ELETTROMAGNETISMO
convenzione: i simboli in grassetto vanno frecciati
Modulo 2 LE CORRENTI ELETTRICHE
Unità 1 La corrente elettrica
1.0 L‟invenzione della pila, nel 1799, segna una transizione epocale nello studio dei fenomeni
elettrici e nello sviluppo delle loro applicazioni pratiche. Prima di allora elettricità significava
cariche elettriche, che si ottenevano con appositi, e alquanto macchinosi, generatori elettrostatici,
ma soltanto in quantità limitate. Dopo di allora, invece, elettricità prese a significare correnti
elettriche, cioè flussi continui di cariche. Aprendo così la porta a un nuovo mondo di conoscenze
fisiche, che culmineranno con la teoria generale dell‟elettromagnetismo, e si manifesteranno con
una serie pressochè infinita di applicazioni pratiche, dal telegrafo a Internet, dall‟illuminazione
elettrica agli apparecchi elettrodomestici.
(una figura?)
1.1 Prime osservazioni sulla corrente elettrica
Perché una corrente elettrica, cioè un flusso ordinato di cariche, attraversi un corpo con continuità
si devono verificare tre condizioni. La prima è che nel corpo vi siano dei portatori di carica, cioè
particelle dotate di carica elettrica libere di muoversi al suo interno, e quindi il corpo deve essere un
conduttore elettrico. La seconda è che vi sia un campo elettrico che provochi il moto dei portatori.
E infine occorre che il conduttore sia inserito in un circuito chiuso, costituito da una catena
ininterrotta di conduttori a contatto fra loro.
Esaminiamo queste condizioni nel caso di una torcia elettrica ( figura 1). Le sue parti
essenziali sono la pila, l‟interruttore, alcuni conduttori metallici (che provvedono ai necessari
collegamenti) e la lampadina, che è il conduttore nel quale ci interessa che scorra la corrente. Tutti
questi oggetti, che conducono la corrente e sono in contatto l‟uno con l‟altro, formano un circuito,
che può essere “aperto” o “chiuso” azionando l‟interruttore. La pila è il dispositivo che provvede a
mantenere negli altri conduttori il campo elettrico necessario al passaggio della corrente. Fra i suoi
poli, infatti, vi è una differenza di potenziale pressochè costante, che si trasmette per contatto ai
conduttori ad essa collegati, nei quali si stabilisce pertanto il campo. Sicchè quando il circuito viene
chiuso vi scorre una corrente.
La figura 2 mostra schematicamente l‟andamento del potenziale elettrico nei vari punti del
circuito di fig.1, avendo fissato il livello di riferimento zero al polo negativo della pila. Il potenziale
ha il valore massimo in corrispondenza del polo positivo della pila e poi decresce lungo il resto del
circuito, fino ad annullarsi: le sue variazioni sono quasi inapprezzabili lungo i conduttori di
collegamento, mentre diventano rilevanti in corrispondenza della lampadina, nella quale, perché
scorra la corrente, è necessario un campo più intenso. Il grafico di figura 2 illustra anche il
funzionamento del circuito dal punto di vista energetico, supponendo che le cariche libere siano
positive (sappiamo tuttavia che, nei metalli, si tratta di elettroni carichi negativamente).
Attraversando la pila, cioè passando dal suo polo negativo a quello positivo, le cariche vengono
“sollevate” portandole a un potenziale positivo e pertanto acquistano energia potenziale: questo
lavoro viene svolto a spese dell‟energia chimica immagazzinata nella pila. Attraversando gli altri
conduttori, invece, le cariche “scendono” lungo il campo perdendo la loro energia, che si trasforma
in calore: il filamento della lampadina, infatti, si riscalda fino a emettere luce.
Nel circuito di figura 1 si riconoscono le parti essenziali di qualsiasi circuito elettrico. Esso
infatti comprende un generatore elettrico, un dispositivo di controllo e un dispositivo utilizzatore,
chiamato anche carico, nel quale l‟energia delle cariche che costituiscono la corrente viene
trasformata - in calore, in lavoro meccanico o in altre forme di energia – per svolgere un
determinato compito. In molti casi, in realtà, il generatore è esterno, si trova in una centrale
elettrica, e ad esso ci si collega attraverso una presa di corrente.
1
Contrariamente a quanto comunemente si crede, la corrente elettrica, quando svolge i suoi
compiti (come accendere una lampadina o azionare un motore), non si consuma. Per il semplice
motivo che essa è esattamente la stessa in ogni punto del circuito. Quello che ci fornisce l‟Enel, e
per cui paghiamo la bolletta, è l‟energia, trasportata dalla corrente, che noi utilizziamo, come si è
detto, attraverso opportune trasformazioni.
Gli effetti della corrente elettrica
Assai numerosi e vari sono gli effetti derivanti dal passaggio di una corrente elettrica. Tali effetti
hanno costituito e tuttora costituiscono un potente strumento di indagine nella ricerca fisica, e
rappresentano la base scientifica di un enorme numero di applicazioni pratiche. Queste ultime
riguardano l‟impiego dell‟elettricità sia come una forma di energia facilmente trasformabile in altre,
sia come uno strumento eccellente per elaborare informazioni e trasmetterle a distanza. La tabella
che segue elenca sinteticamente alcuni di questi effetti.
Tabella 1. Alcuni effetti della corrente elettrica
Si manifesta nella trasformazione di energia elettrica in energia termica, quando la
Effetto termico (effetto
corrente attraversa un conduttore ( § 12).
Joule)
L‟emissione di radiazioni visibili (luce), può manifestarsi per effetto termico, cioè da parte
Effetto luminoso
di corpi riscaldati a temperature sufficientemente elevate ( xxx), come nelle lampadine a
incandescenza, oppure da parte di atomi eccitati ( xxx), come nelle lampade a scarica,
nei diodi emettitori e nei laser.
Si manifesta quando un circuito è attraversato da corrente, producendo un campo
Effetto magnetico
magnetico (il circuito si comporta infatti come un magnete) ( Modulo 3, Unità 1).
Si manifesta quando un circuito è attraversato da corrente che varia rapidamente nel
Effetto elettromagnetico
tempo, producendo un campo elettromagnetico (il circuito si comporta cioè come una
o irraggiamento
antenna trasmittente, irraggiando energia) (Modulo 3, Unità 4).
Si manifesta per l‟azione di forze elettriche ( Modulo 1, Unità 1) oppure, come nei
Effetto meccanico
motori elettrici ( xxx), di forze magnetiche, con la trasformazione di energia elettrica in
energia meccanica.
