fides et ratio - Pontificia Facoltà Teologica della Sardegna

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LA <FIDES ET RATIO> DISCORSO SUL METODO PER I NUOVI
DIALOGHI:
I sette saperi di Edgar Morin
Corso di Licenza anno accademico 2001-2002
Trovo l'ispirazione per questo corso in una conferenza-articolo di Mons. Peter Henrici
SJ Dopo avere brillantemente esposto il dialogo tra la Chiesa e la filosofia in un dramma in
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cinque atti, vede nella <Fides et Ratio> (FR) l'introduzione al quinto atto, quello di risoluzione,
per sempre, della dolorosa e tragica separazione tra filosofia e Fede, quale si è progressivamente
attuata a partire dalla felice e feconda sintesi del XIII secolo.
Lo stato attuale della filosofia occidentale è preoccupante, lamentevole, non solo fuori,
ma anche dentro la Chiesa :
"In un'epoca che a ragione avveduta si qualifica di <post-moderna> (n 91 ) e <di
fine della metafisica>( n 55), in una situazione in cui si moltiplicano le metodologie più o meno
filosofiche e le scuole e scuolette tanto sgargianti quanto effimere, lo storico della filosofia non
può che concludere che l'arco della filosofia occidentale sembra essersi definitivamente chiuso
[......] Perciò di fronte all'attuale scoraggiamento filosofico, che si accontenta del sapere
scientifico o di filosofie regionali e puramente metodologiche, senza osare accedere all'autentica
ricerca della verità ed a una filosofia dell'essere,- di fronte a tale situazione non era più
sufficiente l'esortazione leonina a coltivare una <buona> e <sana> filosofia. Bisognava invece
incoraggiare lo stesso filosofare, ridare forza ed audacia alla ragione umana per intavolare un
discorso veramente metafisico, una filosofia dell'essere e della verità".
Possiamo anche riportare le osservazioni di A.Rigobello2:
"L'appello alla ragione, nel contesto del pensiero contemporaneo, si trova di fronte ad
una situazione complessa, in quanto la nozione stessa della ragione non è univoca. Vi è, ad
La chiesa e la filosofia, in ascolto della << Fides et
ratio >>, in Gregorianum 80, 4 (1999) 635-644.
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Il ruolo della ragione,la filosofia dell'essere, la
comunicazione della verità. Luoghi speculativi per un confronto
tra <Fides et ratio> e pensiero contemporaneo, in M. MANTOVANI,
S. THURUTHIYIL, M. TOSO, ed. Fede e ragione, opposizione,
composizione ?, LAS - Roma 1999, 132.
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esempio, un senso stretto di intendere la ragione come tecnica logica del discorso. La ragione
così intesa è un semplice strumento logico che garantisce la coerenza formale, l'argomentare
sensato, ma non la verità. E' strumento di chiarificazione, di spiegazione del come, non del
perché, descrive, ma non raggiunge il fondamento [......] La ragione cui fa appello l'Enciclica,
come si è appena detto, è quella che <riesce a intuire e formulare i principi primi e universali
dell'essere>, con le accennate conseguenze di ordine conoscitivo, ontologico e morale. E' la
ragione come <capacità metafisica>."
Continua Mons. P. Henrici: "Così che - e questo sia la nostra conclusione - la FR può a
buon ragione considerarsi un documento che riepiloga e conclude due millenni di storia della
Chiesa. Però nella storia della Chiesa non c'è conclusione che non sia anche, e soprattutto
apertura"3. Di quale apertura si tratta ? Di condurre, nella situazione prima accennata, i dialoghi
necessari per la convivenza sociale, a difesa e promozione dell'uomo: i dialoghi intereligiosi,
che sono possibili al livello razionale, quindi filosofico, quello comune a tutti gli uomini, che
esprime le aspirazioni ultime di ogni essere umano.
Si da anche, a mio avviso, una sapienza laica, che intende affrontare la globalità delle
questioni umane, ma ancora nel contesto di un pensiero alquanto debole.
Secondo Mons. Henrici,la FR potrebbe diventare una specie di <discorso del metodo>
per questi nuovi dialoghi, che saranno il compito del nuovo millennio.
La FR, anche per raggiungere questa finalità,costituisce un chiaro orientamento per gli
studi teologici, sistematici e morali-sociali. La situazione presenta somiglianze con le finalità
intese da Leone XIII, con la promulgazione della prima enciclica totalmente dedicata alla
Filosofia, la Aeterni Patris, del 1879, cioè agli stessi inizi del suo lungo pontificato.
Leone XIII avvertiva l'urgenza della questione sociale, liberalismo e marxismo,
percependo chiaramente che la fragilità della Filosofia come praticata nelle scuole e cultura
cristiana impedivano un incisivo orientamento del pensiero e della vita per impostare bene la
soluzione della allarmante situazione sociale che veniva a instaurarsi.
Per un costruttivo ed efficace magistero sociale dovevano porsi le fondamenta
filosofiche: così l'enciclica sulla filosofia, Aeterni patris, precede di dodici anni l'enciclica sulla
questione sociale, la Rerum novarum, del 1893.
Risulta utile, l'Aeterni Patris, anche per impostare il rilancio degli studi scritturistici,la questione
biblica sempre più discussa. Questo avvenne con la Providentissimus Deus del 1893.
L'enciclica FR di Giovanni Paolo, che raccoglie i frutti benefici del suo predecessore, si
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ivi 644
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pone non agli inizi, ma al coronamento di un ampio insegnamento di natura sociale: la Loborem
exercens del 1981, la Sollecitudo rei socialis, del 1988, la Centesimus
annus del 1991,
l'Evangelium vitae del 1995.
Il rinnovamento degli studi filosofici ha consolidato la capacità del pensiero credente, ed ha
permesso queste ampie analisi per la vita sociale dell'intangibile Persona umana.
Si direbbe che Giovanni Paolo II ha sentito come l'esigenza di consolidare questo
insegnamento, che la debolezza della Filosofia e quindi della teologia odierna possono
compromettere.
Si tratta per Giovanni Paolo di valorizzare il sapere umano, nella sua capacità di visione
unitaria, organica, universale, perchè capace di cogliere la verità oggettiva dell'essere (n 85).
Intendo in questo corso, accogliendo i suggerimenti di Mons Henrici, di porre in
esercizio la FR come discorso sul metodo, nel campo delle ricerche di un sociologo, Edgar
Morin; tanto più che questo notevole uomo di cultura, specialmente nel suo ultimo libretto I
sette saperi necessari ad una educazione del futuro, riflette e comunica con finalità simili a
quelle della FR : superare la frammentazione del pensiero attuale, con gravi conseguenze sulla
comprensione e comportamenti etici.
Si tratta di porre in dialogo il metodo-paradigma della Complessità di E. Morin, col
metodo-paradigma della FR.
Entriamo volentieri in questo confronto perché si tratta di testi con finalità educative,
quindi non solo speculative astratte: Giuseppe Savagnone pone in risalto l'afflato inter-personale
della FR. che mette in gioco :" [....] non solo le personali capacità conoscitive, ma anche la
capacità più radicale di affidarsi ad altre persone, entrando in un rapporto più stabile ed intimo
con loro" (n 32 ). Risulta in gioco non la competenza, ma " la verità stessa della persona: ciò che
essa è e ciò che manifesta nel proprio intimo" ( n 32 ).4
Ma è tutto l'impianto dell'Enciclica ad essere pervasa da un forte afflato paterno, per
avvisare l'uomo, nella prospettiva dell'Evangelo di Gesù Cristo, delle sue capacità di verità, di
comunicazione nella verità e nel bene. Anche Morin, nelle prospettive del pensiero complesso,
con un minore afflato personale, intende insegnare la comprensione.5
Per introdurre il discorso sul metodo della FR, in relazione ai Sette saperi di E. Morin, è
G. SAVAGNONE, Implicazioni pedagogiche dell'Enciclica, in
Per una lettura dell'Enciclica Fides et Ratio, Quaderni
dell'Osservatore romano, n 45, Città del Vaticano 1999, 201.
4
E' il titolo del sesto capitolo dei Sette saperi necessari
all'educazione del futuro, Raffaello Cortina ed. Milano 2001
5
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opportuno esaminare quanto vi viene esposto sull'esperienza bimillenaria di dialogo con la
saggezza e la cultura dei popoli; già qui possiamo ricostruire le linee portanti del paradigma che
ha guidato e che anche oggi guida la Chiesa in un dialogo costruttivo anche nel contesto attuale,
post-moderno.
I. Frutti di sapienza, di principi, maturati dalla Chiesa nel dialogo
con le filosofie, culture e religioni.
La storia della salvezza è un continuo dialogo tra il Dio della Creazione e dell'Alleanza
col popolo che si è scelto nell'antica e nuova legge: un'offerta di comunione di vita, una quasi
progressiva trasfigurazione di vita di tutto l'uomo, nei suoi vincoli sociali, nella sua capacità di
pensiero e di azione, che non vengono disciolti, ma qualificati e valorizzati. Questo dialogo
salvifico del popolo dell'Alleanza non avviene mai nel completo isolamento con i popoli e le
loro culture; anzi fa notare la FR al n 16: "Quasi per un disegno particolare l'Egitto e la
Mesopotamia fanno sentire di nuovo la loro voce e alcuni tratti comuni delle culture dell'antico
Oriente vengono riportati in vita in queste pagine ricche di intuizioni singolarmente profonde".
Riportiamo ora i frutti principali sul sapere, la capacità di pensare, cogliere la verità,
comunicarla in modo organico,maturati in questo dialogo millenario tra Dio ed il suo popolo,
nel contesto delle culture degli altri popoli.
I,1. La profonda ed inscindibile unità tra la conoscenza della ragione e
quella della fede: FR n 16.
E' questo l'apporto originale che il mondo biblico, pur non avendo esercitato in modo
particolare, come il greco, le capacità astrattive dell'uomo, ha fatto confluire nel grande mare
della teoria della conoscenza:
"Il mondo e ciò che accade in esso, come pure la storia e le diverse vicende del popolo,
sono verità che vengono guardate analizzate e giudicate con i mezzi propri della ragione, ma
senza che la fede resti estranea a questo processo. Essa non interviene per umiliare l'autonomia
della ragione o per ridurne lo spazio di azione, ma solo per fare comprendere all'uomo che in
questi eventi si rende visibile e agisce il Dio di Israele".
Questa inscindibile unità tra conoscenza della ragione e quella della fede risulta fondata
in ultima analisi sulla progressiva rivelazione che il Dio che offre Alleanza è il Signore e
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creatore universale del mondo, di tutta la sua storia.
"Lo stesso e identico Dio, che fonda e garantisce l'intelligibilità e la ragionevolezza
dell'ordine naturale delle cose su cui gli scienziati si appoggiano fiduciosi, è il medesimo che si
rivela Padre del Signore nostro Gesù Cristo.
Quest'unità della verità, naturale e rivelata, trova la sua identificazione viva e personale
in Gesù, così come ricorda l'Apostolo: <La verità che è in Gesù> (Ef 4,21; cfr. Col 1,15-20).
Egli è la Parola eterna in cui tutto è stato creato, ed insieme la Parola incarnata, che in
tutta la sua persona rivela il Padre ( Gv 1,14.18)"(n 34).
Questa unità profonda fondata nell'unico Dio della creazione e dell'Alleanza, in
definitiva in Gesù Cristo, di ogni verità razionale e rivelata, pur nel profondo rispetto di metodi
e contenuti di acquisizioni, è gravida di felici orientamenti, principi del retto pensare, come
quello enucleato al n 27.
"Ciò che è vero deve essere vero per tutti e per sempre".
E' questo un principio fondamentale, che regge tutto il discorso dell'enciclica, bisognoso di
coerente spiegazione.
Aveva già costituito un intelligente impegno del Magistero su fede e ragione, proprio del
Vaticano I: viene citato al n 53: "Il Concilio partiva dall'esigenza fondamentale, presupposta
dalla Rivelazione stessa, della conoscibilità naturale dell'esistenza di Dio, principio e fine di
ogni cosa,6 e concludeva con l'asserzione solenne già citata: <esistono due ordini di
conoscenza,distinti non solo per il loro principio, ma anche per il loro oggetto>.7
Bisogna affermare, dunque, contro ogni forma di razionalismo, la distinzione dei misteri
della fede dai ritrovati filosofici, e la trascendenza e precedenza di quelli rispetto a questi; d'altra
parte, contro le tentazioni fideistiche, era necessario che si ribadisse l'unità della verità, e quindi
anche l'apporto che la conoscenza razionale può e deve dare alla conoscenza della fede:
<Ma anche se la fede è sopra la ragione, non vi potrà mai essere una vera divergenza tra fede e
ragione poiché lo stesso Dio, che rivela i misteri e comunica la fede, ha anche deposto nello
spirito umano il lume della ragione, questo Dio non può negare se stesso, né il vero contraddire
il vero>8".
6
Cfr Dei Filius,II: DH 3004 e can 2 :DH 3026.
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Ivi cap. IV : DH 3015, citato in Gaudium et spes, 59.
8Dei
Filius, cap. IV :DH 3017.
6
La FR sviluppa ulteriormente questo insegnamento della Dei Filius del Vaticano I, già
ripreso e sviluppato dal Vaticano II, in modo particolare dalla Dei Verbum n 6, e dalla Gaudium
et spes, I parte, cap. III. Vorrei almeno accennare alla Sapienza della Croce, di cui tratta il n 23 :
"Il Figlio di Dio crocifisso è l'evento storico contro cui si infrange ogni tentativo della mente
di costruire su argomentazioni soltanto umane una giustificazione sufficiente del senso
dell'esistenza. Il vero punto nodale, che sfida ogni filosofia, è la morte in Croce di Gesù Cristo.
Qui infatti, ogni tentativo di ridurre il piano salvifico del Padre a pura logica umana è
destinato al fallimento [.....] L'uomo non riesce a comprendere come la morte possa essere
fonte di vita e di amore, ma Dio ha scelto per rivelare il suo disegno di salvezza proprio ciò che
la ragione considera <follia> e <scandalo>. Paolo, parlando il linguaggio dei filosofi suoi
contemporanei raggiunge il culmine del suo insegnamento e del paradosso che vuole
esprimere: <Dio ha scelto ciò che nel mondo [.....] è nulla per ridurre a nulla le cose che
sono> (I Cor 1,28).[...] La ragione non può svuotare il mistero di amore che la Croce
rappresenta, mentre la Croce può dare alla ragione la risposta ultima che essa cerca [...].
La sapienza della Croce, dunque, supera ogni limite culturale che le si voglia imporre e
obbliga ad aprirsi all'universalità della verità di cui è portatrice.
Quale sfida viene posta alla nostra ragione e quale vantaggio essa ne ricava se vi si arrende !
La Filosofia già da sè è in grado di riconoscere l'incessante trascendersi dell'uomo
verso la verità, aiutata dalla fede può aprirsi ad accogliere nella <follia> della Croce la
genuina critica a quanti si illudono di possedere la verità, imbrigliandola nelle secche di un
loro sistema.
Il rapporto fede e filosofia trova nella predicazione di Cristo crocifisso e risorto lo
scoglio contro il quale può naufragare, ma oltre il quale può sfociare nell'oceano sconfinato
della verità. Qui si mostra evidente il confine tra la ragione e la fede, ma diventa anche chiaro
lo spazio in cui ambedue si possono incontrare."
Unità della Verità, fondata sull'unità del Dio della Creazione e dell'Alleanza:il Padre di
nostro Signore Gesù Cristo nella Spirito Santo è il Creatore, Signore del Cosmo e della sua
storia. La FR, nella luce della Sapienza soprannaturale della Croce, ci introduce a questa unità,
articolata ed indivisa, di Rivelazione-fede e di ragione.
I,2 :Unità indivisa ed articolata della Verità.
7
Leggiamo al n 34: "Questa verità che Dio ci rivela in Gesù Cristo non è in contrasto
con le verità che si raggiungono filosofando. I due ordini di conoscenza conducono alla verità
nella sua pienezza. L'unità della verità è già un postulato fondamentale della ragione umana,
espresso nel principio di non-contraddizione. La Rivelazione dà la certezza di questa unità,
mostrando che il Dio creatore è anche il Dio della storia della salvezza".
Unità della verità espressa nel principio di non-contraddizione: ne parla la FR sin
dall'inizio, al n 4: la storia del pensiero umano ha messo in risalto, nonostante il mutare dei
tempi e i progressi del sapere, un nucleo comune e costante di conoscenze filosofiche, una sorta
di <patrimonio spirituale dell'umanità>. Il principio di non-contraddizione è il primo ad essere
ricordato, prima dei principi di finalità, di causalità, della <persona come soggetto libero e
intelligente e la sua capacità di conoscere Dio, la verità, il bene>.
La non-contraddizione esprime la condizione basilare dell'essere, perché possa esistere e
venire conosciuto. Se la realtà potesse essere e non essere contemporaneamente e sotto lo stesso
aspetto, evidentemente neppure esisterebbe; e se la sua conoscenza potesse essere vera e falsa
contemporaneamente e sotto lo stesso aspetto, non potrebbe essere conosciuta.
Il principio di non contraddizione esprime l'apertura spirituale dell'uomo, sua costitutiva,
che lo fa uomo, ad una realtà consistente e conoscibile; ci avvisa che anche la realtà più
contingente porta con sè traccia dell'Assoluto personale, creatore che l'ha chiamata all'esistenza;
l'uomo, persona, aperto costitutivamente all'assoluto Personale del libero e intelligente Creatore,
partecipa, in modo limitato creaturale, della sua intelligenza, capacità di conoscere il vero, e di
volere liberamente il bene. E' stato creato infatti secondo l'immagine di Dio, che si manifesterà
in Cristo.
La FR trae da questa verità fondamentale delle regole di fondo, tre, enucleate nel n 18:
"Una prima regola consiste nel tener conto del fatto che la conoscenza dell'uomo è un cammino
che non ha sosta".
Infatti l'uomo beneficiato della Rivelazione nel popolo dell'Alleanza ha potuto aprire la
sua ragione, qualificata dalla fede, allo stesso Mistero di Dio che si dona con gratuità familiarità;
un Mistero di luce e di amore che mentre del tutto ci supera, stimola il retto esercizio delle
facoltà del vero e del bene, le dilata mentre le risana.
La rivelazione ha aperto alla ragione la via verso l'Assoluto trascendente; l'uomo ha potuto
scandagliare in profondità quanto con la ragione cercava di raggiungere senza riuscirvi.
"La seconda regola nasce dalla consapevolezza che su tale strada non ci si può porre
con l'orgoglio di chi pensa che tutto sia frutto di personale conquista": infatti si deve
accuratamente distinguere una tradizione di scuola filosofica (platonica, aristotelica...), che
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comunica ciò che l'intelligenza umana ha cercato di scoprire, dalla tradizione del Popolo
dell'Alleanza, che trasmette ciò che gratuitamente ha ricevuto in una Rivelazione, iniziativa di
Dio che si comunica in parole umane. Ma sia in tradizione di cultura filosofica, sia nella
tradizione del Popolo dell'Alleanza, l'intelligenza personale viene educata alla Verità ricevendo
dall'altro, dall'Altro.
"Una terza regola si fonda nel <timore di Dio>, del quale la Ragione deve riconoscere
la sovrana trascendenza ed insieme il provvido amore nel governo del mondo": Infatti: "
Principio della sapienza è temere il Signore[...] Pienezza della sapienza è temere il Signore
[...] Corona della Sapienza è temere il Signore [...] Radice della sapienza è temere il Signore"
( Sir. 1,12. 14. 16. 18.).
Lo stolto, che non osserva queste regole, "si illude di conoscere molte cose, ma in realtà
non è capace di fissare lo sguardo su quelle essenziali. Ciò gli impedisce di porre ordine nella
sua mente ( cfr Pr 1,7), e di assumere un atteggiamento adeguato, nei confronti di se stesso e
dell'ambiente circostante".
L'uomo così educato "ha scoperto di non potersi comprendere se non come <essere in
relazione>: con se stesso, con il popolo, con il mondo e con Dio. Questa apertura al mistero,
che gli veniva dalla Rivelazione, è stata per Lui alla fine la fonte di una vera conoscenza, che
ha permesso alla sua ragione di immettersi in spazi di infinito, ricevendone possibilità di
comprensione fino allora insperate."( n 21).
I,3 : I diversi tipi di verità.
L'uomo è un desiderio spontaneo di conoscere la verità, trova in sè principi inalienabili
per ricercare la verità (non-contraddizione....), anche se può stancarsi della verità, ingannarsi ed
ingannare: nella Rivelazione-fede Dio gli viene incontro per donargli la sua stessa personale
Verità, l'Immagine consustanziale filiale, nell'amore Spirito Santo; insieme gli permette di
ricuperare il pieno esercizio della sua capacità inammissibile di verità e di bene.
