trasformata ottica di fourier

TRASFORMATA OTTICA DI
FOURIER
Un sistema ottico destinato ad elaborare le immagini si basa su alcune nozioni o entità fondamentali
che ora verranno elencate e commentate.
IMMAGINI DI INGRESSO E DI USCITA DEL SISTEMA
DI ELABORAZIONE
L’immagine da elaborare deve essere costituita da una diapositiva o da un negativo fotografico;
deve cioè essere dotata di un supporto trasparente. Il suo contenuto informativo viene trasferito alla
luce, che, elaborata nel sistema ottico, da luogo all’immagine risultato del processo di elaborazione.
Se la luce che illumina l’immagine da elaborare è costituita da un'onda piana uniforme, l’ampiezza
del campo elettromagnetico, subito dopo l’immagine, è proporzionale alla trasparenza di
quest’ultima, mentre la fase dipende dalle variazioni di spessore della diapositiva o del negativo
fotografico.
Se per il momento supponiamo che tali variazioni di spessore non modifichino sostanzialmente la
fase del campo abbiamo il caso di “immagini di ampiezza“: se si indica con una f(x,y) di due
variabili spaziali la trasparenza dell’immagine, cioè l’immagine vera e propria come può apparire
ad un osservatore per esempio in luce bianca, f(x,y) è anche il campo elettromagnetico sul piano
dell’immagine.
I primi sperimentatori dell'elaborazione ottica cercarono di limitare le variazioni di fase mediante
l'utilizzo di un “liquid gate”: l'immagine immersa in un olio che avesse lo stesso indice di rifrazione
della gelatina della pellicola su cui era stampata l'immagine veniva racchiusa fra due cristalli. In
questo modo il raggio luminoso aveva una variazione di fase all'uscita uguale per ogni punto della
pellicola.
IRRADIAZIONE DI UN’ONDA PIANA UNIFORME
Le caratteristiche di ampiezza e fase proprie dell'immagine di ingresso vengono assunte da un’onda
che la illumina. Per non modificare l’informazione dell’ingresso quest’onda deve essere piana ed
uniforme.
Per ottenere l’onda piana uniforme si parte dal raggio emesso dal laser. Nell’elaborazione ottica si
usano generalmente laser di piccola o media potenza operanti per lo più nel visibile. Tipici per
questo impiego sono il laser a He-Ne funzionante nel rosso a 632.8 nm in grado di erogare, a
seconda del particolare dispositivo, potenze variabili da una frazione a decine di mW e il laser ad
114
Ar, che funziona su diverse frequenze, le più importanti nel blu (488 nm) e nel verde (514.5 nm) e
può fornire potenze dell’ordine delle decine di Watt. Il raggio del laser in questione può avere una
sezione massima dell'ordine del millimetro. È necessario pertanto espanderne la sezione. Il raggio
viene filtrato da un particolare dispositivo detto “filtro spaziale“ costituito da un obiettivo
microscopico e da un foro (pinhole) del diametro di alcune decine di micrometri (fig. 3a). Il fuoco
dell’obiettivo cade nel foro.
Filtro spaziale
(diaframma)
telescopio espanditore
onda sferica
raggio laser
obiettivo microscopico
fascio laser espanso
(onda piana uniforme)
Fig. 4a – Generazione di un’onda piana uniforme
Questo dispositivo, che, come risulterà chiaro in seguito, realizza un filtro passa basso, ha la
funzione di rendere uniforme l’intensità del raggio, eliminando eventuali immagini spurie costituite
da figure di interferenza, polvere, ecc.
Il filtro spaziale che produce un’onda sferica è posto nel fuoco anteriore di una seconda lente che
produce con buona approssimazione l’onda piana uniforme.
Il dispositivo è in realtà più complesso di quello rappresentato: mentre la prima lente è un obiettivo
microscopico (10X  60X), la seconda è un telescopio espanditore. Ad ogni obiettivo deve essere
associato un particolare diaframma (fig. 4b).
Supporto per diaframma
Telescopio espanditore
Obiettivo microscopico
Vite di regolazione del fuoco
Fig. 4b – Filtro spaziale e telescopio espanditore
115
Per l’utilizzo pratico di questo sistema è necessario porre particolare attenzione nella sua messa a
punto, operazione che può richiedere molto tempo soprattutto ad operatori inesperti.
Illustriamo brevemente i passi da seguire:

Sfocamento dell’obiettivo microscopico per permettere al raggio luminoso di illuminare il
diaframma (su uno schermo impiegato per confrontare l’esito delle operazioni di messa a punto
si vede un punto luminoso più una serie di anelli concentrici);

Regolazione del fuoco dell’obiettivo: sullo schermo si vede un aumento della luminosità della
macchia centrale finché la stessa non scompare dallo schermo (il raggio non illumina più il
diaframma);

