un orario
settimanale non inferiore a 18 e non superiore a 24 ore
suddivise settimanalmente sulla base degli accordi contrattuali
individuali.
Poiché il pubblicista ha l’obbligo d essere presente in
redazione e di garantire una prestazione quotidiana, la
normativa prevede che quando egli lavori di domenica o in un
giorno festivo ha diritto ad 1/26° della retribuzione mensile
121
maggiorato del 55% o in alternativa alla maggiorazione del
55% e ad un giorno compensativo. Inoltre, in presenza
dell’obbligo di prestare la sua opera nelle ex festività, il
pubblicista ha diritto, a titolo compensativo, a quattro giorni di
permessi individuali retribuiti.
Anche in questo settore è obbligatorio l’atto scritto di
assunzione sia per collaboratore redazionale che per il
pubblicista e la possibilità di prevedere un periodo di prova
che, comunque, non può essere superiore a tre mesi. Così come
stabiliscono le norme di legge, nel corso del periodo di prova il
rapporto di lavoro può essere risolto senza preavviso da
ciascuna delle due parti, con l’obbligo per l’azienda di
corrispondere al giornalista soltanto la retribuzione dovuta per
il periodo di lavoro prestato. Il periodo di prova non è mai
rinnovabile e deve essere computato agli effetti dell’anzianità
di servizio quando il rapporto di lavoro sia ormai divenuto
definitivo.
Entrambe le qualifiche regolate (collaboratore
redazione e pubblicista) hanno diritto ad aumenti periodici di
anzianità biennali fino ad un massimo di sette. Ogni aumento
periodico è pari al 3% del minimo tabellare.
Le garanzie sociali
La normativa garantisce anche specifiche coperture di
carattere sociale. In caso di malattia o di infortunio sia il
collaboratore redazionale che il pubblicista hanno diritto alla
conservazione del posto di lavoro per tutto il periodo della
malattia o delle conseguenze dell’infortunio e a percepire la
retribuzione intera per i primi sei mesi di assenza, ridotta del
50% per i successivi sei mesi. Proseguendo nell’assenza il
giornalista non ha più diritto a percepire la retribuzione, ma
mantiene il diritto alla conservazione del posto di lavoro.
Questa diposizione si applica in presenza di ogni singolo
122
evento morboso. Quando, però, ci siano più periodi di malattia,
ancorché temporalmente separati tra di loro, e il giornalista
nell’arco di 36 mesi consecutivi abbia superato un periodo di
assenza di 15 mesi, non avrà più diritto ad alcun trattamento
retributivo e avrà diritto a percepire la retribuzione intera solo
quando dopo tale periodo abbia prestato effettiva attività
lavorativa per 12 mesi. Quando l’inidoneità fisica al lavoro
giornalistico sia totale e permanente e sia stata constatata da un
ente pubblico o comunque da un istituto di diritto pubblico
l’azienda può risolvere il rapporto di lavoro erogando al
giornalista il trattamento di fine rapporto e l’indennità di
mancato preavviso.
Il collaboratore fisso e il pubblicista hanno anche
diritto alla copertura assicurativa per danni e infortuni derivanti
dall’attività professionale .
Quando il collaboratore redazionale o il pubblicista
contraggano matrimonio hanno diritto ad un congedo retribuito
di 15 giorni, mentre la giornalista, in caso di gravidanza o a
seguito di parto può dimettersi, avendo diritto oltre che al Tfr
anche all’indennità di mancato preavviso aumenta di una
mensilità.
Al collaboratore redazionale come al pubblicista si
applicano le disposizioni relative sia al trattamento
pensionistico obbligatorio (le aziende sono tenute ad aprire le
rispettive posizioni presso l’Inpgi ed a versare i relativi
contributi) sia al trattamento pensionistico volontario (gestito
dal Fondo di pensione complementare dei giornalisti italiani).
Non è prevista, al contrario del contratto Fieg-Fnsi e del
contratto aeranti-corallo-Fnsi l’estensione della copertura
assicurativa Casagit. Al riguardo, l’accordo si limita a
prevedere che nell’arco della sua vigenza temporale le parti
sono tenute a individuare le soluzioni idonee sulla base “delle
diverse articolazioni che dovessero essere realizzate dalla
123
Casagit”. In altri termini le parti, in considerazione
dell’onerosità della partecipazione alla Casagit, quasi
totalmente a carico del lavoratore giornalista hanno concordato
di prevedere in un secondo momento la obbligatorietà
assicurativa, quando cioè da parte della Casagit sarà realizzata
una forma assicurativa con prestazioni e, conseguentemente,
con costi minori.
La risoluzione del rapporto
In caso di risoluzione del rapporto il collaboratore
redazionale e il pubblicista hanno diritto al trattamento di fine
rapporto, sia in presenza di licenziamento che di dimissioni.
Oltre a questo trattamento il giornalista ha diritto, in caso di
licenziamento, ad una indennità di mancato preavviso che è
pari a 3 mensilità quando la sua anzianità sia di almeno 24
mesi. Se è inferiore l’indennità di mancato preavviso è di 2
mensilità. In caso di dimissioni il giornalista è tenuto a dare un
preavviso di 2 mesi.
I diritti sindacali
Pur in considerazione della ridotta consistenza
numerica dei giornalisti impegnati in queste testate periodiche,
sono comunque garantiti i diritti di esercizio sindacale. Anche
nei periodici locali, infatti, è possibile che le assemblee dei
giornalisti eleggano una loro rappresentanza sindacale in
misura articolata sulla base del numero dei giornalisti
dipendenti. Questo diritto è previsto, però, soltanto nelle
aziende che abbiano più di 4 giornalisti dipendenti. Quando
nella singola testata ci siano da 5 a 10 giornalisti è possibile
124
eleggere un fiduciario di redazione. Quando i giornalisti siano
più di 10 e fino a 20, si elegge un comitato di redazione di 2
componenti. Quando le redazioni siano composte da più di 20
giornalisti, il comitato di redazione deve essere formato da 3
giornalisti. Come negli altri contratti di settore, la
rappresentanza sindacale ha il compito di mantenere il
collegamento tra il corpo redazionale e l’associazione regionale
di stampa, di vigilare sull’applicazione delle norme contenute
nell’accordo, di tentare di conciliare controversie tra l’azienda
e il singolo giornalista e di esprimere pareri e formulare
proposte sulla struttura informativa dell’azienda e sulle
iniziative aziendali che, si presume, possano recare pregiudizio
alle prerogative dei giornalisti. Qualora in una azienda ci siano
meno di 5 giornalisti dipendenti i compiti affidati alla
rappresentanza sindacale sono svolti, su richiesta dei
giornalisti, dall’Associazione regionale di stampa, nel cui
ambito territoriale ha sede l’azienda.