La FR parla di recta ratio, ortos logos, retta ragione,che si esercita "Quando la ragione
riesce ad intuire e a formulare i principi primi e universali dell'essere e a fare correttamente
scaturire da questi conclusioni coerenti di ordine logico e deontologico" (n 4). "una ragione
che riflette correttamente sul vero "( n 50).
Un vero non solo di ordine logico-formale, ma anche deontologico, cioè corrispondente
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alla realtà (adeguazione dell'intelletto e della realtà n. 82) e ai doveri che ne scaturiscono.
"I filosofi, nel corso dei secoli, hanno cercato di scoprire e di esprimere una simile verità,
dando vita ad un sistema o a una scuola di pensiero. Al di là dei sistemi filosofici, tuttavia vi
sono altre espressioni in cui l'uomo cerca di dare forma ad una sua <filosofia>: si tratta di
convinzioni o esperienze personali, di tradizioni familiari e culturali o di itinerari esistenziali in
cui ci si affida all'autorità di un maestro.
In ognuna di queste manifestazioni ciò che permane sempre vivo è il desiderio di raggiungere
la certezza della verità e del suo valore assoluto" ( n 27).
La scienza sperimentale-razionale, nelle sue innumerevoli specializzazioni, ci ha fatto
conoscere meglio il cosmo,la vita, e attraverso le tecniche così rese possibili, l'uomo cerca di
ricavarne utilità.
La FR al n 30 si impegna a classificare queste diverse forme di verità:
"Può essere utile, ora, fare un rapido cenno a queste diverse forme di verità.
--Le più numerose sono quelle che poggiano su evidenze immediate o trovano conferma
per via di esperimento. E' questo l'ordine di verità proprio della vita quotidiana e della ricerca
scientifica.
--A un altro livello si trovano le verità di carattere filosofico, a cui l'uomo giunge
mediante la capacità speculativa del suo intelletto.
--Infine ,vi sono le verità religiose, che in qualche misura affondano le loro radici anche
nella filosofia. Esse sono contenute nelle risposte che le varie religioni nelle loro tradizioni
offrono alle domande ultime"
Notiamo la posizione centrale che occupa la filosofia, tra l'esperienza comune, quotidiana, il
nostro contatto immediato col cosmo, la vita umana, necessario per risolvere le questioni
primarie dell'esistenza, che la ricerca scientifica, col suo metodo proprio sperimentale razionale,
chiarifica, approfondisce.
Posizione centrale in relazione alle <verità religiose, che in qualche misura affondano le
loro radici anche nella filosofia.>
Questa posizione centrale, tra esperienza della vita quotidiana, prolungata nella ricerca
scientifica, e le verità religiose, ci avvisa discretamente che è la capacità speculativa
dell'intelletto, di cui si interessa direttamente la filosofia, a rendere possibile la vita quotidiana
umana, con gli sviluppi della scienza sperimentale razionale. Insieme questo livello centrale,
filosofico, offre il terreno indispensabile alle verità religiose, che in qualche misura vi affondano
le loro radici.
Ne segue la preziosità della consapevolezza e della coltivazione della dimensione
10
speculativa, metafisica della filosofia. Se ciò non avviene, se la sua consistenza non è percepita,
si realizzano dialoghi difficili, che poi si drammatizzano in profonde incomprensioni, sia tra il
livello della scienza sperimentale e la Verità rivelata, sia tra le stesse religioni, le loro tradizioni.
E' ciò che è tristemente avvenuto nel crisi copernicana-tolemaica, il caso Galileo : si
opponevano due visioni scientifiche del mondo, si pensava che la visione scientifico-meccanica
del sistema solare fosse la verità ultima, decisiva del cosmo, che veniva a scontrarsi con quella
che si pensava fosse parimenti definitiva, perché in essa si era espresso l'autore ispirato della S.
Scrittura, essendo la visione comune, pre-scientifica dei suoi tempi.
Ma tra le Verità rivelate,religiose, e quelle dell'esperienza quotidiana, prolungata nelle
scienze, sta il livello filosofico : pensiamo solo alla dimensione creaturale del cosmo, rivelata
ma accessibile anche alla ragione : essa ci dice la parola ultima, decisiva del valore e significato
del cosmo e della vita,al di là delle conoscenze delle scienze sperimentali-razionali,in continua
crescita.
La revisione della storia della crisi copernicano-tolemaica, il caso Galileo, voluta dal
S.Padre Giovanni Paolo II, e conclusa nella sessione plenaria della Pontificia accademia delle
scienze il 27-31 Ottobre 1992, ha posto in risalto la debolezza metafisica degli aristotelicitolemaici oppositori di Galileo; ma anche in Galileo, geniale formalizzatore del metodo
sperimentale-razionale, l'entusiasmo per la visione meccanicistica del Cosmo, quasi come
ultima parola della sua intelligibilità, comportava dimenticanza di quello che è veramente il
livello ultimo, quello filosofico-metafisico.9
Come faceva notare Roberto Bellarmino nel vivo della discussione, se la scienza
fornisce dati certi che contrastano con quelli che si pensano trovarsi nella Scrittura ( come i
movimenti del Sole intorno alla terra), si deve rivedere l'interpretazione della S.Scrittura per
quanto riguarda questi dati di natura scientifica; questo anche per non esporre la Rivelazione
all'irrisione degli increduli. Questi già affermava Agostino con tutta evidenza.10
Il progredire della scienza sperimentale razionale, stimola la necessità di esplicitare la
stessa metafisica: nella questione galileiana la dipendenza radicale nell'esistere e nell'operare,
cfr.E. BERTI, Ordre et désordre des Grecs à Galilée et de
Galilée aux temps modernes, in B. PULLMAN ED., The Emergence of
Complexity in mathematics, Physics, Chemistry, and Biology,
proocidings plenary session of the pontifical academy of
sciences 27-31 October 1992, Vatican city 1994, 31-33.
Allocution de sa sainteté Jean Paul II, ivi 458s
9
10
Cfr S. AGOSTINO, Lettera 143, n 7 : PL 33, col. 588.
11
anche le stesse leggi fisiche, che va sotto il nome di creazione.
Come poi la teoria dell'evoluzione astrofisica e specialmente biologica, l'emergenza
della vita e infine dell'uomo, richiede di porre maggiormente in luce che il principio spirituale
dell'uomo, la sua anima, viene direttamente da Dio creatore. Ed è esattamente per questa sua
costitutiva trascendenza spirituale, che qualifica, rende umano anche il suo organismo
vegetativo-psico-sensitivo, che l'uomo può sviluppare scienza col metodo sperimentalerazionale, può inoltre ricevere la Rivelazione soprannaturale.
La FR ponendo in risalto, nella sinfonia dei differenti volti, tipi, livelli dell'unica verità,
il livello centrale, quello che esprime l'umanità dell'uomo, il livello filosofico-metafisico,
opportunamente ci avvisa:
"Quanto alle verità filosofiche, occorre precisare che esse non si limitano alle sole
dottrine, talora effimere, dei filosofi di professione. Ogni uomo, come già ho detto, è in certo
qual modo un filosofo, e possiede proprie concezioni filosofiche con le quali orienta tutta la sua
vita.
In un modo o in un altro, egli si forma una visione globale e una risposta sul senso della
propria esistenza: in tale luce egli interpreta la propria vicenda personale e regola il suo
comportamento.E' qui che dovrebbe porsi la domanda sul rapporto tra le verità religiose e la
verità rivelata in Gesù Cristo."(n 30).
I,4. Il dialogo con le culture : FR nn 70-72
Specialmente in questo settore possiamo incominciare a percepire quanto la FR rappresenti un
discorso del metodo per i nuovi dialoghi, quelli che ci attendono nel nuovo millennio, e che i
fatti drammatici dell' 11 Settembre dimostrano di urgente attualità.Si tratta dei dialoghi
intereligiosi, le grandi tradizioni religiose, come quella multiforme di origine indiana, la
tradizione islamica; ma dobbiamo ricordare che anche le prospettive storiche-immanentistiche,
di cui ci interesseremo in modo più specifico,tendono a divenire un pensiero quasi-religioso,in
quanto desiderano risolvere i problemi ultimi dell'uomo e della società.
Cosa ci dice di specifico la FR sul dialogo tra le culture ? afferma che:
"Il processo di incontro e confronto con le culture è una esperienza che la Chiesa ha vissuto fin
dagli inizi della predicazione del Vangelo"( n 70).
La FR presenta nei sui capitoli centrali, IV e V, il dramma in cinque atti dei rapporti tra
Rivelazione-fede e la ragione, nel contesto delle cangianti prospettive culturali in cui il Vangelo
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è stato annunciato, accolto. Anche se i primi tre capitoli sono anzitutto esposizione dei
fondamenti dottrinali per corrette relazioni tra Fede e ragione, e gli ultimi due ( VI e VII)
costituiscano il quinto atto del dramma, la sua risoluzione felice, nel contesto contemporaneo,
tutta l'enciclica ha sempre presente, come trama di fondo umana, il dialogo fede-culture, con la
necessaria mediazione filosofica.
I nn 70-72 sono poi una guida al dialogo inter-culturale:
"Davanti alla ricchezza della salvezza operata da Cristo cadono le barriere che separano le
diverse culture"( n 70 ) : è stata l'esperienza della Pentecoste, quando rappresentanti dei popoli
biblici conosciuti, superando l'incomprensione babelica, possono sinfonicamente, nella loro
lingua, lodare Dio nelle sue opere meravigliose (At 2, 5-11 ).
Così nella comunità primitiva, per l'accoglienza del Vangelo, potevano convivere nella
stessa fede le provenienze più incompatibili e reciprocamente escludentesi, come pagani e
giudei. L'Apostolo può scrivere con stupore :
"Ora invece in Cristo Gesù, voi che un tempo eravate lontani siete diventati i vicini
grazie al sangue di Cristo. Egli infatti è la nostra pace, colui che ha fatto dei due un popolo solo,
abbattendo il muro di separazione che era frammezzo" ( Ef 2,13-14).
"La promessa di Dio in Cristo diventa ora una offerta universale : non più limitata alla
particolarità di un popolo, della sua lingua e dei suoi costumi, ma estesa a tutti come
patrimonio a cui ciascuno può attingere liberamente.
Da diversi luoghi e tradizioni tutti sono chiamati in Cristo a partecipare all'unità della famiglia
dei figli di Dio [...] Gesù abbatte i muri di divisione e realizza l'unificazione in modo originale
e supremo mediante la partecipazione al suo mistero. Questa unità è talmente profonda che la
Chiesa può dire con san Paolo :< Non siete più stranieri né ospiti, ma siete concittadini dei santi
e familiari di Dio>(Ef 2,19)."
La FR, n 70, ne trae una profonda conclusione : "Le culture, quando sono
profondamente radicate nell'umano, portano in sè testimonianza dell'apertura tipica dell'umano
all'universale e alla trascendenza".
Completa questa riflessione il n 71 :"In ogni espressione della vita l'uomo porta con sè
qualcosa che lo contraddistingue in mezzo al creato :la sua apertura costante al mistero ed il suo
inesauribile desiderio di conoscenza.Ogni cultura, di conseguenza, porta impressa in sè e lascia
trasparire la tensione verso un compimento. Si può dire, quindi, che la cultura ha in sè la
possibilità di accogliere la rivelazione divina."
Ogni autentica cultura, in quanto sviluppo,educazione di questa costitutiva capacità
13
umana alla verità in pienezza, rimane aperta all'accoglienza dei valori, anzi la sua vitalità e
sussistenza dipende dal suo rimanere aperta al nuovo, che la fa crescere. "Ad ogni cultura i
cristiani recano la verità immutabile di Dio, da Lui rivelata nella storia e cultura di un popolo (
At 2,7-11) [...] L'annuncio del Vangelo nelle diverse culture, mentre esige dai singoli destinatari
l'adesione della fede, non impedisce loro di conservare una propria identità culturale. Ciò non
crea divisione alcuna, perché il popolo dei battezzati si distingue per una universalità che sa
accogliere ogni cultura, favorendo il progresso di ciò che in essa è implicito verso la sua piena
esplicazione nella verità.
Conseguenza di ciò è che una cultura non può mai diventare criterio di giudizio e ancor
meno criterio ultimo di verità nei confronti della rivelazione di Dio" ( n 71).
Continua la FR ad affermare che l'annuncio del Vangelo libera le culture da <ogni
disordine introdotto dal peccato>, e assicura la loro <chiamata alla verità piena>.
Così il Vangelo non è contrario, non mortifica ogni cultura <come se incontrandosi con
essa, volesse privarla di ciò che le appartiene e la obbligasse ad assumere forme estrinseche che
non le sono conformi>. Non solo le culture <vengono private di nulla, ma sono anzi stimolate
ad aprirsi al nuovo della verità evangelica per trarne incentivo verso ulteriori sviluppi>.
Da queste premesse, la FR passa a trattare nel n. 72 del dialogo interreligioso con la
cultura indiana : si tratta infatti della religiosità tramandata nella tradizione religiosa più antica,
più diffusa e polimorfa, rimasta vitale.
Affermava di già il Vaticano II, nella dichiarazione <<Nostra aetate>>, n 2 : " [...]
nell'Induismo, gli uomini scrutano il mistero divino e lo esprimono con la inesauribile fecondità
dei miti e con i penetranti tentativi della filosofia; essi cercano la liberazione delle angosce della
nostra condizione sia attraverso forme di vita ascetica, sia nella meditazione profonda, sia nel
rifugio in Dio con amore e confidenza."
Continua la FR al n 72: "Un grande slancio spirituale porta il pensiero indiano alla
ricerca di una esperienza che ,liberando lo spirito dai condizionamenti del tempo e dello spazio,,
abbia valore di assoluto. Nel dinamismo di questa ricerca di liberazione si situano grandi sistemi
metafisici.
Spetta ai cristiani do oggi, innanzitutto a quelli dell'India, il compito di estrarre di questo
ricco patrimonio gli elementi compatibili con la loro fede così che ne derivi un arricchimento
del pensiero cristiano".
Per realizzare questa legittima e fruttuosa operazione culturale, si offrono tre criteri:
-- si ribadisce <l'universalità dello spirito umano,le cui esigenze fondamentali si
ritrovano identiche nelle culture più diverse>
14
-- ne segue che la Chiesa, quando entra in relazione con grandi culture in cui il Vangelo
non si è ancora espresso in pienezza, <non può lasciarsi alle spalle ciò che ha acquisito
nell'inculturazione del pensiero greco-latino>. Infatti nell'incontro con questa matrice culturale,
provvidenzialmente la prima evangelizzata, è stato posto in risalto quel tesoro comune
dell'umanità, costituito dai principi ( non-contraddizione ...) esposti nel n 4.: esigenze
fondamentali, quindi universali dello spirito umano, che in quanto tali si trovano identiche nelle
culture più disparate.
--"In terzo luogo, ci si guarderà dal confondere la legittima rivendicazione della
specificità e della originalità del pensiero indiano, con l'idea che una tradizione culturale debba
rinchiudersi nella sua differenza e affermarsi nella opposizione alle altre tradizioni, ciò che
sarebbe contrario alla natura stessa dello spirito umano".
La grande tradizione religiosa indiana, per la sua antichità, poliformità, diffusione e
vitalità, può cadere nella presunzione di essere esaustiva, non considerare che, stante
l'universalità dello spirito umano, la vera vivacità di una tradizione sta nel rimanere aperta ai
contributi validi delle altre tradizioni.
Si tratta sempre di percepire e sviluppare quel livello di verità che abbiamo indicato
centrale, il livello filosofico-metafisico, che esprime la costitutiva capacità dell'uomo alla
pienezza della verità, come viene segnalato dai principi primi, tesoro comune dell'umanità, di
cui parla la FR al n 4 :principio di non-contraddizione,finalità,causalità, la persona umana.
Se non si percepisce la consistenza e l'esercizio di questo livello filosofico, si cade
facilmente nel fondamentalismo e nell'intolleranza, perché in una società che tende ad
identificare legge civile e religiosa, stato e religione, la creduta verità religiosa deve essere
imposta, anche con la coercizione; non si percepisce quanto la libertà e l'intelligenza della
persona umana, sono invitati con l'esercizio proprio, personale, a discernere ed accogliere la
verità proposta.
Resta opportuno e necessario il riconoscimento della libertà religiosa, come viene
dichiarato dal Vaticano II nella Dignitatis humanae.E nessuna tradizione culturale deve
<rinchiudersi nella sua differenza ed affermarsi nella sua opposizione alle altre tradizioni, ciò
che sarebbe contrario alla natura stessa dello spirito umano> (n 72).
Queste riflessioni risultano valide anche per il dialogo tra le grandi tradizioni e culture
sorte nella famiglia abramica: ebraismo, islamismo e cristianesimo; qui il dialogo filosofico
viene enormemente facilitato dalla comune fede in un unico Dio creatore, verità rivelata, ma che
in sè risulta ancora accessibile alla ragione.
Se non si coltiva questa dimensione propria dell'uomo, la sua razionalità, la sua recta
15
ratio, la consapevolezza del libero esercizio della sua ragione anche nell'accoglienza della federivelazione, se si confonde razionalità filosofica e fede-rivelazione, se vengono identificate, si
assisterà ad un scontro di credenze, con risvolti sociali di fondamentalismo e fanatismo.
Sarebbe facile il discorso sull'idealismo hegeliano, in cui l'autocoscienza della filosofia
evoluta pretende di esprimere, ancor meglio, concettualmente, l'assoluto della religione rivelata.
Non è questa pratica identificazione di rivelazione e razionalità (o presunta razionalità),
che ha favorito l'insorgere di ideologie sociali, etiche, nazionaliste, come stalinismo e nazismo?
S. Tommaso d'Aquino ha composto in quella seconda metà del sec. XIII, così feconda di
sperati dialoghi interreligiosi tra ebraismo, islamismo e cristianesimo, i quattro libri della
Summa contra gentiles, i cui primi tre sono una prolungata speculazione di retta ragione, per la
comune razionale accoglienza dell'unico universale creatore, a prescindere della verità rivelata
specificamente cristiana, di cui tratta nel Quarto libro.
Il dialogo tra le culture, le religioni, anche le acquisizioni del metodo sperimentale
razionale, richiedono sempre consapevolezza e retto esercizio della retta ragione, di una corretta
filosofia metafisica: in caso contrario ci si espone a duri scontri di fanatismo fondamentale, la
vita sociale si blocca in contrasti che non costruiscono umanità solidale nel bene e nella verità.
II. Rapporti sul sapere nel post-moderno, saperi necessari all'educazione
del futuro: un contesto della Fides et Ratio.
Entriamo più direttamente nel contesto culturale contemporaneo, in cui situare la FR come
discorso sul metodo per i dialoghi necessari per la vita umana. La sociologia, la filosofia
dimostrano grande attenzione al sapere, la capacità propria dell'uomo, capacità di pensare;
pensare è anzitutto attività, sovente implicita nel multiforme dispiegarsi dell'agire intelligente,
teorico e pratico, umano, attività con cui ci riferiamo intenzionalmente alla realtà.
Il sapere, cioè la capacità di pensare, conoscere la realtà, è ora aspetto problematico,
discusso: sono in crisi le certezze scientifiche, deterministiche, della fisica di Newton ed
Einstein, quando vengono applicate alla microfisica dei quanti, sono cadute le grandi ideologie
del progresso, come il marxismo e l'illuminismo. La cultura laica si sente orfana di un familiare
quadro di riferimenti, di certezze per il pensiero e l'azione. Si accusa il pensiero classico,
moderno, di eccessiva sicurezza, di avere come ingabbiato la realtà in presunte leggi universali
di verità. Si confonde facilmente la meccanica classica, deterministica, con la dimensione
metafisica dell'uomo, che già molto in crisi e incompresa, viene ora travolta nella crisi di
16
certezze, cadute delle grandi ideologie di riferimento.
Ci si accontenta di verità di tipo estetico, retorico, tutto ciò che piace, soddisfa, fornisce
impulsi vitali; la certezza maggiore, indiscussa è offerta dalla tecniche varie, l'efficienza di una
produzione che assicura benessere. La tendenza è pensare vero, bene ciò che soddisfa l'uomo,
nel modo più esteso e intenso. Una qualità di vita cui si sottomette il valore,le decisioni sulla
stessa vita dell'uomo.
Una corrente di pensiero che va ora sotto il titolo di post-moderno, caratterizzato dal
pensiero debole, che vuole presentarsi come il pensiero realistico, quello di cui ora
disponiamo.11
La situazione contemporanea, detta postmoderno, si interroga quindi sul sapere, la
capacità di pensare, porsi in relazione intenzionale con la realtà, una realtà sfuggente.
Lo notiamo in due saggi caratteristici, uno di J. F. LYOTARD, La condizione post
moderna, rapporto sul sapere, l'altro di E.MORIN, autore più difficilmente etichettabile, I sette
saperi necessari all'educazione del futuro. Ancor più significativo che questi rapporti sul
sapere, capacità di pensare e costruire la realtà umana, sono commissionati ambedue da
istituzioni culturali.
