Alcuni argomenti pi`u avanzati di Meccanica Quantistica.

Capitolo 12
Alcuni argomenti più avanzati di
Meccanica Quantistica.
In questo capitolo finale ci occuperemo di completare l’elenco degli assiomi della Meccanica
Quantistica non relativistica, introducendo l’evoluzione temporale e la descrizione dei sistemi composti. Alcune delle nozioni che introduciamo qui formalmente sono state, di fatto,
già introdotte nell’ultima parte del capitolo precedente, discutendo i gruppi di simmetria.
Nella prima sezione enunceremo l’assioma di evoluzione temporale descritto da un gruppo unitario ad un parametro fortemente continuo generato dall’operatore di Hamilton del sistema. Nello
stesso contesto, daremo la definizione di simmetria dinamica, come specializzazione della nozione
di simmetria vista nel capitolo precedente. Quindi mostreremo la vera natura dell’equazione di
Schrodinger in questo contesto e discuteremo l’importante nozione, di stato stazionario. Come
classico esempio del formalismo costruito epliciteremo l’azione del gruppo di Galileo (presentata
in rappresentazione impulso nel capitolo precedente) in rappresentazione posizione. In tale sede
saranno anche discusse le proprietà di trasformazione della funzione d’onda sotto cambiamento di
sistema di riferimento inerziale. Faremo quindi qualche osservazione sull’esistenza dell’evolutore
temporale unitario in assenza di omogeneità temporale (esaminando le proprietà di convergenza della serie di Dyson nel caso di Hamiltoniano in B(H)), discuteremo la natura antiunitaria
della simmetria di inversione del tempo e daremo una versione del cosiddetto Teorema di Pauli,
riguardante la difficoltà di definire l’operatore tempo come operatore autoaggiunto coniugato
all’operatore hamiltoniano.
Nella sezione successiva, introdurremo la rappresentazione di Heisenberg delle osservabili e discuteremo la relazione tra simmetrie dinamiche e costanti del moto, presentando la versione
quantistica del teorema di Nöther e studiando il caso delle costanti del moto associate ai generatori di un gruppo di Lie che include l’evoluzione temporale come sottogruppo ad un parametro.
Come intermezzo, in tale sede discuteremo brevemente i problemi matematici legati al cosiddetto teorema di Ehrenfest. Lo studio esemplificativo delle costanti del moto associate al gruppo di
Galileo concluderà la sezione.
La terza ed ultima sezione sarà dedicata alla teoria dei sistemi quantistici composti: sistemi con
479
struttura interna e sistemi a più particelle. Discuteremo in particolare il concetto di stati entangled con un accenno al cosiddetto paradosso EPR e per finire passeremo alla teoria generale dei
sistemi di particelle identiche, accennando al teorema di correlazione spin-statistica.
12.1
L’assioma di evoluzione temporale e le simmetrie dinamiche.
I sistemi fisici evolvono nel tempo secondo la loro dinamica. Dal punto di vista classico, nella
formulazione di Hamilton della meccanica (vedi capitolo 7), l’evoluzione nel tempo dello stato di
un sistema fisico è descritto nello spaziotempo delle fasi dalle soluzioni delle equazioni di Hamilton. Mettiamoci nella situazione in cui la funzione hamiltoniana H non dipende esplicitamente
dal tempo in coordinate canoniche associate ad un fissato sistema di riferimento inerziale I. In
tal caso le equazioni di Hamilton sono di tipo autonomo quando espresse in quel sistema di
coordinate canoniche ed esiste una decomposizione naturale dello spaziotempo delle fasi in un
prodotto cartesiano R × F, dove F è lo spazio delle fasi. Al variare di tutte le possibili condizioni iniziali, si viene a costruire un gruppo ad un parametro di diffeomorfismi {φτ }τ ∈R dello
spazio delle fasi F che, preservando la struttura simplettica di F, trasforma lo stato iniziale r
del sistema at tempo 0, nello stato φτ (r) al tempo τ . Tenendo conto dell’equazione di Liouville (vedi capitolo 7), l’evoluzione temporale degli stati descritti da densità di probabilità ρ si
può formalizzare in maniera simile usando ancora {φτ }τ ∈R , ma non ce ne occuperemo in questa
sede. L’oggetto matematico fondamentale per costruire l’evolutore temporale, cioè il gruppo ad
un parametro {φτ }τ ∈R è dunque la funzione di Hamilton H del sistema fisico, che coincide con
l’energia meccanica del sistema nel riferimento I.
La situazione nel caso quantistico è piuttosto simile. L’evoluzione temporale di un sistema
quantistico S descritto nello spazio di Hilbert HS per un fissato sistema di riferimento inerziale
I è descritta dal seguente assioma che introduce la nozione di (operatore) hamiltoniano del sistema quantistico come generatore del gruppo ad un parametro di operatori unitari che descrivono
l’evoluzione temporale, cioè la dinamica, dello stato quantistico. Attraverso la nozione di evoluzione temporale è possibile trattare le simmetrie dinamiche e dare la versione quantistica del
teorema di Nöther, come vedremo successivamente.
A6. Sia S un sistema quantistico descritto nello spazio di Hilbert HS associato al sistema di
riferimento inerziale I. Esiste un operatore autoaggiunto H detto hamiltoniano del sistema
S nel riferimento I, che corrisponde all’osservabile energia meccanica totale del sistema S nel
riferimento I e che soddisfa le seguenti proprietà :
(i) σ(H) ha spettro limitato dal basso,
iτ
(ii) posto Uτ := e− ~ H , se lo stato del sistema al tempo t è ρt ∈ S(HS ), lo stato al tempo
t + τ è allora dato da:
ρt+τ = γτ(H) (ρ) := Uτ ρUτ−1 .
(12.1)
480
Il gruppo unitario ad un parametro fortemente continuo:
R ∋ τ 7→ Uτ
è detto evolutore temporale del sistema S nel riferimento I e la rappresentazione proiettiva
(H)
continua di R indotta da U , R ∋ τ 7→ γτ è detto flusso dinamico del sistema S nel riferimento I.
Osservazioni.
(1) D’ora in poi se non è strettamente necessario per ragioni di chiarezza fisica, ometteremo di
scrivere esplicitamente la costante ~ nelle formule assumendo ~ = 1.
(2) L’evoluzione temporale degli stati è dunque data da una rappresentazione proiettiva continua
del gruppo topologico abeliano R. Questa osservazione permette di enunciare in modo diverso
l’assioma A6, sfruttando dei risultati generali che abbiamo ottenuto nel capitolo precedente.
Volendo indebolire al massimo le richieste nell’assioma di evoluzione temporale, pensando l’evoluzione temporale come una funzione ρ 7→ γτ (ρ) che associa stati a stati, per ogni fissato
τ ∈ R, si può richiedere che γτ soddisfi le seguenti ipotesi, che appaiono abbastanza ragionevoli
dal punto di vista fisico:
(i) l’evoluzione temporale – cioè ogni funzione γτ – conservi la struttura convessa dello
spazio degli stati (simmetria di Kadison), oppure, equivalentemente, conservi le probabilità di
transizione (simmetria di Wigner),
(ii) l’evoluzione temporale sia additiva rispetto al tempo: γτ ◦ γτ ′ = γτ +τ ′ se τ, τ ′ ∈ R,
(iii) l’evoluzione temporale sia continua rispetto alla topologia naturale di Sp (HS ).
Il teorema 11.3 prova allora che la rappresentazione proiettiva R ∋ τ 7→ γτ deve avere la struttura assunta nella forma dell’assioma A6 data sopra. Uno dei possibili generatori autoaggiunti di
tale rappresentazione – che esistono e differiscono per una costante additiva in base al teorema
11.3 – è , per definizione, l’hamiltoniano del sistema.
L’ambiguità dovuta alla possibile costante additiva è in realtà un’ambiguità che esiste nella fisica
stessa, dato che l’energia di un sistema fisico classico (non relativistico) è assegnata a meno di
una costante.
(2) La necessità dell’esistenza di un limite inferiore allo spettro dell’hamiltoniano dei sistemi
fisici reali è dovuta alla richiesta stabilità termodinamica del sistema fisico. Infatti, l’operatore
autoaggiunto H corrisponde fisicamente all’osservabile energia meccanica totale del sistema S.
A meno di non considerare un sistema fisico ideale perfettamente isolato, che non esiste nella
realtà anche per motivazioni teoriche molto profonde ma che richiedono la teoria quantistica
dei campi per essere spiegate adeguatamente, il vincolo del limite inferiore allo spettro di H
è fisicamente obbligatorio. Se l’energia σ(H) non fosse limitata dal basso, si potrebbero avere transizioni dello stato del sistema S verso stati con energia sempre più bassa. In pratica il
sistema collasserebbe emettendo energia infinita sotto forma di qualche tipo (particelle, onde
elettromagnetiche).
481
La richiesta di limite inferiore per σ(H) ha diverse importanti conseguenze che presenteremo nel
seguito.
(3) L’operazione di simmetria inversa dell’evoluzione temporale si chiama traslazione temporale. Abbiamo già incontrato questa simmetria studiando il gruppo di Galileo. Dal punto
di vista fisico si tratta di una trasformazione attiva sul sistema S, cioè , per τ fissato, una sim(−H)
metria di Kadison γτ
: S(HS ) → S(HS ), che ne altera lo stato ρ, al tempo generico t0
fissato, trasformandolo in un nuovo stato ττ (ρ), sempre allo stesso tempo t0 , in modo tale che
(H)
γτ
(−H)
γτ
(−H)
(ρ) coincida con ρ. Per costruzione deve essere γτ
(−H)
(H) −1
= γτ
. Evidentemente
il generatore unitario di γτ
è −H come la notazione suggerisce. Questo giustifica il segno
− che abbiamo usato nell’analisi dei generatori autoaggiunti del gruppo di Galileo, per quanto
riguarda il generatore della traslazione temporale.
Mettiamoci ora nel caso in cui lo spazio HS sia decomposto in settori coerenti HSk con k ∈ K.
Di conseguenza lo spazio degli stati puri fisicamente ammissibili Sp (HS )ammiss è decomposto
nell’unione disgiunta sugli insiemi Sp (HSk ) e gli stati misti possono essere solo combinazioni
lineari convesse di elementi degli spazi S(HSk ). Sussiste allora il seguente risultato che mostra
che il flusso dinamico preserva la struttura dei settori come ci si aspetta.
Proposizione 12.1. Sia S un sistema quantistico descritto nello spazio di Hilbert HS associato
al sistema di riferimento inerziale I, con flusso dinamico γ (H) . Si supponga che HS sia decomposto in settori coerenti HSk con k ∈ K. Il flusso dinamico trasforma stati puri in stati puri e
stati misti in stati misti. Più precisamente vale quanto segue.
(H)
(a) Se ρ ∈ S(HSk ), allora γt (ρ) ∈ S(HSk ) per ogni t ∈ R.
(H)
(b) Se ρ ∈ Sp (HSk ), allora γt (ρ) ∈ Sp (HSk ) per ogni t ∈ R
(H)
Prova. Deve essere chiaro che, risultando: ρt
γ (H)
(ψ(ψ| )) = e−itH ψ e−itH ψ , la rappresentazio-
ne
trasforma stati puri in stati puri e quindi stati misti in stati misti. Restringiamo allora
(H)
(H)
γ
a lavorare sugli stati puri. Fissiamo ρ ∈ Sp (HSk ) e consideriamo la curva R ∋ t 7→ γt (ρ).
In base alla proposizione 11.9, essa è continua i rispetto alla norma || · ||1 . Sappiamo che gli
insiemi Sp (HSk ) sono le componenti connesse di Sp (HS )ammiss rispetto alla topologia associata
alla norma suddetta (vedi (4) in esercizi 11.1), pertanto la curva detta deve rimanere confinata
in una di tali componenti connesse, tale componente deve essere Sp (HSk ), dato che la curva
interseca tale componente per t = 0. Se Ut = e−itH , quanto appena provato implica che, se
ψ ∈ HSk ha norma unitaria, allora Ut ψ ∈ HSk per ogni t. Consideriamo allora ρ ∈ S(HSk )
P
e la sua decomposizione spettrale ρ = j∈J pj ψj (ψj | ), dove la serie converge nella topologia
operatoriale forte e dove, per costruzione, ψj ∈ HSk per ogni j ∈ J è un vettore di norma 1. Da
quanto provato sopra possiamo scrivere, per ogni t ∈ R:
(H)
γt
(ρ) = Ut
X
j∈J
pj ψj (ψj | )Ut−1 =
X
j∈J
σ(ρ)pj Ut ψj (ψj |Ut∗ ) =
482
X
j∈J
σ(ρ)pj Ut ψj (Ut ψj | ) ∈ S(HSk ) .
Questo conclude la dimostrazione. 2
Nota. D’ora in poi assumeremo che lo spazio di Hilbert del sistema HS non contenga settori coerenti. In realtà ciò è una restrizione nei confronti di quanto diremo nel seguito, solo per
quanto riguarda lo studio delle simmetrie dinamiche discrete. Lasciamo al lettore la facile generalizzazione delle definizioni e dei risultati che seguono, al caso in cui lo spazio di Hilbert
ammetta settori coerenti.
La nozione di evoluzione temporale, ci consente di perfezionare la nozione di simmetria vista nel
capitolo precedente, al fine di definire il concetto di simmetria dinamica.
Consideriamo un sistema quantistico S con flusso dinamico γ (H) . Ammettiamo, come detto
sopra, che lo spazio di Hilbert sia costituito da un unico settore coerente. Consideriamo una
simmetria σ (di Kadison o Wigner) che agisce sugli stati del sistema, prestando ora attenzione
al fatto che gli stati evolvono nel tempo secondo la dinamica prescritta dal flusso dinamico γ (H) .
(H)
(H)
Se applichiamo σ allo stato evoluto γt (ρ), ottenendo ρ′t := σ(γt (ρ)), non è affatto garantito
che la funzione R ∋ t 7→ ρ′t descriva ancora una possibile evoluzione secondo γ (H) di uno stato
del sistema (in generale diverso da ρ).
Se viceversa ciò accade (per ogni scelta dello stato iniziale ρ), la simmetria σ è detta simmetria
dinamica, perchè , nel senso appena visto, la sua azione è compatibile con la dinamica del sistema.
(H)
Un indebolimento della richiesta che R ∋ t 7→ σ(γt (ρ)) descriva ancora una possibile evoluzione di uno stato sistema S si ha quando, al posto di un’unica simmetria σ, se ne consideri
una classe σ (t) parametrizzata nel tempo t ∈ R. La richiesta per avere una simmetria dinamica
(H)
dipendente dal tempo è allora che R ∋ t 7→ σ (t) (γt (ρ)) sia ancora un evoluzione temporale
secondo γ (H) di uno stato del sistema S.
Possiamo dare formalmente le definizioni.
Definizione 12.1. Sia S un sistema quantistico descritto nello spazio di Hilbert HS , costituito
da un unico settore coerente, associato al sistema di riferimento inerziale I con hamiltoniano H
e flusso dinamico γ (H) . Una simmetria σ : S(HS ) → S(HS ) si dice simmetria dinamica per
il sistema S se vale:
(H)
(H)
γt ◦ σ = σ ◦ γt
per ogni t ∈ R.
(12.2)
Una classe di simmetrie etichettata nel tempo, {σ (t) }t∈R , è detta simmetria dinamica dipendente dal tempo se:
(H)
(H)
per ogni t ∈ R.
(12.3)
γt ◦ σ (0) = σ (t) ◦ γt
Abbiamo il seguente primo risultato che caratterizza le simmetrie dinamiche. Si osservi che la
caratterizzazione (c) è un effetto del limite inferiore allo spettro di H e e sussiste quando σ(H)
non limitato superiormente, e questo accade nella maggior parte dei sistemi fisici reali.
483
Teorema 12.1. Sia S un sistema quantistico descritto nello spazio di Hilbert HS associato
al sistema di riferimento inerziale I con hamiltoniano H (con spettro inferiormente limitato
dunque) e flusso dinamico γ (H) .
(t)
(a) Si consideri una classe di simmetrie etichettata sul tempo {σ (t) }t∈R e sia V (σ ) : HS → HS
un operatore unitario o antiunitario, per ogni t ∈ R, che induce σ (t) . {σ (t) }t∈R è una simmetria
dinamica dipendente dal tempo per S se e solo se vale:
χt V (σ
(t) )
e−itH = e−itH V (σ
(0) )
per ogni t ∈ R e qualche χt ∈ C con |χt | = 1 .
(b) Si consideri un simmetria σ e siano V (σ) : HS → HS un operatore unitario o antiunitario
che induce σ. La simmetria σ è una simmetria dinamica per S se e solo se
e−iat V (σ) e−itH = e−itH V (σ)
per ogni t ∈ R e qualche a ∈ R .
(c) Si consideri un simmetria σ e siano V (σ) : HS → HS un operatore unitario o antiunitario
che induce σ e si assuma infine che σ(H) non sia superiormente limitato. La simmetria σ è una
simmetria dinamica per S se e solo se:
V (σ) e−itH = e−itH V (σ)
per ogni t ∈ R ,
oppure, equivalentemente, se e solo se valgono entrambe le condizioni:
(i) V (σ) è unitario e
(ii) V (σ) H = HV (σ) .
Prova. (a) e (b) Si tenga conto del fatto che, se S : HS → HS è unitario (oppure anti unitario),
(t)
allora vale Sψ(ψ|S −1 ·) = V ψ(ψ|S ∗ ·) = Sψ(Sψ|·). Posto Ut := e−itH , e V (t) := V (σ ) e
specializzando l’identità di sopra all’operatore unitario S := (S (t) Ut )−1 Ut V (0) , la (12.3) implica
per ogni stato puro ρ = ψ(ψ| ):
(V (t) Ut )−1 Ut V (0) ψ (V (t) Ut )−1 Ut V (0) ψ e dunque, per qualche χt ∈ C con |χt | = 1:
(V (t) Ut )−1 Ut V (0) ψ = χt ψ
= ψ(ψ| ) ,
per ogni ψ ∈ H.
Con la stessa dimostrazione usata per il teorema 11.1 si vede che χt non dipende da ψ. In
definitiva abbiamo ottenuto che se σ (t) è una simmetria dinamica dipendente dal tempo, allora:
χt V (σ
(t) )
Ut = Ut V (σ
(0) )
per ogni t ∈ R e qualche χt ∈ C con |χt | = 1 .
Se, viceversa, vale questa condizione allora banalmente σ (t) è una simmetria dinamica dipendente
dal tempo. Il caso (b) è un sottocaso di quanto appena provato escludendo la dimostrazione del
fatto che, se σ è una simmetria la fase χt di essere della forma χt = eict per qualche costante
c ∈ R. Proveremo tale risultato alla fine della prova di (c).
484
Passiamo a dimostrare (c). Dimostriamo prima di tutto l’equivalenza del fatto che σ sia una
simmetria dinamica e della validità di entrambe le condizioni (i) e (ii). Da (a) sappiamo che σ
è una simmetria dinamica se e solo se:
χt V (σ) Ut = Ut V (σ)
per qualche χt ∈ C con |χt | = 1 .
(12.4)
Dalla formula di sopra ricaviamo che:
χt I = (V (σ) Ut )−1 Ut V (σ) ,
e quindi:
χt (ψ|φ) = V (σ) Ut φ Ut V (σ) ψ .
