L'istinto animale Durante l’osservazione di una specie animale si scopre ben presto nei suoi movimenti delle “costanti formali”. Se ne trovano di analoghe in specie affini, anche in specie molto diverse nei modi di vita, sorge il sospetto che si tratti di un modello di comportamento innato, cioè ereditato da un antenato comune. Partendo da questa ipotesi gli ornitologi Whitman e Heinroth studiarono sistematicamente i movimento di corteggiamento di gruppi di piccioni e di anatre, volgendo l’attenzione al grado di analogia nei diversi rappresentanti del gruppo in questione, come se si trattasse di strutture corporee. Heinroth definì queste forme di comportamento come “atti pulsionali specifici”; Whitman parlò di istinti. Lorenz ha elevato questi schemi di comportamento innati a vero e proprio oggetto di ricerca, scoprendo una serie di particolarità fisiologiche che ha definito azioni istintive. Tinbergen ha mostrato che nelle azioni istintive sono distinguibili sperimentalmente due diverse componenti: l’azione orientativa (tropismo) e il movimento istintivo (coordinazione ereditaria). Mentre le azioni di orientamento dipendono dalla presenza di stimoli esterni che le condizionano, le coordinazioni ereditarie, una volta avviate da uno stimolo esterno, non ne hanno più bisogno. Se, ad esempio, un’oca cinerina vuole risospingere nel nido un uovo che ne è caduto fuori, essa afferra dal di sopra l’uovo con il becco e lo spinge nel nido, impedendo che l’uovo le sfugga con movimenti laterali di bilanciamento del becco. Se le si toglie l’uovo dopo che essa ha iniziato a spingerlo nel nido, essa spinge il collo in direzione del nido: la coordinazione ereditaria, una volta scatenata, continua a svolgersi, mentre i movimenti a bilanciere (componenti del tropismo) vengono meno. Tropismo e movimento istintivo si rapportano l’uno all’altro come la guida e il motore di un’automobile: mentre il motore, una volta avviato, continua a funzionare, la guida richiede sempre un intervento esterno. Con la scoperta delle azioni istintive come “mattoni ” relativamente indipendenti del comportamento, l’etologia comparata si è sviluppata come disciplina autonoma, progredendo soprattutto in due direzioni. Come fisiologia del comportamento indaga sperimentalmente i meccanismi causali del comportamento; come morfologia del comportamento si serve dei metodi di comparazione della morfologia per ricostruire, tra l’altro, lo sviluppo filogenetico delle forme di comportamento. L'apprendimento animale Il tema dell'apprendimento animale è stato affrontato nel Novecento sia dalla psicologia che dall'etologia. L'impianto teorico e le metodologie di queste diverse linee di ricerca hanno fatto sì che il fenomeno dell'apprendimento non solo fosse analizzato da prospettive spesso inconciliabili, ma altresì desse vita a risultanze empiriche e sperimentali sostanzialmente antitetiche. La psicologia, essendo più interessata all'ontogenesi del comportamento - ossia allo sviluppo individuale dell'identità comportamentale - poneva la propria attenzione più ai meccanismi dell'apprendimento che al significato adattativo di questo fenomeno, cosicché si preoccupava soprattutto di realizzare situazioni sperimentali dove ogni parametro potesse essere predefinito. Questa è stata la filosofia della scuola pavloviana all'inizio del XX secolo, delle prime impostazioni di ricerca in psicologia animale e comparata, ma soprattutto di quella impostazione teorica chiamata comportamentismo (behaviorismo) fondata da John B. Watson nel 1913 e che dominerà nello scenario della ricerca psicologica nordamericana fino alla fine degli anni Cinquanta. Volendo tracciare un filo conduttore tra i famosi esperimenti di Ivan Pavlov[1] (1849- 1936) sul condizionamento classico e quelli di Burrhus Skinner[2] (1904- 1990) sul condizionamento operante, notiamo che l'apprendimento viene interpretato come una sorta di riflesso automatico che si realizza attraverso un'attività di tipo associativo. Nel condizionamento classico l'associazione si determina tra uno stimolo neutro (ossia che non esita alcuna risposta di ordine innato), per esempio il suono di una campanella, e uno stimolo incondizionato (ovvero che scatena in modo innato una risposta di ordine neurovegetativo), per esempio la vista di un boccone di carne capace di evocare in modo innato (incondizionato) la produzione di saliva. Il condizionamento per Pavlov è la formazione di un nuovo arco riflesso stimolo-risposta (SR) tra lo stimolo neutro e la risposta, nel caso specificato la produzione di saliva. Quando lo stimolo neutro (la campanella) precede di poco lo stimolo incondizionato (la presentazione della carne) nel giro di breve tempo si forma un'associazione tra i due stimoli cosicché il cane inizia a salivare non appena sente suonare la campanella. La ricerca comportamentista proseguirà questo tipo di studi, ma si soffermerà più sulle risposte motorie e sulle scelte operate dall'animale. Il primo a studiarle è Edward Thorndike (1874- 1949) che ponendo dei gatti in particolari gabbie attrezzate - dove cioè gli animali potevano operare in modo controllato sul loro ambiente, premendo leve o pulsanti - diede inizio alla ricerca sul condizionamento operante. Per Thorndike apprendere è connettere, ovvero creare una rete di connessioni tra situazioni e stimoli da una parte e risposte