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Disturbo borderline di personalità in adolescenza: c’è correlazione con l’età adulta?
Borderline personality disorder in adolescence: there is a
correlation with adulthood?
Linda Millone1, Valeria Verrastro, 2
Riassunto
Nel presente lavoro, per ampliare le conoscenze relative ai disturbi di personalità,
verranno presentati i risultati di alcuni importanti studi, che esaminano le eventuali
correlazioni, analogie e differenze esistenti fra il disturbo borderline di personalità
diagnosticato in età adolescenziale e il disturbo borderline di personalità in età
adulta.
Parole chiave
Disturbo borderline, adolescenza, studi, età adulta.
Abstract
In this work, the results of some important studies will be presented in order to widen the knowledge about the personality disorders. These studies examine linkages,
similarities and differences between borderline personality disorder diagnosed in
adolescence, and the borderline personality disorder diagnosed in adulthood.
Keywords
Borderline disorder, adolescence, studies, adulthood.
Fino a poco tempo fa, un resoconto della letteratura empirica sui disturbi della personalità in adolescenza sarebbe stato molto breve. Fatta eccezione per il disturbo
della condotta, che è di ovvia rilevanza per la patologia di personalità in adolescenza, la prima ricerca empirica di rilievo sui disturbi di personalità in adolescenza è
comparsa all'inizio degli anni novanta e verteva sul disturbo borderline di personalità (Ludolph et al., 1990; Westen et al., 1990). I risultati principali emersi da questi
studi sono i seguenti.
Il primo è che il disturbo borderline di personalità è effettivamente diagnosticabile
in adolescenza e presenta soltanto differenze di lieve entità rispetto ai criteri diagnostici e alle interviste per l'adulto. Il secondo è che la fenomenologia e l'eziologia del
disturbo borderline di personalità dell'adulto sono molto simili a quelle dell'adolescente, dai 14 anni circa in poi, mentre i disturbi borderline dell'infanzia non asso-
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migliano né al disturbo borderline di personalità dell'adolescente né a quello dell'
adulto e sembrano essere un disturbo diverso (Greenman et al., 1986).
Il terzo risultato è che adolescenti e adulti borderline hanno in comune un'elevata
percentuale di traumi sessuali subiti nell'infanzia ed è molto probabile che abbiano
una storia di rotture dei legami di attaccamento (come prolungate separazioni dal
caregiver principale).
Il quarto risultato è che adolescenti e adulti borderline mostrano disturbi simili nelle
relazioni oggettuali (in particolare, una tendenza ad attivare rappresentazioni oggettuali malevole in situazioni di stress interpersonale, una relativa incapacità di comprendere la causalità in contesti sociali, una difficoltà a fornire resoconti narrativi
coerenti di eventi interpersonali e una maggiore tendenza, rispetto a soggetti normali
e depressi, a instaurare relazioni oggettuali orientate alla gratificazione dei bisogni),
nonostante alcuni aspetti delle relazioni oggettuali sembrino svilupparsi anche nei
pazienti borderline tra l'adolescenza e l'età adulta.
Adolescenti e adulti borderline hanno in comune una depressione di qualità simile
caratterizzata da un'affettività negativa diffusa, da labilità affettiva, da un senso di
malvagità o cattiveria interna e da una tendenza a essere scossi dagli eventi percepiti
come abbandoni e dalla solitudine.
Più di recente, molti gruppi di ricerca hanno iniziato a studiare sistematicamente i
disturbi della personalità in adolescenza utilizzando i criteri degli adulti. Grilo e collaboratori (1998) hanno paragonato la frequenza dei disturbi di Asse II del DSM-IIIR, valutati con il Personality Disorder Examination (PDE; Loranger, Susman, Oldham, Russakoff, 1998) usando i criteri degli adulti, in un ampio numero (N = 255)
di adolescenti (dai 12 ai 17 anni) e adulti (dai 18 ai 37 anni) ospedalizzati. Con due
eccezioni (disturbo di personalità dipendente e disturbo passivo-aggressivo), i ricercatori hanno scoperto livelli simili di disturbo della personalità in entrambi i campioni.
Bernstein, Cohen e collaboratori (1993, 1995; Johnson et al., 1999; Kasen et al.,
1999) hanno intrapreso il più ampio studio finora condotto sui disturbi di personalità
in adolescenza (N = 641), seguendo con dei follow-up un campione di adolescenti e
giovani adulti valutati all'inizio dello studio. Questo progetto fornisce dati interessanti sulla natura, la prevalenza, gli antecedenti, la comorbilità e la continuità in età
adulta dei disturbi della personalità adolescenziali (Kasen et al., 1999). Anziché presentare risultati relativi a disturbi discreti (che presumibilmente presentavano un'elevata sovrapposizione, come nella maggior parte dei campioni adulti), i ricercatori
hanno analizzato dettagliatamente i loro dati utilizzando i tre cluster dell'Asse II del
DSM-IV: il Cluster A (strano/eccentrico, che include i disturbi di personalità paranoide, schizoide e schizotipico), il Cluster B (drammatico/instabile, che include i disturbi di personalità borderline, istrionico e narcisistico, ma non quello antisociale
perché i dati che erano connessi in modo specifico a questo disturbo, e non a un disturbo della condotta, erano inadeguati), il Cluster C (ansioso, che include i disturbi
di personalità dipendente, evitante, ossessivo-compulsivo e passivo-aggressivo).
