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Chirurgia della mammella
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La chirurgia della mammella (o chirurgia senologica) trova applicazione soprattutto nella terapia del cancro mammario ed in campo plastico-ricostruttivo.
Indice
1 Chirurgia plastica e ricostruttiva
2 Chirurgia oncologica
2.1 Aspetti storici
3 Diagnostica e stadiazione
4 Interventi
5 Voci correlate
6 Collegamenti esterni
Chirurgia plastica e ricostruttiva
Questa chirurgia ha come finalità quella di correggere alcuni difetti del seno quali la ipertrofia (ingrossamento di una o entrambe le mammelle che per aumento del peso finiscono per diventare
ptosiche), la ipoplasia (mancato sviluppo di una delle due mammelle su base costituzionale), la ipotrofia (perdita del tono e del volume mammario conseguente a varie cause: gravidanza, allattamento,
vecchiaia, dimagrimento). In questi casi si parla più propriamente di chirurgia plastica.
La ipertrofia viene corretta con interventi di mastoplastica riduttiva ossia di asportazione di parte della ghiandola e della cute eccedente in modo da ottenere il volume desiderato seguita dal
riposizionamento della areola e del capezzolo. La ipotrofia viene corretta con interventi di mastoplastica addittiva mediante la inserzione di protesi mammarie (contenenti gel di silicone) di volume,
forma e profilo adeguati.
Molto richiesti attualmente sono anche gli interventi di mastopessi che consistono in rimodellamento e risospensione del seno senza modificazioni del suo volume.
Nei casi in cui la mammella sia stata asportata per malattia neoplastica o sia stata distrutta da eventi traumatici la chirurgia ha come obiettivo quello di ricostruirla
completamente. Tale chirurgia ricostruttiva viene espletata con diverse modalità ed in tempi vari.
Ricostruita la massa mammaria, in tempi successivi, si completa l'intervento creando anche l'areola ed il capezzolo. A questo scopo è possibile utilizzare parte delle
strutture contro-laterali o tessuti prelevati in altre zone del corpo (piega inguinale, radice della coscia, grandi labbra) Può rendersi necessario, infine, la
rimodellazione anche dell'altra mammella quando risulti significativamente asimmetrica rispetto a quella ricostruita.
La scelta della tecnica chirurgica di ricostruzione dipende da diversi fattori: il tipo di mastectomia subita, lo stadio della malattia, l'età ed il grado di motivazione
della paziente.
Inserimento di espansore
cutaneo dopo intervento di
Madden.
Lo specialista, nella programmazione della terapia chirurgica che inevitabilmente si identifica con l'atto demolitivo, è opportuno che inserisca il momento
ricostruttivo come conclusione naturale dell'iter terapeutico. Tutto il percorso dovrà essere adeguatamente proposto e spiegato alla paziente onde ottenere il
consenso informato all'intervento, ma avrà anche lo scopo di aiutarla a superare il trauma, psicologico ancor più che fisico, della mutilazione che si appresta a subire sapendo che ne è possibile una
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adeguata correzione.
La modalità ed i tempi della ricostruzione sono essenzialmente legati al tipo di intervento demolitivo:
Quadrantectomia: consiste nella asportazione solo del quadrante della mammella interessato dalla neoplasia. In generale richiede, dal punto di vista estetico, aggiustamenti minimi da effettuare
nella stessa seduta operatoria. Si rimanda ad ulteriore intervento il rimodellamento dell'altro seno.
Mastectomia sottocutanea: comporta la semplice asportazione della ghiandola mammaria con conservazione del piano muscolare e cutaneo. È l'intervento ideale per il posizionamento
immediato di una protesi.
Mastectomia radicale secondo Halsted: impone l'asportazione completa della mammella nella sua componente ghiandolare e cutanea oltre che del piano muscolare su cui essa poggia e che è
costituito dai muscoli grande pettorale e piccolo pettorale. L'ampia demolizione richiede che la ricostruzione, abbastanza complessa, possa essere effettuata in tempi differiti facendo ricorso a
lembi muscolo-cutanei, porzioni di muscolo (retto addominale o gran dorsale) ricoperto di cute e fornito di peduncolo vascolare che vengono 'trasferiti' dalla loro sede originaria.