Si tratta delle trasformazioni chimiche che subiscono determinate sostanze, quando sono
Effetto chimico
attraversate da una corrente ( Unità 2).
Si tratta degli effetti che provoca una corrente quando attraversa il corpo umano ( § 15)
Effetti fisiologici
Figura 1. a) Smontando un torcia elettrica si individuano le sue parti essenziali.
b) Le diverse parti elettriche della torcia sono collegate in modo da formare un
circuito chiuso. c) Schema elettrico del circuito: ogni elemento è rappresentato
con un apposito simbolo grafico.
(adattare da Mondo della Fisica, tomo B, pag. 365, aggiungendo la parte a) con
foto o disegno delle parti della torcia)
Figura 2. Andamento del potenziale delle cariche elettriche (supposte positive)
nel circuito di figura 1.
1.2 I portatori di carica nei metalli e il loro moto.
Le sostanze che conducono la corrente elettrica possiamo distinguerle in varie famiglie, a seconda
del tipo dei portatori di carica in esse presenti. Una di queste è la famiglia dei semiconduttori (
Tomo V, pag. xxx), nei quali alla conduzione elettrica provvedono sia elettroni, carichi
negativamente, sia “lacune”, cariche positivamente (queste ultime sono create da “elettroni
mancanti” che producono negli atomi un eccesso di cariche positive). Un‟altra è la famiglia delle
soluzioni elettrolitiche ( figura 3), dove i portatori di carica sono ioni, cioè atomi o gruppi di
atomi che hanno perso o acquistato elettroni, prodotti dalla dissociazione di molecole di sali, acidi o
basi quando queste sostanze vengono sciolte nell‟acqua. E ve ne sono altre ancora.
La categoria di conduttori più importante, tuttavia, è quella dei metalli, di cui ora ci
occupiamo. Essi sono i migliori conduttori di elettricità perché al loro interno vi sono
numerosissimi elettroni liberi, chiamati elettroni di conduzione: tipicamente un elettrone libero per
atomo. Ciò corrisponde, nel caso del rame, a circa 1029 elettroni/m3 ( Esempio 1).
2
In realtà in un atomo di metallo isolato anche gli elettroni esterni rimangono legati al nucleo.
La situazione, però, cambia drasticamente quando si considera un corpo metallico, cioè un
aggregato di atomi. E qui ricordiamo che i metalli hanno una struttura cristallina (più precisamente
microcristallina, come si può osservare al microscopio), con gli atomi, vicinissimi, disposti a
formare un reticolo regolare che si ripete sempre uguale. In una struttura di questo tipo gli elettroni
più esterni di ogni atomo sono soggetti anche alle forze elettriche esercitate dai nuclei e dagli
elettroni degli atomi circostanti: il risultato è che il legame fra un elettrone e il “suo atomo” si
indebolisce fortemente e viene vinto dall‟agitazione termica. Questi elettroni, così, diventano liberi
di muoversi all‟interno del cristallo, come le molecole di un gas in un contenitore, e si parla infatti
di gas di elettroni (o mare di Fermi, dal nome del fisico che per primo studiò questo argomento).
Essi, tuttavia, restano confinati nel metallo, grazie alle forze attrattive esercitate dall‟insieme degli
ioni positivi che ne costituiscono il reticolo cristallino.
Come si manifesta, in questa struttura, l‟agitazione termica? Gli ioni del metallo vibrano
attorno alle loro posizioni di equilibrio, mentre gli elettroni liberi si muovono a caso, seguendo
traiettorie a zig zag a seguito degli urti che subiscono con gli ioni del reticolo cristallino ( figura 4
a). Ma questo moto disordinato non costituisce una corrente
elettrica. Infatti, trattandosi di un moto casuale, il numero degli Notate che in un metallo gli elettroni,
anche in assenza di un campo
elettroni che all‟interno del metallo si spostano in un dato elettrico, si muovono spontanemente
senso è sempre uguale, in media, al numero di quelli che si a causa dell‟agitazione termica. Ciò
spostano nel senso opposto.
non avviene però allo zero assoluto.
Esempio 1. Calcoliamo il numero di elettroni liberi in 1 m3 di rame.
Sapendo che ogni atomo di rame libera un elettrone, il calcolo si riduce a quello del numero di
atomi contenuti in 1 m3 di rame. I dati necessari sono la densità del metallo, = 8,96103 kg/m3, che
rappresenta la massa di 1 m3 di rame, e la sua massa atomica, che troviamo nella tavola periodica
degli elementi a pag. xxx: mCu = 63,5 u = 63,51,6610-27 kg = 1,0510-25 kg. Il numero di atomi, e
quindi di elettroni liberi, in 1 m3 di rame è dunque: 8,96103 / 1,0510-25.= 8,531028.
Esempio 2. Calcoliamo l’energia cinetica e la velocità quadratica media degli elettroni liberi di
un metallo dovute all’agitazione termica.
Ammettiamo che gli elettroni liberi di un metallo si comportino come le molecole di un gas perfetto
e che il metallo, cioè sistema costituito dagli elettroni e dagli ioni del reticolo, si trovi in condizioni
di equilibrio termodinamico a una data temperatura T. In tal caso l‟energia cinetica media degli
elettroni ( xxx) è: Ec = ½ me vqm2 = 3/2 kT
dove me è la massa dell‟elettrone, vqm2 la velocità quadratica media (cioè la media dei quadrati delle
velocità) degli elettroni e k la costante di Boltzmann. Alla temperatura ambiente di 20 C (T = 293
K) si ha: Ec = 3/2 kT = 1,51,3810-23293 = 6,0710-21 J = 6,0710-21/1,610-19 eV = 0,038 eV.
Dall‟espressione dell‟energia cinetica si ricava la velocità quadratica media, che a temperatura
ambiente vale: vqm = (3kT/me)1/2 = (31,3810-23293/9,1110-31)1/2 = 1,15105 m/s
Approfondimento 1. Il rumore termico: la “voce” degli elettroni.
Abbiamo appena detto che il numero degli elettroni che in un metallo, a causa dell‟agitazione
termica, si spostano in un dato senso è uguale, in media, al numero di quelli che si spostano nel
senso opposto. In media certamente, ma non esattamente a ogni istante di tempo.