La commissione paritetica
Per la gestione delle norme contenute nell’accordo è
costituita una Commissione Paritetica Nazionale, formata da
tre rappresentanti dell’Uspi e tre della Fnsi, alla quale può
rivolgersi sia la singola azienda che il singolo giornalista,
quando a livello aziendale siano emerse difformità
interpretative sulle norme dell’accordo. La stessa Commissione
ha il ruolo di Collegio per la conciliazione delle controversie
con il compito di promuove un tentativo di composizione delle
vertenze di lavoro prima che le parti si avviino in sede
giudiziaria.
125
Cap. VII
Il lavoro autonomo nella regolamentazione contrattuale
Fino a pochi anni fa, oltre il 90 per cento del lavoro
giornalistico si esercitava nell'ambito del lavoro subordinato,
mentre il lavoro autonomo rappresentava un fenomeno
marginale, peraltro privo di qualsiasi tutela. Diverse, al
contrario, sono state e sono le proporzioni tra lavoratori
autonomi e lavoratori subordinati negli altri Paesi europei e
diverso è stato il ruolo ed il peso che in essi hanno avuto i
giornalisti free lance.
Anche in Italia, questo scenario è rapidamente mutato
e la crescita in generale del lavoro autonomo, che si registra in
tutti i settori produttivi, interessa in termini sempre meno
marginali il lavoro giornalistico. Ma la ricerca di nuovi
strumenti di flessibilità non può passare se non attraverso la
definizione di garanzie contrattuali e professionali.
Il termine free lance non può essere tradotto in italiano
con i termini disoccupato, sottoccupato o precario. Anche alla
prestazione autonoma di lavoro giornalistico deve essere
riconosciuta dignità professionale e tutela contrattuale.
L’evoluzione anche giuridica del lavoro autonomo,
peraltro senza riscontri nel codice civile, ma regolamentata
frammentariamente da norme di legge, anche fiscali e
previdenziali, che si sono succedute nel corso degli anni, ha
creato due diverse figure: quella del giornalista lavoratore
autonomo libero professionista (free lance), come può esserlo
un avvocato o un medico, o qualsiasi altro libero
professionista, e quella del giornalista con rapporto di
collaborazione coordinata e continuativa (co.co.co.),
inquadrabile nell’ambito generale del lavoro autonomo, ma che
oggi va assumendo, anche nell’evoluzione legislativa, le forme
126
di un tertium genius, di lavoro parasubordinato, a metà strada
tra il lavoro autonomo e quello subordinato tout court.
Proprio in considerazione del considerevole aumento
di giornalisti, le cui prestazioni sono regolate come lavoro
autonomo, e del livello modesto dei compensi che le aziende
editoriali riconoscevano per queste prestazioni, il legislatore è
intervenuto con l’approvazione della legge 31 dicembre 2012
n. 233, sull’equo compenso nel settore giornalistico. La legge,
con riferimento ai rapporti di lavoro non subordinati nei
quotidiani, nei periodici, nelle agenzie di stampa e
nell’emittenti radiotelevisive, ha introdotto il concetto di equità
retributiva per i giornalisti iscritti all’albo professionale,
specificando che per equo compenso si deve intendere la
corresponsione di una remunerazione proporzionata alla
quantità e alla qualità del lavoro svolto dal giornalista. Tenendo
conto della natura, del contenuto e delle caratteristiche della
prestazione. L’equo compenso per le prestazioni giornalistiche
di lavoro autonomo deve anche essere coerente con i
trattamenti previsti dalla contrattazione collettiva per il lavoro
subordinato.
Così come previsto dalla legge è stata istituita presso
il Dipartimento per l’Informazione e l’Editoria della Presidenza
del Consiglio dei Ministri un’apposita Commissione con il
compito di definire l’equo compenso e di redigere un elenco
delle aziende e delle testate che garantiscono il rispetto delle
disposizioni definite.
Sulla base di questa previsione legislativa l’apposita
Commissione presso la Presidenza del Consiglio, dopo aver
circoscritto l’ambito di applicazione della legge, limitandolo ai
soli casi di collaborazione coordinata e continuativa, ha
invitato le parti sociali ad individuare le soluzioni normative
adeguate e rispondenti allo spirito e alla lettera della legge. Una
127
volta raggiunti gli accordi sindacali, gli stessi sono stati recepiti
in una delibera della Presidenza del Consiglio dei Ministri.
Come è noto, la delibera governativa è stata
successivamente, a seguito di un ricorso del Consiglio
Nazionale dell’Ordine, cassata dal Tribunale amministrativo
del Lazio. Contro tale decisione la Presidenza del Consiglio dei
Ministri ha fatto ricorso al Consiglio di Stato, che, a sua volta,
ha confermato la nullità della delibera.
Nel frattempo, però, gli accordi contrattuali di
regolamentazione del lavoro autonomo, sottoscritti dalla
Federazione della Stampa con la Fieg, con Aeranti-Corallo e
con l’Uspi, conservano la loro piena efficacia giuridica e
occorre fare ad essi riferimento per la regolamentazione delle
prestazioni giornalistiche di lavoro autonomo.
Nel contratto Fieg-Fnsi
Per la prima volta nella storia secolare del contratto
collettivo giornalistico il lavoro autonomo, relegato da sempre
ai margini della professione e senza alcun riconoscimento
contrattuale, tutelato da pochi articoli del codice civile, è stato
preso in considerazione e regolamentato con uno specifico
accordo tra la Fieg e la Fnsi allegato al contratto collettivo di
settore, a partire dal contratto 11 aprile 2001.
L’accordo attualmente in vigore, sottoscritto il 19
giugno 2014, che ha recepito i criteri fissati dalla legge
sull’equo compenso giornalistico, afferma il principio, ormai
indiscutibile, della titolarità del sindacato dei giornalisti a
rappresentare gli interessi ed i diritti di tutti quei giornalisti che
hanno scelto di esercitare la professione in regime di
autonomia.
128
Chi sono i co.co.co.?