Se scegliamo φ ∈ D(H) e ψ ∈ V (σ)−1 (D(H)) non ortogonali (e questo è possibile perché D(H)
è denso), possiamo applicare il teorema di Stone e concludere che t 7→ χt è ovunque differenziabile. Possiamo allora riscrivere la (12.4) come:
χt Ut = e±itV
(σ)−1 HV σ
,
dove il segno − appare se V (σ) è unitario, se è invece autiunitario, appare il segno +. Usando il
teorema di Stone nella (12.4) per concludere che: D(V (σ)−1 HV (σ) ) ⊂ D(H) = D(cI + H) e vale
l’identità :
t
∓V (σ)−1 HV (σ) ↾D(H) = cI + H dove c := i dχ
(12.5)
dt |t=0 .
Si osservi che c deve essere reale, dato che ∓V (σ)−1 HV (σ) − H è simmetrico su D(H). In
realtà (12.5) deve valere anche su tutto dominio di V (σ)−1 HV (σ) che, essendo autoaggiunto, non
può avere altre estensioni autoaggiunte (in questo caso cI + H) differenti da ∓V (σ)−1 HV (σ)
stesso. Concludiamo che:
V (σ)−1 HV (σ) = ∓cI ∓ H .
(12.6)
In particolare dovrà anche essere (vedi (6) in esercizi 11.1 per il caso antiunitario):
σ(H) = σ(V (σ)−1 HV (σ) ) = σ (∓cI ∓ H) = ∓c ∓ σ(H) .
Se σ(H) è limitato dal basso, ma non è limitato superiormente, questa identità è impossibile se
a secondo membro appare il segno −, qualunque sia la costante c. In tal caso V (σ) deve dunque
essere unitario. Deve dunque essere inf σ(H) = inf(c + σ(H)) = c + inf σ(H) e quindi c = 0, dato
che inf σ(H) è finito per ipotesi essendo σ(H) 6= ∅ ed essendo inferiormente limitato. Abbiamo
ottenuto che se σ è una simmetria dinamica, allora V (σ) è unitario e soddisfa V (σ) H = HV (σ) .
Se vale questa condizione allora vale H = V (σ)−1 HV (σ) . Passando agli esponenziali si ricava
subito che:
(σ)−1 HV (σ)
Ut = e−itV
= V (σ)−1 Ut V (σ) ,
da cui segue che la simmetria σ indotta da V (σ) è una simmetria dinamica.
Nell’ultimo passaggio abbiamo anche provato che (i) e (ii), insieme, implicano
V (σ) e−itH = e−itH V (σ)
485
per ogni t ∈ R .
Il fatto che questa identità implichi entrambe le condizioni (i) e (ii) segue immediatamente dal
teorema di Stone.
Dobbiamo completare la dimostrazione di (b). Nel caso in cui σ sia una simmetria, ma σ(H)
sia limitato superiormente, usando la dimostrazione fatta per (c) si conclude che vale ancora la
(12.6), ma non si può più inferire anche che c = 0. Esponenziando (12.6) otteniamo comunque
V (σ)−1 Ut V (σ) = e−ict Ut ,
da cui (dove a = ±c a seconda che V (σ) sia unitario o anti unitario):
e−iat V (σ) e−itH = e−itH V (σ) .
Questo risultato conclude la dimostrazione di (b) e del teorema. 2
12.1.1
L’equazione di Schrödinger e gli stati stazionari.
Consideriamo il caso di uno stato iniziale puro ρ ∈ Sp (HS ). In questo caso, come già notato,
l’evoluzione temporale è tale che ogni stato evoluto ρt è ancora uno stato puro. Questa proprietà ,
nel gergo dei fisici teorici1 , viene spesso menzionata dicendo che l’evoluzione degli stati quantistici
è unitaria. Se t 7→ ρt ∈ Sp (HS ) è l’evoluzione temporale di uno stato puro, possiamo individuare,
a meno di una fase, ogni ρt con un vettore ψt normalizzato a 1. Scegliendo nel modo più semplice
possibile le fasi degli stati puri coinvolti, l’equazione di evoluzione temporale per stati puri si
riduce quindi a (reintroducendo la costante ~):
ψt′ = e−
i(t′ −t)
H
~
ψt .
Possiamo elaborare questa equazione per ottenerne un’altra di grande importanza storica. Notiamo prima di tutto che la condizione ψt ∈ D(H) è equivalente a ψt′ ∈ D(H) per ogni altro
R
(H)
(H)
tempo t′ ∈ R. Infatti, ψt ∈ D(H) significa R λ2 dµψt < +∞, dove µψt (E) = (ψt |P (H) (E)ψt ) =
iτ
iτ
(ψt′ |e+ ~ H P (H) (E)e− ~ H ψt′ ), se t − t′ = τ . D’altra parte vale banalmente:
iτ
iτ
e+ ~ H P (H) (E)e− ~ H = P (H) (E) ,
dato che P (H) (E) è un proiettore della misura spettrale di H. Per cui
R
(H)
2
R λ dµψt′
R
(H)
2
R λ dµψt
< +∞ equivale
a
< +∞ ossia ψt′ ∈ D(H).
Assumiamo allora che ψt ∈ D(H) per un certo valore di t, da cui segue che ψt′ ∈ D(H) per ogni
valore del tempo t′ . Dal teorema di Stone applicato all’equazione di evoluzione:
ψt′ = e−
i(t′ −t)
H
~
1
ψt ,
Specialmente in relazione a problemi di evoluzione di stati quantistici di campo in spaziotempo che includono
buchi neri dinamici, dove l’evoluzione unitaria è molto problematica.
486
interpretando la derivata che segue nel senso della topologia operatoriale forte, segue subito che:
i~
d
ψt = Hψt .
dt
(12.7)
Questa è la celeberrima equazione temporale di Schrödinger. Bisogna tuttavia notare che
(12.7) vale solo se ψ ∈ D(H), mentre l’equazione di evoluzione (12.1) ha validità generale.
Facciamo qualche osservazione sull’equazione di Schrödinger e poi passeremo a questioni di carattere più generale.
In conseguenza della discussione sul principio di corrispondenza di Dirac al termine del capitolo 10, ci si aspetta che l’hamiltoniano di un sistema fisico dato da una particella di massa m
(per semplicità senza spin) sottoposta ad una forza associata ad un’energia potenziale V = V (x)
sufficientemente regolare, nel riferimento inerziale I nel quale abbiamo fissato un sistema di coordinate ortonormali destrorse, corrisponda quantisticamente a qualche estensione autoaggiunta
H dell’operatore simmetrico:
3
1 X
P 2 + V (X) ,
H0 :=
2m i=1 i
inizialmente definito in qualche spazio denso invariante in cui gli operatori Pi e Xi siano ben
definiti. Si verifica facilmente che questa scelta soddisfa formalmente il principio di corrispondenza di Dirac, almeno considerando le relazioni di commutazione tra l’operatore scritto sopra
e gli operatori Xk e Pk , lavorando in domini in cui tutti gli operatori in gioco sono ben definiti.
Nella realtà fisica si vede che l’intuizione è corretta e le osservabili hamiltoniane hanno proprio
la forma detta, considerando sistemi fisici di grande interesse come atomi e molecole [CCP82].
Identificheremo lo spazio di Hilbert della particella con L2 (R3 , dx) in modo che gli operatori posizione siano moltiplicativi. Se si lavora in uno spazio di funzioni abbastanza regolari, l’espressione
di partenza per H è, quindi
~2
∆ + V (x) ,
(12.8)
H0 = −
2m
dove ∆ è il noto operatore di Laplace su R3 e l’operatore V (X) diventa moltiplicativo e corrisponde alla moltiplicazione per la funzione iniziale V = V (x). L’equazione di Schrödinger
è riscrivibile in questo caso come:
–
™
~2
∂
∆ + V (X) ψt (x) = i~ ψt (x) ,
−
2m
∂t
che è la forma in cui l’ha scritta Schrödinger nelle sue due memorabili comunicazioni del 1926.
Tuttavia bisogna fare attenzione al fatto che l’equazione considerata non deve essere presa alla
lettera come un’ordinaria equazione alle derivate parziali perché: (1) la derivazione in t è relativa
alla topologia dello spazio di Hilbert e non è puntuale; (2) l’equazione vale in realtà a meno di
insiemi di misura nulla nella variabile x, dato che le funzioni d’onda sono elementi dello spazio
L2 (R3 , dx). Nel caso in cui si trovano soluzioni di tale equazione nel senso “ingenuo”, bisogna
poi dimostrare che tali soluzioni sono anche soluzioni in senso proprio dell’equazione (12.7) (il
punto delicato è (1)). Non si tratta di un problema difficile in ogni caso.
487
Tornando al problema della definizione dell’operatore hamiltoniano partendo dall’operatore differenziale simmetrico (12.8) definito su un dominio denso, bisogna verificare caso per caso se, su
tale dominio, l’operatore ammetta estensioni autoaggiunte o se sia addirittura essenzialmente
autoaggiunto. Si osservi a tal proposito che l’operatore simmetrico H0 commuta con la coniugazione C : L2 (R3 , dx) → L2 (R3 , dx) che rappresenta la coniugazione complessa delle funzioni di
tale spazio. Di conseguenza, per il teorema 5.7 di von Neumann, ammette sicuramente estensioni
autoaggiunte. La teoria generale delle estensioni autoaggiunte di operatori della forma di H0
è stata sviluppata da T. Kato2 , con importantissimi risultati. Nel caso di potenziali di grande
interesse fisico, come il potenziale coulombiano attrattivo e l’oscillatore armonico, si dimostra
che H0 è essenzialmente autoaggiunto. Abbiamo visto questi risultati nella sezione 9.6 in esempi
9.3 come conseguenza di alcuni teoremi generali. Esiste una branca dell’analisi funzionale in
spazi di Hilbert dedicata a questo genere di problemi. Citiamo qui solo il seguente teorema che
segue come corollario dal teorema 9.14.
Teorema 12.2 (di Kato). Si consideri l’operatore differenziale su R3 :
H0 := −
~2
∆ + V (x) ,
2m
(12.9)
definito su qualche dominio denso D(H0 ) ⊃ S(R3 ) e si supponga che:
V (x) =
N
X
gj
+ U (x)
|x − xj |
j=1
(12.10)
dove le gj sono costanti, xj ∈ R3 sono punti fissati e U : R3 → R è misurabile e (essenzialmente)
limitata.
In tal caso vale quanto segue.
(a) H0 è essenzialmente autoaggiunto su D(H0 ), D(R3 ) e S(R3 ).
(b) L’unica estensione autoaggiunta H0 degli operatori considerati in (a) coincide con l’operatore autoaggiunto −∆ + V definito su D(−∆).
(c) σ(H0 ) è limitato dal basso.
In generale, se l’operatore hamiltoniano H di un certo sistema fisico ammette spettro puntuale
σp (H), ogni autovettore ψE di H con E ∈ σp (H) ha un’evoluzione temporale banale:
Ut ψE = e−i
tE
~
ψE .
In altre parole, lo stato puro ρE := ψE (ψE | ) associato a ψE (pensato normalizzato a 1) non
evolve temporalmente. Questi stati particolarissimi vengono detti stati stazionari del sistema.
Studiando i sistemi microscopici atomi e molecole, in prima approssimazione si approssimano
la parte più pesante – i nuclei degli atomi – a sistemi classici che agiscono con forze elettriche
2
T. Kato, Perturbation for Linear Operators, Springer Verlag, 1966.
488
coulombiane sugli elettroni, pensati come particelle quantistiche. Gli stati degli quantistici degli
elettroni in questi sistemi sono teoricamente stati stazionari del loro hamiltoniano. Nella realtà ,
dato che il sistema atomo o molecola non è isolato, ma interagisce con altri sistemi fisici come il
campo elettromagnetico, gli elettroni saltano continuamente da uno di questi stati ad un altro
di questi stati, ricevendo o perdendo l’energia necessaria in termini di energia elettromagnetica
(fotoni), ma anche di altra natura (fononi). La struttura discreta dei valori energetici ammessi
per gli elettroni (E ∈ σp (H)), si riflette in una analoga struttura discreta delle frequenze spettrali
delle onde elettromagnetiche emesse ed assorbite da tali atomi o molecole. L’osservazione sperimentale di tale struttura, a partire dalla fine dell ’800, inspiegabile da parte dell’elettrodinamica
classica, è stata una delle ragioni che ha portato alla formulazione della meccanica quantistica.
Osservazioni.
(1) In riferimento alt teorema 12.2, si può provare [CCP82] che se qualche gj è nullo, i rimanenti
gj sono strettamente negativi allora si ha σp (H0 ) 6= ∅.
(2) In virtù del teorema 9.15, H0 continua ad essere essenzialmente autoaggiunto su D(R3 ) e la
sua unica estensione autoaggiunta è limitata dal basso, se U è non negativa e limitata inferiormente. In tal caso [CCP82], se gj = 0 per ogni j e la funzione U è sufficientemente regolare e
tende all’infinito per |x| → +∞, accade anche che σ(H0 ) = σp (H0 ) 6= ∅.
(3) Uno degli scogli maggiori che incontrano gli studenti alle prime armi con lo studio della Meccanica Quantistica è quello di comprendere il perché delle condizioni che si impongono sulla regolarità delle soluzioni dell’equazione agli autovalori per l’hamiltoniano della teoria. Consideriamo
l’equazione agli autovalori:
H0 ψE = EψE ,
E ∈R,
ψE L2 (R3 , dx)
che, rozzamemente parlando dovrebbe determina gli stati stazionari del sistema fisico il cui hamiltoniano è determinato da H0 . Consideriamo, come accade di frequente in fisica, un operatore
della forma (12.9) in cui U : R3 → R che appare in (12.10) è una funzione continua eccetto che
per alcune superficie regolari σk , k = 1, 2, . . . , N (che non si intersecano e non intersecano le altre
singolarità isolate di V ) su cui possiede discontinutà finite, ed è limitata (o più debolmente solo
inferiormente limitata tenendo conto dell’osservazione (2)). Sui manuali di meccanica quantistica
viene richiesto che le funzioni ψE soddisfino ancora una certa serie di condizioni:
(1) fuori dalle singolarità di V le ψE sono funzioni C 2 (in realtà C ∞ ),
(2) le ψE soddisfano l’equazione H0 ψE = EψE in senso proprio per qualche E ∈ R,
cioè intepretando l’operatore come un operatore differenziale, fuori dalle singolarità di V ,
(3) sulle superficie di singolarità , σk , di U le ψE sono continue e lo è la derivata di ψE
normale ad esse,
(4) nei punti di singolarità isolati di V esistono e sono finiti i limiti di ψE .
Queste condizioni sono spesso giustificate in modo fantasioso nei manuali di fisica (in particolare
le analoghe condizioni riducendosi a lavorare su R1 ).
A commento precisiamo che, prima di tutto H0 non è l’operatore che rappresenta l’osservabile hamiltoniana del sistema, perchè H0 non è autoaggiunto! L’operatore in questione è invece
489
qualche estensione autoaggiunta di H0 . Il teorema 12.2 assicura che, nelle ipotesi dette per H0 ,
esso è essenzialmente autoaggiunto su D(R3 ), per cui esiste un’unica estensione autoaggiunta che
coincide contemporaneamente con la chiusura e l’aggiunto di H0 : H0 = H0∗ . Gli stati stazionari
del sistema si ottengono allora determinando lo spettro di H0∗ , cioé risolevendo l’equazione:
H0∗ ψE = EψE ,
E ∈R,
ψE ∈ D(H0∗ ) .
Questa equazione, dato che D(R3 ) è denso in L2 (R3 , dx) si può anche scrivere come:
(ϕ|H0∗ ψE ) = E(ϕ|ψE ) ,
E ∈R,
per ogni ϕ ∈ D(R3 ) e dove ψE ∈ D(H0∗ ) è fissato.
Ricordando la definizione di aggiunto, l’equazione di sopra si riscrive:
(H0 ϕ|ψE ) = E(ϕ|ψE ) ,
E ∈R,
per ogni ϕ ∈ D(R3 ) e dove ψE ∈ D(H0∗ ) è fissato.
In altre parole, stiamo cercando delle funzioni ψE ∈ L2 (R3 , dx) tali che, per ogni ϕ ∈ D(R3 ):
Œ
Z ‚
~2
−
(12.11)
∆ϕ(x) + V (x)ϕ(x) − Eϕ(x) ψE (x) dx = 0 .
2m
R3
Dunque le funzioni ψE non devono risolvere necessariamente l’equazione H0∗ ψE = EψE , ma la
devono risolvere solo in senso debole, cioè devono soddisfare la (12.11) per ogni ϕ ∈ D(R3 ). A
questo punto, esiste una trattazione generale di questo genere di problemi [ReSi80] essenzialmente legati alla teoria della regolarità ellittica, che provano che [CCP82] ψE ∈ L2 (R3 , dx) soddisfa
(12.11), con le condizioni dette sul potenziale V , se e solo se verifica le condizioni (1)-(4) citate
prima.
Esempi 12.1.
(1) L’esempio più elementare possibile è quello della particella senza spin, libera, di massa m > 0,
descritta nello spazio di Hilbert L2 (R3 , dx) associato agli assi di un riferimento inerziale I. Gli
stati puri sono rappresentati da funzioni d’onda, cioè elementi ψ ∈ L2 (R3 , dx) con ||ψ|| = 1. In
questo caso l’hamiltoniano è semplicemente l’operatore:
H :=
3
~2
1 X
Pk ↾2S(R3 ) = −
∆↾ 3 .
2m k=1
2m S(R )
(12.12)
Discutiamo brevemente sull’autoaggiunzione di tale operatore. In realtà , la discussione dovrebbe essere ovvia dal contenuto della proposizione 9.9, tuttavia è interessante ripetere qualche
osservazione. Il secondo membro della (12.12) è autoaggiunto dato che l’operatore:
3
~2
1 X
Pk ↾2S(R3 ) = −
∆↾ 3
H0 :=
2m k=1
2m S(R )
490
è essenzialmente autoaggiunto. La prova è diretta usando l’operatore unitario di Fourier-Plancherel
b e notando che, nello spazio L2 (R3 , dk) delle funzioni trasformate ψe := F(ψ),
b
F
l’operatore scritto
sopra corrisponde all’operatore moltiplicativo per la funzione:
k 7→
~2 2
k ,
2m
b −1 H F)
b := S(R3 ). Per costruzione l’operatore F
b −1 H F
b è simmetrico,
con dominio denso D(F
0
0
inoltre, si dimostra facilmente che tale operatore è essenzialmente autoaggiunto, provando diretb −1 H F)
b ∗ ± I) = {0}, oppure mostrando che ogni vettore di D(R3 ) ⊂ S(R3 )
tamente che Ker((F
0
b −1 H F.
b Le stesse proprietà sono soddisfatte da H dato che F
b
è un vettore analitico per F
0
0
è unitario.
b −1 H F,
b quest’ultimo agisce ancora come
Ü := F
Per costruzione se H := H0 e si definisce H
operatore moltiplicativo:
2
€
Š
e
Ü ψe (k) = ~ k2 ψ(k)
H
,
2m
dove
Z
§
ª
4 e
2
Ü = ψe ∈ L2 (R3 , dk) .