Il rapporto di Lyotard è stato richiesto dal Consiglio universitario che coadiuva il Governo del
Quebec 12, il testo di E. Morin è stato pubblicato dall'UNESCO, dopo essere stato sottoposto
all'esame di personalità universitarie, funzionari di tutte le parti del mondo 13.
Anche il P. C. Huber SJ, docente di Filosofia della conoscenza alla Pon. Univ.
Gregoriana, intitola il suo trattato Critica del sapere .14
Cfr.I. SANNA, L'antropologia cristiana tra modernità e
postmodernità, BTC 116, Queriniana, Brescia 2001, 203-252. 336409
11
Cfr J.-F. LYOTARD, La condizione post moderna, rapporto
sul sapere, Feltrinelli, Milano 1989, 8
12
Cfr E. MORIN, I sette saperi necessari all'educazione del
futuro, R.Cortina ed. Milano 2001, 8
13
C. HUBER ,Critica del sapere, ad uso degli studenti, ed.
Pont. Univ. Greg. Roma 1996.
Huber, p. 34, definisce sapere la capacità di pensare,
fare cioè delle proposizioni vere e di dare delle ragioni
valide per esse. Pensare è l'attività propria dell'uomo,
sovente implicita in altre attività intelligenti, capacità di
riferirsi intenzionalmente alla realtà. Si può indicare scienza
l'insieme dei nostri pensieri ordinati sistematicamente sulla
realtà.
14
17
Il sapere, la sua consapevolezza, è il grande ammalato della cultura e socialità
contemporanea: su di esso gli enti pubblici chiedono rapporti, per individuarne i temi necessari
per l'educazione del futuro. Le facoltà filosofiche delle Università cattoliche ne instaurano una
critica salutare, per porre in risalto la capacità di pensiero, di verità comunicabile proprie
dell'uomo.
Anche la FR si pone in questo contesto: il vertice dell'Enciclica è individuabile nel n. 85, ed
ancora si parla della qualità del sapere:
"Proprio per questo, facendo mio ciò che i Sommi Pontefici da
qualche
generazione non cessano di insegnare e che lo stesso Concilio Vaticano II ha ribadito, voglio
esprimere con forza la convinzione che l'uomo è capace di giungere
ad una
visione
unitaria ed organica del sapere.
Questo è uno dei compiti di cui il pensiero cristiano dovrà farsi carico nel corso del
prossimo millennio dell'era cristiana. La settorialità del sapere, in quanto comporta
un
approccio parziale alla verità con la conseguente
frammentazione del senso, impedisce
l'unità interiore
dell'uomo contemporaneo. Come potrebbe la Chiesa non
preoccuparsene ?
Questo compito sapienziale deriva ai suoi pastori
direttamente dal Vangelo ed essi
non possono sottrarsi al
dovere di perseguirlo."
"La Chiesa non propone una propria filosofia né canonizza una qualsiasi filosofia particolare
a scapito delle altre" (n 49).
La chiesa cioè rispetta il metodo e le regole proprie della filosofia, affinché essa
<rimanga orientata verso la verità ed ad essa tenda con un processo razionalmente
controllabile>.
<Non è compito né competenza del Magistero intervenire per colmare le lacune di un
discorso filosofico carente. È suo obbligo invece, reagire in maniera chiara e forte quando tesi
filosofiche discutibili minacciano la retta comprensione del dato rivelato e quando si
Il nostro pensiero si svolge direttamente in diversi
orizzonti,campi:
la
struttura
dell'orizzonte
(fisico,
matematico, storico...) rispettivo determina a priori il
pensiero che si svolge in esso, e precisamente in quanto al suo
contenuto e alla sua relazione intenzionale alla realtà. Huber
parla anche di giochi linguistici, termine di L. Wittgenstein.
Il sapere umano risulta valido per la realtà in quanto
costituisce una struttura aperta, con un orizzonte ultimo,
comune, aperto ed illimitato,ma analogo della ragione (p. 245),
l'essere della metafisica.
18
diffondono teorie false e di parte che seminano gravi errori, confondendo la semplicità e la
purezza della fede del popolo di Dio.> (n 49)
III. Contesto di errori che insidiano l'annuncio e la comprensione del
Vangelo nella cultura contemporanea.
Nel n 85 abbiamo già posto in risalto l'energico richiamo :
"Voglio esprimere con forza la convinzione che l'uomo è capace di giungere a una
visione unitaria e organica del sapere [...] Questo compito sapienziale deriva ai suoi Pastori
direttamente dal Vangelo ed essi non possono sottrarsi al dovere di perseguirlo."
Il Vangelo si muove nella convinzione :"che la vita umana e il mondo hanno un senso,
e sono diretti verso il loro compimento, che si attua in Gesù Cristo. Il Mistero dell'Incarnazione
resterà sempre il centro cui riferirsi per poter comprendere l'enigma dell'esistenza umana, del
mondo creato e di Dio stesso. In questo mistero le sfide per la filosofia si fanno estreme, perché
la ragione è chiamata a fare sua una logica che abbatte le barriere in cui essa stessa rischia di
rinchiudersi".(n 80).
La condizione culturale attuale soffre di <crisi del senso>; il sapere si è frammentato
per un moltiplicarsi di punti di vista, non coordinati sulla vita e sul mondo, così da rendere vana
la ricerca di senso, un bene da raggiungere.
" La pluralità delle teorie che si contendono la risposta, o i diversi modi di vedere e di
interpretare il mondo e la vita dell'uomo, non fanno che acuire questo dubbio radicale,[ che la
vita, il mondo non abbiano uno scopo, un senso ] che facilmente sfocia in uno stato di
scetticismo e di indifferenza, o nelle diverse forme di nihilismo.
La conseguenza di ciò è che spesso lo spirito umano è occupato da una forma di
pensiero ambiguo, che lo porta a rinchiudersi ancor più in se stesso, entro i limiti della propria
immanenza, senza alcun riferimento al trascendente. Una filosofia priva della domanda sul
senso dell'esistenza incorrerebbe nel grave pericolo di degradare la ragione a funzioni soltanto
strumentali, senza alcuna autentica passione per la ricerca della verità.
Per essere in consonanza con la parola di Dio è necessario anzitutto che la filosofia
ritrovi la sua dimensione sapienziale di ricerca del senso ultimo e globale della vita. Questa
prima esigenza, a ben guardare, costituisce per la filosofia uno stimolo utilissimo ad adeguarsi
alla sua stessa natura. Ciò facendo, infatti,essa non sarà soltanto l'istanza critica decisiva, che
indica alle varie parti del sapere scientifico la loro fondatezza ed il loro limite, ma si porrà
anche come istanza ultima di unificazione del sapere e dell'agire umano, inducendoli a
19
convergere verso uno scopo ed un senso definitivi.
Questa dimensione sapienziale è oggi tanto più indispensabile in quanto l'immensa
crescita del potere tecnico dell'umanità richiede una rinnovata e acuta coscienza dei valori
ultimi. Se questi mezzi tecnici dovessero mancare dell'ordinamento ad un fine non meramente
utilitaristico, potrebbero presto rivelarsi disumani, e anzi trasformarsi in potenziali distruttori
del genere umano.
La parola di Dio rivela il fine ultimo dell'uomo e dà un senso globale al suo agire nel
mondo. E' per questo che essa invita la filosofia a impegnarsi nella ricerca del fondamento
naturale di questo senso, che è la religiosità costitutiva di ogni persona. Una filosofia che
volesse negare la possibilità di un senso ultimo globale sarebbe non soltanto inadeguata, ma
erronea"
Mi sono diffuso nel riportare l'integrità del n. 81, perché ci introduce a capire il perché il
Santo Padre si esprima con tanta energia nel n. 85, affermando <che l'uomo è capace di
giungere ad una visione unitaria ed organica del sapere>.
Cristo Signore è la Verità-significato, il Bene-senso definitivo dell'uomo e del suo
cosmo, che porta a compimento, secondo al misura del Dio fatto uomo, la capacità umana, sua
propria, costitutiva di verità e senso. Il n 81 parla di <religiosità costitutiva di ogni persona>,
come fondamento naturale atto a riceve il dono del tutto soprannaturale dell'Incarnazione del
Verbo, Incarnazione completa nell'umano, sino alla sua Croce-Risurrezione.
Si richiede pertanto una filosofia che esprima il sapere autentico e vero, capace di verità
totale e definitiva.
Questa filosofia presenta una seconda esigenza:
"appurare la capacità dell'uomo di giungere alla conoscenza della verità; una
conoscenza, per altro, che attinga alla verità oggettiva, mediante quella adaequatio rei et
intellectus, cui si riferiscono i Dottori della scolastica.
Questa esigenza, richiesta dall'accoglienza della fede-Rivelazione, è stata esplicitamente
riaffermata dal Concilio Vaticano II (Gaudium et spes 15): <L'intelligenza ,infatti ,non si
restringe all'ambito dei fenomeni soltanto,ma può conquistare la realtà intelligibile con vera
certezza, anche se, per conseguenza del peccato, si trova in parte oscurata e debilitata>.(n. 82).
La FR procede in profondità, con coerenza nel delineare la filosofia, vero sapere, capace
di accogliere la Rivelazione-fede, realizzarne l'intelligenza; un uomo <sensato>, per un sensofine unificante sapere e agire umano, deve poter cogliere la verità oggettiva delle realtà esistenti,
mediante l' <adaequatio intellectus et rei>: la capacità dell'intelletto umano di cogliere,
formulare, <adeguarsi> alla realtà esistente, la sua struttura intrinseca, intelligibile, affermabile.
20
<Conquistare la realtà intelligibile con vera certezza>,(GS n 15) come si esprime il Vaticano II.
Continua la FR :
"La Sacra Scrittura, infatti, presuppone sempre che l'uomo, anche se colpevole di
doppiezza e di menzogna, sia capace di affermare la verità limpida e semplice [...] Gli autori
ispirati, infatti, hanno inteso formulare affermazioni vere, tali cioè da esprimere la realtà
oggettiva ".
Tali sono, per es. l'essere stesso di Cristo, Dio fatto uomo, <i giudizi della coscienza
morale, che la Sacra Scrittura suppone essere oggettivamente veri> (FR n 82).
Le due esigenze, quella di un senso globale ed ultimo, per un uomo capace di cogliere la
verità oggettiva, comportano una terza esigenza, fondante le prime due: "è necessaria una
filosofia di portata autenticamente metafisica, capace cioè di trascendere i dati empirici per
giungere, nella sua ricerca della verità, a qualcosa di assoluto, di ultimo e di fondante. E'
un'esigenza, questa, implicita sia nella conoscenza a carattere sapienziale, che in quella a
carattere analitico; in particolare è un'esigenza propria della conoscenza del bene morale, il
cui fondamento è il Bene sommo, Dio stesso." (n 83 )
Giovanni Paolo II non intende <qui parlare della metafisica come di una scuola
specifica o di una particolare corrente storica>, intende ribadire che <la realtà e la verità
trascendono il fattuale e l'empirico> . Non esiste solo ciò che tocca i nostri sensi, risulta
misurabile; la vera realtà è un oltre, intelligibile, spirituale, sino al fondamento assoluto
dell'Essere pienezza personale, Dio.
L'uomo è capace <di conoscere questa dimensione trascendente e metafisica in modo
vero e certo, benché imperfetto ed analogico"(FR n 83). Senza questa <rivendicazione> di
capacità conoscitiva del livello fondante senso e conoscenza vera, l'annuncio e la vita evangelica
cadrebbero nel vuoto, non sarebbero rivolte ad un vero uomo, costitutivamente capace di Dio,
religioso.
Sempre per procedere ad un chiarimento del fondamento ultimo e della capacità vera,
benché <imperfetta ed analogica> di conoscerlo, La FR procede ad una pertinente osservazione:
"La metafisica non va vista in alternativa all'antropologia, giacché è proprio la
metafisica che consente di dare fondamento al concetto di dignità della persona in forza della
sua condizione spirituale".(n 83)
Si tratta di una osservazione ricorrente altrove ( n 5 ): non è sufficiente fermarsi
all'esperienza umana, <anche quando questa esprime e rende manifesta l'interiorità dell'uomo e
la sua spiritualità>. Non è sufficiente <perché è necessario che la riflessione speculativa
raggiunga la sostanza spirituale ed il fondamento che la sorregge>(FR n 83).
21
Si tratta di compiere il passaggio dal fenomeno ,anche se già colto nella sua spiritualità,
al fondamento, che lo regge, e che ne spiega la spiritualità. L'uomo è persona, ha una interiorità
spirituale, perchè il suo principio costitutivo, l'anima, che lo rende umano, anche nel suo corpo,
è sostanza spirituale (anche se incompleta, bisognosa della materia-corpo), ed è tale perché
costitutivamente capace dell'Assoluto personale, Dio. Questo Assoluto personale, che tocca
l'uomo interiormente, nella cui luce,(indirettamente, la luce dell'essere, cioè dei primi principi),
agisce, è il fondamento ultimo, vero della sua interiorità, del suo essere persona, della sua
dignità.
Evidentemente, la consapevolezza di essere persona, capace di conscie relazioni umane,
di attività spirituali, costituisce <un ambito privilegiato per l'incontro con l'essere e, dunque
con la riflessione metafisica. Ovunque l'uomo scopre la presenza di un richiamo all'assoluto e
al trascendente, lì gli si apre uno spiraglio verso la dimensione metafisica del reale :nella
verità,nella bellezza, nei valori morali, nella persona altrui, nell'essere stesso, in Dio> (n 83).
Questa apertura umana al fondamento metafisico risulta necessario per l'accoglienza
dell'evento Cristo, la Rivelazione-fede: "La parola di Dio fa continui riferimenti a ciò che
oltrepassa l'esperienza e persino il pensiero dell'uomo; ma questo <mistero> non potrebbe
essere rivelato, né la teologia potrebbe renderlo in qualche modo intelligibile, se la conoscenza
umana fosse rigorosamente limitata al mondo dell'esperienza sensibile. La metafisica pertanto
si pone come mediazione privilegiata nella ricerca teologica.
Una teologia priva dell'orizzonte metafisico non riuscirebbe ad approdare oltre
l'analisi dell'esperienza religiosa e non permetterebbe all'intellectus fidei di esprimere con
coerenza il valore universale e trascendente della verità rivelata."( n 83).
Al n 84 si traggono conseguenze ermeneutiche, di analisi del linguaggio in situazione di
debolezza metafisica. Cosa possono raggiungere l'ermeneutica, l'analisi del linguaggio nella
prospettiva di un uomo problematico, non costitutivamente capace di verità oggettiva, di
apertura qualificante all'Assoluto ?
"I risultatati cui questi studi giungono possono essere molto utili per l'intelligenza della
fede, in quanto rendono manifesti la struttura del nostro pensare e parlare ed il senso racchiuso
nel linguaggio" (n 84 e altrove, come n 5, n 91 ).
Ma se rimaniamo alla descrizione dell'esperienza senza radicarla nel suo fondamento, ne
segue la tendenza ad <arrestarsi al come si comprende e dice la realtà, prescindendo dal
verificare le possibilità della ragione di scoprirne l'essenza>.
Si manifesta in atto la sfiducia diffusa nelle capacità della ragione. Se poi l'applicazione
di questi assunti aprioristici ambigui tendono ad <offuscare i contenuti della fede o a negarne la
22
validità universale, allora non solo umiliano la ragione, ma si pongono da se stessi fuori
gioco>.
Fuori gioco, non validi, non esprimenti la consistenza vera della natura spirituale
dell'uomo, le sue capacità conoscitive, comunicative. Il dono stesso della Rivelazione-fede
avvisa che la consistenza spirituale dell'uomo, capace di verità oggettiva, di fondazione
metafisica, si dà in realtà, è operante.
"La fede, infatti, presuppone con chiarezza che il linguaggio umano sia capace di
esprimere in modo universale - anche se in termini analogici, ma non per questo meno
significativi -, la realtà divina e trascendente.
Se non fosse così, la parola di Dio, che è sempre parola divina in linguaggio umano,
non sarebbe capace di esprimere nulla su Dio. L'interpretazione di questa Parola non può
rimandarci soltanto da interpretazione ad interpretazione, senza mai portarci ad attingere
un'affermazione semplicemente vera; altrimenti non vi sarebbe rivelazione di Dio, ma soltanto
l'espressione di concezioni umane su di Lui e su ciò che presumibilmente pensa di noi".
Nel linguaggio umano può esprimersi il linguaggio di Dio <che comunica la propria
verità con la mirabile condiscendenza
che rispecchia la logica dell'Incarnazione> (n 95).
La FR pone anche la domanda di come si possa <conciliare l'assolutezza e l'universalità
della verità con l'inevitabile condizionamento storico e culturale delle formule che la
esprimono [ ....] l'applicazione di una ermeneutica aperta all'istanza metafisica, invece, è in
grado di dimostrare come, dalle circostanze storiche e contingenti in cui i testi sono maturati, si
compia il passaggio alla verità da essa espressa, che va oltre questi condizionamenti.
Con il suo linguaggio storico e circoscritto l'uomo può esprimere verità che
trascendono l'evento linguistico> (n 95)
Il problema si ripropone sulla perenne validità del linguaggio concettuale, in particolare
quello usato nelle definizioni conciliari. La FR, n 96, percepisce la delicatezza della questione,
<perché si deve tenere seriamente conto del senso che le parole acquistano nelle diverse
culture e in epoche differenti. La storia del pensiero comunque mostra che attraverso
l'evoluzione e la varietà delle culture certi concetti di base mantengono il loro valore
conoscitivo universale e perciò la verità delle proposizioni che li esprimono> 15
La FR ricorda nella nota 112 che già Pio XII aveva
affrontato tale questione nella Humani generis: le nozioni,
termini usati dal Magistero: <si appoggiano [....] a principi e
nozioni dettate da una vera conoscenza del creato; e nel
dedurre queste conoscenze, la verità rivelata, come una stella,
15
23
Conclude la FR al n 96 ."Il problema ermeneutico ,dunque esiste,ma è risolvibile. Il
valore realistico di molti concetti, d'altronde, non esclude che spesso il loro significato sia
imperfetto. La speculazione filosofica molto potrebbe aiutare in questo campo. E'
auspicabile,pertanto, un suo particolare impegno nell'approfondimento del rapporto tra
linguaggio concettuale e verità, e nella proposta di vie adeguate per una sua corretta
comprensione".
La forte dichiarazione del n 85 <che l'uomo è capace di giungere a una visone unitaria e
organica del sapere[.....] La settorialità del sapere, in quanto comporta un approccio parziale
alla verità con la conseguente frammentazione del senso, impedisce l'unità interiore dell'uomo
contemporaneo. Questo compito sapienziale deriva ai suoi Pastori direttamente dal Vangelo,
ed essi non possono sottrarsi al dovere di perseguirlo>.
Costituisce un forte stimolo alla filosofia, perché affronti tali fondamentali questioni con il
proprio metodo e finalità; si dà un modo umano di conoscenza oggettiva della verità, la verità
completa, totale, metafisicamente fondata, comunicabile in modo universale. Questo modo
umano può essere ulteriormente approfondito, senza scivolare in un falso storicismo,
relativismo, non umano.
Anzi in più luoghi si riconosce che anche studi sul linguaggio, la conoscenza, la
psicologia umana, condotti in prospettive riduttive, immanentistiche, quindi non rispettanti
l'uomo nella sua vera interiore unità e capacità conoscitive, possono presentare conoscenze utili,
integrabili in orizzonti veri, oggettivi (n 91).
L'enciclica porta avanti questo discorso di integrazione e valorizzazione, senza chiudere
gli occhi dei rischi ed errori che attualmente indeboliscono e sviano la ricerca filosofica : parla
di eclettismo, storicismo, scientismo, pragmatismo, infine di nihilismo (nn 86-90),per
ha illuminato, per mezzo della Chiesa ,la mente umana >. D H
3883
Si può pensare al termine sostanza, usato da Nicea, DH 125
per definire la natura divina di Cristo, una sola sostanza col
Padre.
Il termine sostanza proviene da una riflessione sulla Creazione
Non c'è via di mezzo tra la sostanza del Creatore e quella
della creatura : la persona di Cristo è totalmente dalla parte
di Dio Padre creatore, una sola sostanza con Lui, omoousios col
Padre.
La nota 126 cita la più recente dichiarazione della S.
Congr. per la dottrina della Fede, Mysterium fidei : < quanto
al significato stesso delle formule dogmatiche, esso nella
Chiesa rimane sempre vero e coerente, anche quando e meglio
compreso> DH 4540.
24
concludere con la post-modernità (n 91).
