Giovanni Gasparini: La Bellezza Società, bellezza e valori nel mondo contemporaneo (selezione) 1. La costruzione sociale della bellezza Come parlare adeguatamente della bellezza? Si tratta di un compito gigantesco, che non può certo essere esaurito nello spazio di una relazione, né, a ben guardare, da un unico approccio o da una sola disciplina: ma la relativa brevità di una riflessione sul tema potrà essere significativa – mi auguro – se, avendo consapevolezza di tale complessità e polivalenza, sarà in grado di suggerire punti di vista innovativi e collegamenti insoliti tra i differenti approcci. L’obiettivo è quello di proporre e articolare un percorso limitato ma dotato di senso. In questa prospettiva, come si è già accennato, l’elemento-chiave e il punto di ancoraggio è rappresentato dalla dimensione sociale della bellezza nella modernità contemporanea, assai poco esplorata in quanto tale nella letteratura delle scienze sociali. Ma non è possibile prescindere in questa sede, sia pure in termini di richiami preliminari sintetici e per sommi capi, dalla molteplicità di significati e di declinazioni che del bello hanno offerto gli approcci di filosofia, di estetica e di teologia. Per l’approccio filosofico-estetico, è d’obbligo ricordare in primo luogo l’opera classica di Immanuel Kant sulla Critica del giudizio, che indaga il “sentimento di piacere e di dispiacere” e sta a monte delle molteplici e discordanti discussioni sul bello che da due secoli fa si spingono fino ad oggi e affrontano il tema-chiave della soggettività nella percezione della bellezza (Kant 1998). Nel Novecento, non si può sottacere poi il contributo ormai classico offerto da Benedetto Croce alla teorizzazione dell’esperienza estetica (Croce 1936). Tra i lavori recenti e contemporanei, si segnala un’opera collettiva dedicata ad una storia delle idee sulla bellezza nel mondo occidentale, in cui il curatore, Umberto Eco, adotta un punto di vista che collega e insieme distingue il bello e il buono. Mentre il bello è ciò che risulta piacevole e ci rallegra indipendentemente dal fatto di possederlo, il buono è ciò che non solo ci piace, ma che anche vorremmo avere per noi. Infinite sono le cose che giudichiamo buone, un amore ricambiato, una onesta ricchezza, un manicaretto raffinato, e in tutti questi casi noi desidereremmo possedere quel bene (Eco 2004-2010, p.8). Ciò che viene considerato bello cambia non solo in chiave soggettiva ma a seconda delle età e dei contesti storico-sociali, come ci dimostra anche la complementare e successiva Storia della bruttezza curata dal medesimo autore (Eco 2007-2010). Quanto alla bellezza, la testimonianza offerta dall’evoluzione delle arti plastiche si estende a toccare la bellezza delle macchine esaltata da certe correnti del Novecento1 e quella della materia utilizzata dalle forme d’arte contemporanea. Eco ricorda poi la bellezza dei media che si diffonde sugli ideali estetici di cui appunto i mezzi di comunicazione di massa si sono fatti portatori nel XX secolo, confermando in complesso lo statuto di polivalenza e molteplicità della bellezza, specie nel mondo contemporaneo. Secondo Arthur Danto, l’arte in Occidente esprime sin dall’inizio del Novecento una separazione se non un divorzio tra arte e bellezza che diventa successivamente, in certi autori contemporanei, una sorta di dissacrazione dell’arte stessa. La bellezza sarebbe diventata così un’opzione e non più una Eco ricorda l’affermazione di Marinetti, propugnatore di una esaltazione futurista della velocità, secondo il quale “una macchina da corsa è più bella della Nike di Samotracia”. (Eco 2004-2010, p.394) 1 1 condizione necessaria dell’opera d’arte: questo “abuso della bellezza” (per richiamare il titolo significativo di un recente volume dello studioso americano, che parte da Kant per arrivare alle Brillo Box di Andy Warhol) trova tuttavia un limite nella significativa considerazione conclusiva a cui giunge Danto, in cui si allude al legame tra bellezza e valori: La bellezza è l’unica qualità estetica ad essere anche un valore, come la verità e la bontà. Non è semplicemente un valore tra gli altri, per mezzo dei quali viviamo, ma è uno dei valori che definiscono cosa significhi la vita umana nella sua completezza. (Danto 2008, p.37) Per Dominique Fernandez, che sostiene un confronto interculturale sulla bellezza tra Occidente e Cina, la bellezza perfetta deve avere le caratteristiche di essere “senza tempo, impersonale, completamente disinteressata” e consistere più in un’idea che in una immagine o in una forma definite. Da parte sua lo studioso cinese Zhu Cunming evoca il continuo rimando tra bellezza e bruttezza che domina l’arte cinese, in particolare con la presenza dei mostri (Cunming, Fernandez 2004). Un altro interessante approccio di carattere concettuale e definitorio è fornito dal lavoro filosofico di Remo Bodei sulle forme del bello, che vengono riassunte in una serie di aspetti differenti a cui il termine può alludere a seconda dei casi, quali: misura, ordine e proporzione; ornamento e vaghezza; funzionalità; semplicità; folgorazione; eros; infine “il brutto” in quanto categoria estetica progressivamente legittimata nella modernità (Bodei 1995, 2008; Givone 2006). Howard Gardner, che riprende il tema della bellezza nel quadro della triade che affianca ad essa la verità e la bontà, mette in evidenza le importanti trasformazioni che la percezione della bellezza, specialmente nelle manifestazioni artistiche, ha subito nelle differenti società fino alle espressioni contemporanee e alle potenzialità aperte dal digitale. L’esperienza della bellezza si presenta oggi nell’arte in modi che coincidono sempre meno con i criteri della bellezza tradizionale: essi secondo Gardner rispecchiano tre criteri di fondo, vale a dire la capacità di generare interesse, l’assunzione di una forma memorabile e l’attitudine a suscitare ulteriori esplorazioni (Gardner 2011, cap.3). Crispin Sartwell, da parte sua, compie una stimolante incursione sull’esperienza estetica attraverso il mondo e approfondisce la polisemia della bellezza a partire dai termini linguistici che sono usati in diverse culture e ne illustrano diverse facce: da Beauty in inglese (corrispondente a bellezza in italiano, che indica l’oggetto del desiderio) a Yapha (che in ebraico è splendore) e a Sundara (che allude in sanscrito alla santità), dal greco