La norma contrattuale precisa quali debbano essere i
requisiti perché una prestazione con le caratteristiche della
continuità debba ritenersi autonoma e non subordinata. Il
giornalista lavoratore autonomo non deve mettere a
disposizione dell’azienda le proprie energie lavorative
(caratteristica tipica del lavoro subordinato), ma deve limitarsi
a fornire una pluralità di contributi informativi. Inoltre il
giornalista collaboratore autonomo non deve partecipare
all’attività della redazione centrale o delle redazioni decentrate
o degli uffici di corrispondenza, né può avere accesso al
sistema editoriale, se non per l’invio dei suoi testi. Al
collaboratore autonomo non possono essere richieste
prestazioni orarie e non può essere sottoposto alle gerarchie
redazionali. Di conseguenza, tutti quei collaboratori che
lavorano nelle redazioni, nelle redazioni decentrate o negli
uffici di corrispondenza e che sono sottoposti alle gerarchie
redazionali o che fornisco prestazioni lavorative orarie non
possono essere considerati collaboratori coordinati e
continuativi, ma devono rientrare nell’ambito del lavoro
subordinato e il loro rapporto deve essere regolato dall’articolo
1 o dall’art. 2 del Cnlg.
Il trattamento economico
Per quanto riguarda il trattamento economico,
l’accordo contrattuale stabilisce i trattamenti minimi per le
prestazioni a favore dei quotidiani, dei periodici, delle agenzie
di stampa e del web. Si tratta, ovviamente, di compensi minimi
e la soglia individuata è quella di 3.000€ lordi. Ciò significa
che tutti coloro che guadagnano almeno 3.000€ all’anno
rientrano nelle tutele previste dall’accordo. E’ di tutta evidenza
che se fosse stata individuata una soglia più alta, un numero
considerevole di collaboratori sarebbe rimasto fuori dal
129
perimetro dell’accordo. Il limite di 3.000€ all’anno, pari a 250€
al mese, corrisponde a una prestazione media di 12 articoli, di
almeno 1600 battute, al mese nei quotidiani, di 45 articoli
all’anno, di almeno 1800 battute in media, nei settimanali, di
40 segnalazioni/informazioni al mese nelle agenzie di stampa e
nei siti web on line. Qualora le segnalazioni/informazioni siano
corredate da foto o video i compensi devono essere
obbligatoriamente maggiorati. Si tratta, ripetiamo, di compensi
minimi che risultano ben al di sopra di quelli erogati in
precedenza, come è stato più volte denunciato da più parti in
tutte le sedi e largamente superiori a quelli ritenuti idonei
dall’Ordine professionale per l’iscrizione nell’albo dei
pubblicisti. Il compenso del collaboratore coordinato e
continuativo deve essere corrisposto mensilmente.
I diritti normativi
Vi sono, tuttavia, delle distinzioni proprio in
considerazione della diversità delle prestazioni. Infatti,
l’obbligo alla lettera di contratto previsto dall’art.1 è limitato
ai soli casi di collaborazione coordinata e continuativa, mentre
tutti gli altri articoli si applicano anche alle prestazioni date in
regime libero-professionale.
La lettera di contratto dei collaboratori coordinati e
continuativi deve contenere la data di inizio della
collaborazione e la durata del rapporto, nonché la
specificazione della prestazione richiesta al giornalista, ovvero
che si tratti di articoli, servizi giornalistici, servizi fotografici o
servizi grafici. Sempre nel contratto deve essere indicato il
compenso concordato tra le parti, nonché i tempi e le modalità
di pagamento.
Di non secondaria importanza nell’impegno alla tutela
massima del lavoro professionale del giornalista è, poi, la
disposizione prevista dal terzo articolo nel quale si prevede il
130
cosiddetto “diritto di firma”, ovvero l’obbligo a non apportare
modifiche, se non quelle puramente formali, agli articoli dei
collaboratori pubblicati con la firma degli autori.
I collaboratori coordinati e continuativi, che abbiano
un compenso annuo non inferiore a 3.000€, hanno diritto ad
una copertura assicurativa per infortuni professionali nella
stessa misura contrattualmente prevista per i giornalisti
lavoratori subordinati. L’assicurazione infortuni, a totale carico
del datore di lavoro, è erogata dall’Inpgi.
Sempre sul piano previdenziale è prevista la
possibilità per i collaboratori coordinati e continuativi di
iscriversi al fondo di previdenza complementare dei giornalisti
italiani.
Nel contratto Aeranti-Corallo-Fnsi
Le norme di tutela del lavoro autonomo contenute
nell’accordo collettivo tra la Fieg e la Fnsi sono integralmente
riportate anche nell’accordo collettivo sul lavoro autonomo
sottoscritto tra Aeranti-Corallo e Fnsi a favore dei giornalisti
che lavorano nell’emittenza radiotelevisiva in ambito locale
con ulteriori specificazioni migliorative.
In particolare, per il settore dell’emittenza è previsto
che i compensi delle prestazioni dei freelance devono essere
pagati entro 30 giorni dalla effettiva prestazione. Per quanto
riguarda i collaboratori coordinati e continuativi è possibile
prevedere un compenso complessivo per la durata e la natura
del rapporto o anche un compenso mensile. Tale compenso, per
almeno 6 prestazioni al mese, non può essere inferiore ad un
compenso annuo di 3.000 €.
Nel settore dell’emittenza radiotelevisiva in ambito
locale è presente un collegio nazionale per la conciliazione di
controversie di natura economica-normativa insorte tra il
singolo collaboratore e l’azienda.
131
Una ulteriore, rilevante norma migliorativa riguarda il
tema della responsabilità civile. A differenza dei freelance e dei
co.co.co che lavorano per le testate coperte dal contratto FiegFnsi, i giornalisti lavoratori autonomi che lavorano
nell’emittenza radiotelevisiva in ambito locale hanno, infatti,
diritto ad una copertura assicurativa per gli eventuali danni, cui
dovessero essere chiamati, in sede civile, a seguito di azioni
giudiziarie per risarcimento, derivanti dalla loro attività
giornalistica.
Nell’accordo Uspi-Fnsi
L’accordo contrattuale sottoscritto tra la Fnsi e l’Uspi
contiene
anch’esso
una
specifica
normativa
di
regolamentazione dei rapporti di lavoro autonomo, sia per
quanto riguarda i freelance che i collaboratori coordinatori e
continuativi.