Mastectomia radicale modificata secondo Patey o Madden: queste mastectomie rispetto alla precedente conservano in parte o in toto il piano muscolare. Si prestano, in particolare la Madden,
al posizionamento immediato, al di sotto del grande pettorale, di un espansore cutaneo che sarà progressivamente gonfiato contribuendo a creare uno spazio in cui, una volta rimosso l'espansore,
potrà essere inserita una protesi definitiva.
Chirurgia oncologica
La chirurgia oncologica della mammella si identifica con uno dei cardini della terapia del cancro mammario. È contrassegnata da tappe importanti che nelle varie epoche hanno contraddistinto il tipo di
approccio a questa malattia. Concezioni diverse legate al progredire delle conoscenze che hanno consentito di raggiungere un importante obiettivo: quello di offrire alla donna una reale possibilità di
guarigione con interventi sempre meno mutilanti e quindi più rispettosi della sua integrità fisica. Ciò oggi è possibile per vari motivi:
sviluppo delle conoscenze anatomiche e della storia naturale del cancro della mammella
elaborazione e miglioramento delle tecniche chirugiche ed anestesiologiche
potenziamento della diagnostica strumentale e possibilità di stadiazione accurata della malattia
coinvolgimento della popolazione femminile con campagne di screening finalizzate alla diagnosi precoce, addirittura pre-clinica.
Aspetti storici
La chirurgia mammaria era praticata già nell'antichità come dimostra la accurata descrizione dell'intervento di mastectomia che ne fa Galeno, straordinario chirurgo romano. Riferimenti a rimedi
chirurgici per patologia tumorale della mammella ritroviamo in lavori di Albucasis ed Avicenna, massime espressioni della chirurgia araba medioevale, così come in scritti riferibili alla Scuola Medica
Salernitana. I primi interventi praticati in senso chirurgico moderno sono della seconda metà dell'800: si attribuiscono a Moore e Volkmann le prime mastectomie associate all'asportazione dei
linfonodi ascellari. Ma senza alcun dubbio il padre della chirurgia senologica è considerato William Stewart Halsted (1852-1922) che nel 1894 pubblicava i risultati ottenuti con un intervento di
mastectomia radicale per cancro della mammella consistente nella asportazione in blocco della mammella, dei muscoli grande e piccolo pettorale sui quali poggia e dei linfonodi presenti nel cavo
ascellare omolaterale.
La mastectomia radicale secondo Halsted, fortemente mutilante, trova giustificazione nel fatto che a quei tempi i casi clinici inviati al chirurgo erano, nella quasi totalità, in fase molto avanzata e
destruente e quindi di per sé richiedevano ampie demolizioni. Ma ha soprattutto una base teorica nelle conoscenze dell'epoca che volevano il cancro della mammella una malattia localizzata. Malattia
caratterizzata da una spiccata aggressività locale ma che solo in un secondo tempo si diffondeva ai tessuti circostanti e quindi, seguendo la via linfatica, agli organi distanti. Di conseguenza maggiore
era la radicalità e la precocità dell'intervento migliori sarebbero stati gli esiti secondo il concetto di 'piccola malattia... grande intervento'.
Sarebbero passati molti decenni prima che l'intervento di Halsted venisse parzialmente soppiantato da altri interventi quali la mastectomia radicale secondo Patey nel 1948, e quella modificata da
Madden nel 1964, che risparmiando uno o entrambi i muscoli pettorali limitano il danno estetico e consenteno una più agevole ricostruzione della mammella. Questi interventi meno demolitivi si
proponevano come una logica conseguenza dei miglioramenti nella diagnostica clinica e strumentale che consentiva di svelare cancri sempre più precoci e quindi non drammatici come ai tempi di
Halsted , ma essi rappresentarono in particolare la risposta pratica alle nuove concezioni che si andavano affermando a proposito della storia naturale della malattia. Il cancro veniva ora considerato
come una malattia generalizzata che fin dall'esordio è già in grado di espandersi sia nelle strutture vicine che negli organi distanti.
