LUCA RONCONI e la pedagogia Luca Ronconi con i suoi allievi presso il Centro Teatrale di Santacristina - Foto di Luigi La Selva È ormai mia abitudine lavorare qualche mese l’anno con i giovani delle scuole, mi divido tra Roma e Milano. È per non perdere i contatti con ciò che succede giù dal palcoscenico, nella vita di tutti i giorni. E poi è una sorta di asilo, di rifugio che chiedo ad un luogo come la scuola, che è, malgrado tutto, vivo. Per sottrarmi a un modo di concepire e gestire il teatro sempre più insensato, morto Roma, 07 gennaio1983 L’attività pedagogica di Luca Ronconi, è stata praticata con passione non solo nell’ambito delle diverse istituzioni didattiche nelle quali operò (dall’Accademia Silvio D’Amico di Roma al Centro Teatrale Santacristina, in Umbria, passando per la Scuola del Piccolo teatro, che porta ora il suo nome, e lo Iuav di Venezia), ma anche nei confronti dei suoi attori durante gli allestimenti: il titolo di “maestro”, che ha accettato solo negli ultimi anni, gli è perfettamente aderente nel suo senso primario. La prima caratteristica è l’assenza di un metodo. Ronconi apertamente rifiutava il termine e il concetto di “metodo”: “una ricetta”, diceva con un movimento della mano come a sbattere delle uova immaginarie, riferendosi esplicitamente alle ricette di cucina, procedimenti che, se applicati minuziosamente, garantiscono la riuscita della pietanza. Gli era estraneo il pensiero che un procedimento fosse applicabile a qualsiasi testo, per lui sempre caratterizzato da una irriducibile unicità. La sua pedagogia non si configurava come insegnamento di un metodo, visto che un metodo non lo aveva, se non quello di stare insieme ai testi, lavorando con gli attori. Per gli allievi, lo studio del testo proposto da Ronconi passava attraverso una pratica corporea: la respirazione, la corretta articolazione dei suoni, e si affidava allo strumento dell’imitazione: le battute pronunciate da Ronconi erano subito piene di significato, efficaci, e subito leggibile il personaggio da cui scaturivano. L’imitazione si configurava come un complesso esercizio di ascolto per affinare la riproduzione non tanto di quello che lui faceva, quanto di ciò che lui additava con il suo dire. L’oggetto era la lingua parlata nella sua inesauribile ricchezza timbrica e ritmica: l’imitazione era uno dei principali attrezzi di questo maestro antico. Ronconi è stato spesso descritto come un rivoluzionario, un innovatore e certamente lo è stato. Ma per quanto riguarda la pedagogia è stato portatore di una conoscenza antica. Un certo filone del teatro italiano, che emerge in maniera carsica in epoche diverse, sembra avere trovato in Ronconi un particolarissimo canale di espressione, filone che ha il suo centro nel lavoro sul testo e sulla lingua. Su questi due ambiti l’insegnamento di Ronconi ha una grande lucentezza e preziosità: l’incitamento, sempre rivolto ai giovani, a conoscere, a sapere collocare un testo nel sistema di segni in cui è nato, l’ammonimento a non usare il testo per i propri fini espressivi, ma invece l’invito ad andare noi verso il testo; tutto ciò forma, e chiede, un grande rigore, una deontologia teatrale più incisiva di un metodo. Se la radice del suo insegnamento era antica, ciò non vuol dire che lo estraniasse da oggi, anzi, lo collocava esattamente nel presente. Di qui la lontananza da un teatro psicologico di tipo ottocentesco, legato a un’antropologia passata; di qui u certo sgomento per i giovani attori, vagamente iniziati a metodi psicologici, l’assenza totale nel suo vocabolario e nelle sue indicazione del termine “intenzione”: proponeva una provenienza preterintenzionale delle battute, invitava a scoprirne l’origine fisiologica e a considerare i personaggi attraversati dai pensieri, mossi e non motori, idea che lo portava a dire: “improvvisare vuol dire farsi cogliere all’improvviso”. CENTRO TEATRALE DI SANTACRISTINA LINK UTILI: http://www.ctsantacristina.it/ Il Centro Teatrale Santacristina lavora da anni sul territorio umbro portando avanti quello che, sin dalla nascita – nel 2002 – è stato uno dei suoi obiettivi primari: dare un contributo concreto e attivo al teatro attraverso la formazione professionale