La chimica letta attraverso l`opera dei suoi protagonisti

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La Chimica letta attraverso l’opera dei suoi protagonisti
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ROMANELLI MATTEO
BIANCONI MARIA CONCETTA
LA CHIMICA LETTA ATTRAVERSO L’OPERA DEI SUOI PROTAGONISTI
IL PERIODO ANTICO
La chimica nasce come tecnologia e non come scienza a partire dal IV millennio a.C. nell’area del Mediterraneo
orientale (Egitto, Mesopotamia, Asia Minore). A quell’epoca gli scopi principali erano essenzialmente di carattere
pratico (lavorazione dei metalli, produzione del vetro, estrazione di pigmenti naturali…), ma in Egitto la khemeia1
assunse rapidamente significato religioso. I greci per primi cominciarono a dare alla materia anche un connotato teorico,
ma questo rimaneva basato sul metodo deduttivo aristotelico, che permise ben poche scoperte.
L’ALCHIMIA
L’alchimia venne all’inizio praticata da Arabi e Bizantini a partire dal V secolo, passando
successivamente anche nell’Europa occidentale. Lo scopo dell’alchimista era la scoperta della pietra
filosofale, una fantomatica sostanza in grado di trasformare ogni materiale in oro. Ovviamente
l’alchimia non raggiunse mai il proprio scopo, ma fu molto importante per l’eredità che lasciò ai
futuri chimici, come la scoperta delle proprietà di molte sostanze o la messa a punto di nuovi
strumenti. Inoltre nell’alchimia si trovano anche le radici delle odierne farmacologia e fisiologia. L’alchimia entrò in
crisi con la formulazione da parte di Galileo Galilei del metodo scientifico sperimentale e poi viene considerata
conclusa con l’opera di Robert Boyle.
ROBERT BOYLE, IL CHIMICO SCETTICO
Si può senza dubbio alcuno affermare che l’opera di Boyle abbia precorso i tempi di almeno
150 anni, anticipando quella dei primi chimici moderni. Robert Boyle nacque a Lismore, in
Irlanda, nel 1627, figlio del duca di Cork. La provenienza da una famiglia nobile gli consentì di
coltivare la passione per gli studi e in particolare per l’alchimia. Ebbe la possibilità di viaggiare in
Francia e in Italia, dove conobbe l’opera di Galileo. Grazie alla sua abilità sperimentale, come
detto sorprendente per l’epoca, unita ad un’elevata capacità speculativa, riuscì a cogliere diversi
successi: enunciò la legge isoterma PV=k, poi fissò per primo lo 0 come temperatura di fusione
del ghiaccio, infine dimostrò sperimentalmente il paradosso idrostatico 2 , già spiegato
teoricamente da Stevino con l’omonima legge. Ma la sua opera principale è il libro “Il chimico scettico” in cui riassume
le proprie scoperte, critica aspramente la teoria degli elementi, dimostra che l’aria è un miscuglio ed enuncia una prima
teoria corpuscolare, che poi ritroveremo, perfezionata, nell’enunciato di Dalton. Infine definisce per la prima volta i
termini composto e elemento in questi termini:
ELEMENTO: sostanza non separabile ulteriormente nemmeno con reazioni chimiche
COMPOSTO: sostanza formata da più elementi.
Negli ultimi anni della sua vita si dedicò soprattutto a ricerche pratiche, ma ebbe ancora successi, come la scoperta del
fosforo o la sintesi dell’acido fosforico. Morì a Londra nel 1691, dopo aver fondato la Royal Society, che aveva come
scopo lo scambio di informazioni e la cooperazione tra differenti scienziati. Anche qui in anticipo, Boyle aveva capito
che la ricerca non può essere compiuta da uno scienziato isolato, ma deve essere il risultato dell’unione delle differenti
esperienze di vari ricercatori.
STAHL E IL FLOGISTO: UN PASSO INDIETRO NELLA RICERCA CHIMICA
Il Seicento è stato un secolo di grande sviluppo economico, a partire dalla fine della grande
epidemia di peste del 1630. Per questo l’attività estrattiva dei metalli divenne sempre più importante,
per sostenere la continua crescita delle manifatture, primo nucleo di quel fenomeno oggi noto come
rivoluzione industriale. Ma, pur essendo le tecniche di lavorazione dei metalli note fin dall’epoca
degli Ittiti, alcuni processi restavano tuttavia oscuri. Soprattutto era complicato lo studio della
combustione e della calcinazione dei metalli. Infatti si osservava che durante la fusione parte di essi
bruciava, trasformandosi in calce ed aumentando di peso. Mentre poi scaldando queste calci con
carbone, riavevamo il metallo di partenza, assieme ad una diminuzione di peso. Per risolvere la
1
Da kham (terra) oppure da khumos (succo)
Qualunque sia la forma del recipiente, la forza premente è uguale al peso del liquido contenuto in un cilindro con base uguale al fondo del
recipiente e altezza pari alla distanza tra il fondo e la superficie libera del fluido.
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questione, nel 1715 il professore tedesco Stahl, dell’università di Jena, avanzò la teoria del flogisto: metalli e
combustibili erano ricchi di questa sostanza dalle straordinarie proprietà: aveva peso negativo, era il principio
dell’infiammabilità, aveva la facoltà di uscire da un corpo per entrare in un altro. Stahl dunque spiegò con queste due
reazioni i fenomeni di combustione e calcinazione:
METALLO – FLOGISTO = CALCE (avendo il flogisto peso negativo, la calce pesa più del metallo)
CALCE + COMBUSTIBILE = METALLO + CENERE (il combustibile è ricco di flogisto, lo cede alla calce, che
così riduce il suo peso e diviene metallo)
La teoria di Stahl può sembrare oggi abbastanza astrusa, ancora figlia di una mentalità alchimistica, piuttosto che di
una ricerca scientifica, ma ebbe grande successo specialmente in Inghilterra e in Francia. Solo nel 1770 alcuni
iniziarono a mettere in dubbio la validità di quella che a tutti gli effetti è stata la prima teoria chimica di ampie
proporzioni, ma si dovrà attendere Lavoisier nel 1789, perché la teoria venga del tutto superata. Per assurdo, però, oggi
si può dire che la teoria del flogisto sia stata anche di qualche utilità per la chimica: infatti le frenetiche ricerche fatte dai
chimici per tentare di isolare il flogisto (che ovviamente non fu mai trovato) produssero una serie di scoperte accessorie,
che furono humus necessario per il lavoro di Lavoisier.
Georg Ernst Stahl non deve però essere ricordato solamente per la sua teoria del flogisto, ma anche per i suoi studi
sulla fermentazione, che in alcuni punti restano ancora oggi validi, e per quello sui sali di potassio. Inoltre fu il primo ad
osservare che gli acidi possono avere differenti gradazioni di forza. Fu anche eccellente medico, tanto da divenire
dottore personale di Federico Guglielmo I di Prussia.
LA CHIMICA PNEUMATICA
È necessario, prima di approfondire la nascita della chimica moderna grazie alle prime tre leggi ponderali di Lavoisier,
Proust e Dalton, accennare rapidamente alle ricerche sui gas che alcuni scienziati compirono nel XVIII sec., ottenendo
risultati fondamentali per lo sviluppo della disciplina.
Fino al XVI secolo, l’unica sostanza aeriforme conosciuta era l’aria, ritenuta, secondo la teoria aristotelica degli
elementi, non un miscuglio ma una sostanza pura. Poi ci fu il fondamentale lavoro del fiammingo Jan Baptist van
Helmont, che scoprì l’anidride carbonica dalla combustione del legno e per primo usò il termine gas, adattamento
fonetico al fiammingo della parola greca chaos, che nella cultura classica indicava la caotica sostanza primordiale che,
una volta ordinata, dette vita al kosmos.
Ricordiamo ora altri importanti ricercatori: Henry Cavendish, inglese, personalità poliedrica che, nonostante le nobili
origini, condusse una vita semplice per amore della scienza. Ottenne notevoli risultati: nel 1766 scoprì l’idrogeno
tramite la reazione: Me  acido  sale  H 2 e poi fu anche il primo, nel 1784, a sintetizzare l’acqua. Oltre a questo, è
ricordato anche come grande fisico in quanto riuscì a determinare con un geniale esperimento basato su una bilancia a
torsione il valore della costante di gravitazione universale G contenuta nella formula di Newton F  G
m1m2 3
ma
r2
soprattutto compì ricerche sui circuiti elettrici con straordinari risultati che gli consentirono tra l’altro di anticipare le
leggi di Ohm. Purtroppo la morte lo sorprese nel 1810, prima che i suoi risultati potessero essere completamente
pubblicati. Sarà lo scozzese Maxwell a riscoprire, alla fine del XIX° secolo le sue ricerche in maniera completa.
La scoperta dell’ossigeno è dovuta a Priestley e Scheele, che in maniera indipendente giunsero, contemporaneamente
allo stesso risultato. Joseph Priestley (1733-1804), non fu solamente chimico, ma anche filosofo e teologo, pur non
raggiungendo in questi ultimi due campi i livelli di eccellenza che lo contraddistinsero nella ricerca scientifica, alla
quale tuttavia si dedicò solo negli ultimi anni della sua vita, quando fu costretto a rifugiarsi, per motivi politici, negli
Stati Uniti, appena divenuti indipendenti, collaborando con illustri personaggi come Benjamin Franklin. Karl Wilhelm
Scheele nacque in un sobborgo di Göteborg nel 1742, in una famiglia di umili condizioni. Studiò per otto anni farmacia,
trasferendosi a 27 prima a Stoccolma e poi alla prestigiosa università di Uppsäla. A soli 35 anni però, decise di ritirarsi
dalla carriera accademica, rifiutando addirittura un’offerta dall’università di Berlino, per potersi dedicare in tranquillità,
nella piccola cittadina di Köping, ai suoi studi di chimica, che furono molto fecondi: scoprì l’ossigeno, il cloro, dimostrò
che la grafite è composta da carbonio, scoprì l’acido cianidrico (HCN), quello ossalico (H2C2O4) e quello lattico. Ancora
oggi l’arsenito rameoso (Cu3AsO3) è conosciuto come verde di Scheele. Il farmacista svedese inoltre dà il suo nome
anche ad un minerale, la scheelite, dal quale per primo estrasse il tungsteno (W). Nel 1779 ottenne la glicerina. Morì nel
1786.
3
G  6,67 1011
N  m2
kg2
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LAVOISIER: NASCE LA CHIMICA MODERNA
Antoine Laurent de Lavoisier segna una svolta decisiva nella storia della chimica. Nato in
una ricca famiglia borghese parigina nel 1743, si dedica inizialmente agli studi umanistici,
particolarmente s’interessa di giurisprudenza. Ma già a vent’anni i suoi interessi si erano
spostati nelle materie scientifiche: anatomia, chimica e botanica. A 25 anni iniziò un’indagine
meteorologica assieme ad altri ricercatori dell’Accademia delle scienze, che portò ad un
radicale cambiamento nelle tecniche agricole della Francia. Si dedicò al perfezionamento della
bilancia, che diventò strumento insostituibile delle sue ricerche. Nel 1787 pubblicò un’opera
sulla riforma della nomenclatura e del simbolismo chimici. Ma la sua pubblicazione fondamentale è di due anni dopo:
Traité Elémentaire de Chimie, dove espone le sue teorie antiflogistiche, ma soprattutto enuncia la prima legge ponderale,
nota come legge di conservazione della massa: in una reazione chimica la massa totale delle sostanze reagenti è
uguale alla massa delle sostanze prodotte.4 Con questa affermazione Lavoisier confuta una volta per tutte le teorie
flogistiche di Stahl, dimostrando che in realtà le reazioni prese in considerazione da Stahl si potevano spiegare
facilmente considerando l’intervento dell’ossigeno. Morì nel 1794, ghigliottinato, vittima del periodo del terrore.
PROUST: LA LEGGE DELLE PROPORZIONI DEFINITE E COSTANTI
Nel 1799, a 10 anni dall’enunciato di Lavoisier, rimanevano però ancora vivi nell’immaginario
collettivo alcuni principi alchimistici, come quello secondo cui una stessa sostanza avesse
composizione differente a seconda della zona in cui era stata trovata. A superare questa idea così
diffusa, pensò Joseph Louis Proust (1754-1826), chimico francese che tuttavia svolse gran parte
dei suoi studi in Spagna, dove il re Carlo IV lo aveva nominato direttore della scuola di artiglieria
di Segovia. Qui poté studiare la pirite e il solfuro di ferro (FeS2 e FeS), composti necessari nella
fabbricazioni delle polveri da sparo, attività per cui era pagato lo scienziato. Proprio l’utilizzo
dell’analisi chimica, di cui fu uno dei fondatori, gli permise di dimostrare che la composizione percentuale di Fe e di S
era costante in qualsiasi campione si analizzasse, di qualsiasi provenienza. Poi Proust ripeté con successo l’esperimento
anche sul carbonato rameico (CuCO3) e sull’acqua. Nel 1806 si ritirò a vita privata, studiando miglioramenti per le
mongolfiere, da poco inventate. La sua legge sostiene che“in un composto chimico puro gli elementi costituenti sono
sempre presenti in un rapporto di massa definito e costante”.
DALTON: LA PRIMA TEORIA ATOMICA
John Dalton fu figura poliedrica e fondamentale nello sviluppo della chimica moderna,
riportando d’attualità la teoria atomica che era già stata formulata, anche se su basi non
sperimentali ma solo deduttive, nell’antichità greca da Leucippo e Democrito e ripresa in
epoca romana da Lucrezio nel De Rerum Natura. In epoca rinascimentale, con la riscoperta
delle antiche filosofie antiaristoteliche, dimenticate nel Medioevo5, alcuni pensatori riportarono
in auge tale idea, di cui anche Boyle, in alcuni testi, parrebbe essere sostenitore. Ma Dalton fu
il primo a proporla su basi scientifiche.
Il primo importante risultato fu l’enunciazione della terza legge ponderale, nota anche con il
suo nome oppure come legge delle proporzioni multiple: quando due elementi si combinano
tra loro per formare due o più composti, i rapporti tra le quantità in massa di uno stesso
elemento, combinato con quantità fissa dell’altro sono espressi da numeri interi, generalmente piccoli. Dalton lavorò
con le anidridi del cloro: Cl2O, Cl2O3, Cl2O5, Cl2O7.6 Si vede chiaramente che, tenendo fisse le due moli di Cl, abbiamo
un rapporto per l’O di 1:3:5:7 moli7.
Poté così formulare la teoria atomica, che si configura come la sintesi delle tre leggi ponderali, riassunta da Dalton in
quattro punti:
1. La materia è costituita da particelle piccolissime e indivisibili chiamate atomi
2. Gli atomi di uno stesso elemento sono tutti uguali ed hanno la stessa massa; atomi di elementi diversi hanno
masse diverse (come si evince dalla legge di Proust)
Tale legge deve oggi tuttavia essere parzialmente corretta alla luce della celebre equazione di Einstein E  mc . Infatti quando il sistema non
è isolato (e in sistemi reali non lo è mai), c’è sempre uno scambio di energia e dunque anche una variazione di massa. Tuttavia per reazioni nonnucleari l’energia è talmente bassa che il difetto (o l’aumento) di massa non è mai registrabile strumentalmente ed è pertanto trascurabile. Nelle
reazioni nucleari invece non è affatto così: il Sole perde ogni secondo, a causa della serie di reazioni nucleari della catena protone-protone, 5∙109
kg di massa
5 Perché in contrasto con la tomistica, una rilettura dell’aristotelismo in chiave cristiana
6 Rispettivamente anidride ipoclorosa, clorosa, clorica e perclorica
7 Quantità di sostanza corrispondente a 6.023∙1023 unità.
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3. Atomi differenti possono combinarsi tra loro in rapporti diversi e le combinazioni avvengono fra atomi interi e