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Questa teoria giustifica il ricorso ad un adeguato intervento di 'bonifica' locale, ma rende ogni ulteriore demolizione superflua se non addirittura dannosa ipotizzando che la malattia, in quel momento, è
ormai diffusa e può aver già disseminato nell'organismo un certo numero di metastasi e queste possono essere combattute esclusivamente con l'ausilio della cosiddetta terapia adiuvante (chemioterapia,
ormonoterapia, immunoterapia, radioterapia, ecc.) che seguirà all'intervento chirurgico integrandolo. Rafforza inoltre il concetto che la precocità della diagnosi è fondamentale perché permette di
intervenire su tumori sempre più piccoli ricorrendo ad interventi sempre più contenuti. L'affermarsi di questa teoria e la possibilità di operare cancri scoperti in fase iniziale ha consentito alla scuola di
Veronesi, nel 1973, di proporre l'intervento di quadrantectomia associato a linfadenectomia ascellare e seguito da radioterapia sulla mammella residua. Si tratta di un intervento che rispetta al
massimo l'integrità della mammella prevedendo l'asportazione del solo quadrante di ghiandola sede della neoplasia. In tempi ancora più recenti la possibilità della diagnosi preclinica del cancro ha
consentito in casi selezionati di limitare l'intervento alla semplice asportazione del tumore: tumorectomia.
La chirurgia della mammella, non a caso, assume rilevanza nel corso dell'800, quello che fu detto il 'secolo d'oro' della chirurgia. È in questo periodo che avvengono alcune scoperte fondamentali
capaci di trasformare definitivamente l'approccio chirurgico alle malattie. Intorno alla metà del secolo si pensa di utilizzare il protossido d'azoto (Horace Wells) e l'etere (William Morton e Crawford
Long) come anestetici e nel 1846 John Collins Warren asporta per la prima volta in anestesia generale un tumore del collo. Ma perché i chirurghi possano lasciarsi definitivamente alle spalle millenni
di una chirurgia caratterizzata dal dolore e dalla infezione che quasi inevitabilmente portavano a morte i pazienti operati sarà necessaria una ulteriore straordinaria scoperta, quella della natura della
sepsi (Ignaz Philipp Semmelweis, Louis Pasteur, Robert Koch) e la scoperta dell'antisepsi nel 1867 con l'utilizzo dell'acido fenico da parte di Joseph Lister.
La possibilità di operare senza che il paziente avvertisse il dolore consentì a grandi chirurghi come Halsted di studiare e tentare approcci chirurgici sempre più lunghi e complessi agevolati anche dal
fatto che l'antisepsi (in effetti una disenfezione accurata dei ferri chirurgici, delle mani dell'operatore e della regione in cui si operava) dava buoni risultati negli interventi praticati su un organo esterno
come la mammella, anche a prescindere dalla antibioticoterapia.
Diverso il discorso allorché si dovevano 'aprire' le grandi cavità dell'organismo quali quella toracica o addominale o ancor di più quando si dovevano interrompere strutture settiche quali le vie biliari,
quelle urinarie, le digestive, ecc. in cui era molto probabile nonostante ogni accortezza che subentrasse una infezione mortale per contaminazione della pleura o del peritoneo. Nonostante ciò grandi
chirurghi come Theodor Billroth proposero interventi di chirurgia gastrica attuali anche oggi. Bisognerà comunque attendere la metà del '900 perché l'industria farmaceutica riesca a produrre i primi
antibiotici basati su una straordinaria scoperta, quella della penicillina dovuta ad Alexander Fleming nel 1928. Sembra la definitiva sconfitta dell'infezione. Non sarà così ma sarà sufficiente a scrivere
un capitolo importante nella Storia della Chirurgia.
Diagnostica e stadiazione
In chirurgia oncologica e soprattutto in quella mammaria la scelta dell’intervento è legata allo stadio in cui la malattia viene diagnosticata.