D(H)
|k|
|
ψ(k)|
dk
<
+∞
R3
Una definizione altrenativa di H si ottiene prendendo l’unica estensione autoaggiunta dell’operatore iniziale H0 definito su D(R3 ) invece che su S(R3 ):
H0 :=
3
1 X
~2
Pk ↾2D(R3 ) = −
∆↾ 3 .
2m k=1
2m D(R )
Tuttavia, anche in questo caso H0 è essenzialmente autoaggiunto e la sua unica estensione autoaggiunta coincide con H precedentemente trovato. Infine si potrebbe definire inizialmente H0
3 )), trovando ancora lo stesso risultato. Tutto ciò è immediata conseguenza
b
sullo spazio F(D(R
della proposizione 9.9.
(2) Un caso fisicamente interessante su R3 è quello in cui si modifica l’hamiltoniano libero tramite
il potenziale coulombiano attrattivo3 :
eQ
,
V (x) =
|x|
dove e < 0 e Q > 0 sono costanti. In questo caso le ipotesi del teorema 9.14 (o 9.13) di Kato
sono verificate come si prova subito (m, ~ > 0 sono costanti che non creano alcun problema
nell’applicare il teorema detto, dato che si può moltiplicare l’operatore per 2m/~2 prima di
applicare il teorema senza perdere generalità ). Dunque l’operatore
H0 := −
~2
∆ + V (x)
2m
3
Propriamente parlando come detto precedentemente, V è l’energia pontenziale classica associata alla forza di
Coulomb che agisce sulla particella di carica e, tuttavia in Meccanica Quantistica si è soliti riferirsi a V come al
potenziale con una certa imprecisione di linguaggio dato che, in meccanica, il potenziale avrebbe segno opposto
di quello considerato sopra.
491
risulta essere essenzialmente autoaggiunto se, indifferentemente, è definito su D(R3 ) oppure
S(R3 ). L’unica estensione autoaggiunta H0 , se Q = −e, corrisponde all’ hamiltoniano di un
elettrone nel campo elettrico di un protone (trascurando gli effetti dovuti allo spin e considerando il protone come un oggetto classico di massa infinita). Abbiamo in questo modo la
più semplice descrizione quantistica dell’operatore hamiltoniano dell’atomo di idrogeno. In questo caso −e è il valore assoluto comune della carica dell’elettrone e del protone. m è la massa
dell’elettrone. Un risultato importante è che, malgrado V non sia limitato dal basso, lo spettro
dell’operatore considerato lo è in ogni caso e, conseguentemente, lo sono i valori dell’energia
fisicamente permessi. Questo significa che il sistema dell’atomo di idrogeno è energeticamente
stabile: non può collassare verso livelli energetici sempre più bassi emettendo una quantità , alla fine infinita, di energia interagendo con il campo elettromagnetico (cioè nell’energia di fotoni
emessi dall’atomo) in un modo che non discuteremo in questo libro elementare dal punto di vista
fisico. Si osservi che l’analogo modello classico, pensando l’elettrone ed il centro di attrazione
come puntiformi, non avrebbe energia totale limitata dal basso4 . Lo studio dello spettro di H0
[CCP82], prova che σc (H0 ) = [0, +∞) mentre σp (H0 ) = {En }n=1,2,... dove, se R = me4 /(4πc~3 )
è la costante di Rydberg e c la velocità della luce:
En = −
2πR~c
n2
n = 1, 2, 3, . . .
(12.13)
Studiando l’interazione tra i fotoni e l’atomo di idrogeno [CCP82], si vede che l’elettrone inizialmente in uno stato stazionario, individuato da un autovettore di H0 con autovalore En ,
può cambiare il suo stato, passando ad un nuovo stato stazionario con energia Em < En , trasferendo la sua energia in eccesso ad un fotone. Può anche avvenire il processo inverso in cui
l’elettrone ricevendo l’energia da un fotone passa dallo stato di energia Em allo stato di energia
En . Si dimostra che, a causa dell’interazione con i fotoni, solo lo stato relativo alla minima
energia E1 = 2πR~c, il cosiddetto livello fondamentale, è stabile, gli altri sono instabili e
l’elettrone decade sul livello fondamentale dopo un certo tempo di vita medio che può essere
calcolato. (Pertanto il termine stato stazionario non è del tutto appropriato quando si considera
il sistema complessivo di un atomo con il campo elettromagnetico, descritto dai fotoni e sarebbe
più preciso parlare semplicemente di autovalori dell’hamiltoniano dell’atomo di idrogeno.) Tutte
le possibili differenze di energia En − Em determinano tutte le possibile frequenze dei fotoni,
cioé della luce, che un gas di atomi di idrogeno può emettere o assorbire, attraverso la relazione
di Einstein En − Em = hνn,m – che lega la frequenza νn,m dei fotoni emessi dall’atomo all’energia
nel passare dal livello En al livello Em dei fotoni stessi (vedi il cap 5). Questi valori νn,m delle
frequenze erano ben noti ed inspiegabili per i fisici spettroscopisti, molto tempo prima che fosse
formulata la Meccanica Quantistica [CCP82]. Ritrovare tali valori e spiegarli per via completamente teorica è stato sicuramente uno dei trionfi della fisica del secolo scorso.
(3) Un secondo caso fisicamente interessante, sempre in R3 , è quello in cui all’hamiltoniano della
4
Un tale modello classico non sarebbe comunque consistente a causa della radiazione di frenamento dell’elettrone accelerato che, come ben noto, produce inconsistenze matematiche nel limite di raggio nullo
dell’elettrone.
492
particella libera considerato nell’esempio (1) è aggiunto il potenziale di Yukawa
−e−µ|x|
,
|x|
V (x) =
2
~
∆ + V (x)
dove µ > 0 è ancora una costante positiva. Anche in questo caso l’operatore H0 = − 2m
3
risulta essere essenzialmente autoaggiunto se, indifferentemente, definito su D(R ) oppure S(R3 ),
come segue dal teorema 9.14 (o 9.13) di Kato. Il potenziale di Yukawa descrive, in prima
approssimazione, processi d’interazione tra un pione ed una sorgente di forza forte pensata, in
questa approssimazione, come dovuta ad una sorgente macroscopica.
(4) In riferimento all’esempio (1), l’azione dell’evolutore è allora evidente in rappresentazione di
Fourier:

‹
it e
it~ 2
e
e
Üt ψ)(k)
.
(12.14)
(U
= e− ~ H ψe (k) = e− 2m k ψ(k)
Ü e tenendo
La dimostrazione si ottiene immediatamente usando le decomposizioni spettrali di H
conto del fatto che le misure spettrali di P1 , P2 , P3 commutano, da cui:
it
e
it
e2
it
e2
it
e2
e− ~ H = e− 2~m P1 e− 2~m P2 e− 2~m P3 ,
b −1 P F
b è l’operatore moltiplicativo:
Üj = F
dove ogni P
j
€
Š
e
Üj ψe (k) = ~kj ψ(k)
P
.
Torniamo in rappresentazione posizione e consideriamo l’evoluzione temporale della funzione
d’onda ψ – cioè una funzione d’onda che individua lo stato Ut ρUt∗ quando ρ = ψ(ψ| ) – è :
t
ψ(t, x) := e−i ~ H ψ (x) =
dove:
ψ(x) = ψ(0, x) :=
Z
R3
Z
R3
~t 2
eik·x e
ψ(k)e−i 2m k dk
3/2
(2π)
eik·x e
ψ(k) dk ,
(2π)3/2
(12.15)
(12.16)
quando ψ ∈ S(R3 ), altrimenti, in generale i due integrali si devono intendere nel senso della
trasformata di Fourier-Plancherel.
12.1.2
L’azione del gruppo di Galileo in rappresentazione posizione.
La discussione in (4) in esempi 12.1 consente di esplicitare in rappresentazione posizione l’azione
del gruppo di Galileo, discussa alla fine del capitolo 11 in rappresentazione impulso per la particella libera di spin s generico. Se (τ, c, v, U ) è il generico elemento del rivestimento universale
g del gruppo speciale di Galileo, la rappresentazione menzionata sopra è quella indotta dagli
SG
(m)
operatori unitari Z(τ,c,v,U ) che, in rappresentazione impulso, agiscono come (11.109):

‹
€
Š
τ
(k−mv)2 e
]
e (k) := ei(τ v−c)·(k−mv) ei 2m
(m)
ψ R(U )−1 (k − mv) .
Z
ψ
(τ,c,v,U )
493
Passando in rappresentazione posizione, eseguendo la trasformata di Fourier-Plancherel inversa
b −1 ψ,
e si ottiene facilmente che, se ψ ∈ L2 (R2 , dx), allora:
ψ=F
€
Š
2
(m)
Ut Z(τ,c,v,U ) ψ (x) = eim(v·x−v t/2) ψ t − τ, R(U )−1 (x − c) − (t − τ )R(U )−1 c) .
(m)
In altre parole, se ψ ′ (t, x) := Ut Z(τ,c,v,U ) ψ (x) è la funzione d’onda sulla quale ha agito a
t = 0 l’elemento (τ, c, v, U ) del (rivestimento universale del) gruppo di Galileo e poi è stata fatta
evolvere fino al tempo t, tenendo conto di (11.102), abbiamo:
€
Š
2
ψ ′ (t, x) = eim(v·x−v t/2) ψ (τ, c, v, U )−1 (t, x) .
(12.17)
Nel caso di particelle con spin s, come precisato nel capitolo precedente, fissando un riferimento
inerziale, lo spazio di Hilbert è L2 (R3 , dx)⊗C2s+1 e le funzioni d’onda sono i vettori normalizzati
a 1 della forma:
s
X
Ψ=
sz =−s
ψsz ⊗ |s, sz i ,
dove i vettori |s, sz i individuano la base canonica di C2s+1 rispetto alla quale l’operatore di spin
Sz è diagonale ed ha gli sz come autovalori.
Come già osservato, in base alla decomposizione appena scritta, L2 (R3 , dx)⊗C2s+1 risulta essere
naturalmente isomorfo alla somma diretta ortogonale di 2s+1 copie di L2 (R3 , dx); di conseguenza
li vettori Ψ si identificano con spinori di ordine s, cioé con vettori colonna di funzioni d’onda di
particella senza spin:
Ψ ≡ (ψs , ψs−1 , · · · , ψ−s+1 , ψ−s )t .
(m)
Se definiamo Ψ′ (t, x) := Ut Z(τ,c,v,U ) ⊗ U Ψ (x), l’azione attiva del gruppo di Galileo è allora:
Ψ′ (t, x) = eim(v·x−v
2 t/2)
s
X
sz =−s
€
Š
ψsz (τ, c, v, U )−1 (t, x) ⊗ U |s, sz i .
(12.18)
€
Š
Us′z sz ψsz (τ, c, v, U )−1 (t, x) ,
(12.19)
Ovvero, in termini di componenti spinoriali:
ψs′ ′z (t, x)
im(v·x−v2 t/2)
=e
s
X
sz =−s
dove Uij è l’elemento matriciale di U sulla base canonica di C2s+1 .
2
A parte la fase5 eim(v·x−v t/2) , questa è la trasformazione che ci si aspetta in termini intuitivi,
immaginando che la funzione d’onda a spin s = 0 e ciascuna delle componenti di quella a spin
s 6= 0, sia campo scalare nello spaziotempo della fisica classica e che l’azione del gruppo sia di
tipo attivo. L’interpretazione della funzione d’onda in rappresentazione posizione come un campo scalare sullo spaziotempo è un’interpretazione non ovvia a priori, che si rivela profondamente
5
Si osservi che questa fase non può essere rimossa cambiando il rappresentate del raggio considerato, dato che
dipende dalla variabile x.
494
falsa (non solo per una fase) nelle teorie relativistiche, dove si vede che le funzioni d’onda in
rappresentazione posizione (nel cosiddetto formalismo di Newton-Wigner [BaRa86]) sono oggetti
altamente non locali6 .
Il risultato ottenuto, pensando le trasformazioni di Galileo in senso passivo e pensando quindi
(m)
le trasformazioni Z(τ,c,v,U ) come operatori unitari tra differenti spazi di Hilbert associati a due
differenti sistemi di riferimento per descrivere lo stesso sistema fisico, consente di descrivere le
trasformazioni degli stati quantistici tra due differenti sistemi di riferimento. L’idea di base
è che, se agisco su uno stato con una trasformazione attiva di Galileo e quindi cambio sistema
di riferimento e passo ad un nuovo sistema di riferimento che è legato al precedente esattamente
con la stessa trasformazione di Galileo con cui ho trasformato lo stato, nel nuovo riferimento
lo stato trasformato deve apparire come quello iniziale non trasformato. Pertanto la legge di
trasformazione passiva degli stati (cambiamento di coordinate) deve corrispondere alle inverse
delle trasformazioni attive viste sopra, nel senso che è necessario rimpiazzare (τ, c, v, U ) con
(τ, c, v, U )−1 in (12.19).
Si considerino, a tal fine, due sistemi di riferimento inerziali I e I′ con coordinate solidali cartesiane ortogonali destrorse, rispettivamente, x1 , x2 , x3 e x′1 , x′2 , x′3 e coordinate temporali, rispettivamente, t e t′ . Si supponga che la legge di trasformazione tra le coordinate sia data dalla
trasformazione di Galileo speciale:


t′ =


t+τ ,

x′ = ci + tvi +

 i
3
X
Rij xj , i=1,2,3.
(12.20)
j=1
dove τ ∈ R, ci ∈ R, vi ∈ R e R ∈ SO(3). Considerando una particella di spin s, lo spazio
di Hilbert della teoria, per il riferimento I si identifica con H := L2 (R3 , dx) ⊗ C2s+1 , mentre
′
per il riferimento I′ si identifica con H′ := L2 (R′3 , dx′ ) ⊗ C2s+1 . Gli spazi R3 e R′3 sono
identificati con gli spazi di quiete dei rispettivi riferimenti usando le coordinate cartesiane dette
′
prima. Le basi canoniche degli spazi C2s+1 e C2s+1 sono identificate con basi hilbertiane di
autovettori degli operatori di spin rispetto al terzo asse: S3 e S3′ . Scegliamo una matrice
U ∈ SU (2) tale che la sua immagine secondo l’omomorfismo di ricoprimento di SU (2) su SO(3)
coincida con R. (U è determinata a meno del segno come notato nel capitolo precedente, ma
tale segno può al più alterare i vettori che rappresentano stati puri per un segno che non altera
lo stato rappresentato dal vettore.) Consideriamo poi uno stato puro del sistema, descritto
nel riferimento I, dal vettore di norma unitaria Ψ. Consideriamo l’evoluzione temporale di
tale stato nel riferimento I. Lo stato Ψ corrisponderà ad uno stato Ψ′ nel riferimento I′ ed ad
una sua evoluzione temporale. Il legame tra gli spinori Ψ e Ψ′ , al variare del tempo è quindi,
rimpiazzando (τ, c, v, U ) con (τ, c, v, U )−1 in (12.19) (tenendo conto del fatto che i parametri
6
Bisogna non confondere la funzione d’onda in rappresentazione posizione con il campo di seconda
quantizzazione che è invece un oggetto locale.
495
τ, c, v, U appaiono anche nella fase):
ψs′ ′z (t′ , x′ ) = eim(v·R(U )x−v
2 t/2)
s
X
Us′z sz ψsz (t + τ, R(U )x + τ v + c) ,
(12.21)
sz =−s
e, in particolare, nel caso di spin s = 0:
ψ ′ (t′ , x′ ) = eim(v·R(U )x−v
2 t′ /2)
ψ (t + τ, R(U )x + τ v + c) ,
(12.22)
dove le coordinate (t, x) e (t′ , x′ ) sono legate tra di esse dalla relazione (12.20). In effetti con le
scelte fatte, si verifica subito che, se il vettore iniziale ψ è rimpiazzato dal vettore ψ sul quale
ha agito una trasformazione del gruppo di Galileo attiva, lo stato
12.1.3
L’evolutore temporale in assenza di omogeneità temporale e la serie
di Dyson.
Torniamo un momento sulla nozione di evolutore temporale per presentarne una generalizzazione legata all’equazione di Schrödinger. Un’osservazione importante sulla nozione di evolutore
temporale che abbiamo dato nell’assioma A.6, è che l’evolutore Uτ è in realtà indipendente dall’istante iniziale. Se fissiamo lo stato ρ al tempo iniziale t, Uτ ρUτ∗ sarà lo stato al tempo t + τ . Se
avessimo fissato lo stesso stato ρ al tempo iniziale t′ 6= t, Uτ ρUτ∗ sarebbe stato lo stato al tempo
t′ + τ . Questa situazione implica che la dinamica del sistema non si modifichi nell’intervallo
temporale [t, t′ ]. In altre parole l’assioma A6 presuppone che per il sistema fisico S descritto
nel riferimento I valga la proprietà omogeneità temporale. Dal punto di vista classico questa
situazione corrisponde alla situazione in cui la funzione di Hamilton non dipende esplicitamente
dal tempo in coordinate canoniche solidali con un certo sistema di riferimento.
Esistono situazioni dinamiche più generali, in cui questa ipotesi non è valida per un certo sistema
fisico S. Questo accade quando il sistema S interagisce con un esterno che si modifica nel tempo,
viceversa se S è isolato (ma questo non è l’unico caso) e la descrizione avviene in un sistema di
riferimento inerziale, viene assunta l’omogeneità del tempo come accade in meccanica classica.
Nel caso generale di assenza di omogeneità temporale, l’evoluzione temporale viene assiomatizzata come segue.
A6’. Descrivendo il sistema fisico quantistico S in un riferimento inerziale I, con spazio degli
stati HS , si assume che esista una famiglia di operatori unitari su HS , {U (t2 , t1 )}t2 ,t1 ∈R , detti
evolutori temporali da t1 a t2 , che soddisfano le proprietà :
(i) U (t, t) = I,
(ii) U (t′′ , t′ )U (t′ , t) = U (t′′ , t),
(iii) U (t′ , t) = U (t, t′ )∗ .
Si assume infine che, se ρ è lo stato del sistema al tempo t0 , lo stato evoluto al tempo t1 (che
può anche precedere t0 ) è U (t1 , t0 )ρU (t1 , t0 )∗ .
496
La differenza fondamentale rispetto al caso descritto dall’assioma A6 è che ora non si può più associare
un generatore autoaggiunto alla famiglia {U (t2 , t1 )}t2 ,t1 ∈R e, in generale, non ha senso parlare di
hamiltoniano del sistema. Tuttavia esso può ancora essere introdotto (come hamiltoniano dipendente dal tempo) generalizzando l’equazione di Schrödinger e definendo gli operatori U (t′ , t) come
soluzioni operatoriali di tale equazione. Dal punto di vista formale, l’evolutore Uτ dell’assioma
A6 soddisfa l’equazione (ponendo ~ = 1)
s-
d
Uτ = −iHUτ .
dτ
Nel caso dell’evolutore generalizzato U (t′ , t), si può assumere che sussista un’analoga equazione:
s-
d
U (τ, t) = −iH(τ )U (τ, t) ,
dτ
(12.23)
quando ad ogni istante di tempo τ è assegnata un’osservabile, detta hamiltoniano al tempo
τ , che si identifica con l’energia del sistema fisico (nel riferimento considerato) all’istante τ .