non tra frazioni di atomi. (Dalton)
4. In una combinazione chimica gli atomi degli elementi conservano la loro identità e non vengono distrutti
(cambia soltanto il modo in cui essi si combinano per formare un composto). (Lavoisier)
Da ciò deriva che l’atomo è definibile come una particella di materia che durante le reazioni chimiche mantiene la
propria identità.
Dalton però sbagliò su un punto, e cioè sulla spiegazione della differenza tra composti ed elementi: infatti ignorava
l’esistenza delle molecole e sostenne l’esistenza di atomi composti, di peso uguale alla somma degli atomi elementari
che lo compongono.
Non è un errore da poco, infatti Dalton se lo portò dietro anche nella fase successiva della sua ricerca: si propose
infatti l’ambizioso obiettivo di massare tutti gli atomi allora conosciuti. Non esistendo strumenti così accurati da
permettere un’esatta misura del peso atomico. Poiché misurare una grandezza significa confrontarla con un’unità di
misura data, riuscì comunque a superare il problema, decidendo di non utilizzare come termine di paragone il
kilogrammo ma la massa dell’atomo che entrava nei rapporti ponderali sempre con il numero minore e cioè l’H, che
divenne l’u.m.a. (unità di massa atomica)8. Un atomo di H pesava 1 u. Gli altri atomi venivano massati in relazione
all’H. Il problema giunse quando si arrivò all’O. Nell’acqua il rapporto tra H e O era di 1:8, ma non conoscendo la
molecola (H2O) non si poteva escludere che l’atomo complesso di acqua fosse HO o addirittura HO2. Ma Dalton
introdusse in maniera arbitraria (non empirica e dunque errata) il principio della massima semplicità: in assenza di
evidenze contrarie, si deve proporre la formula più semplice. Dunque l’acqua è HO e l’O ha massa 8u. Quest’errore sarà
corretto solo 50 anni dopo.
Dalton nella sua vita si occupò però anche di altro: fu eccellente meteorologo (e anzi in questa disciplina cominciò la
carriera), fisico (enunciò la legge della somma delle pressioni dei gas parziali) e si dedicò anche alla medicina,
studiando su sé stesso la malattia oggi nota come daltonismo. Morì a 78 anni nel 1844 nella sua città natale, Manchester.
BREVE STORIA DELLA U.M.A.
L’u.m.a., o dalton, si è resa necessaria per i chimici, data l’impossibilità di massare in termini assoluti atomi e
molecole. Dalton la stabilì nell’H, poiché era l’atomo che entrava con il numero più basso nei rapporti ponderali. Ma
ben presto si passò all’O, in quanto l’ossigeno forma composti con tutti gli altri elementi ed era dunque più facile il
confronto: corretto l’errore di Dalton e riconosciuto che l’O è 16u, si stabilì la nuova u.m.a. in 1/16 dell’O. Solo
recentemente la IUPAC decide di passare alla dodicesima parte del carbonio-12, in seguito alla scoperta degli isotopi e
alla creazione di strumenti a campi magnetici, come lo spettrometro di massa, 9 in grado di calcolare con estrema
precisione la massa degli atomi. La u attuale vale 1,66∙10-27 kg, mentre l’atomo di H vale 1,67∙10-27 kg. Come vediamo
la differenza è minima, quasi impercettibile, ma la correzione ha soprattutto carattere teorico. Oggi l’H ha una u.m.a. di
1,008, non tanto per questa minima correzione quanto per l’esistenza di due isotopi: deuterio e trizio.
BERZELIUS RIORDINA LA NOMENCLATURA
Il barone Jöns Jach Berzelius fu amico di Dalton, ma soprattutto un grandissimo chimico.
Coetaneo dell’inglese, non ebbe la sua versatilità, ma si dedicò solo alla chimica.
Razionalizzò i simboli chimici 10 , inserendone uno certo per ogni elemento, basato
sull’iniziale del nome in lingua greca o latina. Propose l’O come u.m.a. e diede il nome di
ammonio allo ione NH4+. Fu il primo chimico organico ed enunciò i concetti di isomeria,
allotropia e polimeria, oltre alle leggi dell’elettrochimica. Scoprì un gran numero di elementi:
selenio, calcio, torio, cerio, bario, tantalio, zirconio, vanadio, stronzio. Descrisse le proprietà
del silicio. Fu Presidente dell’Accademia delle Scienze di Stoccolma dal 1810 fino alla morte
nel 1848, a 69 anni.
BREVE STORIA DELLA CHIMICA ORGANICA
Apriamo ora una parentesi per analizzare una branca della chimica che cominciò il suo sviluppo proprio in questi anni
e che oggi sta assumendo sempre maggiore importanza: la chimica organica. La chimica organica si occupa dello studio
delle molecole tipiche dei viventi, a differenza di quella inorganica, che si occupa di sostanze minerali. Fino al XIX
secolo, si credeva che si trattasse di due campi completamente separati, poiché si ritenevano i composti organici
caratterizzati da una vis vitalis 11 che poteva essere infusa solo da organismi viventi. Nel 1828 però ci fu un
8
Indicata con vari simboli: u.m.a., u, d (da Dalton)
Basato sul fatto che due corpi che viaggiano alla stessa velocità, di carica uguale, percorrono orbite circolari di raggio proporzionale alla massa
10 Nel periodo alchimistico essi erano rappresentati con i simboli dei pianeti o comunque derivanti dall’astrologia. Non c’era organicità, anzi, per
impedire che altri venissero a conoscenza delle proprie ricerche, spesso la simbologia cambiava da alchimista ad alchimista
11 Forza vitale, in latino
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importantissimo esperimento del tedesco Friedrich Wöhler il quale riuscì a sintetizzare l’urea [CO(NH2)2], composto
organico, partendo da sostanze inorganiche come il cianato d’ammonio (NH4OCN). Pertanto si capì che era sbagliata la
precedente definizione e se ne dette una nuova. Sono molecole organiche quasi tutti i composti del carbonio.12 Si notò
infatti che il carbonio entra, spesso con lunghe catene polimerizzate, in tutti i composti organici. Perché tale centralità
del C? Esso si trova nel gruppo IVA della tavola periodica, e ciò gli garantisce caratteristiche favorevoli: - possibilità di
fare 4 legami; - possibilità di formare lunghe catene covalenti pure, anche con ramificazioni complesse; - un valore di
elettronegatività (2,1) tale da rendere covalenti (e poco polari) tutti i legami; - una stabilità dovute alla piccola
dimensione dell’atomo (77 pm)13; - la possibilità di formare molecole isomere, cioè con stessa formula grezza 14 ma
diversa struttura. Dal 1828 dunque nasce la chimica del C su basi scientifiche. Vari studiosi hanno contribuito al suo
sviluppo, ma in particolare dobbiamo ricordare Friedrich August Kekulé von Stradonitz, professore di chimica prima
a Gand, in Belgio e poi a Bonn, nato a Darmstadt, in Germania nel 1829 e morto nel 1896. Egli è stato colui che ha
permesso di trovare ordine in quella che lo stesso Wöhler definì, in una lettera a Berzelius del 1835: “una primitiva
foresta tropicale […] dalla quale è impossibile districarsi e in cui è pauroso entrare”. Fu lui a teorizzare la tetravalenza
del C15 e a comprendere l’importanza di ideare una scrittura che evidenziasse anche la struttura delle molecole. Fu così
che nacquero le fondamentali formule di struttura. Kekulé stesso cercò di ricavarne il maggior numero possibile: nel
1867 ricavò il tetraedro del metano, ancora prima, nel 1862, scoprì i primi composti a catena ciclica e nel 1865 ricavò la
formula di struttura di quello più importante, il benzene (C6H6). Esso era stato scoperto nel 1825, ma fu Kekulé a
comprendere che esso aveva forma esagonale con tre legami semplici e tre doppi, non localizzabili precisamente, ma
delocalizzati (oggi sappiamo che tale fenomeno è causato da un’ibridazione laterali tra sei orbitali py). Sessant’anni
prima della VB, davvero una felice intuizione! Ma Kekulé deve molto al suo maestro, il barone Justus von Liebig
(1803-1873), di cui era concittadino. Egli fu il primo ad introdurre nelle facoltà scientifiche all’Università le lezioni in
laboratorio. Fu lui a scoprire il concetto di isomeria e, assieme a Wöhler, quello di radicale, ossia un gruppo di atomi
che può trasferirsi in blocco da un composto ad un altro durante una reazione. Nel 1831 isolò il titanio, poi sintetizzò il
cloroformio. Fu il primo a tentare una teoria sugli acidi, definiti composti in cui l’H è sostituibile con un metallo.
Pubblicò anche una rivoluzionaria teoria sugli alimenti, che suddivise in grassi, carboidrati e proteine secondo la loro
funzione. Fece scalpore la sua teoria secondo cui il calore animale deriva dalla combustione degli alimenti. Nell’ultima
fase della vita si occupo di chimica quotidiana, studiando il funzionamento dei concimi, le proprietà chimiche del vino e
quelle della carne.
Nell’ultimo secolo la chimica organica ha trovato applicazione specialmente in due settori:
quello industriale, soprattutto grazie allo studio delle reazioni di polimerizzazione, e quello
medico, grazie allo sviluppo della biochimica e lo studio della struttura delle molecole
necessarie alla vita più complesse. Per quanto riguarda il primo campo, dobbiamo ricordale
l’opera di Giulio Natta, nato ad Imperia nel 1903, professore presso il Politecnico di Milano,
vincitore del premio Nobel per la Chimica nel 1963. Egli partì dallo studio dei polimeri 16,
notando come fosse possibile produrli facendo reagire numerose volte tra loro molecole di
alcheni17. Notò poi che utilizzando alcuni catalizzatori organometallici18 combinati con metalli
di transizione come Ti o V, si ottenevano reazioni a catena che permettevano in maniera rapidissima la formazione di
lunghe catene polimerizzate. Oltre alla velocità, c’era poi un altro vantaggio forse ancora più importante: le molecole
ottenute dal prof. Natta erano altamente cristallizzabili, dunque eccezionalmente più stabili di polimeri a struttura
irregolare che erano quanto di meglio fin lì si era riusciti a produrre artificialmente. Questa scoperta ebbe ripercussioni
fondamentali nel mondo dell’industria: ancora oggi questa tecnica viene utilizzata per produrre materiali divenuti ormai
indispensabili come la plastica19.
Nel campo biochimico, nel corso del XX secolo si è cercato di ricostruire la struttura delle molecole
dei viventi, consci del fatto che da questa poi deriva la loro funzione. Un ruolo fondamentale
ricoprono in questo ambito le ricerche di Emil Fischer, professore bavarese Nobel per la Chimica nel
1902. Egli in gioventù aveva determinato la struttura di molecole complesse come la caffeina, ma i
risultati principali li ottenne studiando la sintesi proteica. In particolare, è considerato il padre della
12
Esclusi CO, CO2, HCN, H2CO3
1 picometro (pm) = 10-12 m
14 Il modo più semplice per descrivere un composto, che enuncia solo le specie chimiche coinvolte in esso.
15 Vale a dire la capacità del carbonio di formare contemporaneamente 4 legami covalenti
16 Grosse molecole organiche, a elevata massa molecolare, ottenute combinando tra loro piccole molecole, dette monomeri, che ne costituiscono le
unità fondamentali
17 Gli alcheni sono idrocarburi caratterizzati dalla presenza di un legame doppio nella catena di C
18 Molecole composte da un metallo e da un radicale organico, scoperte negli USA nel 1953-54
19 In particolare il prof. Natta vinse il Nobel per aver sintetizzato con tale procedimento il politene, con cui ancora oggi vengono prodotte le
bottiglie per l’acqua minerale.
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chimica degli enzimi. Riuscì infatti ad identificarne un gran numero e fu il primo a definirne la funzione. Partendo dai
suoi studi, negli ultimi anni, i ricercatori sono riusciti a definire le differenze tra le reazioni chimiche che avvengono in
un essere vivente e quelle di laboratorio: 1) le reazioni biochimiche si verificano a temperature relativamente basse20 e
sono in genere abbastanza veloci. Ciò avviene grazie alla presenza di speciali catalizzatori, gli enzimi appunto, dotati di
alta specificità 21 ; 2) Quasi tutte le sostanze che costituiscono le cellule sono complesse macromolecole (poliosi 22 ,
proteine, acidi nucleici, acidi grassi ecc.); 3) Uno stesso composto può subire trasformazioni diverse a seconda dei casi,
a causa della variazione delle condizioni chimico-fisiche della cellula che permettono l’attivazione di enzimi diversi.
Negli ultimi anni, dopo la Seconda Guerra Mondiale, i biochimici si sono dedicati allo studio delle più complesse
molecole organiche: gli acidi nucleici (DNA e RNA). Una pietra miliare nella ricerca è senza dubbio la scoperta del
modello a doppia elica del DNA da parte di James Watson e Francis Crick, nel 1953, che ha aperto la strada allo
studio dei meccanismi dell’ereditarietà biologica. Non c’è dubbio che oggi sia questo il campo su cui si stanno
concentrando gli sforzi dei ricercatori.
GAY-LUSSAC E LA PRIMA LEGGE VOLUMETRICA
Anche Louis Joseph Gay-Lussac cominciò come meteorologo, ottenendo eccellenti
risultati grazie all’utilizzo della mongolfiera, con la quale raggiungeva anche i 7000 m di
altitudine per studiare la differente pressione dei gas. Proprio da qui nacque il suo amore per
la chimica e la fisica pneumatica. Cominciò a studiare in laboratorio e già a 30 anni, nel 1808,
aveva ottenuto brillanti risultati, ricavando la legge isocora, a volume costante P = kT, e la
prima legge volumetrica: quando due gas, a condizione di T e P costante, si combinano, i
loro volumi stanno in rapporto numerico semplice tra loro e con il prodotto della reazione, se
questo è un gas. Alcuni risultati però smentivano clamorosamente la teoria daltoniana: ad
esempio 1L di H + 1L di Cl davano 2L di HCl. Berzelius aveva già detto che volumi uguali di
gas diversi, a parità di T e P, contengono lo stesso numero di particelle. E questo principio
venne confermato da questa legge (altrimenti sarebbero rimaste alcune tracce di uno dei due
reagenti). Ma lo svedese, come il suo amico Dalton, credeva che i gas fossero formati da atomi e dunque che si dovesse
formare 1 solo L di acido cloridrico. Infatti possiamo mostrare per via grafica cosa sarebbe accaduto se la teoria di
Dalton fosse stata corretta (il pallino nero rappresenta l’H, quello bianco il Cl): ● + ○ = ●○. Allora perché l’evidenza
empirica mostra che otteniamo due volumi di HCl? A questa domanda darà risposta Avogadro tre anni dopo. Dalton
invece, dal canto suo, furioso per aver visto smentita in parte la sua teoria, non volle riconoscere mai questi risultati ed
anzi iniziò a sostenere che la teoria corretta era la sua, portando a sostegno le leggi di Coulomb sulla carica elettrica.
Grazie al grande prestigio internazionale di cui godeva, Dalton ebbe la meglio e ci vollero più di quarant’anni prima che
la comunità scientifica riconosca pienamente i meriti di Gay-Lussac e soprattutto di Avogadro. Il chimico francese nella
seconda parte della vita divenne professore presso la Sorbona di Parigi e poi, nel 1831 anche deputato all’Assemblea
Nazionale. Si dedicò soprattutto ad applicazioni pratiche ed inventò l’etilometro, l’antenato di quello che oggi
chiamiamo “palloncino”, cioè dello strumento che consente di calcolare il tasso alcolico di una persona. Visse per un
periodo anche in Italia, compiendo studi di geologia. Morì a 72 anni, nel 1850, in un incidente nel suo laboratorio di
Parigi: un banale errore provocò un’esplosione fatale.
