APPROCCIO PSICODINAMICO ALLE “DEPRESSIONI”
Le attuali teorizzazioni, proprio in considerazione della diversificazione dell’espressività
sintomatologica della depressione, non intendono più ridurre il fenomeno al semplice concetto di
lutto e a quello alternativo di Super-Io sadico (Freud). Una teorizzazione più articolata è quella
introdotta da Gaetano Benedetti (1979), che mostra come esistano diversi modi di depressione, il
cui anello comune è l’impossibilità dell’Io di esaudire le richieste fondamentali che gli vengono
poste dai suoi bisogni narcisistici, dal suo mondo superegoico, dalla sua istintività o dall’esterno.
La depressione da insufficienza dell’Io
L’insufficienza dell’Io viene vissuta come incapacità di far fronte ai compiti imposti sia dal mondo
esterno che interno. Come dice Benedetti (1979), ”in linea di principio non è da escludere
un’insufficienza obiettiva dell’Io, dovuta a fattori costituzionali; ma più spesso, è una carenza di
affetto materno a portare a un senso di auto-insufficienza, di incapacità ad assicurarsi gli oggetti
necessari per sopravvivere”. I vissuti sono quindi quelli di inadeguatezza, incapacità, insufficienza,
insignificanza.
Si tratta di soggetti in cui, sui sensi di colpa, prevalgono i vissuti di autosvalutazione.
Soggetti che sviluppano un atteggiamento ansioso-depressivo verso l’esistenza, tremano di fronte
ad ogni situazione nuova. Le eventuali “idee di suicidio nascono dal desiderio di farla finita con
questo Sé piccolo, ridicolo, insignificante, che sta in contrasto con le pulsioni vitali dell’Es e le alte
norme del Super-io”.
La depressione da insufficienza dell’Io sembra corrispondere alle forme che classicamente
venivano indicate come depressione ansiosa, quadri clinici in cui sintomi depressivi (in particolare,
tristezza, e ridotta autostima) si accompagnano a manifestazioni d’ansia.
Questi pazienti depressivi, nei quali prevale la debolezza dell’Io e con essa l’incapacità di accettare
le frustrazioni, restano spesso dei deboli nei confronti della vita; hanno sempre bisogno di
dipendere da qualcosa o da qualcuno, hanno bisogno di una “protesi” e, anche se superano una
fase depressiva, rimane il pericolo che nuove crisi li sorprendano nel corso della vita. La prognosi a
lungo termine non è quindi così favorevole.
La depressione da perversione del Super-Io
“E’ di Freud il concetto che il Super-Io nella malinconia sia “pura cultura di morte, ossia un’istanza
distruttrice, che attacca continuamente l’Io facendolo sentire in colpa per dei nonnulla” (Benedetti,
2010). La presenza di un Super-Io sadico, punitivo, distruttivo, che infierisce sull’Io, a prescindere
da tutto ciò che l’Io riesce a fare, costituisce la base di quegli stati depressivi in cui il vissuto di
colpa è il fatto primario: il soggetto si accusa in modo assurdo di tutto e, proprio per questa continua
autodistruzione sadica, presenta tensioni intrapsichiche particolarmente drammatiche, con un
sensibile rischio suicidario.
Il sintomo principale di questa forma clinica è l’agitazione psicomotoria, così raffigurato da Aaron T.
Beck nel 1967: il soggetto “non riesce a stare seduto fermo, ma si agita continuamente sulla sedia.
Egli manifesta un senso d’irrequietezza o agitazione torcendo le mani o il fazzoletto, strappandosi
gli abiti, tormentandosi la pelle, serrando o riaprendo le dita. Può grattarsi la testa o altre parti del
corpo fino a lacerarsi la pelle. Nel corso di un colloquio può alzarsi più volte dalla sedia e misurare
a lenti passi la stanza. Di notte può alzarsi spesso dal letto e camminare incessantemente avanti e
indietro. Impegnarsi in un’attività costruttiva gli è altrettanto difficile quanto restare fermo. La sua
agitazione si manifesta anche con frequenti gemiti e lamenti. (…) Il contenuto dei pensieri del
paziente rallentato sembra concentrato sulla rassegnazione passiva al suo destino. Il paziente
agitato, invece, non riesce ad accettare o a sopportare la tortura che immagina. Il comportamento
dell’agitato sembra rappresentare un tentativo disperato di allontanare la condanna incombente”.
L’agitazione
prevale
sul
rallentamento
psicomotorio;
l’affaticabilità,
spesso
secondaria
all’agitazione ed i sentimenti di colpa assolutamente prevalenti; una più frequente presenza di
pensieri ricorrenti di morte o di tentativi di suicidio.