L’equazione (12.23) presenta alcuni delicati problemi tecnici per essere trattata rigorosamente
a causa dei domini differenti dei vari operatori H(τ ), tuttavia è utilissima in varie applicazioni
pratiche. La cosiddetta serie di Dyson, fondamentale in elettrodinamica quantistica ed in teoria
quantistica dei campi, è una soluzione formale di tale equazione. Riportiamo a tal proposito
la seguente proposizione che illustra una situazione semplificata in cui ogni hamiltoniano H(τ )
è supposto limitato e definito su tutto lo spazio di Hilbert. In questo caso la classe degli operatori H(τ ) determina effettivamente una classe di evolutori temporali U (t′ , t) tramite l’equazione
(12.23) e tali evolutori sono espressi dalla serie di Dyson.
Proposizione 12.2. Sia H spazio di Hilbert e R ∋ t 7→ H(t) ∈ B(H) continua nella topologia
operatoriale forte. Si considerino gli operatori U (t, s) espressi dalla serie di Dyson:
U (t, s) := I +
∞
X
(−i)n
n=1
Z
t
s
dt1 H(t1 )
Z
t1
s
dt2 H(t2 ) · · ·
Z
tn−1
s
dtn−1 H(tn )
(12.24)
dove gli integrali iterati sono definiti nel senso della proposizione 9.4 e la serie converge nella
topologia uniforme. Vale quanto segue.
(a) Gli U (t, s) soddisfano le condizioni (i) e (ii) di A6’ e (iii) vale se tutti gli operatori H(t)
sono autoaggiunti, in qual caso ogni U (t, s) è unitario.
(b) La funzione R ∋ (t, s) 7→ U (t, s) è continua nella topologia uniforme.
(c) Vale l’equazione di Schrödinger generalizzata:
s-
d
U (t, s) = −iH(t)U (t, s)
dt
per ogni t, s ∈ R.
Prova. Prima di tutto notiamo che ogni termine dello sviluppo di Dyson
Un (t, s) = (−i)n
Z
s
t
dt1 H(t1 )
Z
t1
s
dt2 H(t2 ) · · ·
497
Z
s
tn−1
dtn−1 H(tn ) ,
(12.25)
ha senso dato che – per (c) in proposizione 9.4 – ogni Rfunzione integrale che appare a secondo
membro, a partire da quella più a destra (tn−1 , s) 7→ stn−1 dtn−1 H(tn ), definisce una funzione
a valori in B(H) fortemente congiuntamente continua nella coppia di estremi di integrazione (e
quindi anche nell’estremo superiore separatamente) ed il prodotto (nel senso della composizione
operatoriale puntuale) di due funzioni di tale tipo è ancora una funzione a valori in B(H) fortemente continua, che può essere a sua volta integrata. Usando le proprietà dell’integrale definito
in proposizione 9.4, dove ora la funzione L1 è data dalla funzione caratteristica del considerato
intervallo [s, tk ], si dimostra facilmente che l’n-esimo termine della serie di Dyson Un (t, s), con
t, s ∈ [T, S], soddisfa la stima:
||Un (t, s)|| ≤ Aa,b
|b − a|n
:=
n!
!n
sup ||H(τ )||
τ ∈[a,b]
(t, s) ∈ [a, b]2 .
,
(12.26)
Come osservato nella dimostrazione della proposizione 9.4, dato che τ 7→ H(τ ) è continuo nella topologia operatoriale forte, supτ ∈[a,b] ||H(τ )|| < +∞ per il teorema di Banach-Steinhaus.
Pertanto 0 ≤ Aa,b < +∞. Dato che la serie di termine positivo generico Aa,b converge, concludiamo che la serie di Dyson converge nella topologia uniforme, uniformemente in (s, t) su ogni
compatto. Di conseguenza, assumendo che ogni termine della serie di Dyson sia continuo nella
topologia uniforme (come dimostreremo sotto) segue anche che (t, s) 7→ U (t, s) è continuo nella
topologia uniforme. Per mostrare che i termini dell serie di Dyson sono continui nella topologia
uniforme, si deve tenere conto della loro evidente relazione di ricorrenza:
Un (t, s) = −i
Z
t
s
H(τ )Un−1 (τ, s)dτ .
(12.27)
Da essa segue facilmente che, lavorando nel compatto [a, b] × [a, b]
Z
Z ′
t
t
||Un (t, s) − U (t′ , s′ )|| ≤ H(τ )Un−1 (τ, s)dτ + H(τ )(Un−1 (τ, s) − Un−1 (τ, s′ ))dτ t′
s
Z ′
s
H(τ )Un−1 (τ, s′ )dτ ,
+ s
e quindi, in base ad (a) in proposizione 9.4:
||Un (t, s) − U (t′ , s′ )|| ≤ |t − t′ |
sup
(τ,σ)∈[a,b]2
||H(τ )||||Un−1 (τ, σ)||
+ (b − a) sup ||H(τ )||||Un−1 (τ, s) − Un−1 (τ, s′ )|| + |s − s′ |
τ ∈[a,b]
sup
(τ,σ)∈[a,b]2
||H(τ )||||Un−1 (τ, σ)||
Si conclude che se (t, s) 7→ Un−1 (t, s) è continua nella topologia uniforme, allora lo deve anche
essere (t, s) 7→ Un (t, s): in particolare, supτ ∈[a,b] ||H(τ )||||Un−1 (τ, s) − Un−1 (τ, s′ )|| → 0 se s →
s′ dato che (oltre ad esistere supτ ∈[a,b] ||H(τ )|| < +∞ come osservato sopra), la continuità di
(t, s) 7→ Un−1 (t, s) sul compatto [a, b]2 implica l’uniforme continuità sullo
stesso compatto. In
R
base al principio di induzione è allora sufficiente provare che U1 (t, s) = −i st dt1 H(t1 ) è continuo.
498
Ma sappiamo che ciò è vero da (i) in (c) in proposizione 9.4. Abbiamo dimostrato (b) e parte
di (a). Concludiamo la prova di (a). Per costruzione U (t, t) = I e, se ogni H(τ ) è autoaggiunto:
U (t, s)∗ = U (s, t). La relazione (ii) si prova similmente a eA+B = eA eB quando le matrici A e B
commutano, moltiplicando le serie di Dyson e raccogliendo opportunamente il risultato, lasciamo
i dettagli al lettore. Nel in cui ogni H(τ ) è autoaggiunto, abbiamo allora che U (s, t)U (s, t)∗ =
U (s, t)U (t, s) = U (s, s) = I e, similmente U (s, t)∗ U (s, t) = I che implicano che U (s, t) sia
unitario. Passiamo a provare (c). Applicando (b) di proposizione 9.4 ai singoli termini della
serie di Dyson calcolata su un vettore ψ, differenziando termine a termine la serie e tenendo
conto delle relazioni di ricorrenza (12.27), si arriva immediatamente a:
d
U (t, s)ψ = −iH(t)U (t, s)ψ ,
dt
peruchè sia possibile scambiare il segno di derivata con quello di serie. Usando ancora la stima
(12.26) unitamente a supt∈[a,b] ||H(t)|| < +∞ si ha che serie delle derivate converge uniformemente sui compatti nella topologia uniforme e quindi, uniformemente, anche in quella forte.
Pertanto la serie di Dyson può essere derivata in t (nella topologia forte) sotto il simbolo di
somma provando che:
d
s- U (t, s) = −iH(t)U (t, s) .
dt
2
Osservazioni.
(1) Lasciamo al lettore la prova del fatto che la serie di Dyson (12.24) per l’evolutore U (t, s)
può essere riscritta come
U (t, s) =
+∞
X
(−i)n
n!
n=0
Z tZ
s
s
t
···
Z
s
t
T [H(t1 )H(t2 ) · · · H(tn )] dtn dtn−1 · · · dt1 ,
(12.28)
Dove abbiamo introdotto l’ordinatore cronologico di prodotti di operatori:
T [H(t1 )H(t2 ) · · · H(tn )] := H(τn )H(τn−1 ) · · · H(τ1 )
dove τn è il più grande tra t1 , . . . , tn , mentre τn−1 ≤ τn è il più grande tra i rimanenti valori di
t1 , . . . , tn dopo avere eliminato τn e via di seguito. La serie di Dyson scritta nella forma (12.28)
assomiglia allo sviluppo in serie dell’esponenziale, ma con il riordinamento temporale. Per tale
motivo la serie di Dyson si trova scritta alternativamente, ripristinando la costante ~:
• i Rt
˜
−~
H(τ )dτ
s
U (t, s) = T e
.
(12.29)
Si osservi che nel caso di H non dipendente dal tempo, il secondo membro si riduce proprio a
(t−s)
e−i ~ H come ci si aspetta.
(2) Come già osservato, l’uso della serie di Dyson è di centrale importanza in teoria quantistica
499
dei campi e comunque in teoria delle perturbazioni, quando l’hamiltoniano è decomposto come
H = H0 + V , dove V rappresenta una correzione a H0 ed alla dinamica da esso generata. In
questa situazione si usa una procedura che si basa sulla cosiddetta rappresentazione d’interazione
di Dirac [CCP82] in cui la serie di Dyson gioca un ruolo centrale. In generale, nelle applicazioni
concrete, la serie di Dyson viene comunque adoperata in contesti in cui H non è un operatore
limitato. Per tale motivo il teorema provato sopra non può essere applicato e la serie deve essere
intesa in qualche senso debole [ReSi80].
12.1.4
Inversione del tempo antiunitaria. Teorema di Pauli.
Ritorniamo ora a questioni di carattere più generale in riferimento all’assioma di evoluzione
temporale e mostriamo altre due importanti conseguenze della richiesta di esistenza di un limite
inferiore allo spettro dell’hamiltoniano H.
Sappiamo dal capitolo precedente che se un sistema fisico ammette una certa simmetria (se di
Kadison o Wigner è irrilevante per il teorema 11.2), essa è descritta da una trasformazione unitaria oppure anti unitaria. Se un sistema fisico S con hamiltoniano H ammette come simmetria
l’inversione del tempo γT (vedi (2) in esempi 11.2), individuata dall’operatore T : HS → HS
unitario oppure anti unitario (ammettiamo che lo spazio di Hilbert sia costituito da un unico
settore coerente), questo operatore deve soddisfare, per definizione, l’ovvia richiesta (poniamo
~ = 1 nel seguito):
(H)
(H)
γT γt (ρ) = γ−t (γT (ρ)) .
In altre parole, deve valere:
e−itH T ρT −1 e−itH = T e+itH ρe−itH T −1
per ogni ρ ∈ S(HS ).
(12.30)
Si osservi che dunque l’inversione del tempo, quando esiste, non è una simmetria dinamica nel
senso della definizione 12.1 a causa dell’inversione del segno del tempo nel flusso dinamico. Abbiamo tuttavia il seguente risultato che, in parte, ripropone la tesi della proposizione 12.1.
Teorema 12.3. Si consideri un sistema fisico S con hamiltoniano H (dunque con spettro
limitato dal basso) sullo spazio di Hilbert HS . Se lo spettro di H è illimitato superiormente,
allora ogni operatore T : HS → HS unitario oppure anti unitario che soddisfi la (12.30) – e
quindi in particolare l’operatore che rappresenta la simmetria di inversione temporale, se esiste
– deve essere anti unitario e deve soddisfare:
T −1 HT = H .
Prova. Si tenga conto del fatto che, se V : HS → HS è unitario (oppure anti unitario), allora
vale V ψ(ψ|V −1 ·) = V ψ(ψ|V ∗ ·) = V ψ(V ψ|·). Da cui, posto Ut := e−itH , per ogni stato puro
ρ = ψ(ψ| ), specializzandoci all’operatore unitario V := (T U−t )−1 Ut T
(T U−t )−1 Ut T ψ (T U−t )−1 Ut T ψ 500
= ψ(ψ| ) ,
e dunque, per qualche χt ∈ C con |χt | = 1:
(T U−t )−1 Ut T ψ = χt ψ
per ogni ψ ∈ H.
Con la stessa dimostrazione usata per il teorema 11.1 si vede che χt non dipende da ψ. Inoltre
la funzione R ∋ t 7→ χt è differenziabile come si prova subito, scegliendo φ ∈ D(H) \ {0},
ψ ∈ T −1 D(H) \ {0} con (φ|ψ) 6= 0 (e questo è possibile perché D(H) è denso) e calcolando la
derivata di ambo membri dell’identità seguente, se T è unitario:
(T U−t φ|T −1 Ut T ψ) = χt (φ|ψ) .
oppure, T è anti unitario:
(T U−t φ|T −1 Ut T ψ) = χt (φ|ψ) .
Il teorema di Stone assicura che le derivate esistono. Concludiamo che esiste una funzione
R ∋ t 7→ χt ovunque derivabile e tale che:
e−itH T = T χt eitH
Di conseguenza:
T −1 e−itH T = χt eitH
e quindi, dove il segno − appare se T è unitario e + appare se T è antiunitario (vedi (6) in
esercizi 11.1 per il caso antiunitario):
e∓itT
−1 HT
= χt eitH .
Si osservi che T −1 HT è un operatore autoaggiunto e pertanto il primo membro, al variare di
t ∈ R, definisce un gruppo unitario ad un parametro fortemente continuo. Applicando il teorema
di Stone si ha subito che, D(T −1 HT ) ⊂ D(H) = D(cI + H) e vale l’identità :
∓T −1 HT ↾D(H) = cI + H
t
dove c := −i dχ
dt |t=0 .
(12.31)
Si osservi che c deve essere reale, dato che ∓T −1 HT −H è simmetrico su D(H). In realtà (12.31)
deve valere anche su tutto dominio di ∓T −1 HT che, essendo autoaggiunto, non può avere altre
estensioni autoaggiunte (in questo caso cI + H) differenti da ∓T −1 HT stesso. Concludiamo
che:
T −1 HT = ∓cI ∓ H .
In particolare dovrà anche essere (vedi (6) in esercizi 11.1 per il caso antiunitario):
σ(H) = σ(T −1 HT ) = σ (∓cI ∓ H) = ∓c ∓ σ(H) .
Se σ(H) è limitato dal basso ma non è limitato superiormente, questa identità è impossibile se
a secondo membro appare il segno −, qualunque sia la costante c. In tal caso T deve dunque
essere antiunitario. Deve dunque essere inf σ(H) = inf(c + σ(H)) = c + inf σ(H) e quindi c = 0,
501
dato che inf σ(H) è finito per ipotesi essendo σ(H) 6= ∅ ed essendo inferiormente limitato. 2
Un’ulteriore conseguenza dell’esistenza del limite inferiore allo spettro di H riguarda la problematicità dell’esistenza di una osservabile quantistica che corrisponda alla grandezza classica
tempo, che soddisfi relazioni di commutazione canoniche con l’hamiltoniana. L’esistenza di
un tale operatore potrebbe essere suggerita dalla relazione d’indeterminazione di Heisenberg
tempo-energia discussa nel capitolo 5. Nel capitolo 10 abbiamo dedotto il principio di indeterminazione di Heisenberg per la posizione e l’impulso, come teorema, conseguenza delle relazioni
di commutazione canonica
[X, P ] = i~I .
Ci si potrebbe aspettare che esista un operatore autoaggiunto T che corrisponde all’osservabile tempo, che soddisfi un’analoga relazione di commutazione, su qualche dominio, rispetto
all’operatore hamiltoniano:
[T, H] = i~I ,
ed, in conseguenza di ciò , esattamente come fatto per il caso posizione-impulso (vedi cap. 10),
esista la relazione di indeterminazione tempo-energia:
(∆H)ψ (∆T )ψ ≥ ~/2 .
Abbiamo visto nel capitolo 10 che, nel caso delle relazioni di commutazione canonica posizioneimpulso, interpretando in senso forte tali relazioni, cioé passando dagli operatori all’algebra degli
esponenziali di essi, le relazioni di commutazione di questi ultimi determinavano gli operatori
stessi a meno di trasformazioni unitarie, in virtù del teorema di Stone-von Neumann. Nel caso
t
ht
t
h
h
in esame le relazioni dette sarebbero e−i ~ T e−i ~ H = ei ~ e−i ~ H e−i ~ T Nel caso in esame questo
non è possibile: non c’è alcun modo di definire in modo univoco l’operatore tempo e quindi dare
un senso preciso e generale alle relazioni di indeterminazione tempo-energia. Tuttavia è possibile
cercare di definire l’osservabile tempo, caso per caso ed anche usando altri approcci (come le
POVM introdotte alla fine del capitolo 7). Questo risultato negativo cade sotto il nome di teorema di Pauli. Enunciamo e proviamo la nostra versione del teorema di Pauli, mettendo insieme
diversi risultati provati nei capitoli precedenti.
Teorema 12.4 (di Pauli). Si consideri un sistema fisico S con hamiltoniano H (dunque
con spettro limitato dal basso) sullo spazio di Hilbert HS . Si supponga che esista un operatore
autoaggiunto T : D(T ) → HS ed un sottospazio D ⊂ D(H) ∩ D(T ) sul quale T H e HT siano
ben definiti e valgono le relazioni di commutazione canoniche (ponendo ~ = 1):
[T, H] = iI .
Nessuno dei fatti seguenti può essere vero.
(a) D è denso ed invariante per T e H e l’operatore simmetrico T 2 + H 2 , definito su D,
è essenzialmente autoaggiunto.
502
(b) D è denso ed invariante per T e H ed è costituito da vettori analitici per T e H contemporaneamente.
(c) Sussistono le relazioni di commutazione canoniche per gli operatori esponenziali:
eihT eitH = eiht eitH eihT
per ogni t, h ∈ R.
Prova. Se valesse (a), in virtù del teorema 10.10 di Nelson H ↾D e T ↾D sarebbero essenzialmente autoaggiunti (e quindi D sarebbe un core per entrambi gli operatori autoaggiunti H e
T ) ed esisterebbe una rappresentazione unitaria fortemente continua dell’unico gruppo di Lie
semplicemente connesso la cui algebra di Lie è individuata dalle relazioni di commutazione canoniche e da quelle banali [T, I] = [H, I] = 0, che ammette I, H e T come generatori. Tale
gruppo è quello di Heisenberg H (2) come visto nel capitolo precedente, e questo implicherebbe
la validità di (c). Se valesse (b) arriveremmo alla stessa conclusione applicando il teorema 11.11.
Supponiamo quindi che valga (c). In tal caso, seguendo la discussione che segue il teorema 11.2b
si prova subito che gli operatori W (t, h) := eiht/2 eitH eihT soddisfano le regole di commutazione di Weyl e soddisfano le ipotesi del teorema 10.3 di Mackey. Ne consegue che lo spazio di
Hilbert HS si decompone in una somma diretta ortogonale di sottospazi chiusi HS = ⊕k Hk ,
che sono invarianti rispetto a eitH e eihT per ogni valore di t e di h; infine, per ogni k, esiste
un operatore unitario Sk : Hk → L2 (R, dx) per cui, in particolare Sk eitH ↾Hk Sk−1 = eitX , dove
X è l’operatore posizione standard su R. Applicando il teorema di Stone alla condizione di
invarianza eitH Hs ⊂ Hs si ricava che che H(Hk ∩ D(H)) ⊂ Hk , che H ↾Hk ∩D(H) è autoaggiunto
come operatore sullo spazio di Hilbert Hk , ed infine eitH ↾Hk = eitH↾Hk ∩D(H) . A questo punto, la
condizione soddisfatta dall’operatore Sk si può scrivere: eitH↾Hk ∩D(H) = Sk−1 eitX Sk . Applicando
nuovamente il teorema di Stone, si ottiene: H↾Hk ∩D(H) = Sk−1 XSk e dunque (dove, per avere la
prima inclusione è sufficiente usare la definizione di spettro):
σ(H) ⊃ σ(H↾Hk ∩D(H) ) = σ(Sk−1 XSk ) = σ(X) = R ,
che è impossibile dato che σ(H) è inferiormente limitato. 2
12.2
Relazione tra simmetrie dinamiche e costanti del moto.