classico to kalon (bellezza come ideale) al termine giapponese Wabisabi (umiltà, imperfezione) e infine a Hozho che nella lingua degli indiani Navajo indica salute e armonia (Sartwell 2006). Il tema del rapporto tra bello e buono, che la filosofia greca aveva già significato nel termine platonico riassuntivo kalokagathía, dove il bello rappresenta lo splendore del vero, ritorna nella teologia cristiana sin dall’interpretazione della creazione nel libro della Genesi. Qui la formula che conclude ciascun giorno della creazione – “E Dio vide che era opera buona” – potrebbe essere egualmente reso con “Dio vide che era bello” (Pozzoli 1997). Analogamente, Cristo in quanto pastore buono che pasce le sue pecore può essere tradotto e interpretato anche come il pastore bello, in grado di dare bellezza alla vita di ciascuno e di unire tutti nella bellezza di Dio, come afferma il teologo Bruno Forte (Forte 2005, p.55). Ha scritto recentemente il cardinale Carlo Maria Martini, a partire da una idea consonante di bellezza: La bellezza più bella non si dice, si percepisce a partire dalla pace dell’anima sotto lo splendore della luce divina. Per questo Gesù era straordinariamente bello e la sua bellezza si rifletteva sul volto di coloro che erano pronti a seguirlo. (Martini 2011) Si può citare a questo punto l’opera eminente di Pavel N. Evdokimov, quella Teologia della bellezza che offre una visione biblica della bellezza e si traduce successivamente nell’interpretazione dell’arte dell’icona nel mondo cristiano ortodosso, dove “Ciò che la parola dice, l’immagine ce lo mostra silenziosamente”, per riprendere le parole di un inno di San Simeone (Evdokimov 1990, p.31). In 2 realtà ogni opera d’arte è un frammento in cui Dio si compiace, essendo “specchio della sua gloria”, così come si compiace – ma in modo non puramente estetico – “in ogni santo, icona del suo splendore” (Evdokimov 1990, p.43). Molti approcci e analisi sulla bellezza condotti in chiave laica si concentrano sul vasto oggetto rappresentato dall’arte e dalle rappresentazioni artistiche, considerate elemento portante e privilegiato del bello così come viene percepito in termini sia personali che collettivi: e, come si è accennato, l’arte nelle sue espressioni contemporanee si coniuga con la tecnica e assume perfino forme che possono essere indicate dalla sensibilità prevalente all’insegna della bruttezza. Non si può evitare qui però di menzionare un altro filone fondamentale già presente nel mondo antico, che emerge pienamente con l’epoca romantica: si tratta del bello della natura, di quel mondo naturale che in fondo ha sempre svolto in un modo o nell’altro una funzione ispiratrice dell’arte (cfr. Caroli 2009). Assumendo la natura come ambiente naturale, è bene poi tenere conto del rapporto tra natura intesa come natura selvaggia o wilderness, sempre più rara da rintracciare in un mondo sovrappopolato ed esplorato nelle aree meno accessibili, e paesaggio, che integra una realtà naturale in elementi culturali o di emanazione umana i quali trovano riscontro in un disegno di coltivazione, intervento o cura a vario titolo del territorio (cfr. D’Angelo 2001). Un cenno a parte merita il tema della bellezza del corpo umano, sia femminile che maschile, che occupa un posto di primo piano a partire dall’arte del mondo classico greco e romano (Eco 2004-2010) e che dal Rinascimento in poi, come indica l’analisi storica di Georges Vigarello (2007), riguarda eminentemente il corpo della donna e “l’arte di abbellirsi”. Veniamo ora a considerare alla luce del taglio adottato quali risonanze, connessioni o implicazioni possano avere visioni del bello come quelle accennate e altre ancora che ad esse rinviano: per fare questo verrà utilizzato il filtro del sociale. Dal punto di vista che qui si intende privilegiare, si tratta cioè di focalizzarsi sul processo di costruzione sociale della bellezza, corrispettivo a quello della percezione sociale del bello. Esso s’inquadra in un’opera di continua costruzione e ricostruzione della società nelle sue varie parti ed elementi (cfr. Berger, Luckmann 1969). In altri termini, ci vogliamo chiedere qual è lo spazio che la bellezza, attraverso gl’intrecci tra valutazioni soggettive e percezione collettiva, riveste nel processo di modellamento e costruzione di un sistema sociale; a questo si aggiunge e si compenetra il quesito di fondo sull’importanza che viene riconosciuta alla bellezza rispetto ai valori collettivi fondamentali adottati da un sistema, di cui tratta il successivo par.4. In realtà, quello della bellezza è un tema debordante quant’altri mai: un tema-problema-oggetto che nella sua ricchezza traboccante tende a eccedere la misura, a sfuggire non solo alle classificazioni e alle definizioni, che come si è visto devono ricorrere ad una molteplicità e ad un insieme mai esaustivo o soddisfacente di sfaccettature, ma anche ai filtri che vorrebbero ingabbiarlo ordinatamente. Per questo ritengo che l’argomento della bellezza non soltanto abbia una inconsueta capacità di tenere insieme aspetti differenti ma vada anche al di là o più in là delle griglie riferite al sociale e alle diverse culture: esso tende infatti a proporre continuamente nuove possibili sintesi, o applicazioni inattese come quelle a cui ad esempio si assiste con le forme e gli esercizi talvolta sconcertanti dell’arte contemporanea. Ciò premesso, vengo ad indicare alcuni elementi della risonanza della bellezza nel sociale. Parto anzitutto dalla realtà della città e del fenomeno urbano, che ovviamente non è di oggi ma che acquista nel mondo contemporaneo un’importanza accresciuta sia per le dimensioni sempre più vaste delle aree metropolitane sia per gli stretti nessi che si registrano tra modernità e vita quotidiana nei contesti urbani (cfr. Gasparini 2012; Lorenzini cur. 1999). Osservando gli artefatti che testimoniano in ogni sistema sociale le scelte stratificate e storicamente costruite di orientamenti ed elementi che si sono consolidati e sono tuttora visibili, vi scorgiamo una compresenza e interrelazione tra dimensione funzionale-strumentale e dimensione estetica: è nelle città che essa emerge in modo particolare ed evidente (Gasparini 2012). La struttura urbana dà conto infatti 3 di elementi funzionali che riguardano le abitazioni private, i palazzi pubblici, i luoghi di culto, i monumenti che sono insieme celebrazioni e segni per la