degli attori. Nella campagna tra Gubbio e Perugia, il Centro Teatrale Santacristina accoglie giovani diplomati nelle migliori scuole nazionali o provenienti dalle più diverse esperienze teatrali. Privo di intenti accademici, l’insegnamento è impostato sulla trasmissione dell’esperienza artistica e sul confronto diretto tra le differenti generazioni. Luca Ronconi, che ha diretto la Scuola per dodici anni, ha da sempre concepito la didattica e il rapporto con i giovani attori non solo come trasmissione del proprio metodo di lavoro, ma soprattutto come possibilità di mettere l’attore nella condizione di saper analizzare profondamente un testo. Dopo la scomparsa del Maestro, l'intento del Centro Teatrale Santacristina è quello di raccogliere la sua eredità artistica e proseguire le attività nel rispetto della sua idea di formazione e dei suoi insegnamenti. Tra coloro che hanno partecipato in questi anni ai corsi, molti hanno trovato un felice seguito alla loro carriera, risultato di cui il Centro Teatrale Santacristina è particolarmente fiero e che conferma la necessità di dare ai giovani attori un’occasione concreta di inserimento nel mondo del teatro. Roberta Carlotto, nata a Padova nel 1938, si trasferisce giovanissima a Roma, dove tutt’ora vive. Dal 1959 al 1964 fa parte della redazione romana della casa editrice Feltrinelli dire: a da Giorgio Bassani. Nel 1965 inizia a lavorare in Rai come assistente dello stesso Bassani. Passa successivamente ai programmi radiofonici, dove comincia a occuparsi di teatro, curando, tra le altre cose, la serie radiofonica Le interviste impossibili e diversi cicli di teatro radiofonico, che coinvolgono registi Carmelo Bene, Luca Ronconi, Carlo Quartucci, Giorgio Pressburger e studiosi come Agostino Lombardo e Cesare Garboli. Nel 1977 passa alla televisione, dove partecipa alla nascita della seconda Rete TV diretta a da Massimo Fichera. Si occupa prima di fiction, poi di teatro, curando una serie di cicli che presentano, da un lato la ricerca di uno specifico teatrale per il mezzo televisivo (esemplari restano gli spettacoli realizzati con Carmelo Bene e Luca Ronconi, Carlo Cecchi e Massimo Castri), dall’altro spettacoli registrati nei più importanti teatri italiani. Nel 1991 torna alla radio: a Rai Radio3 è responsabile della programmazione di musica classica e, dal 1994, di quella del teatro. Dal 1999 al maggio 2002 è Direttore di Rai Radio3, dove propone inedite forme di documentario radiofonico realizzate sul campo, come Centolire, o dedicate alla politica internazionale e alla scienza, come Radio Tre nel Mondo, Le oche di Lorenz. Per il teatro produce la serie dei Teatri alla Radio con tre cicli affidati a Luca Ronconi, Franco Quadri e Mario Martone. Nel 2003 entra nel Comitato Artistico del Teatro Stabile di Napoli insieme a Mario Martone, Enzo Moscato e Renato Carpentieri e cura la rassegna aEst (nel 2005). Dirige lo Stabile napoletano dal febbraio 2007 al novembre 2008, periodo che l’ha vista impegnata nella nascita del primo Napoli Teatro Festival e nella riapertura del San Ferdinando, lo storico teatro appartenuto a Eduardo De Filippo e restituito alla città dopo più di vent’anni di chiusura. Inoltre, dal 2006 al 2011 sempre per il Teatro Stabile di Napoli idea, crea e dirige con Maurizio Braucci Arrevuoto, un progetto di teatro e pedagogia che ha coinvolto ogni anno oltre duecento ragazzi delle scuole del centro e della periferia della città. Nel 2002 fonda con Luca Ronconi il Centro Teatrale Santacristina, di cui ancora oggi è Presidente. Al fianco di Ronconi, ha sempre promosso e seguito le attività del Centro Teatrale Santacristina e, da oltre dieci anni, cura i rapporti istituzionali e l’organizzazione dell’Associazione che, in una dimensione unica nel suo genere, produce laboratori, corsi di perfezionamento per attori e spettacoli. Dichiarazioni di Roberta Carlotto “Nel 2002 Luca Ronconi ed io abbiamo fondato il Centro Teatrale Santacristina, dando vita a un piccolo innovativo «sistema teatrale». Uno spazio di libertà lo chiamava Ronconi: un luogo dove progettare, studiare e anche produrre, senza seguire le regole dei teatri, dove è possibile lavorare con modalità e tempi che