In questa sezione ci occuperemo di estendere alla Meccanica Quantistica i risultati dimostrati
dalle varie formulazioni del teorema di Nöther che, nella teoria classica, legano simmetrie dinamiche e costanti del moto. In Meccanica Quantistica questo legame è il più diretto possibile.
Per enunciare il teorema che corrisponde a tale relazione è necessario introdurre la cosiddetta
rappresentazione di Heisenberg delle osservabili.
12.2.1
La rappresentazione di Heinsenberg e le costanti del moto.
Consideriamo il sistema quantistico S descritto nel riferimento inerziale I e con evolutore temporale R ∋ τ 7→ e−iτ H . Fissiamo una volta per tutte un tempo di riferimento che corrisponde
503
al tempo in cui fissiamo le condizioni iniziali. Possiamo sempre scegliere tale tempo come
t = 0. Consideriamo quindi la rappresentazione proiettiva continua di R ad esso associato
(H)
R ∋ t 7→ γt := e−itH · eitH e la sua azione duale sulle osservabili. Se A è un’osservabile, che
include il caso in cui A sia un proiettore ortogonale che rappresenta una proprietà elementare
del sistema S,
(H)∗
(A) = eitH Ae−itH
AH (t) := γt
si dice rappresentazione di Heisenberg dell’osservabile A al tempo τ . Si osservi che, per
(A)
(H)∗
(PE ) per ogni
costruzione σ(AH (τ ) = σ(A) e le misure spettrali soddisfano P (AH (t))E = γt
E ∈ B(R). Lavorando con la rappresentazione di Heisenberg delle osservabili, in coerenza con
l’idea dell’azione duale delle simmetrie introdotta nel capitolo 11, gli stati quantistici non evolvono temporalmente e la dinamica agisce sulle osservabili. In particolare, il valore di aspettazione
dell’osservabile A sullo stato ρt , evoluzione temporale fino al tempo t dello stato iniziale ρ,
può essere indifferentemente calcolato come hAiρt oppure hAH (t)iρ , dato che
€
Š
€
Š
hAiρt = tr AUt ρUt−1 = tr Uτ−1 AUt ρ = hAH (τ )iρ .
La stessa cosa accade per la probabiltà che il risultato della misura di A eseguita al tempo τ
cada nel boreliano E, se lo stato era ρ al tempo 0:
(AH (t))
(A)
tr(PE ρt ) = tr(PE
ρ) .
Osservazioni.
(1) Per distinguere la rappresentazione di Heisenberg da quella standard, in cui evolvono gli
stati e non le osservabili, si chiama la prima rappresentazione di Schrödinger. Noi seguiremo questa convenzione.
(2) Si deve notare che può accadere che un’osservabile dipenda dal tempo anche in rappresentazione di Schrödinger. Più precisamente, è spesso comodo considerare una famiglia di operatori
autoaggiunti {At }t∈R dipendenti parametricamente dal tempo t e pensare tale famiglia come
un’unica osservabile che dipende dal tempo, indicandola con At . Si dice in tal caso che l’osservabile dipende esplicitamente dal tempo. In tal caso, passando in rappresentazione di
Heisenberg, la dipendenza temporale, tiene conto di entrambe le dipendenze:
AHt (t) := eitH At e−itH .
(12.32)
Per non sovraccaricare la notazione, nel seguito non indicheremo esplicitamente la prima dipendenza temporale e scriveremo H in luogo di Ht se ciò non darà luogo ad ambiguità .
Dopo aver introdotto l’evoluzione temporale delle osservabili nel senso della rappresentazione di
Heisenberg di esse, possiamo introdurre la nozione di costante del moto, che ricalca la definizione
classica.
Definizione 12.2. Sia S un sistema quantistico descritto nello spazio di Hilbert HS associato
al sistema di riferimento inerziale I con hamiltoniano H. Un’osservabile A – eventualmente
504
esplicitamente dipendente dal tempo, At – si dice essere una costante del moto o anche un
integrale primo, se la sua rappresentazione di Heisenberg è indipendente dal tempo, cioé :
AH (t) = AH (0)
per ogni t ∈ R,
(12.33)
AHt = AH0 (0)
per ogni t ∈ R,
(12.34)
ovvero
nel caso in cui l’osservabile dipenda esplicitamente dal tempo.
Osservazioni.
(1) Affermare che un’osservabile, che non dipende esplicitamente dal tempo, sia una costante
del moto, è del tutto equivalente a dire che la sua rappresentazione di Heisenberg e la sua
rappresentazione di Schrödinger coincidono.
(2) Si può estendere la definizione di rappresentazione di Heisenberg e di costante del moto al
caso in cui non valga l’omogeneità temporale e dunque l’evolutore temporale abbia struttura
U (t2 , t1 ). Noi non ce ne occuperemo.
(3) L’identità (12.34) si trova spesso scritta sui testi di fisica come:
∂AHt
+ i[H, AHt (t)] = 0 ,
∂t
(12.35)
dove la derivata parziale è riferita alla sola dipendenza esplicita dal tempo, cioè a quella rappresentata dall’indice Ht . In effetti, se non si presta attenzione ad i problemi di dominio, questa
equazione deriva banalmente dalla (12.34), ed implica immediatamente la (12.34), se si tiene
conto della (12.32). Tuttavia vi sono diversi problemi a voler provare rigorosamente questa
equivalenza che, nel caso generale, non sussiste. In ogni caso, fisicamente parlando, è chiaro
che la nozione di costante del moto è perfettamente formalizzato dall’identità (12.34), senza alcuna necessità di dover passare alle derivate temporali imbattendosi in problemi tecnici artificiali.
Mostriamo ora, come preannunciato, lo stretto legame che esiste tra costanti del moto e simmetrie dinamiche. In fisica classica è noto che i gruppi ad un parametro di simmetrie corrispondono,
nelle varie versioni del teorema di Nöther, a costanti del moto. Vogliamo mostrare che lo stesso
legame sussiste in Meccanica Quantistica.
Cominciamo con il notare che se un operatore autoaggiunto e unitario, V (σ) , rappresenta una
simmetria dinamica, allora deve essere una osservabile costante del moto, come segue immediatamente da (c) del teorema 12.1. Non è rarissimo che un operatore, di interesse fisico, sia insieme
unitario e autoaggiunto (e quindi rappresenti contemporaneamente una simmetria ed un’osservabile). Esiste, in particolare, il caso dell’operatore unitario ed autoaggiunto che rappresenta
l’inversione di parità , di cui si è accennato negli esempi 11.2. Questa situazione è del tutto differente da quanto accade in meccanica classica, in cui un sistema invariante sotto l’inversione di
parità (o un’altra simmetria discreta) non ha automaticamente una costante del moto associata.
Occupiamoci del caso di gruppi ad un parametro di simmetrie continue dove il legame tra simmetrie dinamiche e costanti del moto risulta essere molto più diretto.
505
Per iniziare consideriamo una costante del moto esplicitamente dipendente dal tempo {At }t∈R ,
per un certo sistema fisico S con hamiltoniano H. Avremo allora che, in base alle definizioni
date:
eitH At e−itH = A0 .
Se esponenziamo gli operatori autoaggiunti che appaiono nei due membri, abbiamo immediatamente che:
itH
−itH
e−iae At e
= e−iaA0 ,
che, per le note proprietà dell’esponenziale, equivale a:
eitH e−iaAt e−itH = e−iaA0 ,
e cioè :
e−iaAt e−itH = e−itH e−iaA0
per ogni a ∈ R e ogni t ∈ R.
Questa identità ha un’interpretazione importante in termini di simmetrie dinamiche. Infatti
(A )
(A )
afferma che, per ogni fissato a ∈ R, le simmetrie {σa t }t∈R con σa t (·) := e−iaAt · eiaAt ,
costituiscono una simmetria dinamica dipendente dal tempo per il sistema S in base al teorema
12.1. Si osservi che, se ci restringiamo al caso in cui At = A non dipenda dal tempo, la
(A)
stessa dimostrazione prova che σa (·) := e−iaA · eiaA è una simmetria dinamica per ogni a ∈ R.
Tutto questo dimostra che le costanti del moto individuano simmetrie dinamiche. Il problema
che ora ci poniamo è se sia valido anche il risultato inverso. Ci chiediamo dunque se, data
(t)
una classe di simmetrie dinamiche dipendenti dal tempo {σa }t∈R dove, per ogni t ∈ R, la
(t)
funzione R ∋ a 7→ σa sia una rappresentazione proiettiva continua del gruppo topologico R,
(A )
allora sia possibile scrivere ognuna di queste rappresentazioni come σa t (·) := e−iaAt · eiaAt , in
modo tale che gli operatori autoaggiunti At individuino una costante del moto dipendente dal
tempo. Per il teorema 11.3, è sempre possibile trovare operatori autoaggiunti At per cui valga
(A )
σa t (·) := e−iaAt · eiaAt per ogni a ∈ R. Tuttavia tali operatori sono indeterminati a meno di
una costante additiva reale. Quindi la questione è , in definitiva, se sia possibile fissare tutte le
costanti in modo tale che:
eitH At e−itH = A0 .
La risposta è positiva ed è stabilita dal seguente teorema, che corrisponde alla versione quantistica del teorema di Nöther.
Teorema 12.5 (Teorema di Nöther quantistico). Sia S un sistema quantistico descritto
nello spazio di Hilbert HS associato al sistema di riferimento inerziale I con hamiltoniano H.
Valgono i seguenti fatti.
(a) Sia A una costante del moto e definiamo la rappresentazione proiettiva continua del gruppo
topologico R:
R ∋ a 7→ σa(A) (·) := e−iaA · eiaA .
506
(A)
Allora, per ogni a ∈ R, σa è una simmetria dinamica.
(b) Sia {At }t∈R una costante del moto che dipende esplicitamente dal tempo e, per ogni t ∈ R,
definiamo la rappresentazione proiettiva continua del gruppo topologico R:
R ∋ a 7→ σa(At ) (·) := e−iaAt · eiaAt .
(A )
Allora {σa t }t∈R è una simmetria dinamica dipendente dal tempo per ogni a ∈ R,.
(c) Sia R ∋ a 7→ σa una rappresentazione proiettiva continua del gruppo topologico R tale che,
σa è una simmetria dinamica per ogni a ∈ R. Allora esiste una costante del moto, A, tale che:
σa (·) := e−iaA · eiaA
per ogni a ∈ R
(t)
(d) Se, per ogni t ∈ R, R ∋ a 7→ σa è una rappresentazione proiettiva continua del gruppo
(t)
topologico R tale che, per ogni a ∈ R la classe {σa }t∈R è una simmetria dinamica dipendente dal
tempo di S, allora esiste una costante del moto che dipende esplicitamente dal tempo, {At }t∈R ,
che soddisfa:
σa(t) (·) := e−iaAt · eiaAt per ogni a ∈ R e ogni t ∈ R.
Prova. L’unica cosa che rimane da provare è (d), dato che (a) e (b) sono stati provati sopra,
(t)
mentre (c) è un ovvio sottocaso di (d) ponendo σa = σa e quindi At = A per ogni t ∈ R.
Dimostriamo dunque (d). In base al teorema teorema 12.1, per ogni t ∈ R possiamo scrivere:
′
(t)
σa (·) := e−iaAt · eiaAt per ogni a ∈ R, dove gli operatori autoaggiunti A′t sono individuati dal
(t)
corrispondente gruppo R ∋7→ σa , e possono essere ridefiniti tramite costanti additive reali c(t)
arbitrarie: A′t + c(t)I = At . Immaginiamo di avere fatto una scelta iniziale di tali operatori e
lavoriamo con tale scelta. Per (a) del teorema 12.1 deve allora valere, per opportuni numeri
complessi χ(t, a) con |χ(t, a)| = 1:
′
′
χ(t, a) = e−iaAt e−itH eiaA0 eitH ,
da cui: χ(t, 0) = 1 per ogni t ∈ R. Dunque vale anche:
′
′
χ(t, a)(ψ|φ) = eitH eiaAt ψ eiaA0 eitH φ
(12.36)
.
Scegliendo, per t ∈ R fissato, ψ ∈ (D(A′t )) e φ ∈ eitH (D(A′0 )) non ortogonali (questo è possibile
perché i due domini sono densi essendo At autoaggiunto e eitH unitario), ed applicando il teorema
di Stone al secondo membro rispetto alla variabile a, si ha che esiste la derivata in a del primo
membro, per ogni a ∈ R. D’altra parte da (12.36) si ricava anche che, sempre per t ∈ R fissato:
Š
′ ′
′ ′
′
′ €
′
′
′
′
χ(t, a + a′ ) = e−i(a+a )At e−itH ei(a+a )A0 eitH = e−iaAt e−ia At e−itH eia A 0 eitH e−itH eiaA0 eitH
′
′
e−iaAt χ(t, a′ )e−itH eiaA0 eitH = χ(t, a′ )χ(t, a) .
507
Quindi, per t ∈ R fissato, la funzione R ∋ a 7→ χ(t, a) è differenziabile, soddisfa χ(t, a + a′ ) =
χ(t, a)χ(t, a′ ) e dunque ∂χ(t,a)
= ∂χ(t,a)
∂a
∂a |a=0 χ(t, a). Tenendo conto dei vincoli |χ(t, a)| = 1 e
χ(t, 0) = 1 per ogni t ∈ R, l’equazione differenziale ha soluzione: χ(t, a) = eic(t)a con c(t) =
−i ∂χ(t,a)
∂a |a=0 ∈ R. Abbiamo trovato che:
′
′
eic(t)a = e−iaAt e−itH eiaA0 eitH ,
e quindi
′
′
e−ia(At +c(t)I) e−itH = e−itH e−iaA0 .
Dalla (12.36) abbiamo anche che eic(0)a = 1 per ogni valore di a ∈ R e questo è possibile solo se
c(0) = 0. Ma allora l’identità trovata sopra può essere riscritta:
′
′
e−ia(At +c(t)I) e−itH = e−itH e−ia(A0 +c(0)I) .
Dato che, come detto all’inizio, siamo liberi di ridefinire gli operatori A′t aggiungendo costanti
reali arbitrarie, ridefinendo At := A′t + c(t)I, otteniamo la tesi:
e−iaAt e−itH = e−itH e−iaA0 .
Questo risultato conclude la dimostrazione. 2
12.2.2
Un accenno al teorema di Ehrenfest ed ai problemi matematici ad
esso connessi.
Prima di esaminare le costanti del moto associate al gruppo di Galileo, vogliamo soffermarci
su un argomento in qualche modo legato a questo genere di problematiche, cioé all’evoluzione
temporale delle osservabili. Nei trattati di meccanica quantistica esiste un enunciato detto
Teorema di Ehrenfest, riconosciuto di enorme importanza euristica, specie nel rapportare la
meccanica quantistica al suo limite classico. L’idea del teorema di Ehrenfest, dal punto di vista
formale, è molto diretta. Consideriamo un sistema fisico quantistico S descritto sullo spazio
di Hilbert HS , un’osservabile rappresentata dall’operatore autoaggiunto A (per semplicità non
dipendente esplicitamente dal tempo), fissiamo infine uno stato puro rappresentato dal vettore
unitario ψ e consideriamone l’evoluzione temporale secondo l’evolutore temporale e−itH del
sistema. Lavorando del tutto formalmente, senza prestare alcuna attenzione ai domini, se ψt :=
e−itH ψ, troviamo:
d −itH −itH d
ψ = i (Hψt |Aψt ) − i (ψt |AHψt ) .
hAiψt =
e
ψ Ae
dt
dt
In altre parole, vale la relazione di Ehrenfest nella forma generale:
d
hAiψt = hi[H, A]iψt .
dt
(12.37)
Per ottenere la (12.37) abbiamo tralasciato importanti dettagli matematici. In ogni caso, si
dimostra facilmente (lo si provi per esercizio) che condizioni sufficenti affinchè valga la relazione
508
trovata sono le seguenti: (i) A ∈ B(H), (ii) ψτ ∈ D(H) in un intorno di t – che equivale a
richiedere ψ ∈ D(H) dato che D(H) è invariante sotto l’azione dell’evolutore temporale – e (iii)
ψτ ∈ D(HA) in un intorno di t. Si deve osservare che non è affatto facile dare ipotesi sui soli H, A
e ψ, che abbiano qualche utilità nelle applicazioni fisiche, affinché tali richieste siano soddisfatte
intorno a qualche t. Si possono comunque indebolire le richieste (i),(ii) e (iii), assumendo, oltre
a A ∈ B(H), solo che ψ ∈ D(H), pur di intepretare il termine hi[H, A]iψt , che appare a secondo
membro di (12.37), nel senso delle forme quadratiche:
hi[H, A]iψt := i(Hψt |Aψt ) − i(Aψt |Hψt ) ,
da cui abbiamo una forma indebolita di teorema di Ehrenfest:
d
hAiψt = i(Hψt |Aψt ) − i(Aψt |Hψt ) .
dt
(12.38)
Anche in questa versione l’enunciato del teorema di Ehernfest rimane comunque ad un livello
troppo astratto dato che, in Meccanica Quantistica, praticamente ogni osservabile A di interesse
fisico non è rappresentata da un operatore limitato. In effetti l’importanza dell’enunciato di
Eherenfest appare evidente proprio quando lo si applica agli operatori, non limitati, posizione
ed impulso.
Consideriamo a tal fine un sistema fisico costituito da una particella di massa m, senza spin e sottoposta ad un potenziale V , in un sistema di riferimento inerziale. L’hamiltoniano sarà qualche
~2
estensione autoaggiunta dell’operatore differenziale H0 := − 2m
∆ + V . Assumendo di lavorare
con τ 7→ ψτ che , nell’intorno di t, appartiene a qualche dominio incluso in D(Xi H0 ) ∩ D(H0 Xi ),
su cui l’hamiltoniano H0 agisce come operatore differenziale, si trova che (ripristinando la
costante ~ ovunque):
"
#
3
∂2
~ ∂ψ
~ X
,
, xi ψ = −
[H0 , Xi ]ψ = −
2
2m j=1 ∂xj
m ∂xi
da cui, usando (12.37):
d
(12.39)
hXi iψt = hPi iψt .
dt
Nello stesso modo, assumendo di lavorare con τ 7→ ψτ che, nell’intorno di t, appartiene anche a
qualche dominio incluso in D(Pi H0 ) ∩ D(H0 Pi ), su cui l’hamiltoniano H0 agisce come operatore
differenziale, si trova che:
•
˜
∂
∂V
[H0 , Pi ]ψ = −i −V,
ψ,
ψ = −i
∂xi
∂xi
m
da cui, usando (12.37):
­
·
∂V
d
.
hPi iψt = −
dt
∂xi ψt
(12.40)
L’enunciato classico del teorema di Ehrenfest consiste proprio nella coppia di identità (12.39)
e (12.40), da cui si evince che i valori medi di posizione ed impulso hanno un comportamente
509
simile a quello classico. Più precisamente, se si assume che il gradiente del potenziale V vari
poco sull’estensione spaziale della funzione d’onda ψt (x), si può stimare il secondo membro di
(12.40) con
Z
­
·
Z
‹
∂V ∂V
∂V ∂V ψ
(x)
dx
=
=
,
≃
ψt (x)
ψ
(x)ψ
(x)dx
t
t
t
∂xi ψt
∂xi hXiψt
∂xi hXiψt
∂xi hXiψt
R3
R3
che, sostituito in (12.40) produce l’equazione classica:
d
∂V hPi iψt ≃ −
.
dt
∂xi hXiψt
(12.41)
In questo modo giungiamo ad una importante conclusione: assumendo la validità delle equazioni di Ehrenfest (12.39) e (12.40), quanto più i pacchetti d’onde sono concentrati attorno al loro
valore medio, assumendo una forza associata al potenziale che vari lentamente sull’estensione
del pacchetto, tanto più i valori medi di impulso e posizione si comportanto secondo la legge di
evoluzione della meccanica classica.
