Lettera aperta agli incalliti formatori di counselor Fino ad un certo punto, caro formatore incallito di tutto ciò che sembra psicologia ma non lo è, sappi questo: io ti posso capire. Davvero. Posso capire che tu sia persuaso che l’università di Psicologia, e i percorsi accademici in genere servano a poco al fine di esercitare una professione di aiuto, che il tirocinio abilitante si passi a fare fotocopie, che l’esame di stato sia una mezza giornata buttata via, e che di questo qualunque psicologo minimamente consapevole si dovrebbe avvedere; posso anche pensare che tu dica in giro che la tua scuola, e le scuole simili alla tua costituiscano la soluzione definitiva a tutti i problemi formativi degli psicologi: più profonda, interessante, tecnica di un banale corso di laurea. Mi dispiace che ti accusino di dire queste cose per interesse, perché anche se non ci diventerai ricco, quello è comunque il tuo lavoro, con cui tiri la fine del mese, e trovo giusto che tu lo difenda. Se non si trattasse di mettere insieme il pranzo con la cena, come si dice dalle nostre parti, sarebbe ben più grave a pensarci e ci direbbe di una smisurata illusione di onnipotenza. Passando da ciò che capisco, a quello che non ho invece ben capito, ma perché in questa “specializzazione” dello psicologo, che chiami “counseling” dovrebbero accedere laureati in altre discipline e perfino diplomati, non solo quindi professionisti della cura? Saremmo anche d’accordo sulla formazione di infermieri, ma anche idraulici e impiegati pentiti? Affidare a queste persone tutti gli strumenti e tecniche che abbiamo appreso in anni di università e che la legge, la giurisprudenza e il nostro Codice Deontologico ci impediscono di trasmettere a chiunque? Se non ci fossi tu a insegnare un po’ tutto quello che hai imparato come psicologo non sarebbe necessario spiegare che è un’operazione pericolosa. E non fare il furbo, che lo sai che la psicologia dell’età evolutiva e perfino la classificazione diagnostica la puoi insegnare benissimo a tutti. Sono solo conoscenze, non tecniche: si possono tranquillamente insegnare. Tu sai bene che è diverso, ma siccome insegni tecniche del colloquio, analisi della domanda, gestione dei gruppi e tante, tante altre tecniche te ne guardi bene dal dirlo in giro e fingi che il Codice Deontologico degli Psicologi e la Carta Etica della Lombardia siano in contrasto con la costituzione italiana. C’è stato un dottore che si chiama Zerbetto che è arrivato al secondo grado di giudizio per farsi dire che non era così. Infine, di qualcosa, poche cose, sono sicuro. Caro amico formatore incallito, sono sicuro che quella quota di persone che dopo aver frequentato il tuo corso si mettono a lavorare come counselor non fanno altro che svolgere abusivamente un’attività di sostegno psicologico. Mi spiego: di fronte ad un giudice preparato e informato, ad esempio da un ex paziente divenuto testimone, verrebbero tutti condannati, e bada bene, tutti, alle sanzioni previste dall’articolo 348 c.p., che va peraltro ad inasprirsi. Questo significa che la loro libertà di esercitare quella che chiamano “professione di counselor” si basa solo ed esclusivamente sul fatto che il proprio cliente-paziente non conosca bene le differenze e sul fatto di nascondersi, di non essere visti, che non si sappia quello che accade nei loro studi. In sintesi, come fa qualunque soggetto che commette un crimine e spera di non esser scoperto. Certo, basta stare attenti. Ma senza conoscenze riguardanti la diagnosi, come riconosceranno i tuoi “counselor” un soggetto psicotico da un’isteria grave o un disturbo borderline o infine da una personcina un po’ originale? Quindi, vedi, ti capisco. Ma non condivido. Ci sono cose che anche se ci portano denaro, non si possono fare. Quella che fai tu è una di queste, e siccome c’è di mezzo la salute delle persone in momenti di difficoltà, delle peggiori.