Sessualità e disabilità

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SESSUALITÀ E DISABILITÀ
Davide Dèttore
Università degli Studi di Firenze
Istituto Miller, Genova
Il modello dell’ICF (OMS, 2001)
Condizione di salute
(Disturbo/malattia)
Funzioni e
strutture
corporee
Attività
Fattori contestuali
Ambientali
Personali
Partecipazione
Aree della sessualità secondo la classificazione dell’ICF (OMS, 2001)
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Funzioni e Strutture del Corpo
Funzioni genitali e riproduttive (codici da b640 a b679).
Attività (più o meno limitate) e Partecipazione (più o meno ristretta)
d5302
Cura relativa alle mestruazioni.
d570
Prendersi cura della propria salute.
d710-d729
Interazioni interpersonali semplici e complesse.
d760
Relazioni familiari:
d7600 Relazioni genitore-figlio;
d7601 Relazioni figlio-genitore;
d7602 Relazioni tra fratelli;
d7603 Relazioni nella famiglia allargata;
d7608 Relazioni familiari, altro specificato;
d7609 Relazioni familiari, non specificato.
d770
Relazioni intime:
d77100 Relazioni romantiche;
d7701 Relazioni coniugali;
d7702 Relazioni sessuali;
d7708 Relazioni intime, altro specificato;
d7709 Relazioni intime, non specificato.
• L’ICF, cioè la Classificazione Internazionale del Funzionamento,
della Disabilità e della Salute (OMS, 2001) fornisce una nuova
visione multidimensionale e multicomponenziale del funzionamento
di una persona a livello corporeo (“Funzioni e Strutture Corporee”), a
livello personale (“Attività”) e a livello sociale (“Partecipazione”),
secondo il modello sopra esposto graficamente.
• Ciascuna componente contribuisce in termini positivi (al
Funzionamento) in caso di Funzioni e Strutture Corporee integre, in
presenza di Attività e Partecipazione e di Fattori Contestuali
facilitatori; in termini negativi (alla Disabilità) in caso di
“Menomazione” delle Funzioni e Strutture Corporee, in presenza di
“Limitazioni” delle Attività e di “Restrizione” della Partecipazione, e
di “Barriere/Ostacoli” nei Fattori Contestuali.
• La presenza di una condizione fisica che sta all’origine della
menomazione, delle limitazioni delle attività e delle restrizioni della
partecipazione, che interagiscono tra loro, unitamente ai fattori
contestuali, produce, per quanto riguarda l’espressione della sessualità
nelle persone con disabilità, varie problematiche di notevole peso.
La sessualità nel disabile mentale (I)
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Già altrove (Dèttore, Friedman, LoPiccolo e Veglia, 1990; Veglia e Dèttore, 1991;
Dèttore, 1994; 1997) abbiamo rilevato come la sessualità sia ben lungi dall'essere un
aspetto "naturale" e "spontaneo" dell'esistenza umana, quanto invece il risultato di
una complessa interazione di aspetti biologici (piuttosto limitati) e di una varietà di
abilità, cognitive e comportamentali, apprese durante il corso dell'esperienza
individuale.
Il quadro fondamentalmente non cambia nel caso della disabilità mentale. Esistono,
naturalmente, aspetti legati a fattori esclusivamente biologici, che possono essere
catalogati fra le Menomazioni dell’ICF fra cui i principali sono i seguenti:
– quanto più elevato è il ritardo mentale, tanto maggiore è il ritardo nello sviluppo dei
caratteri sessuali secondari (Flory, 1936; Mosier, Grossman e Dingman, 1962); questo
avviene soprattutto in caso di eziologia di tipo genetico o da embrio- o fetopatia, e meno
in caso di lesione perinatale o di fattori più tardivi;
– le persone con disabilità mentale hanno un tasso di fertilità meno elevato (Hall, 1975).
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Pure, oltre a questo, gli aspetti relativi alla sessualità fisica del disabile non si
differenziano da quelli che caratterizzano la sessualità normale.
Purtroppo, vi sono atteggiamenti culturali pregiudiziali rispetto alla sessualità delle
persone con disabilità mentali, e questi rappresentano, nella terminologia dell’ICF,
dei fattori contestuali ambientali che ne limitano l’espressione delle abilità e ne
restringono la partecipazione sociale.
L'atteggiamento di fondo della nostra società si può riassumere, infatti, in un
posizione curiosamente contraddittoria: da un lato i soggetti con disabilità
(soprattutto di tipo fisico) sarebbero ipo- o addirittura asessuati, dall'altro i disabili
mentali, ma senza menomazioni o difetti fisici evidenti, sarebbe invece ipersessuati,
privi di ogni inibizione, irresponsabili e talvolta naturalmente perversi.
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La sessualità nel disabile mentale (II)
D'altra parte talvolta si assiste, soprattutto in epoca recente, a un terzo tipo di
atteggiamento, presente in persone che vogliono dar mostra di posizioni "moderne e
aperte": il desiderio di volere a tutti i costi "sessualizzare" le persone con disabilità,
soprattutto intellettive, evidenziando presunti bisogni e pulsioni sessuali, che talora
invece sono solo proiezioni di osservatori non obiettivi.
E' evidente come tali posizioni siano di carattere difensivo: nel primo caso si tratta
di una difesa per negazione, il problema non esiste e lo si può ignorare; nel secondo
caso, invece, la difesa avviene per esaltazione del potenziale pericolo, portando a
misure preventive e repressive, che annullano ugualmente il problema all'origine;
nel terzo caso, infine, si aspira a una apparente "normalizzazione", che si basa più su
posizioni ideologiche precostituite che su un'effettiva consapevolezza professionale.
Questi miti e stereotipi non possono che influenzare l'atteggiamento dei genitori o
degli operatori che si occupano di disabili, per cui l'opinione delle persone, i tabù
culturali e le convenzioni sociali tendono tutte in direzione contraria a una
espressione adeguata della sfera sessuale.
Il problema diviene tanto più evidente se si pensa che tali atteggiamenti e tabù sono
già di ostacolo alla piena realizzazione della sessualità nelle persone normodotate.
Nel caso di persone con disabilità gli ostacoli non possono che essere moltiplicati, e
non solo per aspetti puramente pratici e tecnici.
I fattori contestuali relativi agli atteggiamenti e alle convinzioni presenti
nell’ambiente circostante, unitamente alle limitazioni delle abilità dovute alle
condizioni fisiche all’origine del ritardo evolutivo, possono produrre restrizioni alla
partecipazione sociale in vari aspetti. In tutti questi casi l’interazione di fattori
interni ed esterni alla persona con disabilità produce una compromissione finale del
funzionamento personale e sociale, che ne limita lo sviluppo e la serenità di vita.
I prerequisiti (I)
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Ogni intervento educativo nel campo della sessualità relativamente alle persone con
disabilità è complicato dal fatto che esso è subordinato alla previa acquisizione di
alcune abilità prerequisite, che non possono essere trascurate, pena l’insuccesso del
programma d’intervento stesso. Esse sono qui sotto descritte.
Autocontrollo
L'intervento può essere fondamentalmente mirato all'acquisizione di capacità di
autocontrollo cognitivo e comportamentale e di abilità di gestione dell'ansia
(autoregolazione). Per quanto riguarda l'autocontrollo, si rivelano utili due classiche
tecniche cognitivo-comportamentali: il training autoistruzionale (Meichenbaum e
Goodman, 1971) e la stress inoculation (Meichenbaum, 1977; 1985).
Inizialmente queste due procedure possono essere utilizzate, e quindi apprese, per
situazioni specifiche come: inibire la tendenza a rispondere impulsivamente,
controllare la frustrazione e/o la collera, saper gestire l'ansia di fronte a un compito
difficile, eccetera. Sono utilizzabili nell'apprendimento dell'autoregolazione, in
particolar modo attraverso la tecnica di rilassamento muscolare.
Conoscenza e cura del proprio corpo
Il possedere corrette e sufficienti informazioni rispetto alla sessualità permette
d'interpretare correttamente, e non in modo ansiogeno, diversi eventi che possono,
altrimenti, produrre preoccupazione. Così, si individuano le seguenti mete:
1) Muoversi e sapere usare il proprio corpo.
2) Conoscere le varie parti del corpo.
3) Conoscere le differenze fra maschi e femmine.
4) Sapere mantenere l'igiene del proprio corpo.
I prerequisiti (II)
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Abilità di comunicazione e sociali
Diversi autori hanno proposto delle categorizzazioni delle abilità sociali in ambito
più specifico rispetto alle persone con disabilità mentale. Così, McGinnis, Goldstein,
Sprafkin e Gershaw (1984), nel proporre un programma di training di abilità sociali
rivolto ad alunni con problemi di comportamento o ritardo mentale lieve, hanno
categorizzato 60 classi comportamentali, definite con i rispettivi passi istruzionali:
– Abilità prerequisite per la vita di classe: 13 abilità, come "ascoltare", "chiedere aiuto",
"ringraziare", ecc.
– Abilità per fare o mantenere amicizie: 12 abilità, come "presentarsi agli altri", "avviare
una conversazione", ecc.
– Abilità di gestione delle emozioni: 10 abilità, come "conoscere le proprie sensazioni",
"affrontare la paura", ecc.
– Abilità per controllare l'aggressività: 9 abilità, come "dar prova di autocontrollo", "tentare
un accordo", ecc.
– Abilità per gestire lo stress: 15 abilità, come "affrontare il rifiuto", "rilassarsi", "affrontare
una rimostranza", ecc.
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Il training di abilità sociali solitamente deve mirare al conseguimento della
competenza sociale tramite tre procedure fondamentali:
– 1) La simulazione delle interazioni sociali che si manifestano nella vita reale (role
playing).
– 2) Il modeling, o modellamento, per mezzo del quale si mostra al soggetto come una
persona socialmente competente si comporterebbe nella stessa situazione.
– 3) Il rinforzo sociale e il feed-back sulla prestazione del soggetto. Il trainer sottolinea i
lati positivi della prestazione e dà dei suggerimenti per ulteriormente migliorarla
(coaching ).
I prerequisiti (III)
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Problem-solving e decision-making
Una situazione sociale che produce ansia nell'individuo costituisce un problema che
bisogna affrontare con le modalità più adatte a preservare il maggiormente possibile
la propria percezione di controllo di sé e delle circostanze. Inoltre, spesso una
risposta aggressiva o passiva viene emessa come reazione a una situazione
problematica apparentemente senza uscita, per cui un addestramento mirato ad
aumentare le capacità di elaborazione di alternative può essere un utile
completamento dei trattamenti qui illustrati. Il soggetto, secondo la classica
formulazione di D'Zurilla e Goldfried (1971) e di D'Zurilla (1986), deve essere
aiutato ad affrontare il problema nel modo più adeguato, considerando con
attenzione le varie fasi che costituiscono il processo di soluzione di esso:
– Atteggiamento generale: il soggetto deve: a) riconoscere che incontrare situazioni
problemiche (quali quelle sociali) è un normale aspetto dell'esistenza; b) rendersi conto
che tali situazioni possono es­sere attivamente affrontate; c) essere in grado di
riconoscere una situazione problematica al suo insorgere; d) riuscire a bloccare la
tentazione di reagire impulsivamente.
– Definizione del problema: questo deve essere definito in termini concreti e verificabili,
fissando delle mete ragionevoli e chiare. Molto spesso la mancata soluzione di un
problema dipende da una sua errata formulazione.
– Produzione di alternative: il metodo migliore consiste nel sospendere il giudizio e nel
produrne in maggior numero possibile, posponendo a più tardi la fase di critica e di scelta
delle stesse (brainstorming).
– La presa di decisione: le alternative vengono esaminate in base a criteri predefiniti
chiaramente.
– Verifica: una volta scelta e attuata un'alternativa, occorre appurare se ha funzionato. In
caso negativo si avvierà senza drammi un nuovo processo di problem-solving.
I prerequisiti (IV)
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Non si può invece che sottolineare l'importanza di sforzi in questa direzione,
soprattutto nei portatori di ritardo mentale lieve e medio-lieve, per cui tali
acquisizioni sono davvero importanti.