Purtroppo tutta questa discussione è piuttosto formale, dato che stabilire condizioni matematiche fisicamante sensate su H0 affinché tutti i passaggi fatti sopra che conducono alle (12.39) e
(12.40) siano pienamente giustificati è ancora un problema largamente aperto.
Osservazioni.
(1) Recentemente sono state date condizioni sull’hamiltoniano H e l’operatore A affinché (12.38)
sia soddisfatta per A non limitato e nemmeno autoaggiunto, includendo il caso in cui A sia
l’operatore posizione e l’operatore impulso. Riportiamo di seguito l’enunciato del teorema a cui
ci stiamo riferendo.
Teorema7 . Siano, sullo spazio di Hilbert H, H : D(H) → H e A : D(A) → H densamente
definiti tali che:
(H1) H è autoaggiunto e A è hermitiano (quindi è simmetrico);
(H2) D(A) ∩ D(H) è invariante sotto R ∋ t 7→ e−itH per ogni t ∈ R;
(H3) se ψ ∈ D(A) ∩ D(H) allora supI ||Ae−itH ψ|| < +∞, per ogni intervallo I ⊂ R limitato.
Allora, per ogni ψ ∈ D(A)∩D(H) e definito ψt := e−itH ψ, la funzione t 7→ hAiψt è differenziabile
con continuità e vale:
d
hAiψt = i(Hψt |Aψt ) − i(Aψt |Hψt ) .
dt
Come preannunciato, le ipotesi scritte sopra includono il caso in cui A sia l’operatore posizione
e l’operatore impulso su H = L2 (Rn , dx), anche se non è affatto ovvio provarlo (vedi il corollario
1.2 nell’articolo citato). Affinchè questo accada è sufficiente che H sia l’unica estensione autoaggiunta di H0 = −∆ + V definito su D(Rn ) in cui V è reale e (−∆)-limitato con limite relativo
a < 1, nel senso della definizione 9.8.
7
Teorema 1.1. in G. Friesecke, M. Koppen, On the Ehrenfest theorem of quantum mechanics J.Math.Phys 50,
082102-082102-6 (2009).
510
(2) Dal punto di vista fisico è impossibile costruire un apparato sperimentale in grado di valutare tutti i possibili valori di un’osservabile. Per esempio, nel caso dell’osservabile posizione, ciò richiederebbe di riempire tutto l’universo di detectors! Pertanto ci si aspetta che
ogni osservabile rappresentata dall’operatore autoaggiunto non limitato A sia – fisicamente
parlando – indistinguibile dall’osservabile rappresentata dall’operatore autoaggiunto AN :=
R
(A) (λ) ∈ B(H), con N > 0 molto grande, ma finito. Il teorema di Ehrenσ(A)∩[−N,N ] λdP
fest nella sua forma generale (12.37) si può applicare a tali classi di osservabili, assumendo le
condizioni (ii) e (iii) oppure molto più debolmente solo che ψ ∈ D(H) per avere (12.38). In
questa situazione però non si possono sfruttare tanto facilmente le relazioni di commutazione
~2
∆ + V che
formali degli operatori posizione ed impulso con un hamiltoniano della forma − 2m
porterebbero facilmente alle (12.39) e (12.40).
12.2.3
Costanti del moto associate a gruppi di Lie di simmetria ed il caso del
gruppo di Galileo.
Consideriamo un sistema fisico quantistico S, descritto sullo spazio di Hilbert HS , con hamiltoniano H. Supponiamo che esista gruppo di Lie G che ammetta una rappresentazione G ∋ g 7→ Ug
unitaria fortemente continua sullo spazio di Hilbert del sistema HS e che l’evolutore temporale
R ∋ t 7→ e−itH coincida con la rappresentazione di un sottogruppo ad un parametro di G. In
questo caso G è un gruppo si simmetria topologico per S, dato che la rappresentazione U indice
una rappresentazione proiettiva dello stesso gruppo, e il flusso dinamico è parte di tale rappresentazione. Il risultato importante che vogliamo dimostrare è che, in questo caso, ogni elemento
T ∈ Te G individua una simmetria dinamica ed una costante del moto (in generale dipendente
esplicitamente dal tempo). Infatti vale il seguente teorema.
Teorema 12.6. Sia S un sistema quantistico descritto sullo spazio di Hilbert HS , con hamiltoniano H. Sia G ∋ g 7→ Ug una rappresentazione unitaria fortemente continua su HS del gruppo
di Lie G di dimensione n e si supponga che l’evolutore temporale R ∋ t 7→ e−itH coincida con la
rappresentazione di un sottogruppo ad un parametro generato da qualche −h ∈ Te G:
e−itH = Uexp(th)
per ogni t ∈ R.
Valgono i fatti seguenti.
(a) Ad ogni elemento T ∈ Te G, è associata una costante del moto, in generale dipendente esplicitamente dal tempo {TÒt }t∈R ed una corrispondente simmetria dinamica.
(b) Se [h, T ] = 0 allora la costante del moto {TÒt }t∈R è in realtà indipendente esplicitamente dal
tempo.
Prova. (a) Consideriamo la funzione:
R ∋ a 7→ exp(th) exp(aT ) exp(−th) .
511
Essa è sicuramente un sottogruppo ad un parametro per ogni valore di t ∈ R, pertanto si
potrà scrivere, se T1 , . . . Tn è una base di T ∈ Te G e per opportune funzioni reali cj = cj (t):
exp(th) exp(aT ) exp(−th) = exp(a
n
X
cj (t)T ) .
j=1
Applicando la rappresentazione U , e passando alla rappresentazione dell’algebra di Lie del gruppo G associata alla rappresentazione unitaria del gruppo stesso, Te G ∋ T 7→ AU [T ] := AU (T )↾DG
dove lo spazio di Gårding DG è invariante ed anche un core per gli operatori autoaggiunti AU (T )
(vedi capitolo 11, in particolare il teorema 11.10), segue che:
Pn
e−itH e−iaAU [T ] eitH = e−ia
j=1 cj (t)AU [Tj ]
.
(12.42)
Se ora definiamo la classe di operatori autoaggiunti parametrizzati nel tempo,
TÒt :=
n
X
cj (t)AU [Tj ] ,
j=1
l’identità (12.42) mostra che: TÒt è una costante del moto che dipende esplicitamente dal tempo.
Infatti (12.42) implica:
eitH TÒt e−itH = AU [T ] = TÒ0
per ogni t ∈ R .
La stessa (12.42) mostra anche che: per ogni a ∈ R, la classe di simmetrie σa := e−iaTbt · e−iaTbt
una simmetria dinamica dipendente dal tempo. Infatti (12.42) implica:
(t)
b
b
e−iaTt e−itH = e−itH e−iaT0
per ogni t ∈ R,
e quindi il teorema 12.1 prova quanto asserito.
(b) Assumendo che [T, h] = 0, facendo uso della formula di Baker-Campbell-Hausdorff (11.73),
si trova subito che deve valere:
exp(τ h) exp(aT ) = exp(aT ) exp(τ h)
(12.43)
purchè |a|, |τ | < ǫ con ǫ > 0 sufficientemente piccolo da poter applicare la formula di BakerCampbell-Hausdorff. In realtà queste formule valgono per qualunque valore di a, τ ∈ R. Per
provarlo è sufficiente notare che, qualunque sia il valore di a e τ , possiamo sempre decomporre
P
PN
a = N
r=1 ar e τ =
r=1 τr in modo tale che |ar |, |τr | < ǫ per ogni valore di r. Quindi, per
esempio:
exp(τ h) exp(aT ) = exp(τN h) · · · exp(τ2 h) exp(τ1 h) exp(a1 T ) exp(a2 T ) · · · exp(aN T )
= exp(τN h) · · · exp(τ2 h) exp(a1 T ) exp(τ1 h) exp(a2 T ) · · · exp(aN T )
512
···
= exp(a1 T ) exp(τN h) · · · exp(τ2 h) exp(a2 T ) · · · exp(aN T ) exp(τ1 h)
···
= exp(a1 T ) exp(a2 T ) · · · exp(aN T ) exp(τN h) · · · exp(τ2 h) exp(τ1 ) = exp(aT ) exp(τ h) .
Di conseguenza, applicando la rappresentazione U , si ricava che:
e−itH e−iaAU [T ] eitH = e−iaAU [T ] ,
da cui la tesi. 2
Per esemplificare il risultato generale trovato, torniamo a considerare il gruppo di Galileo e le sue
rappresentazioni unitarie proiettive considerate alla fine del precedente capitolo. Mostreremo
che ci sono 10 costanti del moto per un sistema che ammette il gruppo di Galileo proprio
SG come gruppo di simmetria topologico (descritto da una rappresentazione unitaria di una
g ). In particolare consideriamo il caso
estensione centrale del suo rivestimento universale SG
della particella a spin zero di massa m e riferiamoci alla rappresentazione unitaria del gruppo
d
g che abbiamo visto nel capitolo 11. L’algebra di Lie
di Lie dato dall’estensione centrale SG
m
g la quale ammette i 10 generatori
di questo gruppo si ottiene estendendo quella del gruppo SG
−h , pi , ji , ki i=1,2,3, tali che:
(i) −h genera il sottogruppo ad un parametro R ∋ c 7→ (c, 0, 0, I) delle traslazioni temporali,
(ii) i tre pi generano il sottogruppo abeliano R3 ∋ c 7→ (0, c, 0, I) delle traslazioni spaziali,
(iii) i tre ji generano il sottogruppo SO(3) ∋ R 7→ (0, 0, 0, R) delle rotazioni spaziali,
(iv) i tre ki generano il sottogruppo abeliano R3 ∋ v 7→ (0, 0, v, I) delle trasformazioni pure
di Galileo.
Questi generatori verificano le relazioni di commutazione (11.108). Il passaggio dall’algebra
d
g a quella di SG
g si ottiene aggiungendo un generatore che commuta con quelli
di Lie di SG
m
già visti ed aggiungendo cariche centrali per le relazioni di commutazione tra i generatori ki e
pj di valore pari alla massa m (vedi (11.117) e la discussione seguente). La rappresentazione
d
g :
unitaria fortemente continua di cui noi ci occupiamo qui è quella di SG
m
d
]
g ∋ (χ, g) 7→ χZ
(m) ,
SG
m
g
]
(m)
indotta dagli operatori unitari Z
(c,c,v,U ) (11.109):

‹
€
Š
c
2
]
e
(m)
Z (c,c,v,U )ψ (k) := ei(cv−c)·(k−mv) ei 2m (k−mv) ψe R(U )−1 (k − mv) .
d
g include il sottogruppo ad un parametro generato da h, che
Si osservi che il gruppo di Lie SG
m
corrisponde all’evolutore temporale quando rappresentato nello spazio di Hilbert del sistema HS .
Le relazioni di commutazione che ci interessano qui tra quelle listate in (11.108) che individuano
513
g e che rimangono immutate passando all’algebra di Lie dell’estensione centrale
l’algebra di Lie SG
d
g , sono solo le seguenti tre, che coinvolgono direttamente il generatore h:
SG
m
[pi , h] = 0 ,
[ji , h] = 0 ,
[ki , h] = −pi
per i = 1, 2, 3.
(12.44)
Dalle prime due identità , specializzando la dimostrazione del teorema teorema 12.6 alla rappred
g m ∋ (χ, g) 7→ χZg(m) si trova:
sentazione unitaria SG
e−iτ H e−iaPi = e−iaPi e−iτ H
(12.45)
e−iτ H e−iaLi = e−iaLi e−iτ H .
(12.46)
e
Queste due identità , applicando il teorema 12.1 e la definizione 12.2, in conformità con il teorema
12.6, dicono che:
(a) le tre componenti dell’impulso e le tre componenti del momento angolare orbitale sono
costanti (indipendenti dal tempo) del moto,
(b) le simmetrie generate da tali costanti del moto cioè , rispettivamente, le traslazioni lungo
i tre assi (vedi esempi 11.4 per l’azione esplicita sulle funzioni d’onda) e rotazioni attorno ai
tre assi (vedi la (11.99) per l’azione esplicita sulle funzioni d’onda), sono simmetrie dinamiche
(indipendenti dal tempo).
Passiamo all’analisi della terza identità in (12.44). L’uso diretto della formula di Baker-CampbellHausdorff non è tecnicamente ovvio, anche se si potrebbe applicare, nel caso generale, con qualche sforzo. Per stabilire a cosa corrisponda la terza identità in (12.44) per i sottogruppi ad un
parametro associati ai generatori considerati, studiamo direttamente la questione nel gruppo di
Galileo. Il sottogruppo ad un parametro generato da −h è la traslazione temporale:
exp(τ h) = (−τ, 0, 0, I)
τ ∈R.
Il sottogruppo ad un parametro generato da kj è una trasformazione pura di Galileo lungo l’asse
j-esimo, di versore ej :
exp(akj ) = (0, 0, aej , I) a ∈ R : .
Ne consegue subito, usando la legge di composizione del gruppo di Galileo (11.101), che:
exp(τ h) exp(akj ) exp(−τ h) = exp(a(τ pj + kj )) .
Applicando la rappresentazione unitaria, queste relazioni diventano:
e−iτ H e−aKj eiτ H = e−ia(τ Pj ↾DG +Kj ↾DG ) .
Ne consegue che, se definiamo gli operatori autoaggiunti
Kjt := tPj ↾DG +Kj ↾DG
514
per j = 1, 2, 3
ognuna di queste osservabili è una costante del moto dipendente esplicitamente dal tempo ed
inoltre ciascuna di esse definisce una simmetria dinamica per ogni a ∈ R essendo:
e−iaKjt e−itH = e−itH e−iaKj0
Il significato fisico della simmetria dinamica e−iaKjt è quello di una trasformazione di Galileo
pura nella direzione ej eseguita al tempo t.
Osservazioni.
(1) Può essere interessante chiedersi il significato della legge di conservazione di Kit , che non
è affatto ovvia. Ricordiamo che il boost è definito come (vedi la (11.116)) Kj = −mXj . Scegliendo ψ ∈ DG e facendolo evolvere con l’evolutore temporale: ψt := e−itH ψ, la legge di
conservazione di Kjt implica:
t(ψt |Pj ψt ) − m(ψt |Xj ψt ) = cost.
In altre parole:
d
(12.47)
hXj iψt .
dt
Dunque abbiamo ritrovato che l’impulso medio della particella è , in un certo senso, dato dal
prodotto della massa per la velocità della particella. Dove la velocità è in realtà quella della posizione media della particella. Si tratta di un risultato a priori non ovvio, dato che in meccanica
quantistica l’impulso non è il prodotto della massa per la velocità .
(2) Nel caso in cui si lavori con sistemi a più particelle che ammettono il gruppo di Galileo come gruppo di simmetria topologico descritto da una rappresentazione unitaria di un’estensione
centrale associata alla massa totale M del sistema (vedi discussione nel capitolo 11), l’identità (12.47) è ancora valida e si prova nello stesso modo. In tal caso però , Pj rappresenta la
componente lungo ej dell’impulso totale del sistema e Xj la componente lungo ej delvettore
posizione del centro di massa del sistema. Infine un’analoga relazione vale per sistemi fisici che
siano invarianti sotto il gruppo di Poincaré ed è conseguenza dell’invarianza sotto trasformazioni
pure di Lorentz. In tal caso però il termine corrispondente alla massa totale del sistema tiene conto dei contributi energetici dei singoli componenti (per esempio le energie cinetiche dei punti che
costituiscono il sistema, se é costituito da punti isolati), in conformità con l’equazione M = E/c2 .
hPj iψt = m
Abbiamo esibito 9 costanti del moto, ma le costanti del moto sono 10 come detto sopra.
Il lettore attento si sarà accorto che esiste ancora una simmetria dinamica e corrispondente legge
di conservazione. Si tratta dell’energia! Infatti sussiste anche la banale relazione di commutazione: [h, h] = 0 a livello di algebra di Lie, che corrisponde a [H, H] = 0 a livello di generatori
′
autoaggiunti, ovvero [e−iτ H , e−iτ H ] = 0 a livello di esponenziali. Quest’ultima identità , in
conformità con la tesi del teorema 12.6, dice che, applicando il teorema 12.1 e la definizione
12.2:
(a) l’hamiltoniano è una costante del moto,
515
(b) la simmetrie generata da −H cioè la traslazione temporale, è una simmetria dinamica.
Ovviamente questo risultato è del tutto generale e non dipende dal fatto che il sistema che abbiamo considerato avesse il gruppo di Galileo come gruppo di simmetria topologico, è sufficiente
che esista l’hamiltoniano del sistema.
12.3
Sistemi composti: sistemi con struttura interna e sistemi
a più particelle.
Abbiamo già incontrato nel capitolo 11 sistemi composti da sottosistemi ed abbiamo visto che
lo spazio di Hilbert del sistema complessivo è individuato da un prodotto tensoriale di spazi
di Hilbert relativi ai sottosistemi. Questo è in realtà un assioma generale della teoria. Possiamo qui enunciare il settimo assioma della MQ concernente i sistemi quantistici composti (Per
il contenuto matematico ci riferiamo alle definizioni teoriche ed ai risultati dati nella sezione 9.4.)
A7. Quando un sistema quantistico è composto da un numero N finito di sottosistemi, descritti
ciascuno di essi nello spazio di Hilbert Hi , con i = 1, 2, . . . , N , il sistema complessivo viene
N
descritto nello spazio di Hilbert ni=1 Hi .
Ogni osservabile per il sottosistema i-esimo (incluse le osservabili elementari definite da proiettori ortogonali)
Ai : D(Ai ) → Hi
si identifica con l’osservabile
I ⊗ · · · ⊗ I ⊗ Ai ⊗ I ⊗ · · · ⊗ I
del sistema complessivo.
Ci sono due tipi di sistemi composti che abbiamo già incontrato: i sistemi composti costituiti
da particelle elementari con struttura interna e i sistemi a più particelle elementari (con o senza
struttura interna). Nel primo caso lo spazio di Hilbert ha la struttura L2 (R3 , dx)⊗ H0 , dove H0 è
uno spazio di Hilbert finito dimensionale che descrive gradi di libertà interni alla particella: spin
e cariche di vario genere (vedi capitolo 10). L’elementarità della particella con struttura interna
si riferisce al fatto che lo spazio interno è finito dimensionale. In letteratura fisica, riferendosi
a tali sistemi di particelle elementari con spazio H0 , L2 (R3 , dx) viene detto spazio orbitale o
spazio dei gradi di libertà orbitali e H0 viene detto spazio interno o spazio dei gradi
di libertà interni.