AMEDEO AVOGADRO: LA TEORIA ATOMICO-MOLECOLARE
Quasi mai ricordato quando si parla dei più insigni scienziati della storia del nostro paese,
Amedeo Avogadro è stato in realtà, per le implicazioni che hanno avuto le sue ricerche, una
delle figure fondamentali della scienza, non solo chimica, a livello mondiale. Forse questa
scarsa considerazione è dovuta al fatto che i suoi meriti gli furono riconosciuti solamente post
mortem, come purtroppo troppo spesso accade, a causa del maggior prestigio che Dalton
poteva vantare rispetto al chimico piemontese. Nato a Torino nel 1776, Amedeo Avogadro
conte di Quaregna e Cerreto si dedicò agli studi di legge, compiendo una brillante carriera
fino a divenire segretario di prefettura della capitale del Regno dei Savoia. Si appassionò alla
scienza solo in seguito e compì studi di matematica, fisica e chimica da autodidatta. Già nel
1809 divenne professore di matematica e fisica presso il Liceo di Vercelli. Due anni dopo inizia a studiare i risultati di
Gay-Lussac e giunge ad una conclusione straordinaria: volumi uguali di gas diversi contengono lo stesso numero di
molecole. L’introduzione del concetto di molecola consente ad Avogadro di spiegare allo stesso tempo le tre leggi
ponderali e la legge di Gay-Lussac. Infatti la molecola viene definita come la depositaria delle proprietà specifiche
delle sostanze. Vediamo cosa accade con molecole biatomiche: ●● + ○○ = ●○ + ●○. Così è risolto il problema. Ma la
Nell’uomo circa 37° C
Ogni enzima è attivo per una sola reazione chimica
22 Cioè zuccheri polimerizzati
20
21
La Chimica letta attraverso l’opera dei suoi protagonisti
7
comunità scientifica si mostrò riluttante ad accogliere l’ipotesi di un professore di liceo al posto di quella di Dalton e
così Avogadro, che nel frattempo ottenne la cattedra di fisica a Torino, morì nel 1856 senza ottenere la considerazione
che avrebbe meritato. Solo in seguito i chimici, con un omaggio postumo, definirono numero di Avogadro il numero di
molecole (o atomi o ioni) contenuti in una mole, numero che è sempre costante e che è di 6,023∙1023. Una mole è una
quantità di sostanza di massa in grammi pari alla sua massa molecolare (o atomica) relativa (cioè calcolata rispetto alla
u.m.a.).
IL CONGRESSO DI KARLSRUHE E STANISLAO CANNIZZARO
Nel 1859-1860 i chimici decisero di tenere un congresso internazionale per poter discutere
degli ultimi sviluppi della materia e scambiare informazioni su teorie, nuove tecniche di
ricerca ecc.
Ma il protagonista assoluto di quel congresso divenne il siciliano Stanislao Cannizzaro,
nato a Palermo nel 1826, docente all’Università di Genova a causa di un esilio dovuto alla sua
partecipazione a rivolte anti-borboniche. Egli riuscì a dimostrare l’esattezza della teoria
molecolare formulata cinquant’anni prima da Avogadro. La molecola venne così definita: “La
più piccola parte di sostanza (semplice o composta) capace di esistenza indipendente e che
presenta l’identità e le proprietà chimico-fisiche della sostanza”. Per questo nel caso dei gas
nobili si parla di molecola monoatomica, per non dover stravolgere di nuovo questa definizione.
Cannizzaro inoltre presentò nuovi metodi per determinare la Mr delle sostanze gassose (o riconducibili questo stato)
e quella dell’Ar23 di elementi presenti in sostanze gassose (o riconducibili). Le Mr le calcolò notando che il rapporto fra
la massa di ugual volume di due gas a parità di P e T è pari al rapporto tra le loro Mr. Tenendo fisso come uno dei gas
l’H2, la cui Mr è 2, riuscì a calcolare le altre. In questo modo l’O divenne, come era corretto, 16u.
Il metodo per calcolare le Ar è invece ancora oggi noto come Regola di Cannizzaro: “Per determinare l’Ar di un
elemento basta considerare un gran numero di suoi composti, il maggiore possibile (tale da evitare omissioni
significative), determinare di ciascuno la Mr e per ciascuno dedurre, attraverso l’analisi chimica, la quantità
dell’elemento considerato contenuta in una quantità del composto pari alla sua Mr: l’Ar è definita dal valore più basso
così ottenuto.” Altri due fisici avevano da poco pubblicato, per i metalli, cui non si può applicare questo procedimento,
la regola nota con il loro nome, vale a dire Dulong – Petit: Ar moltiplicato per il calore specifico24 dà sempre una
costante uguale a 6,4 cal/°C. Si tratta in realtà di una regola ottenuta con una serie di approssimazioni e il cui risultato
non è dunque sempre preciso, oltre a essere limitata da diverse eccezioni. Ma per l’epoca, anch’essa fu molto utile.
Dopo il congresso, Cannizzaro riprese l’attività accademica, tornando nella sua città natale dopo l’Unità d’Italia e
passando poi all’Università di Roma dopo la breccia di Porta Pia (fu un fervente sostenitore del Risorgimento).
Confermò la tetravalenza del C, che come abbiamo visto era già stata ipotizzata da Kekulé. Morì a Roma nel 1910.
MENDELEEV E IL SISTEMA PERIODICO
Al congresso di Karlsruhe, partecipò anche un giovane chimico russo, nato a Tobol’sk, oltre
gli Urali, in piena Siberia, nel 1834. Da giovane si recò negli Stati Uniti, per studiare il petrolio,
poi tornò in Russia, da cui non si allontanò più se non per alcuni convegni o congressi.
Professore a Pietroburgo, nel 1869 pubblicò una classificazione periodica degli elementi. Il suo
nome era Dmitrij Ivanovic Mendeleev. All’epoca diversi chimici avevano già tentato di
ordinare gli atomi degli elementi conosciuti, avendo notato che godono di proprietà che
tendono a ripetersi in alcuni di essi. Come scrive Isaac Asimov: “Nel 1830 si conoscevano 55
elementi […] In effetti, il numero cominciava a sembrare troppo elevato ai chimici […] quanti
ne rimanevano ancora da scoprire? Dieci? Cento? Mille? Un numero infinito? Era una tentazione cercare di trovare
un po’ d’ordine nella lista degli elementi noti. Forse in questo modo si sarebbe riusciti a scoprire un qualche motivo del
numero degli elementi e qualche mezzo per spiegare la varietà delle proprietà esistenti.” 25 . Il primo che tentò di
proporre un ordine fu il tedesco J. W. Döbereiner che nel 1829 propose la teoria delle triadi, terzetti di atomi di peso
atomico crescente, ma con proprietà chimiche simili: per esempio Li, Na, K; oppure Ca, Sr, Ba; o anche P, As, Sb.
Osservando la tavola periodica odierna, si noterà che si trovano in quest’ordine nei gruppi IA, IIA e VA. Ma le sue
ricerche non furono prese in considerazione da altri scienziati. La questione torno d’attualità negli anni ’60, dopo
Karlsruhe, quando De Chancourtois propose una classificazione a spirale, nei raggi della quale si inserivano gli
elementi che differivano per 10 unità di massa atomica. Ma questa non era la strada giusta. Più importante fu certamente
il contributo dell’inglese Newlands che enunciò la legge delle ottave: se si ordinano gli atomi secondo massa atomica
Mr = Massa molecolare relativa; Ar = massa atomica relativa. Relative perché misurate rispetto all’u.m.a. e non al kg.
Il calore specifico è la quantità di calore necessaria per aumentare di 1° C la temperatura di 1 kg di una determinata sostanza
25da I. Asimov, “Breve storia della chimica”, Ed. Zanichelli
23
24
La Chimica letta attraverso l’opera dei suoi protagonisti
8
crescente, si può notare che le proprietà tendono a ripetersi ogni otto elementi. Ma questa teoria fu a torto ridicolizzata
perché simile alla musica.
Mendeleev intuì che la chiave potesse essere la massa atomica e per questo sistemò gli elementi in una tabella ad otto
colonne, riempiendo le righe secondo il criterio della Ar crescente. Le righe furono chiamate periodi, mentre le colonne
gruppi. In ogni gruppo gli atomi differivano per peso, ma avevano le stesse proprietà chimiche. Per poter mantenere gli
elementi con stesse proprietà nel medesimo gruppo, Mendeleev dovette però lasciare dei buchi, che se il suo sistema si
fosse rivelato corretto, sarebbero dovuti essere occupati da elementi ancora non scoperti. Così quando furono isolati il
gallio, lo scandio e il germanio si vide che andavano a collocarsi nel posto lasciato libero per gli atomi di quelle
caratteristiche. La scoperta del cesio da parte di Bunsen26 e Kirchhoff27 fu la prova definitiva che sancì la validità del
sistema periodico di Mendeleev. La compilazione permise anche di risolvere un problema incontrato dal professore
russo: ad un certo punto dovette invertire le posizioni di tellurio Te e iodio I e di cobalto Co e nichel Ni mettendo prima
il più pesante, per inserire l’elemento nel gruppo che possedeva le sue stesse proprietà chimiche. Mendeleev però non
seppe dare una spiegazione a questa “eccezione”, che in realtà non era tale, perché, come spiegò il fisico inglese
Moseley: “Le proprietà degli elementi sono una funzione periodica del loro numero atomico Z”, cioè del numero dei
protoni, che nel frattempo erano stati scoperti.
Mendeleev continuò ad insegnare fino alla morte sopraggiunta a S. Pietroburgo nel 1907. In suo onore l’elemento con
Z=101, realizzato artificialmente nel 1957 con una reazione nucleare, è stato ribattezzato mendelevio. A pochi altri, cioè
Curie, Fermi, Einstein e Nobel, è toccato questo onore.28
GIBBS E VON HELMHOLTZ: NASCE LA TERMOCHIMICA MODERNA
In questo periodo abbiamo risultati di rilievo anche nell’ambito dello studio dei meccanismi che sono alla base delle
reazioni chimiche. In particolare ci si chiedeva per quale motivo alcune reazioni avvengono a temperatura ambiente
mentre altre sono possibili solo ad altissime temperature o addirittura impossibili. Il lavoro di Josiah Gibbs e Hermann
Von Helmholtz permette di spiegare ciò. Essi giunsero alla medesima conclusione in maniera indipendente il primo a
Yale, il secondo a Bonn attorno al 1880. Essi considerarono l’entalpia [H] (cioè il contenuto termico di un sistema) e
l’entropia [S] (il disordine di un sistema). Essi considerarono il fatto che ogni sistema tende a raggiungere la situazione
più stabile (dunque con H più bassa) e più probabile, dunque con S più alta. Ma allora come mai in alcuni casi abbiamo
un aumento di H (esempio le reazioni endotermiche) o una diminuzione di S (esempio la formazione del ghiaccio)?
Gibbs comprese che l’energia totale di un sistema è divisibile in due parti: quella libera (che può produrre lavoro) e
quella vincolata (che viene dispersa in calore latente). Una reazione avviene spontaneamente quando c’è una
diminuzione di energia libera. Cioè, come ha quantizzato Von Helmholtz, G=S. Se questa formula da risultato
minore di zero, la reazione è possibile.
È interessante notare come questo risultato sia scaturito dall’opera di due studiosi che solitamente si occupavano
d’altro. Infatti Gibbs è stato essenzialmente fisico e matematico, autore di importanti studi sullo spazio vettoriale,
mentre Von Helmholtz è stato fisiologo, noto anche per essere stato il primo sostenitore di una teoria che prevedeva
un’origine extraterrestre per la vita sul nostro pianeta. Con il loro lavoro nasce la termochimica29 moderna.
BREVE STORIA DELLA CINETICA CHIMICA
Già nel XVI secolo, l’italiano Vannuccio Biringuccio si era dedicato allo studio del ruolo che il tempo ricopre nello
svolgersi di una reazione, ma i risultati più importanti, in tale campo, giunsero solo nell’Ottocento. La cinetica chimica
si pone come obiettivo quello di stabilire i fattori che influenzano la velocità di una reazione. Per velocità in questo
ambito si intende il rapporto tra la diminuzione di concentrazione dei reagenti e il tempo. Vedremo come questi risultati
abbiano consentito poi di scoprire il meccanismo alla base delle reazioni chimiche. Da un’osservazione empirica si nota
che la velocità di reazione è influenzata da 5 caratteristiche:
1. natura dei reagenti: più i legami chimici30 sono deboli, più veloce è la reazione;
2. concentrazione dei reagenti: maggiore è questa, più rapida è la reazione31
26
Da cui prende il nome lo strumento di laboratorio detto appunto becco Bunsen
Autore della legge dei nodi e della legge delle maglie nell’ambito dei circuiti elettrici
28 La IUPAC sta valutando i nomi da assegnare agli elementi 104, 105 e 106, attualmente denominati con delle sigle. Se una delle proposte
presentate sarà accolta, anche Rutherford avrà il “suo” elemento
29 Branca della chimica che si occupa dello studio dello scambio di energia (particolarmente calore) che avviene tra l’ambiente e la reazione
chimica
30 Ce ne occuperemo approfonditamente più avanti, per ora basti sottolineare che essi sono le forze che permettono l’esistenza delle molecole,
tramite l’aggregazione di atomi
31 Secondo la relazione v=k[A] B]
adre per
convenzione indicano la concentrazione molare
27
La Chimica letta attraverso l’opera dei suoi protagonisti
9
3. temperatura: la reazione è più veloce a temperature più alte. Gia l’olandese Jacobus Hendricus Van’t Hoff32
empiricamente ricavò che ogni aumento di T di 10° C, si ha un raddoppio o una triplicazione della velocità, ma
sarà solo Svante Arrhenius (che ritroveremo poi) che ne dimostrerà la dipendenza esponenziale33;
4. eventuale presenza di catalizzatori (come MnSO4, solfato manganoso, oppure gli enzimi del corpo umano) che
velocizzano la reazione
5. una maggiore superficie laterale dei reagenti, a parità di volume, fa aumentare v.
Nel 1918 il chimico americano William Lewis riassunse tali risultati in quella che è nota come teoria delle collisioni.
Infatti egli comprese che la reazione chimica avviene tramite una serie di collisioni tra le molecole dei reagenti. Tuttavia
gli urti devono essere efficaci, cioè capaci di determinare la rottura dei precedenti legami, rendendone possibile la
formazione di nuovi, con il variare la posizione iniziale degli atomi. L’efficacia degli urti è dovuta alla geometria della
collisione e dall’energia cinetica delle particelle. Poiché l’energia cinetica è direttamente proporzionale alla temperatura,
si spiega l’influenza della temperatura. Si capisce anche l’importanza della concentrazione e della superficie laterale:
rendono più probabili gli urti efficaci34.
Fino a qui abbiamo analizzato però reazioni complete ed irreversibili, vale a dire che trasformano tutti i reagenti in
prodotti, senza che sia possibile la reazione inversa35. Tuttavia in natura le reazioni più numerose sono proprio quelle
incomplete e che dunque ammettono una reazione inversa che avviene contemporaneamente a quella diretta.
Empiricamente si osserva che all’inizio la velocità della reazione diretta è massima e quella inversa è minima. Se la
temperatura rimane costante le due velocità tendono sempre più allo stesso valore, fino a pareggiarsi ad un tempo
caratteristico per ogni reazione. Il chimico norvegese Peter Waage, docente di chimica all’Università di Oslo, nel 1868
enunciò pertanto la cosiddetta legge dell’azione di massa: ad una data T costante il rapporto tra le due velocità è
costante. Il suo collega di matematica applicata presso la stesso ateneo, Cato Guldberg, noto anche per studi sui moti
convettivi dell’atmosfera, si occupò della sua formulazione quantitativa: introdusse una costante K c, pari a al rapporto