Così la descrive la FR al n 91: "le correnti di pensiero che si richiamano alla postmodernità meritano una adeguata attenzione. Secondo alcune di esse, infatti, il tempo delle
certezze sarebbe irrimediabilmente passato, l'uomo dovrebbe ormai imparare a vivere in un
orizzonte di totale assenza di senso, all'insegna del provvisorio e del fuggevole. Parecchi
autori, nella loro critica demolitrice di ogni certezza, ignorando le necessarie distinzioni,
contestano anche le certezze della fede.
Questo nichilismo trova in qualche modo una conferma nella terribile esperienza del
male che ha segnato la nostra epoca. Dinanzi alla drammaticità di questa esperienza,
l'ottimismo razionalista che vedeva nella storia l'avanzata vittoriosa della ragione, fonte di
felicità e di libertà, non ha resistito, al punto che una delle maggiori minacce, in questa fine di
secolo, è la tentazione della disperazione.
Resta tuttavia vero che una certa mentalità positivista continua ad accreditare
l'illusione che, grazie alle conquiste scientifiche e tecniche, l'uomo, quale demiurgo, posa
giungere da solo ad assicurarsi il pieno dominio del suo destino".
Questo n. 91, che presenta linee essenziali della post-modernità, inizia ricordando che
l'enciclica non intende <presentare un quadro completo della situazione attuale della filosofia:
essa ,del resto, sarebbe difficilmente riconducibile a una visione unitaria>.
Abbiamo riportato quanto la FR dice del post-moderno, per avere un certo contesto in
cui situare il dialogo con I sette saperi necessari all'educazione del futuro di E. Morin. Non che
E. Morin, sociologo versatile e prolifico, sia etichettabile come post-moderno. Servendoci ora
della FR come metodo per i nuovi dialoghi del nostro millennio, avremo occasione anche di
conoscere un poco di più la corrente filosofica della post-modernità.
IV. Il <sapere> de I sette saperi necessari all'educazione del futuro, in
dialogo col <sapere> della Fides et Ratio.
Sapere, capacità dell'uomo di pensare, cogliere la realtà: qui sta la questione fondamentale
della filosofia contemporanea.
E. Morin (pseudonimo di E.Nahoum>, sociologo della cultura, se ne è interessato in un
primo tempo nella direzione della cultura di massa,e a partire dagli anni settanta nella direzione
di problematiche metodologiche ed epistemologiche, ispezionando i fondamenti del sapere
stesso.
Di formazione marxista, attivo nel Partito comunista francese, ne fu espulso ne 1951 per
25
la sua critica ai sistemi giudiziari; direttore di giornale e riviste, direttore di ricerca del CNRS,
Centro nazionale di ricerche scientifiche francese, ha cercato informazione su molteplici campi
della cultura scientifica e letteraria, coll'intento di superare la frammentarietà e lacerazione del
sapere.
Ci interessiamo specialmente della sua ultima opera I sette saperi necessari per una
educazione del futuro, preceduto da La testa ben fatta, Riforma dell'insegnamento e riforma del
pensiero, e Relier les connaissances 16, che costituiscono una trilogia pedagogica.
Per situare questa ricerca sui fondamenti e metodo di una cultura unificata, è di grande
utilità il prologo de I sette saperi : i sette saperi, di cui trattano i sette capitoli del libretto, sono
tematiche ora totalmente ignorate, che "permetteranno di integrare le discipline esistenti e di
stimolare gli sviluppi di una conoscenza atta a raccogliere le sfide della nostra vita individuale,
culturale e sociale."
Morin riconosce la provvisorietà delle acquisizioni scientifiche di cui si serve, infatti la
ricerca scientifica non si ferma; riconosce soprattutto che dette questioni scientifiche si aprono
inoltre <su profondi misteri, concernenti l'Universo, la Vita, la nascita dell'Essere umano>.
Così riconosce che la ricerca sociologica-culturale si apre a questioni religiosefilosofiche; quale posizione iniziale Morin prende davanti a questi <profondi misteri> ?
La risposta è sbrigativa: < Qui si apre un indecidibile, a proposito del quale
intervengono le opzioni filosofiche e le credenze religiose >. L'espressione è almeno enigmatica.
Di per sè sembra significare che l'atteggiamento di fronte ai misteri più profondi dell'esistenza,
non si può, scientificamente, decidere, e di fatto lasciata ad opzioni filosofiche e religiose.
Quale è lo statuto scientifico della filosofia ? la sua Verità è del tutto una opzione libera
? non ci fa conoscere nulla di Vero sull'uomo, i fondamenti della sua dignità, del suo essere
Persona ? Inoltre restano senza <radici nell'uomo> le credenze religiose, che Morin, in altre
pagine, considera Miti.
Ma ancora: Miti come capacità simbolico-razionale di porci in verità davanti al Mistero
divino che ci avvolge e qualifica, oppure il mito degradato a semplice leggenda,da cui liberarci?
Qui,la FR ci dice che fa parte del patrimonio spirituale dell'umanità un nucleo di
conoscenze, tra cui < la concezione della persona come soggetto libero ed intelligente, la sua
capacità di conoscere Dio> (n 4).
Inoltre non è proprio la Filosofia ad offrirci quell'orizzonte conoscitivo, di valori umani,
E. MORIN, La testa ben fatta, Riforma dell'insegnamento e
riforma del pensiero, R. Cortina ed., Milano 2000
16
26
che ci permette di integrare in modo sapienziale le scienze umane frammentarie e lacerate?
Vedremo come Morin sembra avvertirne la necessità, senza concludere.
E' caratteristico della corrente di pensiero post-moderno di porre in crisi le grandi
narrazioni fondative, come la dialettica dell'Idea di Hegel, il mito del progresso illuministico,
forse anche i racconti ispirati sull'origine per creazione dell'uomo e del suo cosmo; di qui il
manifestarsi di un pensiero debole, che rinuncia alla sua fondazione su di un assoluto ancora
conoscibile all'uomo, in modo umano, ma in verità.17
Ne segue una navigazione in un oceano di incertezze, con arcipelaghi di certezze
(solamente di scienza sperimentale ?)
Appartiene quindi Morin al post-moderno ? Ha gli stessi problemi di partenza, ma cerca
di superarli con il paradigma del pensiero complesso. É l'indagine che ora faremo ,usando la FR
come discorso sul metodo per questi nuovi dialoghi della post-modernità.
Percorreremo I setti saperi considerati necessari per l'educazione, in modo rapido, avendo in
mano il libretto, cercando di situarli nel pensiero <complesso> del Morin.
IV,I. Cecità della conoscenza: l'errore e l'illusione
Costituisce il titolo del primo capitolo, la prima tematica, il primo sapere cui renderci
familiari.
<Ogni conoscenza porta in sè il rischio dell'errore e dell'illusione>, e Morin stende un
elenco ragionato di queste cecità della conoscenza.
Errori nella trasmissione dell'informazioni, errori nella percezione visiva, errori
intellettuali, di interpretazione, che giungono <all'interno della soggettività di chi conosce, della
sua visone del mondo, dei suoi principi di conoscenza, errori per passioni affettive> e nell'anello
intelletto -------------- affetto
↑------------------------↑
non si dà controllo superiore della ragione.
Riconosce, a p. 19, che < lo sviluppo della conoscenza scientifica è un potente mezzo di
individuazione degli errori e di lotta contro le illusioni [....] inoltre che la conoscenza scientifica
non può affrontare da sola i problemi epistemologici, epistemologici, filosofici ed etici>.
Il riconoscere che la ricerca scientifica, evidentemente il campo delle scienze
Cfr GD. MUCCI, Considerazioni sul moderno e i
postmoderno. Koslowski, Lyotard e il cristianesimo. in Civ.
Cattolica 1991 II 223-232.
17
27
sperimentali, deve presupporre un altro livello di natura epistemologica, filosofica ed etica,
ritorna più volte negli scritti di Morin, e lo faremo notare; implicita consapevolezza di una
problematica, desiderata apertura alla trascendenza della conoscenza, e quindi della realtà? Il
paradigma della complessità cercherà di accogliere, in quanto ci riesce, questa tensione ancora
tanto problematica; argomento principale su cui ritorneremo.
Morin passa poi ad elencare gli errori <mentali>, intendendo per mente ( 53 ) la
capacità umana di coscienza e di sapere : <Nessun dispositivo cerebrale permette di distinguere
l'allucinazione dalla percezione, il sogno dalla veglia, l'immaginario dal reale, il soggettivo
dall'oggettivo>.
<Esiste in ogni mente la possibilità di mentire a se stessi (self-deception), ciò che è
fonte permanente di errori e illusioni. L'egocentrismo, il bisogno di autogiustificazione, la
tendenza a proiettare sugli altri le cause del male fanno si che ognuno menta a se stesso senza
individuare la menzogna del quale è pur tuttavia l'autore>.
Ma anche la memoria, fonte insostituibile di verità, può essere soggetto di errori ed
illusioni, selezionando, rimovendo deformando....
Passa poi, Morin, agli errori più temibili, quelli intellettuali, quando teorie, dottrine,
ideologie si sottraggono alla critica ragionevole, regnano invulnerabili.
Qui Morin distingue opportunamente tra processi di razionalizzazione e la vera razionalità: la
razionalità tiene il contatto con la realtà conosciuta, controlla il carattere logico delle sue teorie;
risulta aperta a ciò che la contesta, capace di autocorreggersi. Al contrario la razionalizzazione
si presenta come un sistema teorico, chiuso alla critica razionale e alla verifica empirica,
perdendo il contatto con la realtà.
< Un razionalismo che ignora gli esseri, la soggettività, l'affettività, la vita è irrazionale.
La vera razionalità conosce i limiti della logica, del determinismo, del meccanicismo; sa che la
mente umana non potrebbe essere onnisciente, che la realtà comporta mistero. Negozia con
l'irrazionalizzato, con l'oscuro, con l'irrazionalizzabile. Non solo è critica, ma autocritica. Si
riconosce la vera razionalità dalla capacità di riconoscere le sue insufficienze>.
Morin riconosce che la razionalità è insita, propria dell'uomo in quanto è uomo, non del
solo scienziato, non del solo mondo occidentale.
Importante la confessione conclusiva: <Cominciamo a diventare veramente razionali
quando riconosciamo la razionalizzazione insita nella nostra razionalità e quando riconosciamo
i nostri propri miti, tra cui il mito dell'onnipotenza della nostra ragione e quello del progresso
garantito.
Da qui deriva la necessità di riconoscere un principio di incertezza razionale, poiché la
28
razionalità rischia continuamente - se non mantiene viva la vigilanza autocritica - di cadere
nell'illusione razionalizzatrice> ( 23 ).
Insieme a razionalità insidiata da razionalizzazione, Morin parla ( 28-30 ), di idealità
insidiata dall'idealismo. L'idealità è: <il modo necessario dell'idea per tradurre il reale>, mentre
l'idealismo è <presa di possesso del reale da parte dell'idea>. L'idealismo si chiude in un circolo
drammatico di idee che hanno perso il contatto con la realtà.
<Ancora una volta vediamo che il principale ostacolo intellettuale alla conoscenza si
trova nel nostro strumento intellettuale di conoscenza. Lenin ha affermato che i fatti erano
testardi. Non aveva visto che l'idea fissa e l'idea-forza, fra cui le sue, erano ancora più testarde>.
Leggendo queste considerazioni del Morin, sociologo della conoscenza, una sociologia,
che sebbene in modo sporadico e tormentato avverte in qualche modo i suoi limiti, leggendo
queste sue pagine sulla cecità della conoscenza, viene istintivo ricordare che questioni simili
non ci risultano del tutto nuove, perché già fondamentalmente considerate nella Filosofia della
conoscenza.
Certo si deve notare una differenza di approccio: è più umano ,spontaneo partire dalla
fiducia insita nell'uomo di conoscere e comunicare verità, pur percependo i limiti umani, la
possibilità di errore.18 Ma lo stesso Morin considera la cecità della conoscenza, il suo lucido
riconoscimento, paradossalmente come il primo sapere necessario; ora <sapere> è, per
definizione, capacità positiva di conoscere; quindi anche lui parte da una considerazione
positiva del conoscere umano.
Man mano che sorgono tali questioni che Morin pone come sociologo, storico della cultura
contemporanea, siamo invitati a chiarificarle sul loro terreno proprio, filosofico, filosofia della
conoscenza, ritornando a quanto già appreso nei corsi fondamentali del biennio; noi qui ci
limitiamo a cogliere nella FR quanto può aiutare in proposito.
"Tutti gli uomini desiderano sapere, e oggetto proprio di questo desiderio è la verità. La
stessa vita quotidiana mostra quanto ciascuno sia interessato a scoprire, oltre il semplice
sentito dire, come stanno veramente le cose.
L'uomo è l'unico essere in tutto il creato visibile che non solo è capace di sapere, ma sa
anche di sapere, e per questo si interessa alla verità reale di ciò che gli appare."(FR n 25 ).
Rimando pertanto alle intelligenti considerazioni che
troviamo facilmente i F. NUVOLI, Verità e conoscenza,
introduzione allo studio della gnoseologia, ed. CUSL , Cagliari
1998, parte prima, il problema dell'errore e della certezza.
Cfr inoltre il già citato C. HUBER SJ, Critica del sapere,
seconda parte, La validità del sapere.
18
29
La conoscenza dell'uomo non si limita a ciò che gli appare nella sua interiorità, ma
raggiunge l'oggettività della realtà; abbiamo già prima (pag.26), parlato (FR n 82) della
adaequatio rei et intellectus, cioè una conoscenza della verità che attinga la verità oggettiva:
l'uomo non conosce soltanto le sue idee, ma possiede idee che rimandano intenzionalmente alla
realtà, con le quali conosce direttamente la realtà.
Il concetto, l'idea, è cioè un <medium quo, non quod>: mezzo per cui, attraverso cui
conosce la realtà, non un diaframma <quod> che conosciuto direttamente lo isolerebbe dalla
realtà, e vi rimanderebbe in secondo luogo.
La FR, dialogando con Morin, lo aiuterebbe a superare gli stupori che egli stesso prova,
come quando a pag. 30 insinua:
"Tuttavia sono le idee che ci permettono di concepire le carenze ed i pericoli dell'idea.
Da ciò deriva questo paradosso ineludibile: dobbiamo ingaggiare una lotta decisiva contro le
idee, ma possiamo farlo solo con il soccorso delle idee. Non dobbiamo mai dimenticare di
mantenere le nostre idee nel loro ruolo mediatore e dobbiamo impedire loro di identificarsi col
reale. Dobbiamo riconoscere come degne di fiducia solo le idee che comportano l'idea che il
reale resiste all'idea. Questo è un compito indispensabile nella lotta contro l'illusione."
La prospettiva ribadita dalla FR della conoscenza intenzionale, cioè propriamente
spirituale, unione nel concetto (realtà spirituale) tra la mente conoscente e la struttura
intelligibile esistente nella realtà, potrebbe aiutare Morin a risolvere meglio i suoi stupori,
paradossi che le idee si coregono con l'idee.
Prevale la conoscenza oggettiva della realtà, <adaequatio rei et intellectus>, certo in modo
umano, che la FR stimola la filosofia a ulteriormente precisare (n 96 ).
Il sociologo Morin si mostrerebbe anche disponibile con questo filone classico della
filosofia, che sembra non conoscere; per es. quando dice, pag. 31 " La necessità, per ogni
educazione, di individuare i grandi interrogativi sulle nostre possibilità di conoscere .....
l'incertezza, che uccide la conoscenza semplicistica, è il disintossicante della conoscenza
complessa ....
Così dobbiamo apprendere che la ricerca di verità richiede la ricerca e la l'elaborazione
di metapunti di vista, che permettano la riflessività, che comportino in particolare l'integrazione
dell'osservatore-ideatore
nell'osservazione-ideazione
nonché
l'ecologizzazione
dell'osservazione-ideazione nel contesto mentale e culturale che le è proprio ... le idee che
difendo qui non sono tanto idee che possiedo, ma idee che mi possiedono ....
Poiché questo è un problema centrale: instaurare la convivialità con le nostre idee, come
con i nostri miti....
30
Abbiamo bisogno di trovare metapunti di vista sulla noosfera e sulla nostra stessa
mente..
Abbiamo bisogno che si cristallizzi e si radichi un paradigma che permetta la
conoscenza complessa."
Queste affermazioni-desideri di Morin possono sembrare un appello alla filosofia dell'essere,
che senza legami a particolari scuole, si riallaccia alla <tradizione perenne di quella filosofia che
ha saputo superare per la sua reale saggezza i confini dello spazio e del tempo>, mettendo in
risalto, riconoscendo <un patrimonio culturale che appartiene a tutta l'umanità> ( n 85 ).
La filosofia dell'essere costituisce quel metapunto di vista invocato da Morin, che
<ecologizza>, crea <convivialità> tra le nostre idee, e la realtà oggettiva conosciuta, giustifica
<i nostri miti>, che esprimono l'orizzonte di assoluto che ci qualifica.
Come dice Morin < le idee che difendo non sono tanto idee che possiedo, ma sono idee
che mi possiedono>: questa affermazione diventa vera se riconosciamo l'essere alla radice di
ogni attività conoscitiva; sopprimerlo ,negarlo sarebbe la morte stessa del pensiero e della realtà.
E' infatti l'affermazione radicale che soggiace a tutte le altre, che avvolge e condiziona
ogni esercizio del pensiero.
Ciò che è posto in sè, isolato, del tutto autosufficiente, non sarebbe mai in grado di
essere riunito, inteso, affermato. I collegamenti superficiali e profondi (Morin parla di
<ecologizzare, fare convivialità>) sono possibili solo in base a questa previa unità di fondo,
originaria, unificante tutti gli esistenti: il tutto dell'essere.19
Questo è il <metapunto di vista> ricercato da Morin, al di là del <paradigma che
permetta la conoscenza complessa>. Parlando ancora in termini alla Morin, il <paradigma>
della filosofia dell'essere richiamato dalla FR, <questa reale saggezza che supera i confini della
spazio e del tempo>, <patrimonio culturale che appartiene a tutta l'umanità (FR n 85)>,
<nucleo di conoscenze filosofiche ( come il principio di non contraddizione ....la concezione
della persona, capace di conoscere Dio, la verità, il bene)(cfr FR n 4), rappresenta il
fondamento del sapere autentico, superante lacerazioni, incomprensioni, errori, come desiderato
dal sociologo francese.
Ma è bene, per continuare un dialogo fruttuoso tra FR e I sette saperi del Morin,
presentare l'interessante nozione di <paradigma>.
Il paradigma ed i suoi accecamenti.
Cfr J. de FINANCE, Conoscenza dell'essere, trattato di
Ontologia, ed. Pont. univ. Gregoriana Roma 1987, 27-32.
19
31
"Un paradigma può essere definito con: 20
La promozione/selezione dei concetti dominanti
dell'intelligibilità . Così l'Ordine delle concezioni deterministe, la Materia nelle concezioni
materialiste, lo Spirito nelle concezioni spiritualiste, la struttura nelle concezioni strutturaliste
sono i concetti dominanti, selezionati/selezionanti, che escludono o subordinano i concetti
che sono loro antinomici ( il disordine, lo spirito, la materia, l'evento)....." (p. 23s).
Ne segue :
"-- La determinazione delle operazioni logiche dominanti".
Le osservazioni .del sociologo-storico sono pertinenti : nella storia della filosofia e delle
scienze si nota il privilegio accordato ad alcune operazioni logiche, per es. esclusionedisgiunzione, a scapito di altre, come inclusione-congiunzione. Il paradigma scelto, forse
inconsapevolmente, seleziona operazioni logiche, che divenute preponderanti o esclusive,
condizionano la qualità della filosofia o scienza prodotta :
< Dunque il paradigma prescrive e proscrive; effettua la selezione e la determinazione
della concettualizzazione e delle operazioni logiche. Designa le categorie fondamentali
dell'intelligibilità e opera il controllo del loro uso> (p. 24).
Così gli individui, le scuole conoscono, pensano e agiscono secondo i paradigmi iscritti
culturalmente in loro.
Il paradigma risulta inconscio, ma guida, controlla il pensiero
cosciente: <il paradigma istituisce le relazioni primordiali che si costituiscono in assiomi,
determina i concetti, domina i discorsi e le teorie>(p. 25).
Morin pone in risalto il grande paradigma dell'Occidente, <formulato da Cartesio, e
imposto dall'evolversi della storia europea a partire dal XVII secolo. Il paradigma cartesiano
disgiunge il soggetto dall'oggetto, ciascuno con la propria sfera: da una parte, la filosofia e la
ricerca riflessiva; dall'altra, la scienza e la ricerca oggettiva>21 . Diviene dominante il paradigma
della disgiunzione, che dissocia :
Abbiamo già accennato in Filosofia della natura a TH.S.