Come rilevano Belmont, Butterfield e Ferretti (1982) e Ferretti (1989), infatti, le
ricerche dimostrano che si rivelano più efficaci le procedure educative che offrono
ai disabili non solo le strategie operative per risolvere un dato compito, ma piuttosto
le procedure generali alla base delle operazioni mentali implicate nella soluzione di
ogni problema. Tali abilità di problem-solving costituiscono appunto delle "abilità
superordinate" che permettono quella generalizzazione degli apprendimenti, che
costituisce una delle mete più desiderate e più difficile nel campo della disabilità.
Le procedure di problem-solving possono essere insegnate a soggetti con ritardo
mentale da lieve a medio-lieve; negli altri casi l'analisi del problema e la scelta della
decisione da prendere, anche in campo sessuale, ricade sull'educatore e/o sulla
famiglia. Spesso ciò comporta l'essere dolorosamente soli in tale difficile compito,
di fronte ad alternative che provocano l'attivazione di risposte emotive dovute ai
pregiudizi sopra evidenziati, a domande etico-morali talora senza risposta, e a
difficoltà pratiche e obiettive.
Non si può non sottolineare, a questo proposito, l'utilità di una collaborazione fra
famiglia, tecnici ed educatori, allo scopo, da una parte, di aumentare le capacità di
generazione di soluzioni operative efficaci, dall'altra di permettere ai genitori di
ottenere un sostegno psicologico, oltre che tecnico, in grado di alleviare lo stress
connesso a determinate situazioni.
Contatto fisico
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E' ormai ben noto come la maturazione del sistema nervoso centrale sia in stretta dipendenza da una
adeguata stimolazione in età precoce, non solo per quanto riguarda gli aspetti puramente sensoriali, ma
anche per quelli emotivi e intellettuali. Così, a esempio, nei ratti una valida stimolazione tattile in epoca
neonatale produce soggetti più resistenti allo stress e con prestazioni di apprendimento più elevate
(Denenberg, 1963; Ader, 1977); d'altra parte, Spitz (1946) ha dimostrato che infanti allevati in un
ambiente deprivato e poco stimolante possono sviluppare, dopo i sei mesi, la cosiddetta sindrome di
depressione anaclitica, che, senza un arricchimento delle stimolazioni, può produrre la morte.
Come sottolinea Johnson (1975), taluni genitori ritengono che un frequente contatto corporeo con i figli
possa contrastare una loro attiva esplorazione dell'ambiente, facendoli restare "attaccati alle gonne della
madre". Spesso, invece, è vero il contrario: i figli, insicuri, che non devono più lottare per ottenere la
rassicurazione del contatto corporeo, possono avventurarsi con maggiore tranquillità lontano dai genitori,
ricercando di meno il contatto con loro solo se stanchi, assonnati, impauriti o doloranti per una caduta.
Preconcetti e difficoltà obiettive nell'applicazione ai disabili mentali
Il contatto corporeo, sia come stimolazione sensoriale sia come manifestazione di affetto, è importante
per il disabile quanto per il normodotato, ma i tempi di evoluzione del primo sono più lunghi. Così, può
accadere che certi giochi corporei o manifestazioni di affetto vengano richiesti dal disabile oltre l'età in
cui essi sono ritenuti culturalmente accettabili, innescando talora negli adulti delle interpretazioni che
attribuiscono loro componenti sessuali, che spesso sono in realtà fantasie infondate. I genitori, o gli
operatori, quindi se ne astengono, pensando di correre il rischio di scatenare istinti non più controllabili,
privando invece il disabile di esperienze gratificanti, che ben poco hanno di strettamente sessuale.
Mete e modalità d'approccio
In ambito istituzionale e/o di gruppo, e con intenti e modalità più avanzate, la Dixon (1988) propone un
intervento mirato al "Toccare ed essere toccati", che si propone le seguenti mete e tecniche:
– Riconoscere i punti del corpo e i modi gradevoli o sgradevoli rispetto all'essere toccati: in cerchio si
elencano tutti i possibili tipi di tocco (a es.: carezzare, stringere, sfregare, solleticare, graffiare,
pizzicare, massaggiare, ecc.). Ogni membro del gruppo specifica come e dove gli piace o meno
essere toccato. Si accetta il fatto che qualcuno non ami per nulla essere toccato.
– Imparare a distinguere fra modi di toccare "buoni" e "cattivi": si discutono modalità di contatto
"cattive" (per es.: qualcuno nel bus pone una mano sulle ginocchia), sottolineando la differenza fra
queste e quelle "buone" (per es. la mancanza di accordo reciproco, il fatto che queste persone non si
conoscono, la repentinità del gesto, eccetera). Per ciascuna di queste situazioni si sottolinea come
ognuno abbia il diritto di opporsi a tali azioni e si suggeriscono le modalità più adeguate per farlo
(per es. dire di no apertamente, chiedere aiuto ad adulti o a persone in divisa, eccetera).
Autostimolazione e nudità (I)
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Non solo l'ambiente esterno ma anche il proprio corpo fornisce al bambino un ricco campo di scoperte
eccitanti. Del resto il piccolo è alla continua ricerca di fonti di stimolazione per mantenere adeguatamente
elevato il proprio livello di attivazione, che ancora non può dipendere da stimoli endogeni, come i
processi cognitivi. Gli organi sessuali e le zone erogene costituiscono aspetti privilegiati in quanto la loro
stimolazione produce sensazioni piacevoli; nessuna meraviglia, quindi, che il bambino, anche se piccolo,
sfrutti spesso tale fonte di piacere, soprattutto se non ne ha altre a disposizione. Questa forma di
masturbazione precoce non è pericolosa e costituisce un utile fonte di ulteriori conoscenze di sé.
Intorno ai tre anni i piccoli cominciano a percepire l'atteggiamento di disapprovazione dei genitori nei
confronti dei giochi genitali e ciò può essere fonte di ulteriore confusione cognitiva: perché è possibile
esplorare e toccare ogni parte del corpo tranne alcune? Se da un lato, come si è detto, è utile che i genitori
insegnino alcune regole di comportamento sociale, nel far ciò bisogna stare attenti a non comunicare,
facendo quindi apprendere al bambino, un atteggiamento negativo nei confronti della sessualità, che può
essere all'origine di sue future difficoltà sessuali. A ciò può aggiungersi un'eccessiva educazione all'igiene
e alla pulizia, in grado di far ritenere al piccolo che i suoi genitali siano "sporchi".
L'autostimolazione è comune nei bambini e nelle bambine e viene appresa e rinforzata tramite
meccanismi di condizionamento operante, agenti su di un sistema predisposto su basi innate. La Kaplan
(1974) sottolinea come i neonati manifestino gioia in seguito alla stimolazione genitale e Bakwin (1974)
rileva come essi siano infastiditi quando nel farlo vengono interrotti e come tale forma di
autostimolazione venga praticata diverse volte al giorno.
Intorno all'anno di età i piccoli giocano spesso con i genitali quando sono nudi o nel bagno. Tutto ciò è
più frequente nei bambini allevati dai genitori piuttosto che in quelli tenuti al nido: un'ulteriore
dimostrazione dell'importanza dei genitori per lo sviluppo della sessualità.
Preconcetti e difficoltà obiettive nell'applicazione ai disabili mentali
L'autostimolazione nel disabile è altrettanto presente e spesso incontra le stesse reazioni adulte di
intolleranza. Talora esse sono ancora più accese, in base ai pregiudizi precedentemente evidenziati.
Autostimolazione e nudità (II)
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D'altronde tale forma autostimolatoria nel disabile può essere più frequente, in quanto essa, accanto a
quella caratteristica di costituire uno stimolo piacevole, può assumere altre funzioni: 1) attività di
riempimento in momento di noia o di solitudine; 2) attività sostitutiva al posto di comportamenti auto- od
eteroaggressivi, spesso dovuti a frustrazione; 3) eventualmente un modo per attrarre l'attenzione non
altrimenti ottenibile. Il disabile, avendo repertori comportamentali meno ricchi per far fronte alle
situazioni di scarsa stimolazione o di stimolazione negativa, fa ricorso a tale forma di gioco sessuale in
quanto facilmente disponibile, gratificante e attuata fin dalle primissime fasi evolutive.
Reazioni d'intolleranza possono inoltre destare la tendenza del disabile all'"esibizionismo", a esporre la
propria nudità senza inibizioni. Anche in questo caso, molto spesso sono i nostri pregiudizi a far vedere in
tale comportamento aspetti di pulsioni sessuali abnormi, quando invece si tratta più semplicemente di un
atto provocatorio (rinforzato dalle divertenti reazioni dell'ambiente circostante), oppure della
conseguenza di uno scarso apprendimento di norme sociali.
Mete e modalità d'approccio
Per quanto riguarda il problema della nudità, con l'eventuale eccezione di soggetti più gravemente
compromessi, si tratta semplicemente di un apprendimento alla discriminazione dei tempi e dei luoghi in
cui è o meno possibile mostrarsi senza vestiti.
Ciò può essere facilitato anche dal chiarimento del concetto di "pubblico" e "privato", che, come
sottolinea la Dixon (1988), può essere facilitato dall'uso di fotografie che mostrano attività e luoghi di
tipo pubblico e privato (a es. bar, stazioni, ristoranti, strade, una classe in una scuola, una platea di teatro,
per la prima categoria; un bagno, una camera da letto, per la seconda).
A proposito dell'autostimolazione genitale, secondo Johnson (1975), che essa più che il problema è il
sintomo di un problema. Abbiamo già sopra sottolineato come possa costituire un'attività di riempimento,
di sostituzione o di attrazione dell'attenzione, oltre a una facile fonte di gratificazione, per soggetti per cui
è più difficile ottenere soddisfazioni dall'ambiente.
In questi casi, piuttosto che limitare l'attività autostimolatoria con metodi punitivi, è più utile, dopo
un'attenta analisi funzionale, cercare di risolvere il problema a monte: fornire stimoli e attività
interessanti; capire perché il soggetto è frustrato e dargli competenze atte a risolverne le difficoltà;
concedere attenzione e considerazione, cercando di usarla come rinforzo per l'acquisizione di utili
comportamenti.
Giochi sessuali (I)
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Il corpo dei compagni rappresenta un ulteriore campo di curiosità e permette la scoperta delle differenze
sessuali, che per i piccoli costituiscono un problema cognitivo di difficile soluzione, in un momento in cui
è invece estremamente rilevante e desiderata la chiarezza di idee e la completezza delle informazioni. Le
spiegazioni degli adulti assumono, così, grande importanza e devono soprattutto sottolineare la bellezza e
la piacevolezza del corpo maschile o femminile, a proposito del quale non bisogna vergognarsi di
nessuna sua parte né credere di essere stati privati di qualche elemento o che ciò possa avvenire per un
qualsiasi motivo (per punizione, a esempio). Il gioco sessuale, inoltre, è utile per lo sviluppo dell'identità
di genere e di ruolo e non dovrebbe essere represso neppure se assume forme che, per gli adulti, appaiono
erotiche.
Abbiamo detto, dunque, che il gioco genitale prima solitario assume un carattere più sociale (gioco del
dottore e della esibizione reciproca). Esso può avvenire fra bambini di sesso eguale o diverso: secondo
Kinsey e collaboratori (1948; 1953) il 45% delle donne e il 57% degli uomini ricorda di avere
partecipato a dei giochi sessuali intorno ai dodici anni.
Secondo recenti ricerche citate da Masters e Johnson (1986), in bambini dai 4 ai 14 anni il 35% delle
femmine e il 52% dei maschi riferì di aver partecipato a giochi omosessuali, mentre i genitori di bambini
di 6-7 anni riportarono che il 76% delle figlie e l'83% dei maschi aveva partecipato a qualche gioco
sessuale; in più della metà dei casi si trattava di giochi con fratelli o sorelle. Secondo Borneman (1983)
gli adulti non ricorderebbero questi giochi e tenderebbero, quindi, a esserne scandalizzati proprio in
seguito a un'amnesia avvenuta all'epoca della pubertà. Per i bambini è difficile da capire la reazione
negativa degli adulti: per loro si tratta solo di un gioco, mentre per l'adulto è il sesso che prevale nella
situazione.
Le reazioni dei genitori ai giochi sessuali sono spesso di due tipi. Le bambine di solito vengono
ammonite con fermezza perché non li facciano, specie con i maschi. Questi ricevono invece messaggi
abbastanza contraddittori: ne vengono puniti, ma spesso percepiscono nei genitori una rassegnazione o
addirittura una certa fierezza per essi. Con l'inizio della pubertà tale dicotomia di atteggiamento diviene
ancora più evidente. Questi atteggiamenti sono, naturalmente, fonte di confusione cognitiva e possono
ostacolare l'apprendimento di una visione serena della propria sessualità.