cC  dD ,
tra le costanti cinetiche delle due reazioni diretta e inversa e la definì, per una reazione generica aA  bB
così: K c 
C c  Dd . Pertanto tale legge oggi è nota anche con il nome di legge di Guldberg-Waage.
Aa  B b
L’ultimo contributo fu quello del francese Henri Louis Le Chatelier. Il suo principio analizza infatti cosa avviene
quando viene turbato l’equilibrio raggiunto secondo la legge dell’azione di massa. In particolare esso afferma che
l’equilibrio si sposta verso la reazione che tende a contrastare il disturbo apportato. Ad esempio, se aumenta la pressione,
l’equilibrio si sposta verso la reazione che provoca una diminuzione del volume. Esso non è altro che la lettura chimica
del principio generale della fisica secondo cui in natura ciascun sistema tende spontaneamente all’equilibrio.
ALCUNE INTERESSANTI PROPRIETÀ DELLA MATERIA
Dopo Karlsruhe, con la definitiva accettazione della teoria molecolare, il lavoro dei chimici non era certamente
terminato: restavano numerosi proprietà della materia che non si riuscivano a comprendere: l’elettrizzazione per
strofinio ad esempio. Osservata già da Talete di Mileto nel VII sec. a.C. e descritta in relazione all’ambra da William
Gilbert36, medico personale della regina Elisabetta I, nel XVII secolo e da questo il fenomeno prese il nome: ambra in
greco = Sarà Charles de Coulomb con la sua legge F  k
q1q2
r2
37
nel 1785 che darà un’interpretazione
quantitativa del fenomeno. Ma dove si trovano le cariche nella materia? Nell’800 altri esperimenti mostrarono che le
soluzioni acquose, con disciolti acidi, sali e basi, conducevano elettricità. Faraday mostrò come in soluzioni
elettrolitiche passi l’elettricità nel 1830-31 e comprese il ruolo degli ioni, cosi detti dal termine greco che significa “che
migra”. Infatti gli ioni, che sono i prodotti delle reazioni di ionizzazione degli acidi e di dissociazione di basi e sali,
“migrano” verso il polo di carica opposta.
Nobel per la chimica nel 1901, è stato il fondatore della stereochimica organica (studio dell’attività delle molecole organiche esposte alla luce) e
colui che ha ricavato quantitativamente il valore della pressione osmotica delle soluzioni (=iMRT, dove i è appuntodetto coefficiente di Van’t
Hoff e indica il numero di ioni in cui è capace di dissociarsi l’elettrolita, M è la molarità [M=n/V]).
33 Infatti mostrò che k=Ae-E/RT, dove A è una costante che varia a seconda della reazione, E è l’energia di attivazione e R la costante universale dei
gas [8,31 J/(mol∙K)]
34 Da un punto di vista matematico, si dimostrò che il termine A che compare nella formula della costante chimica di Arrhenius, è in realtà il
prodotto di , chiamato fattore sterico, cioè la probabilità che un urto, una volta avvenuto, sia efficace (varia da molecola a molecola a seconda
della struttura), e di un fattore Z, una funzione piuttosto complessa nella quale intervengono varie costanti (quella dei gas, il  ecc.) e che dipende
linearmente dalla superficie laterale e sotto radice quadrata dalla temperatura.
35 Ne sono esempio le reazioni di combustione e di ossidazione
36 Famoso tra l’altro per aver formulato la prima teoria sul campo magnetico terrestre, secondo la quale esisteva all’interno del nostro pianeta una
gigantesca sbarra ferromagnetica
37 k= 8,99∙109 N∙m2/C2
32
La Chimica letta attraverso l’opera dei suoi protagonisti
10
L’ESPLORAZIONE DELL’ATOMO
Apparve chiaro che all’interno dell’atomo, in qualche modo, si dovesse trovare la spiegazione alla presenza di queste
cariche. Per fare ciò si inizio ad utilizzare un particolare strumento chiamato tubo di Crookes, riempito di gas.
Solitamente la materia allo stato aeriforme non conduce corrente, ma nei gas a volte assistiamo a delle ionizzazioni
spontanee, dovute all’azione di fattori esterni, come ad esempio i raggi cosmici (ultravioletti, gamma ecc.). Se poi si
applicano elettrodi con elevato d.d.p. (10.000 V), si assiste ad una valanga ionica, che provoca la creazioni di molti altri
ioni, detti secondari. Nel 1876 Goldstein osservò che, in particolari condizioni (d.d.p. 10.000 v, P 10-6 atm), partivano
radiazioni giallo-verdi dal catodo (-) all’anodo (+), da lui chiamate raggi catodici. Quattro modifiche apportate al tubo
consentirono agli scienziati di comprendere meglio la natura di questi raggi. Per prima cosa si introduce nel tubo un
ostacolo. Questo consente di capire che i raggi si propagano in linea retta. Poi si applica un campo magnetico e si vede
che i raggi sono sensibili al magnetismo. Applicando invece un campo elettrico si osserva che i raggi sono carichi
positivamente. Nel 1891 così Stoney afferma che i raggi catodici non sono radiazioni ma particelle. Non ha però prove
empiriche. Una quarta modifica al tubo di Crookes consentirà di dimostrarlo. Si applica un mulinello all’interno del
tubo, realizzato in maniera da rendere minimo l’attrito. Il mulinello si muove. Dunque i raggi catodici hanno una
quantità di moto38, e dunque una massa. Sono dunque particelle.
THOMSON E LA SCOPERTA DELL’ELETTRONE
Joseph Thomson nacque a Manchester nel 1856. Allievo di Maxwell, fu nominato professore di fisica presso
l’Università di Cambridge. Sotto la sua direzione il laboratorio di fisica di tale ateneo diviene uno dei più prestigiosi del
mondo. Si dedica allo studio delle caratteristiche elettriche della materia in particolare agli sviluppi inattesi della ricerca
sui raggi catodici. Nel 1897 con lo spettrometro di massa, che aveva contribuito a
perfezionare, riesce a ricavare il rapporto carica/massa delle particelle componenti i raggi
catodici. Sostituisce più volte il gas all’interno del tubo e anche il metallo del catodo, non
sapendo ancora con certezza se fosse il gas o il metallo a liberare i raggi (oggi sappiamo
essere il gas). In ogni caso riscontra lo stesso valore. Dunque queste particelle sono una
componente fondamentale dell’atomo, in quanto si riscontra, con uguale rapporto e/m in
tutti gli esperimenti. Si tratta della prima particella subatomica ad essere scoperta. Sarà
chiamata elettrone 39 . Thomson con questa scoperta è solo all’inizio di una brillante
carriera. Lo ritroveremo fra poco, quando tratteremo il suo modello atomico.
L’ESPERIENZA DI MILLIKAN
Nel 1911 il 43enne fisico Robert Andrews Millikan, originario dell’Illinois, con un geniale esperimento ricava il
valore esatto della carica dell’elettrone, dimostrando allo stesso tempo come la carica sia una grandezza quantizzata,
cioè possa assumere solo valori discreti40. L’apparato fondamentale dell’esperienza41 è costituito da un condensatore
all’interno del quale sono spruzzate da un nebulizzatore alcune goccioline d’olio, fatte prima passare in un condotto che
le caricasse. In un primo momento non applico alcuna differenza di potenziale tra le due armature, in modo tale da non
avere campo elettrico. Pertanto il moto della gocciolina, una volta a regime, cioè stabilizzatosi su un valore costante,
sarà caratterizzato dall’equilibrio tra tre forze: la gravità, la spinta di Archimede e la resistenza dell’aria. La gravità è mg,
con la massa uguale a densità per volume: Fg 
4 3
r  o  g . La forza di Archimede sarà, per definizione,
3
4
Farch  r 3   a  g . La resistenza dell’aria sarà, ancora per definizione,
3
Fres  6ru0 Uguagliando a 0 la
sommatoria di questi tre vettori, che agiscono su un’unica direzione, possiamo ricavare il valore del raggio della
gocciolina d’olio:
4 3
4
9u0
. Come si vede, si tratta di valori
r  o  g  r 3  a  g  6ru0  0  r 
3
3
2o   a g
noti o comunque facilmente misurabili. Se in un secondo momento applichiamo un campo elettrico, interverrà nel
sistema una quarta forza, di natura elettrica, che avrà valore Fe  q  E 
qV
(infatti V=Ed). Aggiungendo il valore di
d
La quantità di moto, che d’ora in poi indicheremo con p, è uguale al prodotto della massa per la velocità
Caratteristiche dell’elettrone: q= -1,60∙10-19 C; m=9,11∙10-31 kg.
40 Possiamo avere cioè solo cariche multiple intere di quella dell’elettrone: pertanto vi saranno cariche +3e (per e si intende la carica dell’elettrone)
o -5e ma mai cariche +3,5e
41 Riportiamo la legenda dei simboli che useremo: r raggio della gocciolina, q carica gocciolina, d distanza armature condensatore,  densità olio
o
(800 kg/m3), a densità aria (1,2 kg/m3), viscosità dell'aria, g accelerazione di gravità (9,81 m/s2), V differenza di potenziale tra le armature, u0
velocità senza campo elettrico E, u velocità con campo elettrico. Si suppone sferica la gocciolina.
38
39
La Chimica letta attraverso l’opera dei suoi protagonisti
11
questa forza alla sommatoria precedente, e sostituito u0 con u, dovrò ancora ottenere 0. A questo punto, conoscendo il
valore del raggio, possiamo ricavare la carica: q 
d
V
4 3