dall'altra. Nel condizionamento operante l'associazione si realizza tra una risposta emessa dal cane di fronte a una particolare condizione (attraverso una ricerca per tentativi ed errori) e la conseguenza che ne deriva: rinforzo positivo, rinforzo negativo, punizione positiva e punizione negativa. Per Burrhus Skinner il condizionamento pavloviano dev'essere denominato di tipo S, perché per produrlo è importante la presenza dello stimolo, ovvero è un condizionamento rispondente, mentre il secondo dev'essere indicato come tipo R, perché è importante l'azione del soggetto ovvero l'operazione che esso compie sull'ambiente, da cui il termine operante. Il condizionamento classico verrà inoltre suddiviso a seconda del valore eccitatorio e inibitorio del legame S-S e inoltre si approfondiranno altre situazioni a esso riconducibili, come l'oblio e l'estinzione, oppure a esso differenziabili, come l'abituazione. La scuola comportamentista da parte sua svilupperà tecniche sempre più complesse di analisi dei programmi di rinforzo - a tempo variabile o fisso, a numero variabile o fisso, a Jack-pot scomponendo le fasi dell'apprendimento in unità atomiche da sequenzializzare attraverso il modellaggio e la sequenza lineare S-R. La sequenza lineare prevede che ogni risposta del soggetto venga trasformata nello stimolo scatenante la risposta successiva in una catena di risposte rigidamente condotta all'interno del binario impresso dallo sperimentatore. La visione estremamente riduzionistica presente nella fisiologia pavloviana e nel comportamentismo skinneriano troverà critiche anche all'interno delle loro stesse scuole. Il fisiologo russo Nikolaj Bernstejn aveva infatti sottolineato come l'apprendimento animale dovesse essere illustrato più come un processo ciclico, dove il soggetto corregge il tiro del proprio operare a seconda da una parte dell'esito del proprio agire dall'altra della meta che si prefigge. Allo stesso modo all'interno della scuola comportamentista Clark Hull aveva sottolineato come tra stimolo e risposta si dovessero considerare le specifiche pulsioni (drive) del soggetto, ossia un insieme di variabili interne che modificavano profondamente l'esito dell'apprendimento. Già negli anni Quaranta la spiegazione comportamentista del processo di apprendimento animale cominciava a presentare le prime difficoltà interpretative. Fu proprio uno studioso behaviorista, Edward Tolman, a dimostrare come in molte situazioni si potesse evidenziare un processo di apprendimento senza condizionamento. Tolman scoprì che i ratti posti in un labirinto apprendevano anche senza alcun tipo di rinforzo, dimostrando che quando essi successivamente venivano posti in una condizione sperimentale in un labirinto analogo, con l'utilizzo di rinforzi arrivavano più velocemente alla soluzione rispetto ad altri ratti "vergini", ossia che non avevano mai frequentato il labirinto. Tolman chiamò questo fenomeno "apprendimento latente". Negli anni Cinquanta il fisiologo Karl Lashley dimostrò che in molti casi la catena associativa di Skinner, basata sulla sequenza lineare S-R, non poteva spiegare alcuni fenomeni come la preattivazione di una risposta (effetto priming) e gli errori anticipatori (spoonerismo). Si ponevano già le basi di quella che sarebbe stata la rivoluzione cognitivista che avrebbe inquadrato l'apprendimento associativo all'interno di una più complessa famiglia di "apprendimento per rappresentazione". L'associazionismo cominciò a essere letto come rappresentazione causale dove i legami S-S (stimolo-stimolo) e R-C (risposta-conseguenza) venivano considerati come la formazione di un legame di causalità diretta tra i due eventi. Ma accanto alla ricerca comportamentista, sempre nella prima metà del Novecento, c’era quella etologica, con un approccio profondamente diverso rispetto alla psicologia dell'apprendimento. L'etologia era principalmente interessata al significato evolutivo del comportamento, dove l'apprendimento veniva considerato una sorta di declinazione del comportamento innato. L'etologia concentrava la propria attenzione sull'identità di specie del comportamento, si soffermava quindi sulla filogenesi e sul significato e sulla rispondenza ecologica del pattern comportamentale. Le metodologie di indagine dei processi di apprendimento erano pertanto improntati su condizioni per quanto possibile naturali, al fine di evitare qualsiasi fraintendimento sul significato adattativo del comportamento. Il fenomeno più conosciuto studiato dal padre dell'etologia Oscar Heinroth fu l'imprinting, ossia il preadattamento innato dei cuccioli di seguire un modello, di creare una sorta di attaccamento sociale e di accreditamento magistrale, per informare la declinazione comportamentale. Nel concetto di declinazione comprendiamo la profonda differenza tra la concezione comportamentista - che leggeva l'individuo come un foglio bianco che veniva condizionato dagli stimoli esterni - e la concezione etologica di una precisa matrice innata che si modifica in accordo tuttavia con precisi vincoli e precise preferenze. L'altro padre riconosciuto dell'etologia, Jakob von Uexkull, aveva sottolineato nel concetto di "umwelt" come ogni specie fosse immersa in un mondo differente a opera dei diversi sistemi di percezione e di attenzione agli stimoli. L'apprendimento diventa pertanto una sorta di declinazione che