l`empowerment e le strategie di coping

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L’EMPOWERMENT E LE STRATEGIE DI COPING NELLE SITUAZIONI DI MOBBING
Ballaben Paolo1
Abstract
L'articolo vuole essere un contributo sia teorico che pratico rivolto alle persone che sono soggette
a continue vessazioni lavorative. Il mobbing è purtroppo una forma di abuso che si sta diffondendo
sempre più in ambito lavorativo e si presenta in molti casi con un livello di criticità tale da mettere
in crisi le persone ed i loro familiari.
La prima parte del lavoro descrive l'empowerment come un atteggiamento mentale, una mentalità
utile ad affrontare il fenomeno mobbing descrivendone le componenti psicologiche. La seconda,
analizza le strategie comportamentali considerate più efficaci da utilizzare quando si è vittime del
mobbing concludendo con alcuni suggerimenti pratici da mettere in atto come autodifesa.
Introduzione
Di empowerment si comincia a parlare in modo serio a partire dalla metà degli anni '80 ad opera di
Rappaport prima ed in coppia con Zimmermann successivamente. I due psicologi di comunità
hanno definito l’empowerment come "un processo dell’azione sociale attraverso il quale le
persone, le organizzazioni e le comunità acquisiscono competenza sulle proprie vite, al fine di
cambiare il proprio ambiente sociale e politico per migliorare l’equità e la qualità di vita".
Tale definizione, come si vede, contempla, oltre all’aspetto psicologico, anche quello organizzativo
e di comunità, presentando l’empowerment quale costrutto multilivello analizzabile su tre livelli:
psicologico, organizzativo, sociale e di comunità.
Zimmerman sottolinea che i tre livelli di analisi, benché descritti separatamente, sono strettamente
interconnessi.
In questo articolo ci occuperemo solo del primo livello, quello psicologico o individuale.
Dato che l'empowerment viene visto anche come un aumento del potere, come ultimo contributo
introduttivo alla comprensione del concetto, è utile aggiungere una distinzione tra potere personale
e potere relazionale. Quindi non è "potere su qualcuno" ma è "potere che sta dentro" la persona. È
un potere che significa soprattutto possibilità, non è un potere che finisce come nei giochi a
somma zero, ma che aumenta in modo continuo se la persona lo vuole.
L’empowerment può quindi definirsi come un processo che dal punto di vista di chi lo esperisce
significa “sentire di avere potere” o “sentire di essere in grado di fare”.
Il quando ed il come dell'Empowerment
1
Psicologo, Psicoterapeuta- consulente psicologico per il Punto di Ascolto Antimobbing della CISL-Provincia di
Pordenone, e dello Sportello di Aiuto dell’Associazione SOS Abusi Psicologici.
La vita di ognuno di noi è ricca di avvenimenti che possono essere più o meno prevedibili. Questi
eventi possono essere positivi ma anche negativi o stressanti.
Sappiamo anche che, in particolar modo per gli eventi negativi o stressanti, non sempre li
possiamo vivere o affrontare nel pieno delle nostre capacità. Può succedere infatti che non
riusciamo a dare la risposta più efficace o quella che magari avremmo potuto dare in un momento
di maggiore tranquillità emotiva. A conferma di questo, quante volte ci è successo che ricordando
un momento critico della nostra vita pensiamo: "ah se accadesse adesso, adesso si che saprei
come rispondere, che saprei cosa fare".
Possiamo cosi affermare che il livello psicologico dell'empowerment corrisponde ad un
atteggiamento mentale che la persona può avere di fronte ad un evento negativo o stressante.
Questo atteggiamento sembra essere composto prevalentemente da alcune componenti
psicologiche, quali:
- l'essere fiduciosi che di fronte ad eventi stressanti si sarà capaci di usare bene le proprie risorse
(self efficacy). Pensiamo all'atteggiamento di un'atleta prima della gara oppure ad un candidato al
colloquio di selezione per un'assunzione.