6ru  3 r  o   a g  . Ogni esperimento dava sempre
come risultato un multiplo di 1,60∙10-19 C. Pertanto tale valore è la carica dell’elettrone, e non vi è carica in natura che
non ne sia multiplo intero.
Millikan in seguito si dedicò a studi sull’equazione di Einstein e sulla fisica quantistica. Ottenne fra l’altro la prima
determinazione della costante di Planck.42 Nel periodo bellico si occupò di strumentazioni militari, in particolare di
tecnologia sottomarina. Poi si dedicò, con ottimi risultati, allo studio dei raggi cosmici. Nel 1923 ricevette il Nobel per
la fisica. Morì a Pasadena, presso Los Angeles, nel 1953.
GOLDSTEIN E LA SCOPERTA DEL PROTONE
Nel frattempo, Eugen Goldstein continuava le sue ricerche sui tubi. Nel tubo a raggi catodici, avviene la seguente
reazione: Ne → Ne+ + e-. I raggi catodici evidenziavano l’e-. Però Goldstein tentò un’altra modifica, forando il catodo.
Notò che, questa volta dall’anodo, partivano dei raggi rossastri. Applicando le modifiche sopra descritte si giunse alla
conclusione che si trattasse di particelle positive. Si trattava ovviamente del Ne+, perciò cambiando il gas, cambiava
anche il valore e/m. Il valore più piccolo si otteneva con l’H+. Gli altri erano suoi multipli. Sarà Rutherford a chiamarlo
protone43, cioè il primo. Ma prima, nel 1898, Wilhelm Wien ne enuncia le caratteristiche in 4 punti:
1. la massa delle particelle dei raggi canale varia a seconda del gas
2. la massa di qualunque tipo di particella positiva è di gran lunga maggiore di quella dell’elettrone
3. la massa più piccola si rileva con l’idrogeno
4. le altre masse ne sono tutte multipli.
THOMSON E IL PRIMO MODELLO ATOMICO
Alla luce di quanto scoperto, nel 1904 Thomson ipotizzò quale potesse essere la struttura dell’atomo. Nel 1904
presentò il suo primo modello: parlò di una sfera uniforme di carica positiva con “affogati” qua e là elettroni in modo
tale da rendere complessivamente neutra la struttura. Nel 1906 poi si corresse e presentò un nuovo modello, detto a
struttura piena o anche, in maniera anche un po’ ironica, a panettone: restano gli elettroni, ma sparisce la sfera uniforme,
suddivisa in tante particelle: i protoni. Il modello di Thomson, come vedremo, avrà vita breve. Nonostante ciò nel 1906
vinse il premio Nobel. Morì a Cambridge nel 1940.
ARRHENIUS, BRONSTED E LOWRY: LO STUDIO DI ACIDI E BASI
Prima di analizzare le varie teorie sulla struttura dell’atomo, è necessario aprire una parentesi su un non meno
importante campo di indagine che impegnò molti chimici nei primi trent’anni del ventesimo secolo: lo studio degli acidi
e delle basi. Le proprietà degli acidi e delle basi erano state studiate per tutto il XIX secolo, a partire da quando Faraday
ne aveva osservato la reazione di ionizzazione in soluzione acquosa. Era però necessario darne una definizione corretta e
precisa.
Il primo a formulare un ipotesi fu Svante Arrhenius. Chimico svedese, nacque nel 1859 a
Uppsala. Diventò prima professore e poi rettore dell’Università di Stoccolma. Si occupò a lungo
dello studio delle soluzioni acquose, ma nel 1900 propose anche una teoria sulla composizione
della coda delle comete. Nel 1903 vinse il Nobel. Nel primo decennio del 1900 dimostrò
teoricamente che un aumento dei gas serra nell’atmosfera è responsabile di un aumento della
temperatura terrestre44. In ambito biologico riprese l’idea di un’origine extraterrestre della vita già
enunciata da Von Helmhotz, perfezionandola con la teoria della panspermia, secondo cui la vita
sarebbe arrivata sulla Terra sottoforma di spore batteriche spinte dal vento solare. Abbiamo già
detto della sua determinazione del valore della costante cinetica di una reazione. Morì a
Stoccolma nel 1927.
Egli sostenne che è acida la sostanza che in acqua libera ioni H+ mentre è basica quella che libera ioni OH-. In realtà
dovette correggere questa definizione quando gli si fece notare che non tutti gli acidi possiedono H+ o le basi OH-.
Arrhenius si corresse dicendo che era sufficiente che queste sostanze spingessero l’acqua a liberare i suddetti ioni, ma la
sua teoria iniziò a scricchiolare
Migliore fu la teoria che il danese Johannes Brönsted e l’inglese T. Lowry misero a punto, in maniera indipendente,
nel 1923. Essi sostennero che era acida qualsiasi sostanza in grado di cedere protoni, mentre era basica una sostanza in
Il cui valore è h=6,63∙10-34 J∙s (d’ora in poi, se non chiaramente specificato, per h intenderemo tale valore)
Caratteristiche del protone: q= +1,60∙10-19 C; m=1,672∙10-27 kg.
44
Fenomeno che se oggi può apparire negativo, con il problema dell’eccessivo riscaldamento del pianeta (che tuttavia ha diverse concause e non
solo l’aumento delle immissioni umane di CO2) ma che in realtà è positivo, consentendo sulla Terra una temperatura adatta allo sviluppo della vita.
42
43
La Chimica letta attraverso l’opera dei suoi protagonisti
12
grado di acquistare protoni. Secondo loro non esistono acidi e basi a sé stanti, ma solo coppie coniugate: l’acido perde
il protone divenendo la sua base coniugata; la base accetta il protone, divenendo l’acido coniugato. Maggiore è la forza
dell’acido, più sarà debole la base coniugata e viceversa.
Un’ulteriore teoria sarà enunciata dall’americano G. N. Lewis negli anni ’30, ma di essa ci occuperemo quando
analizzeremo l’opera di questo poliedrico scienziato. Tuttavia, poiché essa corregge solo pochi aspetti, spesso a livello
empirico si lavora, per maggior semplicità, con la teoria di Brönsted-Lowry.
LA SCOPERTA DELLA RADIOATTIVITÀ
Nel 1896 il 44enne fisico parigino Henri Becquerel stava compiendo studi sui raggi X appena scoperti, utilizzando
tra l’altro dei sali di uranio. Come sempre, alla sera, prima di tornare a casa, pose tali composti in un cassetto che
conteneva occasionalmente anche delle pellicole fotografiche appena acquistate, dunque non impresse, che sarebbero
dovute servire per un esperimento l’indomani mattina. Quando il giorno dopo si apprestava ad utilizzare la pellicola, si
accorse che su di essa si trovavano delle macchie nere, come se qualcuno l’avesse usata. Poiché la sera prima era
vergine e nella notte nessuno poteva averla usata egli comprese che l’unica spiegazione fosse che l’uranio avesse
emesso una qualche radiazione. Perciò cominciò a studiare quest’aspetto. I risultati più importanti li ottennero i coniugi
Pierre e Marie Curie. Pierre Curie è stato uno dei più grandi scienziati della storia di Francia. Nato nel 1859, da
giovane studiò alla Sorbona di Parigi, dedicandosi allo studio della conduzione elettrica sui cristalli. Poi analizzò
l’influenza della temperatura sul magnetismo, dimostrando come i materiali ferromagnetici perdano le proprie
caratteristiche sopra una certa temperatura che, in suo onore, fu chiamata punto di Curie. Il 26 luglio 1895 sposò la
giovane fisica polacca Marie Sklodowska, costretta ad emigrare nel 1891 perché di idee antizariste45, con la quale
cominciò ad analizzare la scoperta di Becquerel. Essi ipotizzarono che l’uranio e il torio, emettendo radiazioni, si
trasformavano in nuovi elementi, che chiamarono polonio e radio. Ne ebbero conferma quando riuscirono ad isolare, da
un minerale chiamato pechblenda, i primi campioni di Ra. Nel 1903 vinsero assieme il Nobel per la Fisica,
condividendolo con Becquerel. Nel 1906 Pierre Curie morì, investito da un carro mentre attraversava la strada. La
moglie gli successe come docente di fisica alla Sorbona, prima donna nella storia ad insegnare presso la prestigiosa
università. Continuò gli studi sul radio, ottenendo un nuovo Nobel, stavolta per la chimica, nel 1911. Morì, intossicata
dalle radiazioni, a Sallanches nel 1934. La scoperta della radioattività, come vedremo fu decisiva per lo sviluppo della
ricerca sui modelli atomici e per la scoperta della terza particella atomica. I coniugi Curie ebbero anche una figlia, Irène,
che sposò il fisico Frédéric Joliot. Anche la figlia fu una brillante ricercatrice, tanto che per i suoi studi sull’azione dei
neutroni sugli elementi pesanti, in particolare sull’U, ottenne il Nobel, assieme al marito nel 1935, a soli 38 anni. Si
dedicò poi anche alla politica (ricoprì il ruolo di viceministro per la ricerca nel 1936, in seno all’esecutivo socialista,
appoggiato anche dai comunisti, guidato da Léon Blum) impegnandosi particolarmente per l’emancipazione femminile.
Nel dopoguerra ricoprirà in quest’ambito cariche a livello internazionale, continuando le ricerche sulle reazioni nucleari.
Morirà a 59 anni nel 1956. I suoi lavori degli anni trenta furono la base da cui partirà Fermi nel suo lavoro.
ERNST RUTHERFORD: IL MODELLO A STRUTTURA VUOTA
Il neozelandese Ernst Rutherford, nato nel 1871, fu stretto collaboratore di Thomson a
Cambridge e fu tra i primi a dedicarsi allo studio della radioattività. Fu anch’egli Nobel per la
chimica nel 1908, per ricerche effettuate con H. Geiger sulla radioattività del Th e sulla natura
delle particelle , che scoprì essere nuclei di He. Ma la sua scoperta più importante è successiva,
risale al 1911. Rutherford mise a punto un esperimento con il quale dimostrare l’esattezza del
modello del suo amico Thomson, ma finì per smentirlo. Pose una sottilissima (pochi micron)
lamina d’oro tra del polonio radioattivo (che emetteva radiazioni e una pellicola
impressionabile, che tuttavia circondava tutta l’area dell’esperienza. Se la teoria di Thomson fosse
stata corretta, il 100% delle emissioni avrebbe raggiunto in linea retta la pellicola (semplicisticamente si può
immaginare un proiettile che passa un cuscino). Ma non andò esattamente così: il 99% delle radiazioni era passata,
mentre meno dell’1% era stata deviata ed addirittura 1/8000 completamente respinta. Da ciò Rutherford comprese che
l’atomo era formato da un nucleo duro ma attorno al quale si trovava il vuoto. Allora propose un modello che ricordava
in piccolo il sistema solare: al centro si trovavano i protoni, condensati nel nucleo positivo, attorno al quale ruotavano,
come pianeti gli elettroni. Calcolò anche il rapporto tra raggio del nucleo e raggio atomico in 1/10.000.
NASCE LA FISICA MODERNA: L’IPOTESI QUANTISTICA, L’EFFETTO FOTOELETTRICO,
L’EFFETTO COMPTON, LA SPETTROSCOPIA
Nel 1795 la Polonia fu occupata e spartita tra Russia, Prussia ed Austria, a seguito di una crisi dinastica che dopo l’estinzione della dinastia
sassone al potere vide anche la destituzione del loro successore, il riformista di origini russe Poniatowski. Varsavia, dove era nata Marie Curie,
faceva in realtà parte della zona di occupazione prussiana, che tuttavia passò alla Russia dopo il Congresso di Vienna del 1815. La Polonia come
nazione indipendente fu ricostituita solo in seguito ai trattati di Versailles e St. Germain, alla fine della prima guerra mondiale.
45
La Chimica letta attraverso l’opera dei suoi protagonisti
13
Per poter comprendere gli sviluppi successivi della chimica, è ora necessario accennare brevemente ad alcune grandi
scoperte che segnarono l’inizio del ventesimo secolo e che fungono da premessa al successivo sviluppo della chimica
moderna.
Max Planck era un professore di fisica già affermato, nato nella città marittima di Kiel nel 1858, successore di
Kirchhoff, era soprattutto interessato a studi di termodinamica, in particolare riguardo il principio dell’entropia di
Clausius46. Nel 1900 stava studiando, sempre in quest’ambito, il corpo nero. Con questo termine si intende un corpo
che assorbe tutta la radiazione incidente su di esso e, se portato all’incandescenza, emette su tutte le frequenze dello
spettro elettromagnetico47.
Empiricamente, si realizzarono durante tutto l’Ottocento dei grafici, con la frequenza sull’asse delle scisse e l’intensità
dell’emissione su quello delle ordinate. Come risultato di vedeva che c’era una certa frequenza (e di conseguenza una
certa lunghezza d’onda)48 , detta picco, a cui corrispondeva una intensità massima mentre ogni altra frequenza aveva
comunque un’intensità minore del picco ma diversa da 0. Il grafico aveva approssimativamente dunque un aspetto a
campana49. Si notò così che l’andamento dipendeva solo dalla temperatura del corpo e non dalla sua composizione
chimica o da altri fattori. Il già citato fisico Wien poté così ricavare la sua legge sul corpo nero:
Hz 50
f picco  (5,88 1010
)T . Inoltre si vedeva che aumentando la temperatura aumentava l’area sottostante la curva e
K
dunque anche l’energia. Ludwig Stefan-Boltzmann notò che essa aumentava anche con l’aumento dell’area del corpo
nero. Pertanto enunciò la sua famosa legge: P  AT 4 51.
Tali legge erano, come detto, empiriche. Da un punto di vista teorico invece c’erano seri problemi52. Le leggi della
fisica newtoniana non erano infatti in grado di spiegare l’andamento dei grafici del corpo nero. Secondo queste infatti il
grafico avrebbe dovuto tendere all’infinito con una pendenza ripidissima, mentre alle alte frequenze essa tende a 0.
Questo problema fu definito perciò catastrofe ultravioletta. Planck per prima cosa riuscì a determinare una funzione
matematica che, rappresentata, desse come grafico la curva di emissione del corpo nero, che dunque in suo onore s’ora i
poi sarà chiamata curva di Planck. Ora però si doveva dare giustificazione fisica di questa funzione. L’unico modo per
spiegare ciò era assumere che l’energia fosse un multiplo intero del prodotto della frequenza per una costante che sarà
appunto chiamata costante di Planck, di valore h=6,63∙10-34 J∙s. Pertanto l’energia è quantizzata, potendo assumere
solo valori hf, 2hf, 3hf… La fisica classica, secondo cui invece poteva assumere qualsiasi valore era smentita. Tuttavia i
fisici, e Planck stesso, erano piuttosto scettici al riguardo: sembrava più un artificio matematico che una reale
rappresentazione della natura.
L’unico che pensava che tale teoria potesse essere valida fu un giovane fisico di nome Albert Einstein.
Egli, nato ad Ulm nel 1879, dovette a sedici anni emigrare con la famiglia a causa del fallimento
economico del padre, qui girovagò tra Milano, Pavia e Genova prima di emigrare di nuovo, stavolta in
46
Secondo cui
S 
Q
, dove Q è il calore scambiato dal sistema e T la temperatura assoluta.
T
47
In natura non esistono corpi perfettamente neri, i quali sono dunque detti ideali, ma ne sono buona approssimazione corpi solidi e liquidi portati
all’incandescenza e gas ad alta T e P
48
49
Poiché
v