permette alla radice innata di svilupparsi in un modo piuttosto che in un altro, ma dentro un preciso range di possibilità. Oltre al fenomeno dell'imprinting gli etologi studiarono l'apprendimento per imitazione[3], per interazione sociale e infine per vicarianza - dove il soggetto imparava guardando un conspecifico affrontare particolari problemi. La ricerca etologica permise inoltre di osservare che popolazioni differenti della stessa specie spesso presentavano vere e proprie "tradizioni comportamentali" diverse, ossia che si poteva parlare di una cultura animale. L'apprendimento culturale si discosta dalle altre tipologie di apprendimento sociale per la sua maggiore flessibilità, per il suo non essere determinato dal contesto della specie - non è sufficiente che un individuo appartenga a quella particolare specie per manifestare quel comportamento - e infine per la presenza di una relazione magistrale dove un componente del branco realizza una particolare esibizione comportamentale al solo scopo di insegnare a un altro membro della popolazione quel particolare uso. Infine la ricerca etologica ha sottolineato l'importanza del gioco nei mammiferi come contesto di apprendimento, ove l'alternarsi di ruolo, l'esplorazione ambientale, i biofeedback sensomotori si dimostravano veri e propri volani nel processo di apprendimento. Negli anni seguenti la divisione rigida tra comportamentismo ed etologia classica - che aveva conosciuto un inasprimento durante la fondazione etologica a opera di Konrad Lorenz e Niko Tinbergen - trovò una lenta ricomposizione grazie al lavoro di alcuni studiosi come William Thorpe e Robert Hinde e sempre di più si cercò di mettere in rilievo il doppio registro filogenetico e ontogenetico del comportamento, evitando da una parte di assegnare una priorità all'innato o all'acquisito, evitando dall'altra di porre in modo separato queste due fonti del comportamento. L'apprendimento inizia a essere letto come uno strumento messo in campo dal processo evolutivo proprio per migliorare l'adattabilità dei singoli organismi, riprendendo in parte la ricerca psicologica di Jean Piaget e James Baldwin. L'apprendimento viene considerato come un processo che dà un valore aggiunto all'innato ovvero che realizza quanto vi è di potenziale nell'innato e parallelamente si apre la strada per la rivoluzione cognitivista[4] che modificherà in modo radicale il concetto stesso di apprendimento animale. L'imprinting Si è visto come vi siano dei comportamenti che fanno parte del cosiddetto “bagaglio genetico” di una specie e che indipendentemente dall’esperienza individuale permettono di compiere delle funzioni che sono utili all’individuo o alla specie. Vi sono anche altri tipi di risposte che compaiono se l’individuo viene a contatto con alcuni stimoli o fattori ambientali in un determinato periodo della propria esistenza. L’imprinting è un esempio di questo tipo di risposta che è di fondamentale importanza negli uccelli ma che esiste anche in alcune specie di mammiferi (cavie, cervi, agnelli). Se si osservano degli anatroccoli poche ore dopo la schiusa delle uova si osserva che essi seguono fedelmente la loro madre. Fu proprio Lorenz, come già accennato, a dimostrare come questa tendenza a seguire la madre sia un comportamento che viene appreso in un breve spazio di ore dopo la nascita e come esso non sia specifico: gli anatroccoli possono infatti considerare come loro madre una scatola di cartone, un animale o anche un uomo purchè essi siano stati esposti all’oggetto o alla persona in questione nel periodo critico che va dalla nascita a poco meno di 24 ore dopo. In pratica è sufficiente che una sagoma che rappresenta un’anatra venga fatta muovere davanti a dei giovani anatroccoli perché questi prendano a seguirla superando ostacoli anche difficili e pigolando intensamente; è anche possibile sostituire la sagoma che rappresenta un’anatra con un uomo. Lorenz dimostrò che era sufficiente attendere la schiusa delle uova covate da un’incubatrice perché i piccoli lo seguissero quando egli si muoveva adottandolo come madre. Quando poi gli anatroccoli raggiungevano la maturità sessuale essi compivano nei suoi riguardi delle avances sessuali dimostrando di averlo identificato come un membro della propria specie e di farlo oggetto di corteggiamenti e di “desideri” sessuali. Questa forma di legame filiale che condiziona da adulto la vita dell’animale viene definita come impronta, un processo che viene considerato come un particolare tipo di apprendimento che si verifica solo in un periodo critico, che non è riversabile una volta verificatosi, e che è tanto più tenace quanto maggiori sono stati gli sforzi che l’animale ha dovuto compiere per seguire l’oggetto. L’impronta non riguarda soltanto delle risposte che implichino il seguire la madre o un oggetto; nel cane vi è un periodo critico per ciò che riguarda l’impronta alla socializzazione: se i piccoli vengono isolati nel secondo mese di vita e non hanno contatti con i loro simili o con l’uomo, essi diverranno aggressivi e non saranno capaci di stabilire legami sociali. In particolare proprio nel campo dell’aggressività è stato dimostrato come le esperienze precoci possano modificare sostanzialmente il comportamento dell’individuo verso l’aggressività o la placidità. In generale l’impronta è un processo utile alla specie in