memoria, gli spazi previsti per gli incontri e le relazioni sociali, e così via; ma nello stesso tempo tali artefatti, sia all’esterno che nelle loro articolazioni interne, alludono a scelte che risentono in misura più o meno elevata di un’attenzione e di una preoccupazione estetica che varia nel tempo e nello spazio. Nelle città-metropoli contemporanee, preoccupazione sta a cuore quanto meno ad urbanisti, architetti, artisti, amministratori e politici, così come in senso più ampio a ciascun cittadino che voglia fruire adeguatamente del contesto urbano. A questo si aggiunge la cura degli interni delle case e abitazioni, anch’essi sempre più oggetto di attenzione estetica nelle società contemporanea. Mi limito qui a sottolineare, a titolo di esempio significativo e di lunga durata, l’importanza che tra Medioevo e Rinascimento ebbe la costruzione in Italia della piazza come luogo funzionale alla partecipazione pubblica sia politica che religiosa e alla relazionalità privata e insieme come espressione di bellezza ed armonia estetica. Il caso di Siena, con l’inimitabile piazza del Campo, centro indiscutibile della città dove ogni anno da secoli si corre la competizione del Palio, è tra altri exempla particolarmente pregnante, a motivo dell’integrazione tra elementi funzionali ed estetici la cui validità permane ed è fruita attivamente fino ad oggi. Scrive in proposito F.Conti: Pochissimi spazi hanno, oltre a una accurata funzionalità, una così potente, quasi travolgente carica di poesia, fatta di armonia apparentemente istintiva, di compiuta bellezza. (Touring Club Italiano 1998, p.38) Anche gli edifici che fanno corona alla piazza e la stessa Fonte Gaia in essa presente (opera di Jacopo della Quercia) corroborano l’idea di una funzionalità compenetrata di bellezza, o se si vuole di attenzione estetica che serve a una serie di funzioni, e trova un ulteriore livello di approfondimento all’interno del Palazzo Pubblico, dove nella Sala della Pace campeggiano i celebri affreschi di Ambrogio Lorenzetti sull’Allegoria e gli Effetti del buon Governo così come – molto più danneggiati – quelli dell’Allegoria e degli Effetti del cattivo Governo: tra tutti risalta l’affresco degli Effetti del buon Governo (del 1338 circa), che offre una vivida rappresentazione di Siena e del contado, la campagnapaesaggio che la circonda. In questa opera grandiosa si possono mettere in evidenza tre aspetti che ci interessano particolarmente in questa sede (Gasparini 1993). Il primo è l’attenzione precisa e minuta – socio-antropologica ante litteram, si direbbe – alla descrizione delle azioni e operazioni tipiche della città, che sono improntate alla triade dell’Utile, del Necessario e del Diletto. Non mancano qui le attività di carattere espressivo come la danza delle fanciulle e il corteo del matrimonio, o come l’episodio della caccia con il falcone nel riquadro destinato alla campagna adiacente alla città. Il secondo aspetto è dato dalla dimensione estetica o della bellezza tout court nella quale è impegnato e di cui si rende garante in quanto artista il Lorenzetti, uno dei massimi pittori senesi ed europei operanti nel periodo. Il terzo livello, implicito nel titolo stesso degli affreschi, è quello normativo che allude all’armonia e alla pace sociale, a quella concordia che è garantita da un buon governo della città e che si integra pienamente con gli aspetti estetici e con quelli funzionali. Riservandomi di tornare sul legame tra bello e buono, credo che valga ora la pena di spostare il centro dell’attenzione verso il paesaggio circostante Siena, elemento integratore e complementare della realtà urbana. Si tratta infatti di una campagna distinta ma interagente con la città che il pittore raffigura inserendovi oltre alle azioni strumentali della coltivazione (cereali, ulivo e vite) anche elementi di tipo ludico (che oggi diremmo di loisir) come la caccia appena menzionata, ovviamente esercitata dagli aristocratici che escono dalla città a cavallo. Detto in estrema sintesi, il paesaggio rappresenta l’elaborazione in termini socioculturali, protratta per generazioni, di elementi naturali che sono stati modificati per sopperire ad una serie di esigenze di base della collettività, a partire dall’alimentazione, dalla protezione nei confronti dei fattori climatici e dalla comunicazione. Con qualche semplificazione, si può sostenere che il paesaggio è cultura che si inserisce e si compenetra nella natura (D’Angelo 2008, Venturi Ferriolo 2009). 4 In un contesto socioeconomico come quello medievale e rinascimentale in cui il settore industriale non esiste ancora (essendo preceduto dall’artigianato, dalle corporazioni delle arti e mestieri) e il settore dei servizi è molto ridotto, la coltivazione dei campi e l’allevamento del bestiame domestico assumono ovviamente importanza preponderante. E’ interessante tuttavia osservare, prendendo sempre ad esempio la Toscana, che accanto alla dimensione strumentale e della produzione di beni alimentari viene qui coltivata quella estetica: l’ordine e l’armonia delle coltivazioni conferiscono alla rappresentazione lorenzettiana un tocco distintivo che ci consente di riconoscere e ritrovare quasi alla lettera, in certe plaghe del senese come ad esempio i dintorni di San Gimignano o di Pienza in val d’Orcia, quegli stessi tratti, quasi immutati da secoli. E si tratta di un paesaggio talmente armonioso ed esteticamente apprezzato da costituire una meta turistica attraente per viaggiatori esperti di cultura che provengono da tutto il mondo. Certo i criteri estetici contemporanei possono segnare una differenza rispetto a quelli del Trecento, ma è innegabile che il paesaggio del senese rappresentato con tanto realismo dal pittore corrisponda ad una costruzione sociale che dà spazio ad una sensibilità estetica. Essa è testimoniata del resto dalla eccezionale valorizzazione delle arti che ebbe luogo in quel periodo nella repubblica di Siena. Oggi, in un pianeta sovrappopolato che si è sviluppato demograficamente in termini esponenziali nel corso dell’ultimo secolo, si rileva la riduzione degli spazi naturali in senso stretto (wild), a vantaggio dell’estensione delle città-metropoli e dei loro sobborghi, e si nota la presenza di paesaggi dove l’azione umana è o è stata fortemente incidente, talvolta con effetti devastanti sull’ambiente naturale. Ne testimonia, e contrario, la creazione