T
 f
Tale definizione, data solo per facilitare la comprensione, non deve essere però presa alla lettera: in matematica il grafico a campana è tipico
solamente della funzione gaussiana, di equazione
50
Ne esiste anche un’altra versione:
 picco 
ye

x2
2
2,89 103 m  K
, più utile per applicazioni, come l’astrofisica, dove si usa per calcolare la T delle
T
stelle, in cui si può ricavare più facilmente la 
51 La potenza non è altro che energia fratto tempo;  è la costante di Stefan-Boltzmann, di valore 5,67∙10 -8 W/(m2∙K4); in realtà tale formula è
applicabile a qualsiasi corpo aggiungendo una costante di emittività e, che per il corpo nero vale 1.
52 Solo oggi i fisici le hanno dimostrate anche in via teorica, rifacendosi proprio al lavoro di Plance. Il procedimento è molto complicato, ma per i
lettori più curiosi forniamo i valori che così otteniamo per le due costanti:

2 5 k 4
xk
mentre per la legge di Wien C 
, dove x è la radice
2 3
h
15c h
dell’equazione trascendente 3  x e x  3 , risolvibile solo con i metodi di approssimazione numerica o per via grafica. k= 1,38•10-23 J/K
(costante di Boltzmann)
La Chimica letta attraverso l’opera dei suoi protagonisti
14
Svizzera. Qui il giovane Albert potè studiare al Politecnico di Zurigo, dove si laureò nel 1900 in matematica e fisica.
Nel 1902 accettò l’incarico di perito tecnico presso l’Ufficio brevetti. Gli anni dal 1902 al 1915 furono i più fecondi
della sua vita di scienziato. In primo luogo pubblicò nel 1905 la sua celebre teoria della relatività ristretta.53 Poi con
l’applicazione del suo modello a fotoni all’effetto fotoelettrico dette conferma della teoria di Planck. Nel 1911 riuscì a
matematizzare il moto browniano54, permettendo così di calcolare il valore del numero di Avogadro. Ottenne cattedre
prima a Praga e poi proprio a Zurigo. Nel 1915 pubblicò un ampliamento della sua teoria della relatività, nota con il
nome di teoria della relatività generale55 . Tornò in Germania per insegnare a Berlino, vinse il Nobel nel 1921, ma poi
fu costretto a fuggire negli USA quando il nazismo salì al potere. Era inviso ai nazionalsocialisti sia per le proprie
origini ebraiche sia per le idee cosmopolite e pacifiste. Assunse la cattedra di fisica a Princeton nel 1933, dove rimase
fino alla morte nel 1955. Negli ultimi anni di vita si allontanò dalla comunità scientifica internazionale, non riuscendo
ad accettare l’idea di universo in espansione e quella dell’incertezza della fisica quantistica.
Einstein fu il primo a pensare che la quantizzazione dell’energia potesse essere dovuta al fatto che la luce fosse
organizzata in “pacchetti” di energia, ciascuno dei quali aveva energia ricavabile dall’ipotesi di Planck 56 . Secondo
Einstein, si poteva pensare alla luce come ad un fascio di particelle, ciascuna con un carico hf di energia. Aumentandone
l’intensità, aumenta il numero di fotoni. Così si spiega anche la curva di Planck: la frequenza di picco è quella alla quale
viene emesso il maggior numero di fotoni. La verifica sperimentale Einstein la ottenne così: fece colpire una superficie
di metallo da un raggio di luce incidente, provocando l’emissione di un elettrone. Per liberare un elettrone è necessario
una quantità di lavoro W0. Secondo la fisica classica, dunque, avremmo dovuto assistere ad un’emissione con qualsiasi
frequenza della luce, essendo sufficiente solamente che l’energia fosse superiore a W0 e l’elettrone avrebbe dovuto avere
energia cinetica pari alla differenza tra l’energia del fascio di luce e il W0: quindi ad una maggiore intensità
corrispondeva una maggiore K. Invece sperimentalmente si osservava che, indipendentemente dall’energia, l’emissione
si aveva solamente se il fascio aveva una frequenza superiore ad un valore f 0 
W0
, mentre l’energia cinetica dipende
h
solo da f, un aumento di intensità provoca solo un aumento di elettroni emessi. Questo è considerata una verifica
sperimentale al modello a fotoni: infatti se la luce è un fascio di fotoni, aumentando l’intensità ne aumento solo il
numero, per aumentarne l’energia devo aumentarne la frequenza.
L’effetto Compton, dal nome del suo scopritore Arthut Holly Compton, ci mostra un’altra particolarissima
caratteristica dei fotoni: essi pur avendo massa 0, hanno una quantità di moto pari a
h

. Tale valore si ricava
teoricamente applicando le equazioni della relatività ristretta e se ne ha verifica sperimentale, ed è ciò che fece Compton,
facendo scontrare un fotone ed un elettrone ed analizzando l’urto elastico che avviene tra i due.
L’ultima innovazione che dobbiamo qui ricordare è lo sviluppo della spettroscopia. Il primo spettro di emissione fu
ottenuto da Isaac Newton, quando con il prisma scompose la luce visibile. All’inizio del Novecento invece si usava la
spettroscopia per riconoscere i vari atomi. Ciascuno di essi infatti emette, se portato all’incandescenza, alcune righe
particolari, corrispondenti a determinate lunghezze d’onda, diversi da elemento a elemento. Fu proprio osservando nello
spettro del Sole 57 alcune righe non note che nel 1868 Lockyer e Frankland scoprirono l’elio. Particolarmente
interessante era l’emissione dell’idrogeno, il quale emetteva nell’ultravioletto (serie di Lyman), nel visibile (serie di
Balmer, 4 righe viola, blu, verde mare, rosso) e nell’infrarosso (serie di Paschen)58. Lo svizzero Johann Jakob Balmer
trovò anche, empiricamente, una formula che permetteva di prevedere la lunghezza d’onda delle righe di emissione
53
la teoria si basa sul principio che le leggi fisiche devono essere le stesse per ogni sistema di riferimento inerziale e che la velocità della luce nel
vuoto è una costante ed è indipendente da quella della sorgente luminosa. Da questi postulati Einstein giunse a numerose concezioni del tutto
nuove che rivelarono i limiti della geometria euclidea, base della fisica classica. La conseguenza più importante, che ha favorito la scoperta e
l'utilizzazione dell'energia nucleare, fu quella dell'equivalenza tra massa ed energia espressa dalla celebre formula E= mc², dove E rappresenta
l'energia, m la massa e c la velocità della luce nel vuoto.
54 Il moto disordinato ed apparentemente casuale di particelle solide in sospensione in un liquido
55 dove, in base al postulato dell'equivalenza fra tutti i sistemi inerziali e non inerziali, formulò una nuova teoria della gravitazione in cui il campo
gravitazionale generato da ogni corpo materiale è rappresentato come una modificazione delle proprietà geometriche dello spazio fisico. Come
conseguenza di ciò, la geometria euclidea risultò insufficiente a descrivere le leggi secondo le quali i corpi si comportano nello spazio: infatti, la
curvatura dello spazio, ipotizzata dalla teoria, induce a considerare la retta, il piano e le altre entità geometriche, il principio d'inerzia e le altre
leggi classiche della teoria newtoniana della gravitazione universale, come casi limite validi solo, con grandissima approssimazione, per lo spazio
del nostro sistema planetario. La formulazione matematica della teoria fu possibile, in quanto Einstein adottò la nuova matematica non euclidea
formulata da Riemann. La validità delle affermazioni contenute nella teoria della relatività generale fu confermata sperimentalmente dalla
rotazione delle ellissi delle orbite planetarie intorno al Sole (constatata per Mercurio); dal fenomeno dello spostamento verso il rosso delle righe
spettrali delle stelle; dalla curvatura dei raggi luminosi per effetto dei campi gravitazionali (constatata durante l'eclisse del 29 marzo 1919).
56 Il quale invece propose come spiegazione una particolare oscillazione degli atomi del corpo nero, simile a quella delle corde stazionarie
nell’ambito dell’acustica
57 Il quale tuttavia non è di emissione ma di assorbimento
58 Esistono anche una serie di emissioni alle bassissime frequenze, tra cui le più note sono quelle di Brackett e Pfund
La Chimica letta attraverso l’opera dei suoi protagonisti
dell’H:
15
1 
 1
 R 2  2  , dove R è la costante di Rydberg59 mentre n e n′ sono dei numeri naturali60. Tale strumento,

n 
 n'
1
di vitale importanza in molti campi della scienza, come per esempio l’astrofisica, permise a Bohr di correggere il
modello di Rutherford, alla luce anche delle ultime scoperte della fisica, che lo scienziato neozelandese non aveva
considerato.
BOHR E L’ATOMO AD ORBITE QUANTIZZATE
Il modello di Rutherford, infatti, fu corretto solamente due anni dopo, nel 1913 dal giovane
danese Niels Bohr. Nato nel 1885, studiò presso l’Università di Copenaghen. Nel 1908, assieme
al fratello Harald, che diverrà uno dei principali matematici dello scorso secolo, partecipò alle
Olimpiadi di Londra nella squadra danese di calcio, vincendo la medaglia d’argento. Nel 1922
vinse il Nobel per la fisica61, proprio per il suo modello atomico. Si dedicò poi allo studio dei
nucleoni. Si rifugiò negli USA durante la seconda guerra mondiale, partecipando alle
sperimentazioni sulla bomba atomica a Los Alamos. Nel 1945, appena finito il conflitto, tornò a
Copenaghen dove continuò a studiare la meccanica quantistica. Negli ultimi anni della sua vita
ottenne numerosi riconoscimenti. Tra l’altro divenne membro dell’Accademia dei Lincei in Italia.
Morì nel 1962.
Secondo la fisica teorica, il modello di Rutherford era inaccettabile perché l’elettrone, che è una particella carica,
ruotando attorno al nucleo62 avrebbe dovuto emettere energia sottoforma di radiazione elettromagnetica. Come nel caso
di un satellite che subisce l’attrito dell’aria, in un tempo di 10-9 s l’elettrone sarebbe dovuto collassare a spirale sul
nucleo, pertanto la materia non potrebbe essere stabile come la vediamo oggi.
Bohr risolse questo problema. Egli partì dagli spettri dell’H e dalle scoperte di Planck ed Einstein. Per prima cosa
distinse il comportamento dell’elettrone eccitato da quello stazionario enunciando due postulati. I postulato: gli
elettroni non emettono onde elettromagnetiche allo stato stazionario poiché si muovono solo lungo orbite circolari
privilegiate, tali che qui il momento angolare63 sia uguale alla costante di Planck fratto 2. II postulato: si verificano
emissioni di onde elettromagnetiche solo quando un elettrone che era stato eccitato torna allo stato stazionario,
“saltando” da un’orbita consentita a maggiore energia ad una con minore. Ovviamente ciò sottintende che al momento
dell’eccitazione, l’elettrone che salta ad un livello energetico superiore. Bohr doveva ora dimostrare tali ipotesi. Per
prima cosa ricavo i valori della v dell’elettrone e del r dell’orbita, considerando che, secondo il I postulato, L  n
h
e
2
mv2
e2
 k 2 . Ottenne che il
che la forza centripeta doveva essere uguale alla forza elettrostatica di Coulomb, quindi
r
r
2


raggio era uguale a  2h 2 n 2 . Sembra complicato, ma non è altro che il prodotto di una serie di costanti. Per il
 4 mke 


primo livello il raggio ottenuto era di 5,29∙10-11 m, perfettamente identico al valore che sarà poi misurato
sperimentalmente. Tuttavia ai tempi non c’erano strumenti tanto sofisticati da risolvere distanze così piccole, così non fu
possibile effettuare tale verifica. Bohr ne presentò però una molto convincente. Calcolò infatti l’energia meccanica
dell’elettrone, considerandola come somma di energia cinetica e potenziali, facilmente ricavabili con le leggi della fisica
 2 2e 4  1
classica. Ottenne il seguente risultato: En   2 mk
 2 . Anche qui si tratta di una serie di costanti. Se considero

h2

n
 2 2 mk 2e 4  1
1 



ora 2 livelli energetici differenti, risulta chiaro che E  E f  Ei  
 n 2 n 2  . Tale energia,
h2

 f
i 
secondo il II postulato dovrà essere uguale all’energia dell’emissione elettromagnetica. Doveva dunque essere emesso
un fotone con energia uguale al E. Sapendo che, secondo Planck, E  hf 
hc

posso sostituire tale valore. Se poi
R=1,097∙107 m-1
In particolare n′≥1 indica la serie della riga (per esempio Lyman è 1, Balmer 2 e così via) mentre n≥ n′+1 indica il numero della riga (per
esempio la riga rossa di Balmer vale 2+1=3)
61 Anche il figlio Aage avrà quest’onore, nel 1975, per una teoria sull’organizzazione energetica dei nuclei atomici
62 Subendo quindi un’accelerazione centripeta
63 L=mvr (r è la distanza dall’asse di rotazione che, in questo caso, corrisponde al raggio dell’orbita)
59
60
La Chimica letta attraverso l’opera dei suoi protagonisti
16
 2 2 mk 2e 4  1
1
 2  2  . Il valore del primo fattore, formato solo da
 
3
  h c  n f ni 
costanti, è di R=1,097∙107 m-1. Dunque incredibilmente ho riottenuto l’equazione empirica di Balmer. Questa fu
considerata una formidabile dimostrazione della veridicità di tale modello, che ha avuto pure il merito storico non
indifferente di fungere da ponte tra la fisica classica di Newton e Maxwell e quella moderna.
porto a secondo membro hc, allora ottengo:
1
L’ATOMO DI BOHR-SOMMERFELD
Anche il modello di Bohr però presentava dei difetti. Quando infatti cercò di espandere il suo
modello ad altri atomi (fu sufficiente aggiungere un fattore Z alla formula, indicante il numero
atomico), non ebbe problemi con l’He, ma incontrava incongruenze addirittura già considerando
il litio (Z=3). A risolverli pensò il suo amico e collaboratore Arnold Sommerfeld, che nel 1916
propose delle correzioni che portarono ad un nuovo modello, chiamato appunto atomo di BohrSommerfeld. Introdusse altri numeri quantici: il numero l, da 0 a n-1, che indicava la forma
dell’orbita e che serviva per correggere il momento angolare e il numero m, da –l a +l, che
indicava il suo orientamento, detto magnetico perché ricavato dallo studio delle interazioni tra
l’elettrone ed un campo magnetico esterno. Poi, nel 1924, un altro collaboratore di Bohr, lo svizzero Wolfgang Pauli,
introdusse un nuovo numero, detto magnetico, che identifica lo spin con cui ruota l’elettrone e stabilì il principio di
esclusione (in ogni orbita possono trovarsi solo due elettroni di spin opposto). Pauli sarà anche il primo a sostenere
l’esistenza del neutrino. Sommerfeld invece continuò le sue ricerche, perfezionando la diffrazione a raggi X che poi nel
1953, tra le altre cose, servirà a Watson e Crick per scoprire la struttura a doppia elica del DNA. Mise anche a punto
una prima teoria delle bande per spiegare il legame metallico. Morì a Monaco nel 1951.
LA RIVOLUZIONE DEGLI ANNI ’20: DE BROGLIE, HEISENBERG, SCHRÖDINGER E L’ATOMO AD
ORBITALI
A questo punto sembrava che la struttura dell’atomo fosse stata finalmente scoperta. Ma negli
anni ’20 una serie di rivoluzionare scoperte posero a dura prova le certezze che in campo fisico erano
state fin lì acquisite. La prima fu opera del fisico francese Louis Victor de Broglie. Egli, nato da una
nobile famiglia nel 1892 a Dieppe, da giovane cominciò a dedicarsi a studi storici, ma ben presto si
dette alla fisica. Durante la prima guerra mondiale contribuì ad installare l’impianto radiofonico sulla
Torre Eiffel. Nel 1924 ottenne il risultato per cui è rimasto famoso. Egli fu molto colpito dai risultati
di Compton dell’anno precedente ed ebbe un’idea che poteva sembrare assurda ma che si rivelò
straordinaria: così come la luce presenta un aspetto corpuscolare, forse anche la materia può
presentare un comportamento ondulatorio. E dall’effetto Compton riprese anche l’equazione, isolando a primo membro
la   
h
. Chiaramente, essendo al denominatore p, tale comportamento sarà percettibile solo per masse molto
p
piccole, dato anche il valore infinitesimo di h. Ovviamente ci volevano anche delle verifiche sperimentali. La prima la
ottennero negli USA Davisson e Bremer nel 1925, verificando come anche un fascio di elettroni è soggetto al
fenomeno della diffrazione64, tipico delle onde. La seconda verifica la ottenne lo stesso de Broglie, applicando la sua
idea al modello di Bohr. Uno dei punti di debolezza di questo era il fatto che il valore del momento angolare enunciato
nel primo postulato era stato scelto in maniera assolutamente arbitraria, per adattare la teoria alla pratica. L’ipotesi di de
Broglie poteva giustificare tale valore. Infatti egli suppose le onde di materia analoghe a quelle su una corda: il moto di
un elettrone lungo l’orbita circolare del primo livello energetico era come quello di un’onda stazionaria su una corda.
Perché non dia luogo ad un fenomeno di interferenza distruttiva, la lunghezza della corda deve essere un multiplo intero
della . Pertanto si ha che n  2r . De Broglie riprese allora la sua equazione e sostituì
il valore di . Inoltre, poiché l’elettrone è anche una particella di materia, avrà anche una
quantità
di
moto
uguale
a
massa
per
velocità.
Pertanto
p  mv 
h