E' essenziale che i genitori sappiano che il gioco eterosessuale e/o omosessuale costituisce una normale
fase nello sviluppo e che il secondo non conduce necessariamente all'omosessualità in età adulta.
Giochi sessuali (II)
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Preconcetti e difficoltà obiettive nell'applicazione ai disabili mentali
Nei disabili, ancor più forse che nei normodotati, vi è un forte bisogno di toccarsi reciprocamente, in
quanto questa forma di comunicazione e di conoscenza esplorativa è più immediata e fondamentale.
Inoltre nei casi più gravi, la comunicazione può avvenire solamente attraverso il corpo; o ancora le
difficoltà di memorizzazione e di integrazione dei dati in ingresso possono condurre alla necessità di
iterare le esplorazioni (eventualmente mirate a individuare le differenze sessuali), in quanto la fissazione
dei concetti è molto alterata o assente.
Ancora una volta, quindi, un comportamento del disabile viene allora attribuito a motivazioni sessuali,
quando invece dipende da motivazioni cognitive (di conoscenza e di esplorazione) o da deficit cognitivi
(di memorizzazione o di concettualizzazione).
Mete e modalità d'approccio
Anche in questo caso, come nel caso precedente, la meta può essere costituita dalla discriminazione
sociale: quando, dove e con chi è possibile eseguire tali giochi.
Nei casi in cui sia impossibile ottenere la discriminazione sociale, piuttosto che metodi punitivi (che sono
difficili da condurre e spesso ottengono il risultato opposto di aumentare il comportamento indesiderato),
è più utile l'uso dell'estinzione (privare sistematicamente tali comportamenti di ogni conseguenza
rinforzante, quali espressioni scandalizzate o talora mezzo divertite) e dello spostamento dell'attenzione
su altra attività più adeguata e totalmente diversa.
Masturbazione e polluzioni notturne (I)
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All'epoca della maturazione biologica sessuale (pubertà nei maschi: da 10,5 anni a 16, con media a 13;
femmine: da 7,5 anni a 11,5, con media a 11; menarca: 10-16,5 anni, con media a 13), la masturbazione,
sempre presente nelle fasi precedenti, raggiunge la sua completezza nei maschi con l'eiaculazione;
invece, l'orgasmo può essere già provato in età più precoce.
E' in genere fortunatamente superata la vecchia convinzione che la masturbazione possa essere
responsabile delle più svariate patologie, dalla demenza precoce alle malattie della pelle, e che sia
condannabile da un punto di vista morale. Purtroppo, però, tale errata concezione è stata responsabile in
passato (e talvolta ancora oggi) della creazione di notevoli sensi di colpa, che non hanno certo aiutato lo
sviluppo di una concezione serena della sessualità.
Tale attività autoerotica, ben lungi dall'essere dannosa, è normale, in maschi e femmine, e utile per una
maggiore conoscenza della propria sessualità e di ciò che produce piacere, fondamentale per i susseguenti
rapporti a due. Estremamente importanti, inoltre, sono le fantasie erotiche che l'accompagnano:
l'adolescente da una parte allarga e mette alla prova, seppure in immaginazione, il proprio repertorio
sessuale, dall'altra impara quali ideazioni e quali immagini possono aiutarlo a indurre e sostenere
l'eccitazione.
Kinsey e collaboratori (1948; 1953) hanno rilevato chiaramente la funzione edonica dell'immaginazione
erotica: il 2% delle donne e un uomo o due su mille possono raggiungere l'orgasmo semplicemente
ricorrendo a tale forma di stimolazione ideativa.
Gli uomini hanno fantasie erotiche più spesso delle donne (Pasini, Crépault e Galimberti, 1988); Money
ed Ehrhardt (1972) ipotizzano che ciò sia fondato biologicamente come conseguenza
dell'androgenizzazione cerebrale in epoca prenatale, ma tali autori ritengono che tale effetto sia frutto
dell'apprendimento, in quanto l'uomo impara, per processo di socializzazione, a essere più audace e meno
inibito.
La differenza fra i sessi si manifesta, infine, anche per quanto riguarda le risposte sessuali nel corso del
sonno: l'83% dei maschi ha polluzioni notturne, mentre solo il 10% delle ragazze ha sogni notturni con
orgasmo. Le polluzioni notturne nei maschi sono legate al ciclo di erezioni che avvengono durante la fase
REM del sonno, ma queste sono indipendenti dai sogni a carattere erotico (cfr. Pescetto e Dèttore, 1982).
Masturbazione e polluzioni notturne (II)
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Preconcetti e difficoltà obiettive nell'applicazione ai disabili mentali
La masturbazione, già tanto sospetta in caso di giovani normodotati, è in grado di attivare fantasie
negative quando chi la pratica è un disabile e ciò non semplifica le decisioni che si devono prendere in
proposito.
Come sottolinea Veglia (1991; 2000), familiari e/o operatori possono decidere che la masturbazione
costituisce il modo più adeguato per soddisfare il desiderio sessuale in persone con ritardo mentale, per
alcuni come soluzione definitiva, per altri come momento di passaggio verso un rapporto di coppia. Tale
decisione non è naturalmente facile e coinvolge anche aspetti di ordine morale. Essa va comunque presa
in gruppo, concordemente fra familiari e operatori o, in assenza dei primi, solo fra i secondi. In questo
modo è possibile discutere a fondo la cosa, prevenire eventuali interventi contrari da parte di chi è in
disaccordo, scambiare i reciproci punti di vista su di un argomento delicato, che viene affrontato solo da
poco tempo e su cui si accentrano difficoltà derivanti da pregiudizi e ignoranze da superare, ma anche da
posizioni morali e religiose da considerare.
Un ultimo aspetto su cui sensibilizzare gli operatori è il "duplice criterio" che si usa solitamente nel
valutare la masturbazione nel ragazzo e nella ragazza. Senza dubbio tale pratica autoerotica è molto più
diffusa nella popolazione maschile, normodotata e non, rispetto a quella femminile. Ciò può essere
dovuto a vari fattori:
– il più elevato desiderio sessuale del maschio rispetto alla femmina, che sia dovuto o meno a fattori
biologici e/o culturali;
– la più facile raggiungibilità dell'orgasmo da parte dei maschi e la maggiore accessibilità ed evidenza
dei genitali maschili;
– stereotipi culturali che accettano maggiormente comportamenti sessuali da parte dei maschi rispetto
a quelli delle donne, che tendono a essere giudicate negativamente se mostrano interessi in questo
campo.
Masturbazione e polluzioni notturne (III)
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Mete e modalità d'approccio
Nel caso che familiari e/o operatori abbiano preso in modo concorde la decisione di insegnare
come giungere a un'esperienza corretta della masturbazione, ciò può essere fatto rispettando
alcuni passi particolarmente importanti, taluni già evidenziati da Veglia (1991; 2000):
– praticare un'osservazione dell'eventuale grado di abilità già posseduta dal soggetto;
talora, infatti, tale pratica viene già emessa ma in modo scorretto, col rischio anche di
procurarsi delle lesioni;
– elaborare una task analysis, specificando i prerequisiti e i passi istruzionali, soprattutto
mirati alle aree che sono più carenti;
– decidere quale deve essere l'operatore che s'incaricherà della conduzione del programma,
avendo la serenità e la costanza di farlo, in quanto è meglio che tale intervento educativo
sia svolto da una sola persona, per evitare confusioni e un'eccessiva invasione della
privacy del soggetto da parte di più persone;
– svolgere l'intervento educativo utilizzando varie tecniche pedagogiche: il prompt sia
verbale sia visivo (eventuali disegni o illustrazioni), il rinforzo costante, il
concatenamento;
– individuare i momenti educativi in modo che s'inseriscano in modo naturale e non troppo
"voluto" all'interno della vita del soggetto;
– operare, appena possibile, il distacco dell'operatore, al fine di fare riacquistare al soggetto
la sua privacy e la possibilità di decidere autonomamente;
– eseguire, dal momento dell'acquisizione dell'abilità in poi, un controllo rispetto ai tempi e
ai luoghi in cui viene emesso il comportamento in questione, intervenendo in direzione
correttiva, se necessario, solo per tali aspetti e ricordando, costantemente, l'esigenza del
rispetto di una certa privacy anche per i disabili mentali.
Masturbazione e polluzioni notturne (IV)
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Prerequisiti a un programma d'intervento mirato all'esperienza della masturbazione
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Conoscenze fisiologiche: il disabile deve possedere, seppure in modo elementare,
alcune conoscenze circa i propri organi genitali; in particolare le ragazze richiedono
spesso maggiori informazioni, in considerazione della minore "visibilità" delle
principali aree erogene e della loro particolare delicatezza e sensibilità.
Motilità fine: questa è necessaria per svolgere adeguatamente i movimenti di
autostimolazione; potranno essere necessari degli addestramenti preventivi alla
manipolazione attenta e delicata di oggetti fragili.
Discriminazione dei tempi e dei luoghi idonei: rimandiamo a questo proposito
all'insegnamento della distinzione fra "pubblico" e "privato".
Collegare tale pratica autoerotica al desiderio e all'eccitazione sessuale: è
importante far capire al disabile che l'attività autoerotica è un qualcosa che nasce dal
desiderio e dalla capacità di provare un'eccitazione sessuale e deve rimanere il più
possibile legata a questo campo; se si è in ansia o ci si annoia, invece, possono
essere emessi altri comportamenti per risolvere la questione, che sono più idonei,
aumentano le proprie capacità e non incorrono in sanzioni sociali. Tali
comportamenti potranno essere insegnati dagli operatori all'interno di altri
programmi, ma il collegamento fra questi altri ambiti e questo deve essere fatto,
soprattutto se vi è la possibilità di una masturbazione compulsiva.
Abilità di igiene personale: infine, il disabile dovrebbe essere già in grado, almeno
in una certa misura, di badare alla pulizia propria e dei suoi indumenti, al fine di
potere inserire, come passo finale della sequenza, anche il pulirsi e il rivestirsi
adeguatamente.
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Omosessualità e altri comportamenti problematici (I)
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Già dai tre anni e con una punta verso i cinque i bambini divengono estremamente consapevoli dei
comportamenti e degli interessi adeguati al proprio sesso, anche come conseguenza dell'osservazione
della condotta dei genitori. I gesti di tenerezza osservati fra i genitori, e il manifesto piacere che essi ne
traggono, costituiscono un'occasione ulteriore di apprendimento riguardo a intimità e affetto. Un
atteggiamento scostante o aggressivo fra i genitori può produrre idee distorte sulle differenze fra i sessi e
la sessualità.
A questo proposito è utile ridefinire il peso dell'identificazione quale è stato espresso da Freud; come
afferma Kohlberg (1966) è più importante il concetto di ruolo sessuale, che viene attribuito fin dalla
nascita al bambino e di cui egli ben presto diviene consapevole. Quindi la caratterizzazione sessuale non
viene considerata risultato dell'identificazione, ma questa sarebbe la conseguenza della formazione della
tipologia sessuale. Tali autoconcetti del bambino a proposito del suo ruolo sessuale divengono stabilizzati
verso i 5-6 anni e quindi producono altri valori e atteggiamenti caratterizzati secondo il sesso.
Infine, come rilevano Money ed Ehrhardt (1972), oltre all'identificazione e all'attribuzione di un ruolo da
parte della società, rilevante è il concetto di "complementarità" nell'apprendimento della differenziazione
del ruolo e dell'identità di genere. Infatti i bambini si identificano coi membri del proprio sesso
differenziandosi in modo complementare da quelli del sesso opposto.
La già precoce reattività genitale viene ulteriormente attivata all'epoca della pubertà. Accanto a ciò,
sviluppiamo l'abilità di formare e mantenere rapporti interpersonali più o meno stretti. Questi due aspetti,
prima relativamente indipendenti, dopo la pubertà si fondono in un rapporto sessuale che incorpora in una
relazione diadica le reazioni sensuali acquisite dinanzi a determinati stimoli. A questo punto si pone
l'importante questione dello "stimolo erotico".