Ciò ha importanti conseguenze. Per fissare le idee, consideriamo un conduttore filiforme che
immaginiamo suddiviso in due parti uguali. Ad ogni istante il numero degli elettroni che, a seguito
del loro moto casuale, si trovano in una metà non sarà esattamente uguale al numero di quelli che si
trovano nell‟altra metà. Si determina così uno squilibrio di carica, che si manifesta in una differenza
di potenziale fra le due estremità del filo. Questa differenza di potenziale, che è tanto maggiore
quanto più elevata è la temperatura del metallo (si annulla solo allo zero assoluto), varia nel tempo
con andamento casuale: in media è nulla ma non lo è istante per istante. Tale tensione prende il
3
nome di rumore termico e il fenomeno è di grandissima importanza, concettuale e pratica, per i
due motivi seguenti. Il rumore rappresenta un limite per la precisione delle misure fisiche perché
contribuisce agli errori casuali ( xxx); ciò risulta evidente considerando la misura della tensione
ai capi di un conduttore, ma il fenomeno è di natura assai più generale. Il rumore termico inoltre
pone un limite alla trasmissione di segnali elettrici attraverso il metallo, e più in generale attraverso
qualsiasi conduttore, perché si somma al segnale utile, sovrapponendosi ad esso fino, a volte, a
renderlo irriconoscibile. Ciò avviene, per esempio, quando il segnale televisivo è debole e sullo
schermo appare la cosidetta “neve”, che rappresenta appunto l‟effetto del rumore nei circuiti del
televisore. Quando poi sintonizziamo una radio a una frequenza a cui non opera nessuna stazione
trasmittente, udiamo un caratteristico fruscio, che rappresenta la “voce” degli elettroni dei
conduttori che costituiscono i circuiti del ricevitore.
Che succede, ora, se applichiamo una differenza di potenziale costante fra gli estremi di un
conduttore, stabilendo un campo elettrico E al suo interno? Il conduttore non si troverà più in
equilibrio elettrostatico e verrà attraversato da una corrente elettrica. A livello microscopico, infatti,
gli elettroni liberi si spostano perché soggetti al campo, che esercita su ciascuno di essi una forza
costante nel tempo:
Un campo elettrico all‟interno di un
(1)
Fel = -eE
conduttore? Non stiamo violando qualche
regola? Assolutamente no. Perché
l‟equipotenzialità dei conduttori vale in
elettrostatica, in assenza di correnti elettriche.
Questa forza, per il secondo principio della
dinamica, provoca un moto uniformenente accelerato, che si sovrappone, per il principio di
indipendenza dei movimenti, al moto casuale dovuto all‟agitazione termica. Gli elettroni, però, non
si muovono nel vuoto. Nelle loro traiettorie, infatti, essi sono soggetti a urti con il reticolo, ciascuno
dei quali ne modifica la velocità in modulo, direzione e verso, dando luogo a trasferimenti di
energia fra gli elettroni e i nuclei. E questi urti sono frequentissimi perché gli elettroni si muovono a
velocità assai elevate, dell‟ordine di 105 m/s, e gli ioni del reticolo sono vicinissimi fra loro, a
distanze dell‟ordine di 10-10 m.
L‟effetto frenante complessivo degli urti è equivalente a quello di una forza di attrito che
agisce sugli elettroni, analoga alla resistenza del mezzo, con intensità proporzionale alla velocità,
che incontra un corpo in moto in un fluido. Il risultato è che si raggiunge quasi immediatamente una
situazione stazionaria il cui gli elettroni hanno una velocità media vd proporzionale all‟intensità
della forza elettrica e quindi del campo
La formula (2) risulterebbe particolarmente gradita ad
(che cosa penserebbe di ciò Aristotele?), Aristotele, secondo il quale la velocità di un corpo era
chiamata velocità di deriva:
direttamente proporzionale alla forza ad esso applicata. Cosa
(2)
vd = E
che avviene effettivamente quando gli effetti degli attriti sono
dominanti, come sa bene qualsiasi asino che tira un carretto.
dove
la
costante

rappresenta la mobilità degli
elettroni nel metallo. In
conclusione, si ha un moto
ordinato di cariche, chiamato
moto
di
deriva,
che
costituisce
una
corrente
elettrica.
Figura 3. Da trovare, immagine al
microcristallo metallico.
microscopio atomico di un
Figura 4. a) La traiettoria di un elettrone libero in un metallo, nel suo moto di agitazione termica, subisce brusche
variazioni a causa delle interazioni con gli ioni positivi del reticolo cristallino. b) In presenza di un campo elettrico, agli
4
spostamenti irregolari del moto termico (linea blu) si sommano quelli del moto regolare di deriva dovuto al campo, in
senso opposto a quello del campo, determinando così la traiettoria effettiva (linea rossa).
1.3 Intensità e verso della corrente elettrica
Una corrente elettrica è costituita, come si è detto, da un flusso ordinato di cariche elettriche. La
grandezza essenziale che caratterizza una corrente elettrica è la sua intensità, una grandezza scalare
analoga alla portata di un flusso d‟acqua. L’intensità di una corrente elettrica attraverso un
conduttore è definita dal rapporto fra la quantità di carica che passa attraverso una qualsiasi
sezione trasversale del conduttore in un intervallo di tempo t e l’intervallo stesso:
(3)
i = Q/t
Alla corrente contribuiscono tutti i portatori di carica in moto: elettroni nei conduttori metallici, ioni
positivi e negativi nelle soluzioni elettrolitiche, elettroni e lacune nei semiconduttori, ... In una
soluzione elettrolitica, per esempio, la corrente si calcola sommando le cariche trasportate in un
verso dagli ioni positivi e quelle trasportate nel senso opposto da quelli negativi. La corrente
elettrica si misura con strumenti chiamati amperometri, di cui ci occuperemo nel paragrafo 9.
Nel sistema SI l‟unità di misura della corrente è l‟ampere (A), chiamato così in onore del
fisico francese André Marie Ampère (1775-1836) i cui studi sugli effetti magnetici della corrente
costituiscono la base per la definizione operativa di questa unità ( pag. xxx). Si tratta di un‟unità
importante perchè è una grandezza fondamentale del sistema SI: dall‟ampere derivano infatti le
unità delle altre grandezze elettriche e di quelle magnetiche.
La definizione dell‟unità di carica elettrica (il coulomb) è legata a quella dell‟ampere. Infatti
si pone:
1A=1C/1s
E quindi 1 coulomb è la carica trasportata da una corrente di 1 ampere in 1 secondo.
Per fissare le idee, diciamo che le correnti che alimentano gli apparecchi elettrici di casa
hanno intensità dell‟ordine dell‟ampere (da frazioni di ampere, i più sobri, fino ad alcuni ampere, i
più voraci, come le stufe elettriche o gli scaldabagni). Correnti assai più intense (attorno a 1000 A)
sono necessarie per azionare i locomotori elettrici; ancora più intense (fino a 100000 A) sono quelle
che si possono raggiungere nelle scariche elettriche dei fulmini, che durano però soltanto per tempi
brevissimi (frazioni di millesimo di secondo). Assai meno intense, invece, sono generalmente le
correnti usate come supporto di segnali, cioè per trasmettere o elaborare informazioni. Un tipico
microprocessore, per esempio, può assorbire 10 ampere, ma il chip può contenere un miliardo di
transistori, sicché ciascuno di questi viene alimentato con correnti dell‟ordine dei miliardesimi di
ampere. Hanno intensità bassissima anche le correnti che trasportano i segnali nei neuroni del
nostro sistema nervoso.