KUHN, La struttura delle rivoluzioni scientifiche, come mutano
le idee nella scienza, Einaudi ed. Torino 1978, la sua
elaborazione del concetto di paradigma: vedi dispense 20022003,
Sito
della
Facoltà,
www.theologi-ca.it,
personale
docente→Moschetti 114
20
In realta Cartesio ha sviluppatp molto più la scienza del
soggetto pensante, che l'empiria della realtà estesa; è il
primo dei razionalisti, la sua genialità scientifica è di
natura
geometrico-deduttiva,
come
nell'analisi
geometrica
(coordinate cartesiane) e ottica.
21
32
soggetto, res cogitans -- oggetto, res estensa
anima
-corpo
Morin , come vedremo, desidera sostituire il paradigma cartesiano della disgiunzioneesclusione, con le nefaste lacerazioni e frammentazioni del sapere umano e delle scienze, con il
suo paradigma-sfida del pensiero complesso, che programma congiunzione-inclusione, per
educare ad un sapere, scienza integrati, facilitanti la comprensione, un'etica del genere umano.
Sarà questo l'impegno sviluppato nei sei capitoli seguenti, sui sei corrispondenti saperi,
che iniziano al paradigma del pensiero complesso; sarà per noi occasione per entrare un poco di
più nella comprensione del paradigma proposto dalla FR.
IV,2. I principi di una conoscenza pertinente
Morin si pone alla ricerca del paradigma conoscitivo che permetta il superamento dei nostri
saperi <disgiunti, frazionati, compartimentati > proprio mentre si sente l'urgenza di dovere
affrontare <problemi sempre più pluridisciplinari, trasversali, multidimensionali, trasnazioanli,
globali, planetari> (p. 35).
Per questo si deve porre attenzione al contesto:<la conoscenza delle informazioni o dei
dati isolati è insufficiente. Bisogna porre informazioni e dati nel loro contesto affinché prendano
senso>.
Parimenti si devono situare le parti nel tutto, percepire il globale, le relazioni tra tutto e
parti. Questo nelle relazioni individuo-società, inoltre <nell'essere stesso umano come in ogni
essere vivente, si ha la presenza del tutto all'interno delle parti: ogni cellula vivente contiene la
totalità del patrimonio genetico di un organismo pluricellulare; la società in quanto tutto è
presente all'interno di ogni individuo nel suo linguaggio, nel suo sapere, nei suoi doveri, nelle
sue norme>.(p. 37).
Più volte negli scritti di Morin viene citato, come ispiratore, un Pensiero di Pascal:
"Essendo tutte le cose causate ed insieme causanti, aiutate ed adiuvanti, mediate e immediate, e
tutte essendo legate da un vincolo naturale ed insensibile che unisce le più lontane e le più
disparate, ritengo sia impossibile conoscere le parti senza conoscere il tutto, così come è
impossibile conoscere il tutto senza conoscere particolarmente le parti." (p. 37).22
Questo pensiero di Pascal può servire di appoggio alle considerazioni del Morin
E. MORIN, La testa ben fatta, riforma dell'insegnamento e
riforma del pensiero, R. Cortina ed. Milano 2000, p.124
22
33
seguenti sul multidimensionale (come l'uomo, e la società): una sua conoscenza pertinente
richiede di non <isolare una parte dal tutto, ma neppure le parti le une dalle altre. Specialmente
passando alla considerazione sul complesso, ciò che è tessuto insieme; il paradigma-sfida della
complessità si arricchirà di prospettive nel corso della discussione sui saperi, restando aperto
<contraddittorio>.
E' bene far subito notare che la prospettiva di Pascal, un mistico, fisico con interessi
culturali molteplici, non certo un filosofo sistematico, risulta totalmente diversa da quella del
Morin. Di fronte all'insufficienza dello <spirito di geometria>, capace di fare scienza
sperimentale, non di soddisfare le autentiche esigenze umane, B. Pascal propone lo spirito di
finezza, le esigenze del cuore.23
Pascal intende mostrare, attraverso la ragione stessa, l'insufficienza della ragione; al di là
della ragione si dà il cuore, facoltà intuitiva dell'apertura al Mistero di Dio ( e dei primi principi
metafisici che ne seguono e la segnalano), luogo dell'accoglienza della Rivelazione,
dell'esperienza religiosa cristiana.24
Il paradigma-sfida della complessità di Morin, non conosce questa apertura costituiva
all'Assoluto di B. Pascal, rimane ancora chiuso nell'immanenza, forse col desiderio di spezzare
tali chiusure asfittiche, ma senza ancora riuscirvi.
Rimane forte in Morin la prospettiva di una intelligenza generale, aperta alla totalità
delle questioni, evitando quelle visioni chiuse, specialistiche, razionalizzazioni astratte e
unidimensionali, che non risolvono i problemi umani, anzi li aggravano; Morin cita lo
deforestazione selvaggia, che produce desertificazione delle terre coltivabili, i guai ecologici ed
economici provocati dalle burocrazie autoritarie, in modo particolare nell' ex Unione Sovietica.
"Così il sec XX ha vissuto sotto il regno di una razionalità che ha preteso di essere la
sola razionalità, ma che ha atrofizzato la comprensione, la riflessione e la visione a lungo
termine. La sua insufficienza nell'affrontare i problemi più gravi, ha costituito uno dei problemi
più seri per l'umanità" (p. 46).
Il sec XX ha conosciuto uno sviluppo enorme delle specializzazioni disciplinari e delle
" Conosciamo la verità non solo con la ragione, ma anche
con il cuore, ed è in questo secondo modo che conosciamo i
primi principi...E proprio su tali conoscenze del cuore e
dell'istinto la ragione deve appoggiarsi e su di esse fondare
tutto il suo ragionamento" Pensieri, ed. Paoline, Milano 1969,
n. 282, p. 286
23
Cfr. M. LECLERC, Il destino umano nella luce di Blondel,
Cittadella ed., Assisi 2000, p. 91s
24
34
tecniche, ha perso il senso dei contesti, della globalità, della complessità.
Così l'umano viene smembrato, anche nelle facoltà universitarie, si perde il senso
dell'essenziale, del concreto.
Qui il Morin sembra provare la nostalgia di una intelligenza generale, nella sua formalità
filosofica :
"La filosofia, che è per natura una riflessione su ogni problema umano, è divenuta a sua
volta un dominio chiuso in se stesso. I problemi fondamentali e i problemi globali sono evacuati
dalle scienze disciplinari. Sono salvaguardati solo nella filosofia, ma non più nutriti dagli
apporti delle scienze.
In queste condizioni, la mente formata dalle discipline perde la sua capacità naturale di
contestualizzare i saperi, così come di integrarli nel loro insieme naturale.
L'indebolimento della percezione del globale conduce all'indebolimento della
responsabilità (in quanto ciascuno tende a essere responsabile solo del suo compito
specializzato), nonché all'indebolimento della solidarietà (in quanto ciascuno non sente più il
legame con i concittadini).
Come non vedere una corrispondenza con quanto abbiamo considerato il vertice della
FR, al n. 85, il forte richiamo che <l'uomo è capace di giungere a una visione unitaria e
organica del sapere> ? <La settorialità del sapere, continua Giovanni Paolo II, in quanto
comporta un approccio parziale alla verità con conseguente frammentazione del senso,
impedisce l'unità interiore dell'uomo contemporaneo>.
Ma anche rende difficile realizzare solidarietà, che richiede corretto esercizio della
ragione (n 4 e 50), affidarsi all'altro, un rapporto educativo per crescere nella comune verità (nn
31-33).
Come realizzare questi necessari programmi umanizzanti ?
La FR presenta il suo
paradigma: unità articolata della verità, fondata sull'unicità del Dio dell'Alleanza e della
Creazione, (nn 16 e 34), sul tesoro spirituale comune dell'umanità, cioè il principio di non
contraddizione, il valore della Persona umana capace della conoscenza di verità oggettive, anche
come norme morali, apertura e conoscenza analogica, ma vera, di Dio, una filosofia dell'essere
(nn 4. 82. 83....).
Morin prende la via del pensiero complesso. Continuiamo a farli dialogare.
IV.3. Insegnare la condizione umana.
Nell'era planetaria, quando siamo più consci che <un'avventura comune travolge gli umani,
ovunque essi siano> (p. 47) dobbiamo riconoscerci nella comune umanità, che ci qualifica, e
35
riconoscere le diversità individuali e culturali.
Dobbiamo domandarci <chi siamo> nel contesto degli altri interrogativi < dove siamo,
da dove veniamo, dove andiamo ?>. Esaminare la nostra condizione cosmica, nella storia
dell'Universo, la condizione fisica, che cerca di renderla intelligibile secondo le leggi della
fisica, dell'astrofisica, la condizione terrestre, storia fisica geologica del pianeta terra, l'apparirvi
della vita, l'emergenza dell'umano, che ci introduce più direttamente alla condizione umana.
L'uomo ha queste profonde radici, nella storia dell'universo, della terra, nell'evoluzione
della vita.
Insieme è radicato, fisicamente e biologicamente in questo universo, e nel contempo
riconosciamo <il nostro sradicamento propriamente umano. Siamo nello stesso tempo dentro e
fuori la natura: siamo inscindibilmente biologia e cultura.
"L'ominizzazione sfocia in un nuovo inizio. L'ominide si umanizza. Ormai il concetto di
uomo ha doppia entrata: una biofisica, ed una psico socio culturale, ed entrambe si richiamano a
vicenda. Siamo nati dal cosmo, dalla natura, dalla vita, ma a causa della nostra stessa umanità,
della nostra cultura, della nostra mente, della nostra coscienza, siamo divenuti stranieri a questo
cosmo che nel contempo ci rimane segretamente intimo.
Il nostro pensiero e la nostra coscienza ci fanno conoscere questo mondo fisico, ma
anche ce ne allontanano. Il fatto stesso di considerare razionalmente e scientificamente
l'Universo ci separa da esso. Ci siamo sviluppati al di là del mondo fisico e vivente, ed in questo
al di là si realizza la piena manifestazione dell'umanità.
Come punti di un ologramma, portiamo in seno alla nostra singolarità non solo tutta
l'umanità, tutta la vita, ma anche quasi tutto il cosmo, ivi compreso il suo mistero che giace
senza dubbio al fondo della natura umana. Ma non siamo esseri che si possano conoscere e
comprendere unicamente a partire dalla cosmologia, dalla fisica, dalla biologia, dalla
psicologia."
(p. 52).
Questa descrizione dello storico comparire dell'uomo, il suo <al di là> caratteristico,
rappresenta una chiara affermazione della trascendenza dell'uomo rispetto alla storia che lo
genera, sono aperture filosofiche. Le potremo anche paragonare alla descrizione della comparsa
della novità assoluta dell'uomo, che troviamo nel Phénomene humain di Theilard de Chardin. 25
Ma questi slanci metafisici non vengono coltivati, si ritorna alla descrizione storico
Cfr dispense di Filosofia del mondo - cosmologia,
Cagliari 2002-2003, p. 137, op.cit., sito della Facoltà
25
36
sociologica delle scienze, secondo il paradigma della complessità, il tessuto insieme, interattivo
e anche retroattivo delle parti nel tutto, gli anelli della triplice congiunzione, che tanto piace a
Morin.
A
p.53
notiamo
il
<triangolo>
cervello
--cultura
\mente/
cosa intende Morin con questi termini ?
--cervello è direttamente un <apparato biologico dotato di competenza per agire,percepire,
sapere apprendere>.
-- mente è la capacità di coscienza e pensiero.
-la cultura è <costituita dall'insieme dei saperi, delle abilità, delle regole, delle norme, dei
divieti, delle strategie, delle credenze ,delle idee, dei valori, dei miti, che si trasmettono di
generazione in generazione, si riproduce in ogni individuo; controlla l'esistenza della società e
mantiene la complessità psicologica e sociale .(p. 57).
Certo ci attira, in prospettiva filosofica, la categoria mente, <capacità di coscienza e di
pensiero>, operazioni propriamente spirituali, anche se bisognose, per il loro esercizio, dello
strumento organico, in questo caso il cervello.
Morin ci dice che <La mente umana è una emergenza che nasce e si afferma nella
relazione cervello-cultura.>, specificando ulteriormente <La mente è una emergenza del
cervello suscitata dalla cultura, la quale non esisterebbe senza il cervello> (p. 53). La prospettiva
rimane in prevalenza storico-evolutiva, come ancora manifesta nella pag. seguente, la relazione
ragione --→ affettività --→ pulsione.
Si è costituito nell'uomo, che raccoglie in sè l'eredità biologica dello sviluppo nei retteli del
paleoencefalo (organo delle pulsioni, aggressività),cui si è aggiunto negli antichi mammiferi il
mesencefalo (organo dell'affettività-memoria), ed infine nei mammiferi superiori la corteccia,
che nell'uomo assume la massima complessità di neo-corteccia, sede della capacità di pensiero,
che la cultura sviluppa pienamente.
A questo punto sentiamo l'urgenza di interrogare la FR: sviluppa chiaramente la
dimensione filosofica, che in Morin è avvertita, restando in qualche modo sullo sfondo dei suoi
interessi storico sociali, per poi essere posta in <circolo, anelli interattivi e retroattivi> del
paradigma-sfida del pensiero complesso, e venire così dispersa: lo vedremo subito riportando le
considerazioni di Morin circa la categoria individuo (Persona).
La FR (n 4) si muove nel patrimonio spirituale comune dell'umanità, quel nucleo di
conoscenze la cui presenza è costante nella storia del pensiero, nel cui cuore sta la <la
concezione della persona, come soggetto libero e intelligente, e la sua capacita di conoscere
37
Dio, la verità, il bene>26
"Le culture, quando sono profondamente radicate nell'umano, portano con sè la
testimonianza dell'apertura tipica dell'uomo all'universale e alla trascendenza." (n 70).
L'uomo, dice ancora la FR, è <costitutivamente religioso> , capace di raggiungere con la
sua mente il fondamento assoluto che dà verità e senso alla sua vita.
Come è apparso sullo scenario molteplice della condizione umana, i suoi radicamenti
che espone Morin, l'uomo con le qualità specifiche della sua mente ? Giovanni Paolo II,
concludendo la sessione plenaria della Pontificia Accademia delle Scienze (27-31 ott. 1992), sul
nostro tema della complessità, considerato nella sua emergenza nella matematica, fisica ,
chimica e biologia, così si esprimeva:
"Nello sforzo di descrizione rigorosa e di formalizzazione dei dati dell'esperienza,
l'uomo di scienza è condotto a ricorrere a dei concetti metascientifici il cui uso è esigito dalla
logica del suo procedimento. Conviene precisare con esattezza la natura di tali concetti, per
evitare di procedere a delle estrapolazioni indebite che leghino le scoperte strettamente
scientifiche ad una visione del mondo o a delle affermazioni ideologiche o filosofiche che non
ne sono affatto dei corollari. Si coglie qui l'importanza della filosofia che considera i fenomeni
come anche la loro interpretazione.
Pensiamo, a titolo di esempio, all'elaborazione di nuove teorie a livello scientifico per
spiegare l'emergere del vivente. A rigore di metodo, non si potrebbe interpretarle direttamente
e nel quadro omogeneo della scienza.
In particolare, quando si tratta di quel vivente che è l'uomo e del suo cervello, non si
può dire che tali teorie costituiscano per se stesse un'affermazione o una negazione dell'anima
spirituale, o ancora che esse forniscano una prova della dottrina della creazione, o al contrario
che esse la rendano inutile.
È' necessario un lavoro di ulteriore interpretazione: è questo precisamente l'oggetto
E' bene fare una precisazione sul concetto di <persona> :
i suoi connotati riportati al n. 4 sono sicuramente come ivi è
detto, costanti nella storia del pensiero umano, ove trattasi
di
pensatori
originali,
dalle
prospettive
ampie:
Socrate,Platone,Aristotele.....Il termine <persona> appartiene
propriamente alla filosofia sviluppatasi in ambito cristiano,
come ricorda il n 76 ."Anche la concezione della persona, come
essere spirituale è una peculiare originalità della fede :
l'annuncio cristiano della dignità, dell'uguaglianza e della
dignità e della libertà degli uomini ha certamente influito
sulla riflessione filosofica che i moderni vi hanno condotto".
26
38
della filosofia, che è ricerca del senso globale dei dati dell'esperienza, e dunque ugualmente
dei fenomeni raccolti e analizzati dalle scienze."27
Queste considerazioni sono state ampliate da Giovanni Paolo II sempre nell'ambito della
Pontificia Accademia delle Scienze, nel Messaggio alla sessione dell'Ottobre 1996, che riporto
nelle dispense di Antropologia teologica fondamentale, Creazione-peccato, Cagliari 2009-2010,
Sito della Facoltà, www.theologi-ca.it,→personale docente → moschetti, p.223s..
L'evoluzione biologica, considerata ancor più che ipotesi, una giustificata teoria
scientifica di ricerca, richiede sempre, per spiegare la comparsa dell'uomo, un'anima spirituale,
creata immediatamente da Dio: solo così viene fondata la verità filosofica, insegnamento
perenne della Chiesa , riportato nella Gaudium et spes n. 24:"l'uomo è la sola creatura che Dio
abbia voluto per se stessa".
In altri termini l'uomo non può essere subordinato come un puro mezzo o come un mero
strumento né alla specie né alla società: l'uomo è intrinsecamente sociale, al livello della società
fondamentale, la famiglia, nel contesto dei suoi più ampi inserimenti sociali; non può esimersi
dall'apertura e accoglienza dell'altro, secondo comandamenti e carità evangelica; anche nel
campo dell'esercizio sano della ragione, la FR ricorda la necessità dell'accoglienza dell'altro, di
quella pienezza di Altro che è Gesù Cristo (nn 31-33).
Sperimentiamo quindi un notevole disagio nelle riflessioni di Morin a pag. 55
sull'anello:
individuo
specie/
\società
E' di lapalissiana evidenza notare <Le interazioni tra individui producono la società, e questa,
sede dell'emergenza della cultura, retroagisce sugli individui>. Anche la FR n 71 dice che
l'uomo <è insieme figlio e padre della cultura in cui è immerso>.
Ma nella prospettiva della concezione della persona, tesoro spirituale comune
dell'umanità, per la sua capacità di conoscere Dio, il vero ed il bene (FR n 4), risultano ambigue
e forvianti le ulteriori insinuazioni di Morin: <Non possiamo assolutizzare l'individuo e farne il
fine supremo di questo anello; non possiamo neppure assolutizzare la società e la specie......
Ciascuno di questi termini è allo stesso tempo mezzo e fine: sono la cultura e la società che
The Emergence of Complexity in Methematics, Physics,
Chemistry, and Biology, ed. by B. Pullman, proceedings plenary
session of the pontifical Academy of Sciences, 27-31 October
1992, Vatican City 1996, p 456. Vedi la traduzione in dispense
di Filosofia del mondo-cosmologia, Cagliari 2002-2003, annessi.
27
39
permettono la realizzazione degli individui, e sono le interazioni tra gli individui che
permettono il perpetuarsi della cultura e l'auto organizzazione della società>.
Si ha l'impressione, che per la mancanza di un senso forte della Persona, la sua capacità
di assoluto di vero e di bene, si considerino specie e società quasi in antagonismo all'individuo;
quasi il timore che l'esaltazione, valore unico della Persona (qui detta individuo, perché non se
ne percepisce il vero valore) possa alterare il significato dell'umanità, la sua cultura nelle
molteplici società.
Già abbiamo ricordato come sia il valore unico della Persona a darci il senso e la finalità
dei suoi intrinseci e mai snobbabili inserimenti sociali.
Morin non è del tutto insensibile al valore preminente dell'individuo: "Tuttavia,
possiamo considerare che lo sviluppo e la libera espressione degli individui-soggetti
costituiscono il nostro progetto etico e politico, senza tuttavia pensare che essi costituiscano la
finalità stessa della triade
individuo -- società -- specie.
La complessità umana non potrebbe essere compresa se dissociata da questi elementi
che la costituiscono: ogni sviluppo veramente umano significa sviluppo congiunto delle
autonomie individuali, delle partecipazioni comunitarie e del sentimento di appartenenza alla
specie umana".
Osservazioni corrette, ma sia autonomia individuale, sia
partecipazioni comunitarie, sia solidarietà dell'intera specie umana acquistano significato, valore
nella prospettiva della Persona umana, che fonda lo specifico qualitativo di ogni relazione
umana: la socialità umana è ben diversa da quella di un alveare o di un termitaio, perché tutto è
sulla misura e orientato alla Persona, la sua costitutiva apertura all'Assoluto.
In questa luce, quella propria della FR, possiamo valutare quanto poi Morin dirà circa
l'unità e la diversità umane (p. 56), unità e diversità culturale: l'unitas multiplex.
Risulta gradita la sottolineatura dell'unità sulla molteplicità, anche se insinuata con una
certa timidezza , incrinata quando viene detto:
<Dobbiamo concepire l'unità del molteplice, la molteplicità dell'uno>. Ci domandiamo: tra l'uno
ed il molteplice si da questa corrispondenza reciproca ? Può darsi un molteplice che non sia
radicale dipendenza e partecipazione dell'Uno personale in sè Pienezza non relativa ?