quanto determina (in condizioni naturali) l’attaccamento alla madre o tra i membri del branco. Il brano che segue di K. Lorenz descrive in modo piacevole l’imprinting: “Era giunto il grande momento: per ventinove giorni avevo covato le mie venti preziose uova di oca selvatica; o meglio io stesso le avevo covate solo negli ultimi due giorni, affidandole per quelli precedenti ad una grossa oca domestica bianca e un altrettanto grossa e bianca tacchina….Solo negli ultimi due giorni io avevo tolto alla tacchina le dieci uova biancastre, ponendole nella mia incubatrice….E ora il momento fatidico era arrivato…La mia prima ochetta selvatica era dunque venuta al mondo, e io attendevo che divenisse abbastanza robusta per poter ergere il capo e muovere alcuni passetti. La testina inclinata, essa mi guardava con i suoi grossi occhi scuri…A lungo, molto a lungo, mi fissò l’ochetta e quando io feci un movimento e pronunciai una parolina, quel minuscolo essere improvvisamente allentò la tensione e mi salutò… E io non sapevo ancora quali gravosi doveri mi ero assunto per il fatto di aver subito l’ispezione del suo occhietto scuro e di aver provocato con una parola imprevidente la prima cerimonia del saluto. La mia intenzione era infatti di affidare, una volta che fosssero usciti dall’uovo, anche i piccoli covati dalla tacchina alla summenzionata oca domestica…Portai l’uccellino in giardino, dove la grassa biancona se ne stava nella cuccia del cane… infilai la mano sotto il ventre tiepido e morbido della vecchia e vi sistemai per bene la piccina, convinto di aver assolto il mio compito. E invece mi restava ancora molto da imparare. Trascorsero pochi minuti, durante i quali meditavo soddisfatto davanti al nido dell’oca, quando risuonò da sotto la biancona un flebile pigolio interrogativo. In tono pratico e tranquillizzante la vecchia oca rispose. Ma invece di tranquillizzarsi come avrebbe fatto ogni ochetta ragionevole, la mia rapidamente sbucò fuori da sotto le piume, guardò con un solo occhio verso il viso della madre adottiva e poi si allontanò singhiozzando…. Allora io feci un lieve movimento e subito il pianto si placò: la piccola mi venne incontro col collo proteso, salutandomi….Sospirando mi presi la piccola e la portai in casa…fu solennemente battezzata col nome Martina[1]”. Aggressività animale Il comportamento aggressivo è fra quelli che hanno attratto maggiormente l'attenzione degli etologi. Nel 1963 K. Lorenz pubblica Das sogenannte Böse. Zur Naturgeschichte der Aggression. Quest'opera ebbe grande fortuna ed ancora oggi è considerata di grande interesse sia per la sua attenta descrizione che per le considerazioni espresse con un linguaggio semplice e comprensibile anche per i non specialisti. L'aggressività, letta in chiave etologica, è un istinto che esige una scarica periodica; questo è proprio il punto di contatto con la teoria freudiana che interpreta l'aggressività attraverso un modello idraulico. Il cambiamento e la selezione sono per Lorenz i fattori che determinano l'evoluzione ed hanno grande importanza nell'organizzare modelli di comportamento che sono funzionali alla specie. L'istinto aggressivo o combattivo per esempio ha la specifica funzione di garantire la sopravvivenza dell'individuo e della specie. Lorenz, e gli etologi in genere, sono soliti distinguere l'aggressività rivolta verso individui di specie diversa (rivolta, ad esempio, verso la preda) da quella che si estrinseca nei confronti degli individui della stessa specie (aggressività intra-specifica). Infatti, dal punto di vista della fisiologia del comportamento, la prima è fondamentalmente diversa dalla seconda, in quanto le motivazioni dell'animale che combatte sono del tutto dissimili da quello che caccia. Infatti Lorenz afferma che un cane che avvista una lepre e tenta di acciuffarla mostra esattamente la stessa espressione, fra l'ansioso ed il felice, di quando saluta il suo padrone. Quindi il comportamento aggressivo vero e proprio è solamente quello intra-specifico ed all'origine è, per Lorenz, un impulso biologicamente adattivo, innato e spontaneo che ha una funzione di grande importanza: la conservazione della specie. Dunque l'aggressività così intesa non è negativa per il mondo animale, ma è uno strumento di organizzazione degli esseri viventi che permette la conservazione della vita, anche se può capitare che a volte rechi distruzione al sistema. Riferendosi all'espressione di Darwin "la lotta per l'esistenza" Lorenz sostiene che "in realtà la lotta alla quale alludeva Darwin, e che fa progredire l'evoluzione, è in prima linea la concorrenza fra parenti prossimi (lotta intra-specifica)[1] ". Anche se il vero tema del libro di Lorenz è l'aggressività intra-specifica, egli riferisce anche di casi in cui la lotta è di tipo inter-specifico, sottolineando come in tutti i conflitti di questo tipo la funzione di conservazione della specie è molto più evidente che in quelli intra-specifici. Egli distingue tre casi di aggressività interspecifica: il comportamento aggressivo del predatore verso la preda, la reazione aggressiva della preda verso il predatore, la "reazione critica" di colui che, attaccato da un nemico più forte, non vedendo altra soluzione, reagisce con la forza della disperazione attaccando l'aggressore. Ma Lorenz sostiene che vi è un equilibrio naturale interspecifico che viene