Ramsey (1943), lavorando con Kinsey, ha evidenziato che i ragazzi prepuberi comunemente possono
provare erezioni dinanzi a una varietà di stimoli non sessuali ma attivanti (eccitanti o piacevolmente
spaventosi). Ciò cala verso i 12-13 anni. Così può intervenire l'apprendimento, mediato dai pari, che
indicano gli stimoli sessualmente rilevanti, accettati o inaccettabili. Ma in taluni casi, come nei soggetti
isolati dai coetanei, stimoli non sessuali possono essere sessualizzati, così da formare preferenze sessuali
anormali, deviazioni sessuali o parafilie.
Omosessualità e altri comportamenti problematici (II)
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A questo proposito può esservi un'importante differenza fra i sessi. Come conseguenza della minore
visibilità delle risposte sessuali femminili, la sessualità femminile è molto meno orientata genitalmente
durante questa fase cruciale per lo stabilirsi delle preferenze sessuali. Così l'effetto produttore di
confusione generato da un anomalo condizionamento genitale sarà meno evidente. Ciò è confermato dalla
rarità delle parafilie nelle donne e anche della minore prevalenza dell’omosessualità femminile.
McGuire, Carlisle e Young (1965) hanno elaborato un'ipotesi in termini di condizionamento operante
durante fantasie di masturbazione: l'oggetto della fantasia sessuale immediatamente precedente l'orgasmo
verrebbe rinforzato da questo e quindi la fantasia di masturbazione costituirebbe la prima vera esperienza
di eccitamento sessuale. Ciò non spiega però come viene indotto il primo eccitamento sessuale. L'ipotesi
sopra esposta potrebbe giungere a colmare la lacuna. A ogni modo, senza dubbio processi di
apprendimento intervengono nell'elaborazione delle preferenze sessuali: Rachman (1966) è riuscito a
indurre un "feticismo" sperimentale tramite una classica procedura di condizionamento.
Piuttosto comune, soprattutto nei maschi, è l'esperienza omosessuale in età adolescenziale (Kinsey e coll.,
1948; 1953). Secondo Sorenson (1973) il 5% dei ragazzi fra tredici e quindici anni e il 17% di quelli fra i
sedici e i diciannove non avevano mai avuto esperienze omosessuali; fra le ragazze solo il 6% riferì
almeno un episodio del genere. In genere tali rapporti rappresentano un'esperienza transitoria che non
segna l'indirizzo sessuale da adulti. Si tratta in genere di "esplorazioni" che costituiscono un aspetto della
serie di apprendimenti che avvengono come parte essenziale dello sviluppo sessuale. Alcuni problemi
possono talora nascere non tanto a proposito delle future preferenze sessuali del giovane quanto piuttosto
per il sorgere di possibili sensi di colpa in grado di indurre ingiustificati turbamenti emotivi. Un
atteggiamento sereno e realistico degli adulti a questo proposito è di grande rilevanza.
Del resto, anche per quanto riguarda il comportamento omosessuale negli adulti c'è da augurarsi che i
preconcetti contro questo tipo di preferenza sessuale ancora in parte dominanti nella nostra cultura si
modifichino verso una più tranquilla accettazione.
Omosessualità e altri comportamenti problematici (III)
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Un passo importante in questa direzione è già stato compiuto, almeno nel mondo psichiatrico e
psicologico; infatti dal 1974 l'Associazione Psichiatrica Americana ha derubricato l'omosessualità dal
proprio elenco ufficiale di diagnosi patologiche (il famoso DSM, Manuale Diagnostico Statistico), che
viene considerato punto di riferimento per gli specialisti della salute mentale. In tal modo tale
comportamento non viene più considerato patologico, ma semplicemente una scelta alternativa, al pari di
qualsiasi altra attività sessuale non riproduttiva intrapresa in modo privato fra adulti consenzienti.
Preconcetti e difficoltà obiettive nell'applicazione ai disabili mentali
Per i motivi sopra evidenziati (convinzione di asessualità o di ipersessualità), frequentemente gli
educatori e i genitori tendono a fornire scarsissime informazioni di tipo sessuale al disabile (del resto
spesso assenti o incomplete anche nei figli normodotati), da cui deriva una rilevante carenza di
conoscenze sessuali, che costituisce un impedimento all'acquisizione di ruoli e preferenze sessuali.
Non bisogna inoltre dimenticare che nel disabile tenuto protetto in famiglia o in quello istituzionalizzato
viene spesso a mancare quel fattore così rilevante (e in taluni casi in grado di vicariare le informazioni
non date dagli adulti) che è costituito dalle conoscenze derivanti dal mondo dei propri pari e coetanei. Se,
inoltre, queste sono presenti, esse, che già nel mondo "normale" sono frammentarie, incomplete e talvolta
erronee, lo divengono ancora di più in quanto provenienti da fonti disabili, con minori capacità di avere
esperienze adeguate e di interiorizzarle.
D'altra parte, come in certi casi nella popolazione cosiddetta "normale", taluni comportamenti
omosessuali del disabile sono il risultato di un senso di inadeguatezza personale nei confronti dell'altro
sesso, del resto giustificata in base all'esiguità degli apprendimenti in proposito o alla sproporzione dei
modelli proposti dai mass media o anche dagli adulti.
Comportamenti omosessuali sono abbastanza frequenti in disabili di grado medio o leggero se
istituzionalizzati da lungo periodo. In questi casi essi sono l'unico sbocco di una ricerca di affetto o di
esperienze, che non ha altro modo per potere essere soddisfatta.
Omosessualità e altri comportamenti problematici (IV)
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Talvolta compaiono comportamenti apparentemente pedofili, che non sono però il risultato di un
desiderio del disabile di avere come compagno sessuale un bambino, ma derivano dalla paura di
incontrare giovani o adulti della stessa propria età. Allora il disabile si rivolge a interlocutori più giovani
di lui, presso i quali possa esercitare un certo prestigio e ricevere una più facile attenzione, ottenendo
anche quel contatto fisico, erroneamente frainteso come pederastia, che gli adulti spesso non sono tanto
disposti a concedere come manifestazioni d'affetto.
Mete e modalità d'approccio
Il problema in questo caso, una volta superati i pregiudizi di cui sopra, dovrebbe consistere innanzitutto
nel valutare se il presunto comportamento omosessuale è veramente tale, se cioè nasce da motivazioni di
stampo sessuale e non invece da fattori diversi, come quelli sopra descritti.
Una volta individuate le eventuali motivazioni sessuali, occorre condurre un'analisi in termini della
situazione reale di vita del disabile; se infatti è istituzionalizzato o non ha disponibilità di persone
dell'altro sesso, risulta evidente che la scelta è fra il condannarlo alla repressione di ogni manifestazione
sessuale e l'accettare tali comportamenti, purché non comportino una sopraffazione o uno sfruttamento
del partner.
In ogni caso è importante eseguire una valutazione dei costi e dei benefici che tale comportamento
omosessuale può avere nella situazione di vita del singolo individuo:
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L'istituzione e/o la famiglia sono in grado di accettare e comprendere un tale comportamento?
Gli atteggiamenti generali circostanti sono negativi o positivi?
L'ambiente di vita permette un adeguato grado di protezione da interferenze esterne?
L'ambiente di vita consente un livello di privacy sufficiente?
Il legame omosessuale presenta caratteristiche di una certa stabilità e di un certo affetto, oppure si tratta di
esperienze casuali o promiscue?
La situazione potrebbe cambiare se vi fosse la disponibilità di partner dell'altro sesso?
Si tratta, ovviamente, di domande difficili, ma cui bisognerebbe dare una risposta prima di lasciarsi
andare a reazioni impulsive.
Il rapporto sessuale (I)
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Il rapporto completo, in base alla statistiche, sembra essere già stato provato almeno una volta da più del
72% dei diciannovenni e da più del 55% delle giovani della stessa età.
Nel primo rapporto, in particolare, così ansiogeno per la sua novità e per i tanti aspetti coinvolti
dell'immagine di sé, vengono in primo piano tutte le componenti apprese fin qui discusse. Da una parte le
informazioni di tipo fisiologico (per esempio, la rottura dell'imene, la contraccezione, eccetera), dall'altra
la formazione in ambito più prettamente cognitivo: superamento di paure e di idee irrazionali, conoscenza
degli atteggiamenti e delle aspettative dell'altro sesso, acquisizione di repertori e di abilità sociali in
ambito sessuale, eccetera.
Oltre alle semplici conoscenze fisiologiche è indispensabile che il giovane abbia potuto apprendere
atteggiamenti adeguati circa temi di carattere più eminentemente formativo: in primo luogo il concetto di
piacere (cfr. Masters e Johnson, 1974).
Il piacere soggettivamente percepito durante il rapporto sessuale, infatti, è la risultante di vari aspetti di
cui quello puramente meccanico, riguardante i recettori sensoriali dei genitali, è solo uno dei tanti e non
l'unico sufficiente. Il piacere provato deriva dall'eccitazione, ma questa, a differenza di quanto troppo
spesso credono i giovani, è il risultato di fattori diversi, anche cognitivi: la vista, l'udito, il tatto in tutto il
corpo, l'olfatto, il gusto, la situazione, le fantasie, i precedenti giochi sessuali e i preliminari, l'assenza di
qualsiasi forma di ansia, l'atteggiamento e le aspettative dei partner e la comunicazione fra di essi. Tutti
questi fattori si aggiungono alla semplice stimolazione meccanica e possono, o meno, far superare la
soglia dell'orgasmo.
Sempre collegata a un disfunzionale atteggiamento verso il piacere è la tendenza, presente in molti
giovani (ma anche in certi adulti), a desiderare numerosi partner diversi. Ciò può essere la risultante della
volontà di fare esperienze, comprensibile nei più giovani, ma anche di dimostrare quanto si è bravi,
potenti, seducenti, eccetera; oppure può derivare dalla convinzione che, essendo ormai esperti o abituati
al proprio partner, solo la novità possa garantire un rinnovato buon funzionamento sessuale.
Il rapporto sessuale (II)
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Non meraviglia come spesso, in presenza di tale atteggiamento, subentri ansia da prestazione e quindi
insuccesso o, dopo un certo tempo, noia o saturazione che, se non riconosciute subito come tali, possono
creare altri fallimenti e timori d'impotenza o altro.
Nel corso della sua educazione il giovane dovrebbe avere appreso le tre regole fondamentali del rapporto
sessuale: rispetto, attenzione e complicità. Un'adeguata concezione del piacere e della comunicazione
induce a interessarsi al proprio partner come persona, con proprie esigenze e peculiari sensibilità, e non
come semplice oggetto di piacere; così le cose si fanno insieme, seguendo le reazioni dell'altro e
regolando di conseguenza il proprio comportamento, e si partecipa insieme, con spirito ludico, a nuove
varianti appena introdotte o scoperte, godendo dell'eccitazione che ne deriva.
D'altra parte è invece possibile apprendere atteggiamenti e convinzioni che, essendo infondati, possono
indurre risposte e comportamenti sessuali disfunzionali. A parte alcuni miti sulla sessualità altrove
sottolineati (Dèttore, 2001), è utile qui trattare solo alcuni concetti rilevanti legati al rapporto sessuale in
sé (cfr. anche Dèttore, Friedman, LoPiccolo e Veglia, 1990): il rapporto non è prestazione, è invece un
momento nel quale due persone, prive di ogni altro fine, desiderano solo procurarsi vicendevolmente
piacere, al di fuori di ogni schema prefissato; infatti il rapporto non deve costituire neanche una sequenza
funzionale, cioè un insieme di atti che necessariamente si susseguono in un dato ordine. Tale
standardizzazione non può che ingenerare noia e saturazione ed, eventualmente, nuova ansia, se qualcosa
fa inceppare l'ordinato svolgersi del programma.
Infine il rapporto sessuale non è una merce di scambio: non è qualcosa da concedere per premio o da
rifiutare per punizione. Spesso problemi di natura sessuale in una coppia derivano da conflitti in altre
aree, che si scaricano nella sfera sessuale, aggravando ulteriormente la situazione e innescando un circolo
vizioso.
Il rapporto sessuale deve essere affrontato solo quando se ne ha la voglia e con l'unico scopo di provare e
dare piacere; se ci si sforza o si è costretti ad accettarlo, per qualunque motivo, non possono che nascerne
problemi, come, per esempio, un calo del desiderio.