E' vero che questa è già filosofia, Morin resta sociologo, con tensioni di trascendenza;
ma senza questa dimensione dell'apertura all'Assoluto, quindi all'Uno (Tripersonale, relazioni
sussistenti nell'ineffabile Unità secondo la Rivelazione), il discorso sulla nostra condizione
caratterizzato dall'Unitas multiplex parla di qualcosa che non è più la condizione umana.
Morin sembra avvertirlo, e ancora si rifugia nelle categoria-sfida del complesso,
40
dell'Homo complexus .
Si può sotto questa terminologia raccogliere <tutto ciò che costituisce la stoffa
propriamente umana> (p. 60s).
L'unità dell'uomo non può essere frutto di
semplificazioni e riduzioni: il sociologo può molto aiutare ad una raccolta di osservazioni, dati,
ma non può valutarli, oraganizzarli in una prospettiva umana unificata, che richiede un lavoro
sullo specifico umano, filosofico e teologico.
Qui si affacciano le questioni umane <maggiori>, della comprensione e dell'etica del genere
umano, titolo dei due ultimi capitoli: esse ci permetteranno di continuare il dialogo tra il
sociologo e la FR.
Per completare le osservazioni sociologiche del Morin ci rimane ancora un rapido esame
dell'interessante IV capitolo, Insegnare l'identità terrestre, che riapre la questione delle
incertezze, Affrontare le incertezze, V capitolo.
IV,4.Insegnare l'identità terrestre.
"Per pensare i loro problemi e i problemi del loro tempo, i cittadini hanno bisogno di
comprendere non solo la condizione umana nel mondo, ma anche il mondo umano che, nel
corso della storia moderna, è divenuto quello dell'era planetaria.
Dal XVI sec. siamo entrati nell'era planetaria e dalla fine del sec XX, siamo nella fase
della mondializzazione" (p 63).
Queste fasi storiche sono descritte con la competenza del sociologo, sono istruttive; non
si nascondono i drammi emersi: <Lo stesso sviluppo ha creato più problemi di quanti ne abbia
risolti, e conduce alla crisi profonda di civiltà che affligge le società prospere d'Occidente.
<Concepito in modo solo tecnico economico, lo sviluppo a breve termine è
insostenibile. Abbiamo bisogno di un concetto più ricco e complesso dello sviluppo, che sia
nello stesso tempo materiale, intellettuale, affettivo, morale...
Il XX sec non è uscito dall'età del ferro planetaria, vi è sprofondato> (p.70).
Dopo l'elenco delle difficoltà e barbarie del sec XX, nota a p. 72: <Morte della
modernità>. Di quale modernità si tratta ? Dell'ideologia illuministica di un progresso
inarrestabile, <grazie ai progressi congiunti della scienza, della ragione, della storia,
dell'economia, della democrazia>.
Questo non significa perdere la speranza. Per Morin significa individuare il nuovo
paradigma, aperto al nuovo, che sa riconoscere nella barbarie del XX sec. la presenza di contro
correnti rigeneratrici: l'ecologia, la qualità della vita, una vita aperta alla dimensione poetica,
alla festa, ed insieme di sobrietà e temperanza, della solidarietà e pacificazione.
41
Conclude Morin a p. 74.< Si può sperare in una politica al servizio dell'essere umano
che sia inseparabile da una politica di civiltà, che apra la strada per civilizzare la Terra concepita
come casa e giardino comune dell'umanità>.
Interessante questo riferimento di tutto all'essere umano, ma immediatamente dopo,
situa l'uomo nel gioco <contraddittorio> dei possibili: <saremo noi a essere assogettati dalla
tecnosfera o potremo vivere in simbiosi con questa ? Ci attira quel <simbiosi tra uomo e
tecnosfera>: più che di <simbiosi> vedremo bene la categoria <servizio>, prima usata. In ogni
modo è sempre l'uomo, il suo valore unico trascendente, che qualifica, rende umano, anche il
suo organismo biologico, a indicare le norme per l'uso della tecnosfera.
La prospettiva evolutiva di Morin può muoversi con queste opposte categorie: si direbbe
che l'evoluzione biologica dell'uomo è ancora in corso, almeno nello sfruttamento delle
possibilità cerebrali, nella speranza che: <La genetica e la manipolazione molecolare del
cervello umano permetteranno normalizzazioni e standardizzazioni finora mai riuscite con gli
indottrinamenti e le propagande sulla specie umana>.(p.73).
Qui persiste qualcosa del deprecato paradigma cartesiano, con la sua speranza di curare
l'uomo considerato un meccanismo complesso anche a livello delle passioni dell'anima;
l'illuminismo della rivoluzione francese pensò con queste attenzioni naturali di superare e fare a
meno di una ascetica spirituale comprovata nel mondo cristiano, col risultato di produrre uomini
razionali avidi e intolleranti, attivi nel fare funzionare ghigliottine fraterne, anche tra di loro.
Morin è più disincantato, ha superato queste illusioni della modernità illuministica: <La
possibilità antropologica, sociologica, culturale, spirituale di progresso, ripristina il principio di
speranza, ma senza certezza <scientifica>, ne promesse <storiche>. E' una possibilità incerta,
che dipende molto dalla presa di coscienza, dalla volontà,dal coraggio, dalla fortuna...>(p.76).
Noi, con la FR e la Veritatis splendor porremmo in risalto oggettivi valori morali, la
carità delle beatitudini, in cui si esprime il vero volto dell'uomo, del suo essere ed agire.
Morin stimola una presa di coscienza molteplice, di impegno <non a dominare, ma a
prenderci cura, migliorare, comprendere.>
--coscienza antropologica, <che riconosca la nostra unità nella diversità>. Con la FR
potremmo notare che questa unità, anche se biologicamente espressa (patrimonio genetico
comune....) risulta fondata anzitutto nella comune costitutiva apertura all'Assoluto, e quindi la
capacità di verità e bene oggettivi comuni. La diversità legittima è sviluppo autentico, secondo
una retta ragione, di questa apertura, nella sua estensione ed interiorità.
--la coscienza ecologica, <ossia la coscienza di abitare, con tutti gli esseri mortali, una
stessa sfera vivente (biosfera). Il conoscere il nostro legame consustanziale con la biosfera ci
42
porta ad abbandonare il sogno prometeico del dominio dell'universo per alimentare, al contrario,
l'aspirazione alla convivialità sulla Terra;> Con la FR fonderemo la convivialità ecologica, certo
anche nell'aspetto fisico-biologico, ma anzitutto nella dimensione dell' <essere>, che crea vera
intima ed universale comunione; sopratutto percependo la statura ontologica propria dell'uomo,
la sua apertura e capacità di Assoluto dell'essere, che lo fa uomo. Così resta fondata anche
--la coscienza civica terrestre,<ossia la coscienza della responsabilità e della solidarietà
dei figli della terra>
--la coscienza dialogica, <che nasce dall'esercizio complesso del pensiero e che ci
permette al contempo di criticarci tra noi, di autocriticarci e di comprenderci gli uni gli altri>.
Cosa intende Morin per <esercizio complesso del pensiero> ?
È un pensiero che sa affrontare le incertezze, superandole con il paradigma di
interrelazioni, gli anelli che già conosciamo. Siamo così disposti per il IV Capitolo.
IV, 5 Affrontare le incertezze.
Si riprende qui, sottolineando il risvolto positivo, di speranza, superamento, la questione delle
incertezze, illusioni, cecità, che è stato il primo sapere. Primo sapere, perché sapere indica
sempre qualcosa di esclusivamente positivo, capacità di pensiero che coglie intenzionalmente,
in verità, la realtà.
Così anche per Morin le questioni di dubbio, errore, illusioni, conseguenza dei liniti
umani (e del peccato, diffidenza dell'Assoluto, che li aggrava), vengono affrontante come
sapere, in contesto di verità fondamentale: non potrebbe essere diverso, senza cadere in assoluta
contradizione, come insegna la Filosofia della conoscenza, che la FR ribadisce nei suoi tratti
decisivi, patrimonio spirituale comune dell'umanità, già iscritto in modo inalienabile nella
costituzione spirituale-corporea dell'uomo, e le capacità che ne risultano.
Morin coglie bene la situazione post-moderna, il suo pensiero debole, per la
constatazione storica che le ideologie del progresso assicurato, continuo, sono fallite: così è
stato sia per l'illuminismo razionalista, sia per l'economicismo marxista.
La FR (in continuità con la Centesimus annus) ci conferma che si tratta di prospettive
umane unilaterali, non coglienti ciò che nell'uomo è specifico, caratteristico. L'illuminismo
razionalista è superficiale, una intelligenza geometrico-matematica, l'economicismo marxista è
materialista, non hanno quindi retto alla prova della storia, provocando povertà e tragedie.
Sono interessanti le osservazioni del sociologo Morin sulle sorprese della storia del XX
sec.(p 82).
Si impegna quindi più diffusamente ad esaminare i dinamismi della storia creatrice e
43
distruggitrice. Conosciamo già dalla Filosofia della Natura le scuole storico sociali (come
Feyerabend) che vedono il procedere della scienza per rotture evolutive, dovute al cambiamento
delle condizioni sociali.
In realtà è preponderante lo sviluppo razionale, nella matrice di fiducia nell'intelligibilità
della natura in quanto creatura di Dio (le Summe del XIII sec), nel filone continuo Galileo Newton, Maxwell, Planck, Einstein....
Le considerazioni del sociologo sono molto ampie, interessanti, ma debbono essere
completate, corrette da un orizzonte filosofico, più comprensivo e fiducioso di verità fondata,
come la FR. Così, per esempi nell'anello :
ordine -------------disordine
\organizzazione/
di p. 86: si indica graficamente, secondo Morin ciò che: < abbiamo appreso alla fine del XX
sec., che a un universo obbediente a un'origine impeccabile dobbiamo sostituire un universo che
è il gioco e la posta in gioco di una dialogica (relazione allo stesso tempo antagonista,
concorrente e complementare), tra l'ordine ,il disordine e l'organizzazione.
Con ordine Morin sembra indicare le leggi della chimica e fisica, a livello macrofisico,
con disordine ciò che sta specialmente a livello microfisico, come la meccanica dei quanti. Con
organizzazione l'apparizione, nella astrofisica e nella storia della vita, di sistemi, come atomi,
molecole, sistemi solari e planetari, la cellula vivente, l'organismo biologico.
Una lettura filosofica dell'emergenza dei sistemi complessi, come la vita, ci è data dal
filosofo E. Berti, che ha tenuto la lezione introduttoria alla sessione plenaria della Pontificia
accademia delle scienze, del 1992 sull'Emergenza della complessità in Matematica, Fisica,
Chimica e Biologia.28
Per Berti l'ordine è la disposizione degli elementi di un insieme secondo uno o più
elementi riconoscibili, così da ridurre l'indeterminato al determinato.
L'ordine semplice, come nella meccanica classica è fondato su di un principio unico,
come f= m.a.
L'ordine complesso è fondato su più criteri, come nell'organismo vivente, ove molteplici
cambiamenti sono orientati al medesimo fine: la conservazione della Vita.
Berti nota come dai Greci a Galileo la tendenza è passare dall'ordine bio-morfologico,
complesso, a quello semplice, meccanico; da Galileo,dopo l'esaltazione dell'ordine semplice, la
The emergence of Complexity, op. cit. Ordre et désordre
des Grecs à Galilée et de Galiée aux temps modernes, 25-42
28
44
tendenza è ritonare all'ordine complesso.
Anche da un punto di vista fisico il puro disordine è sempre inconoscibile, inesistente; le
teorie astrofisiche della storia del cosmo e quelle della teoria evolutiva della vita ricercano
razionalità, l'ordine anche nello sviluppo, nell'emergenza di sistemi più complessi, della chimica
organica e della vita.
Di questo si è già trattato sia in Filosofia della Natura, sia
parlando di lettura ascendente e discendente dell'uomo in Antropologia teologica fondamentale.
Le prospettive di un sociologo sono interessanti, anche divertenti, ma il suo gioco
linguistico, secondo terminologia di Wittgenstein, ora largamente usata nella Critica del sapere,
deve restare aperto, ad ulteriori analisi, come quella di una Filosofia della natura e della vita.29
Quali incertezze sono da affrontare ? Morin presenta un elenco : Incertezza della
conoscenza: <La conoscenza è dunque proprio un'avventura incerta, che comporta in se stessa e
permanentemente il rischio di illusione e di errore>. Ma per Morin, correttamente, questo è
positivo, è come un disossidante; ci si può rendere conto dell'errore, in quanto rimane la
capacità di verità, per correggerlo: l'evidenza della conoscenza ordinaria, con la presenza in essa
inscritta dei Principi fondamentali (non- contraddizione.... ), permettono il rendersi conto ed il
superamento degli errori.
Più difficile accogliere, nella stessa p. 87, l'insinuazione di Morin:"È nelle certezze
dottrinali, dogmatiche ed intolleranti che si annidano le peggiori illusioni; al contrario la
coscienza del carattere incerto dell'atto cognitivo costituisce un'opportunità di giungere ad una
conoscenza pertinente " .
Accostiamo a questa insinuazione una citazione da p. 103 : "Inoltre ricordiamo che
l'essere posseduti da una idea, da una fede che dà la convinzione assoluta della verità, annienta
ogni possibilità di comprensione di un'altra idea, di un'altra fede, di un'altra persona".
Prima di entrare in dialogo con Morin, voglio citare la FR al n 92: "Credere nella
possibilità di conoscere una verità universalmente valida non è minimamente fonte di
intolleranza; al contrario, è condizione necessaria per un sincero e autentico dialogo tra le
persone. Solamente a questa condizione è possibile superare le divisioni e percorrere insieme il
cammino verso la verità tutta intera, seguendo quei sentieri che solo lo Spirito del Signore
risorto conosce".
La FR parla qui dei compiti attuali della teologia, al di là delle considerazioni
sociologiche di Morin.
Resta comunque assodato che la verità autentica, in tutti i campi, non divide, ne crea
29
Cfr C.HUBER, Critica del sapere, op. cit.
45
intolleranza: anzi crea comunione nella comune verità oggettiva, per ulteriori ricerche.
Questo richiede di evitare le razionalizzazioni e gli idealismi che alterano la realtà e le idee,
come abbiamo notato prima in Morin. Una concezione debole del pensiero crea incomprensione
(come ci si intende, se mancano gli stessi criteri di verità ?). Ove non si ha fiducia di potere
convergere nella comune verità oggettiva, prevarranno gli atteggiamenti autoritari, si imporrà il
prepotente.
Tutti noi disponiamo sempre dei primi principi, tesoro comune dell'umanità ( FR n 4), per la
ricerca della verità; essi ci indicano che la conoscenza e la corrispondente realtà ,non può essere
contraddittoria, deve possedere causa finale ed efficiente; né si escludono eventi fisici, che a
livello di scienza sperimentale-razionale, sono difficilmente, forse anche non penetrabili
dall'intelligenza umana.
Morin a p. 89 parla della limitazione della conoscenza matematica, come indicato dai
teoremi di Gödel: la non contraddittorietà di un sistema dedotto in base ad assiomi scelti, non
può essere dimostrata dal sistema stesso, ma solo uscendo dal sistema; in definitiva ritornando
all'evidenza dell'esperienza, misura della realtà fisica.30
Morin parla anche di incertezza del reale: <La nostra realtà non è altro che la nostra idea
della realtà... Questo ci mostra che bisogna saper interpretare la realtà prima di riconoscere cosa
è il realismo>. Anche qui è opportuno riandare a quanto osservato nella Filosofia della
conoscenza.
Il contatto con la realtà è il primo dato della conoscenza : la conoscenza umana ha
bisogno di conoscere qualcosa di esterno all'uomo per potersi attivare; l'orizzonte dell'essere
abbraccia tutto, anche se a livelli diversi di densità e luminosità, soggetto conoscente e realtà
conosciuta.
Il dubbio cartesiano che parte dalla certezza della conoscenza della res cogitans, è
artificioso, in difficoltà nel lanciare ponti conoscitivi sulla res extensa. Morin, molto acuto nel
descrivere l'insufficienza del paradigma disgiuntivo di Cartesio, non percepisce del tutto questa
disgiunzione fondamentale: ricercare certezza nella sola interiorità soggettiva, rinunciando al
contatto primario, globale con la realtà, con l'essere.
Se il contatto col reale non è immediato, attraverso idee che ci portano
intenzionalmente, quindi direttamente a conoscere la realtà, anche gli anelli del pensiero
complesso, le relazioni interattive e retroattive, rotatorie, rischiano di restare come sospese a
Cfr. dispense
op.cit.p.149.
30
di
Filosofia
della
natura-cosmologia,
46
mezz'aria: qual'è il loro rapporto con la realtà?.31
In ogni procedimento scientifico rigoroso, si parte sempre dalla conoscenza oggettiva
della realtà, cogliendo in essa questioni, problemi, da risolvere con metodo appropiato, che è
sempre una applicazione del principio di non contraddizione, per conoscere meglio la stesa
realtà.
I circoli ermeneutici si danno, ma sempre in contatto con la realtà conosciuta, affinche sia
meglio conosciuta.
Anche la FR parla al n.73 di circolarità:."Per la teologia, punto di partenza e fonte
originaria dovrà essere sempre la parola di Dio rivelata nella storia, mentre obbiettivo finale
non potrà che essere l'intelligenza di essa via via approfondita nel susseguirsi delle
generazioni.
Poiché d'altra parte, la parola di Dio è Verità (cfr. Gv 17,17), alla sua miglior
comprensione non può non giovare la ricerca umana della verità, ossia il filosofare, sviluppato
nel rispetto delle leggi che gli sono proprie. Non si tratta semplicemente di utilizzare, nel
discorso teologico, l'uno o l'altro concetto o frammento di impianto filosofico; decisivo è che la
ragione del credente eserciti le sue capacità di riflessione alla ricerca del vero all'interno di un
movimento che, partendo dalla parola di Dio, si sforza di raggiungere una migliore
comprensione di essa."32
Le incertezze circa l'azione (p 88s) toccano questioni di etica: l'interazione dell'anello
fini---mezzi, non può accettare nè a livello di fini, nè a livello di mezzi, il male morale, tanto
meno sostituire ai fini umani, dell'accoglienza della persona umana, i mezzi tecnici,
strumentali.....
Qui ci avviciniamo al contenuto dei due capitoli conclusivi, che toccano più
direttamente il bene morale, della comprensione nella verità, e dell'azione e comunione nel
bene.
IV, 6. Insegnare la comprensione.
E' triste che un'umanità così interconnessa (internet, viaggi, stampa....)sia l'umanità delle più
tragiche incomprensioni, le vere barbarie di aggressività che hanno segnato l'uscita dal XX sec.
Cfr S.L. JAKI, Second general
emergence of complexity, op. cit.,p.431
31
commentary,
in
The
Cfr.COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE, Interpretazione
dei dogmi, in Civiltà Cattolica, 1990, II, 145-173, circoli
ermeneutici 149.
32
47
E aggiungiamo: che segnano l'alba del nuovo millennio.
Non basta quindi l'informazione, neppure la vicinanza fisica, per creare comprensione.
Le analisi del sociologo si sviluppano con ampiezza: c'è la comprensione intellettuale,
del testo, contesto, le parti e il tutto, del molteplice e uno; deve essere completata con la
comprensione umana, da soggetto a soggetto, con apertura, simpatia, generosità...
Morin passa in rassegna gli ostacoli esterni alla comprensione intellettuale o oggettiva: il
malinteso nella catena dell'informazione, i concetti <camaleonti>, come quello di cultura, dai
molti volti. Per cui è ancor più difficile la comprensione tra le culture, nelle sue espressioni
rituali, consuetudinarie, morali.
"Vi è spesso l'impossibilità, all'interno di una visione del mondo, di comprendere le idee
o gli argomenti di un'altra visione del mondo, come del resto all'interno di una filosofia vi è
l'impossibilità di comprendere un'altra filosofia.
Vi è infine e soprattutto l'impossibilità di una comprensione tra una struttura mentale e
un'altra" (p 100). Non si tratta, mi sembra , di impossibilità assolute, perché lo stesso Morin
cerca di insegnare la comprensione, come sapere, capacità realizzabile. Ragiona sempre come
sociologo, indicando i condizionamenti da superare, particolarmente quelli che situano
l'individuo, il gruppo sociale <al centro del mondo, considerando come secondario,
insignificante o ostile tutto ciò che è straniero o lontano>.
Descrive bene l'egocentrismo, che porta ad intendere in senso peggiorativo parole o gli
atti altrui, cogliere solo ciò che è loro sfavorevole.