e moltiplicazione di parchi e aree naturali protette in tutto il mondo, talvolta con il riconoscimento esplicito dell’Unesco che ne stabilisce l’appartenenza ad un patrimonio mondiale (sia naturale che culturale) che si vorrebbe inviolabile e da consegnare intatto alle future generazioni. Bisogna riconoscere che proprio a motivo della creazione di tali aree è stato possibile proteggere e non far estinguere specie sia animali che vegetali che rischiavano di scomparire. Indubbiamente la natura wild in senso stretto, se si esclude quella dei parchi naturali protetti, è piuttosto rara da incontrare in continenti come in particolare l’Europa. In Italia le Alpi sono probabilmente l’ultimo baluardo rilevante di questa presenza, a motivo dell’asprezza stessa dell’accesso a certe valli e a certi luoghi. E’ interessante poi notare che il termine e l’idea di paesaggio vengono oggi impiegati per estensione anche con riferimento ai contesti urbani e ai loro dintorni: il “paesaggio urbano” incorpora certamente molta cultura, ma non solo essa. La dimensione estetica di cui si occupano in primo luogo urbanisti e architetti, oltre che amministratori locali e politici, è perseguita infatti non soltanto attraverso la creazione di artefatti urbani di cemento, vetro o altri materiali ma anche per mezzo della valorizzazione degli spazi verdi: giardini, parchi dentro le città o nelle loro periferie, così come viali alberati, aiuole, piazze in cui siano presenti elementi di una natura (vegetale e persino animale) che neppure la città più cementificata riesce ad eliminare o ad occultare. Analogamente, per le città che ne beneficiano, è sempre più attuata una valorizzazione dei corsi d’acqua, fiumi o laghi o bacini che ne occupano il territorio, dal momento che essi possono diventare elementi rilevanti per lo svolgimento di attività ludiche e sportive o per il semplice rilassamento. Va ricordato inoltre, per quanto sia raro da rintracciare nella letteratura delle scienze sociali, l’accenno ad una “poetica della città” che faccia da pendant o da complemento ad una poetica del paesaggio: essa peraltro trova antecedenti tra Otto e Novecento, a partire da Baudelaire, negli atteggiamenti del flâneur parigino che percorre la città senza una meta precisa e ne gode esteticamente (cfr. Nuvolati 2006). Gaston Bachelard e più recentemente Pierre Sansot hanno sviluppato una simile prospettiva. In un’opera dedicata alla poetica dello spazio – di fatto ai luoghi di abitazione - Bachelard, grande e creativo trasgressore di confini disciplinari al quale dobbiamo l’innovativa prospettiva della rêverie, riesce a parlare dei luoghi, soprattutto della casa, con un’attenzione alla realtà delle sue articolazioni interne che è insieme psicosociologica e poetica (Bachelard 1957). E Pierre Sansot, socioantropologo 5 francese da poco scomparso, ci ha lasciato opere assolutamente singolari in cui l’azione del camminare, da lui intesa come esplorazione a tutto campo del reale, si coniuga felicemente con una capacità di attenta descrizione dei piccoli dettagli della vita urbana – quando egli cammina in città - e con un’attitudine a ridarne al tempo stesso elementi poetici (Sansot 1993, 2000, 2004). In definitiva, una delle forme principali della costruzione sociale della bellezza passa oggi, tanto nelle aree urbane che in quelle naturali più o meno modificate dall’intervento umano e divenute paesaggi, per una valorizzazione di componenti estetiche che riguardano sia gli elementi culturali in senso stretto (artefatti, costruzioni di luoghi pubblici e di quartieri privati, tutela di tradizioni culturali ecc.) sia gli aspetti che si richiamano a componenti naturali: il verde in città, il rispetto di caratteristiche ecologiche nelle coltivazioni e nell’assetto dei paesaggi rurali, la specificità ambientale (animale, vegetale, minerale) preservata nei diversi paesaggi naturali. Si tratta di elementi che sembrano essere sempre più apprezzati dagli stessi abitanti oltre che dai visitatori, e che – nella misura in cui corrispondono ad una domanda di bellezza nel contesto urbano - rappresentano una risorsa economica e di attrattività rilevante. La capacità di attrazione turistica di una città, di un luogo, di un’area o di una regione diventa sempre più motivo di competizione economica interna e internazionale (oltre che di prestigio comparato) e sembra giocarsi in misura rilevante sull’elemento estetico, fatto oggetto di un adeguato processo di rappresentazione e comunicazione, e reso accessibile attraverso strumenti efficaci di fruizione. In questo quadro, un punto che va richiamato ancora espressamente è dato dalla presenza dell’arte, nella declinazione che qui si propone di una fruibilità collettiva della bellezza centrata sulla dimensione artistica. In un paese come l’Italia, che detiene la maggior parte del patrimonio artistico mondiale e vanta tradizioni artistiche eccezionali in quasi tutti i campi, vanno segnalati allora i luoghi specificamente disegnati e programmati per accogliere espressioni o manifestazioni di bellezza artistica, come i musei di ogni genere, gli spazi atti ad ospitare esposizioni, molto spesso le chiese ed altri edifici religiosi, ma anche i teatri, le sale da concerto e così via. La città stessa è diventata terreno di manifestazioni ed esposizioni di arte che si esprimono e si offrono all’aperto; e d’altronde non va trascurato il pendant offerto in anni recenti dal movimento della land art nelle sue varie applicazioni, che ha esteso alla natura e ai paesaggi la possibilità di applicazioni e installazioni artistiche. Da ultimo, non si può non accennare a forme che esprimono una tensione e intenzione estetica che si apparenta alla dimensione dell’arte o ne deriva implicitamente: mi riferisco alla consistente e multiforme tradizione dell’artigianato nelle sue diverse forme a seconda dei contesti locali (dal legno alla ceramica, dal vetro ai mosaici, e così via), che persiste e si rinnova in Italia da secoli, così come al design industriale con la produzione di oggetti esteticamente e stilisticamente apprezzabili e alle creazioni della moda italiana. E’ noto che il design italiano ha ottenuto da anni un riconoscimento di eccellenza a livello mondiale, simbolizzato dal cosiddetto made in Italy2. Queste considerazioni ci portano in prossimità di un ambito che riguarda un altro aspetto o livello, che viene qui semplicemente richiamato: si tratta della costruzione della bellezza in un ambito di vita quotidiana, come quella che può essere perseguita da ciascun soggetto nella propria abitazione con la scelta degli oggetti di uso e consumo (ad esempio i fiori e le piante da appartamento con la loro valenza eminentemente estetica, i vestiti e l’abbigliamento in funzione di uno stile o della moda), nell’armonia cercata nell’architettura e nell’arredamento degli interni, nella cura di un giardino domestico o semplicemente di un balcone, e così via (cfr. Scruton 2011, cap.IV). Per una vigorosa proposta di valorizzazione del design e dei prodotti italiani, in quanto espressione “della bellezza e del gusto nel mondo”, v. F.Morace, G.Lanzone 2010. 