Il rapporto sessuale (III)
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Alla base e all'inizio dei rapporti di coppia vi è spesso un "innamoramento" e un "corteggiamento", che
dipendono interamente da fattori culturali appresi, dalle abilità sociali, dalle capacità di gestione
dell'ansia e di autocontrollo e dall'immagine di sé. Occorre subito rilevare come in quest'ambito sia di
primaria importanza l'acquisizione di adeguate abilità sociali, di problem-solving e di self-control. E'
necessario porre in evidenza come sia indispensabile il conoscere gli atteggiamenti e le aspettative
proprie dell'altro sesso: troppo spesso i problemi derivano dall'ignoranza di questi aspetti e dalle paure
che ne nascono, tanto che l'altro viene vissuto come minaccioso in quanto imprevedibile e quindi
incontrollabile.
Secondo Money ed Ehrhardt (1972), la capacità di un autentico innamoramento non è correlata alla
pubertà ormonale, anzi, in genere, la prima è successiva alla seconda. Tali autori, comunque, interpretano
l'innamoramento come un fenomeno di imprinting: il periodo critico verrebbe individuato
nell'adolescenza e lo stimolo efficace sarebbe un ideale di partner. Il problema è come viene elaborato
questo ideale.
E' interessante il fatto che studi su mammiferi superiori come le scimmie rhesus (Herbert, 1968; 1970) e i
cani (Beach, 1970) hanno mostrano come essi presentino delle preferenze nella scelta del partner di
accoppiamento che non dipendono dal momento del ciclo della femmina o dalle condizioni ormonali del
maschio, ma sembrano costituire delle vere e proprie inclinazioni individuali, non momentanee. E'
possibile che tali inclinazioni siano frutto di apprendimento, negli animali in seguito a circostanze casuali
d'esistenza, negli esseri umani come conseguenza ancora di queste ma anche del processo sociale di
acculturazione. E' indicativo il fatto rilevato da Money ed Ehrhardt (1972) per cui nella specie umana
l'attrattività di ogni singola parte del corpo varia in base alla società e alla cultura: per esempio, la nudità
stessa, per noi occidentali stimolo eccitante, non lo è per gli aborigeni australiani, per i quali è normale e
abituale.
Preconcetti e difficoltà obiettive nell'applicazione ai disabili mentali
A questo proposito vale tutto quanto si è detto in precedenza a proposito dei pregiudizi rispetto alla
sessualità nei disabili. A ciò si aggiunga, naturalmente, il timore che eventuali rapporti sessuali possano
portare alla nascita di figli anch'essi con problemi di disabilità psicofisica.
Il rapporto sessuale (IV)
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Quest'ultimo aspetto ha una sua base razionale, ma non va portato all'eccesso.
Secondo Eisenring (1978) gli studi genetici avrebbero dimostrato che in caso di genitori entrambi con
ritardo mentale vi è un 40% di probabilità che anche il figlio sia portatore di analoga condizione; tale
probabilità scende al 12% nel caso di un solo genitore disabile mentale. Nella popolazione cosiddetta
normale la probabilità sarebbe dello 0,5%. Inoltre, secondo i dati di Reed e Reed (1965), il 40% di figli
con ritardo mentale nati da genitori entrambi disabile con QI medio di 70, presentavano un QI medio di
74; mentre del 15% di figli con ritardo mentale di genitori di cui solo uno disabile, il 54% aveva un QI
maggiore di 90. Si rileva quindi la cosiddetta "regressione verso la media", per cui col passare delle
generazioni le tendenze verso gli estremi, sia in negativo sia in positivo, tendono a indebolirsi e a tornare
verso valori, appunto, medi.
Il problema, dunque, esiste, ma va affrontato con equilibrio e può essere risolto, come vedremo più oltre,
attraverso una prevenzione contraccettiva adeguata.
Mete e modalità d'approccio
Come rileva Veglia (1991), sarebbe molto riduttivo il credere, come purtroppo spesso avviene, che il far
l'amore consista nell'avere un rapporto coitale con un partner, possibilmente dell'altro sesso,
raggiungendo l'orgasmo.
Come si è altrove sottolineato (Dèttore, Friedman, LoPiccolo e Veglia, 1991; Dèttore, 1997), far l'amore
è qualcosa di molto di più ampio e di meno stereotipato. Proprio per questo, tale esperienza può essere
possibile, laddove vi siano le abilità e le condizioni necessarie, anche per i disabili.
Il riuscire a liberarsi dai vincoli di una visione del rapporto sessuale come una serie di prestazioni
prefissate, con un inizio e una fine obbligatorii, e con passi intermedi necessitati, è particolarmente
importante per tutte le coppie normodotate, e in particolare per quelle che ci consultano in ambito
sessuologico, ma nel contempo permette anche ai disabili di trovare un loro modo di far l'amore,
ugualmente degno e accettabile al pari di ogni altro, dove non vi sia noia, ripetitività o sopraffazione, ma
rispetto, gioco e fantasia.
Il rapporto sessuale (V)
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In quest'ottica, per affrontare tale argomento con un gruppo di disabili di livello lieve o medio-lieve,
seguendo, almeno in parte la Dixon (1988), possiamo definire due mete di base: imparare che cos'è un
rapporto sessuale e cosa vuol dire "essere responsabile".
Il rapporto sessuale può essere definito e discusso secondo i seguenti punti:
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il rapporto sessuale è solo una parte dell'attività sessuale, che può comportarlo o meno;
scopo dell'attività sessuale, e quindi del rapporto sessuale, è il provare piacere insieme fra i due partner;
i due partner sono solitamente persone adulte, di sesso diverso, entrambe consapevoli di ciò che stanno facendo e
che accettano reciprocamente di farlo;
il rapporto sessuale (coito) comprende la penetrazione, ma l'attività sessuale in generale può comportare altre
attività diverse da questa;
durante il rapporto sessuale si può provare eccitazione piacevole e talora, ma non sempre, l'orgasmo;
il rapporto sessuale, se svolto senza particolari precauzioni, può portare a gravidanza nella donna;
l'attività sessuale in generale è un'attività normale e positiva, che non ha nulla di sporco o di sbagliato, purché, al
pari di ogni altra attività interpersonale, venga condotta nella consapevolezza e nel rispetto dell'altro e tenendo
presenti i punti precedenti.
La discussione di tali argomenti può essere facilitata usando delle figure o altro materiale illustrativo.
Il concetto di "essere responsabile" può essere analizzato e compreso col sussidio di alcune tecniche:
–
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definizione in gruppo della parola "responsabile” e di un comportamento "responsabile" appunto;
esercitazione sul concetto di "comportamento responsabile": individuare comportamenti che abbiano tale
caratteristica o, al contrario, ne siano privi, prima in storie già preparate e poi in libera produzione;
definizione del concetto di responsabilità sessuale: 1) conoscenza delle possibili conseguenze di un rapporto
sessuale (gravidanza, eventuale deflorazione, eccetera); 2) preoccupazione per la libertà di scelta del partner
nell'accettare il rapporto sessuale o talune modalità di esso; 3) attenzione al proprio piacere ma anche a quello
dell'altro; 4) attenzione alle proprie esigenze, che vanno espresse, ma anche a quelle del partner; 5) attenzione
all'integrità fisica dell'altro; 6) consapevolezza che un rapporto sessuale è un'occasione interpersonale importante,
che non va presa alla leggera e che dovrebbe essere intrapresa almeno in presenza di un legame affettivo di una
certa intensità fra le due parti in causa.
La gestione dei comportamenti sessuali
problematici (I)
•
Vi sono alcuni principi generali validi per ogni comportamento problematico, non solo
sessuale:
– Ogni comportamento emesso risponde a una sua specifica funzionalità, che occorre
comprendere prima d'intervenire (fattori che lo innescano e lo mantengono).
– Di conseguenza, è in genere sconsigliabile cercare di estinguere un comportamento,
senza trovarne un altro più adeguato, ma con analoghe funzionalità, che lo possa
sostituire. Da un punto di vista etico ciò potrebbe essere considerata una frustrante
crudeltà, da una prospettiva più pratica, è elevato il rischio che il comportamento estinto
venga sostituito da un altro comportamento disadattivo scelto dal soggetto.
– Il comportamento adattivo appreso deve essere utile all'interno di un percorso di
apprendimento, con incremento di abilità e perseguimento di una maggiore autonomia.
– Un comportamento deve diventare bersaglio di un intervento mirato a estinguerlo solo
dopo che si è operato un processo di "decisione di effettiva problematicità", secondo i
seguenti criteri (Veglia, 2000):
• Il comportamento espone il soggetto che lo mette in atto o altre persone o l'ambiente
a pericoli, danni fisici ed esperienze traumatiche.
• Il comportamento permette di raggiungere soltanto un benessere effimero e non dà
l'accesso a gratificazioni più significative a medio e lungo termine.
• Il comportamento è seguito soltanto dalla riduzione di un disagio (come l'ansia), ma
non consente di costruire autentiche situazioni gratificanti.
• Il comportamento non consente di raggiungere gli obiettivi verso cui il soggetto era
pure orientato.
La gestione dei comportamenti sessuali
problematici (II)
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• Il comportamento espone il soggetto a conseguenze ambientali e sociali negative o
comunque i costi prodotti dall'azione sono superiori ai vantaggi.
• L'uso del comportamento impedisce l'apprendimento e l'esercizio di altri schemi di
azione più efficaci e impoverisce il repertorio di conoscenze del soggetto.
• L'uso del comportamento interferisce con l'acquisizione di nuove competenze, anche
in aree prive di contenuti sessuali.
• La ridotta autonomia, prodotta dalla povertà del sistema di conoscenza e dei repertori
comportamentali a sua volta generata dal ripetersi dei comportamenti problematici,
interferisce con la capacità di risolvere problemi, assumere decisioni e costruire una
buona immagine di sé, generando massima dipendenza dall'ambiente.
Una volta deciso di effettuare l'intervento di riduzione del comportamento problematico, è
necessario utilizzare la strategia meno lesiva della libertà individuale. Ciò può essere fatto
seguendo il "Modello del Trattamento Meno Restrittivo" elaborato da Foxx (1982).
DIAGRAMMA DI
FLUSSO PER LA
SCELTA DELLE
TECNICHE DI
MODIFICAZIONE
DEL
COMPORTAMENTO
Le tecniche di modificazione del comportamento (I)
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1) Controllo dello stimolo: consiste nello strutturare la situazione-stimolo nel modo più adeguato
possibile alla produzione delle risposte. Si parla in questo caso di prompting (suggerimento).
2) Rinforzo: consiste nel fare seguire il comportamento adeguato manifestato dal soggetto da
conseguenze positive di vario genere.
3) Modellamento: consiste nel presentare al soggetto un modello che esegue la prestazione richiesta
(tale termine equivale grossomodo all'imitazione).
4) Shaping (o modellaggio): consiste nel rinforzare delle approssimazioni successive al
comportamento meta. Per raggiungere approssimazioni sempre più precise si ricorre al rinforzamento
positivo e all'estinzione.
5) Chaining (o concatenamento): consiste nel combinare diversi comportamenti, ognuno dei quali è
caratterizzato dalla presenza di uno stimolo discriminante, di una risposta e del rinforzamento. In
esso, ogni comportamento funge sia da stimolo discriminante per la risposta che segue, sia da rinforza
per la risposta precedente.
6) Estinzione: si fa in modo che il comportamento inadeguato non sia più seguito da ricompensa
(grossolanamente tale tecnica consiste nell'ignorare il comportamento).
7) Rinforzo differenziale: assumendo che numerosi comportamenti siano reciprocamente
incompatibili, si rinforza quello adeguato mentre quello inadeguato viene sottoposto a estinzione.
8) Costo della risposta: la situazione educativa viene organizzata in modo tale che la comparsa del
comportamento inadeguato è fatta seguire dalla perdita totale o parziale di un beneficio.
9) Time-out: il comportamento inadeguato, quando viene prodotto, comporta la sottrazione di ogni
possibile rinforzo per un periodo di tempo circoscritto (stanzino del time-out).
Le tecniche di modificazione del comportamento (II)
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10) Pratica negativa o Saziazione: particolarmente adatta all'eliminazione di gesti stereotipici o di
veri e propri tic, consiste nel far ripetere tali comportamenti fino a provocarne sa scomparsa,
conseguente a saturazione.