La normativa generale non è difforme da quella
prevista negli altri settori produttivi, come sopra individuati.
Anche in questa specifica area di periodici i contratti, sia per i
freelance che per i co.co.co, devono risultare da atto scritto con
tutte le indicazioni necessarie a individuare i termini delle
prestazioni e gli articoli e i servizi devono essere pubblicati con
la firma dell’autore, slavo patto contrario precedentemente
concordato.
L’accordo aggiunge che, per quanto riguarda i
co.co.co, l’azienda è tenuta all’apertura della relativa posizione
previdenziale presso la gestione separata dell’Inpgi e, inoltre
che in caso di malattia e infortunio il rapporto di collaborazione
si deve intendere sospeso.
Per quanto riguarda i compensi l’accordo prevede che
ai collaboratori coordinati e continuativi, quando le prestazioni
132
richieste siano almeno 4 al mese, il compenso lordo annuo di
riferimento non può essere inferiore a 2.200 € e che, in
presenza di prestazioni maggiori, il compenso deve essere
concordato tra il collaboratore e l’azienda e specificato nella
lettera di assunzione. Anche ai collaboratori coordinati e
continuativi del settore coperto dall’Uspi il compenso per le
prestazioni deve essere erogato mensilmente.
Nell’accordo Uspi, a differenza di quanto previsto nel
contratto Fieg-Fnsi, è stato introdotto anche un riferimento alle
prestazioni dei freelance. Si è previsto, infatti, che il compenso
minimo di riferimento per i giornalisti freelance è di 14 € per
gli articoli di almeno 1.800 battute. La norma specifica che,
ovviamente, trattandosi di prestazioni professionali, il relativo
compenso deve tener conto anche della natura della
prestazione,
della
dimensione
economico-produttiva
dell’azienda, oltre che del livello di professionalità del
giornalista. In questo caso le prestazioni superiori al limite
fissato di 1.800 battute e che comportino una maggiore
complessità, oltre ad un lavoro di ricerca giornalistica, devono
essere maggiormente retribuite. Il compenso deve essere
liberamente concordato tra collaboratore ed azienda.
Le parti hanno anche costituito un collegio paritetico
a livello nazionale per la conciliazione delle controversie di
natura economico-normativa che possono sorgere tra i
collaboratori e le singole aziende in relazione all’applicazione
della normativa concordata
133
Cap. VIII
La Previdenza per i Giornalisti
La previdenza obbligatoria (Inpgi)
La previdenza obbligatoria garantita a tutti i lavoratori
italiani dall’articolo 38 della Costituzione è assicurato ai
giornalisti dall’Istituto Nazionale di Previdenza dei Giornalisti
Italiani “Giovanni Amendola” costituito nel 1926, riconosciuto
giuridicamente nel 1951 e privatizzato, sia pure con rigidi
controlli pubblici, con il Decreto legislativo 30 giugno 1994 n.
509. L’Inpgi opera in regime di sostitutività ed assicura le
prestazioni previdenziali di tutti i giornalisti (professionisti e
pubblicisti) iscritti all’albo professionale e al registro dei
praticanti, che svolgono attività giornalistica sia in regime di
lavoro subordinato che in regime di lavoro autonomo. Sul
piano amministrativo l’Inpgi prevede una gestione principale
relativa ai rapporti di lavoro subordinato ed una gestione
separata, relativa ai rapporti di lavoro autonomo. Queste due
gestioni sono tra loro separate sul piano contabile
amministrativo e su quello delle erogazioni delle prestazioni.
Vediamo separatamente il loro funzionamento.
La gestione principale (per i lavoratori subordinati)
L’articolo 21 del contratto prevede che l’Istituto
Nazionale di Previdenza dei Giornalisti Italiani “Giovanni
Amendola” (Inpgi) è tenuto ad assicurare ai giornalisti
professionisti e ai praticanti i trattamenti di pensione di
invalidità, vecchiaia e superstiti; il trattamento in caso di
disoccupazione, il trattamento in caso di infortunio; il
trattamento di cassa integrazione guadagni; gli assegni
134
familiari; il trattamento economico in caso di tubercolosi. E’
esclusa dalle competenze dell’Inpgi qualsiasi trattamento di
natura sanitaria.
Queste stesse prestazioni sono state estese anche ai
pubblicisti a partire dal primo gennaio 2001 (L. 23 dicembre
2000 n. 388).
L’Inpgi, come istituto nazionale per la previdenza dei
giornalisti, nasce nel 1926 a compimento di un lungo processo
che aveva interessato la categoria giornalistica a cavallo tra i
due secoli, attraverso la costituzione a livello territoriale di
casse mutue, sorte inizialmente nell’ambito delle associazioni
regionali di stampa, che assicuravano prestazioni minime ai
propri iscritti. Con il contratto collettivo del 1919 fu introdotto
l’obbligo di versamenti contributivi a scopi previdenziali a
carico dei datori di lavoro e dei giornalisti dipendenti,
indispensabile premessa per la costituzione di un istituto
nazionale.
Nell’ordinamento giuridico realizzatosi dopo la caduta
del fascismo, con la nascita dello Stato repubblicano, l’Inpgi è
stato riconosciuto con legge dello Stato (L.20 dicembre 1951 n.
1564) come ente pubblico sostitutivo tenuto a garantire “a tutti
gli effetti, nei confronti dei giornalisti ad esso iscritti, le
corrispondenti forme e di assistenza obbligatoria”.
A partire dal 1994 (D.lgs. 30 giugno 1994 n. 509)
l’Inpgi è stato trasformato in soggetto di diritto privato,
assumendo la forma della Fondazione, pur mantenendo la sua
peculiarità di ente sostitutivo a favore dei giornalisti delle
prestazioni previdenziali. In realtà, però, l’Inpgi come gli altri
enti privatizzati con lo stesso Decreto Legislativo, pur non
essendo più un soggetto di diritto pubblico, non può
considerarsi a pieno titolo un soggetto di diritto privato, in
quanto adempie ad una funzione che è costituzionalmente
garantita dallo Stato. Non a caso l’articolo 38 della
135
Costituzione prevede che i lavoratori hanno diritto “che siano
preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di
vita” in caso di invalidità di vecchiaia e di disoccupazione
involontaria ed aggiunge che “ai compiti previsti in questo
articolo provvedono organi ed istituti predisposti o integrati
dallo Stato”. Di conseguenza, l’obbligo costituzionale di
garantire a tutti i lavoratori prestazioni previdenziali, ha indotto
il legislatore ad attenuare la privatizzazione degli enti di
previdenza, mediante rigorosi controlli pubblici.