2 6 2. Bellezza e valori L’estetica richiama inevitabilmente l’etica e pone, non da oggi, il problema di quale sia lo spazio da assegnare alla bellezza rispetto ai valori in genere: uno spazio che oltre che in termini di scelte individuali ci interessa considerare dal punto di vista delle sue espressioni nella realtà del sociale, dunque in termini di spazio sociale. Già nello schema platonico la triade “Bello Vero Buono” indicava lo stretto legame tra bellezza ed elementi fondamentali di valore quali la verità e il bene3. E Dostoevskij, come si è già ricordato, solleva ne L’Idiota la questione tuttora discussa se la bellezza salverà il mondo, dove la risposta è in funzione del tipo di bellezza che si concepisce: è assai probabile che si tratti qui di una bellezza spirituale e dello sforzo legato al suo raggiungimento (Fernandez 2004). In un altro romanzo, I Demoni, lo scrittore russo sostiene che soltanto la bellezza è indispensabile all’umanità, la quale - al limite – al suo confronto potrebbe fare a meno anche di scienza e di pane: Evdokimov osserva al riguardo che la bellezza è intrinsecamente ambigua, potendo essere non sempre vera (Dostoevskij 2008; Evdokimov 1990, p.59). Per il teologo russo, che concepisce la bellezza in un disegno teologico centrato sul Cristo, occorre considerare e intraprendere il passaggio dall’esperienza estetica, che potrebbe anche limitarsi ad un estetismo fallace, all’esperienza religiosa, dove la contemplazione della bellezza viene unita all’atto trasformante della fede: La Bellezza del Figlio è l’immagine del Pade-Sorgente della Bellezza, rivelata dallo Spirito della Bellezza. (Evdokimov 1990, p.49) In una chiave diversa ma non dissonante François Cheng, letterato e studioso di grande spessore spirituale che incarna oggi per certi aspetti il collegamento tra Occidente e Oriente cinese, sostiene che bellezza e male sono i due elementi fondamentali di una antitesi, i due grandi misteri che costituiscono i punti estremi dell’universo e che non si possono affrontare l’uno senza l’altro (Cheng 2006). Profondamente innamorato della bellezza e convinto della sua esistenza nel mondo, Cheng, da anni divenuto Accademico di Francia, cita per diretta esperienza gli orrori e le atrocità della guerra cinogiapponese del 1936. Si potrebbe di rimando riprendere la nota affermazione di Adorno, secondo il quale dopo Auschwitz non si può più scrivere alcuna poesia: a tale asserzione egli fece seguito peraltro – come nota Melchiorre parlando di ossimoro – sostenendo che “si debbono però ancora scrivere delle poesie” (cfr. Melchiorre 2011, pp.160-162). L’enigma della bellezza, sostiene Cheng, è il fatto stupefacente che “l’universo non è obbligato ad essere bello, e tuttavia lo è”, che la bellezza è onnipresente ma dà l’impressione di essere superflua (Cheng 2006, p.14, 23). L’universo potrebbe essere semplicemente dotato del carattere della verità, ma in tal caso esso sarebbe formato da elementi funzionali, uniformi, indifferenziati e intercambiabili. La vita invece ci parla dell’unicità e insostituibilità di ciascuno di noi nello spazio e nel tempo, ed è questo ciò che provoca incessantemente stupore, ponendosi all’origine della bellezza: L’unicità trasforma ogni essere in una presenza che, come un fiore o un albero, continua a tendere nel tempo verso la pienezza del suo sviluppo [éclat], che è la definizione stessa di bellezza” (Cheng 2006, p.26). In termini non troppo lontani si esprimeva, nell’immediato dopoguerra, un umanista ed economista di orientamento cattolico progressista come Louis Joseph Lebret, fondatore del movimento Economie et Humanisme negli anni Quaranta e successivamente consigliere al Concilio Vaticano II, quando poneva la bellezza subito dopo la verità tra i valori dell’uomo nella società industrializzata: L’uomo moderno ha un immenso bisogno di bellezza. L’uomo non ha solo bisogno di verità. Egli è anche avido di bellezza. Senza bellezza gli manca qualcosa, è infelice. (…) 3 Per una efficace ripresa in chiave attuale (postmoderna) di verità, bellezza e bontà, v. Gardner 2011, già citato nel par.2. 7 Mentre la verità penetra nella mente lentamente, e il più sovente attraverso il ragionamento, per induzione o deduzione, la bellezza s’impone a tutto l’essere. (…) Chi percepisce la bellezza penetra immediatamente nel più intimo delle cose. (…) L’uomo moderno raramente incontra la bellezza: egli ne è allontanato dagli ambienti delle fabbriche, delle strade e delle periferie urbane; vive in case mal costruite; utilizza strade senza armonia … (Lebret 1946, I, p.80) Senza nulla perdere della propria forza e capacità di attrazione, il tema della bellezza viene riportato qui alla dimensione sociale, vale a dire alla possibilità concreta di vivere esperienze di bellezza dal punto di vista del lavoratore, dell’uomo comune che partecipa ad una società urbano-industriale di massa come quella di metà Novecento. E’ evidente che non si può trattare esclusivamente di un fatto volontaristico, lasciato alla sensibilità o alle opzioni individuali: esso risente infatti delle dimensioni strutturali e delle opzioni culturali della società in questione. Appare significativa, in questa prospettiva, l’affermazione del sindaco della seconda città italiana che, in occasione dell’inaugurazione di una mostra dedicata nel 2011-2012 a Cézanne, ha usato nell’introduzione parole impegnative a proposito della bellezza legata all’arte: L’arte è elemento essenziale per la costruzione di una convivenza civile che abbia per obiettivo la felicità di tutti e di ciascuno. L’inesausta ricerca di Cézanne è in questo senso un esempio e una sfida. (Pisapia 2011) In