Esempio 3. Calcoliamo la velocità di deriva degli elettroni in un conduttore.
Vogliamo calcolare la velocità di deriva degli elettroni in un filo di rame con sezione di 1 mm2
attraverso il quale scorre una corrente di intensità 1 A. Consideriamo un cilindretto costituito da un
tratto di filo lungo 1 mm, nel quale si trovano ( Esempio 1) n = 8,531028(1mm3/1 m3) =
8,531019 elettroni di conduzione. Una corrente con intensità di 1 ampere corrisponde al passaggio
di 1 C, cioè 1/1,610-19 = 6,251018 elettroni, al secondo. Il tempo necessario perché tutti gli elettroni
contenuti nel cilindretto percorrano 1 mm, cioè passino attraverso la sezione del filo che ne
costituisce la base, è t = 8,531019/6,251018 = 13,6 s. Quindi la velocità di deriva degli elettroni è
vd = 1 mm/13,6 = 7,3510-5 m/s. Noterete che questa velocità è estremamente più piccola (nove
ordini di grandezza!) di quella del moto di agitazione termica a temperatura ambiente che abbiamo
calcolato nell‟Esempio 2.
5
Ma se la velocità di deriva degli elettroni è così bassa, come è possibile che un segnale
telefonico viaggi a velocità prossima a quella della luce?
La risposta è semplice. L‟elettrone che parte da un telefono a Roma non è lo stesso che arriva a
Milano, sennò ci metterebbe un tempo veramente enorme (provate a calcolarlo con i dati
dell‟Esempio 3). Quello che si propaga lungo la linea telefonica fra le due città è il campo elettrico,
che mette in moto gli elettroni liberi presenti nei conduttori che la costituiscono. Tutto avviene
come quando colleghiamo a un rubinetto aperto un estremo di lunga conduttura piena d‟acqua, e
l‟acqua esce quasi istantaneamente dall‟altro estremo.
E‟ importante osservare che la definizione precedente (3) vale quando il flusso delle cariche
è uniforme e di conseguenza l‟intensità della corrente è costante nel tempo: si parla allora di
corrente continua. In tal caso la quantità di carica che attraversa il conduttore non dipende
dall‟intervallo di tempo considerato, ma soltanto dalla sua durata t, e quindi la scelta
dell‟intervallo è ininfluente. In generale, tuttavia, la corrente può essere prodotta da un flusso di
cariche non uniforme e quindi cambiare di intensità da istante a istante: si parla allora di corrente
variabile. Per l‟intensità di una corrente variabile nel tempo occorre una diversa definizione,
analoga a quella usata per la velocità istantanea di un moto non uniforme. Si considera infatti, a
ciascun istante di tempo t, la quantità di carica Q che passa in un intervallino di durata
estremamente breve fra t e t+t. Passando al limite per t tendente a zero, si ha:
(4)
dQ
i t  
dt
Il procedimento seguito per ottenere la formula (4)
è del tutto analogo a quello usato in meccanica per
definire la velocità istantanea, come derivata dello
spostamento rispetto al tempo.
Cioè l‟intensità di corrente istantanea è la derivata della carica (che attraversa una qualsiasi sezione
trasversale del conduttore) rispetto al tempo.
Il verso della corrente elettrica
Il verso di una corrente elettrica è stabilito come quello che va dai punti a potenziale più alto ai
punti a potenziale più basso e corrisponde quindi al senso in cui si muoveono i portatori di carica
positiva. Nei conduttori metallici, quindi, il verso convenzionale della corrente è opposto a quello in
cui si muovono gli elettroni. Questa scelta, che nel caso dei metalli risulta alquanto scomoda, risale
all‟Ottocento, prima della scoperta dell‟elettrone. E‟ vero che successivamente si sarebbe potuto
cambiare la scelta, definendo positiva la carica dell‟elettrone e negativa quella opposta, ma è chiara
la convenienza pratica di mantenere la vecchia convenzione; che del resto ha soltanto lo scopo di
fissare le idee nello studio dei circuiti.
Approfondimento 2. L’elettricità naturale.
Il medico bolognese Luigi Galvani, collegando al corpo di una rana spellata gli estremi di un “arco
metallico” costituito da una sbarretta di rame e una di zinco, osservò che i muscoli dell‟animale
subivano una contrazione. E allora attribuì il fenomeno all‟elettricità naturale dell‟animale. Ma in
seguito Alessandro Volta dimostrò che questa interpretazione non era corretta (Unità2, pag.xxx).
Galvani, tuttavia, non aveva completamente torto. Studi successivi, infatti, dimostrarono che
tutti gli animali sono sede di attività elettriche naturali. Il nostro cuore, per esempio, funziona grazie
a impulsi elettrici che ne stabiliscono il ritmo; un dispositivo artificiale, il segnapassi cardiaco o
pacemaker, viene impiantato all'interno del corpo quando gli impulsi naturali risultano insufficienti.
Anche il funzionamento del cervello, come di tutto il sistema nervoso, è basato sulla trasmissione e
sulla elaborazione di segnali elettrici: senza di essi le informazioni raccolte dagli organi di senso
(l'occhio, l'orecchio, …) non potrebbero raggiungere il cervello, e sarebbe anche impossibile
azionare i muscoli. In alcune specie animali, inoltre, si sono sviluppati dei particolari organi
elettrici: nei pescecani, per esempio, per rivelare la presenza di prede grazie ai campi elettrici
6
generati da esse; in altri pesci, come i pesci torpedine o le cosidette "anguille elettriche", per
generare impulsi elettrici con cui stordire le prede o difendersi dai predatori.
Anche molte tecniche usate dai medici a scopo diagnostico sono basate proprio su misure
dei segnali elettrici corporei: cardiaci (elettrocardiografia), cerebrali (elettroencefalografia),
muscolari (elettromiografia).
Figura 5. La velocità di deriva degli elettroni in un filo metallico percorso da corrente si può calcolare considerando un
tratto di filo di lunghezza data, valutando quanti elettroni liberi vi sono contenuti e quanto tempo occorre perché questi
ne escano.