Poiché mancavano interviste strutturate per la diagnosi dei disturbi di personalità
adolescenziali diversi da quello borderline, e siccome questa ricerca inizialmente
non era stata concepita come uno studio sui disturbi della personalità, i ricercatori
hanno utilizzato item che coprivano la maggior parte dei criteri dell' Asse II ricavati
sia dalle loro lunghe interviste sia da protocolli self-report; per fare le diagnosi hanno utilizzato resoconti forniti dai pazienti e dai genitori. Le diagnosi categoriali erano date sulla base di punteggi estremi rispetto a quelli dati ad altri soggetti dello
stesso campione (erano ritenuti estremi i punteggi che superavano la media di alme-
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no due deviazioni standard) anziché ricorrere ai cut-off del DSM-III-R o del DSMIV.
I principali risultati che emergono da questo progetto longitudinale sono i seguenti.
Primo, in coerenza con studi precedenti sul disturbo di personalità borderline, i disturbi di personalità in genere sembrano diagnosticabili anche in adolescenza. Circa
il 15% dei soggetti adolescenti hanno soddisfatto i criteri stabiliti in questo studio
per diagnosticare un disturbo di personalità prima dell' età adulta; inoltre, le diagnosi
di Asse II si sono rivelate predittive di una maggiore probabilità di ricevere una diagnosi di disturbo di Asse I o II nella prima età adulta, anche mantenendo costanti le
condizioni di Asse I infantili e adolescenziali. Dunque, le diagnosi di Asse II in adolescenza si configurano come un "valore aggiunto" che esula da quelle di Asse I.
Meno della metà dei pazienti a cui è stato diagnosticato un disturbo della personalità
nella tarda infanzia o nella prima metà dell'adolescenza, continuavano ad avere questo disturbo dopo due anni, anche se i soggetti che all'inizio avevano ricevuto una
diagnosi di disturbo di personalità presentavano un rischio sostanzialmente elevato
di diagnosi di disturbo della personalità a ogni rivalutazione.
Secondo, problemi comportamentali ed emotivi nell'infanzia si sono rivelati predittivi di disturbi della personalità in adolescenza. Bambini con problemi della condotta e bambini con pattern di "immaturità" (difficoltà di attenzione, scarsa capacità di
perseveranza nei compiti, bassa motivazione a realizzarsi e scarsa capacità di adeguarsi alle richieste degli adulti) avevano elevate probabilità di sviluppare un'ampia
gamma di disturbi della personalità in adolescenza che potevano rientrare in tutti e
tre i cluster. Infine, è risultato che bambini con sintomi depressivi e ansiosi avessero
maggiori probabilità di sviluppare disturbi del Cluster B in adolescenza.
Terzo, una valutazione di follow-up di giovani adulti ha mostrato che la patologia di
Asse II questa età può essere utile nel predire la psicopatologia successiva su entrambi gli assi, anche mantenendo costante la presenza dello stesso disturbo nell'infanzia.
La presenza di disturbi di Asse I e Asse II nell'infanzia e nell'adolescenza aumenta
la probabilità di ricevere diagnosi multiple di Asse I e Asse II nella giovane età
adulta. Anche se la presenza di una qualsiasi diagnosi di Asse I o Asse II aumenta il
rischio di presentare diverse condizioni di Asse I e Asse II in età adulta, alcune diagnosi infantili e adolescenziali mostrano una relativa specificità nel predire disturbi
nell'età adulta. Per esempio, disturbi di Cluster A in adolescenza erano più predittivi
di successivi disturbi d'ansia rispetto ad altre diagnosi ricevute in adolescenza, mentre i disturbi di Cluster B tendevano a predire una diagnosi successiva di abuso di
sostanze.
Uno dei risultati più importanti di questo studio, in accordo con una precedente ricerca (Lewinsohn, Rohde, Seeley, Klein, 1997), è stato il riscontro di una relazione
tra la presenza di condizioni di comorbilità multipla nell'infanzia e la probabilità di
ricevere diagnosi di Asse II in età adulta. In tutti e tre i cluster, i soggetti con una sola condizione di Asse I tendevano ad avere una patologia della personalità relativamente lieve. Ogni ulteriore disturbo diagnosticato nell'infanzia in genere raddoppiava la percentuale dei pazienti con disturbi di Asse II in età adulta. In generale, questi
risultati suggeriscono che probabilmente la distinzione tra Asse I e Asse II in adolescenza (come nell'età adulta) è problematica e la "comorbilità" si presenta essenzialmente come un segno della presenza di un disturbo della personalità.
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Psicologa, psicoterapeuta, Istituto per lo studio delle psicoterapie. Ricercatore in psicologia dello sviluppo e dell’educazione, Università degli Studi di Cassino e del Lazio
Meridionale. 2
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