11) Contratti educativi: tipo di contratto in cui vengono specificati sia i comportamenti o i compiti
richiesti sia i rinforzatori che seguono alla comparsa di quei comportamenti. Elemento fondamentale
di tale contrattazione è quello di basarsi su patti chiaramente formulati ed accettati dalle parti
contraenti.
12) Token economy (economia simbolica): sistema economico in cui come mezzo di scambio
vengono usati dei rinforzatori simbolici. Questi rinforzatori vengono poi scambiati con quelli di
sostegno, i quali possono essere tangibili, dinamici, eccetera. Il rinforzatore simbolico, che
generalmente consiste in gettoni, visti, firme, ecc., svolge la stessa funzione del denaro nella società
esterna all'istituzione.
13) Autocontrollo: procedura di modificazione caratterizzata dal fatto che è il soggetto stesso a
introdurre delle modificazioni nell'ambiente che lo circonda e ad alterare in questo modo la
frequenza di alcune risposte che fanno parte del suo repertorio.
14) Pratica positiva: consiste nell'indurre il soggetto a eseguire una catena o parte di una catena di
comportamenti adeguati per alcune volte di fila, finché non è in grado di eseguirle in modo
soddisfacente. La seduta di pratica positiva in genere segue immediatamente l'emissione del
comportamento inadeguato e consiste in genere nell'emissione di risposte che costituiscono la
controparte positiva di esso.
15) Ipercorrezione od “overcorrection”: si tratta di una pratica di punizione che fa seguire
all’emissione di un comportamento problematico, che crea dei danni, la riparazione sistematica di
tali danni portata però a un grado molto elevata, che comporta l’estensione degli atti riparativi anche
ad altri aspetti ambientali che non erano stati danneggiati dal comportamento problematico stesso.
Il "modello del trattamento meno restrittivo"
(Foxx, 1982)
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Tale modello comprende la disponibilità di varie procedure d'intervento mirate all'estinzione dei comportamenti
problematici organizzate secondo tre livelli di crescente restrittività, alle quali si può passare solo se nel corso del
precedente trattamento è emersa l'inefficacia di una precedente procedura meno restrittiva.
I Livello
Interventi che non possiedono proprietà di sgradevolezza e restrittività in misura maggiore di quante sono presenti in
ogni abituale forma di comunicazione tra persone.
Tecniche
Rinforzo Differenziale di Comportamenti Diversi (RDCD o DRO).
Rinforzo Differenziale dei Comportamenti Adeguati (RDCA o DRA).
Rinforzo Differenziale dei Comportamenti Incompatibili (RDCI o DRI).
Saziazione.
II Livello
Vengono impiegate procedure che presentano alcune proprietà di sgradevolezza e restrittività, per cui devono essere
utilizzate con prudenza sia per rispetto verso il soggetto sia al fine di evitare eventuali danni.
Tecniche
Pratica negativa (senza prompt o guida manuale).
Estinzione.
Time-out (senza isolamento).
III Livello
Vengono impiegate procedure che presentano elevate proprietà di sgradevolezza e restrittività, per cui devono essere
utilizzate con estrema prudenza e col consenso di tutti gli operatori e i familiari coinvolti.
Tecniche
Pratica negativa (con prompt o guida manuale).
Blocco o costrizione fisici.
Time-out (con isolamento).
Ipercorrezione.
Altre abilità più specifiche (I)
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Il primo mestruo per una ragazza è un'esperienza rilevante, rispetto a cui va preparata e informata in
precedenza e in modo adeguato. Spesso, purtroppo, ciò non accade e la giovane, se non ha avuto
conoscenze derivate da altre fonti (come il mondo delle coetanee), si trova di fronte a un evento che può
essere spaventoso, oltre che imprevisto, suscitando idee di patologia o altre fantasie negative. Inoltre,
anche il modo in cui talora se ne parla, usando perifrasi, quasi fossero cose sporche o di cui vergognarsi,
non fa altro che accrescere un vissuto negativo rispetto a tale fatto del tutto naturale, per cui non
meraviglia che molte donne soffrano in occasione delle mestruazioni di disturbi che, se in parte di origine
fisica, sono spesso accresciuti da fattori psicologici.
Per cui è molto importante che la giovane, dopo una corretta preparazione a riguardo, divenga
responsabile della gestione del proprio mestruo, conosca le pratiche igieniche più opportune, tenga un
corretto conto della regolarità o meno del ciclo, e viva tutto questo come un aspetto positivo ed esclusivo
della propria femminilità.
Sempre collegata a una valida responsabilizzazione e a una raggiunta autogestione e autodeterminazione,
in questo caso sia per la donna sia per l'uomo, è la decisione di praticare una contraccezione efficace e
idonea alle proprie esigenze.
E' così naturalmente fondamentale una adeguata conoscenza dei principali metodi contraccettivi e della
loro validità, sicurezza e idoneità rispetto alle circostanze di vita e all'età del soggetto. Dovrebbero,
dunque, essere presentati e spiegati i metodi cosiddetti "naturali" o "ritmici" (metodo Ogino-Knaus,
metodo della temperatura basale e metodo Billings o dell'ovulazione) e quelli fondati invece sull'uso del
preservativo, di spermicidi, del diaframma, della spirale o IUD, della pillola, oltre ai metodi estremi della
sterilizzazione femminile e maschile. Tali spiegazioni vanno date con serenità e con serietà e sincerità
scientifica rispetto ai vari vantaggi e svantaggi di ciascuno, cercando di responsabilizzare il giovane
piuttosto che dare giudizi moraleggianti su chi ricorre a tali mezzi, il cui uso va lasciato alla libertà di
ciascuno.
Altre abilità più specifiche (II)
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Un altro aspetto centrale della capacità di autogestione che dovrebbe essere raggiunta dal giovane
riguarda il sapere prendere decisioni in campo sessuale (rifiutare attività sessuali non gradite) e possedere
abilità di autodifesa sessuale e di discriminazione delle situazioni pericolose. In particolare queste ultime
dovrebbero essere insegnate anche a bambini in età prescolare, affinché essi sappiano come reagire e
difendersi da eventuali adulti che li importunano.
Preconcetti e difficoltà obiettive nell'applicazione ai disabili mentali
Per quanto riguarda le mestruazioni, esse possono acquisire un certo peso problematico per le giovani
disabili se, oltre alla scarsa conoscenze delle convenienze sociali, si aggiunge anche una non
comprensione intellettiva.
Da un lato, infatti, queste ragazze provano in proposito un certo orgoglio e nel contempo una certa paura,
per cui ne parlano volentieri, anche in momenti e con persone non adeguati, sia a scopo di captazione
dell'attenzione sia per essere rassicurate. Dall'altro, se una spiegazione razionale del fenomeno non è
possibile, talune di queste giovani ne rimangono turbate e, talvolta, rattristate.
La contraccezione, naturalmente, pone le maggiori difficoltà, sia per quanto riguarda la nostre resistenze
preconcette ai rapporti sessuali fra disabili, sia per i problemi intrinseci alla scelta del metodo
contraccettivo e all'insegnamento del suo uso.
Per quanto riguarda l'uso effettivo dei vari metodi contraccettivi, è possibile affermare che in genere i
metodi "naturali" sono troppo complessi da gestire da parte di disabili; lo stesso si può dire, almeno in
parte, per gli spermicidi e il diaframma, mentre la pillola e il preservativo sono gestibili da persone con
ritardo mentale lieve ben preparate e informate; la spirale è sicura e presenta minime difficoltà di
gestione, che scompaiono del tutto con la sterilizzazione, che, però, può sollevare dubbi morali, se
applicata in individui che non possono sceglierla consapevolmente.
L'insegnare, infine, le abilità di decisione e di difesa sessuale è un intervento utile e importante a scopo
preventivo rispetto a eventuali occasioni di sfruttamento sessuale cui i disabili purtroppo talora incorrono,
in quanto è possibile trovare chi vuole approfittare di chi ha minori capacità di difendersi.
Altre abilità più specifiche (III)
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Mete e modalità d'approccio
Per quanto riguarda le mestruazioni è possibile, individualmente o in gruppo, seguire i passaggi sotto
indicati:
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individuare cosa ciascuno sa del concetto e accordarsi su di un termine per riferirsi a esso (sarebbe meglio usare la
parola esatta evitando perifrasi inutili);
spiegare la natura di esse in termini adeguati all'uditorio: in taluni casi è possibile affrontare anche gli aspetti
fisiologici del ciclo mestruale, in altri sarà sufficiente sottolineare la naturalità della cosa, il suo ripetersi regolare
nel tempo, il fatto che è un fenomeno caratteristico delle donne e che non rappresenta una malattia o un disturbo di
qualsiasi altro tipo;
affrontare il concetto, eventualmente già trattato, del concetto di "pubblico" e "privato", sottolineando come anche
tutto ciò che riguarda la gestione delle mestruazioni è un aspetto privato che riguarda l'intimità personale;
prendere in considerazione la possibilità dei dolori mestruali: sottolineare come si tratti di un aspetto normale
presente in alcune donne e che non costituisce un fatto patologico; come suggerisce la Dixon (1988), possono
essere insegnati alcuni esercizi utili per ridurre tali dolori (a esempio rannicchiarsi con le ginocchia flesse verso il
mento e la testa fra le gambe, da sdraiati su di un fianco o da seduti, oppure stirarsi il più possibile verso l'alto,
tenendo la schiena il più possibile aderente alla parete);
introdurre un addestramento agli aspetti igienici legati al mestruo: pulizia personale, uso degli assorbenti, eccetera.
Trattare il discorso dei metodi contraccettivi è senza dubbio una questione più delicata e presenta
maggiori difficoltà. Infatti prima di tutto è necessario che i genitori o gli educatori abbiano preso una
decisione riguardo all'accettazione che i disabili possano eventualmente avere delle esperienze sessuali;
in secondo luogo occorre valutare se essi siano in grado di elaborare e far proprie le informazioni in
proposito.
Nel caso che entrambe queste domande abbiano una risposta affermativa, è possibile procedere nel modo
seguente:
–
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riassumere i concetti di rapporto sessuale e di gravidanza, precedentemente già affrontati, e discutere innanzitutto i
metodi anticoncezionali più "drastici": astinenza totale, rapporti sessuali senza coito, sterilizzazione; cercare il più
possibile di ottenere i pareri dell'uditorio e attivare la discussione;
sottolineare come alcuni metodi molto diffusi, come il coito interrotto, non siano affatto sicuri;
Altre abilità più specifiche (IV)
– passare quindi all'esposizione dei vari metodi anticoncezionali (pillola, diaframma, preservativo,
spermicidi diversi e in vario modo usati, spirale), con l'ausilio di grafici e disegni e anche mostrando
tali contraccettivi in modo che possano essere osservati e manipolati dal vero;
– a seconda del livello dell'uditorio è possibile affrontare anche i vantaggi e gli svantaggi di ogni
metodo (che dovrebbero essere ben noti all'educatore!), cercando di ottenere il parere personale di
ogni membro dell'uditorio;
– individuare per ognuno quale potrebbe essere il metodo che sente più facilmente gestibile e più a sé
adeguato;
– cercare di intervenire con ristrutturazioni adeguate se la scelta fatta dal disabile risulta
sproporzionata alle sue capacità e quindi velleitaria;
– nel caso, invece, che la scelta sia adeguata, è possibile allenare le capacità di autocontrollo e
autogestione del disabile. Nel caso di soggetti di sesso femminile si possono nel contempo
approfondire alcuni concetti legati all'argomento in questione, assegnando loro il compito di
automonitorare il proprio ciclo mestruale su di una tabella già elaborata. Ciò dovrebbe produrre una
maggiore consapevolezza della regolarità temporale di esso, una costante attenzione a un compito da
eseguire periodicamente e una sensibilizzazione al problema che potrebbe aumentare la motivazione
a preoccuparsi della contraccezione nel caso si presenti la possibilità di avere rapporti sessuali.
•
Infine, è utile affrontare alcuni temi connessi alla gestione dei rapporti interpersonali.