termini ancora più ampi, come ha osservato Howard Gardner, le esperienze di bellezza restano una delle ragioni principali per essere vivi, per desiderare di restare vivi, per condividere la gioia di vivere con altri. (Gardner 2011, p.191) Entrano in gioco a questo punto i valori, e cioè in ultima analisi i giudizi morali di carattere collettivo sulle azioni, su ciò che è considerato positivo o negativo (bene o male), in un dato sistema sociale (Berger, Berger 1995, p.400). In questa ottica i valori, che la sociologia osserva e descrive nei contesti sociali, possono essere declinati a diversi livelli, dai princìpi più ampi e generali che reggono la convivenza fino agli orientamenti e alle opzioni su ambiti specifici della vita sociale e del comportamento quotidiano quali il lavoro, la famiglia e così via (cfr. ad es. Rovati 2011). Si tratta di una tematica che, secoli prima dell’invenzione dell’economia e delle scienze sociali, è stata illustrata in altri ambiti, come in Toscana e in altre regioni italiane tra Medioevo e Rinascimento. Si è già avuto modo di richiamare l’importanza degli affreschi di Ambrogio Lorenzetti nel Palazzo pubblico di Siena, dove la bellezza di cui testimoniano sia l’opera pittorica in sé che il suo oggetto – per quanto attiene, ovviamente, agli effetti del Buon governo sulla città e sulla campagna – è strettamente legata alle virtù, e cioè ai valori in cui si traduce il buon governo della città e dove ingrediente primario è l’amministrazione della giustizia. Credo si possa affermare che ieri come oggi – nonostante e attraverso le differenze di società nel tempo e nello spazio – un’opera di costruzione sociale della bellezza che prescindesse dai valori generali condivisi in ciascun sistema, e specialmente da quelli che trovano sbocco in un orientamento alla giustizia, sarebbe monca e rischierebbe di diventare un fatto o un processo puramente estetico. E non si tratta solo di questo: occorre prendere atto che vi sono oggi paesi i cui membri sono assillati dai problemi di base della sopravvivenza fisiologica, o dalla presenza di devastanti conflitti armati o guerre civili o da emergenze catastrofiche di vario genere, e che sono quindi prevedibilmente poco inclini ad occuparsi primariamente di tematiche di carattere estetico. Come è stato opportunamente notato, la ricerca di cose belle costituisce una parte importante della vita, ma a patto che siano stati soddisfatti i bisogni primari come il cibo, la casa e la sicurezza (Gardner 2011, p.49). Il privilegiamento della giustizia – il rispettare e il far rispettare le leggi ma anche, in senso più pervasivo, quel tessuto reticolare di norme sociali più ampie che reggono la trama e le dinamiche di cui si alimenta la vita quotidiana – potrebbe rappresentare, in questa prospettiva, il punto di riferimento sintetico anche di una società come quella contemporanea. L’orientamento alla giustizia diviene così la cornice e il suggello dei valori condivisi, il momento della composizione dei tre grandi valori che dalla 8 Rivoluzione francese in poi stanno alla base degli stati moderni: libertà, eguaglianza e solidarietà. In termini ancora più generali, a monte di essi per così dire, va esplicitato il valore-principio fondamentale della dignità di ciascun essere umano (cfr. Azzoni 2012), richiamato sin dal Preambolo e dal primo articolo della Dichiarazione universale dei Diritti dell’uomo del 19484 e ribadito successivamente dal medesimo documento allorché si riconosce a ogni individuo la possibilità di realizzare i diritti economici, sociali e culturali “indispensabili alla sua dignità ed al libero sviluppo della sua personalità” (art.22). Da parte sua la Costituzione italiana richiama espressamente, all’art.3, la pari dignità di tutti i cittadini in relazione al valore della libertà, allorché afferma che Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali” (La Costituzione Italiana 2011) E la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea approvata nel 2000 nel suo Preambolo unisce esplicitamente il valore della dignità umana ai tre grandi valori della modernità, ponendolo poi a oggetto del primo articolo: [Preambolo] Consapevole del suo patrimonio spirituale e morale, l’Unione si fonda sui valori indivisibili e universali di dignità umana, di libertà, di uguaglianza e di solidarietà. (…) [Articolo 1] La dignità umana è inviolabile. Essa deve essere rispettata e tutelata. (Unione Europea 2000) Ora, la prefigurazione e creazione di una società orientata a tali grandi valori di base non è estranea al tema della bellezza. Si può pensare infatti ad una società giusta e dignitosa che sia anche una “società bella”, nella quale – per fare alcuni esempi – vengano tutelati e curati adeguatamente la natura e il paesaggio, o in cui si combatta l’inquinamento ambientale compreso quello acustico, o dove le condizioni della realtà urbana siano improntate a criteri che coniughino armoniosamente la dimensione estetica con la vivibilità e con il rispetto delle regole da parte di tutti. E, ancora, si può immaginare e cercare di costruire una società le cui strutture educative sin dalla scuola dell’obbligo contemplino una esplicita educazione alla bellezza (nelle espressioni naturali e paesaggistiche, nell’arte, nella stessa vita quotidiana) dei giovani scolari e studenti5. Cade opportuno qui il richiamo di un nuovo valore generale che è venuto acquistando progressivamente un elevato consenso sociale negli ultimi decenni ed è rappresentato dalla cosiddetta qualità della vita, solitamente considerata in opposizione alle aspirazioni ad un benessere di tipo economico puramente materiale: non va dimenticato peraltro che anche tali ultime aspirazioni rappresentano da un punto di vista sociologico un valore di cui si registra ampia diffusione nel sociale. La qualità della vita, pur rappresentando una locuzione piuttosto generica, ha sicuramente a che vedere con la costruzione sociale della bellezza che si esprime attraverso una serie di situazioni, comportamenti ed esperienze della vita quotidiana: bellezza della natura e del paesaggio, armoniosità e vivibilità del paesaggio urbano da fruire in modi concentrati anziché concitati6, bellezza in sé di certe città che godono complessivamente di un particolare genius loci (tra i casi più noti emergono i nomi di Venezia, Roma, Parigi e New York), bellezza di elementi e fenomeni culturali, dalle feste civili e religiose tradizionali fino alla gastronomia locale (lo slow food in opposizione al fast food metropolitano), bellezza del corpo umano, elemento di godimento estetico e di attrazione così come Recita l’inizio del Preambolo: “Considerato che il riconoscimento della dignità inerente a tutti i membri della famiglia umana, e dei loro diritti, uguali ed inalienabili, costituisce il fondamento della libertà, della giustizia e della pace nel mondo; …”. E l’art.1 esordisce con: “Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti.” (Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo 1948). 