Ciò comporta che l’Inpgi sia, comunque, soggetto al
controllo della Corte dei Conti (obbligo al quale sono tenuti
soltanto i soggetti pubblici) e alla vigilanza dei Ministeri del
Lavoro e del Tesoro.
L’Inpgi è gestito da un Consiglio Generale e da un
Consiglio di amministrazione composti in larghissima
maggioranza da giornalisti eletti direttamente dagli iscritti. Il
Consiglio di amministrazione (15 membri) è composto anche
da un giornalista designato dalla Fnsi, da due rappresentanti
degli editori nominati dalla Fieg, da un rappresentante del
Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale e da un
rappresentante della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Il
Consiglio di amministrazione e il Consiglio generale durano in
carica quattro anni. Il consiglio di amministrazione elegge, tra i
propri componenti, il presidente (che ha la rappresentanza
legale dell’istituto, convoca e presiede il consiglio generale e il
consiglio di amministrazione e vigila sulla esecuzione delle
delibere degli organi amministrativi) e due vice presidenti, uno
dei quali tra i rappresentanti degli editori. Il vice presidente
giornalista assume l’incarico di vice presidente vicario.
Le prestazioni che l’Istituto assicura ai propri iscritti,
così come riassunte nel richiamato articolo 21 del contratto
collettivo, sono meglio specificate nell’articolo 2 dello Statuto
il quale prevede che l’ente è tenuto alle seguenti prestazioni: a)
136
trattamento di pensione di invalidità, vecchiaia, anzianità e
superstiti; b) trattamento economico in caso di tubercolosi; c)
trattamento in caso di disoccupazione; d) assegni per il nucleo
familiare; e) ogni altro trattamento previsto da provvedimento
di legge; f) trattamento in caso di infortunio. Sono inoltre
previste altre possibili prestazioni aggiuntive come: pensioni e
assegni a carattere sociale; ricovero in case di riposo e
assistenza degli anziani e degli invalidi attraverso strutture
gestite direttamente o convenzionate, prestiti, sussidi,
contributi per cure termali ed integrazioni delle prestazioni
obbligatorie; borse di studio a figli e orfani di iscritti, anche per
corsi di formazione giornalistica; interventi volti a favorire
l’accesso alla casa di abitazione, ivi compresa la concessione di
mutui ipotecari.
Alcuni di questi trattamenti nascono come obbligo
previsto da leggi dello Stato (la previdenza, l’indennità di
disoccupazione, l’indennità di cassa integrazione), altri come
prestazioni proprie dell’Inpgi, altri ancora come gestione di
prestazioni che hanno la loro fonte nel contratto nazionale di
lavoro. E’ il caso, per esempio, della assicurazione infortuni
che è prevista negli articoli 38 e seguenti del contratto
collettivo e che garantisce un particolare trattamento
economico in caso di infortunio del giornalista sia sul lavoro o
extra professionale e anche nel caso di morte o di invalidità
permanente per infarto del miocardio o ictus celebrale non
conseguente ad infortunio. Questa particolare assicurazione è
coperta da una contribuzione mensile a carico degli editori e la
sua gestione è stata affidata, per volontà delle parti contrattuali
all’Inpgi.
Le parti contrattuali (Fieg ed Fnsi) hanno, peraltro, un
ruolo di rilievo nella gestione dell’Inpgi privatizzato. Infatti il
decreto legislativo di privatizzazione stabilisce che le delibere
in materia di contributi e prestazioni possono essere adottate
137
dagli organi amministrativi dell’Istituto “sulla base delle
determinazioni definite dalla contrattazione collettiva
nazionale”. Ciò significa che per ogni modifica che riguardi le
prestazioni e i contributi occorre il preventivo accordo tra la
Fieg e la Fnsi.
La gestione separata (per i lavoratori autonomi)
Dal 1996 nell’ambito dell’Inpgi è stata costituita una gestione
separata per assicurare i trattamenti previdenziali ai giornalisti
che svolgono la loro attività in regime di autonomia.
In attuazione della legge di riforma del sistema
previdenziale (L. 8 agosto 1995, n. 335) che ha introdotto il
diritto alla copertura previdenziale e il conseguente obbligo
contributivo per tutti i lavoratori, subordinati e autonomi, con
decreto legislativo del febbraio 1996 il Governo introdusse la
possibilità per gli Ordini professionali di costituire casse
previdenziali a favore dei propri iscritti, relativamente alle
prestazioni di lavoro in regime di autonomia, creandoli ex novo
ovvero affidandone la gestione ad altre Casse o Enti.
Sulla base di questa previsione legislativa, il Consiglio
nazionale dell’Ordine dei giornalisti deliberò di costituire
un’autonoma forma previdenziale per i giornalisti, lavoratori
autonomi, affidandone la gestione all’Inpgi. Nacque così la
Gestione separata.
Alla Gestione separata devono essere obbligatoriamente
iscritti tutti i giornalisti, professionisti e pubblicisti, e tutti i
praticanti che svolgono attività giornalistica autonoma. Anche i
giornalisti iscritti alla gestione principale dell’Inpgi, qualora
svolgano attività autonoma, hanno l’obbligo di iscrizione alla
gestione separata.
La contribuzione. Per quanto attiene l’obbligo di
iscrizione e le aliquote contributive esiste, però, una distinzione
tra collaboratori coordinati e continuativi (co.co.co.), che sono
138
considerati lavoratori parasubordinati, e free-lance, veri e
propri lavoratori autonomi con partita iva. Mentre per i primi
l’obbligo di iscrizione all’Inpgi fa capo al datore di lavoro, per
i secondi l’obbligo è del giornalista stesso. Inoltre, la
contribuzione per i co.co.co (suddivisa per due terzi a carico
del datore di lavoro e un terzo a carico del collaboratore) è
fissata al 23,40% dal 1°gennaio 2010 e a regime, dal 1°
gennaio 2011, al 26% (aliquote ridotte sono previste per i
collaboratori che abbiano in corso un altro rapporto di lavoro
subordinato o siano già pensionati). L’aliquota per i free lance,
invece, è del 12% di cui il 10% a carico del giornalista e il 2%
dell’editore.