(adattare da Amaldi, La Fisica. vol. 3, pag. 148)
Figura 6.
figura di pesce elettrico con dida appropriata
1.4 La prima legge di Ohm
Esperimento 1. Le lampadine oppongono resistenza al passaggio della corrente elettrica.
Procuratevi il seguente materiale: una pila da 4,5 volt e una da 9 volt, due lampadine da 4,5 volt con
relativi portalampada e cavetti per i collegamenti (meglio se dotati di “coccodrilli” per facilitare le
connessioni).
1. Realizzate il circuito rappresentato nella parte a) della figura 7. La lampadina si accenderà
brillando normalmente.
2. Realizzate il circuito rappresentato nella parte b) della figura. Le lampadine si accenderanno
entrambe, questa volta però emettendo una luce piuttosto debole.
3. Sostituite la pila da 4,5 V con quella da 9 V nel circuito precedente (parte c) della figura). Le
lampadine brilleranno entrambe normalmente, come nella prova 1.
Se disponete di un tester, usatelo come amperometro per misurare l‟intensità delle corrente erogata
dalla pila nelle tre prove, verificando le conclusioni tratte nel testo che segue.
Nell‟esperimento precedente abbiamo usato le lampadine come indicatori dell‟intensità della
corrente. Ammettendo che la luce che esse emettono sia tanto più intensa quanto più intensa è la
corrente che le attraversa, possiamo concludere che la corrente nel circuito era la stessa nelle prove
1 e 3, mentre nella prova 2 era più debole. Ma perché la corrente nella prova 2 era più debole che
nella 1? Ciò si spiega ammettendo che una lampadina opponga una certa resistenza al passaggio
della corrente, e quindi due lampadine offrano una resistenza maggiore di quella di una lampadina,
riducendo di conseguenza, a parità di tensione applicata totale, l‟intensità della corrente che vi
scorre. Il risultato della prova 3, infine, mostra che per vincere la resistenza doppia, offerta dalle
due lampadine, occorre usare una pila di tensione doppia.
Studiando sperimentalmente la relazione fra l‟intensità della corrente che scorre in un
conduttore e la differenza di potenziale ai suoi estremi si è trovato che nei conduttori metallici
l’intensità della corrente e la tensione sono legate da una relazione di proporzionalità diretta.
Questa legge, chiamata prima legge di Ohm, fu stabilita nel 1827 dal fisico tedesco Georg Simon
Ohm (1787-1854), traendo ispirazione dalla legge di Fourier sulla conduzione del calore ( Tomo
II, pag. xxx). In formula, indicando la differenza di potenziale con il simbolo V, come si usa
correntemente, e l‟intensità della corrente con i:
Una simulazione interattiva della legge di Ohm? Al sito:
(5)
V=Ri
http://ww2.unime.it/dipart/i_fismed/wbt/ita/kim/ohm/ohm_ita.htm

dove la costante R è una grandezza caratteristica del conduttore, che dipende dalla sua forma, dal
metallo di cui è fatto e dalla sua temperatura ( §6). Questa grandezza prende il nome di
resistenza elettrica e nel sistema SI si misura in ohm (). Dalla formula (3) si ricava:
1=1V/1A
7
cioè 1 ohm è la resistenza di un conduttore che è percorso da una corrente di 1 ampere quando la
tensione ai suoi terminali è di 1 volt.
In realtà la proporzionalità diretta fra intensità di corrente e tensione non è verificata
soltanto per i conduttori metallici, ma anche per altre categorie di conduttori, come le soluzioni
elettrolitiche e i semiconduttori omogenei, che perciò sono chiamati in generale conduttori ohmici.
La resistenza di un conduttore ohmico si può misurare applicando ai suoi estremi una
tensione nota (V), misurando l‟intensità della corrente (i) che lo attraversa e utilizzando quindi la
formula (3) scritta nella forma R = V/i. Esistono appositi strumenti, chiamati ohmetri , che svolgono
direttamente queste operazioni. Ma in pratica si usano come ohmetri gli strumenti universali ( §
11).
Esempio 4. Determiniamo la resistenza di un conduttore ohmico.
Misurando la corrente che attraversa un conduttore ohmico e la tensione ai suoi estremi otteniamo i
seguenti risultati: i = 10 mA, V = 25 volt. Applicando la prima legge di Ohm concludiamo pertanto
che la resistenza del conduttore è: R = V/i = 25/0,01 = 2500 .
Approfondimento 3. Causa ed effetto nella legge di Ohm.
Potremmo esprimere la prima legge di Ohm dicendo che l‟intensità della corrente in un conduttore
ohmico è direttamente proporzionale alla tensione applicata ai suoi terminali: i = V/R.
Implicitamente ammettendo che la tensione applicata al conduttore rivesta il ruolo di causa e la
corrente che vi scorre ne sia l‟effetto. Oppure potremmo dire che la tensione che si stabilisce ai capi
del conduttore è direttamente proporzionale all‟intensità della corrente che vi facciamo scorrere: V
= R i. Questa volta ammettendo che la corrente rivesta il ruolo di causa e la tensione ne sia l‟effetto.
In realtà sono possibili entrambe le situazioni. Infatti, se colleghiamo il conduttore a un
generatore di tensione costante, che stabilisce cioè ai suoi terminali una data differenza di
potenziale, la tensione è la causa che produce la corrente. Ma se, invece, colleghiamo il conduttore
a un generatore di corrente costante, che eroga cioè una data corrente, sarà la corrente che,
attraversando il conduttore, produce ai suoi estremi la differenza di potenziale.
In generale non ha senso domandarsi quale delle due grandezze sia la causa e quale l‟effetto.
Infatti la legge di Ohm si limita a stabilire che esiste una relazione, chiamata relazione costitutiva,
di proporzionalità diretta fra l‟intensità della corrente che attraversa il conduttore e la tensione fra i
suoi terminali.
E i conduttori non ohmici? Essi vengono caratterizzati, in generale, attraverso la relazione
fra l‟intensità (i) della corrente che vi scorre e la tensione (V) ai loro terminali. Che può essere
stabilita teoricamente in forma analitica oppure ricavata sperimentalmente facendo variare la
tensione applicata al conduttore e misurando la corrente, in modo da ottenere la cosidetta curva
caratteristica i-V (figura 8). Per i conduttori non ohmici, naturalmente, non ha senso definire una
resistenza come rapporto fra tensione e corrente.
1.5 I resistori
I conduttori ohmici costruiti in modo da presentare un determinato valore di resistenza si chiamano
resistori (a volte chiamati anche “resistenze”, ma impropriamente) e negli schemi elettrici si
rappresentano con il simbolo grafico
.