Regolazione della posizione del diaframma mediante viti micrometriche finché sullo schermo
non riappare il punto luminoso.
LENTE SOTTILE
Si suppone di lavorare con lenti sottili. Sotto questa ipotesi la lente altera solo la fase di un campo
elettromagnetico che incide sul suo piano frontale anteriore, mentre è trascurabile lo spostamento in
senso perpendicolare all’asse ottico che un raggio di luce subisce nell’attraversamento della lente.
Fig. 5 – Lente spessa e sottile
In questo modo è possibile caratterizzare una lente mediante la trasformazione di fase che essa
produce. Questa trasformazione di fase descrive completamente il comportamento di una lente
sottile e consente di calcolare il campo sulla superficie frontale posteriore della lente, nota
l’espressione del campo sulla superficie frontale anteriore. Se si indica con T tale trasformazione, il
campo “dopo” la lente si ottiene moltiplicando per T quello “prima” della lente: c’è una
corrispondenza biunivoca tra lente e trasformazione T.
116
Piano frontale anteriore
R
Piano frontale posteriore
R·T
Fig. 6 –Caratterizzazione di una lente mediante la sua trasformazione di fase T
L’espressione T può essere ricavata da considerazioni elementari di ottica geometrica:
1. Se una lente viene illuminata da un’onda piana uniforme (parallela all’asse ottico), la concentra
nel suo fuoco posteriore.
2. Se una lente viene illuminata da un’onda sferica con origine nel fuoco anteriore, la trasforma in
onda piana.
Figura 7 – La lente sottile trasforma
l’onda piana in un punto
Figura 7 – La lente sottile trasforma
l’ondatrasforma
piana in unl'onda
puntopiana in un punto
Fig. 7 - La lente sottile
Figura 8 – La lente sottile trasforma il
punto in un onda piana
Fig. 8 - La lente
sottile
il punto
in un'onda
piana
Figura
8 – Latrasforma
lente sottile
trasforma
il
punto in un onda piana
Osserviamo che interpretando l’onda piana come una costante (in ogni punto dello spazio il campo
è lo stesso) ed il punto come un impulso, si verifica che, (in questi due casi particolari), la lente
altera la fase del campo incidente in modo tale da produrre la sua trasformata di Fourier nel piano
focale posteriore. In modo più conciso si può dire che la lente fa la trasformata di Fourier
dell’immagine in ingresso. Si dimostrerà più avanti che questa proprietà della lente non vale solo
nei due casi suddetti ma in generale.
Questi principi dell’ottica geometrica descrivono due particolari condizioni in cui noi conosciamo
esattamente sia il campo “prima” della lente che “dopo”. È possibile dunque calcolare la
trasformazione T della lente, che sarà valida in generale essendo in corrispondenza biunivoca con la
lente (e quindi non dipendente dal tipo di campo incidente).
117
1
2

f
d
Fig. 9 – Campo generato da una sorgente puntiforme sul piano frontale anteriore della lente
Calcoliamo l’espressione del campo generato da una sorgente puntiforme sul piano frontale
anteriore della lente.
Questo piano non è una superficie equifase. Un raggio di luce indicato in figura con 1 percorre un
tratto di lunghezza f e poi un ulteriore tratto di lunghezza d per raggiungere la lente (nel percorso 2
invece percorre solo un tratto di lunghezza f). La differenza di fase tra il percorso 2 ed un generico
percorso 1 che raggiunge il piano della lente ad un’altezza  dall’asse ottico si ottiene calcolando la
distanza d e traducendola in termini di fase
d
f 2   2  f  f 1
2
f2
f
Supponiamo valida l’approssimazione parassiale: in questo caso lavoriamo con piccole aperture
(<<f):
 1 2 
1 2

(d è funzione di )
d  f 1 

f

2 
2 f
 2 f 
Traducendo in termini di fase:

d
2


2 1  2  2
2

 k
 2 f
f
2f
con k 
jk
2

numero d' onda
2
2f
Il campo sul piano frontale della lente sarà quindi e
. Sul piano frontale posteriore della lente il
un campo è costante: matematicamente il comportamento della lente è rappresentabile dunque con
la trasformazione
T e
 jk
2
2f
detta trasformazione di fase della lente sottile convergente (T ha modulo unitario perché si
trascura la modifica in ampiezza).
Se la lente è divergente si ricava facilmente T  e
jk
2
2f
118
TRASFORMATA DI FOURIER DELL’IMMAGINE
Finora si è constatato che:
1. Un’immagine costituita da un solo punto trasparente può essere considerata un impulso in due
dimensioni. Tale immagine, illuminata dall’onda piana uniforme, costituisce una sorgente
puntiforme e da quindi origine ad un’onda sferica.
2. Una lente sferica convergente trasforma il campo sferico prodotto da una sorgente puntiforme
(impulso) posta sul piano focale anteriore e sull’asse ottico in un’onda piana uniforme, la cui
direzione di propagazione coincide con quella dell’asse ottico. Tale onda su un piano posteriore
alla lente, parallelo al piano dell’immagine, produce un’illuminazione costante. Ciò è dovuto
alla trasformazione di fase della lente sottile (T).
3. Sul piano focale posteriore della lente (e in questo caso su ogni altro piano posteriore) si ha
quindi la trasformata di Fourier (una costante) dell’immagine (l’impulso) posta sul piano focale
anteriore (fig. 10).
Fig. 10 –
Trasformazione dell’impulso di luce in una costante
Si supponga ora che l’impulso, pur se sempre posto sul piano focale anteriore, non sia sull’asse
ottico, ma su un punto di coordinate (x,0).
119
x
Riferimento per la
misura delle fasi
y
(x,y)
(x,0)
(x’,0)
f
f
Fig. 11 – Onde generate da impulsi posti sul piano focale anteriore ma non sull’asse ottico.
La lente trasforma ancora l’onda sferica prodotta dalla sorgente puntiforme in un’onda piana, ma
questa non è più parallela all’asse ottico. Inoltre, al variare della distanza della sorgente dall’asse
ottico, le direzioni di propagazione delle corrispondenti onde piane variano pur convergendo nel
fuoco posteriore della lente (secondo i principi dell’ottica geometrica).
Si vuole calcolare sul piano focale posteriore la fase della generica onda piana, prodotta quando in
ingresso è presente l’impulso suddetto. A tale scopo si osserva che il punto di intersezione dei fronti
d’onda di tutte queste onde piane, fra di loro e con l’asse ottico, è proprio il fuoco posteriore della
lente, che si assume essere il riferimento comune per la misura della fase
Piano focale anteriore
(piano dell’immagine)

d
piano focale posteriore
(piano della trasformata)
,
x,y
direzione di propagazione dell’onda
piana uniforme
o

xf
(x
Impulso sul piano
focale anteriore
x/f
xf
fronte d’onda dell’onda
piana uniforme
fase dell’onda piana
uniforme sul piano focale posteriore
a distanza  dall’asse ottico
Fig. 12 – Calcolo della fase sul piano focale posteriore della lente
Spostandosi lungo , sul piano focale, si osserva una variazione della fase dovuta alle diverse
distanze d dei punti considerati del piano focale dal fronte d’onda.
d   sen( )
x
Se   1 , allora tg ( )    sen( ) . Ma tg ( )  .
f
Quindi se
x
x
e vale:
 1 , allora sen( ) 
f
f
120
d 
x
2
2 x

d
 ( in termini di fase)
f

 f
j
Il campo sul piano focale diventa
e
2
x 
f
. A seconda del valore di  si ha fase positiva o negativa.
Si ponga ora sul piano focale anteriore un’immagine qualunque f(xy. Essa può venir considerata
come un insieme di sorgenti puntiformi, poste nel punto generico di coordinate xy e di intensità
data dal valore assunto dalla f(xy in quel punto.
In termini più precisi f(xy è rappresentabile come un integrale dei suoi punti, cioè di funzioni
impulsive pesate dalla f(xy stessa. Sul piano focale posteriore la lente darà origine alla figura di
interferenza fra le onde piane prodotte da ognuna delle sorgenti puntiformi in cui si può pensare
scomposta l’immagine.
F ( ,  )   f ( x, y )e
j
2
x  y 
f
dxdy
Le variabili , sono coordinate spaziali del piano della trasformata e si misurano in unità di
lunghezza.
Rielaborando l’espressione precedente si ottiene:
F ( ,  )   f ( x, y )e
j
2
x  y 
f
dxdy  F ( ,  )   f ( x, y )e  j  px qy dxdy  F ( p, q)
2

 p  f 

con 
q  2 

f
Le variabili p,q prendono il nome di pulsazioni spaziali. Dividendo per  si ottengono le frequenze
spaziali, misurate in linee/unità di lunghezza (si ricordino le linee/mm che costituiscono l’unità di
misura per la risoluzione di obiettivi, lastre e pellicole fotografiche, ecc.).  è la lunghezza d’onda
utilizzata (lunghezza d’onda del laser).
Dall’espressione di p e q si deduce che la distanza focale f della lente impiegata introduce un fattore
di scala sulla trasformata: lenti con grande distanza focale producono trasformate estese, lenti con
piccole distanze focali producono trasformate contratte.
121