Le prestazioni. La gestione separata assicura, come
quella principale, i trattamenti pensionistici in caso di
vecchiaia, invalidità e superstiti e anche una indennità di
degenza in ospedale e di malattia, in rapporto al reddito, oltre
all’indennità di maternità. Poiché i trattamenti sono calcolati,
per legge, sulla base del criterio contributivo, il giornalista
iscritto alla gestione principale e alla gestione separata non può
percepire, al momento del pensionamento, un unico
trattamento, ma sommerà la pensione erogata dalla gestione
principale con quella erogata dalla gestione separata.
Anche la gestione separata, più semplicisticamente nota
nella categoria come Inpgi2, ha un proprio Comitato di
amministrazione, eletto direttamente dai giornalisti iscritti, che
dura in carica quattro anni ed è composto da cinque
rappresentanti elettivi, dai rappresentati del Ministero del
Lavoro e della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Il
Comitato è presieduto dal Presidente dell’Inpgi o, in
sostituzione, dal Vice Presidente vicario.
139
Cap. IX
La previdenza complementare
Come nasce?
Il Fondo Pensione Complementare dei Giornalisti
Italiani è un regime pensionistico di categoria derivante dalla
contrattazione collettiva e si affianca – quale fondo pensione
complementare – al regime pensionistico obbligatorio di base,
preposto cioè ad assicurare la pensione di primo livello. Il
Fondo corrisponde, quindi, un trattamento aggiuntivo a quello
corrisposto dall’INPGI, attraverso la capitalizzazione
individuale delle risorse.
Il "Fondo" è stato costituito dalla Federazione della
Stampa nel 1987, a seguito di un accordo sindacale stipulato
con la Federazione degli editori che prevedeva l’erogazione di
una cifra una tantum per tutti i giornalisti al momento
dipendenti, quale dotazione iniziale. In seguito, sempre con
accordo sindacale, le parti concordarono che a partire dall’1
gennaio 1993 le aziende avrebbero versato al Fondo a favore
dei giornalisti dipendenti un contributo fisso mensile di 25.000
lire. In occasione della stipula del rinnovo biennale della parte
economica del contratto collettivo, avvenuta il 4 giugno 1998,
le parti hanno convenuto sull’opportunità di percentualizzare la
contribuzione al Fondo, prevedendo la possibilità per gli iscritti
di calibrare sulla base delle proprie esigenze e valutazioni la
contribuzione individuale e di procedere alla modifica dello
statuto per adeguare le strutture del Fondo alle indicazione
della legislazione in materia di previdenza complementare.
140
Quale è il suo obiettivo?
Nella prospettiva, purtroppo, generale di una riduzione
delle future prestazioni pensionistiche obbligatorie, che
interessa però anche i giornalisti
Gli organi di amministrazione
Oggi, il Fondo, eretto in Fondazione con decreto del
Ministero del Lavoro del 27 giugno 2000, è guidato da un
Consiglio di Amministrazione, che dura in carica tre anni,
composto di dodici membri ed è vigilato da un Collegio dei
Sindaci di quattro componenti. Entrambi questi organi
collegiali sono paritetici (6 nominati dalla FIEG e 6 eletti
direttamente dai giornalisti iscritti).
Iscrizione (volontaria o obbligatoria?)
Possono iscriversi al Fondo tutti i giornalisti
professionisti, pubblicisti e praticanti titolari di un rapporto di
lavoro giornalistico subordinato ai sensi del contratto collettivo
di categoria. L’adesione al Fondo è volontaria, tranne per
coloro che erano già iscritti prima del 27 aprile 1993 e che
sono considerati "vecchi iscritti".
Il "Fondo" opera secondo il metodo tecnico della
"contribuzione definita", in regime di capitalizzazione
individuale.
Le prestazioni (la rendita o il capitale)
Il Fondo attribuisce all’iscritto una rendita – per il
tramite di una convenzione assicurativa – in presenza del
diritto alla pensione di base e allorquando siano trascorsi
almeno venti anni di anzianità di adesione.
A fronte di un’anzianità inferiore è consentito il
riscatto del complessivo capitale accumulato.
141
Il giornalista con la qualifica di “vecchio iscritto” può
richiedere al momento della maturazione del diritto alla
prestazione la liquidazione integrale del capitale maturato.
In parziale alternativa alla rendita assicurativa,
l’iscritto può ottenere la liquidazione in capitale di una quota
non superiore al 50% della posizione pensionistica di
pertinenza. Il Fondo non può concedere prestiti agli aderenti
ma ove essi vantino un’anzianità di iscrizione di almeno otto
anni possono conseguire un’anticipazione, nella misura
massima del 75% del capitale accantonato, per fronteggiare
spese sanitarie, terapie ed interventi straordinari riconosciuti
dalle competenti strutture pubbliche, ovvero per l’acquisto
della prima casa di abitazione per sé o per i figli, documentato
da atto notarile. Per qualsiasi altro motivo, l’iscritto può
richiedere anche un’anticipazione, che non superi però il 30%.
La contribuzione
La contribuzione al "Fondo" è disciplinata dal
richiamato accordo collettivo del 4 giugno 1998 e dal Contratto
nazionale di lavoro giornalistico.
Le posizioni individuali presso il Fondo sono
alimentate, per i soli giornalisti professionisti con contratto ai
sensi dell’art.1, da un contributo fisso dell’editore e un
contributo modificabile a sua scelta del singolo iscritto
calcolato sui seguenti elementi della retribuzione: - minimo
tabellare (per i direttori, condirettori e vice direttori il minimo
tabellare è convenzionalmente individuato nel minimo di
tabella del redattore capo aumentato del 20%); - indennità di
contingenza; - aumenti periodici di anzianità; - maggiorazione
per lavoro notturno; -tredicesima mensilità; - indennità
redazionale e relativa aggiunta; - compensi per le festività
nazionali e infrasettimanali; - per le festività soppresse; compenso per il lavoro domenicale e relative incidenze; -
142
indennità compensativa fuori orario (art.7, comma 15, del
CNLG); - maggiorazione per i giornalisti dipendenti dalle
agenzie di informazioni quotidiane per la stampa (art.10,
ultimo comma, del CNLG).