conservato, equilibrio che invece risulta disturbato nell'uomo. Dunque, secondo l'analisi di Lorenz, non è il nemico predatore a minacciare direttamente l'esistenza di una specie animale, ma il concorrente. Questa tendenza istintiva verso un comportamento aggressivo è essenziale per l'individuo come per la specie, infatti svolge alcune funzioni fondamentali. La distribuzione degli esseri viventi della stessa specie nello spazio vitale disponibile è utile e necessaria al fine di evitare i pericoli della sovrappopolazione. Scrive Lorenz: "questa aggressività territoriale, un meccanismo molto semplice dal punto di vista della fisiologia del comportamento, assolve in maniera assolutamente ideale il compito di distribuire animali di una stessa specie con giustizia rispetto a tutto l'insieme di quella specie, per tutta l'area disponibile. Anche il più debole, sia pure in uno spazio più ristretto, può esistere e riprodursi[2]". Dunque gran parte degli impulsi aggressivi viene utilizzata per la conservazione del territorio nel quale l'animale compie le più importanti attività biologiche, fra cui, appunto, quella della riproduzione e della nidificazione. All'inizio della stagione della riproduzione, l'animale maschio sceglie generalmente un suo territorio: quando un altro maschio si avvicina ai confini di esso, viene minacciato e, se non fugge, viene decisamente attaccato. Il confine del territorio viene segnato con metodi diversi a seconda della specie. Molti uccelli, ad esempio, usano il metodo acustico, cioè i maschi cantando avvertono gli altri individui che quel territorio è occupato. Questo segnale ha la duplice funzione di allontanare i maschi e di attirare le femmine, di modo che il territorio da individuale diventa familiare. Alcuni mammiferi (topo, cane, ecc.) segnano il territorio con l'odore della loro urina, altri (giaguaro) incidono la corteccia degli alberi, altri ancora (alcune antilopi) depongono sui cespugli, sulle rocce o per terra una secrezione di alcune ghiandole situate intorno all'orbita. Quando l'animale varca i confini del suo territorio prova un sentimento di insicurezza, diventa irrequieto, mostra paura, mentre quando si trova nel suo territorio è più coraggioso ed aggressivo e mette in fuga intrusi persino più forti di lui. Un'altra funzione dell'istinto aggressivo è quella della selezione attraverso il combattimento tra rivali. Si tratta di una selezione sessuale degli individui più forti, che ha lo scopo di eliminare gli elementi meno dotati per migliorare il livello della qualità della specie ed è anche strettamente connessa alla difesa della discendenza. "Già Charles Darwin aveva giustamente riconosciuto che la selezione sessuale, la salvezza dei più forti e migliori animali per la riproduzione, si realizza sostanzialmente attraverso i combattimenti degli animali rivaleggianti, soprattutto dei maschi. La forza del padre offre naturalmente un'immediata garanzia per la buona riuscita della prole di quelle specie in cui egli partecipa attivamente alla cura dei piccoli e soprattutto alla loro protezione[3]". L'aggressività interviene anche nel regolare e dirigere il comportamento dell'individuo nella società in cui vive, attraverso un principio ordinatore che permette una normale convivenza. Questo principio è definito da Lorenz "principio gerarchico" e rappresenta la coscienza di ognuno di quelle che sono le proprie possibilità di difesa e quindi di vita. E' normale che in ogni gruppo i singoli tendano a collocarsi in una gerarchia per cui "ognuno degli individui viventi nella comunità sa quale degli altri è più forte o più debole di lui, in modo che ognuno si possa tirare indietro senza lottare davanti al più forte, e possa a sua volta pretendere che il più debole di lui si ritiri senza lottare ogni volta che si incontrino[4]". E' evidente che mediante questo principio gerarchico molte occasioni di lotta, per esempio per il possesso del cibo, tra due individui dello stesso gruppo, vengono notevolmente limitate per via "naturale". Ci sono poi aspetti molto curiosi e singolari che attendono sempre al principio gerarchico. Lorenz ha osservato che se, in un gruppo di cornacchie, una femmina di "basso rango sociale" si accoppia con un maschio di più alta condizione, automaticamente aumenta la sua considerazione presso gli altri componenti del gruppo. Indipendentemente dalla funzione che svolge, l'aggressività per Lorenz è un istinto ineliminabile e quindi non può essere soppresso, ma può essere reso meno dannoso attraverso dei processi di ri-direzione. Infatti scrive: "La ri-direzione dell'attacco è l'espediente più geniale che l'evoluzione abbia inventato per costringere l'aggressività su binari innocui.[5]". Per definire tale meccanismo Lorenz si serve del termine ritualizzazione, intendendo che certi comportamenti perdono nel corso della filogenesi la loro originale funzione per diventare pure cerimonie simboliche, puri movimenti rituali. Sono comportamenti "stereotipati e convenzionalizzati" di sottomissione e di pacificazione che provocano nell'aggressore (compagno di specie) l'inibizione della spinta aggressiva. Il rito ha quindi la funzione di opporsi all'aggressività, di dirottarla verso canali innocui e frenarne i suoi esiti dannosi alla conservazione della specie. Questo primitivo meccanismo inibitore costituisce una prima forma di comunicazione e genera un "vincolo personale", in quanto gli animali, che sono per natura aggressivi, hanno avuto la necessità di collaborare per difendere il territorio e la prole dunque per conservare la specie. La comunicazione che nasce dalla ritualizzazione e che serve a inibire l'aggressività, favorisce la comprensione reciproca. Scrive Lorenz: "Un vincolo personale, un'amicizia individuale si trovano soltanto negli animali con un'aggressività intra-specifica altamente sviluppata, anzi questo vincolo è tanto più saldo quanto più aggressiva è la rispettiva specie animale.