 mv 
h
nh
h
 mv 
 mvr  n
. È esattamente ciò che aveva
2r
2r
2
n
postulato Bohr. Questa fu considerata la prova definitiva della validità del modello di de
Broglie. Tuttavia ora si doveva riscrivere praticamente tutta il modello atomico di Bohr e
non si possedevano mezzi adeguati. A fornire tali strumenti furono Heisenberg e
Fenomeno per cui un fascio di luce o di un’altra onda, se fatto passare per una fenditura e proiettato, produce una massima intensità centrale e
poi, simmetricamente, minimi e massimi alternati.
64
La Chimica letta attraverso l’opera dei suoi protagonisti
17
Schrödinger.
Werner Heisenberg era un giovane tedesco, arrivato alla fisica quasi per caso, dopo essere stato rifiutato dalla facoltà
di Matematica all’Università di Monaco. Allievo di Sommerfeld e compagno di studi di Pauli, conobbe Bohr, di cui fui
assistente per sei mesi durante uno stage a Copenaghen. Nel 1927 divenne professore di fisica a Lipsia e nel 1932, a soli
31 anni, gli fu attribuito il Nobel per la fisica. Quando nel 1933 salì al potere Hitler, fu molto critico verso gli
pseudoscienziati nazisti, che rifiutavano la fisica del Novecento perché ebrea. Tuttavia il suo rapporto con il nazismo fu
alquanto ambiguo, perché fu uno dei pochi intellettuali a non fuggire dalla Germania, ed anzi ebbe anche incarichi
ufficiale per il regime. Però oggi sappiamo che se Hitler non riuscì ad ottenere la bomba atomica, fu anche per la sua
opera di sabotaggio dall’interno. Dopo la guerra fu arrestato con l’accusa di collaborazione con il nazismo, ma dopo
pochi mesi fu prosciolto. Così tornò ad insegnare all’Università di Monaco65 e si impegnò per far tornare ad alti livelli la
ricerca nella Germania Ovest. Morì nel 1976 a Monaco.
Il suo contributo è noto come principio di indeterminazione. Esso sostiene che esistono coppie di grandezze che non
possono essere misurate contemporaneamente con precisione assoluta, ma anzi l’approssimazione di una è inversamente
proporzionale all’altra. Un esempio di tali coppie è posizione – quantità di moto, un’altra è energia – tempo. Questa
dimostrazione, che mette in dubbio le basi stesse della fisica newtoniana, che invece era basata sull’assoluto
determinismo delle sue leggi, è considerata l’atto di nascita della fisica quantistica, fondata invece sull’incertezza. Essa
si fonda sul dualismo onda-materia teorizzato da de Broglie.
Heisenberg partì dall’esperimento della diffrazione a singola fenditura di un fascio di elettroni. L’equazione che
regola questo fenomeno è sin  

W
66
. In questo caso possiamo conoscere la posizione dell’elettrone con
un’approssimazione di y  W . Quando il fascio si sparpaglia si crea una quantità di moto py,, con relativa incertezza
p y . poiché è molto piccolo, possiamo approssimare sin   
vediamo che tan  
p y
67
. Allora  

W
. Applicando la trigonometria,
. Ma anche la tangente è approssimabile all’angolo per piccoli angoli. Quindi possiamo
px
h
 p y
uguagliare le due:
. Ma dall’equazione di De Broglie ricaviamo p x 
e sapendo che y  W abbiamo:


W
px
 p y
che con una semplice semplificazione diviene p y y  h . Quindi il prodotto delle incertezze sulla

h
y

posizione e sulla quantità di moto è all’incirca uguale alla costante di Planck. Heisenberg, con una trattazione più
rigorosa ottenne la relazione più precisa. p y y 
h
. Tra l’altro il fisico tedesco dimostrò che tale relazione è un
2
principio generale del tutto indipendente dal sistema a singola fenditura utilizzato per la dimostrazione. È inoltre
interessante notare il fatto che se noi volessimo determinare con precisione assoluta uno dei due fattori, l’altro dovrebbe
tendere ad infinito, cioè l’errore sarebbe immenso. Anche questo ha valore importante per i sistemi microscopici,
mentre è del tutto trascurabile a livello macroscopico. È inoltre interessante notare come ricorra ancora il termine
h
.
2
È chiaro a questo punto che il modello di Bohr debba essere completamente rivisto: parlare di orbite significa
sostenere di conoscere sempre con precisione ogni parametro dell’elettrone: velocità, posizione, energia… cosa che,
abbiamo visto, secondo Heisenberg è impossibile.
Si deve perciò cominciare a parlare di orbitali, i quali sono definiti zone di spazio nelle quali
ho almeno il 90% di possibilità di trovare l’elettrone. Per questi restano validi i 4 numeri
quantici introdotti da Sommerfeld, i quali indicano ancora livello energetico, forma,
orientamento e spin. Resta valido il principio di Pauli. Bisogna però trovare un modo
matematico per esprimerli
Chi arrivò a questo modello fu l’austriaco Erwin Schrödinger. Nato nel 1887 da una ricca
famiglia, compì studi umanistici ma decise poi di frequentare la facoltà di fisica all’Università
di Vienna. Nel 1914 fu costretto a partecipare alla prima guerra mondiale, combattendo sul
65
Lipsia infatti era passata alla DDR
Dove  è la semiampiezza angolare della zona di massimo centrale e W la larghezza della fenditura
67 La relazione in particolare è valida per angoli minori di 22,5°
66
La Chimica letta attraverso l’opera dei suoi protagonisti
18
fronte italiano. Nel 1917 fu però richiamato in patria e poté così cominciare la carriera accademica, prima in Austria, poi
in Svizzera infine in Germania, finché nel 1926 assunse la cattedra lasciata vacante da Planck a Berlino. L’ascesa di
Hitler lo convinse a trasferirsi ad Oxford68. Dopo l’Anschluss69, Schrödinger fu esiliato come oppositore. Perciò si
rifugiò a Dublino, dove rimase fino al 1957. Negli ultimi 4 anni della propria vita tornò a Vienna. È importante anche
per i suoi studi di biologia. Infatti è considerato il padre della biologia molecolare: fu il primo a comprendere
l’importanza di ricavare la struttura delle molecole organiche ed il legame di questa con la loro funzione.
Ma il lavoro per cui è rimasto celebre è senza dubbio la funzione d’onda, con la quale riesce a descrivere il
comportamento dell’elettrone se lo intendiamo come un’onda di materia. Essa è considerata la base della meccanica
quantistica. L’equazione di Schrödinger ci permette di calcolare la probabilità che un elettrone si trovi in una data
posizione. Se consideriamo l’atomo di H e rappresentiamo tale funzione su un piano cartesiano con la posizione alle
ascisse e la probabilità alle ordinate, vediamo che essa presenta un massimo proprio a 5,29∙10-11 m, come previsto anche
da Bohr. È per questo che il suo modello sembrava ben funzionare. Se invece rappresentiamo funzione in uno spazio
tridimensionale, disegnando delle nuvole di probabilità, esse ci rappresentano la forma tridimensionale degli orbitali.
Esse sono 4: s, p, d e f70. (Vedi immagine in figura). La funzione d’onda si ottiene risolvendo la seguente equazione,
nota come equazione di Schrödinger:
 2  8m( E  U )

  0 71 . Si tratta di un risultato molto difficile che
2 2
2
 x
h
riportiamo solo come curiosità: è infatti un’equazione differenziale del secondo tipo la cui risoluzione richiede
conoscenze universitarie. Lo stesso Schrödinger all’inizio non sapeva quale valore dare a Fu Max Born che ne
dedusse il valore, sostenendo che non sia altro chela probabilità di trovare la particella in un determinato punto, in un
determinato istante.
orbitale s
orbitale p
orbitale d
orbitale f
CHADWICK SCOPRE IL NEUTRONE
James Chadwick fu allievo di Rutherford. Nato a Manchester nel 1891, durante la Prima Guerra
Mondiale fu internato come prigioniero di guerra in Germania. Negli anni venti si dedicò allo studio
della disintegrazione degli elementi tramite bombardamento con particelle . Proprio durante queste
ricerche scoprì il neutrone72, la terza particella subatomica, grazie alla reazione nucleare Be +  → C +
n. Grazie a questa scoperta, ottenne il Nobel per la Fisica nel 1935. Il neutrone non fu comunque
scoperto per caso ma anzi era da tempo che si stava cercando, perché la massa degli atomi era troppo
elevata per poter essere spiegata solo con la presenza di elettroni e protoni.73 Si deve sottolineare infine
come grazie alle reazioni nucleari sia divenuto possibile trasformare un elemento in un altro: è dopotutto l’antico sogno
degli alchimisti che si realizza.
LEWIS, DAGLI ACIDI AL LEGAME CHIMICO
A questo punto è necessario approfondire un ulteriore aspetto della ricerca chimica: lo studio del
legame chimico. Si cercava di comprendere come fosse possibile che gruppi di atomi si
aggregassero a formare una molecola. Era chiaro che la molecola dovesse essere più stabile, quindi
68A
suo merito, si deve precisare che Schrödinger non fu costretto a fuggire, fu lui che decise di andarsene perché aveva compreso la drammaticità
della situazione tedesca, a differenza di altri che, pur ideologicamente contrari ad Hitler, preferirono non palesare la loro avversione al regime ma
anzi, come Hiesenberg, accettarono cariche ufficiali.
69 L’annessione dell’Austria da parte della Germania nazista nel 1938
70 Inoltre essi hanno, secondo il numero quantico magnetico m, rispettivamente 1,3,5,7 orientamenti nello spazio, ciascuno dei quali , secondo
Pauli contiene 2 elettroni di spin opposto. I diversi orientamenti di uno stesso orbitale sono isoenergetici.
71 Spieghiamo come è stata ricavata per i più interessati: si tratta della derivata seconda parziale rispetto alla posizione dell’equazione che regola il
moto delle onde armoniche
2 
 2
y  A cos
x
t  , su cui poi, applicando al posto di  l’equazione di de Broglie e sostituendo
T 
 