- l'orientamento dell'attenzione rivolto a fattori interni alla persona piuttosto che esterni nello
spiegare ciò che accade (internal locus of control). Un esempio potrebbe essere che ci si
spieghi il successo o l'insuccesso di un premio lavorativo pensando di averlo ottenuto o non
ottenuto grazie ai propri meriti o demeriti piuttosto che alla fortuna o alle circostanze.
- la presenza del pensiero positivo (positive thinking) che permette di concentrarsi su ciò che si
può fare per risolvere un problema piuttosto che concentrarsi sulle cause del problema,
analizzando le risorse disponibili piuttosto che quelle mancanti.
- la fiducia nel futuro (hopefullness), ovvero la tendenza a pensare che interverranno dei fattori
utili o importanti che aggiungeranno risorse o possibilità di azioni nuove.
- un orientamento al processo piuttosto che al contenuto (process thinking), porta l'individuo a
riflettere sul come fare piuttosto che fermarsi sul cosa è successo.
La presenza di queste componenti farà poi la differenza tra la risposta efficace o meno efficace
nell'affrontare le situazioni stressanti.
Le strategie di Coping
Per illustrare brevemente le strategie comportamentali più utili da adottare in situazioni negative o
stressanti utilizzeremo lo schema delle strategie di coping elaborato dalla Psicologia Cognitiva.
Prima di procedere con la nostra analisi forniamo una definizione di “coping”: termine che deriva
dall’inglese to copy e significa affrontare.
Possiamo raggruppare le risposte di coping in quattro cluster originati dall'incrocio di risposte
orientate all'emozione o al problema e risposte di attivazione o di evitamento. Entriamo ora nel
merito delle diverse strategie.
Le risposte di coping attivo orientato al problema più frequenti consistono in:
•
pianificazione e progettazione: la persona tende a prendersi del tempo per progettare,
pianificare e ipotizzare degli step per poi, adottando comportamenti coerenti, dare seguito
alle fasi con cui rispondere all’evento;
•
ricerca attiva di supporti operativi: davanti al problema la persona attiva una ricerca di
persone, libri, eventi o altro materiale idoneo a fornire una sorta di sostegno;
•
orientamento al compito: la persona tende a concentrare l’attenzione sull’individuazione di
quegli elementi che possono essere considerati utili nella soluzione del problema;
•
percezione dello stressor come sfida: in questo caso la persona tende a dare il meglio di sé
al fine di raccogliere la sfida e dare vita ad un cambiamento.
le principali risposte di coping evitante orientato al problema consistono in:
•
evitamento del problema: quando l’evento è molto stressante rappresenta la forma di
risposta più efficace in assoluto, in quanto permette alla persona di tenere sotto controllo le
emozioni;
•
desistenza comportamentale: consiste nel non farsi agganciare tramite automatismi o
abitudini negative dalla situazione evento
Rientrano nella categoria di coping attivo orientato all'emozione:
•
la ristrutturazione cognitiva: consiste nell’attribuire un’interpretazione diversa a quanto sta
accadendo;
•
la ricerca attiva di supporti emotivi: in questo caso la persona manifesta la tendenza a
rivolgendosi a familiari, amici o semplici conoscenti per avere un sostegno emotivo e per
sentirsi meno sola;
•
l’accettazione: consiste nel diventare consapevoli di quanto sta accadendo e inserirlo nella
storia della propria esistenza. Nel caso dell’accettazione gli eventi stressanti solitamente
consistono nella perdita di una persona cara o del lavoro;
•
l’attribuzione di significati positivi: è il caso di persone molto credenti che interpretano
quanto sta accadendo come un segno di fede.
Rientrano nella categoria di coping evitante orientato all'emozione:
•
la negazione: consiste nel negare che quanto accaduto si sia veramente manifestato;
•
il disimpegno mentale: circostanza in cui la persona tende ad occuparsi d’altro per non
pensare al problema;
•
l’isolamento sociale: la persona si ritira per un periodo di tempo utile per concentrare il
proprio pensiero su ciò che si desidera che accada.
Le ricerche fatte nel campo della Psicologia della Salute ci dicono che le strategie di evitamento
sono le migliori di fronte ad eventi con un impatto emotivo molto forte, ma da utilizzare a breve
termine. Dopo bisogna passare alle strategie di coping attivo.