Fino a qualche decennio fa la diagnostica era quasi esclusivamente clinica ossia basata su alcuni segni o sintomi chiaramente riscontrabili alla ispezione ed alla palpazione della mammella. Questi
sintomi, puntualmente elencati nei trattati di senologia sono: tumefazione mammaria, cute a buccia d’arancia o infossata o ulcerata, retrazione o deviazione del capezzolo, emorragia dai dotti
galattofori, ecc. e rappresentano la manifestazione evidente con la quale la malattia, proprio in quanto in fase avanzata, dà segno di sé. Sono le situazioni in cui si impone una terapia chirurgica molto
aggressiva che spesso comunque non riesce a modificare la prognosi che rimane severa. L’obiettivo di assicurare alla donna buone possibilità di guarigione nel rispetto massimo della sua integrità
fisica è viceversa legato ad una diagnosi quanto più precoce possibile, addirittura in fase preclinica, ossia prima che si manifesti con sintomi evidenti. È in questi casi che si può ricorrere a terapie
mirate non mutilanti con buone possibilità di guarigione come dimostrano le alte percentuali di prognosi favorevole a distanza.
Oggi ciò è possibile per il concorso di vari fattori:
campagne di informazione e screening
il coinvolgimento delle donne avvenuto mediante importanti campagne di informazione ha portato come conseguenza ad una massiccia partecipazione delle stesse agli screening dedicati al cancro della
mammella. Importanti gruppi di studio finalizzato alla lotta contro i tumori, come nel caso specifico della FONCAM (Forza Operativa Nazionale contro il Cancro Mammario) , hanno contribuito a
formulare dei protocolli individuando le ‘popolazioni bersaglio' (donne di età > di 40 anni o situazioni a rischio quali la nulliparità, la obesità, il menarca precoce, ecc.) per le quali sono consigliate
alcune indagini che vanno dall’autopalpazione alle visite specialistiche, al ricorso alle indagini strumentali
progresso della diagnostica strumentale
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l’utilizzo di apparecchi ecografici e radiografici di ultima generazione consente di svelare neoplasie dell’ordine di pochi millimetri e quindi in fase veramente iniziale.
elaborazione di protocolli diagnostici
prevedono una serie di passaggi obbligati che iniziano con le indagini cliniche e strumentali e si concludono, nei casi dubbi o positivi, con particolari esami citologici (su cellule prelevate mediante
ago-aspirato) o esami istologici (su frammenti di tessuto prelevato mediante biopsia). Questi prelievi effettuati su lesioni a volte di pochi mm. presenti nel contesto della ghiandola mammaria sono resi
possibili in quanto ‘guidati’ ecograficamente o radiograficamente da sofisticate apparecchiature finalizzate a questo scopo quale, ad esempio, il mammotome
stadiazione della malattia
l’elemento veramente determinante nella scelta terapeutica e nella valutazione prognostica è la classificazione della malattia e/o la stadiazione della stessa. Per classificazione si intende la
individuazione di categorie predeterminate in cui è possibile inserire la neoplasia. Una delle più note e seguite è la classificazione TNM clinica (situazione al momento della diagnosi o
successivamente alla terapia) o patologica (quale quella desunta dall'operatore durante l'intervento e basata su esami antomo patologici eseguiti in genere estemporaneamente) acronimo di Tumor
Node Metastasis. Essa prevede un gran numero di classi caratterizzate da valori diversi di:
T che contraddistingue il tumore primitivo la cui grandezza e natura è espressa dal valore che lo accompagna (X – 0 – IS - 1mic,1a,1b,1c,1d – 2 – 3 - 4a,4b,4c,4d) e che indica da un
tumore non definibile o non evidenziabile (TX o T0) ad un tumore di dimensione fino a 2 cm (T1c) ad un tumore di qualunque grandezza ma già aderente alla cute in cui ha determinato un
infossamento o la ‘buccia d’arancio’ (T4b) ad un carcinoma infiammatorio (T4d).