Sono disponibili resistori con una gamma vastissima di valori di resistenza, da frazioni di
ohm a miliardi di ohm, realizzati con varie tecniche. I valori più bassi si ottengono utilizzando fili
metallici oppure depositando sottili strati di metallo su un supporto isolante; i valori più alti
pressando ad alta temperatura polveri conduttrici e isolanti opportunamente dosate.
Oltre ai resistori fissi si impiegano anche vari tipi di resistori variabili (figura 10), che sono
dotati di un cursore (un contatto mobile) la cui posizione ne determina il valore di resistenza. Un
tipico resistore variabile è costituito da una bobina di filo conduttore, sulla quale scorre il contatto
8
mobile in modo da variare la lunghezza del filo, e quindi la sua la resistenza, che si trova fra un
estremo del filo e il contatto.
Figura 7. a) La lampadina si accende normalmente; b) Le due lampadine si accendono, ma emettono una luce piuttosto
debole; c) Le due lampadine si accendono entrambe normalmente, emettendo luce come in a).
(Adattare da Il mondo della fisica, vol. B, pag. 372)
Figura 8. Curve caratteristiche corrente-tensione di
alcuni conduttori, attribuendo un segno positivo o
negativo alla corrente a seconda del senso in cui
essa scorre. a) La curva caratteristica dei conduttori
ohmici è sempre una retta passante per l‟origine
(dove a tensione zero corrisponde corrente zero),
indicando la proporzionalità fra corrente e tensione;
b) La curva caratteristica di un diodo a giunzione è
rappresentata analiticamente dalla relazione i = i0
(exp(V/kT) –1): si ha una corrente apprezzabile
soltanto quando la tensione è positiva; c) La curva
caratteristica di una lampadinetta al neon indica che
la corrente è trascurabile fintanto che il valore
assoluto della tensione applicata è inferiore a un
valore di soglia, oltre il quale la corrente aumenta
rapidamente perché nel gas s‟innesca una scarica
(questa volta, come nel caso di un conduttore
ohmico, la corrente può scorrere in entrambi i
sensi); d) La curva caratteristica di un arco elettrico
( Unità 2) presenta una particolarità: quale?
Figura 9. L‟industria produce una grande varietà di resistori, che differiscono per i valori di resistenza, per la potenza
che possono dissipare, e anche per l‟accuratezza del valore della resistenza.
(Fotografia di vari tipi di resistori)
Figura 10. I resistori variabili (a) sono usati in molti impieghi pratici. Uno di questi è
il controllo del volume nelle radio e nei televisori (b). In questo impiego il resistore
variabile, che prende il nome di potenziometro, è usato come partitore di tensione, per
attenuare la tensione che rappresenta il segnale. Se la tensione d‟ingresso è V, quella
V‟ d‟uscita è una frazione di V proporzionale alla frazione di resistenza inserita fra il
contatto mobile e il conduttore di terra.
(a) fotografia di un reostato, b) schizzo a fianco)
1.6 La resistività e la seconda legge di Ohm
La resistenza che offre un tubo al passaggio dell‟acqua è certamente tanto maggiore quanto più il
tubo è lungo e stretto. Lo stesso si verifica per la dipendenza della resistenza elettrica dalla forma di
un conduttore ohmico. Più precisamente, a seguito di una serie di esperimenti, Ohm stabilì
(seconda legge di Ohm) che la resistenza di un filo conduttore (o comunque di un conduttore
ohmico a sezione costante) è direttamente proporzionale alla sua lunghezza L e inversamente
proporzionale alla sua sezione S. In formula:
(6)
R = L/S
dove la costante  prende il nome di resistività e dipende dalle proprietà del materiale di cui è fatto
il conduttore (tabella 2) e dalla sua temperatura. La resistività si misura in unità di ohmmetro (
m), come si può dedurre dalla formula (6), sebbene spesso, per facilitare i calcoli pratici, si utilizzi
l‟unità  mm2/m (il valore numerico della resistività di un metallo in tale unità rappresenta infatti la
resistenza in ohm di un filo di quel metallo lungo 1 m con sezione di 1 mm 2).
La definizione di questa grandezza consente di porre in termini quantitativi la distinzione
fra conduttori e isolanti elettrici (molti dei quali presentano un comportamento
9
approssimativamente ohmico). La figura 11 mostra in particolare che fra i migliori conduttori e i
migliori isolanti la resistività varia di oltre 20 ordini di grandezza.
Tabella 2. Resistività di alcuni metalli e leghe metalliche (a 20 C)
Metallo o lega
 ( m)  ( mm2/m)
Esempio 5. Calcoliamo la resistenza di 10 km di argento
0,016
1,610-8
linea elettrica.
-8
rame
0,017
1,710
Consideriamo un tratto lungo 10 km di una linea oro
0,022
2,210-8
elettrica per il trasporto a distanza dell‟energia alluminio
0,028
2,810-8
elettrica, che è costituita da conduttori di alluminio ferro
0,10
1010-8
0,45
con sezione di 2,5 cm2. La resistività dell‟alluminio costantana
4,510-7
-7
2
acciaio
inossidabile
 7,210
 0,72
(tabella 2) = 0,028  mm /m. La lunghezza totale
1,1
1,110-6
dei conduttori è L = 20 km = 20000 m; la sezione è nichel-cromo
2
2
S = 2,5 cm = 250 mm . Utilizzando la formula (6) si ha pertanto R = L/S = 0,02820000/250 =
2,24 .
Esperimento 2. La resistenza di una lampadina è molto minore del previsto.
Procuratevi una lampadinetta e uno strumento universale (cioè un tester  § 11).
1. Leggete i dati incisi sulla ghiera della lampadinetta. Troverete scritto, per esempio: 12 V 0,25 A.
Ciò significa che la sua resistenza elettrica è R = 12/0,25 = 48 .
2. Misurate con lo strumento la resistenza della lampadina. Troverete certamente un valore assai
inferiore, per esempio 5 , con una discrepanza che non si può certamente attribuire all‟errore di
misura.
Il fabbricante ha inserito dati errati? La nostra misura è completamente sbagliata per qualche
motivo? Oppure c‟è dell‟altro?
Per spiegare lo “strano” risultato dell‟esperimento precedente occorre riflettere sul fatto che quando
la lampadina si accende il suo filamento diventa incandescente, cioè si porta a una temperatura assai
alta (attorno a 2700C). Orbene, come avevamo già detto, la resistenza di un conduttore dipende
dalla temperatura. Più precisamente, essa aumenta con la temperatura. Ciò perché all‟aumentare
della temperatura cresce l‟ampiezza delle vibrazioni degli ioni che costituiscono il reticolo
cristallino del cristallo, sicchè gli urti con gli elettroni liberi diventano più frequenti. Ciò ostacola
maggiormente il moto di deriva degli elettroni. E di conseguenza la resistenza elettrica aumenta.