(mm)
1000
30
900
800
25
700
20
600
500
15
400
10
300
200
5
100
0
linee/mm
10
20
30
40
50
Fig. 13 – Corrispondenza tra distanze sul piano della trasformata e frequenze spaziali in funzione della
distanza focale della lente di trasformazione
Il grafico di figura 13 traduce la relazione in questione e permette, nota f, il calcolo immediato delle
frequenze spaziali (linee/mm) corrispondenti alle coordinate  (mm) misurate sul piano della
trasformata.
122
Fig. 14a
Fig. 14b.
La fig. 14a rappresenta un’immagine che viene assunta come esempio: si tratta di una diapositiva
che riproduce un disegno fatto con una macchina da scrivere. La fig. 14b è la fotografia della sua
trasformata, effettuata mediante una lente con distanza focale di 38,1 cm. Essa rappresenta
l’intensità della trasformata, dal momento che l’informazione relativa alla fase viene persa dalla
pellicola fotografica.
È possibile individuare dalla trasformata le seguenti caratteristiche dell’immagine:
123
a. Estensione della banda spettrale.
Se isoliamo sulla trasformata determinate zone mediante opportuni filtri, possiamo analizzare la
corrispondenza tra caratteristiche della trasformata e dell’immagine. In particolare l’estensione
della trasformata corrisponde alla banda spettrale dell’immagine.
In pratica la situazione è complicata dalla presenza di rumore, che può far apparire la
trasformata di un immagine rumorosa molto più estesa della stessa immagine in assenza di
rumore. In certi casi la banda dell’immagine può essere valutata applicando sul piano della
trasformata dei filtri passa-basso costituiti da schermi opachi con fori circolari di diametro
decrescente fino a quando si incomincia ad osservare un perdita di definizione dell’immagine.
Poiché la trasformata appare ugualmente estesa in tutte le direzioni del piano, non ci sono
motivi per pensare che la definizione dell’immagine sia maggiore in una direzione piuttosto che
in un’altra.
b. Presenza di strutture periodiche
La presenza su un’immagine di rigature, reticolature, puntinature, ecc. si traduce nella
trasformata in una multiplazione degli spettri (si pensi per analogia allo spettro di frequenza di
segnali, nel tempo, modulati ad impulsi). Per esempio la trasformata di figura 14b è strutturata
in repliche dello spettro, dovute alla disposizione in righe e colonne dei caratteri della macchina
da scrivere. La parte centrale della trasformata (banda base) è la banda vera e propria
dell’immagine.
Fig. 15a
124
Fig. 15b
Fig. 15. – Immagini ottenute sottoponendo a filtraggio ottico la trasformata dell’immagine originale. a) con
filtro passa-basso. Il filtro è costituito da un foro circolare. b) con filtro passa-banda. Il filtro è stato realizzato
accoppiando un filtro passa-basso ed uno passa-alto.
Fig. 16
La figura 16 mostra l’immagine base trattata con un filtro passa alto. Dato che l’immagine
stessa ha un elevato contenuto spettrale di alta frequenza, si può notare che il filtro non ha dato
particolari modifiche.
c. Distribuzione direzionale dei contorni
Nel caso in cui l’immagine sia funzione di una sola delle variabili x,y, anche la trasformata è
funzione di una sola delle variabili ,.Se l’immagine dipende solo da x (è costante nella
direzione ) la trasformata dipende solo da  e appartiene completamente all’asse di questa
variabile. Consideriamo ad esempio un’immagine costituita da un reticolo di linee parallele
all’asse y: la sua trasformata è costituita da punti appartenenti all’asse  (figura 17).
D’altra parte la scelta degli assi di riferimento del piano immagine è arbitraria, quindi la nozione
precedente può essere enunciata in termini più generali: se esiste un sistema di assi tale che
125
un’immagine possa essere considerata funzione di una sola variabile, la sua trasformata
appartiene all’asse corrispondente (parallelo) del piano della trasformata. Se un’immagine che
dipende da una sola variabile presenta dei contorni, questi sono perpendicolari all’asse della
variabile in questione. Dall’esame della trasformata di un’immagine è quindi immediato
rendersi conto della distribuzione direzionale dei contorni:
Si osservino ancora le figure 14a,14b e si notino le fasce luminose a 45° che partono dal centro:
esse corrispondono ai tratti delle x in cui è strutturata l’immagine.
PIANO DELL'IMMAGINE

a
c

Reticolo di n linee/mm
PIANO DELLA TRASFORMATA

b
d
 
a) Immagine costituita da un reticolo di n linee/mm
b) Trasformata dell'immagine di fig. a
c) Immagine di fig. a ruotata
d) Trasformata dell'immagine di fig. c
Fig. 17 – Corrispondenza tra piano immagine e piano della trasformata per strutture a sviluppo direzionale
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