Ricordiamo che, nel caso in cui lo spazio dei gradi di libertà interni descriva la (un tipo di) carica
della particella, è necessario tenere conto di eventuali regole di superselezione.
Vogliamo infine fare qualche commento sull’operatore hamiltoniano di sistemi a più particelle,
nel caso in cui lo spazio di Hilbert di ciascuna particella sia semplicemente L2 (R3 , dx), una
516
volta fissato un sistema di riferimento inerziale ed identificando R3 con lo spazio di quiete del
riferimento tramite coordinate cartesiane ortonormali. In questo lo spazio di Hilbert di un
sistema di N particelle, con masse m1 , . . ., mN sarà descritto da un prodotto tensoriale di N
copie di tale spazio di Hilbert. Sappiamo, da (1) in esempi 9.2, che questo prodotto tensoriale
è isomorfo naturalmente a L2 (R3N , dx). Indichiamo con (x1 , . . . , xN ) l’elemento generico di R3N ,
dove, quindi xk = ((xk )1 , (xk )2 , (xk )3 ) individua una terna di coordinate cartesiane ortonormali
nel k-esimo fattore di R3N = R3 × · · · × R3 . L’isomorfismo tra spazi di Hilbert sopra menzionato
è tale che (il lettore lo dimostri) gli operatori posizione ed impulso della k-esima particella sono:
gli operatori moltiplicativi della corrispondente terna di coordinate xk = ((xk )1 , (xk )2 , (xk )3 ) e
l’unica estensione autoaggiunta, per esempio presa su D(R3N ), delle derivate (moltiplicate per
−i~) rispetto alle stesse coordinate. Gli operatori hamiltoniani di ciascuna particella, pensata
come libera, coincidono con l’unica estensione autoaggiunta, per esempio presa su D(R3N ), del
P
2
corrispondente operatore di Laplace −∆k = 3i=1 ∂(x∂ )2 moltiplicato per −~2 /(2mk ). Basandosi
k i
sulle idee presentate nella sezione 10.3, nel caso in cui le particelle scambiano interazioni, descritte
classicamente da un potenziale V = V (x1 , . . . , xN ), ci si aspetta che l’hamiltoniano sia qualche
estensione autoaggiunta dell’operatore:
H0 :=
N
X
k=1
−
~2
∆k + V (x1 , . . . , xN ) .
2mk
Per esempio, nel caso di particelle con cariche ek che interagiscono tra di esse con forze coulombiane ed interagiscono anche con cariche esterne Qk , ci si aspetta che l’hamiltoniano sia
un’estensione autoaggiunta dell’operatore:
H0 :=
N
X
k=1
−
N
N
X
~2
Qk ek X
ei ej
∆k +
+
.
2mk
|x
|
|x
−
x
|
i
j
k
i<j
k=1
Come chiarito nella sezione 9.6 e negli esempi 9.3, in conseguenza di importanti risultati dovuti principalmente a Kato, sotto naturali ipotesi su V , non solo l’operatore H0 risulta essere
essenzialmente autoaggiunto su domini standard come D(R3N ) o S(R3N ), ma l’unica estensione autoaggiunta ammessa risulta essere limitata dal basso, rendendo energeticamente stabile il
sistema. In particolare questo accade per l’operatore con interazione coulombiana presentato
sopra (vedi esempi 9.3).
Se le N particelle del sistema possiedono una struttura interna, descritta da un corrispondente
spazio di Hilbert interno H0k , lo spazio di Hilbert del sistema complessivo sarà comunque isomorfo a L2 (R3N ) ⊗N
k=1 H0k e la descrizione dei possibili operatori hamiltoniani sarà in generale
più complicata. Rimandiamo alla letteratura specifica per esempi di questo genere [CCP82,
Pru81, ReSi80].
12.3.1
Stati entangled ed il cosiddetto “paradosso EPR”.
Un apparato di misura non è necessariamente localizzato in un punto dello spazio. Anzi, se
vogliamo misurare grandezze definite nello spazio, prima fra tutte la posizione di una particella
517
quantistica, dobbiamo riempire lo spazio di strumenti di misura: rivelatori di particelle nel caso
della posizione. Il processo di riduzione dello stato descritto dall’assioma A3 è “istantaneo”.
Questo significa che una volta che uno degli strumenti ha rivelato la particella in un punto p
e in un istante t, a partire dall’istante successivo, non c’è più alcuna possibilità che un altro
strumento di misura, arbitrariamente lontano da quello che ha rivelato la particella, possa rivelare ancora la particella. La riduzione dello stato sembra quindi essere un processo non locale:
implica la trasmissione “istantanea” di informazioni tra luoghi lontani nello spazio. Ciò sembrerebbe violare la teoria della relatività. In realtà la questione è molto più complessa e quanto
appena detto e non implica automaticamente violazioni di assunti fondamentali della teoria della
relatività. Tuttavia, come compresero Einstein, Podolski e Rosen [Des80, Bon97, Ghi97, Alb00],
considerando sistemi fisici composti da due particelle, la questione può essere messa in termini
fisicamente operativi per cui tale violazione sembra effettivamente comparire.
L’assioma A7 descrive i possibili stati di un sistema quantistico composto. Consideriamo il caso
di un sistema S composto da due sottosistemi A e B. Lo spazio di Hilbert di S sarà dato da
HS = HA ⊗ HB con ovvie notazioni. I vettori di HA ⊗ HB non sono solo del tipo fattorizzato
ψA ⊗ ψB in cui compare un unico prodotto tensoriale elementare, ma ci sono vettori dati da
combinazioni lineari di vettori fattorizzati, per esempio:
Ψ=
′ ⊗ ψ′
ψA ⊗ ψB − ψA
B
√
.
2
(12.48)
Gli stati (puri) corrispondenti a vettori di norma unitaria che non sono un unico prodotto tensoriale elementare, ma sono combinazioni lineari di tali vettori elementari, sono detti stati (puri)
entangled.
Consideriamo lo stato entangled associato al vettore Ψ scritto in (12.48) e facciamo l’ipotesi
′ siano autostati normalizzati a 1 di qualche osservabile G a spettro discreto sul
che ψA e ψA
A
sistema A corrispondenti, rispettivamente, a due autovalori distinti: a e a′ . Facciamo un’analoga
′ : assumiamo che siano autostati normalizzati a
ipotesi per quanto riguarda i vettori ψB e ψB
1 di qualche osservabile GB a spettro discreto sul sistema B, corrispondenti a due autovalori
distinti: b e b′ rispettivamente.
Le osservabili a spettro discreto GA e GB sono, per esempio, relative a gradi di libertà interni
rispettivamente del sistema A e B. Tipicamente possono essere componenti dello spin o della
polarizzazione di ciascuna particella. In tal caso gli spazi HA e HB sono a loro volta fattorizzati
in spazio orbitale e spazio interno.
Fino a quando non misuriamo GA , la la grandezza GA non è definita sul sistema, se questo è
nello stato individuato dal vettore Ψ, ma sono possibili due valori a e a′ con probabilità 1/2 per
ciascuno di essi. La stessa situazione sussiste per l’osservabile GB .
Nel momento della misura di GA , con esito (imprevedibile per principio a priori) diciamo a, lo stato del sistema cambierà, in conformità con l’assioma A3, diventando lo stato puro rappresentato
dal vettore unitario:
ψA ⊗ ψB .
Il punto cruciale è che, se lo stato iniziale è lo stato entangled descritto da Ψ, la misura di GA
determina anche l’esito della misura di GB : nello stato puro associato a ψA ⊗ ψB il valore di
518
GB è definito ed vale, con le nostre convenzioni, b. Una sua misura può unicamente produrre il
risultato b.
Consideriamo ora, secondo la celebre analisi di Einstein Podolsky e Rosen, sistemi composti da
due particelle A e B, preparate nello stato puro entangled individuato dal vettore Ψ definito
in (12.48), che si allontanano reciprocamente a grande velocità. In linea di principio possiamo
eseguire le misure di GA e GB sulle rispettive particelle in luoghi distanti e in intervalli di tempo
tanto brevi che nessun segnale fisico, che viaggi con velocità non superiore a quella della luce,
possa trasmettersi dal luogo di uno dei due esperimenti all’altro in tempo utile.
Se l’assioma A3 è comunque valido, si dovrà comunque riscontrare una correlazione tra gli esiti
dell misure: tutte le volte che la misura di GA ha esito a (rispettivamente a′ ), la misura di GB
avrà esito b (rispettivamente b′ ).
Come può il sistema A comunicare al sistema B l’esito della misura di GA in tempo utile per
produrre le correlazioni dette, senza violare gli assunti di base della teoria della relatività?
Queste situazioni sono comuni anche per sistemi classici ed in tal caso la spiegazione è molto
semplice: non c’è alcuna comunicazione superluminare tra i due sistemi, le correlazioni esistono
in quanto sono dovute ad uno stato di cose già esistente prima delle misurazioni. Per esempio,
supponiamo che le grandezza osservate GA e GB siano qualche tipo di “carica” delle due particelle e supponiamo di sapere che il sistema complessivo S abbia carica 0 nello stato in cui è stato
preparato, mentre le due particelle possano avere ciascuna carica ±1 corrispondenti ai numeri
a, a′ e b′ , b visti sopra. In questa situazione, se ragioniamo con particelle classiche, dobbiamo
concludere che una particella deve avere carica 1 e l’altra carica −1. Se i valori delle cariche sono
preesistenti, prima ed indipendentemente dal fatto che si esegua un esperimento per osservare
la carica, possiamo essere certi che, se una particella risulta avere carica 1 quando la sua carica
è misurata, l’altra dovrà avere carica −1 quando la si osserverà, indipendentemente dal luogo e
dal tempo in cui si misurano le cariche. Perché tali valori devono essere stati fissati prima delle
misure.
Tuttavia la situazione descritta dalla MQ è differente: anche se lo stato associato a Ψ ha carica
totale G = GA + GB definita pari a 0, le cariche dei due sottosistemi non sono definite nello
stato associato ad Ψ e vengono fissate al momento della misura (di una delle due). Dunque le
correlazioni previste dalla MQ non possono essere imputate ad uno stato di cose preesistente al
processo di misura, se si accetta l’interpretazione standard della MQ.
L’idea di Einstein, Podolsky e Rosen era che, se tali correlazioni si dovessero effettivamente
osservare (come richiesto dalla stessa Meccanica Quantistica), l’impossibilità di violare l’ipotesi
di località relativistica implicherebbe che la ragione delle correlazioni sia dovuta ad uno stato di
cose preesistente alle operazioni di misura sulle due particelle. Essendo tale stato di cose indescrivibile all’interno della formulazione standard della Meccanica Quantistica, ciò dimostrerebbe
che la formulazione standard della Meccanica Quantistica è per sua natura incompleta. (Inoltre
le probabilità usate in meccanica quantistica si ridurrebbero a mere probabilità epistemiche).
J. Bell, in un geniale articolo del 1963 [Bon97, Ghi97], dimostrò che, con un misurazioni di
almeno tre tipi di“cariche” (nella realtà si misurano le tre componenti dello spin di particelle
massive o stati di polarizzazione di fotoni) che danno luogo alle correlazioni suddette, è possibile
distinguere sperimentalmente tra le due situazioni in cui i valori delle due cariche:
519
(i) sono fissate prima delle misure,
oppure
(ii) vengono fissate al momento delle misure.
Bell dimostrò che, in presenza delle correlazioni previste dalla Meccanica Quantistica, la situazione (i) vale solo se sono verificate una serie di disuguaglianze tra gli esiti delle misure: le
famose disuguaglianze di Bell.
È importante precisare che le disuguaglianze di Bell valgono indipendentemente dal fatto che
si assuma come vera o falsa la formulazione standard della Meccanica Quantistica e quindi
indipendentemente dalla natura delle correlazioni che, se osservate, potrebbero, in linea di principio, essere spiegate senza l’uso della Meccanica Quantistica. Rimane il fatto che la Meccanica
Quantistica prevede la presenza di tali correlazioni. La Meccanica Classica invece, almeno in
riferimento alla nozione usuale di particella, non le prevede.
A partire dal 1972 sono stati fatti diversi esperimenti (in particolare l’esperimento decisivo è
stato fatto nel 1982 da A. Aspect, J. Dalibard e G. Roger [Bon97, Ghi97]) per testare l’esistenza
delle correlazioni suddette insieme alla validità o alla violazione delle disuguaglianze di Bell.
Gli esperimenti hanno dimostrato, nell’ambito degli errori sperimentali, che (a) le correlazioni
suddette esistono, (b) le disuguaglianze di Bell sono violate.
Quindi, a meno di non voler negare la validità degli esperimenti suddetti, indipendentemente
dall’accettare o meno la formulazione standard della Meccanica Quantistica, si deve concludere
che le correlazioni previste dalla Meccanica Quantistica esistono e gli esiti delle misure sono
fissati al momento delle misurazioni.
Rimane ancora la domanda posta sopra: come può il sistema A comunicare al sistema B l’esito
della misura di GA in tempo utile per produrre le correlazioni dette senza violare gli assunti di
base della teoria della relatività?
La risposta è abbastanza complessa. Chiariamo prima di tutto che la domanda è malposta,
perché presuppone che l’esito della misura di GA sia la causa dell’esito della misura di GB .
Tuttavia bisogna notare che le regioni spaziotemporali in cui avvengono (o possono avvenire) le
due distinte misurazioni sono, con linguaggio relativistico, causalmente separate: non possono
essere connesse da curve di tipo tempo o luce orientate verso il futuro. Come ben noto dalla teoria della relatività, in tale situazione, esiste un sistema di riferimento inerziale in cui la
misura di A avviene prima della misura di B, mentre ne esiste un altro in cui la situazione si
inverte: la misura di B precede temporalmente quella di A. In questo modo non ha alcun senso
dire che l’esito dell’esperimento su A sia la causa dell’esito dell’esperimento su B, ma neppure
che l’esito dell’esperimento su B sia la causa dell’esito dell’esperimento su A. Le correlazioni
tra eventi causalmente separati sono generalmente pericolose nelle teorie relativistiche perché
possono essere fonte di paradossi temporali: con una catena di eventi a due a due causalmente
separati si può congiungere una coppia di eventi causalmente connessi (uno nel cono di luce
futuro dell’altro). Se queste correlazioni tra eventi causalmente separati possono essere usate
per trasmettere informazione nei due sensi, si potrebbe in definitiva comunicare con il passato
520
(all’interno del cono di luce!), costruendo alla fine paradossi temporali 8 .
12.3.2
Impossibilità di trasmettere informazione tramite le correlazioni EPR.
È possibile provare (vedi [Bon97] e le referenze citate in esso per un’analisi dettagliata) che, se
si accetta la formulazione standard della Meccanica Quantistica per sistemi composti in stati
entangled come (12.48) (ma anche stati misti entangled del tutto generali), non è possibile trasmettere alcun tipo di informazione dal luogo (più precisamente l’evento) X in cui avviene una
misura di una parte del sistema al luogo (l’evento) Y in cui avviene una misura sull’altra parte
del sistema, misurando coppie di grandezze qualsiasi e sfruttando le correlazioni quantistiche tra
gli esiti delle misure. Non solo, ma osservando gli esiti delle misure su una parte di sistema, non
è possibile nemmeno stabilire se sull’altra parte sono state fatte o si stanno facendo misure.
Consideriamo due possibilità per trasmettere informazione da X a Y tramite le correlazioni
EPR.
(a) In primo luogo consideriamo le singole coppie di misure su A e B delle osservabili GA e GB
rispettivamente, che sappiamo avere esiti correlati. Non è possibile trasmettere informazione da
X a Y sfruttando tale correlazione, perché l’esito delle misure, anche se correlato è del tutto
casuale. È come avere due monete A e B che presentano la notevole proprietà che ogni qualvolta una di esse fornisce l’esito “testa” oppure “croce” sotto un lancio, l’altra fornisca l’esito
opposto, cioè “croce” o rispettivamente “testa”, indipendentemente dal fatto che le due monete
siano lontanissime una dall’altra e che i lanci durino tempi brevi e che, rispetto ad un fissato
riferimento, avvenga prima il lancio di A e dopo quello di B, oppure accada il viceversa rispetto ad un altro riferimento. Le monete però sono di natura quantistica per cui è fisicamente
impossibile costringere una di esse a fornire un esito voluto dal lanciatore: l’esito dei lanci è
solo probabilisticamente determinato in completa indipendenza dalla volontà del lanciatore. In
questo modo le due monete, ovvero il nostro sistema quantistico composto dalle due parti A e
B non può essere usato come telegrafo Morse per trasmettere informazione tra X e Y .
(b) Come seconda possibilità possiamo considerare non le singole misure di GA e GB , ma un
gran numero di esse e valutare le proprietà statistiche delle distribuzioni degli esisti. Potrebbe
accadere che la statistica degli esiti delle misure di GA , sia differente a seconda che sia anche
misurato GB oppure non lo sia, oppure sia invece misurata una nuova grandezza G′B . In questo
modo, misurando oppure non misurando GB (e misurando G′B o non misurando nulla) in Y ,
possiamo inviare un segnale elementare in X, di tipo “si” oppure “no”, che ricaviamo controllando sperimentalmente la statistica degli esiti delle misure di A. Mostriamo che, anche con
questa procedura, non è possibile trasmettere alcuna informazione, visto che la statistica degli
esisti delle misure di GA è esattamente la stessa nel caso in cui si misuri anche GB (o qualsiasi
8
Si potrebbe cercare di risolvere il problema dichiarando che esiste un sistema di riferimento privilegiato, nella
classe tutti i sistemi inerziali della relatività speciale, nel quale l’ordine temporale coincide con l’ordine causaeffetto per la propagazione e gli effetti di segnali superluminari (tachioni) usati per descrivere il processo di
collasso a distanza di stati quantistici entangled. Tuttavia questa soluzione appare, almeno all’autore di questo
libro, in diretto contrasto con il postulato relativistico e non può pertanto essere accettato, se non in presenza di
forti evidenze sperimentali, che d’altra parte minerebbero alla base la teoria della relatività .
521
altra G′B ) oppure nel caso in cui non si misuri GB . Consideriamo lo stato ρ ∈ S(HA ⊗ HB ) del
sistema composto di A e B. Supponiamo che GA = G(A) ⊗ IB , dove G(A) è un operatore au(A) (A)
(A)
toaggiunto in HA , abbia spettro discreto e finito {g1 , g2 , . . . , gn } associato ai corrispondenti
(A)
(G )
autospazi Hg(A) ⊂ HA ⊗ HB immagine dei proiettori ortogonali Pk A := PkG ⊗ IB . Similmente
k
GB = IA ⊗ G(B) , dove G(B) è un operatore autoaggiunto in HB , abbia spettro discreto e finito
(B) (B)
(B)
{g1 , g2 , . . . , gm } associato ai corrispondenti autospazi Hg(B) ⊂ HA ⊗ HB immagine dei prok
(G )
Pk B
(B)
PkG .
:= IA ⊗
Se misuriamo GB sullo stato ρ ottenendo l’esito della
iettori ortogonali
(B)
misura gk , lo stato successivo alla misura è , come sappiamo:
tr
1
(G )
(G )
Pk B ρPk B
Pk(GB ) ρPk(GB ) .