Concludiamo allora che la resistività dei metalli aumenta al crescere della temperatura.
Siccome la legge di variazione è approssimativamente lineare in un vasta gamma di temperature,
ogni metallo è caratterizzato da un coefficiente di temperatura della resistività, con valori
tipicamente compresi fra 3 e 5 parti per mille per grado (per esempio, un aumento della temperatura
di 30 C provoca un aumento delle resistività, e quindi della resistenza, di circa il 10%). E ciò
suggerisce immediatamente l‟idea di usare un conduttore metallico come termometro ( La Fisica
della tecnologia 1).
Altri tipi di conduttori presentano comportamenti diversi. Nei semiconduttori, per esempio,
all‟aumentare della temperatura la resistività diminuisce anzichè aumentare, e lo stesso avviene per
altri materiali, fra cui il carbone. Alcuni metalli, poi, portati a temperature bassissime presentano
un fenomeno particolarissimo e veramente straordinario: la resistività si annulla sicché la loro
resistenza elettrica diventa esattamente zero. Di questo fenomeno, che prende il nome di
superconduttività, ci occuperemo in seguito ( Tomo V, pag …) dato che la sua interpretazione è
basata sulla meccanica quantistica.
La Fisica della tecnologia 1. I sensori resistivi.
Nella scienza e nella tecnica conviene spesso ricondurre misure di grandezze non elettriche
a quelle di grandezze elettriche (correnti, tensioni, resistenze, ...). Per questo sono assai utili i
10
dispositivi, chiamati trasduttori o sensori, che sfruttano la dipendenza dei parametri elettrici di
determinati materiali dalla temperatura, dall‟intensità della luce o da altre grandezze non elettriche.
Vi sono sensori resistivi, per esempio, che permettono di eseguire misure della temperatura o
dell‟allungamento di un corpo, traducendo le variazioni di queste grandezze in variazioni della loro
resistenza e fornendo così in uscita un segnale elettrico, facilmente rivelabile e manipolabile.
I misuratori di allungamento, chiamati estensimetri, utilizzano la variazione di resistenza
che subisce un conduttore quando viene allungato, come stabilisce la seconda legge di Ohm. Infatti
quando un conduttore di lunghezza L e sezione costante S viene stirato, la sua lunghezza aumenta di
L e la sua sezione diminuisce di S (queste due grandezze sono generalmente legate fra loro dato
che in prima approssimazione il volume del conduttore resta costante). Di conseguenza, chiamando
R la resistenza del conduttore in condizioni normali, quella del conduttore allungato diventa R+R
=  (L+L)/(S+S), cioè aumenta dato che L ha segno positivo e S segno negativo. E quindi
dalla variazione della resistenza si può ottenere l‟allungamento L che l‟ha provocata. E‟ poi chiaro
che misure di allungamento (oppure di accorciamento) consentono di eseguire misure indirette di
altre grandezze fisiche. Sapreste immaginare l‟uso di questi dispositivi per realizzare una bilancia?
Un altro tipo di sensori resistivi sono i termometri elettrici a resistenza, che sfruttano le
variazioni con la temperatura della resistività dei metalli, traducendo così le variazioni di
temperatura in variazioni di resistenza. Essi permettono di misurare temperature più alte o più basse
dei termometri a mercurio. Negli esposimetri delle macchine fotografiche si usano poi delle
fotoresistenze, fatte di materiali la cui resistività è inversamente proporzionale all‟intensità della
luce che li colpisce, traducendo così in variazioni di resistenza le variazioni di illuminazione. Fra i
sensori resistivi rientrano anche i microfoni a carbone usati negli apparecchi telefonici fissi. Sul
principio di funzionamento di questi dispositivi informatevi voi stessi.
Esempio 6. Calcoliamo la temperatura di un forno elettrico con un termometro al platino.
I termometri al platino sono usati per misurare temperature relativamente alte, sfruttando le
variazioni di resistività di questo metallo, che sono approssimativamente proporzionali alle
variazioni di temperatura. A temperatura ambiente (293 K) si ha: 293 = 1,0610-7 m, con un
coefficiente di temperatura di Pt = 3,9310-3 K-1. Supponiamo che la resistenza del termometro a
questa temperatura sia R = 15,1 . Vogliamo determinare la temperatura T di un forno elettrico
quando la resistenza del termometro è R‟ = 40,2 .
Dato che la resistenza di un conduttore metallico è direttamente proporzionale alla resistività
del metallo, e questa si rappresenta in funzione della temperatura nella forma: T =293(1 + (T –
293)), avremo: R‟ = R(1+(T–293)), cioè 16,2 = 15,1(1+3,9310-3 (T-293)). Risolvendo
l‟equazione, si ha: T = 716 K.
Figura 11. Resistività di alcune sostanze a temperatura ambiente, in scala logaritmica. Si nota che nel grafico i
conduttori metallici sono molto raggruppati e ben separati dagli isolanti. Caratteristiche intermedie presentano altre
sostanze, fra le quali rientrano i semiconduttori.
(Adattare da Amaldi, La Fisica, vol. 3, pag. 150, modificata come segue; a) sostituendo la scritta conduttori metallici
con metalli; b) eliminando le sostanze Cu2O, ZnO, ambra; c) aggiungendo le seguenti sostanze, non raggruppate con
altre: carbone 510-5 , soluzione satura di NaCl 0,044, sangue 1,5, grasso 25; d) aggiungendo la seguente sostanza
raggruppata con gli isolanti: polietilene 3109)
Figura 12. Dipendenza dalla temperatura della resistività di alcuni metalli. Due osservazioni: 1) gli andamenti sono
molto simili, a parte un fattore di scala, indicando che i coefficienti di temperatura di questi metalli sono molto
prossimi; 2) le curve non si discostano molto da delle rette, indicando che le variazioni della resistività sono
approssimativamente proporzionali alle variazioni della temperatura.
(adattare da Hecht, pag. 629, eliminando lo zinco e il ferro)
Figura 13. Fotografia di una fotoresistenza o di un estensimetro con dida da fare.
11
1.7 Collegamento in serie e in parallelo.
Quando si guasta una lampadinetta dell‟albero di Natale si spengono anche tutte le altre.
Questo avviene perché esse sono collegate in serie, cioè una di seguito all‟altra, in modo da essere
attraversate dalla stessa corrente ( figura 14). Sicché quando si brucia il filamento di una di esse è
come se venisse aperto un interruttore: il circuito s‟interrompe e non passa più corrente. In generale,
due o più elementi di circuito sono collegati in serie quando sono attraversati dalla stessa corrente.