[6]" Lorenz riporta l'esempio del corteggiamento dei ciclidi, pesci ossei di acqua dolce, osservando come le femmine assumono comportamenti innescanti il combattimento nei maschi eccitati, i quali lo attuano contro un altro compagno di specie che si trova nelle vicinanze. Questo è anche ciò che succede ad un uomo esasperato che pesta il pugno sul tavolo piuttosto che in viso a colui che lo ha fatto arrabbiare, proprio perché la rabbia pretende una via d'uscita nonostante certi meccanismi d'inibizione. Ai fini della tesi di Lorenz assumono grande importanza moti di pacificazione ri-diretti che deviano l'aggressione da certi individui ad altri e comunicano all'avversario la propria disposizione pacifica, ad esempio attraverso il riso. In questo modo per Lorenz si pongono le basi per rapporti esclusivi e costanti paragonati all'amicizia ed all'amore. "Il vincolo personale, l'amore, s'è formato senza dubbio in molti casi da aggressività intra-specifica, in diversi casi noti attraverso ritualizzazioni di un attacco o di una minaccia ri-diretti. Dato che i riti così formatisi sono legati alla persona del compagno e dato che poi in qualità di azioni istintive indipendenti diventando un bisogno, essi rendono anche la presenza del compagno un bisogno insopprimibile e il compagno stesso l'animale con la valenza di casa." Anche gli atteggiamenti di sottomissione sono importanti al fine di frenare l'aggressione; essi sono costituiti da quei moduli comportamentali mediante i quali un individuo riconosce la superiorità del nemico e cessa il combattimento mostrandogli, a volte, un punto vitale del proprio corpo. Il lupo per esempio offre all'avversario che gli è superiore il lato marcato estremamente vulnerabile del suo collo, così come il cane sembra implorare il nemico per ottenere la grazia offrendogli le sue vene giugulari. Scrive Lorenz in L'anello di Re Salomone: "C'è proprio qualcosa da imparare anche per noi uomini! Io per lo meno ne ho tratto una nuova e più profonda comprensione di un meraviglioso detto del Vangelo che spesso viene frainteso e che finora aveva suscitato in me solo una forte resistenza istintiva: <<se qualcuno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra .. >>. L'illuminazione mi è venuta da un lupo: non per ricevere un altro schiaffo, devi offrire al nemico l'altra guancia, no, devi offrirgliela proprio per impedirgli di dartelo.[7]" E' significativo osservare come i freni che bloccano l'aggressività degli animali nei confronti dei soggetti appartenenti alla stessa specie, sono maggiormente sviluppati nei predatori i quali sono provvisti di armi potenti. E sono proprio gli animali dotati di una forte aggressività intraspecifica quelli che maggiormente sviluppano i vincoli personali che si possono definire di amicizia e di amore. Per Lorenz l'aggressività sarebbe filogeneticamente più antica dell'amore: "L'aggressività intra-specifica è di milioni d'anni più vecchia dell'amicizia personale e dell'amore [...]. Si dà quindi benissimo l'aggressività intra-specifica senza il suo antagonista, l'amore, ma viceversa non c'è amore senza aggressività.[8]" Per tutti questi motivi Lorenz sembra convinto che nel mondo animale non esista un reale pericolo che una specie si estingua a causa dell'aggressività. Nell'uomo invece questo pericolo è assai presente; infatti Lorenz sostiene che nel caso del genere umano il ritmo dello sviluppo naturale ha creato condizioni alle quali l'uomo non è filogeneticamente preparato. Nella specie umana mancano infatti molti dei meccanismi autoinibitori dell'aggressività presenti nelle specie non umane. Il comportamento aggressivo diventa fine a se stesso, perde il suo carattere di conservazione della specie e si trasforma in cieca distruttività intraspecifica. Lorenz individua alcune cause dello squilibrio fra l'enorme potenzialità offensiva e i meccanismi istintivi di inibizione, squilibrio che rappresenta uno spaventoso pericolo per l'umanità. Accanto alla difficoltà di adattarsi alla vita moderna, con i suoi ritmi frenetici e i suoi sforzi ridotti e i conseguenti squilibri nella convivenza sociale, Lorenz individua nella sempre maggior disponibilità di armi e nel particolare tipo di queste un possibile incentivo alla distruttività. Infatti l'uso delle moderne armi comandate a distanza esclude il contatto diretto con l'aggredito e questo ne aumenta la pericolosità. "L'uomo che preme il pulsante d'innesco è così totalmente schermato dal vedere, sentire o altrimenti realizzare emozionalmente le conseguenze della sua azione che la può compiere con impunità, anche se è afflitto del peso di una buona immaginazione. Soltanto così si può spiegare come un buon uomo, che non riuscirebbe quasi a dare uno scapaccione ben meritato a un bambino discolo, si ritrovi senz'altro il coraggio di lanciare missili o di stendere tappeti di bombe incendiarie su città addormentate, condannando così ad una terribile morte fra le fiamme centinaia e migliaia di amabili bambini.