N che indica se i linfonodi della mammella sono ed in che misura interessati dalla neoplasia. I valori che accompagnano N sono diversi (X – 0 – 1a – 1b1,1b2,1b3,1b4 – 2 – 3) ed anche in
questo caso indicano da: assenza di coinvolgimento (N0) a coinvolgimento metastatico dei linfonodi appartenenti alla catena mammaria interna omolaterale (N3).
M che indica la impossibilità di accertare la presenza di metastasi distanti (MX), la assenza (M0) o la presenza (M1) di metastasi presenti in organi distanti.
È evidente che il gran numero di classi e sottoclassi rende agevole la tipizzazione di un cancro. Ciò è utile perché consente un riferimento preciso ai protocolli di terapia per quel ‘tipo’ di cancro, perché
lo identifica in modo univoco ed universale, perché consente a sanitari diversi ed a strutture diverse di seguirlo nel tempo. Qualche esempio:
T1c N0 M0 patologico indicherà un tumore della dimensione tra 1 e 2 cm. senza coinvolgimento metastatico dei linfonodi locali e senza metastasi presenti in organi distanti.
T4b N2 M0 indicherà un tumore già aderente alla cute con metastasi presenti nei linfonodi ascellari fissi tra loro e senza metastasi periferiche
T1a N0 M1 indicherà neoplasia inferiore ai 0.5 cm, senza coinvolgimento linfatico locale ma con metastasi presenti in organi distanti.
Motivi pratici ed esigenze di più facile comprensione hanno indotto a semplificare il sistema TNM scegliendo le classi più omogenee e riunendole in modo da ricondurle soltanto a 4 gruppi o Stadi, sia
pure comprendenti alcune sottocategorie:
Stadio 0
Tis N0 M0
Stadio I
T1 N0 M0
Stadio IIA
T0 N1 M0 oppure
T1 N1 M0 oppure
T2 N0 M0
Stadio IIB
T2 N1 M0 oppure
T3 N0 M0
Stadio IIIA
T0 N2 M0 oppure
T1 N2 M0 oppure
T2 N2 M0 oppure
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T3 N* M0 (*n1 o n2)
Stadio IIIB
T4 N* M0 (* con ogni stato di interessamento di N) oppure
T* N3 M0 (* indica ogni stato di T)
Stadio IV
T* N* M1 (* con ogni tipo di T e ogni tipo di N)
Elaborazione di protocolli terapeutici
elaborazione di protocolli terapeutici che basandosi sulla stadiazione della malattia forniscono gli orientamenti e le linee guida per la scelta degli interventi chirurgici e di quelli adiuvanti o
neoadiuvanti da praticare.
Interventi
La stadiazione costituisce il momento fondamentale nel percorso della malattia neoplastica maligna della mammella perché ad essa è legata la scelta della terapia e la prognosi. Il cancro mammario è
ormai studiato da molti decenni e la gran massa di dati raccolti ha consentito di elaborare stime attendibili per quanto riguarda il destino delle pazienti che ne sono affette. Statisticamente è possibile
rilevare come questa malattia, che costituisce la prima causa di mortalità per neoplasie nella donna, in realtà quando svelata in fase pre-clinica ha un tasso di sopravvivenza a 5 e 10 anni altissimo, che
in situazioni particolari può raggiungere il 95-98% dei casi!. Viceversa quando la malattia è al IV stadio soltanto il 5% delle donne riesce a sopravvivere oltre i 10 anni. Oltretutto le attuali vedute in
tema di terapia chirurgica del cancro presuppongono in linea di massima per piccoli tumori piccoli interventi e per grandi tumori grandi interventi. Ciò significa che le donne alle quali sarà possibile
risparmiare la mammella hanno grosse probabilità di salvare la vita mentre per le altre, maggiore sarà la mutilazione peggiore sarà la prognosi. Sotto questo aspetto la stadiazione ha grande importanza
perché:
rende univoco l’atteggiamento chirurgico nei riguardi della malattia a quel determinato stadio e quindi a prescindere dal chirurgo, dalla struttura e dal paese in cui viene eseguito l’intervento.