Innanzitutto, all'interno di un training di abilità sociali è possibile inserire, almeno per alcuni
soggetti, alcuni incontri dedicati alla trattazione degli aspetti legati al corteggiamento, fondati
sull'individuazione ed evidenziazione delle situazioni, dei segnali da leggere e delle
comunicazioni da inviare più idonee a condurre un processo di reciproca conoscenza in modo
socialmente accettabile e adeguato rispetto alle esigenze e ai desideri di entrambe le parti in
questione.
Altre abilità più specifiche (V)
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Un'importante componente di questo training consiste nell'insegnare a prendere decisioni in
ambito sessuale e a difendersi da proposte o comportamenti altrui sconvenienti. Questo può
essere fatto in gruppo seguendo alcuni passi che descriviamo in generale lasciando al singolo
educatore la libertà poi di realizzarlo secondo le modalità che ritiene più idonee a sé e ai
partecipanti:
– sottolineare in partenza che abbiamo il diritto di scegliere se acconsentire o meno, in base a quello
che sentiamo e a quanto riteniamo essere giusto o sbagliato, sia ai tentativi di conoscenza da parte di
un'altra persona sia ai suoi eventuali tentativi di approccio più intimo, anche se correttamente
condotti;
– possono essere usate descrizioni di alcune situazioni, al fine di facilitare i partecipanti al gruppo a
discriminare fra le varie situazioni possibili; queste possono essere raggruppate in tre categorie
fondamentali: 1) approcci condotti da persone note in modo corretto ed educato; 2) approcci condotti
da persone note ma in maniera non adeguata e conveniente (a es. cercando di forzare l'altro, oppure
cominciando taluni comportamenti senza attendere segnali di disponibilità dall'altro); 3) approcci
condotti da estranei in modo importuno e/o intrusivo (a es. porre le mani in parti intime del corpo,
oppure offrire dei dolci o qualsiasi altra cosa invitando il soggetto a seguirli); si cerchi di porre in
risalto ciò che distingue le modalità corrette da quelle che non lo sono: il non rispetto della persona,
dell'intimità e della volontà altrui, l'eventuale violenza fisica, l'agire di sorpresa, eccetera;
– nel caso di approcci corretti, si possono elaborare prima i criteri di scelta della risposta da emettere
(a es. la simpatia provata per l'altro, il tempo di conoscenza reciproca, il parere di genitori ed
educatori, eccetera) e poi si possono svolgere dei role-playing relativi alle modalità con cui
effettivamente rispondere;
– invece, di fronte a modalità di approccio scorrette si possono provare in role-playing diverse
alternative: dire di no chiaramente, chiamare altre persone in aiuto (a questo proposito è importante
insegnare a discriminare quali sono le persone più idonee: poliziotti, vigili, eccetera), riferire a
genitori e/o educatori, e così via.
VANTAGGI E SVANTAGGI DEI PRINCIPALI METODI ANTICONCEZIONALI
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PILLOLA
Vantaggi: 1) è il più efficace metodo anticoncezionale non chirurgico (percentuale d'insuccesso del 2-3%); 2) non
interferisce con la spontaneità del rapporto.
Svantaggi: 1) possibili effetti collaterali: nausea, stipsi, sbalzi pressorii, edema, variazioni di peso, macchie sulla pelle,
aumento secrezioni vaginali e rischio di infezioni vaginali, talora calo del desiderio sessuale; 2) necessità di ricordarsi di
prendere la pillola tutti i giorni seguendo un ben preciso programma; 3) aumento dei rischi di patologia cardiocircolatoria (malattie tromboemboliche e infarto cardiaco, specie in donne che fumano e hanno più di 35 anni).
PRESERVATIVO
Vantaggi: 1) metodo semplice e sicuro (percentuale d'insuccesso del 5%), se usato adeguatamente e con costanza.
Svantaggi: 1) la sua efficacia dipende da un uso adeguato e, soprattutto, costante; 2) può interferire con la possibilità di
provare piacere, in quanto può ridurre la sensibilità.
DIAFRAMMA
Vantaggi: 1) se usato bene e con grande costanza ha un indice di fallimento di circa l'1,9%; 2) presenta scarsi effetti
collaterali (possibili reazioni allergiche alla gomma o allo spermicida e un potenziale aumento di infezioni urinarie,
soprattutto cistiti).
Svantaggi: 1) possibile diminuzione della spontaneità del rapporto sessuale e disagio per doverlo inserire poco prima di
esso; 2) una certa macchinosità d'uso e il dipendere, per la sua efficacia, dalla regolarità, attenzione, memoria e
motivazione della donna.
SPERMICIDI
Vantaggi: 1) se ben usati, piuttosto efficaci (percentuale d'insuccesso del 5% circa), ma gli ovuli e le schiume lo sono
più di creme e gelatine; 2) possibile protezione contro alcune malattie veneree (gonorrea) e l'infiammazione pelvica.
Svantaggi: 1) possibilità di uso scorretto piuttosto elevata; 2) possibili reazioni allergiche nella donna, ma anche nel
partner; 3) possibile maggiore rischio d'aborto.
SPIRALE
Vantaggi: 1) non disturba minimamente la spontaneità del rapporto sessuale e una volta inserita non occorre più
preoccuparsene se non per taluni controlli saltuari; 2) è un metodo sicuro (circa 2,9% di percentuali di fallimento).
Svantaggi: 1) l'intervento di inserimento può provocare un po' di fastidio; 2) rischio di perforazione dell'utero (circa un
caso su mille); 3) possibile aumento del flusso sanguigno e dei dolori mestruali, oltre che incremento del rischio di
infiammazioni pelviche; 4) aumento del rischio di gravidanze extrauterine; 5) possibili dolori durante il rapporto, in lei
per non adeguata posizione, in lui per possibile irritazione causata dal filo della spirale.
STERILIZZAZIONE
Vantaggi: 1) sicurezza totale o quasi; 2) assenza di effetti collaterali.
Svantaggi: 1) necessità di un piccolo intervento chirurgico; 2) non facile e garantita reversibilità.
Matrimonio, gravidanza e figli (I)
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Si tratta spesso delle mete più elevate e più complesse anche rispetto a individui normodotati. Esse
richiedono l'acquisizione di una complessa serie di abilità cognitive e comportamentali: la
responsabilizzazione nei confronti del partner e degli eventuali figli, la capacità di mantenere con decoro
una famiglia, di fornire un'educazione adeguata ai figli, di intrattenere modalità di rapporto interpersonale
col partner mutuamente gratificanti, di elaborare progetti a medio e lungo termine, eccetera.
Non è facile padroneggiare tutti questi e altri aspetti e ciò è dimostrato dall'elevato numero di coppie che
si separano e dalle difficoltà che frequentemente vengono incontrate nell'educazione e nell'allevamento
dei figli.
Probabilmente una migliore preparazione a tutti questi aspetti sarebbe necessaria anche per le cosiddette
persone "normodotate".
Preconcetti e difficoltà obiettive nell'applicazione ai disabili mentali
Evidentemente la situazione è molto più difficile nel caso di individui disabili, da un lato per i pregiudizi
di cui si è ampiamente già parlato (in questo caso riguardanti soprattutto gli aspetti di eugenetica),
dall'altro come conseguenza degli ostacoli obiettivi (difficoltà di mantenimento finanziario della coppia,
di allevamento degli eventuali figli, eccetera).
A proposito, poi, della possibilità di generare una prole, sorgono i massimi problemi, in quanto il diritto,
anche dei disabili, di generare un figlio si scontra in modo drammatico col diritto di questo di avere
genitori in grado di allevarlo in modo intellettualmente, emotivamente, affettivamente e socialmente
adeguato; e questo al di là di ogni considerazione eugenetica. Risposte univoche e generali, in questo
campo, non ne esistono e occorre valutare di volta in volta la singola situazione.
Matrimonio, gravidanza e figli (II)
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Inoltre, come abbiamo visto in diversi casi precedenti, anche in questo caso talvolta la motivazione dei
comportamenti non deriva da un impulso erotico-sessuale, come tanto spesso e frettolosamente siamo
indotti a pensare.
E' frequente l'osservazione di adolescenti o giovani donne, con grado di disabilità da medio a grave, che
ricercano come compagni giovani, specie se con ritardo mentale più grave del loro. A una attenta
osservazione, si riscontra spesso che la motivazione alla base di tale comportamento non è affatto
sessuale ma di tipo materno.
Analogamente, al tentativo di ricreare rapporti preferenziali genitori-figli (specie se in famiglia sono stati
carenti), e non tanto a impulsi genitali, possono essere attribuiti alcuni apparenti tentativi di seduzione nei
confronti di educatori, soprattutto se appena giunti nell'istituto.
Anche a proposito nel matrimonio può verificarsi una situazione del genere. Spesso il desiderio di
sposarsi costituisce un tentativo di normalizzazione, allo scopo di annullare il ruolo di disabile. Esso
viene così a significare una specie di promozione, di liberazione dall'istituto o dalla famiglia, l'essere
simili al fratello o alla sorella "normali" e da sempre modelli ideali, il potere godere di una festa, di una
cerimonia, di cui si è l'indiscussa "stella".
Altrettanto può accadere per quanto riguarda il desiderio di avere un figlio, che mediante l'assunzione
dell'importante ruolo di genitore permetterebbe di dare maggiore valore alla propria auto-immagine e alla
propria figura dinanzi a sé e agli altri.
Matrimonio, gravidanza e figli (III)
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Mete e modalità d'approccio
Naturalmente, in particolar modo per i portatori di ritardo lieve, costituisce un prerequisito essenziale la
comprensione dei concetti basilari legati alla natura della gravidanza, del parto e delle responsabilità
inerenti al ruolo di genitori (e delle difficoltà insite in esso) e a quelle derivanti dal matrimonio. Il volume
della Dixon (1988) espone in modo chiaro alcune procedure educative utili a questo proposito.
In questa sede, desideriamo invece sottolineare alcuni punti che riteniamo importanti:
– rimanere il più possibile legati alla realtà, per quanto dura possa essere; illudere queste persone circa
possibilità di vita che non saranno realizzabili provoca sempre maggiore sofferenza, dopo la
delusione, che una analisi realistica di una situazione difficile;
– non assecondare (o addirittura innescare) fantasie circa inesistenti rapporti di matrimonio; come si è
già rilevato talune donne con disabilità medio-grave possono vedere in un ragazzo più giovane la
possibilità di avere un compagno e spesso così si autoattribuiscono il ruolo, del tutto inventato, di
"moglie" o "fidanzata" di questo; tale specie di gioco può essere sostenuto da educatori e/o familiari,
che credono in tal modo di far cosa gradita a queste donne e trovano la cosa divertente,
involontariamente così facilitando una fantasia che talora può tendere a volersi realizzare in modo
del tutto inappropriato; allora il riportare tutto in termini di realtà diventa necessario, ma sarebbe
stato meno doloroso se la cosa fosse stata fatta all'inizio, senza lasciare che le fantasie si spingessero
e si consolidassero oltre;
– gli studi di Mattinson (1975) su 32 coppie sposate di disabili mentali e quello di Craft e Craft (1978)
su un altro gruppo di tali coppie hanno mostrato che una maggioranza di tali matrimoni può essere
fonte di reciproca gratificazione e di affetto e che non esiste una correlazione tra il grado di ritardo
mentale e il successo nella vita di coppia; pure non bisogna considerare, per il gruppo dei disabili, il
matrimonio come una sorta di panacea alle difficoltà della vita; tale scelta, per tutti, normodotati e
disabili, non costituisce certo una facile soluzione ai problemi personali, anzi talvolta può aggravarli.
Ugualmente l'avere dei figli non deve essere considerato un modo per cercare di tenere in piedi un
rapporto che zoppica.
Malattie veneree e AIDS (I)
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La conoscenza della natura delle malattie veneree, e in questi ultimi anni dell'AIDS,
costituisce senza dubbio una parte rilevante dell'educazione sessuale e all'igiene.
Tali argomenti, al pari di tutti gli altri qui discussi, vanno affrontati con serenità e
senza drammatizzazioni. In particolare, tali malattie non devono essere presentate
come la punizione di una infrazione (o peggio, la conseguenza di una colpa), ma
come un qualcosa che talvolta deriva da ignoranza reciproca o da imprudenza e
leggerezza.
Preconcetti e difficoltà obiettive nell'applicazione ai disabili mentali
Questo particolare gruppo di persone riceve solitamente un'educazione sessuale
ancora più carente dei normodotati (che pure anch'essi di solito non ne ottengono
una molto migliore) e, sull'aspetto delle malattie venere in special modo
l'informazione è del tutto assente, sulla base del preconcetto che molto difficilmente
potranno avere la possibilità di contagiarsi.