ulteriormente la quantità di moto con la relazione p 
72 Caratteristiche del neutrone: q=0 m=1,675∙10 -27 kg
73 Mentre per la carica non c’erano problemi
2mE  U  , si ottiene tale equazione
La Chimica letta attraverso l’opera dei suoi protagonisti
19
meno energetica, rispetto ad un atomo singolo. Ma come si configurava tale situazione? Il primo a cercare una risposta
fu Lewis.
Gilbert Newton Lewis fu un chimico che si occupò di vari aspetti della materia. Docente a Berkeley, si dedicò a
migliorare la teoria sugli acidi di Brönsted-Lowry. Infatti essa non prevedeva come acidi sostanze che non disponevano
di un atomo di idrogeno ionizzabile. Dunque, per superare questa difficoltà, definì acido qualsiasi sostanza capace di
utilizzare una coppia di elettroni e base qualsiasi sostanza capace di mettere a disposizione una coppia di elettroni
(rispettivamente elettrofilo e nucleofilo). Questa definizione ampliò di molto le sostanze considerate acide.
Ma Lewis è sicuramente più famoso per la sua teoria sul legame chimico covalente. Anche se ormai superata, prima
dalla VB e poi dalla MO, la teoria di Lewis fu molto importante, perché tentò di spiegare in maniera anche piuttosto
semplice il legame chimico. Fu la prima interpretazione in chiave elettronica. Lewis prese spunto dalla stabilità che
caratterizzava i gas nobili74 e notò che essi erano caratterizzati sempre da 8 elettroni nel livello energetico più esterno.
Lewis sostenne che il legame covalente nasce dalla condivisione, da parte di due atomi, di una o più coppie di elettroni
di valenza. In tal modo, entrambi gli atomi realizzano l’ottetto di stabilità se tali elettroni vengono conteggiati per
ciascuno degli atomi collegati. Se la coppia è una sola, il legame è singolo, altrimenti può essere doppio o triplo. Il
legame covalente poteva essere puro se effettuato tra due atomi con elettronegatività uguale; altrimenti si dice polare ed
avremo nella molecola un dipolo positivo ed uno negativo.
KOSSEL E IL LEGAME IONICO
In natura tuttavia esistono anche composti per i quali non si può parlare di molecola. Essi infatti sono costituiti da
cristalli composti da ioni75 che si attraggono elettrostaticamente. Ne è esempio il cloruro di sodio76, NaCl, dove tale
formula indica solo il rapporto con cui i due ioni si trovano nel cristallo, e non una molecola. Questo tipo di legame è
chiamato legame ionico. Fu il tedesco Walter Kossel che nel 1916 enunciò le caratteristiche di tale legame. Esso
intercorre tra atomi che abbiano un e>1,9. Per e si intende la differenza di elettronegatività tra i due atomi.
L’elettronegatività è un numero che esprime la tendenza di un atomo di attrarre verso di sé gli atomi di legame. Questo
fa sì che in un legame covalente tra atomi con elettronegatività differente vi sia un polo negativo ed uno positivo. E
questo rende possibile anche il legame ionico. Infatti quando il e è molto elevato, accade che l’attrazione di uno dei
due atomi è talmente forte che quello più elettronegativo “strappa” via gli elettrone in comune e se ne impossessa. A
questo punto tra i due ioni positivo e negativo intercorre una forza attrattiva di Coulomb. Questo rimase il punto più alto
della carriera di Kossel, che si dedicherà poi allo studio degli spettri dei cristalli, in particolare analizzando i raggi x e ,
ma senza risultati di rilievo.
LA TEORIA DEL LEGAME DI VALENZA (VB)
La teoria di Lewis come detto fu molto presto superata. Erano evidenti alcuni suoi limiti: innanzitutto esistevano
composti che tale modello non spiegava, come il monossido di carbonio (CO), poi furono preparati alcuni composti dei
gas nobili (per esempio l’esafloruro di xenon, XeF6), infine essa era ancora basata sull’atomo di Bohr: con la nascita
meccanica quantistica, era logica una sua rivisitazione. Per questo negli anni ’30 prese corpo un’ulteriore teoria sul
legame covalente77,quella del legame di valenza, secondo cui: un legame chimico si forma spontaneamente tra due
atomi che presentino orbitali esterni semivuoti (incompleti) al fine di conseguirne la saturazione. Essa fu formulata nel
1927 dal fisico tedesco Walter Heitler, allievo anch’egli di Sommerfeld, il quale vide che se si fosse ipotizzata una
sovrapposizione degli orbitali, effettuabile tramite la somma di due funzioni d’onda, l’energia potenziale del sistema
sarebbe diminuita. Quest’accresciuta stabilità spiega il perché dell’esistenza delle molecole. In particolare si vede che il
minimo di Ep, si ha ad una distanza pari a quella che poi si è empiricamente riscontrato essere la lunghezza del legame.
Da un punto di vista fisico ciò si spiega bilanciando la forza repulsiva tra nuclei e quella attrattiva tra elettroni e nuclei.
Ci si potrebbe chiedere come sia possibile il legame per atomi come il berillio (Be) che possiede solo orbitali completi78.
La risposta è nell’esistenza dell’orbitale ibrido. Infatti si può pensare che in taluni casi, al momento di reagire, la
disposizione elettronica, a causa delle energie in gioco, subisca delle alterazioni, in seguito alle quali coppie di elettroni
si sciolgono e gli elettroni componenti vanno ad occupare da soli orbitali vacanti, caratterizzati da energie poco
superiori. Tale fenomeno comporta una piccola perdita di stabilità che però viene poi compensata dalla formazione del
legame. Quindi il Be sposta un elettrone su uno degli orbitali p. A questo punto può formare due legami, uno con
l’orbitale s ed uno con il p. Potremmo pensare che, dopo la sovrapposizione, avremmo due risultati diversi. Invece i due
74
Si tratta di 6 gas così definiti perché chimicamente inerti, non reagiscono con nessun altro elemento: essi sono elio (He), neon (Ne), argon (Ar),
kripton (Kr), xenon (Xe) e radon (Rn)
75 Atomo che ha perso o acquistato uno o più elettrone e che dunque non è più elettricamente neutro ma avrà carica positiva o negativa multipla
intera di e.
76 Il normale sale da cucina
77
78
Per il legame ionico resta tuttora valido il lavoro di Kossel
Configurazione elettronica 1s2 2s2
La Chimica letta attraverso l’opera dei suoi protagonisti
20
legami sono uguali per contenuto energetico e lunghezza. Ciò si spiega ipotizzando che al momento della promozione
dell’elettrone, l’energia si sia ripartita egualmente tra l’orbitale s e il p, formando un orbitale ibrido sp. Esistono anche
altri tipi di orbitale ibrido che qui ci limitiamo ad enunciare: sp2, sp3, sp3d2, sp3d3. Da essi dipende la forma della
molecola. Un ultimo aspetto da sottolineare è il fatto che la sovrapposizione può avvenire in maniera frontale o laterali.
A seconda del caso la sommatoria tra le funzioni d’onda darà risultati differenti: più stabile nel primo, detto legame ,
meno nel secondo, chiamato legame .
HUND, MULLIKEN E LA TEORIA DELL’ORBITALE MOLECOLARE (MO)
La teoria della VB era ormai unanimemente accettata, quando nel ne apparve una che appariva migliore in quanto
permetteva anche di giustificare i fenomeni di paramagnetismo e diamagnetismo79. La teoria fu proposta dal tedesco
Friedrich Hund e dall’americano Robert Sanderson Mulliken. Il primo era già noto per aver enunciato la regola di
Hund, una legge empirica secondo cui gli elettroni, prima di disporsi su un orbitale in coppia, occupano singolarmente
ogni orbitale isoenergetico libero. Il secondo, premio Nobel nel 1966, si dedicò anche allo studio della struttura delle
molecole.
Il concetto-base della loro teoria poggia sul fatto che le due funzioni d’onda degli orbitali che si sovrappongono
possono essere in fase o fuori fase: nel primo caso avremo un’interferenza costruttiva, nel secondo una distruttiva. Così
dalla sovrapposizione di due orbitali atomici (AO) avremo sempre la formazione di due orbitali molecolari (MO), uno
costruttivo, detto di legame, con minore energia rispetto agli AO ed uno distruttivo, di antilegame, con maggior energia
rispetto agli AO80. Restano valide le regole per il loro riempimento ed anche la distinzione tra legame e della VB.
Vediamo che se gli elettroni più esterni vanno a disporsi su orbitali di antilegame, la molecola non può formarsi. Ecco
perché in natura non si trova He2 81 . Se poi nell’ultimo livello energetico si troveranno elettroni solitari, allora la
molecola sarà paramagnetica, altrimenti diamagnetica. 82 La teoria inoltre riesce a spiegare bene anche il legame
metallico. Si tratta di un legame particolare, che provoca la creazione di un cristallo di ioni tutti però positivi. Ciò viene
spiegato dalla teoria delle bande che propone la formazione di grandi MO che coinvolgono tutto il cristallo, sui quali
sono liberi di muoversi gli elettroni, che fungono da collante tra le cariche positive. Ciò spiega anche il fatto che i
metalli siano ottimi conduttori.
ENRICO FERMI E LA REAZIONE DI FISSIONE NUCLEARE
Enrico Fermi è stato probabilmente il più grande scienziato italiano del Novecento. Al suo
nome è legata una delle maggiori innovazioni introdotte dalla chimica nucleare: la reazione di
fissione nucleare. Nato a Roma nel 1901, si laureò alla Scuola Normale di Pisa nel 1922. Dopo
un breve periodo in Germania, tornò in Italia, dove si dedicò a partire dal 1932 alla fisica
nucleare. Fu lui a enunciare il decadimento , supponendo tra l’altro l’esistenza del neutrino,
che pur ipotizzato anche da Pauli, sarà scoperto solo nel 1955. Si tratta di una particella di
massa piccolissima o nulla83. Tale decadimento prevede la trasformazione di un protone in un
neutrone, con l’emissione di un positrone e, appunto, di un neutrino. Poi ebbe un intuizione
geniale: capì che se si fosse bombardato con un neutrone lento un atomo di uranio o di plutonio,
ciò avrebbe comportato una disgregazione del nucleo (fissione, dal latino fingere, spaccare),
liberando neutroni ed energia, molta energia. Inoltre, poiché si liberano neutroni, se la massa del materiale fissile supera
una certa soglia detta massa critica, si inizia un processo di reazione a catena che provoca uno sviluppo in progressione
geometrica delle reazioni di fissione. Tale fenomeno, se incontrollato, genera un’esplosione nucleare. Fermi invece ideò
un metodo per controllarlo, costruendo la pila atomica, antenata dei reattori nucleari. Infatti pensò di inserire materiali
come grafite o cadmio che fossero in grado di assorbire neutroni. Inserì poi un sistema di refrigerazione ad acqua che ha
il doppio compito di mantenere sotto controllo la temperatura e di, vaporizzandosi per il calore, attivare turbine che poi
generano corrente elettrica alternata. Il rendimento di tali reattori è altissimo, ma ha inconvenienti come la pericolosità
delle scorie (si tratta sempre di materiali radioattivi con tempi di decadimento lunghissimi) e il rischio di esplosioni.
Fermi per questa sua realizzazione ottenne il Nobel nel 1938. Dopo essersi recato a Stoccolma per ritirarlo, invece di
rientrare in Italia, scappò negli USA, per evitare che sua moglie, ebrea, incappasse nelle leggi razziale emanate da
Mussolini. Fermi resterà negli USA fino alla morte, avvenuta a Chicago, dove era professore universitario, nel 1954, a
79
Un corpo paramagnetico è attratto da un campo magnetico, uno diamagnetico respinto.
Per convenzione si indicano gli MO antileganti con un asterisco *
81
Infatti He ha configurazione elettronica 1s2. Si formano due orbitali, uno di legame, uno di antilegame su cui devono disporsi i 4
elettroni, pertanto i due più esterni si troveranno sull’orbitale s*.
82
Il magnetismo della materia infatti dipende dal campo magnetico creato dallo spin dell’elettrone.
83
Questione ancora dibattuta, dalla sua risoluzione dipendono varie teorie fisiche, tra cui i modelli sulla fine dell’Universo ed anche
la validità del modello di struttura interna del Sole attualmente adottato dagli astrofisici.
80
La Chimica letta attraverso l’opera dei suoi protagonisti
21
soli 53 anni, malato di cancro. Durante la guerra partecipò agli studi sul nucleare (anche se non fu a Los Alamos) e poi,
negli anni ’50, si dedicò allo studio dei raggi cosmici e delle particelle subatomiche.
GLI SVILUPPI SUCCESSIVI DELLA CHIMICA
Con il modello ad orbitali e le teorie sul legame siamo arrivati agli anni ’30 del Novecento. Ma la ricerca chimica non
si è certo qui esaurita. Cercheremo di sintetizzare i risultati ottenuti negli ultimi anni del XX secolo. Nel 1932 Carl
David Anderson, statunitense di origini svedesi, grazie ad un nuovo macchinario chiamato camera a nebbia, scoprì nei
raggi cosmici una particella che aveva tutte le stesse caratteristiche dell’elettrone ma che sottoposto ad un campo
magnetico, si comportava in maniera esattamente contraria: aveva cioè carica opposta. Era un positrone, la prima
antiparticella scoperta. Anderson vinse il Nobel nel 1936. Egli ipotizzò che, come l’elettrone, anche il protone dovesse
avere un’antiparticella. Ed effettivamente l’antiprotone sarà scoperto nel 1955, grazie agli acceleratori di particelle,
dall’americano Owen Chamberlain e dall’italiano Emilio Segré. Entrambi vinsero il Nobel nel 1959. Emilio Segré è
figura di spicco nella storia della scienza italiana. Allievo di Fermi, emigrò negli USA col maestro nel 1939. Prima, nel
1937, a Palermo aveva ricavato il tecnezio84. Partecipò alla costruzione della bomba atomica. Nel dopoguerra si stabilì
in California, dove insegnerà fino alla morte. L’utilizzo degli acceleratori di particelle fu fondamentale: essi
permettevano scontri ad altissime energie cinetiche di particelle, creando così energia che, ad un punto-limite, si
trasformava in nuove e diverse particelle. Non solo, assieme alla particella, si formava anche un’antiparticella. Per
questo oggi si sostiene che ad ogni particella corrisponde una propria antiparticella e non si produce materia senza che
si produca antimateria. L’incontro tra materia ed antimateria dà però luogo all’annichilazione, cioè alla trasformazione
delle particelle in energia85 secondo l’equazione E=mc2. Si sono identificate più di 200 coppie di particelle-antiparticelle.
Serviva perciò dare un’organizzazione. A fare ciò pensò Murray Gell-Mann, statunitense che propose nel 1961 una
classificazione che lo portò a vincere, nel 1969, il Nobel. Il risultato più importante del suo lavoro fu la scoperta del
quark: il protone ed il neutrone erano ulteriormente divisibili! I quark, cui ovviamente corrispondono antiquark,
possono essere di vario tipo: up, down, charm, strange, top, bottom o beauty; ciascuno di questi può poi essere di tre
colori 86 . Combinati a tre a tre danno luogo ai barioni, cioè ai neutroni ed ai protoni 87 . Essi hanno anche carica
frazionaria rispetto a quella dell’elettrone.
Negli anni ’70 ci si rese conto che le quattro forze fondamentali della natura, cioè gravità, elettromagnetismo, forza
nucleare debole88, forza nucleare forte89, sono mediate da particelle, dette mediatori. Per questo la chimica nucleare
diventa fondamentale per cercare di raggiungere il più grande obiettivo della scienza moderna: l’unificazione delle 4
forze, tramite lo studio di queste particolari particelle. Il primo mediatore scoperto fu il fotone,
che è vettore della forza elettromagnetica. I mediatori della forza nucleare forte furono invece
scoperti nel 1979 ad Amburgo dallo statunitense Samuel Ting, ed è chiamato gluone. Nel
1982 al CERN di Ginevra, fu l’italiano Carlo Rubbia ad identificare i mediatori della forza
nucleare debole, chiamati bosoni W e Z. Rubbia vinse il Nobel nel 1984. Grazie a tale scoperta,
tre fisici, gli statunitensi Alvin Weinberg e Shaldon Glashow e il pakistano Abdus Salam
riuscirono a proporre una teoria che unificava le forze elettromagnetica e nucleare debole.
Tuttavia oggi restano ancora problemi insoluti: per esempio si sta ricercando il vettore della
forza gravitazionale. È già stato definito gravitone, anche se nessuno è stato in grado di
identificarlo.
Carlo Rubbia
CONCLUSIONI
Siamo così giunti al termine del nostro percorso lungo più di venti secoli, partito all’ombra delle piramidi e terminato
nei moderni laboratori. Abbiamo cercato di presentare il maggior numero di figure che hanno avuto un importante ruolo
nello sviluppo di questa scienza, cercando per ognuno di delineare un profilo che ne abbracciasse non solo l’attività di
scienziato, ma anche le esperienze di vita, dimostrando come la ricerca scientifica non sia avulsa dal contesto storicosociale ma anzi sia la linfa da cui una civiltà matura dovrebbe trarre nutrimento per continuare a prosperare. Abbiamo
cercato una trattazione completa ma che allo stesso tempo fosse il più possibile accessibile a tutti, credendo che lo scopo
84
Elemento numero 43. Dunque dovrebbe esistere in natura, prodotto dalle reazioni nucleari delle stelle. Tuttavia è talmente
instabile che è ottenibile solo artificialmente, in quanto quello naturale decade in brevissimo tempo
85
Qui nasce il famoso problema dell’asimmetria del Big Bang: infatti in quel momento si sarebbero dovute formare, secondo quanto
detto, tante particelle di materia quante di antimateria, che poi si sarebbero annichilite fra di loro. Tuttavia, poiché la materia esiste,
è evidente che per qualche motivo, si debba essere formata più materia che antimateria. Questo è uno dei più fitti misteri della
scienza moderna.
86
Ovviamente tale termine non ha significato cromatico
87
In particolare, un protone è composto da due up e un down, il neutrone da un up e due down.
88
La forza che si esercita tra i quark
89
La forza che permette ai protoni del nucleo di non respingersi, è la più forte di tutte
La Chimica letta attraverso l’opera dei suoi protagonisti
22
principale di questa trattazione sia stato il cercare di coinvolgere il maggior numero di persone nello spirito che ha
animato questi uomini, ai quali dobbiamo l’agio di cui oggi godiamo grazie alla moderna tecnologia, sperando che
l’attività scientifica non resti, come sta avvenendo in questi ultimi anni, solo un’attività per pochi intimi.
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