Fatta salva naturalmente la professionalità dell’operatore e la qualità del servizio offerto.
sottrae una decisione difficile rispetto ad un intervento che può essere più o meno invasivo e mutilante al rapporto empatico tra chirurgo e paziente.
costituisce una valida motivazione nei confronti delle comprensibili obiezioni della paziente e sovente dei suoi familiari contro un intervento particolarmente mutilante.
Gli interventi chirurgici che si effettuano sulla mammella sono rigorosamente stabiliti dai protocolli presenti nelle linee guida che riguardano questa malattia ed ai quali si rinvia per ulteriori
informazioni. In generale gli interventi chirurgici eseguiti sulla mammella sono i seguenti:
Biopsia mammaria e tumorectomia La biopsia consiste nell’asportazione di frustoli di tessuto in genere mediante un ago-aspirato. Essa può essere incisionale se si limita ad asportare una piccola
parte di un tumore più voluminoso o escissionale quando asporta in blocco tutta la neoplasia. Nel concetto di biopsia è implicito quello di esame istologico che può essere effettuato estemporaneamente
da un patologo che esamina al microtomo congelatore il pezzo anatomico inviatogli dal chirurgo o differito quando il pezzo viene esaminato in un secondo momento rispetto all’intervento. La
tumorectomia consiste nella asportazione del tessuto mammario limitatamente al tumore con o senza la cute che lo ricopre. È un intervento terapeutico vero e proprio che trova indicazione per forme
tumorali benigne o per particolari forme tumorali maligne molto limitate. Si distingue dalla biopsia escissionale perché mentre questa è un intervento finalizzato alla diagnosi nel caso della
tumorectomia si tratta di un intervento finalizzato alla terapia.
Tumorectomia allargata (stadi pre-clinici) Corrisponde alla escissione di una parte di ghiandola mammaria contenente il tumore insieme al quale viene escisso almeno 1 centimetro di parenchima
sano circostante. È un intervento che viene praticato per neoplasie molto piccole e spesso nemmeno palpabili. Il chirurgo per asportare queste aree segue il percorso di un filo metallico introdotto come
repere in precedenza sotto controllo ecografico o stereotassico e per avere la certezza di aver effettuato la exeresi completa della zona malata invia il pezzo anatomico ad un controllo radiografico.
Quest’ultimo permette la comparazione del pezzo asportato (attorno al repere metallico) con quello visibile nel radiogramma praticato prima dell’intervento.
Quadrantectomia (intervento proposto da Veronesi dell’I.T.M. per gli stadi iniziali) Per quadrantectomia si intende l’asportazione di un pezzo di ghiandola mammaria con la cute soprastante e la
fascia del muscolo grande pettorale. Nelle mammelle piccole la exeresi può interessare uno dei quattro quadranti in cui anatomicamente si divide la mammella. In quelle più voluminose corrisponde
alla asportazione di uno ‘spicchio’ di mammella. È un intervento che consente ottimi risultati estetici. In alcune circostanze dà risultati paragonabili ad una mastoplastica riduttiva tanto da richiedere il
rimodellamento del seno contro-laterale diventato asimmetrico rispetto a quello operato.
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Mastectomia sottocutanea (per gli stadi iniziali ) Questo intervento prevede l’asportazione dell’intera ghiandola mammaria preservando la cute della mammella ed
il complesso areola-capezzolo. È l’intervento opportuno quando si voglia ricostruire in contemporanea la mammella mediante inserimento di protesi.
Mastectomia con risparmio cutaneo (Skin sparing mastectomy) Questo intervento prevede l’asportazione della ghiandola mammaria con o senza complesso
areola-capezzolo rispettando completamente od in parte la cute soprastante.
Mastectomia totale (malattia in stadio avanzato) Consiste nella asportazione in blocco della ghiandola mammaria, della cute sovrastante e del complesso areola
capezzolo. Nell’intervento di Patey si associa la asportazione del muscolo piccolo pettorale e l'asportazione dei linfonodi ascellari. Nell’intervento di Madden si
conservano entrambi i muscoli pettorali e si procede ad asportazione soltanto dei linfonodi ascellari di I livello. La ricostruzione mammaria è possibile in
contemporanea o differita preparando una tasca muscolare in cui verrà inserito un espansore cutaneo e successivamente una protesi di silicone.