Specie, però, con soggetti con ritardo mentale lieve tali informazioni acquistano un
valore preventivo non trascurabile, seppure, naturalmente, si debbano superare
difficoltà legate alle non del tutto intatte capacità di elaborazione concettuale di
questi soggetti.
Malattie veneree e AIDS (II)
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Mete e modalità d'approccio
Le essenziali caratteristiche delle principali malattie veneree (gonorrea, sifilide,
herpes genitale, eccetera) e dell'AIDS, se esposte in forma semplice e senza
drammatizzazioni eccessive, possono essere esposte in un gruppo di apprendimento
o singolarmente. In questi casi occorre sempre effettuare, dopo l'esposizione
didattica, una serie di prove di comprensione per verificare la misura in cui i concetti
esposti sono stati acquisiti dagli ascoltatori.
Una volta spiegate le caratteristiche di queste malattie, è possibile introdurre il
discorso della prevenzione, soprattutto per quello che riguarda il campo sessuale,
che qui ci interessa. A questo proposito va riproposta la spiegazione dell'uso del
preservativo, già precedentemente introdotta, che costituisce un mezzo adeguato (in
particolar modo rispetto all'AIDS) per affrontare un rapporto sessuale con una
persona di cui non si è del tutto sicuri.
E' inutile sottolineare come, a tale riguardo, sia utile discutere insieme al gruppo che
è preferibile evitare comunque rapporti sessuali con persone di cui non si è del tutto
sicuri e che non si conoscono sufficientemente a fondo. Diviene dunque importante
riprendere così i concetti già esposti, a proposito delle modalità di rifiuto di rapporti
indesiderati e dei criteri con cui decidere rispetto a tali situazioni.
Le abilità che dovrebbero essere possedute dall’educatore
alla sessualità nei casi di disabilità mentale
(da Veglia, 1991; 2000; Dèttore, 1997) (I)
•
Concludiamo con alcune indicazioni relative alle competenze degli educatori che
dovrebbero essere responsabili degli interventi nel campo della sessualità.
• Ambito delle conoscenze
•
Questo si riferisce a tutte le conoscenze e le informazioni sulla biologia, anatomia,
patologia, psicologia, cultura, antropologia, sociologia della sessualità, che possono
essere considerate sufficientemente sicure e scientifiche. Si tratta forse dell'aspetto
più semplice: basta trovare dei buoni libri. Non è, comunque, un aspetto che possa
essere dato per scontato; chiunque lavori nel campo sessuologico bene conosce
quale sia la disinformazione (e talora la mancanza di informazione) rispetto alla
sfera sessuale anche in persone di buon livello culturale.
• Ambito emozionale
•
Si tratta di un punto molto delicato, che riguarda la consapevolezza delle proprie
emozioni a proposito della sessualità, delle sue componenti e delle pratiche relative;
quindi coinvolge paure, tabù, inibizioni e problematiche emozionali varie.
Le abilità che dovrebbero essere possedute dall’educatore
alla sessualità nei casi di disabilità mentale
(da Veglia, 1991; 2000; Dèttore, 1997) (II)
•
Dei formatori nel campo dell'educazione sessuale dovrebbero quindi sforzarsi di
conseguire le seguenti mete:
– Essere consapevoli dei propri vissuti sessuali, in particolare riuscendo a rendersi
conto consciamente che vi possono essere taluni aspetti, aree o pratiche in
campo sessuale che attivano nel soggetto delle particolari ansie; non tanto per
dover necessariamente eliminare ogni imbarazzo o disagio in tale campo, ma
piuttosto come conseguenza del fatto che è necessario che un educatore conosca
i propri punti di debolezza e li tenga sempre presenti affinché questi non
influenzino, senza che se ne accorga, le sue proposte didattiche. La meta non è
essere totalmente tranquilli e rilassati verso ogni possibilità nell'area sessuale,
ma impiegare le proprie reazioni emozionali (anche negative) in tale campo
come modalità di segnalazione di aspetti problematici e anche come strumento
di maggiore empatia e di condivisione con gli altri.
– Tra gli elementi che costituiscono il sistema del Sé e i sottosistemi dell’identità
di genere vi è lo schema corporeo. Da ciò deriva l’utilità di un buon rapporto col
proprio corpo e modalità equilibrate di contatto fisico in ambito sociale che non
scadano né nell'inibizione pudibonda né nel cameratismo invadente.
– Giungere a realizzare l'opera di educazione sessuale privi, quale motivazione del
proprio intervento, di un interesse morboso verso l'utente o le procedure
dell'intervento stesso.
Le abilità che dovrebbero essere possedute dall’educatore
alla sessualità nei casi di disabilità mentale
(da Veglia, 1991; 2000; Dèttore, 1997) (III)
– Riuscire a tollerare l'incertezza derivante dall'accettazione di un confronto, ed
eventualmente anche di una contrapposizione, di punti di vista; evento che,
affrontando la sfera sessuale, è molto più probabile rispetto alla situazione in cui
vengono trattate materie più classicamente curricolari. Ma essa può anche essere
la conseguenza dell’impossibilità, di costringere la ricca variabilità di
comportamenti sessuali entro rigorose categorie, spesso caratterizzate da
bipolarità (maschio, femmina; eterosessuale, omosessuale; normale, patologico;
innato, appreso; eccetera), che se da una parte sono senza dubbio tranquillizzanti
nella loro apparente chiarezza ed esaustività, dall’altra peccano di semplicismo e
spesso cadono in giudizi valutativi, con conseguenti pregiudizi e
colpevolizzazioni.
• Ambito degli atteggiamenti
•
•
Le reazioni emozionali sopra evidenziate dipendono in parte rilevante da ciò che
una persona pensa, dai suoi schemi cognitivi, consapevoli o meno, che portano alla
costruzione di insiemi di atteggiamenti che intervengono attivamente sia nella fase
dell'interpretazione degli stimoli provenienti dall'esterno, sia in quella successiva di
scelta ed emissione della risposta ad essi.
Tali schemi derivano in gran parte dalla cultura sociale, sebbene non siano
irrilevanti peculiari esperienze di vita del singolo individuo.
Le abilità che dovrebbero essere possedute dall’educatore
alla sessualità nei casi di disabilità mentale
(da Veglia, 1991; 2000; Dèttore, 1997) (IV)
•
Vi sono alcuni atteggiamenti che è necessario affrontare chiaramente e in modo
esplicito parlando ai formatori, affinché vengano da essi consapevolizzati nel loro
agire e nei loro effetti su vari ambiti nella sfera sessuale:
– Gli stereotipi culturali legati al ruolo maschile e femminile (il classico doppio
standard). Questi sono rilevanti nell'individuare ciò che è permesso o meno ai
due sessi (per es. i maschi possono essere più disinibiti delle donne), ciò che un
sesso si aspetta dall'altro (per es., gli uomini avrebbero un maggiore livello di
desiderio sessuale e una minore, o nulla, capacità di controllo su di esso).
– La propria "ideologia" riguardo alla sessualità; è possibile ritenere questa sfera
come un ambito centrale o periferico nella propria esistenza, considerarne come
elemento fondamentale la riproduzione, la comunicazione tra i partner o
l'aspetto ludico, o tutte le cose insieme; tutto va bene purché si accetti la
relatività di tale punto di vista. Ognuno ha il diritto di vedere le cose a modo
suo, ma non di ritenere che quello sia l'unico modo giusto. Può essere,
comunque, utile evidenziare con i formatori quali conseguenze "funzionali"
ciascuna di queste ideologie possa avere sul vissuto e sul comportamento
sessuale (per esempio, una prospettiva che vede il rapporto sessuale come
"momento di sublime comunicazione interpersonale" può fare perdere di vista
quelle componenti puramente sensoriali e sensuali che sono utili nel sostenere
l'eccitamento sessuale stesso).
Le abilità che dovrebbero essere possedute dall’educatore
alla sessualità nei casi di disabilità mentale
(da Veglia, 1991; 2000; Dèttore, 1997) (V)
– Corollari particolari e specifici che derivano sia dagli stereotipi sia dalle
ideologie sessuali. Per esempio tutte quelle convinzioni che inseriscono nel
rapporto sessuale elementi intrinsecamente estranei o comunque fonte di
disfunzioni: per esempio considerare l'interrelazione sessuale come un'occasione
per fornire una prestazione, per ottenere prova di sé e del proprio valore, per
conseguire una manipolazione sul partner, per premiarlo o punirlo, per lottare
contro di lui al fine della conquista di maggiore potere all'interno della coppia.
– Le motivazioni, infine, che hanno indotto ad assumere determinate posizioni in
ambito sessuale; per esempio una sessualità disinibita può essere fatta propria
allo scopo di apparire moderni e alla moda oppure per impostazione ideologica,
nell'ambito di scelte politiche in senso volutamente progressista; al contrario
comportamenti sessuali ipercontrollati possono essere manifestati da persone
con convinzioni religiose rigorose. Ognuno ha il diritto di avere proprie
motivazioni, ma anche in questo caso può essere utile sottolineare sia come
l'eccessiva rigidità di impostazioni troppo ideologizzate possa creare disfunzioni
come conseguenza di definizioni eccessivamente schematiche e in termini di
"dover essere" del rapporto sessuale, sia come l'ostentazione superficiale di
comportamenti derivanti da principi non sufficientemente interiorizzati possa
condurre a problematiche emozionali, in quanto ciò che si pensa non viene
accompagnato da risposte emozionali che vanno nello stesso senso dei pensieri.
Le abilità che dovrebbero essere possedute dall’educatore
alla sessualità nei casi di disabilità mentale
(da Veglia, 1991; 2000; Dèttore, 1997) (VI)
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In conclusione possiamo riassumere alcuni punti fondamentali da tenere presenti:
– Progettare l'intervento al fine di ampliare le possibilità esperienziali e di
gratificazione dell'utente, aumentandone le possibilità di gestione di sé e del
proprio ambiente, e non per seguire una moda, solo perché oggi si parla di più
della sessualità dei disabili e quindi occuparsene significa essere operatori
"aggiornati".
– Non imporre al disabile esigenze non sue, che non vengano rilevate sulla base di
suoi comportamenti oggettivi, ma solo perché, esistendo una "sfera sessuale",
anche questo aspetto dovrebbe necessariamente essere preso in considerazione
in un programma di riabilitazione, oppure, ancor peggio, come risultato del fatto
che siamo "ideologicamente" spinti a farlo. Come nel caso di ogni altra persona,
è bene cercare di aiutare i portatori di disabilità mentale a essere più felici "a
modo loro" e non come noi vorremmo.
– Possedere una preparazione sessuologica di base.
– Conoscere le principali tecniche pedagogiche e i principi fondamentali dei
processi d'apprendimento.
– Avere definito chiaramente il comportamento meta, tenendo presenti tutte le
implicazioni etiche a esso legate.
– Avere definito un motivo che giustifichi il proprio intervento coerente col
personale sistema di valori e non in opposizione con quello del proprio gruppo.
Le abilità che dovrebbero essere possedute dall’educatore
alla sessualità nei casi di disabilità mentale
(da Veglia, 1991; 2000; Dèttore, 1997) (VII)
– Essere consapevole dei propri vissuti sessuali, sapendo gestire adeguatamente le
proprie risposte emotive, in particolare quelle connesse all'area sessuale.
– Presentare un buon rapporto col proprio corpo e non avere imbarazzi nei
confronti della gestione di quello altrui.
– Essere in grado di negare, come motivazione del proprio intervento, un interesse
morboso verso l'utente o le procedure dell'intervento stesso.
– Altresì potere negare ogni interesse sessuale o affettivo (nel senso
d'innamoramento) nei confronti dell'utente.
– Essere bene accettato dall'utente, ma non costituire la figura di riferimento
principale per esso o sostitutiva delle figure parentali.
– Padroneggiare le varie fasi del processo di problem-solving, al fine di sapere
correggere con serenità gli eventuali errori in corso d'opera, senza essere
intimorito al pensiero di poterli compiere.
– Condurre sempre un intervento "individualizzato" al singolo caso, senza
lasciarsi andare a ipergeneralizzazioni o tecnicismi.
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