Qualora le voci retributive, base di computo della
contribuzione,
costituiscano,
sia
singolarmente
che
cumulativamente, oggetto di erogazione forfettaria e tale
erogazione ricomprenda altresì elementi retributivi esclusi
dall’imposizione contributiva (come per esempio i superminimi
individuali, il compenso per il lavoro straordinario, ecc.)
l’erogazione forfettaria è assunta a base di calcolo nei limiti del
40% del relativo ammontare.
Il contributo a carico dell’editore è dell’1% calcolato
sulla retribuzione lorda comprensiva degli elementi sopra
indicati. L’apporto contributivo dell’iscritto può variare nella
misura percentuale dallo stesso liberamente scelta e indicata
con semplice comunicazione all’azienda e al Fondo.
Il Fondo è inoltre alimentato, per i professionisti, i
praticanti, i pubblicisti, i collaboratori fissi e i corrispondenti,
che aderiscono, dalla quota integrale di TFR maturata nel corso
dell’anno.
Come investire il capitale maturato
L’impiego delle risorse, suddivise per “comparti” è
curato dal Consiglio di amministrazione, che si avvale di
gestori specializzati.
Ciascun iscritto può decidere in quale comparto
destinare i propri contributi, sulla base delle personali
valutazioni di rischio. Il Fondo si articola in tre comparti:
“garantito”, che ha l’obiettivo di realizzare un rendimento pari
o superiore a quello legalmente previsto per la rivalutazione
annua del Trattamento di fine rapporto; “prudente”, composto
al 75% di titoli obbligazionari e 25% di titoli azionari con
143
l’obiettivo di conseguire, sfruttando le potenzialità offerte dal
mercato azionario, una crescita del capitale in un periodo
medio; “mix”, composto al 50% di titoli obbligazionari e 50%
di titoli azionari” con l’obiettivo di conseguire una maggiore
crescita del capitale, sempre nel medio periodo. Ovviamente, la
presenza di una quota maggiore di titoli azionari comporta un
più alto tasso di rischio. L’iscritto può anche, a sua scelta,
modificare la collocazione della sua posizione da un comparto
all’altro.
Gli iscritti sono periodicamente informati nel dettaglio
della consistenza e del rendimento della propria posizione
individuale.
144
145
Cap. X
L’Assistenza sanitaria integrativa (Casagit)
Il principio della mutualità
Tutti i giornalisti, in quanto lavoratori subordinati,
usufruiscono, come tutti gli altri lavoratori italiani, delle
prestazioni sanitarie garantite dallo Stato attraverso il Sistema
Sanitario Nazionale.
Ciò nonostante, la categoria giornalistica, per sua
scelta, confermata nei Congressi della Federazione della
Stampa, deliberò nel 1974 di dare vita ad una istituzione che
potesse assicurare, sulla base del principio di mutualità e quindi
di solidarietà, a tutti i giornalisti prestazioni sanitarie
integrative di quelle fornite dal SSN.
Nacque, così, la Casagit (Cassa Autonoma di
Assistenza sanitaria Integrativa dei Giornalisti Italiani),
associazione senza scopo di lucro, soggetto di diritto privato,
con sue autonome strutture e con propria regolamentazione,
richiamata nel contratto nazionale di lavoro giornalistico, che,
per accordo tra le parti definisce la contribuzione a carico delle
aziende e del giornalista dipendente.
Il principio mutualistico, che è alla base del
funzionamento della Cassa, prevede non solo la ripartizione dei
rischi tra i soci assicurati ma anche il criterio di una
contribuzione percentualizzata e quindi non uniforme, ma
commisurata al reddito di ciascun giornalista. In altri termini,
chi più ha, più dà e di conseguenza, mentre le prestazioni
hanno lo stesso livello per tutti gli iscritti, questi vi
contribuiscono in misura percentuale sulla loro retribuzione.
L’art. 21 del contratto, infatti, riconosce a tutti i
giornalisti professionisti con rapporto di lavoro subordinato e ai
146
giornalisti pubblicisti con rapporto di lavoro a tempo pieno, il
diritto alle prestazioni sanitarie integrative che vengono erogate
dalla Casagit, e definisce la contribuzione a carico del
giornalista, oggi pari al 3,60% della retribuzione mensile, e
dell’editore, oggi pari all’1% sempre della retribuzione mensile
del giornalista.
Gli iscritti
Alla Casagit, quindi, sono automaticamente ed
obbligatoriamente iscritti tutti i giornalisti professionisti e i
praticanti, nonché i pubblicisti, ai quali si applica il contratto di
lavoro giornalistico Fieg-Fnsi, ovvero quello Aeranti CoralloFnsi.
Possono essere iscritti alla Cassa anche i giornalisti
pensionati, che percepiscono la pensione dall’Inpgi, i quali
sono tenuti alla medesima contribuzione percentuale, calcolata
sul loro trattamento pensionistico, ricevendone le stesse
prestazioni sanitarie.
Le prestazioni
La Casagit assicura a tutti gli iscritti la copertura delle
seguenti prestazioni: ricoveri in Istituti di cura, interventi di
chirurgia ambulatoriale, visite specialistiche; accertamenti
clinici, prestazioni terapeutiche; acquisto di medicinali; cure e
protesi dentarie; acquisto di lenti; acquisto di protesi e tutori
ortopedici; assistenza infermieristica domiciliare nella fase
acuta di malattia; assistenza infermieristica per i non
autosufficienti totali; assistenza ai minorati psicofisici dalla
nascita o prima infanzia; cure termali.
Le prestazioni della Casagit coprono non solo il
giornalista iscritto, ma anche il coniuge (se divorziato, purché
non abbia contratto nuovo matrimonio) ovvero il convivente
147
more uxorio, i figli sino al compimento del ventiseiesimo anno
di età o anche oltre, quando siano stati dichiarati
permanentemente inabili al lavoro, i genitori
in età
pensionabile viventi a carico del giornalista.
Possono godere integralmente delle prestazioni, senza
oneri a loro carico, anche i giornalisti che siano stati collocati
in cassa integrazione a zero ore, a seguito di stato di crisi,
nonché i giornalisti che si trovino in stato di disoccupazione. In
entrambi questi casi la copertura assicurativa della Casagit è
valida per un periodo massimo di 24 mesi.