5 Con questa prospettiva, così come con quella della “qualità della vita”, ha qualche punto di contatto la proposta di una “vita buona”, avanzata specialmente in ambito cattolico: cfr. Scola 2009. 6 Le tematiche sottese al riguardo sono molteplici: mi limito ad indicare quella della lentezza/velocità, con la prospettiva di adottare una velocità non imposta ma scelta dagli stessi interessati (Gasparini 2000), e quella inerente alla preservazione di aree e fasce di silenzio in opposizione all’inquinamento da rumore così frequente nei contesti urbani. 4 9 oggetto di cure e attenzioni per esprimere condizioni di forma e di fitness adeguate. E, naturalmente, la qualità della vita ha a che vedere con quella bellezza di cui è espressione tipica e privilegiata l’arte nelle sue variegate espressioni. La qualità della vita ci porta in prossimità dell’apprezzamento della gratuità, come è del resto nel cuore delle esperienze artistiche e di quelle dove si realizza una fruizione autentica della natura, del paesaggio e dell’ambiente. Essa favorisce un atteggiamento in grado di apprezzare il dono offerto dalla bellezza naturale e artistica e nello stesso tempo di ridimensionare ed equilibrare l’onnipresente impronta economica e monetaria che governa l’accesso ai beni e il rapporto con i servizi nei nostri sistemi. Spesso un orientamento che valorizzi la qualità della vita si inquadra in uno stile di vita sobrio e conviviale, improntato ad una sostenibilità e ad un basso impatto ambientale dei comportamenti relativi: tutto questo tra l’altro è pienamente compatibile e persino sinergico rispetto alla fase di crisi economica e di decrescita che stiamo attraversando, ma non prefigura evidentemente un ritorno arcaicizzante alla realtà delle società preindustriali con la cultura relativa. La qualità della vita è un’aspirazione e un valore che rivisita elementi della realtà delle società preindustriali, ma in un’ottica e con uno spirito moderno, pienamente inserito nelle dinamiche e nelle potenzialità della società postindustriale contemporanea. Si pone qui anche il problema di un tempo da riservare alla bellezza, che ci riporta all’inizio del nostro percorso allorché si sono tratteggiati sinteticamente alcuni elementi caratterizzanti della società postindustriale (par.1). Il “tempo della bellezza”, se così lo volessimo chiamare, andrebbe inteso nella sua ordinaria espressione cronologica, vale a dire come la disponibilità di tempo, nell’arco della giornata o della settimana o dell’anno, che mediamente un soggetto decida di (o possa) dedicare ad esperienze e a fruizioni che siano improntate alla bellezza o ne siano specifica espressione o strumento. Questo, tenendo conto ch’egli vive in una società contrassegnata come si è detto da potenti fenomeni di accelerazione, di globalizzazione, d’iperconnettività, nonché di agglutinamento: quest’ultimo come si è detto opera nel senso di ostacolare lo svolgimento di esperienze distinte e qualitative. La società di rete (network society), a motivo del suo carattere pervasivo e incessante (no stop), può rappresentare così, a priori almeno, un impedimento al perseguimento di comportamenti improntati alla qualità della vita o finalizzati in modo distinto e concentrato alla fruizione della bellezza in aree di tempo a ciò espressamente dedicate. Per questo, sembra utile additare una serie di esperienze interstiziali della vita quotidiana che si richiamano all’idea degli “universi paralleli” (Gasparini 2007), intesi come mondi collaterali a quello prevalente in cui vive ciascun attore ma che sono portatori di senso e di valori (in primis la qualità della vita), potendo anzi acquistare importanza prioritaria per l’equilibrio psicofisico e sociale del soggetto. Tra tali universi vanno considerate la fruizione artistica in vari aspetti, l’accesso alla letteratura (nel senso della lettura ma anche della pratica della scrittura), il teatro. In complesso, il mondo dell’arte nelle sue diverse forme e modi di accesso può rappresentare un universo parallelo di cruciale importanza ai fini di riservare un tempo per la bellezza nel corso della vita quotidiana: si tratta di un mondo che non si sostituisce ai ruoli e alle appartenenze sociali fondamentali (lavoro e professione, famiglia e relazioni profonde, ecc.) ma che pur apparendo come secondario se non marginale consente agli interessati di cogliere e vivere elementi gratificanti e dotati di valore. Dalla cronaca recente si può citare al riguardo, tra altre esemplificazioni, l’esperienza delle cosiddette “domeniche a piedi” stabilite a Milano per ragioni legate all’inquinamento nell’autunnoinverno 2011, che sono state utilizzate dai cittadini in modo massiccio per visitare i luoghi e le occasioni artistiche offerte dalla metropoli ambrosiana. E si vorrebbe insistere ancora, per concludere su questo punto, sul ruolo che può svolgere una educazione consapevole ed esplicita alla bellezza nella società contemporanea, a partire dall’infanzia ma protratta in forme diversificate e molteplici a tutte le età. Ad essa potrebbe essere affidato il compito di affiancare ai modelli efficientistici, economicistici e competitivi dominanti – legati alle caratteristiche tecnologico-organizzative della società di rete - altri elementi e prospettive non meno 10 cruciali per la vita individuale e collettiva: la capacità di concentrazione e di silenzio, la valorizzazione della qualità in sé accanto o in contrapposizione alla quantità, la lentezza da alternare alla velocità, la convivialità con cui temperare l’individualismo, la riscoperta della gratuità (di cui si è detto) e delle dimensioni spirituali della vita. 3. Conclusione. La bellezza: una proposta per l’identità italiana Si sono da poco concluse le celebrazioni per il 150° dell’Unità