Fa analisi pertinenti:" Di fatto, l'incomprensione di sè è una fonte molto importante
dell'incomprensione nei confronti degli altri. Si mascherano a se stessi le proprie carenze e
debolezze, il che rende impietosi nei confronti delle carenze e debolezze altrui"(p 101). Morin
vi oppone l'introspezione (p 105): "E' necessaria la pratica mentale dell'autoesame permanente
di sè, perché la comprensione delle nostre proprie debolezze o mancanze è la via per la
comprensione di quelle altrui. Se scopriamo che siamo tutti esseri fallibili, fragili, insufficienti,
carenzati, allora possiamo scoprire di avere tutti un reciproco bisogno di comprensione.
L'autoesame critico ci permette una relativa decentrazione rispetto a noi stessi, ci
permette dunque di riconoscere e giudicare il nostro egocentrismo. Ci permette di non elevarci a
giudici di tutte le cose".
Dice ancora cose molto belle, di sapore evangelico: " La comprensione non scusa né
accusa: ci richiede di evitare la condanna perentoria, irrimediabile, come se noi stessi non
avessimo mai conosciuto il cedimento, né mai commesso errori" (p.104).
Morin può così delineare l'etica della comprensione, che richiede di <comprendere
48
l'incomprensione>. Come ? Con l'introspezione, la conoscenza dei nostri guai interiori, che
appellano a non calcare la mano ed il giudizio circa gli altri, ancor più, citando Hegel, con il
distinguere il peccato dal peccatore.
Sono tutte osservazioni di stile <evangelico>; più difficile la collocazione sapienzale
dell'osservazione di pag. 103 , già citata nel foglio 59, che una <fede che dà la convinzione
assoluta della verità, annienta ogni possibilità di comprensione di un'altra idea, di un'altra fede,
di un'altra persona.>
Non pretendiamo che Morin sappia valutare la Verità che è Cristo: "Se rimanete fedeli
alla mia parola, sarete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi> (Gv
8,31). La FR dice <La verità che è Cristo, si impone come verità universale che regge, stimola e
fa crescere (cfr Ef 4,15) sia la teologia che la filosofia.>.
Bisognerebbe ritornare alla
Sapienza della Croce (n 23): <La ragione non può svuotare il mistero di amore che la croce
rappresenta, mentre la croce può dare alla ragione la risposta ultima che essa cerca......Il
rapporto fede e filosofia trova nella predicazione di Cristo crocifisso e risorto lo scoglio contro
il quale può naufragare, ma oltre il quale può sfociare nell'oceano sconfinato della
verità>(vedi foglio 7. 8; come pure il discorso dei fogli 8-15 sull'unità indivisa e articolata della
Verità, e i diversi tipi di Verità).
Sul discorso circa la tolleranza (p. 106 s), con interessanti osservazioni, possiamo
ricordare che la tolleranza non riguarda la verità oggettiva, anche se da precisare, ma piuttosto il
cammino dell'uomo nel riconoscimento della verità, che impegna le sue facoltà specialmente
spirituali: questo cammino può essere incoraggiato, educato (FR nn 31-33), mai violentato.
Sono i principi in base ai quali la Dignitatis humanae del Vaticano II fonda la libertà
religiosa da riconoscersi nella legislazione dello stato. La tolleranza non è mai indifferenza alla
verità; i primi principi sono poi costitutivi della mente e conoscenza umana, della stesa realtà
(FR n 4).
Morin non poteva insegnare la comprensione senza trattare di etica e cultura planetaria
(p 107).
La globalizzazione attuale, le relazioni culturali pongono la questione .<Come possono
comunicare le culture?> (p 108).
"La comprensione fra società suppone società democratiche aperte, il che significa che
il cammino della Comprensione fra culture, popoli e nazioni passa attraverso la
generalizzazione delle società democratiche aperte". Certamente la democrazia, quando
rispettosa della libertà religiosa e dei diritti umani, crea condizioni fondamentali in cui si possa
collaborare, da parte di tutti e con l'impegno di tutti, per il bene comune, cioè la promozione
49
della persona umana.
Morin ritiene che la cultura occidentale, con la sua <razionalità aperta ed autocritica nata
dalla cultura europea> ha la capacità di permettere <la comprensione e l'integrazione di ciò che
altre culture hanno sviluppato>.
Così aspetti correttivi all'efficienza e attivismo occidentali potranno venire dall'oriente
<che aspira alla pace interiore e alle relazione armoniosa col corpo>.
Queste note di saggezza sociologica sono completate, ad un livello teologico-filosofico,
da quanto abbiamo visto in FR nn 70-72, fogli 15-20. Ma anche nel sociologo si avverte
l'urgenza di <metastrutture di pensiero> per comprendere e correggere le cause
dell'incomprensione; altrove Morin parla di <metapunti di vista> che permettano la riflessività,
del bisogno di <trovare i metapunti di vista sulla noosfera e sulla nostra stessa mente>(p 32). Il
desiderio di filosofia, <che è per natura una riflessione su ogni problema umano>( p 40).
Quali sono questi metapunti, metastrutture ? Morin si rifugia ancora nei noti anelli
intereattivi del pensiero complesso :<la comprensione è nello stesso tempo mezzo e fine della
comunicazione umana>. Ma non si dà un metapunto che regge e norma una comunicazione che
si apre alla comprensione?
Ci si può comprendere senza una capacità di trovare e comunicare Vero-Bene, ed una Verità e
Bontà oggettivamente esistente e attirante?
La FR è tutta intessuta in questa prospettiva, che Morin intravede, per poi rinchiudersi
nei suoi anelli del pensiero complesso. Risulterà ancor più evidente nell'ultimo capitolo.
IV. 7 L'etica del genere umano.
"Un'etica propriamente umana, ossia un'antropo-etica, deve essere considerata come
un'etica dell'anello a tre termini
individuo
specie/
\società" (p 112)
Questa triade che già conosciamo esprime la concezione complessa del genere umano.<le
interazioni fra individui producono la società e questa retroagisce sugli individui. La cultura,in
senso generico, emerge da queste interazioni che la producono, ed essa stessa coproduce la
società e gli individui>(p 111)
<Così, individuo --- società --- specie, sono non soltanto inseparabili ma si coproducono
gli uni gli altri. Ciascuno di questi termini è nello stesso tempo mezzo e fine degli altri. Non si
può fare di uno solo di essi il fine supremo della triade: questa è in se stessa rotatoriamente il
proprio fine.>
50
Ove situare la nostra coscienza e la nostra mente propriamente umana ? Esse sono
l'emergenza dell'anello a tre termini. Morin parla anche di <realizzare l'umanità in noi stessi
nella nostra coscienza personale.> Abbiamo già visto che è disposto a considerare che <lo
sviluppo e la libera espressione degli individui-soggetti costituiscono il nostro progetto etico e
politico>, ma non si deve pensare che gli individui <costituiscono la finalità stessa della triade
individuo --società--specie> .
Infatti <La complessità umana non potrebbe essere compresa se dissociata da questi
elementi che la costituiscono: ogni sviluppo veramente umano significa sviluppo congiunto
delle autonomie individuali, delle partecipazioni comunitarie e del sentimento di appartenenza
alla specie umana > (p. 55s)33
L'antropo-etica è la consapevolezza, decisione cosciente ed illuminata-- di assumere
questa complessità umana, nella complessità del nostro essere,-- realizzare l'umanità in noi
stessi nella nostra coscienza personale -- assumere il destino umano nelle sue antinomie e nella
sua pienezza.
La situazione del nuovo millennio specifica alquanto questa decisione di rispettare e
promuovere la complessità umana:
effettuare la doppia guida del pianeta: obbedire alla vita, guidare la vita, realizzare l'unità
planetaria nella diversità, rispettare negli altri la differenza rispetto a sè e l'identità con sè, in
un'etica della solidarietà e della comprensione.(p. 112).
Svilupperà poi brevemente questa antropo-etica, dividendo la triade negli anelli
individuo--- società (cioè la democrazia), e individuo --- specie, cioè la cittadinanza terrestre.
Cosa può dirci a questo punto la FR ? Una risposta più specifica ci è fornita dalla
Veritatis splendor, che tratta dei fondamenti della morale, e la Sollecitudo rei socialis
,
per le questioni della società e della globalizzazione; carattere maggiormente storico presenta la
Centesimus annus.
Nella FR Giovanni Paolo II ci offre i criteri <ultimi> sulla persona e la sua recta ratio, la
conoscenza oggettiva del bene morale: pone così i fondamenti del suo molteplice insegnamento
morale-sociale.
Certo spicca il decisivo riferimento alla persona umana, spirito trascendente espresso in
un corpo, con i suoi intrinseci inserimenti societari-culturali, ora da considerare a livello
globale. Con questo si deve spezzare la rigida circolarità attiva e retroattiva della triade specie-Cfr
E.
MORIN,
Il
metodo,
ordine,
organizzazione, Feltrinelli ed., Milano 1983, 180s
33
disordine,
51
individuo-- società.
La Persona umana ha valore per sè, in quanto aperta costitutivamente all'assoluto di Dio,
da essa dipende il valore umano della società, sua intrinseca dimensione.
Ricordiamo anche che: "L'elemento primario e decisivo per il giudizio morale è l'oggetto
dell'atto umano, il quale decide sulla sua ordinabilità al bene e al fine ultimo, che è Dio.
Tale ordinabilità viene colta dalla ragione nell'essere stesso dell'uomo, considerato nella sua
verità integrale, dunque nelle sue inclinazioni naturali, nei suoi dinamismi e nelle sue finalità
che hanno sempre anche una dimensione spirituale: sono esattamente questi i contenuti della
legge naturale, e quindi il complesso ordinato <<dei beni per la persona>> che si pongono al
servizio del <<bene della persona>>, di quel bene che è essa stessa e la sua perfezione. Sono
questi i beni tutelati dai comandamenti, i quali, secondo S. Tommaso, contengono tutta la legge
naturale" (n 79 della Veritatis splendor).
Una fonte di moralità, dell'onestà dell'atto umano, è la natura umana del corpo,
l'importanza che acquista il corpo umano nelle questioni della legge naturale. Il valore del corpo
umano dipende dall'unità dell'essere umano, <la cui anima razionale è per sè et essentialiter la
forma del corpo. L'anima spirituale ed immortale è il principio di unità dell'essere umano, è ciò
per cui esso esiste come un tutto -<corpore et anima unus> - in quanto persona.> (n 48 Verit.
splendor).
L'anello individuo --- società, insegnare la democrazia
"Individuo e Società esistono reciprocamente. La democrazia consente la relazione ricca
e complessa individuo ---società, nella quale gli individui e la società possono schiudersi,
regolarsi, controllarsi gli uni con l'altra."(p 113).
Anche la democrazia è da vedersi nel paradigma della complessità, come insinua il
capitoletto di p 114, Democrazia e complessità.
Percorrendo queste pagine di Morin, sentiamo ancora l'urgenza di porre la persona
umana nel cuore di tutte le riflessioni; la libertà della persona, e delle strutture democratiche, è
all'intelligente servizio di quella Verità che è già iscritta nell'uomo creato secondo l'Immagine di
Dio, Persona, unità di anima e di corpo.
Si direbbe che Morin si muova nella prospettiva di vincoli sociali espressione di un
contratto sociale: una socialità realizzata dall'autolimitazione della sovranità del popolo
attraverso l'obbedienza alle leggi e il trasferimento di sovranità agli eletti.
Così anche l'ideale libertà ---uguaglianza-- fraternità <comporta una conflittualità creatrice tra
i tre termini inseparabili>.
La concezione filosofica della persona umana, anima spirituale espressa in un corpo così
52
reso umano, con la sua intrinseca socialità (ma secondo il principio di sussidiarietà. e di
solidarietà), persona umana capace di Verità e di Bene, perché orientata all'Assoluto del bene e
del vero, rappresenta il vero cuore di ogni concezione e dinamismo di vita democratica, prima e
al di là di ogni legittimo contrattualismo.
Questa concezione filosofica della persona, anche se non del tutto esplicitata, deve
essere nell'intelligenza del sociologo, è imprescindibile. Deve essere l'impegno di tutti gli
uomini illuminati e consapevoli del valore intangibile dell'uomo, sempre fine, mai semplice
mezzo; sono in ogni modo utili le osservazioni di Morin sulla vivacità delle idee che
caratterizza la vita democratica; in tale contesto si può portare avanti un discorso coerente sulla
intangibile dignità dell'uomo, in ogni fase della sua esistenza .
L'enciclica Evangelium vitae da sagge norme di comportamento democratico, anche
quando si tratta di votare leggi, o migliorare leggi già votate, dal contenuto non accettabile ,
come aborto, eutanasia.....( nn 68-77, specie n 74).
Porre nel cuore della vita sociale, come suo vero paradigma, il valore dellA PERSONA
UMANA, DELLA FAMIGLIA, LAVORO, EDUCAZIONE, ASSISTENZA, assicura anche la
difesa da quel degrado della democrazia giustamente temuto da Morin, degrado dovuto al
prevalere di questioni tecnico-quantitative, non più gestite nel contesto umano della persona e
delle sue esigenze sociali.(p 115-119).
L'anello individuo---specie:insegnare la cittadinanza terrestre.
Globalizzazione,
mondializzazione, consapevolezza che le società politiche più immediate devono con
responsabilità gestirsi nel tutto dell'umanità, della Terra-patria :
<l'Umanità ha cessato di essere una nozione solamente ideale, è divenuta una comunità
di destino, e solo la coscienza di questa comunità può condurla ad una comunità di vita;
l'Umanità è ormai soprattutto una nozione etica: è ciò che deve essere realizzato da tutti, e in
tutti e in ciascuno.> (p 121)
<Salvare l'umanità realizzandola> Come? Certo ancora si riferisce alla triade < società -individuo -- specie > potenziando in senso democratico la relazione individuo società,
potenziando il rapporto individuo-specie: qui riconosce che non si danno soluzioni a priori, non
abbiamo strade già tracciate: Così conclude:" <El camino se hace al andar> <la via si fa con
l'andare> (Antonio Machado).
Ma possiamo individuare le nostre finalità: perseguire l'ominizzazione
nell'umanizzazione in virtù dell'accesso alla cittadinanza terrestre in una comunità planetaria".
Si riecheggia qualcosa di Theilard de Chardin, quando ne Le phénomène humain parla
di comparsa dell'uomo (ominizzazione) che sarà esaltata quando l'intera noosfera, l'insieme dei
53
centri umani rimasti fedele alla legge dell'evoluzione, sarà sua volta riflessa su se stessa,
cosciente di se stessa; avverrà non solo un affiorare dello spirito, come nell'ominizzazione, ma
un emergere dello Spirito.
Ma per Teilhard tale fase finale, tale inter-relazione esaltante dei singoli centri riflessi tra
di loro nel tutto del loro insieme globale, non è possibile senza l'influsso di un centro distinto,
personale, del tutto trascendente, di suprema unità, cioè Omega, Cristo Signore.
Anche questo metodo descrittivo, fenomenologico, valorizzante al massimo categorie
biologiche evolutive, con una certa ambiguità sulla vera evoluzione umana, che può essere solo
di carattere morale-spirituale, anche in questa prospettiva al massimo naturalista-descrittiva, si
richiede infine l'influsso di un principio del tutto Trascendente, Omega.
Morin non arriva a tanto , si direbbe che è nella sua aspettativa, quando trattando di
incertezze, parla dell'inatteso (p 81), o quando il paradigma della complessità, diventa una sfida,
l'attesa dell'impossibile.34 Come dialoga la FR con queste prospettive ? Da anzitutto fiducia
all'uomo, alle sue capacità conoscitive e volitive, quando nel vertice del suo insegnamento dice:
(n 85)
"Voglio esprimere con forza la convinzione che l'uomo è capace di giungere a una
visone unitaria ed organica del sapere".
Anche le questioni della mondializzazione e globalizzazione sono ancora alla portata
dell'uomo, della sua capacità <di visione unitaria ed organica del sapere>.
Ribadisce anche la FR che il cosmo, l'umanità hanno un senso, che ci porta a Cristo
Signore( n 80) :"La convinzione fondamentale di questa <<filosofia>> racchiusa nella Bibbia
è che la vita umana e il mondo hanno un senso e sono diretti verso il loro compimento, che si
attua in Gesù Cristo.
Il mistero dell'Incarnazione resterà sempre il centro cui riferirsi per comprendere
l'enigma dell'esistenza umana, del mondo creato e di Dio stesso. In questo mistero le sfide per
la filosofia si fanno estreme, perché la ragione è chiamata a fare sua una logica che abbatte le
barriere in cui essa stessa rischia di rinchiudersi."
Ma già naturalmente, a prescindere da questo che è l'unico fine qualificante tutto il
cammino del cosmo e dell'umanità (omega è pure alfa), il cosmo e l'umanità hanno un senso, un
significato di verità (n 81): esso è iscritto nella capacità di Verità e Bene, cioè in definitiva di
Dio, in una prospettiva di norme morali comuni, già presenti nella coscienza dell'uomo.
E. MORIN, Introduzione al pensiero complesso, gli
strumenti per affrontare la sfida della complessità, Sperling &
Kupfer ed., Milano 1993, 102
34
54
Queste norme gli indicano il cammino, verso quella meta che la rivelazione ci offrirà in
Cristo Signore.
V.
Il pensiero complesso (realtà, uomo complesso) e la Teologia
Il dialogo prolungato tra FR e Morin ci avvisa che un lungo cammino deve essere
percorso affinché il pensiero complesso, che rispecchia un uomo ed una realtà complessa, possa
servire per l'intelligenza della fede.
Tanto più che non mi consta che in nessun luogo Morin si ponga l'interrogativo della
conciliabilità del suo cammino molto personale con l'evento di Cristo, la tradizione ed il
pensiero cristiano. Ma lo stesso suo vero nome di famiglia, Nahoum (Morin è pseudonimo ),
farebbe pensare ad un semita, anche se la sua vita è interamente in ambito francese.
Ma noi possiamo porci la domanda, entrare nel suo pensiero complesso, cogliere gli
agganci che risultano positivi per l'intelligenza dell'evento del Verbo incarnato, svilupparli,
purificarli nella prospettiva di utilizzo teologico, sapienziale.
V,1. Aspetti interessanti ( e problematici)
per la teologia.
Ci attira in primo luogo il programma, paradigma, di Morin: rispettare la complessità del
pensiero, della realtà e dell'uomo. Non volere mai disgiungere,semplificare, ridurre ciò che sta
in un contesto globale, complesso, tessuto insieme.
Con un metodo-paradigma che rispetti possibilmente tutta l'unità della complessità, la colga con
appropriate operazioni mentali, senza dispersioni laceranti.
Ci attira inoltre una caratteristica che sta a cuore al Morin nel proporre il paradigmasfida della complessità: non lo presenta come sistema chiuso, definitivo, totalizzante (come può
apparire la Fenomenologia dello Spirito di Hegel); desidera, Morin, che gli elementi della sua
complessità rimangano interattivi e retroattivi, rotatori, in attesa dell'inatteso, una sfida non
conclusa, desiderio dell'impossibile.35
Cfr MORIN E.,Introduzione al pensiero complesso, op.
cit., p. 102 :" Non pretendo di riuscire nella missione
impossibile. Cerco di dissodare un cammino nel quale sia
possibile che si realizzi una riorganizzazione e uno sviluppo
della coscienza. Viene un momento in cui qualcosa cambia, e
quello che era impossibile si rivela possibile. Anche la
stazione eretta pare impossibile ai quadrupedi[...] La mia idea
secondo cui siamo nella preistoria della mente umana è una idea
molto ottimistica. Ci apre al futuro, a condizione però che
35
55
Porta l'esempio della stazione eretta dei mammiferi superiori: chi mai avrebbe pensata a
questa possibilità ? Eppure si è realizzata nella storia evolutiva che conduce all'uomo, come
condizione necessaria di ominizzazione.
Morin resta eretto, guarda avanti, fiducioso di emergenze positive, anche quando pone
insieme, fa relazionare, rende interattivi anche elementi, realtà che nella sua prospettiva ritiene
contraddittori36, come ordine e disordine, nella prospettiva dell'emergenza dell'organizzazione.
Resta eretto, capace di panoramica storica, con metapunti di vista panoramici che
permettono osservazioni non disperse, unificanti, pur in un procedere, all'indefinito, o
all'infinito.
Cerca così di esercitare la sua professione di sociologo, colto, attento ai
dinamismi della storia, cosmica, biologica, umana, ai dinamismi della scienza e della società;
desideroso di muoversi in un contesto di cui intende percepire una complessità non
dispersiva,anche se rassegnata al non concluso, con un procedere che sia fonte di sapere,
valorizzabile per l'educazione del futuro.
l'umanità abbia un futuro davanti a sè".
Id., I sette saperi, op. cit. p. 39 : "L'INATTESO [...] il
nuovo spunta continuamente. non possiamo mai prevedere il modo
in cui si presenterà, ma dobbiamo aspettarci la sua venuta,
cioè
attenderci
l'inatteso
(cfr.
