La scuola insegni a vivere

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Morin: «La scuola insegni a vivere»
“Avvenire” anticipa alcuni stralci delle conversazioni del filosofo, sociologo e scrittore Edgar Morin raccolte
nel volume “Morin. Il mio pensiero”, in uscita per Medusa (pagine 70, euro 9,00). Il libro, curato da
Cristiano Casalini, è frutto di un progetto condotto in un liceo francese nel 2001.
L’autore risponde agli studenti e individua delle piste didattiche anche per i docenti che devono affrontare
temi talvolta ardui della società contemporanea, come quelli della complessità e della filosofia della scienza.
«Conoscere la natura umana è essenziale…… Non si possono scindere materie scientifiche e materie
umanistiche: anche Einstein amava suonare il violino»
DI EDGAR MORIN
Le nuove tecnologie, il computer, la video-conferenza ecc... sono divenute indispensabili. Intendiamoci, esse
non possono rimpiazzare un inse-gnante fisicamente presente. Ha detto Platone: «Per insegnare, occorre
eros». Eros è una parola greca che significa piacere, amore, passione. Per comunicare, non serve a nulla
dispensare il sapere a fette, ma bisogna amare ciò che si fa e le persone che sono dinanzi a noi. L’insegnante
è colui che, attraverso ciò che professa, può aiutarvi a scoprire le vostre proprie verità. Se la letteratura ha
una grande importanza per me, è perché essa mi racconta esperienze di vita. Perfino le tanto disprezzate serie
televisive parlano d’amore, gelosia, ambizione, morte, tristezza, in breve dei sentimenti qui molto stereotipati
ma tratti dalla vita quotidiana. A mio avviso, l’insegnante è un mediatore che aiuta ciascuno a comprendersi,
a conoscersi. E la letteratura gioca in questo un grande ruolo. Io sono di quelli che hanno riconosciuto le loro
proprie verità attraverso grandi romanzi. Dostoevskij mi ha insegnato a comprendere i miei sentimenti
riguardo la vita.
Io non credo che occorra scartare certe discipline, col pretesto che esse hanno un pubblico di nicchia. Le
belle lettere non sono un lusso! Se tante persone leggono sulla metropolitana, è perché si immergono in un
universo di cui hanno bisogno. Perché amiamo il cinema? Perché ci permette di vivere meglio i nostri
sentimenti d’amore, di partecipazione, di simpatia ecc... Il cinema meriterebbe d’altronde di trovare un posto
più importante nella cultura; è un’arte fondamentale... In realtà, così come sussistono ora, le discipline
devono essere integrate in grandi insiemi. Cosa sono la fisica, la chimica, se non il mondo di cui siamo fatti,
posto che noi abbiamo delle cellule biologiche composte da interazioni fisico-chimiche? La grande scoperta
degli anni Cinquanta è che non c’è una sostanza vivente diversa dalla sostanza materiale nor­male. Noi
siamo fatti di elementi chimici che esistono nella natura, ma che sono organizzati in modo ben più complesso
e nuovo. La fisica come la chimica sono noi stessi! È il mondo nel quale noi siamo. I l compito della scuola è
aiutare a imparare a vivere. Certi insegnamenti non fanno parte delle discipline, ma permettono di integrarle.
Che cos’è, essere uma­ni? Oggi, in mancanza di pedagogia, questa domanda rimane com-pletamente scollata
dal resto. Essere umani è senz’altro essere un individuo, ma un individuo che fa parte di una società e di cui
anche la società fa parte. Da quando si nasce, ci viene inculcato infatti il linguaggio, la cultura, ciò che si
deve fare, non fare ecc... In effetti, il nostro essere è costituito da tre parti in una: membro di una so-cietà,
membro di una specie e individuo. Secondo me, conoscere la nostra natura umana è dunque essenziale. E
questo passa per forza attraverso l’insegnamento dell’in­certezza. Ci si rende conto oggi che ci sono
fenomeni che non si possono controllare, così nelle discipline come nella microfisica. Si è certi della morte,
ma non si sa quando arriverà. Ci si sposa, si pensa che si sarà felici, ma potrebbe essere un matrimonio
orribile. Si cerca il lavoro senza essere sicuri di trovarlo... L’incertezza fa parte del destino umano, ma
nessuno è preparato per affrontarla. A mio avviso, la riforma dell’insegnamento deve anzitutto andare in
questa direzione.
Effettivamente, essere specialista di tutto è essere specialista di niente. Raymond Aron, mi sembra, diceva
che il proprio del lavoro di uno specialista è sapere tutto su un dominio estremamente ridotto, cioè pressoché
niente. Delle due cose, l’una: o si ha una mancanza di conoscenze precise, o una conoscenza talmente precisa
che alla fine non ha alcun interesse. In effetti, bisogna partire dal proble-ma della conoscenza. Se si ha
un’informazione, ma si è incapaci di situarla nel suo contesto (frammentato attraverso le discipline), si
arriverà per forza a un’informazione senza interesse. Si è d’altronde obbligati a contestualizzare senza posa–
il proprio della storia è di essere una scienza che contestualizza gli eventi. Come uscirne? Alcune risposte
sono già state date, attraverso raggruppamenti scientifici. Prendiamo l’esempio dell’ecologia, scienza fondata
sull’idea di ecosistema, ma che riguarda molte discipline. In un dato ambiente, l’insieme degli esseri viventi,
vegetali, animali, i microbi ecc... costituisce un’organizzazione spontanea, a sua volta collocata in una data
cornice fisica, geografica e meteorologica.
Pertanto, l’ecologo, che si interessa ai meccanismi della formazione e delle disfunzioni degli ecosistemi,
possiede conoscenze varie ma incomplete. Dovrà dunque chiedere l’aiuto del botanico, dello zoologo ecc...
Lo stesso per le scienze della terra: la meteorologia, la vulcanologia, la sismologia, la geologia sono state
separate fino al momento in cui si è scoperta la tettonica a placche. A-P vendo dimostrato da allora che la
terra è un sistema funzionale molto complesso, ci si è impegnati a riunire queste differenti materie.
Le interazioni tra differenti discipline sono difficili da riconoscere, ma sono necessarie. Per esempio, la
mondializzazione di cui si parla molto oggi è un fenomeno economico che ha anche i suoi contro- aspetti:
l’omogeneizzazione tecnica provoca dei movimenti di chiusura sull’identità nazionale e religiosa. Qualche
cosa di economico ha dunque delle conseguenze sulla religione e sulla psicologia. In effetti, non si può
separare l’economico, lo storico, lo psicologico, il mitologico ecc... Einstein lo mostrava già ai suoi tempi.
Era un globalista-matematico, pensatore, ingegnere, qualcuno che sperimentava i concetti. Adorava suonare
il violino, “perdeva tempo” interessandosi d’arte, di politica... Gli specialisti, loro, si accontentano di
verificare le sue teorie.
Si è disgiunto tutto ciò che riguarda l’essere umano: il cervello in biologia, la mente in psicologia... Le
scienze umane sono state esse stesse delimitate. La filosofia è una riflessione anzitutto sulle conoscenze
acquisite e sul destino umano e sui grandi problemi del nostro tempo. Ora, le conoscenze sono troppo
disperse perché questa disciplina possa nutrirsene. C’è qui una grande lacuna. La missione di raccoglierle
insieme necessita tanto di uno sforzo nel mondo scientifico quanto nel mondo filosofico. È in questo senso
che il sistema di insegnamento meriterebbe di essere riformato.
Edgar Morin
Avvenire, 25 ottobre 2013
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