Intervento di quadrantectomia
per carcinoma mammario
Mastectomia totale (malattia in stadio molto avanzato) E’ l’intervento storicamente più antico nato per la necessità di asportare voluminosi tumori e di conseguenza
concepito in modo molto aggressivo e destruente. Consiste nella asportazione in blocco della intera mammella compresi i due muscoli pettorali su cui poggia e
dell’intero pacchetto di linfonodi che vanno dalla mammella al cavo ascellare. L’ampia demolizione impedisce una ricostruzione mammaria mediante protesi e richiede interventi più complessi ed
articolati in cui vengono utilizzati cospicui lembi miocutanei trasferiti con la vascolarizzazione propria dalla loro posizione originaria.
Asportazione dei linfonodi Può trattarsi di una dissezione ascellare completa quando si effettua l’asportazione del pacchetto ascellare corrispondente ai 3 livelli di Berg. Può interessare in altri casi
solo quelli del I livello, come nell’intervento di Madden. Può assumere un significato terapeutico quando i linfonodi sono invasi da metastasi. In altre circostanze può consentire una adeguata
stadiazione e quindi indirizzare alle terapie adiuvanti e consentire valutazioni prognostiche attendibili. Rispetto al passato, quando la exeresi della catena linfatica ascellare era la regola, oggi si tende a
ritenere inutile e forse dannoso l’asportazione di linfonodi indenni da metastasi, almeno per le neoplasie in fase iniziale. Recentemente la scuola del prof. Veronesi ha proposto un protocollo che
prevede la asportazione di un solo linfonodo, il cosiddetto linfonodo sentinella, che è quello al quale per primo giungono le metastasi tumorali. Questo linfonodo viene marcato con metodi di
colorazione vitale o con sostanze radioattive. Nel corso dell’intervento, una volta individuato, viene asportato ed inviato all’esame istologico estemporaneo. Se tale indagine è negativa nel senso che
non rivela focolai metastatici si può evitare di procedere alla exeresi della catena linfatica che invece viene praticata in caso di positività dell’esame.
Terapia adiuvante e neoadiuvante La terapia chirurgica rappresenta uno dei momenti del percorso terapeutico. Oggi si tende a limitarla nella sua aggressività per il fatto che la malattia tumorale
viene considerata come sistemica e capace di dare metastasi fin dal suo esordio. Alla chirurgia, in base ad una serie di ulteriori valutazioni, possono essere associate altre terapie, dette adiuvanti (di tipo
endocrino, chemioterapico, radioterapico, ecc.) che aiutino l’organismo a combattere le possibili micrometastasi già presenti all’atto dell’intervento chirurgico. Le valutazioni sull'opportunità e sul tipo
di terapia adiuvante sono legate alla stato dei linfonodi (invasi o non) allo studio dei recettori ormonali, all’età ed allo stato menopausale o non della donna. Nel caso di tumori in fase particolarmente
avanzata e corrispondenti allo stadio IV, che erano quelli probabilmente più frequenti ai tempi di Halsted, oggi l’orientamento è di non operarli. I risultati migliori si ottengono invece sottoponendo la
donna ad alcuni cicli di chemioterapia o radioterapia finalizzata a ridurre la massa tumorale. Successivamente può essere praticata la mastectomia. Questa terapia che precede l’intervento viene detta
terapia neoadiuvante.
Voci correlate
Senologia
Storia della mastectomia
Chemioterapia
Radioterapia
Collegamenti esterni
immagini interventi : http://www.breastcancer.org/treatment_picture.html
linee guida: http://www.senologia.it/foncam/default.html
approfondimenti:http://www.mammo.it/
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Categoria: Chirurgia
Ultima modifica per la pagina: 16:06, 27 dic 2006.
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