Tenendo conto di tutti i possibili esiti della misura di B, nel caso in cui misuriamo B e poi A,
il sistema sottoposto alla misura di A sarà la miscela
ρ′ =
m
X
k=1
(GB )
dove pk = tr(Pk
(GB )
ρPk
tr
pk
(G )
Pk B
Pk(GB ) ρPk(GB )
(B)
) è la probabilità di esito gk
ρ′ =
m
X
(GB )
Pk
per la misura di B. In definitiva:
(GB )
ρPk
.
k=1
(A)
per la misura di A quando è stata misurata B è allora:
Lo probabilità di avere l’esito gh
(A)
P(gh |B)
= tr(ρ
′
(G )
Ph A )
m
X
= tr
(G ) (G )
(G )
Pk B ρPk B Ph A
k=1
!
Dalle proprietà di linearità e di ciclicità della traccia abbiamo che:
(A)
P(gh |B) =
m
X
(GB )
tr(Pk
(GB )
ρPk
(GA )
Ph
)=
m
X
(GB )
tr(ρPk
(GA )
Ph
(GB )
Pk
)
k=1
k=1
=
m
X
(GB )
tr(ρPk
(GB )
Pk
(GA )
Ph
).
k=1
(G )
(G )
(G )
(G )
Nell’ultimo passaggio abbiamo tenuto conto del fatto che Pk B Ph A = Ph A Pk B a causa
P
(G )
(G )
(G ) (G )
della loro struttura di tali proiettori. D’altra parte Pk B Pk B = Pk B e k Pk B = I per il
teorema spettrale. In definitiva:
(A)
P(gh |B)
=
m
X
k=1
tr
(G ) (G )
ρPk B Ph A
= tr ρ
m
X
k=1
522
(G ) (G )
Pk B Ph A
!
(GA )
= tr ρPh
(A)
= P(gh ) .
(A)
Il risultato finale è che: la probabilità di ottenere gh misurando A quando è stato misurata anche
la grandezza B (ottenendo qualsiasi risultato possibile), coincide con la probabilità di ottenere
(A)
gh misurando A senza che sia stato misurato B.
Dunque, anche considerando la statistica degli esiti delle misure di A, non vi è alcun modo di
trasmettere informazione tramite le correlazioni EPR: eseguendo misure sulla parte B del sistema, la presenza o l’assenza di tali correlazioni è del tutto irrilevante osservando solo la parte A
di sistema.
Osservazioni. In questo modo la Meccanica Quantistica e la Relatività sembrano coesistere
pacificamente. In realtà la discussione di sopra prescinde completamente dal fatto che lo spaziotempo sia quello classico oppure quello relativistico. La lezione che si impara è , essenzialmente,
che i processi riguardanti i sistemi quantistici composti non sono descrivibili nello spaziotempo.
Solo gli esisti delle misure, interpretati come stati di sistemi macroscopici (deterctors, contatori,
ecc...) sono descrivibili nello spaziotempo in termini di eventi. Lo spaziotempo è una struttura a posteriori sulla quale si registrano fenomeni macroscopici, in taluni casi legati a fenomeni
microscopici. Deve essere chiaro che questo punto di vista può solo essere un punto di partenza
e non un punto finale, almeno fino a quando non si chiarirà cosa sia un sistema macroscopico e
cosa sia un sistema microscopico e quali siano le ragioni della transizione da un regime all’altro.
Il chiarimento, a parere dell’autore dovrà essere, prima di tutto, di carattere sperimentale.
12.3.3
Sistemi di particelle identiche.
Le particelle elementari della meccanica quantistica sono particelle identiche. L’indistiguibilità
di esse viene formalizzata nella formulazione della Meccanica Quantistica in modo molto preciso
e tenendo conto dell’assioma A7 come ora illustriamo.
Per fare ciò consideriamo il gruppo delle permutazioni di n oggetti Pn . Ricordiamo che tale
gruppo è semplicemente l’insieme delle funzioni biettive da {1, 2, . . . , n} in {1, 2, . . . , n}, che in
questo contesto sono dette permutazioni (di n oggetti), con l’operazione di composizione
gruppale data dall’ordinaria composizione di funzioni. σ ∈ Pn è detta permutazione di due
oggetti se è l’identità oppure se la restrizione di σ ad un sottoinsieme di {1, 2, . . . , n} contenente
n − 2 elementi coincide con la funzione identità su tale insieme. Ricordiamo anche che ad ogni
σ ∈ Pn viene associato un numero in {−1, +1}, detto la parità (−1)σ , come segue: se σ è
composizione di un numero pari di permutazioni di due oggetti (−1)σ := 1, se σ è composizione
di un numero dispari di permutazioni di due oggetti (−1)σ := −1. Malgrado il numero di permutazioni di due oggetti in cui si decompone una permutazione non sia univocamente determinato,
la parità è invece univocamente determinata.
Consideriamo ora uno spazio di Hilbert H ed il prodotto tensoriale di n copie di tale spazio:
N
H⊗n := ni=1 H. σ ∈ Pn induce un operatore unitario Uσ : H⊗n → H ⊗n come segue. Scegliamo
una base hilbertiana N per H. Come sappiamo dalla proposizione 9.6, i vettori ψ1 ⊗ · · · ⊗ ψn
con ψk ∈ N per k = 1, 2, . . . , n, formano una base hilbertiana per H⊗n . È ovvio che, se σ à una
permutazione arbitraria, anche gli elementi ψσ(1) ⊗ · · · ⊗ ψσ(n) con ψk ∈ N per k = 1, 2, . . . , n
formeranno una base hilbertiana per H⊗n . Anzi, tale base, a parte un riordinamento degli ele523
menti, è proprio la stessa di prima data la natura della funzione σ. Definiamo Uσ : H⊗n → H⊗n
come l’unico operatore unitario che soddisfa:
Uσ (ψ1 ⊗ · · · ⊗ ψn ) := ψσ(1) ⊗ · · · ⊗ ψσ(n) ,
con ψk ∈ N per k = 1, 2, . . . , n.
È immediato verificare che se φ1 , . . . φn ∈ H sono vettori arbitrari (non necessariamente in N )
allora risulta ancora, per l’operatore unitario Uσ :
Uσ (φ1 ⊗ · · · ⊗ φn ) := φσ(1) ⊗ · · · ⊗ φσ(n) .
Di fatto abbiamo provato metà della seguente proposizione.
N
Proposizione 12.3. Si consideri lo spazio H⊗n := ni=1 H, dove H è un arbitrario spazio di
Hilbert, ed il gruppo delle permutazioni di n oggetti Pn . Vale quanto segue.
(a) Per ogni σ ∈ Pn esiste un unico operatore unitario Uσ : H⊗n → H⊗n che soddisfa
Uσ (φ1 ⊗ · · · ⊗ φn ) := φσ(1) ⊗ · · · ⊗ φσ(n) .
(12.49)
per ogni scelta di φ1 , . . . φn ∈ H.
(b) L’applicazione U : Pn ∋ σ 7→ Uσ è una rappresentazione unitaria fedele del gruppo Pn .
Prova. La parte (a) è immediata conseguenza della discussione fatta prima di enunciare la proposizione. Dato che gli operatori Uσ sono unitari, per provare (b) è sufficiente mostrare che
Uσ Uσ′ = Uσ◦σ′ – ma questo è immediato da (12.49) assumendo che i vettori φ1 , . . . , φn appartengano ad una base Hilbertiana di H – e che l’applicazione U è iniettiva (quest’ultimo fatto
corrisponde a provare che la rappresentazione è iniettiva), ossia che Uσ I implica σ = id (funzione identica). Questo fatto è nuovamente evidente da (12.49). 2
Dal punto di vista fisico, se Ψ ∈ H⊗n rappresenta uno stato puro di un sistema costituito da
n sottosistemi identici descritti ciascuno separatamente sullo spazio di Hilbert H, lo stato puro
associato a Uσ Ψ ha la naturale interpretazione dello stato del sistema fisico in cui i ruoli dei
sottosistemi siano stati scambiati secondo la permutazione σ. L’azione di Uσ si estende agli stati
generici ρ ∈ S(H⊗n ) tramite la trasformazione che associa ρ a Uσ ρUσ−1 . Si verifica facilmente
che, dato che Uσ è unitario, questa trasformazione preserva la positività di ρ e la sua traccia
(Uσ ρUσ−1 è di classe traccia se lo è ρ dato che gli operatori di classe traccia sono un ideale
bilatero), per cui Uσ ρUσ−1 ∈ S(H⊗n ) se ρ ∈ S(H⊗n ).
L’azione del gruppo delle permutazioni sugli stati del sistema ha un’azione duale sulle proposizioni P ∈ P(H⊗n ) sul sistema descritta dalla trasformazione che associa P a Uσ−1 P Uσ . Si osservi
che essendo Uσ unitario, Uσ−1 P Uσ è un proiettore ortogonale se P è un proiettore ortogonale.
Si osservi che dalle proprietà della traccia ((c) in proposizione 4.7) risulta che
€
Š
€
Š
tr Uσ−1 P Uσ ρ = tr P Uσ ρUσ−1 .
Per cui fare agire il gruppo delle permutazioni sugli stati oppure sulle proposizioni sul sistema è
fisicamente equivalente ai fini del calcolo delle probabilità che le proposizioni siano verificate in
524
seguito a misura di esse.
L’interpretazione naturale della trasformazione che associa P a Uσ−1 P Uσ è quella di trasformare
la proposizione P scambiando il ruolo dei sottosistemi secondo la permutazione σ. L’azione di
Uσ sulle proposizioni induce un’azione su ogni misura a valori di proiezione {P (A) (E)}E∈T(R)
(associata all’osservabile A), che viene trasformata in una corrispondente misura a valori di
proiezione {Uσ−1 P (A) (E)Uσ }E∈T(R) . Si verifica subito, dal teorema spettrale, che questa azione
corrisponde alla trasformazione dell’osservabile A nell’osservabile Uσ−1 AUσ . Tale trasformazione
ha un ovvio significato fisico alla luce delle osservazioni precedenti. Possiamo ora enunciare
l’assioma relativo a sistemi composti da sottosistemi identici.
A8. Se un sistema fisico è composto da n < +∞ sottosistemi identici, ciascuno descritto in una
copia dello spazio di Hilbert H, le proposizioni fisicamente ammissibili sul sistema corrispondono
al sottoinsieme di P(H⊗n ) contenente i proiettori ortogonali invarianti sotto l’azione del gruppo
delle permutazioni definita nella proposizione 12.3.
In altre parole P ∈ P(H⊗n ) ha senso fisico sul sistema solo se
Uσ−1 P Uσ = P ,
per ogni σ ∈ Pn .
Conseguentemente le osservabili A fisicamente ammissibili sul sistema sono quelle le cui misure
spettrali soddisfano il requisito detto che equivale a dire
Uσ−1 AUσ = P ,
per ogni σ ∈ Pn .
A titolo di esempio, se si lavora con un sistema di due particelle identiche di massa m di coordi(1)
(2)
nate xi e xi rispettivamente, un’osservabile fisicamente ammissibile è la componente i-esima
(1)
(1)
della posizione media: (Xi + Xi )/2. Senza entrare nei dettagli diciamo solo che, usando
(1)
(2)
le misure spettrali di Xi e Xi , si può, per esempio, costruire una proposizione ammissibili
(proiettore ortogonale che commuta con ogni Uσ ) che corrisponde all’affermazione “una delle
due particelle ha coordinata i-esima che cade nel boreliano E”. Viceversa proposizioni del tipo
“la particella 1 ha coordinata i-esima che cade nel boreliano E” non risultano essere ammissibili.
Vogliamo infine mostrare una conseguenza notevole dell’assioma A.7. Consideriamo per il solito
sistema costituito da n sottosistemi identici, per σ ∈ Pn , i sottospazi di H⊗n :
(σ)
(H⊗n )S := {Ψ ∈ H⊗n | Uσ Ψ = Ψ} ,
(σ)
(H⊗n )A := {Ψ ∈ H⊗n | Uσ Ψ = (−1)σ Ψ}
Il fatto che gli insiemi suddetti siano sottospazi è evidente dalla linearità degli operatori Uσ ; il
fatto che siano chiusi è conseguenza immediata del fatto che tali operatori siano continui. In
realtà gli spazi suddetti sono autospazi di Uσ .
(σ)
Osservazione. La proprietà di un vettore Ψ di appartenere allo spazio (H⊗n )S oppure allo
(σ)
spazio (H⊗n )A è in realtà una proprietà dello stato puro Ψ(Ψ| ) visto che, essendo gli spazi
525
(σ)
(σ)
considerati sottospazi, vale, per α ∈ C \ {0}, αΨ ∈ (H⊗n )S/A se e solo se Ψ ∈ (H⊗n )S/A .
Ogni proposizione fisicamente sensata deve commutare con Uσ , pertanto se inizialmente Ψ ∈
(σ)
(H⊗n )S , in seguito ad una misura secondo la proposizione ammissibile P (che risulta essere
verificata), lo stato successivo alla misura sarà descritto da P Ψ/||P Ψ|| che apparterrà ancora a
(σ)
(H⊗n )S :
UPΨ
PUΨ
PΨ
PΨ
=
=
=
.
Uσ
||P Ψ||
||P Ψ||
||P Ψ||
||P Ψ||
(σ)
Vale l’analogo risultato se inizialmente Ψ ∈ (H⊗n )A . Quindi eseguendo misure non è possibile
(σ)
“fare uscire il sistema” dallo spazio (H⊗n )S/A se era, immediatamente prima della misura, in
(σ)
uno stato puro descritto da un vettore in (H⊗n )S/A . Nemmeno l’evoluzione temporale permette
(σ)
di “fare uscire il sistema” dallo spazio (H⊗n )S/A se era, al tempo iniziale, in uno stato puro de(σ)
scritto da un vettore in (H⊗n )S/A . Infatti l’osservabile hamiltoniana H avrà, essendo fisicamente
ammissibile, una misura spettrale che commuta con Uσ . Di conseguenza
e−itH Uσ =
Z
σ(H)
e−ih dP (H) (h)Uσ = Uσ
Z
σ(H)
e−ih dP (H) (h) = Uσ e−itH .
(σ)
Per esempio se Ψ ∈ (H⊗n )A , per cui Uσ Ψ = (−1)σ Ψ, allora
Uσ Ψt = Uσ e−itH Ψ = e−itH Uσ Ψ = e−itH (−1)σ Ψ = (−1)σ Ψt ,
(σ)
e quindi Ψt ∈ (H⊗n )A , per ogni tempo t ∈ R. Concludiamo che:
Proposizione 12.4. Se un sistema fisico è composto da n < +∞ sottosistemi identici, ciascuno
descritto in una copia dello spazio di Hilbert H ed al tempo t0 arbitrario il sistema si trova in uno
(σ)
(σ)
stato puro rappresentato da un vettore nel sottospazio (H⊗n )S (oppure (H⊗n )A ) per qualche
σ ∈ Pn , in seguito ad evoluzione temporale ovvero a processo di misura, il sistema continuerà
(σ)
ad essere descritto da uno stato puro rappresentato da un vettore nel sottospazio (H⊗n )S (ri(σ)
spettivamente (H⊗n )A ).
Osservazione. Lo spazio H⊗n ha due sottospazi chiusi interessanti dal punto di vista fisico che
(σ)
(σ)
si ottengono intersecando rispettivamente i sottospazi di tipo (H⊗n )S e (H⊗n )A . Questi due
spazi sono il sottospazio simmetrico (H⊗n )S , costituito da tutti i vettori Ψ ∈ H⊗n tali che
Uσ Ψ = Ψ per ogni σ ∈ Pn ; ed il sottospazio anti simmetrico (H⊗n )A , costituito da tutti i
vettori Ψ ∈ H⊗n tali che Uσ Ψ = (−1)σ Ψ per ogni σ ∈ Pn .
La rilevanza fisica di questi due spazi è nel fatto che tutti i sistemi di particelle identiche noti
hanno stati puri descritti da vettori in (H⊗n )S oppure in (H⊗n )A . Risulta inoltre che le particelle
della prima classe, dette Bosoni, hanno sempre spin intero, viceversa, le particelle della seconda
classe, dette Fermioni, hanno sempre spin semi intero. Questo risultato viene spesso indicato
526
come correlazione spin statistica. Non esiste una dimostrazione di questa correlazione all’interno
della formulazione non relativistica della meccanica quantistica. In essa si riesce solo a provare,
come visto sopra, che se un sistema di particelle ha comportamento fermionico oppure bosonico
ad un tempo t0 lo avrà per sempre (fino a quando è descritto da stati puri). Tuttavia, all’interno
della formulazione non relativistica, sono compatibili con la proposizione 12.4, stati per sistemi
di particelle identiche che non sono simmetrici e nemmeno antisimmetrici. Si dice, in gergo, che
tali particelle soddisfano una parastatistica. Particelle che soddisfano parastatistiche non sono
mai state osservate.
La formulazione relativistica della meccanica quantistica ha prodotto ad opera di varia autori
(principalmente W. Pauli) un famoso teorema, detto appunto teorema di correlazione spin statistica, in cui si dimostra che la correlazione spin statistica osservata sperimentalmente è in realtà
una delle conseguenze del requisito della teoria di essere invariante sotto il gruppo di Poincaré
invece che quello di Galileo.
Esercizi 12.1.
(1) Considerare uno stato misto ρ ∈ S(H) ed una somma diretta ortogonale di sottospazi di
H: H = ⊕k∈K Hk , con K finito o numerabile, associata a corrispondenti proiettori ortogonali
{Pk }k∈K .
Dimostrare che, se definiamo, usando la topologia operatoriale forte:
ρ′ := s-
X
Pk ρPk
k
allora ρ′ è be definito e vale: ρ′ ∈ S(H).
P
Suggerimento. Notare che Pk Ph = 0 se k 6= h, s- k Pk = I, ed infine ||ρ2 || ≤ 1 e questo
consente di dimostrare che la serie converge nella topologia operatoriale forte sfruttando proprietà note di serie di vettori ortogonali.
Il fatto che ρ′ sia positivo e che ||ρ′ || ≤ 1 segue facilmente dalla costruzione e dalle analoghe
proprietà per ρ. Infine, usando una base Hilbertiana N di H che è unione di analoghe basi hilbertiane di ciascuno dei sottospazi Hk , si dimostra, dalla proposizione 4.5 che ρ′ è di classe traccia
e che trρ′ = trρ = 1.
(2) In riferimento alla discussione della sezione 11.3.2, in cui si prova che la probabilità di mi(A)
surare il valore gk per la grandezza GA sulla parte A di un sistema quantistico è indipendente
dal fatto che sia misurata o meno la grandezza GB sulla parte B 6= A del sistema, dimostrare
che il risultato è valido anche per osservabili arbitrarie (con spettro anche continuo ed illimitato). Assumere che lo strumento di misura di GB ammetta come risultati possibili una classe
(G )
numerabile di boreliani Ek B a due a due disgiunti e tali che la loro unione coincide con σ(GB ).
(3) Provare che (H⊗n )S e (H⊗n )A sono ortogonali.
(4) Provare che se n = 2, vale
H⊗2 = (H⊗2 )S ⊕ (H⊗2 )A .
(5) Provare che già con n = 3 la relazione in (2) risulta essere falsa.
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