altrove sarebbe impossibile mettere in pratica. Un luogo dove, senza titoli accademici nè riconoscimenti ufficiali, abbiamo fatto laboratori, corsi di approfondimento e spettacoli, alternando le attività di una scuola di specializzazione per attori con la realizzazione di produzioni che mettevano a confronto alcuni interpreti già affermati con altri appena diplomati nelle scuole di teatro. Un luogo dedicato essenzialmente alla formazione dei giovani attori a cui Ronconi, con la sua intelligenza, lucidità e dolcezza, dava moltissimo e da cui esigeva altrettanto. Lavorava con generosità, pazienza e attenzione, ma anche con estremo rigore per stimolare sempre l’interesse e l’immaginazione dei ragazzi e per spingerli ad andare sempre oltre le competenze acquisite. E’ difficile immaginare un altro luogo come Santacristina: isolati, immersi nella quiete della campagna umbra, qui si lavora, si dorme, si mangia e si studia tutti assieme. Ma è ancora più difficile immaginarlo oggi senza la presenza costante e insostituibile di Luca Ronconi. Tuttavia siamo convinti che il modo migliore per ricordare il Maestro sia continuare a far vivere la sua arte e i suoi insegnamenti, ed è per questo motivo che, nel rispetto del suo pensiero e della sua pratica teatrale, abbiamo deciso di proseguire le nostre attività formative”. Dichiarazioni di Luca Ronconi “Il teatro vuole che l’unica via per apprendere sia il fare, questo è il principio fondante della Scuola di Santacristina, una scuola a carattere empirico che pone le basi su due aspetti peculiari: l’affiancamento di allievi attori e allievi registi e la partecipazione di generazioni diverse. Intesa come scuola di perfezionamento, e aperta dunque a giovani che abbiano già frequentato accademie e avviato una carriera, la scuola non è concepita come un corso di recitazione e tantomeno è l’affermazione di un “metodo”. La Scuola di Santacristina è un luogo in cui fare esperienza di “ciò che non si può insegnare altro che nella pratica stessa”. Uno dei principi che ho sempre seguito nel mio percorso pedagogico e di ricerca è quello di offrire ai giovani un rapporto immediatamente professionale con il teatro, affiancandoli fin dalle prime esperienze a figure già preparate e, perché no, portandoli presto a misurarsi con le grandi produzioni e col pubblico. Oggi ancor di più credo sia importante nel teatro cercare di favorire il superamento delle barriere generazionali e di certe modalità produttive divenute troppo rigide e vincolanti. Qui non si insegna “come si fa una regia”, né si affermano un’estetica o una tecnica univoca dell’attore; non ho pensato alla fondazione di questa scuola come a un tentativo di perpetuare me stesso, quanto invece al desiderio mettermi, insieme al gruppo di validissimi collaboratori che hanno aderito, a disposizione di un gruppo di giovani attori e registi affinché possano proseguire il loro lavoro futuro con maggiore consapevolezza. Attitudini fondamentali per un attore sono la capacità di lettura del testo e il controllo degli strumenti della propria espressività. Talvolta si riscontra, specialmente nelle giovani generazioni, una sorta di arroccamento ideologico che porta a contestare il valore della formazione. Ma parlare di identità professionale o di competenza, non significa rinunciare all’invenzione e alla creatività, significa insistere sull’importanza per l’attore di sottoporsi a un serio e scrupoloso apprendistato. Molte scuole seguono o addirittura impongono un metodo, altre ne inventano, altre ancora ne intrecciano più d’uno formulando sterili precetti. Non è il nostro caso. Sarà nostra preoccupazione primaria aiutare i giovani attori a trovare una loro autenticità scenica invitandoli ad analizzare e a scoprire i testi loro affidati. E più in generale si tratterà di distoglierli dalla tipica vocazione dell’attore italiano a portare in scena sempre e solo se stesso, educandoli a essere interpreti nel senso più pieno della parola e non maschere autoreferenziali. I ventidue attori selezionati lavoreranno con i registi allievi su testi contemporanei italiani sia drammaturgici che letterari - da D’Annunzio a Moresco per intenderci - e con me su due classici shakespeariani (uno dei quali destinato ad andare presto in scena, e non è escluso che alcuni dei ragazzi vengano poi coinvolti nella produzione). Comunque si voglia giudicare il mio lavoro, e non pretendo che venga visto sempre in maniera positiva, credo si possa incontestabilmente riconoscervi una solidità. Intendo per solidità l’aver insistito sulla formazione di un attore che abbia la capacità di durare nel tempo. In un contesto come il nostro, ricco di talenti ma intaccato da una fragilità di fondo, ritengo importante mettere a disposizione dei giovani gli strumenti necessari per combattere quel genere di precarietà artistica. E credo che non sia soltanto dando la possibilità di fare che si contribuisce alla crescita di nuove generazioni artistiche, ma dando la possibilità di fare in una prospettiva di solidità. Molto spesso si pensa alla regia come a un lavoro da farsi a tavolino, o come il compimento di un progetto prestabilito, viceversa qui la si intende come un’attività che si determina giorno dopo giorno, in base alle condizioni reali in cui ci si trova a operare. Nell’arco di quarantacinque giorni gli allievi registi avranno una doppia occasione: potranno misurarsi ognuno su un proprio percorso, coinvolgendo gli allievi attori, e parallelamente seguire il lavoro che io stesso svolgerò con i ragazzi, affiancando così un’esperienza di autonomia all’osservazione di un processo, senza che quest’ultimo si ponga come assoluto ed esemplare. Il lavoro dato loro in autonomia è impostato su testi contemporanei da me scelti, come in un rapporto di commissione. Mi preme trasmettere l’idea che una delle funzioni del regista sia l’assunzione di una responsabilità nei riguardi della committenza (enti, pubblico) e degli attori. Credo che sia anche l’aspetto della commissione a garantire la libertà e credo sia indispensabile e attuale cercare di superare l’espressione di sé a tutti i costi. È luogo comune pensare all’autonomia come a una dimensione avulsa dal confronto, mentre a me non dispiace pensare che la vera libertà risieda proprio nell’esercizio di una relazione data. Io porrò su ogni testo loro commissionato non più che alcune ipotesi di possibili messe in scena e i registi stessi sceglieranno quali intraprendere. Successivamente mi limiterò a dare, dove necessario, un’opinione, un sostegno, individuando di volta in volta i punti di difficoltà, e indicando loro alcune delle vie per affrontare quelli che io chiamo gli “stati di necessità”. Proviamo a pensare alla regia come a un lavoro di sguardo e alla libertà come una questione di scelta; ma se uno sguardo è come l’occhio si pone su una cosa, ancora di più, uno sguardo è come una cosa si offre all’occhio: non potendo sostituirmi a un altro occhio né alla cosa, potrò solo invitare i ragazzi a scegliere una via e a prendersi la libertà di portarla avanti. Nel mio lavoro di regista l’esperienza didattica si è sempre naturalmente affiancata all’attività di ricerca e ho spesso ritenuto doveroso intrecciare l’attività pedagogica col lavoro di palcoscenico, ossia coinvolgere i giovani nella fase di produzione. Il connubio è sempre risultato positivo per entrambe le parti in gioco: positivo per gli allievi che dal contatto diretto con l’esperienza in palcoscenico apprendono i segreti dell’arte nel suo stesso farsi, positivo per il teatro che dall’incontro con i giovani non può non ricevere importanti stimoli e sollecitazioni. Questo è un fatto per me fondamentale, diversamente non avrei motivo di avviare un processo così impegnativo. Dunque anche io mi aspetto qualcosa. Mi aspetto di ottenere un cambiamento, di sondare ciò che non conosco”. SCUOLA DI TEATRO DEL PICCOLO LINK UTILI: https://www.piccoloteatro.org/pages/scuola-di-teatro/introduzione-1 La Scuola di Teatro del "Piccolo", fondata da Giorgio Strehler nel 1986, è oggi intitolata a Luca Ronconi, che l'ha diretta dal 1999 fino alla sua scomparsa, il 21 febbraio 2015. Nel panorama dei progetti didattici d'arte drammatica in Italia, la nostra scuola si distingue perché, nei ventisei anni di lavoro nell'ambito di una prestigiosa istituzione culturale come il Piccolo Teatro, è diventata una parte integrante, una funzione del Teatro stesso.