[9]" Anche per S. Bonino - G. Saglione (1978) è necessario chiedersi per quali ragioni nella specie umana la ritualizzazione dell'aggressività sia così difficoltosa. Infatti scrivono: "La ragione basilare per cui il comportamento dell'uomo è scarsamente ritualizzato è a nostro parere da ricercarsi nella plasticità tipica dell'uomo. Rispetto agli animali l'uomo non viene alla luce con un corredo di reazioni rigide e stereotipate, programmate e poco variabili. L'uomo è invece, come più volte abbiamo già notato, scarsamente dotato sul piano istintuale; anche i comportamenti filogeneticamente determinati sono nell'uomo più plastici e maggiormente legati alle influenze ambientali e dell'ontogenesi. Questa plasticità è alla base del prodigioso sviluppo e della stupefacente complessità del comportamento umano, capace di far fronte alle situazioni più nuove e insospettate. [...] La rigida determinazione del comportamento è inversamente proporzionale all'evoluzione filogenetica. Una reazione rigidamente stereotipata e preordinata è alla base di un equilibrio labile, che non è in grado di tener conto delle variazioni di una situazione e di adattarvisi plasticamente.[10]" Dunque per l'uomo, forse assai di più che per l'animale, è illusorio sperare che il rimedio all'aggressività consista nel tenersi lontano dalle situazioni che la innescano. L'aggressività esplode anche in mancanza di condizioni ambientali scatenanti; infatti l'individuo inquieto che sente aumentare in sé la rabbia, è disposto a cercare, persino ad immaginare, le più piccole occasioni atte ad innescarle (comportamento appetitivo). Allora l'unica soluzione appare quella di incanalare l'aggressività, ri-dirigendola verso forme di scarica periodica come ad esempio le competizioni sportive, l'entusiasmo per la scienza e per le arti. Si tratta, per Lorenz, di una vera e propria catarsi, di una ritualizzazione che ha come scopo quello di impedire gli effetti dell'aggressione socialmente dannosa e mantenere invece invariate le funzioni per la conservazione della specie umana. Per fare ciò è necessario che l'uomo si appelli alle sue facoltà razionali in modo da educarsi ad un controllo cosciente e responsabile della sua istintiva pulsione alla lotta. Lorenz conclude la sua opera con una grande dichiarazione di speranza: speranza nella selezione naturale e speranza nella razionalità umana. Scrive: "Sappiamo che nell'evoluzione dei vertebrati il vincolo dell'amore personale e dell'amicizia fu un'invenzione che fece epoca, creata da due grandi costruttori quando divenne necessario per due o più individui d'una specie aggressiva vivere pacificamente insieme e cooperare ad un fine comune. Sappiamo che la società umana si è costituita sulle fondamenta di questo vincolo, ma dobbiamo accettare il fatto che il vincolo è diventato troppo limitato per comprendere tutto quanto dovrebbe: blocca l'aggressione soltanto fra quanti si conoscono fra loro e sono amici mentre si tratta di bloccare le ostilità tra gli uomini di tutte le nazioni e di tutte le ideologie. L'ovvia conclusione è che l'amore e l'amicizia dovrebbero abbracciare tutta l'umanità, che tutti noi dovremmo indiscriminatamente amare tutti i nostri fratelli umani. Questo non è un comandamento nuovo. (…) Credo nel potere della ragione umana, come credo nel potere della selezione naturale. Credo che la ragione può e vorrà esercitare una pressione selettiva nella direzione giusta. Credo che in un futuro non troppo lontano questo doterà i nostri discendenti della facoltà di adempiere il più grande e il più bello di tutti i comandamenti[11]”. E' certamente lecito il dubbio di chi può ritenere utopistiche e prive di indicazioni concrete per quanto concerne l'attuazione di strategie articolate di prevenzione dell'aggressività, come anche può essere condivisibile la critica di chi ravvisa caratteristiche di pregiudizialità nell'affermazione dei presupposti innatistici dell'aggressività stessa. Tuttavia Lorenz "come del resto tutta la corrente etologica, ha il merito di aver chiarito che l'aggressività non dipende solo dall'ambiente e che essa non ha carattere distruttivo dal punto di vista biologico e negativo dal punto di vista morale. E' un fatto innegabile che l'aggressività svolge un ruolo importante nello spingere l'uomo a raggiungere sempre nuovi traguardi.[12]" Una critica dettagliata alle teorie di Lorenz viene formulata da E. Fromm (1973) che non perde l'occasione per sottolineare come l'esasperato darwinismo di Lorenz abbia viziato l'analisi che egli ha condotto sull'aggressività: "Il Darwinismo sociale e morale predicato da Lorenz è un romantico paganesimo nazionalista che tende ad osservare la vera comprensione dei fattori biologici, psicologici e sociali determinanti per l'aggressione umana.