L'empowerment e le risposte di coping come autodifesa nel mobbing
Il mobbing è, per chi lo subisce, un evento con caratteristiche traumatiche tali da innescare una
situazione che può essere diagnosticata a breve come un Disturbo dell'Adattamento (DSM IV) ed
a medio lungo periodo un Disturbo Post-Traumatico da Stress (DSM IV). La persona si trova
improvvisamente a perdere i propri riferimenti identitari ed entra in uno stato di passività dal quale
diventa difficile uscire se non si hanno le giuste strategie.
Abbiamo pensato di descrivere due strategie di coping da usare come autodifesa in caso di
mobbing:
1. la prima, di reframing cognitivo, rientra nel cluster "coping attivo orientato all'emozione" ed aiuta
la persona ad interpretare diversamente ciò che accade. Questa tecnica si basa su un
presupposto fondamentale ovvero: ognuno di noi non reagisce a quello che succede ma a
come interpreta quello che succede e le emozioni che prova sono coerenti al significato
che diamo.
a) Il primo passo consiste nel capire quale schema di ragionamento sta seguendo la nostra
mente per dare un significato a ciò che accade. Facciamo un esempio. Nel caso in cui un mio
superiore o dei miei colleghi improvvisamente smettono di salutarmi potrei fare un pensiero del
tipo "il fatto che non mi salutano significa che non mi stimano come persona" . Ora se io
comincio a pensare che non mi stimano metterò in atto dei comportamenti coerenti con quanto
penso, e nel caso dell'esempio di prima comincerò probabilmente a sentirmi poco motivato,
oppure entrerò in ansia ogni volta che mi daranno un compito di responsabilità e cosi via. Se
mi fermo un attimo a pensare e mi sgancio dallo stato d'animo, posso notare che il mio
pensiero ha una struttura del tipo "x significa y" e che sto dando per scontato che il fatto che
non mi salutano significa che non mi stimano.
b) Il secondo passo richiede di allenarsi a pensare ad altri "y" scoprendo cosi che se non mi
salutano può essere che sono presi dai loro pensieri, che non è un problema mio, che forse mi
stanno mettendo alla prova per vedere se si possono fidare, che magari la persona che ha
lavorato al posto mio prima di me dava troppa confidenza e sono rimasti scottati e cosi via. Se
riesco a darmi delle alternative di significato riesco a darmi poi alternative di comportamento e
smetterò di sentirmi per forza poco stimato e quindi triste.
Altri schemi di ragionamento che la nostra mente usa come algoritmi preprogrammati sono
"x
causa y" e nell'esempio di prima diventa " il fatto che non mi salutano mi fa arrabbiare";
"generalizzazioni" e nell'esempio di prima diventa "il fatto che non mi salutano significa che non
bisogna mai fidarsi di nessuno".
2. La seconda strategia, percezione dello stressor come sfida, rientra nel cluster "coping attivo
orientato al problema" ed aiuta la persona a trovare le giuste risorse per affrontare il momento
critico.
a) il primo passo consiste nel trovare un posto tranquillo dove trascorrere circa 20 minuti senza
essere disturbati da nessuno. Poi mentalmente ci rilassa un attimo e si comincia ad
immaginare la scena dell'esperienza vissuta come se fosse proiettata su uno schermo tipo
cinema. A quel punto immaginiamo di essere i registi e inserire al posto nostro delle persone di
fiducia che stimiamo o che abbiamo stimato in passato, anche se non li abbiamo conosciuti
direttamente. Ne possiamo scegliere almeno tre. Vedendoli al nostro posto avremo la
possibilità di scoprire delle alternative di comportamento alle quali non avevamo pensato.
b) Il secondo passo della strategia consiste nel vederci di nuovo noi dentro al film dell'esperienza
ma questa volta con i comportamenti delle persone di fiducia scelte prima, ricordandosi di
adattarli al nostro modo di essere perché altrimenti se copiati uguali potrebbero non
funzionare. Questo ci permetterà di trovare le nuove risorse di cui abbiamo bisogno, alle quali
non avevamo pensato all'inizio, forse perché troppo presi emotivamente dall'esperienza.
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