La depressione da inibizione dell’Es
Secondo Benedetti (1979) “qualsiasi frustrazione acuta dei bisogni vitali, anche in individui non
depressivi, può agire in senso depressivo. Ma è solo quando si verifica una trasposizione di tale
frustrazione nell’Io, quando cioè un senso cronico di frustrazione dei bisogni genera nell’Io un
senso di impotenza e di futilità della propria esistenza, quando la frustrazione è internalizzata e
trasformata in inibizione, che si sviluppano fenomeni depressivi che non sono solo reattivi”.
Si tratta di una dinamica già intuita da Sigmund Freud: “L’affetto corrispondente alla melanconia è
quello del lutto, cioè il rimpianto di qualcosa di perduto. Così nella melanconia dovrebbe trattarsi di
una perdita, e precisamente una perdita nella vita pulsionale”.
Dalla cronica frustrazione dei bisogni vitali deriva un quadro di depressione inibita, con perdita di
ogni forma di piacere, una depressione a sfumature di grigio, in cui gli aspetti apatici e anedonici
(incapacità di provare piacere) prevalgono sulla deflessione del tono dell’umore.
Sembrano quindi rientrare in questa tipologia le forme depressive caratterizzate da perdita di
interesse o di piacere, mancanza di reattività agli stimoli ambientali e alle relazioni interpersonali,
perdita di appetito e alternanza circadiana con peggioramento nelle prime ore della giornata.
Una forma di depressione particolarmente profonda, con perdita d’interesse e di reattività agli
stimoli esterni; come ha scritto Freud (1915), essa «è psichicamente caratterizzata da un profondo
e doloroso scoramento, da un venir meno dell’interesse per il mondo esterno, dalla perdita della
capacità di amare, dall’inibizione di fronte a qualsiasi attività e da un avvilimento del sentimento di
sé che si esprime in auto-rimproveri e auto-ingiurie e culmina nell’attesa delirante di una
punizione».
La depressione da collasso dell’Io ideale
Se all’idealizzazione (vedere nell’altro un’immagine ideale, con scotomizzazione dei possibili
aspetti frustranti) segue il crollo della figura ideale, può conseguire, per il rapporto simbiotico di
identità inconscia che si era venuto a creare, il crollo del proprio Io ideale e un’esperienza di
solitudine e di abbandono (Benedetti, 1979). È questa l’esperienza depressiva che si realizza in
conseguenza di un evento doloroso, di una perdita familiare o sociale, che assume il valore di crisi
vitale (le cause, naturalmente, spaziano da eventi accidentali alle tappe psicologiche di declino).
Può rientrare in questa tipologia quella che veniva chiamata depressione reattiva, con un esordio
strettamente collegato ad avvenimenti di notevole impatto emotivo.
Ciò che caratterizza la depressione reattiva è la perdita, reale o fantasmatica, di un qualsiasi
oggetto investito affettivamente.
La prognosi del disturbo depressivo è in relazione alla forza dell’Io, alla sua capacità di elaborare
efficacemente, e in tempi più o meno rapidi, la perdita, il lutto.
Lo stesso Benedetti (1979) sottolinea che molte forme di depressione possono considerarsi
“miste”, anche se la loro classificazione psicodinamica tenta di distinguere tra un meccanismo
egoico, un meccanismo superegoico e dell’Es. Un esempio tipico, di frequente riscontro nella
pratica psicoterapeutica, è la depressione da distanza tra l’immagine del Sé e l’immagine ideale
del Sé, in cui la debolezza dell’Io si somma ai pressanti bisogni super-egoici e la depressione
deriva sia dalla percezione di gravi lacune che, con il passare degli anni, si vanno aprendo nell’Io
sia dalle accuse che gli vengono rivolte dal Super-Io.
CONCLUSIONI
“La sintomatologia manifesta delle diverse sindromi depressive richiede un esame e una
valutazione accurate. Nondimeno, anche più che nello studio di altre forme psichiatriche, un
orientamento limitato all’osservazione e alla valutazione della sintomatologia manifesta delle
depressioni dà al clinico la sensazione della limitatezza del metodo. Lo psicoterapeuta percepisce
la profondità della sindrome con cui ha a che fare, si rende conto che non può andare lontano con
un’indagine superficiale.
L’eterogeneità clinica della depressione continua tuttavia a eludere una soddisfacente sistemazione
nelle strutture tassonomiche standardizzate. A testimonianza di ciò, l’introduzione e l’estensione di
insiemi diagnostici residui, nei quali vengono contemplati, ad hoc, “disturbi depressivi non altrimenti
specificati”.