Il
capitolo
quinto,
<Affrontare l'incertezze>). È una volta giunto l'inatteso, si
dovrà essere capaci di rivedere le nostre teorie e idee più che
fare entrare con il forcipe il fatto nuovo nella teoria
incapace di accoglierlo veramente"
Cfr. Il pensiero complesso, cit., p. 97 "Mentre alcuni
vedono in me un mercante di sintesi integrative, altri vedono
in me una sorta di apologeta del disordine, uno che in questo
senso, si lascia sommergere dal disordine e che alla fine
dissolve ogni obiettività nella soggettività.
Effettivamente
l'insieme
sarebbe
vero
a
patto
di
marginalizzare e di associare, se possibile, il mio gusto della
sintesi e il mio gusto del disordine, insomma se si concepisce
ciò che in me è una tensione tragica. Dico tragica, non per
pormi come un personaggio tragico, ma per porre la tragedia del
pensiero condannato ad affrontare delle contraddizioni senza
mai poterle liquidare. Inoltre, per me, questo stesso
sentimento tragico va di pari passo con la ricerca di un metalivello in cui si possa superare la contraddizione senza
negarla. Ma il meta-livello non è quello della sintesi
compiuta; il meta-livello comporta anch'esso la propria
breccia, le sue incertezze e i suoi problemi. Noi siamo
trascinati
nell'avventura
indefinita
o
infinita
della
conoscenza.".
36
56
Non mancano le tensioni verso metapunti trascendenti, capaci di vere prospettive
unificanti la complessità; la tendenza di Morin è ancora immanentista, le aperture verso la
trascendenza vengono come incasellate negli anelli, triadi interattive, rotatorie, col rischio di
dimenticanza, di rassegnazione al contraddittorio.
Questo procedere mi sembra molto dipendente dalla sua specializzazione di sociologo,
attento al come, descrittivo degli eventi, con una certa allergia alle certezze fondamentali37, i
fondamenti meta-fisici, che lascia alla libera opzione.
Anche quando parla di arcipelaghi di certezze in oceani di incertezze, le valutazioni
sono ancora di scienza sperimentale: le certezze ormai arcipelago in un oceano di incertezze,
sono le verità permanenti della scienza classica, deterministica, ormai conscia dei suoi limiti, di
non poter spiegare il tutto, di essere come circondata da un oceano di incertezze, disordine.
Incertezze ,disordine sempre relative alla certezze della macrofisica, chimica e biologia,
che un tempo il meccanicismo illuminista pretendeva capace di risolvere ogni questione, del
passato, presente e futuro. Ma ora siamo nel disincanto della post-modernità, che Morin
accoglie, ma senza disperazione di ritrovare la via di una intelligenza generale, orientante ancora
comprensione ed etica del genere umano.
Come ? col suo pensiero complesso, fare inter-reagire ciò che sembra contraddittorio,
relazionarlo negli anelli rotatori. Un post-moderno che cerca la via dell'unificazione possibile,
senza riabilitare procedimenti di scienza fisica e metafisica (determinismo meccanicista, opzioni
filosofiche, miti) indesiderati.
Un autore che sfugge a rigorose etichette di scuola, ma che sembra corrispondere ad una
mentalità, desideri, diffusi, tanto che l'UNESCO gli ha commissionato un progetto per
l'educazione del futuro, i suoi Sette saperi.
Chi è impegnato nel fare teologia cattolica, è bene vi presti attenzione, per più motivi :
Anzitutto perché il pensiero complesso si presenta come paradigma di sapere unificante,
aperto anche all'inatteso. Quale inatteso, impossibile-possibile potremmo desiderare avvenga
Cfr Il pensiero complesso, cit. p. 99s : " Su che cosa mi
fondo ? sull'assenza di fondamenti, ovvero sulla coscienza
della distruzione dei fondamenti della certezza. Questa
distruzione
dei
fondamenti,
propria
del
nostro
secolo,
raggiunge la stessa conoscenza scientifica. In che cosa credo ?
Credo nel tentativo di un pensiero che sia il meno mutilante
possibile e il più razionale possibile. Ciò che mi interessa è
rispettare le esigenze di indagine e verifica proprie della
conoscenza scientifica e le esigenze di riflessione proposte
alla conoscenza filosofica"
37
57
nel pensiero di Morin, inatteso che ne permetta una coerente utilizzazione teologica?
V,2. La Persona umana, capace di Verità e Bontà, fine non strumentalizzabile, in
relazione alla società e specie.
È il nuovo, inatteso per Morin, che gradiremo comparisse anzitutto nella sua triade più
impegnativa, che presiede alla comprensione ed etica del genere umano :
individuo
Società/
\specie
Gradiremo che l'inatteso si manifesti nella valutazione dell'individuo umano: che
valorizzi la sua statura eretta, un tempo ritenuta impossibile a realizzarsi nella storia evolutiva
ma che di fatto si è realizzata; una stazione eretta, con il coerente sviluppo della neo-corteccia,
della mente, capacità di pensiero astratto, sciolto dalle sue condizioni sensitive di esercizio,
pensiero spirituale che Morin esercita, senza che gli sia ancora pienamente manifesto.
La riflessione sul soggetto risulta ampia in Morin, ricca di osservazioni interessanti,
come la distinzione tra l'Io ed il me, l'apertura all'altro, egocentrismo e altruismo.38
Questa riflessività, anche se ancora nei limiti di una sociologia immanentistica, non è lei
stessa a dichiarare la posizione pienamente eretta dell'uomo, con una mente non più
imprigionata nel basso delle sensazioni, una mente pur essa eretta, capace di verità, in un
orizzonte di attendibile comunicatività ?.
Abbiamo già fatto notare come lo stesso titolo del rapporto di Morin sull'educazione del
futuro, I sette saperi, proprio nell'utilizzo abbondante del termine sapere, indica, pur nell'oceano
delle incertezze da affrontare, una capacità fondamentale di verità oggettiva comunicabile, di
pensiero che coglie la realtà, cioè autentico sapere. Un sapere capace di reggere la comprensione
e l'etica del genere umano.
Un uomo capace di verità, anche se deve riconoscere, con questa sua inammissibile,
costitutiva facoltà, tante cecità, illusioni, razionalizzazioni, incertezze; le riconosce, e
programma come affrontarle, superarle, per un progetto di umanizzazione globale. Capacità di
verità con segni di assoluto, in definitiva con una fondazione di assoluto, anche se il sociologo
storico evolutivo pensa erroneamente di poterne fare a meno.
Questa apertura, fondazione di assoluto assicura all'uomo quella statura eretta, nel corpo
e nella mente, quell'impossibile divenuto possibile, inatteso già realizzato, e non solo più
nell'aspettativa del sociologo, storico delle scienze e dell'epistemologia.
MORIN E., Testa ben fatta. riforma dell'insegnamento e
riforma del pensiero, R. Cortina ed., Milano 200, Appendice 2
La nozione di soggetto, p. 125-138
38
58
Questa stazione veramente eretta dell'uomo è già operante, anche se ancora in modo
incompleto, quando descrivendo la triade società--individuo--specie, l'attenzione di <valore>
già si concentra sull'individuo39. Compare timidamente anche la categoria coscienza nella
persona.40
La piena consapevolezza della stazione pienamente eretta già realizzata nell'uomo, che
ne fa costitutivamente una persona umana, capace di assoluto di verità e di bene, di
comprensione e di etica, dà così al pensiero complesso di Morin quella chiave di risoluzione, di
cui erroneamente pensa ancora di essere alla ricerca.
Ma la saggezza del Morin, il cui sapere è anzitutto una umile riconoscimento di errori,
meglio illusioni, non avrebbe certo difficoltà a riconoscerlo. Tanto più che si tratta di sapere già
operante ovunque nella sua colta riflessione sociologica.
Vorrei solo rapidamente indicare come nella consapevolezza di tale sapere
fondamentale, la <concezione della persona umana, come soggetto libero e intelligente e della
sua capacità di conoscere Dio, il vero ed il bene> (FR n 4), le tensioni, la facile ammissione di
procedimenti contraddittori, propri del pensiero complesso, troverebbero correzione, piene
soluzioni.
Si potrebbe così meglio penetrare l'unità della complessità uomo, che porta in sè l'eredità
cosmica, terrestre, biologica; il paleoencefalo, sede delle pulsioni, il mesencefalo, organo
dell'affettività, la corteccia, organo della memoria, diventano umane (neocorteccia), al servizio
di una verità-bontà, ricercata, trovata anche attraverso sentimenti e pulsioni, ma ormai liberata
dal loro carcere esclusivo, in sè comunicabile in un orizzonte di assoluto, in cui si possono
ritrovare ed intendere tutti gli uomini.
Per sfuggire all'immanenza del senso e delle pulsioni, pur servendosi di esse,l'uomo è
dotata di un'anima autenticamente spirituale, come indicano le sue attività proprie, di un sapere
autentico, nell'orizzonte dell'assoluto del vero-bene.
V,3. La storia dei rapporti personali tra Dio e l'uomo,
spiega le difficoltà del sociologo nel fondare i Saperi umani
Questa stazione eretta, per la sua costitutiva apertura all'Assoluto personale, introduce lo
storico-sociologo ad una storia che al di là delle relazioni società--individuo-- specie, si sviluppa
nell'accoglienza o diffidenza della relazione ancor più fondamentale, con l'Assoluto personale,
una storia salvifica.
39
Cfr I sette saperi, cit. p. 55.
40
Cfr I sette saperi cit., p. 112.
59
Qui anche per il sociologo si aprono nuove prospettive nel valutare l'uomo, i suoi saperi.
Individuare la causa degli errori, accecamenti ,illusioni ampiamente denunciati, anche del
desiderio dell'inatteso, dell'impossibile che si spera diventi possibile, che li accompagna.
Non è proprio questa diffidenza verso l'Assoluto personale, che corrode il pensiero e la vita
dell'uomo sin dai suoi inizi, a rendere così difficile l'esercizio di un sapere, capacità di verità,
inammissibile, ma poco lucido, deviato nel suo utilizzo ( FR nn. 22. 43. 51. 71. 82. ) ?
Non sono esattamente queste debolezze ataviche dell'uomo che oscurano la percezione
del fondamento assoluto, ad indurre il sociologo, più attento al come, allo sviluppo della storia,
a limitarsi ad un resoconto descrittivo, registrazione di difficoltà, senza mai, o quasi mai
raggiungere la bontà e capacità originaria dell'uomo, che pure in qualche modo ancora
percepisce? Ci rendiamo conto come l'anello fondamentale:
individuo
Società/
\specie
sia stato in questa nostra rivisitazione del pensiero
complesso, profondamente trasformato: l'individuo umano è chiaramente persona,
costitutivamente aperto all'Assoluto personale del vero e del bene, e trova in esso il fondamento
delle sue capacità inammissibili (nonostante le difficoltà storiche-peccaminose) del suo sapere.
Ha una dimensione intrinsecamente sociale, vive una solidarietà al livello globale, di
specie, ma non è chiuso in queste dimensioni: tutte le dimensioni sociali sono qualificate
dall'essere l'uomo persona: la sua apertura all'Assoluto personale qualifica anche la sua
intrinseca, solidale vita e storia sociale.
Certo, se l'individuo, per la diffidenza verso l'Assoluto, si chiude in se stesso,
l'orizzonte società-specie potrà illusoriamente risultare definitivo, da cui l'interrelazione
rotatoria, interattiva, retroattiva, il senso debole della persona umana, ridotto a precario
individuo.
V,4. La conoscenza umana comune, con gli intrinseci segni di assoluto, dà fondamento alla
triade ordine-disordine-organizzazione
Recuperato il significato di persona umana, e quindi il senso umano delle interrelazioni
società-specie, la triade fondamentale per impostare comprensione e vita etica, si può recuperare
anche il significato dell'altro anello, triade fondamentale, in cui Morin racchiude l'intelligibilità
complessa dell'evoluzione astrofisica e biologica:
ordine
disordine
\organizzazione/
emergenza
Certo con Morin avvertiamo la consistenza propria, sistemica, organizzata, di atomi,
molecole, viventi, che emergono nella storia del cosmo, della terra e della vita come centri di
ordine, di cui la scienza fisica,chimica, biologica ci offrono una scienza con certezze. Si può,in
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questa prospettiva, parlare anche dell'universo come un oceano di disordine, se paragonato
all'ordine meccanico e biologica delle organizzazioni sistemiche prima ricordate.
Un disordine relativo, perché anche l'universo della microfisica, nonostante
l'indeterminismo, presenta un suo ordine rigoroso, misurabile dei suoi enti scientifici: massa e
carica elettrica dell'elettrone e altre particelle... Certo si danno anche realtà fisiche, turbolenze
dei liquidi, frattali che risultano difficilmente penetrabili e formulabili dall'intelligenza fisica
dell'uomo.
Queste emergenze sistemiche, organizzazioni crescenti, emergenti sino alla vita e infine
all'uomo, forniscono un senso dell'universo, che nell'uomo, per la sua apertura costitutiva
all'Assoluto (che richiede la creazione del principio spirituale, l'anima) diviene conoscibile; e
questo non solo nella descrizione del sociologo-storico, ma nell'orizzonte dell'assoluto stesso di
verità e di bene, la riflessione metafisica. Infatti già la conoscenza comune, anche delle realtà
più contingenti, porta in se traccia, segni di assoluto, come ci avvisa il principio fondamentale di
non contraddizione.
L'uomo può fare storia, anche dello stesso universo secondo l'attuale stato della scienza
fisica, perché ha questa trascendenza costitutiva di capacità, apertura all'Assoluto.
Tutti gli anelli del pensiero complesso, relazioni interattive, retroattive, rotatorie, devono
radicarsi in questa conoscenza propria, caratteristica, quotidiana dell'uomo, ogni uomo.
La riflessione filosofica mette in risalto la sua dimensione,
capacità di Assoluto, che lo segna sempre, anche nelle considerazioni più contingenti ed
erronee; mentre, per la stessa apertura all'Assoluto,l'uomo con la scienza sperimentale razionale
può elaborare scienza rigorosa, ma limitata allo aspetto estensivo, e alle qualità a lui immanenti,
del mondo.
Senza questo radicamento nell'esistente, già dato nell'approccio quotidiano, anche gli
anelli del pensiero complesso di Morin risultano come sospesi in aria, non fondati, rassegnati
alla contraddizione.
L'uomo complesso di Morin, se non coglie la sua costitutiva apertura al fondamento
assoluto, non risolve il problema della sua complessità, perché non ha in se un principio di vera
unità, che lo umanizza e può, anche se con difficoltà, armonizzare impressioni, pulsioni,
renderle umane. La trascendenza umana, nell'anello società--individuo--specie (mente - cerebrocultura), viene facilmente dispersa nell'anonimato della storia tragica della vita.
Anche il suo pensiero risulta di una complessità non unificata, né unificabile, in
continua ricerca dell'inatteso.
Il rapporto Uno-molteplice, in cui si riconosce la formula più espressiva e sintetica di
tutti gli aspetti della complessità,(nell'uomo, nel pensiero, nella realtà), diviene intelligibile, non
contraddittoria, se si dà una Unità pienezza, assoluta, non dipendente ne dispersa nella
molteplicità, che ne spiega l'esistenza come vera, qualificata molteplicità.
Qui si fonda la preziosità unica, fondamentale della creazione, verità accessibile alla
ragione, anche se di fatto nella sua integrità frutto della rivelazione, del Dialogo del Dio
dell'Alleanza, che si manifesta progressivamente l'unico Signore universale di tutto e di tutti.
Il molteplice creato, la sua storia, rimane un tutto, perché radicalmente dipendente,
partecipe dell'Uno assoluto creatore; le relazioni si affermano come vere relazioni, così pure le
opposizioni, senza indulgere a vere e inammissibili contraddizioni, che né esistono, né sono
pensabili.
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Il pensiero complesso di Morin ci ha indotto a queste considerazioni filosofiche, in cui
la sua complessità emerge nella sua verità, si riorganizza, scopre nell'uomo una <testa ben
fatta>, capace di porre ordine in sè e nella realtà conosciuta, non disperdersi.
V,5. Le relazioni triadiche rotatorie del pensiero complesso, residuo post-moderno,
subconscio della SS Trinità ?
Il pensiero complesso di Morin presenta un altro richiamo alla teologia: abbiamo visto
che esso procede per anelli-triadi, in cui cerca di relazionare ciò che si presenta lacerato, in un
desiderio di intelligibilità sperata, attesa al limite dell'impossibile. Si direbbe che questo
inatteso-atteso, impossibile-possibile dovrà avere forma triadica, trinitaria.
Il pensiero complesso acquista senso e significato nell'apertura della persona umana
all'Assoluto personale del vero e del bene; qui gli anelli triadici ritrovano la loro unificante, non
contraddittoria verità.
Ma l'Assoluto che così costituisce l'uomo persona, si manifesterà nella storia salvifica
come Padre del Signore nostro Gesù Cristo nello Spirito Santo. L'Unità assoluta si manifesta,
nella sua vita intima, ineffabile, articolata in relazioni sussistenti, tripersonali, Padre, Figlio,
Spirito Santo.
Questa Unità tripersonale pone nell'esistenza, crea il cosmo per l'uomo, per donarsi
personalmente all'uomo, renderlo per pura grazia, partecipe della verità della sua Immagina
filiale incarnata, nell'amore Spirito Santo.
Il Figlio incarnato, vero Dio e vero uomo, nello Spirito Santo ci fa conoscere e ci
partecipa l'amore del Padre; ci permette di ricuperare, con un retto e fondamentale esercizio
della ragione, il significato ed il senso della storia dell'universo e della vita, tutta orientata e poi
qualificata dalla sua Incarnazione redentrice.
Qui sta la radicale differenza tra il modo di procedere della FR e del pensiero complesso
di Morin: il Vangelo aiuta l'uomo e recuperare, significato, senso e unità della sua vita e
pensiero, del senso e significato del cosmo e della storia.
Ma come si situa Morin, il suo pensiero complesso nei riguardi del Vangelo? Nessuna
accoglienza considerata, quasi lo si vuole ignorare come componente, fermento del pensiero
umano.
Ma ne è del tutto assente ? Non si dà qualche cripto-influsso? Penso di si, e lo
paragonerei al sistema di Plotino, il suo emanazionismo neo-platonico, del molteplice
necessariamente emanato dall'Uno. Costituisce come l'ultimo sussulto del grande pensiero
classico, anche polemico col cristianesimo, ma in cui si può intravedere almeno qualche
risonanza, come la triade fondamentale, Uno, logos,anima.
Una sintesi intellettualistica che intendeva essere ancora di salvezza nella imminente
dissoluzione dell'impero greco romano, evitando il ricorso al perseguitato ma sempre più
attraente, fresco di energie spirituali e civili, cristianesimo. Nel pensiero complesso di Morin
potremmo intravedere certe risonanze post-cristiane, che appellano all'accoglienza di quella
matrice di pensiero da cui, in modo inconfessato, ultimamente provengono, ritrovarvi i
fondamenti qualificanti e purificanti i saperi necessari per costruire un futuro umano, di
speranza.
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63
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Altra bibliografia in Arch. hist. pontificiae, 2000,
p. 432-434.
64
INDICE
LA <FIDES ET RATIO> DISCORSO SUL METODO PER I NUOVI DIALOGHI ............... 1
I. Frutti di sapienza, di principi, maturati dalla Chiesa nel dialogo con le filosofie, culture e
religioni. ..................................................................................................................................... 4
I,1. La profonda ed inscindibile unità tra la conoscenza della ragione e quella della fede:
FR n 16. .................................................................................................................................. 4
I,2 :Unità indivisa ed articolata della Verità. ......................................................................... 6
I,3 : I diversi tipi di verità. ..................................................................................................... 8
I,4. Il dialogo con le culture : FR nn 70-72 .......................................................................... 11
II. Rapporti sul sapere nel post-moderno, saperi necessari all'educazione del futuro: un
contesto della Fides et Ratio. ................................................................................................... 15
III. Contesto di errori che insidiano l'annuncio e la comprensione del Vangelo nella cultura
contemporanea. ........................................................................................................................ 18
IV. Il <sapere> de I sette saperi necessari all'educazione del futuro, in dialogo col <sapere>
della Fides et Ratio................................................................................................................... 24
IV,I. Cecità della conoscenza: l'errore e l'illusione ............................................................. 26
IV,2. I principi di una conoscenza pertinente ...................................................................... 32
IV.3. Insegnare la condizione umana. .................................................................................. 34
IV,4.Insegnare l'identità terrestre. ........................................................................................ 40
IV, 5 Affrontare le incertezze.............................................................................................. 42
IV, 6. Insegnare la comprensione. ........................................................................................ 46
IV. 7 L'etica del genere umano............................................................................................. 49
V.
Il pensiero complesso (realtà, uomo complesso) e la Teologia ................................... 54
INDICE .................................................................................................................................... 64