[13]" Attraverso un confronto con la tesi freudiana espressa in Perché la guerra? (1933) Fromm individua un'analogia fra i due autori istintivisti: nessuno dei due è soddisfatto della conclusione a cui è giunto e cioè che la guerra è inestirpabile perché risultato di un istinto. Ma Fromm si mostra molto polemico nei confronti del discorso sviluppato da Lorenz che egli considera poco originale in quanto i suggerimenti che l'etologo fornisce "non si spingevano oltre il cliché abusato dei semplici precetti (…) [14]" senza dare indicazioni valide sul come fare per evitare la guerra e l'ostilità fra le persone. Fromm dedica tutta la parte seconda del suo libro alle prove contro le tesi istintiviste avvalendosi di studi di neurofisiologia, psicologia animale, paleontologia e antropologia che non confermano l'ipotesi secondo la quale l'uomo è dotato di una pulsione aggressiva innata. Comportamento sociale animale La vita sociale risulta essere la strategia più efficace e allo stesso tempo complessa ai fini della sopravvivenza. Essa può essere vista, a un primo sguardo, come una sorta di simbiosi tra gruppi di individui della stessa specie. Una società è infatti costituita da un gruppo di individui della stessa specie che vive in modo organizzato, con la divisione delle risorse alimentari, designazione di compiti e reciproca dipendenza. La situazione è, in realtà, molto più complessa. Quando i biologi interessati alla teoria evoluzionistica iniziarono a esaminare il comportamento sociale, infatti, sorsero alcune questioni apparentemente irrisolvibili. Come spiegare, ad esempio, l'evoluzione di caste sterili, come quella delle api operaie, tramite un meccanismo evolutivo che pone le proprie radici nel successo riproduttivo differenziato? E perché, tra gli animali che vivono in gruppo, alcuni si espongono in prima persona per dare grida di allarme o mostrano comportamenti che favoriscono il gruppo a scapito del singolo? Questi comportamenti sono esempi di altruismo. Non tutti i comportamenti sociali sono di tipo altruistico, come mostra la tabella a fondo pagina: l'effetto di questi quattro comportamenti modifica la fitness[1] dell'individuo. Si noti che il comportamento di tipo vendicativo è stato osservato, ad oggi, soltanto in Homo sapiens. L'evoluzione dell'egoismo attraverso la selezione naturale non pone problemi alla teoria evoluzionistica e, anzi, è da essa pienamente giustificabile, così come è ovvio il motivo per cui la selezione naturale preservi il comportamento cooperativo; decisamente più ardua risulta invece la comprensione del meccanismo grazie al quale cooperazione e altruismo si siano potuti evolvere inizialmente. Classificazione dei comportamenti sociali Tipo di comportamento Effetto sul donatore Effetto sul ricevente Egoistico Migliora la fitness Peggiora la fitness Cooperativo Migliora la fitness Migliora la fitness Altruistico Peggiora la fitness Migliora la fitness Vendicativo Peggiora la fitness Peggiora la fitness Agli inizi degli Anni '60, si ipotizzò che gli individui che non riescono a riprodursi lo facciano a beneficio della società cui appartengono, ai fini cioè di mantenere la popolazione a un livello leggermente inferiore alle risorse disponibili: tale comportamento si perpetuerebbe mediante la sopravvivenza di gruppi i cui membri manifestino un'indole altruistica. Sebbene questa ipotesi, denominata selezione di gruppo, sia stata ormai rifiutata da quasi tutti i biologi, essa aprì la strada verso quella che è, ad oggi, la teoria più accreditata, denominata kin selection. Le basi di questa teoria vanno cercate ancora nell'opera di Darwin: egli comprese che l'evoluzione di caste sterili (che in alcuni casi rappresentavano la gran maggioranza della popolazione) appariva in aperto contrasto con la teoria evoluzionistica, e concluse che, in alcuni casi, la selezione naturale può agire non solo sui singoli ma sulle famiglie. I membri delle famiglie, infatti, si spartiscono le caratteristiche ereditarie, per cui sussistono differenze tra le famiglie così come tra gli individui, e le famiglie portatrici di differenze favorevoli avranno presumibilmente più discendenti di altre famiglie. Da questa ipotesi venne sviluppata quella che è conosciuta oggi come kin selection (selezione famigliare). Secondo questo principio, all'interno di una specie, gruppi differenti di individui imparentati si riproducono con tassi differenti. Il fattore cruciale della kin selection è l'effetto esercitato dall'individuo sul successo riproduttivo dei suoi famigliari. Strettamente correlato alla selezione famigliare vi è poi il concetto di inclusive fitness o fitness globale: se per Darwin la fitness è il numero relativo di discendenti di un certo individuo che sopravvivono e si riproducono, la inclusive fitness rappresenta invece il numero relativo di alleli di un individuo che sono trasmessi alla generazione successiva, come risultato del successo riproduttivo sia proprio che dei propri parenti. Tale ipotesi risulta facilmente verificabile. Studi in questo senso sono stati intrapresi da Patricia Moehlman, che studiò diverse famiglie di sciacalli dal dorso argentato in Tanzania. L'unità famigliare in questi animali è una coppia monogama, dei figli, e uno-tre fratelli. I fratelli maggiori proteggono i cuccioli in assenza dei genitori, collaborano alla distribuzione del cibo e provvedono alla loro toeletta. Nei casi in cui mancavano gli aiutanti, gli sciacalli allevavano in media un solo figlio; con un aiutante sopravvivevano in media tre cuccioli, e con tre aiutanti ne sopravvivevano in media sei. Agendo in questo modo, gli aiutanti aumentano la inclusive fitness e contribuiscono alla diffusione degli alleli portati dal loro nucleo famigliare