d’Italia. Nonostante alcune voci isolate e sguaiate che hanno espresso sentimenti antiunitari, esse hanno costituito una occasione importante per stimolare la riflessione non solo delle forze politiche e sociali ma di tutti i cittadini italiani – giovani e anziani, uomini e donne, istruiti e meno istruiti – sui caratteri che fanno dell’Italia un paese non solo indivisibile, come recita la Costituzione, ma anche molto particolare: un paese unico per la sua storia, per l’apporto all’Occidente e al mondo intero in termini culturali e spirituali, e non solo. Un paese che oggi si interroga, nel pieno dispiegarsi della società postindustriale e nell’attraversamento di una grave crisi europea che ha trovato il punto di deflagrazione nella dimensione economica e finanziaria, sulla propria identità e sul proprio futuro. In conclusione a questa relazione sulla bellezza che è stata necessariamente parziale, ma in cui si è cercato di suggerire alcuni spunti innovativi specialmente dal punto di vista delle connessioni con il sociale, vorrei proporre tre elementi sintetici per l’identità italiana oggi. Si tratta di elementi di indubbia attualità che nello stesso tempo hanno alle spalle una storia lunga di secoli e persino di millenni. Essi hanno a che vedere in modo esplicito con la bellezza: si tratta dell’arte, della natura-paesaggio, della lingua. Sull’arte, anche in termini di riflessi sul sociale (educazione e cultura, economia, turismo, oltre che qualità della vita) il discorso appare indiscutibile e quasi scontato. Non si tratta di stabilire graduatorie o record tra i capolavori artistici che hanno visto la luce in Italia – molti dei quali sono peraltro ospitati in musei stranieri, a partire dal dipinto più visitato nel mondo che è la Gioconda di Leonardo esposta al Louvre -, ma di riconoscere l’innegabile, straordinario e quasi costante apporto artistico al mondo che il nostro paese ha dato nei secoli e che ancora oggi gli viene riconosciuto. Lo testimonia il fatto che l’Unesco considera l’Italia il detentore nel mondo della massima parte delle opere d’arte conosciute. Questo tratto caratteristico dell’identità italiana rappresenta un patrimonio da valorizzare e da offrire adeguatamente non solo agli italiani ma all’Europa di cui facciamo parte e naturalmente al mondo intero. Si osserva poi che, nel quadro dei siti riconosciuti e iscritti dall’Unesco nel Patrimonio mondiale, su un totale attuale di quasi novecento una cinquantina sono collocati sul territorio italiano: in realtà il loro numero è assai superiore dal momento che spesso il riconoscimento tutela un vasto insieme di monumenti appartenenti ad un’unica città o località (www.Unesco.it). In questa area, come specificazione ulteriore e completamento volto all’attualità, non va trascurato anche tutto il patrimonio che la creatività italiana nei secoli ha saputo perpetuare e rinnovare fino ad oggi nelle forme più varie di artigianato presente in tutte le regioni del paese, così come la componente di bellezza che si esprime nel design, nella produzione di oggetti industriali di uso quotidiano e nella moda. Il paesaggio, secondo elemento indicato di una riaffermazione identitaria dell’Italia, integra un ambiente naturale di varietà stupefacente, tenuto conto delle dimensioni relativamente limitate del paese: non a caso in Italia si registra il numero più elevato di specie vegetali tra quelle presenti sul territorio di qualunque altro paese europeo. L’Italia, il bel paese sin dai tempi di Dante e di Petrarca 11 fino all’omonima opera dell’abate Stoppani7, esprime un singolare assortimento di paesaggi, i quali risentono tanto della diversità di condizioni naturali e climatiche (dai ghiacciai alpini fino ai vulcani attivi in Sicilia e nelle isole circostanti) quanto dell’invenzione storicamente determinatasi di soluzioni culturali specifiche a ciascuna area. Dai paesaggi alpini a quelli appenninici, dagli ambienti marini liguri e tirrenici a quelli ben diversi delle coste adriatiche e delle isole maggiori, dalla pianura padana ai laghi prealpini, dalle colline toscane a quelle umbre e marchigiane, tralasciando parecchi altri casi, si assiste ad una varietà che si nutre nello stesso tempo di natura e di cultura: quest’ultima coinvolge anche il tipo di insediamenti urbani e rurali tipici di ogni paesaggio. Si può ricordare qui che dal Settecento, se non prima, il Grand Tour in Italia offriva ai giovani aristocratici e intellettuali di tutta Europa una serie di bellezze che erano rappresentate insieme da arte e natura-paesaggio. La lingua è il terzo elemento di bellezza e di valorizzazione identitaria dell’italianità che si vorrebbe qui proporre. Al riguardo, pur evitando eventuali confronti con altre lingue, è bene prendere atto che la lingua italiana, troppo poco valorizzata oggi nel mondo a scapito di altre più funzionali all’informatica e più forti per ragioni economico-politiche, è non solo dotata di grande musicalità, versatilità e attitudine ad esprimere le sfumature più minute dei sentimenti, ma si trova affiancata e corroborata da una letteratura che è considerata unica al mondo, a partire dalla presenza di Dante, “il poeta assoluto” come lo chiama a ragione Cristina Campo (1987, p.83), i cui versi ogni italiano è tuttora in grado di ascoltare e – sia pure con qualche sforzo – di comprendere. Uno dei più autorevoli critici contemporanei, Pietro Citati, ha scritto recentemente che la lingua italiana è “una lingua ricca, leggera, complessa, nobile, musicale” (Citati 2011), al punto tale che negli ultimi anni essa è stata adottata da un certo numero di scrittori maghrebini e africani che l’hanno preferita al francese, la loro lingua ex-coloniale. Così, senza alcuna velleità nazionalistica, l’Italia può riscoprire oggi con umile orgoglio la propria straordinaria vocazione alla bellezza nell’arte, nella natura e nel paesaggio, nella lingua, per offrirla al mondo in un dono condiviso. Giovanni Gasparini * [* Versione provvisoria - Febbraio-marzo 2012] Bibliografia M.Augé (1993), Non-luoghi, Eleuthera, Milano (ed.orig. 1992). G.Azzoni (2012), Dignità umana e diritto privato, Relazione al Convegno « La dignità dell’uomo : testo e contesto », Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, 14 ott.2010, in stampa. G.Bachelard (1957), La poétique de l’espace, Puf, Paris. 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