Iscrizioni volontarie
Come si è detto, i giornalisti con rapporto di lavoro
giornalistico
subordinato
sono
automaticamente
e
obbligatoriamente iscritti alla Casagit, per previsione
contrattuale. Alla Cassa, però, possono iscriversi,
volontariamente, anche i giornalisti che non hanno un rapporto
di lavoro subordinato, che svolgono la loro attività come
collaboratori coordinati e continuativi, freelance o giornalisti
disoccupati che non godano più della copertura Casagit,
nonché i giornalisti iscritti all’elenco stranieri, i pubblicisti e i
dipendenti degli organismi di categoria. Per tutte queste
categorie, la Casagit ha individuato, oltre al profilo principale,
che garantisce le prestazioni sopra illustrate, anche altri 3
profili con prestazioni ridotte e, ovviamente, con contribuzione
contenuta. Il profilo due assicura all’iscritto un concorso alle
spese mediche per ricoveri ospedalieri, visite specialistiche,
accertamenti
diagnostici,
accertamenti
clinici,
cure
odontoiatriche, cure oncologiche, terapie fisiche riabilitative,
assistenza di emergenza per 365 giorni all’anno. Tutte queste
prestazioni sono erogate in forma diretta attraverso strutture
convenzionate o in forma indiretta. In questo caso i rimborsi
delle spese sostenute sono effettuati sulla base di un tariffario.
148
Il profilo tre assicura un concorso alle spese mediche per
accertamenti diagnostici ordinari e di alta specializzazione,
cure odontoiatriche, cure oncologiche, lenti correttive,
accertamenti clinici, ricoveri per interventi chirurgici, terapie
fisiche riabilitative, assistenza di emergenza, oltre ad un
“pacchetto” per la maternità. Il profilo quattro, a sua volta,
concorre al sostegno delle spese mediche per gli accertamenti
clinici, gli accertamenti diagnostici ordinari e di alta
specializzazione, le cure odontoiatriche, il pacchetto maternità,
i ricoveri con intervento chirurgico e l’assistenza di emergenza.
Ovviamente, i tre profili aggiuntivi hanno costi
annuali di adesione in cifra fissa. Ogni giornalista può
individuare il profilo più conforme alle proprie esigenze.
Gli organi di amministrazione
Come tutti gli altri organismi della categoria, anche la
Casagit è amministrata da organi che sono composti ed eletti
direttamente da tutti i giornalisti iscritti. L’Assemblea
nazionale dei delegati, eletti su base circoscrizionale, elegge a
sua volta un Consiglio di amministrazione.
La struttura operativa della Cassa si avvale anche di Consulte
regionali, costituite a livello territoriale nell’ambito delle
Associazioni regionali di Stampa e di Fiduciari regionali che
mantengono il collegamento tra la Cassa e i singoli iscritti.
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Giornalistico. Guttemberg 2000, Torino, 1990.
INDICE
IL LAVORO GIORNALISTICO
Premessa (Giornalismo: lavoro autonomo
subordinato? - Il welfare di settore) pag.1
o
lavoro
Cap. I
L’Ordinamento
Professionale
(Perché
un
ordine
professionale? - Le strutture dell’Ordine - L’albo
professionale, il registro dei praticanti e gli elenchi speciali –
Conseguenze della mancanza di iscrizione all’albo - La
deontologia professionale - La formazione - Le sanzioni
disciplinari - I Consigli di disciplina) pag.9
Cap. II
L’Organizzazione sindacale dei giornalisti (Le Associazioni
Regionali di Stampa - “Professionali” e “collaboratori” - Gli
organi statutari - I rapporti internazionali - Una storia
secolare) pag.29
Cap. III
La regolamentazione contrattuale del rapporto di lavoro
pag.43
Cap. IV
La regolamentazione contrattuale nei quotidiani, nei
periodici, nelle agenzie di stampa e nelle emittenti
radiotelevisive di ambito nazionale (il contratto collettivo
Fieg-Fnsi) (La difesa della professionalità - Il direttore e
l’area di direzione - Le qualifiche e l’organizzazione del lavoro
– Le funzioni a termine (art. 11) – Il trattamento delle festività
- La struttura della retribuzione - Gli strumenti della
flessibilità – Il trattamento delle ferie – La clausola di
coscienza – Il comitato di redazione - Le innovazioni
tecnologiche - Le sinergie editoriali - I services giornalistici La Multimedialità - Le norme per l’accesso dei giovani, il
passaggio degli autonomi al lavoro subordinato, e le
facilitazioni per la rioccupazione dei disoccupati - Il
regolamento di disciplina - Il diritto d’autore e la reprografia
- La contrattazione aziendale - Il lavoro nei giornali on line
(editi da aziende editoriali di testate cartacee) - La risoluzione
del rapporto) pag.49
Cap. V
La regolamentazione contrattuale dei giornalisti che
lavorano nell’emittenza di ambito locale (il contratto
Aeranti-Corallo Fnsi) (Le qualifiche - Il Direttore - Il
praticante - Trattamento economico - Legittimi motivi di
risoluzione del rapporto - Innovazioni tecnologiche Rappresentanza sindacale - Passaggio dal contratto Fieg-Fnsi
al contratto Fnsi-Aer-Anti-Corallo per le situazioni in atto - La
Previdenza, l’Assistenza e l’Assicurazione infortuni – La
flessibilità - Risoluzione delle controversie) pag.105
Cap. VI
La regolamentazione contrattuale nei periodici locali e no
profit (l’accordo Uspi- Fnsi) (Ambito di applicazione - Le
qualifiche - Le garanzie sociali - La risoluzione del rapporto I diritti sindacali - La commissione paritetica) pag.119
Cap. VII
Il lavoro autonomo nella regolamentazione contrattuale
(Nel contratto Fieg-Fnsi - Chi sono i co.co.co.? - Il trattamento
economico - I diritti normativi - Nel contratto Aeranti-CoralloFnsi - Nell’accordo Uspi-Fnsi) pag.125
Cap. VIII
La Previdenza per i Giornalisti (La previdenza obbligatoria
(Inpgi) - La gestione principale (per i lavoratori subordinati) La gestione separata (per i lavoratori autonomi) pag.133
Cap. IX
La previdenza complementare (Come nasce?- Quale è il suo
obiettivo? – Gli organi di amministrazione – Iscrizione
(volontaria o obbligatoria?) - Le prestazioni (la rendita o il
capitale) – La contribuzione – Come investire il capitale
maturato) pag.139
Cap. X
L’Assistenza sanitaria integrativa (Casagit) (Il principio
della mutualità - Gli iscritti - Le prestazioni - Iscrizioni
volontarie - Gli organi di amministrazione) pag.145