Sono invece collegati in parallelo gli apparecchi elettrici di casa ( figura 15), in modo da
essere tutti alimentati dalla stessa tensione: ciascuno di essi è collegato indipendentemente alla rete
elettrica sicché essi possono essere accesi o spenti senza influire l‟uno sull‟altro (a meno che non se
ne accendano troppi contemporaneamente e allora interviene il limitatore di corrente dell‟impianto
elettrico, il quale ...). In generale, due o più elementi di circuito sono collegati in parallelo quando
la tensione ai loro estremi è la stessa.
Resistori in serie
Disponiamo in serie due resistori, rispettivamente di resistenza R 1 ed R2, e poi li
colleghiamo a un generatore di tensione V, come mostrato nella parte a) della figura 16. Vogliamo
calcolare l‟intensità i della corrente che li attraversa. Per ricavarla, applichiamo a ciascun resistore
la prima legge di Ohm. Chiamando i l‟intensità di corrente incognita, la tensione ai capi del primo
sarà V1 = R1 i; quella ai capi del secondo, V2 = R2 i. Ora la tensione V che il generatore stabilisce fra
i punti A e B del circuito è evidentemente la stessa che è applicata all‟insieme dei due resistori e
quindi è pari alla somma delle tensioni ai capi dei due elementi, cioè V = V1+V2. Sostituendo in tale
relazione le espressioni delle tensioni ricavate prima si ha: V = R1 i + R2 i. Da cui si ricava:
i = V/(R1 + R2)
Esaminando questa formula, si osserva che i due resistori in serie si comportano come un unico
resistore, un resistore equivalente, di resistenza Rs = R1 + R2, cioè pari alla somma della due
resistenze. Tale risultato può essere facilmente generalizzato per stabilire che la resistenza
equivalente di n resistori collegati in serie è uguale alla somma delle loro resistenze:
(7)
Rs = R1 + R2 + ... + Rn
Questa resistenza equivalente, ovviamente, è sempre maggiore della resistenza più alta di ciascuno
dei resistori collegati in serie.
Resistori in parallelo
Disponiamo in parallelo due resistori, rispettivamente di resistenza R1 ed R2, e poi li colleghiamo a
un generatore di tensione V come mostrato nella parte b) della figura 16. Vogliamo calcolare
l‟intensità i della corrente totale erogata dal generatore, che è data dalla somma delle correnti che
attraversano i due resistori: i = i1 + i2. Per ricavare le correnti i1 e i2 , applichiamo a ciascun resistore
la prima legge di Ohm. L‟intensità della corrente che attraversa il primo è i1 = V/R1; quella della
corrente attraverso il secondo, i2 = V/R1. Sostituendo i1 e i2 nell‟espressione della corrente totale si
ricava:
i = V/R1 + V/R2 = V(1/R1 + 1/R2)
Esaminando questa formula, si osserva che i due resistori in parallelo si comportano come un unico
resistore, un resistore equivalente, la cui resistenza Rp è data dalla formula: 1/Rp = 1/R1 + 1/R2. Tale
risultato può essere facilmente generalizzato per stabilire che l’inverso della resistenza equivalente
di n resistori collegati in parallelo è la somma degli inversi delle loro resistenze:

(8)
1/Rp = 1/R1 + 1/R2 + ... + 1/Rn
12
Questa resistenza equivalente, in particolare, è sempre minore della resistenza più bassa di ciascuno
dei resistori collegati in parallelo. Nel caso di due resistori in parallelo può convenire esprimere la
resistenza equivalente nella forma:
Rp = (R1R2)/(R1 + R2)
Esempio 7. Colleghiamo a una pila tre resistori: in serie e in parallelo.
Con una pila da 9 volt e tre resistori di resistenza R1 = 10 k, R2 = 1 k, R3 = 100 , costruiamo i
circuiti mostrati nella figura 17, collegando i tre resistori in serie (parte a) della figura) e in parallelo
(parte b) della figura). Vogliamo calcolare, nei due casi, la resistenza equivalente offerta dai tre
resistori e la corrente totale erogata dal generatore.
Per ottenere la resistenza equivalente Rs dei tre resistori collegati in serie utilizziamo la
formula (7): Rs = R1 + R2 + R3 = 10000 + 1000 + 100 = 11100  = 11,1 k. Di conseguenza la
corrente erogata dalla pila avrà intensità is = V/Rs = 9 V/11100  = 8,1110-4 A = 0,811 mA.
Per ottenere la resistenza equivalente Rp dei tre resistori collegati in parallelo utilizziamo la
formula (8): 1/Rp = 1/R1 + 1/R2 + 1/R3 = 1/10000 + 1/1000 + 1/100 = 0,0111 -1. Da cui Rp =
0,011 = 90,1 . Di conseguenza la corrente erogata dalla pila avrà intensità ip = V/Rp = 9/90,1 =
0,0999 A = 99,9 mA.
Si nota che nel secondo caso la corrente erogata è assai più intensa che nel primo: ciò è
corente col fatto che la resistenza dei tre resistori collegati in parallelo è molto minore di quella
degli stessi tre resistori collegati in serie.
Le regole precedenti (7) e (8) in molti casi, ma non sempre, consentono di risolvere i circuiti in
modo relativamente semplice. Tutte le volte, infatti, che in una rete elettrica vi sono due o più
resistori collegati in serie, oppure in parallelo, questi possono essere sostituiti con un unico resistore
equivalente. E queste operazioni possono essere eseguite più volte fino a semplificare la rete
rappresentandola con un unico resistore equivalente. Ciò consente di ricavare la corrente totale che
eroga al circuito un generatore di tensione nota e poi, passo dopo passo, ricavare le correnti e le
tensioni di ciascun resistore. E questo significa risolvere un circuito.
Esempio 8. Semplifichiamo una rete costituita da 7 resistori.
Esaminando la rete resistiva rappresentata nella figura 18, si osserva che vi sono alcuni resistori
disposti in serie e altri in parallelo. Procediamo dunque a semplificarla, cercando di ricavare un
unico resistore equivalente. Sostituiamo innanzitutto i due resistori da 6  in parallelo con un unico
resistore da 3  e i due resistori da 6  in serie con un resistore da 12 , ottenendo quanto mostrato
nella parte b). Ripetiamo poi le stesse operazioni per i due resistori da 3  in serie e i due da 12 
in parallelo (parte c). Procedendo ancora allo stesso modo otteniamo infine (parte d)) un unico
resistore equivalente con resistenza di 10 .
Esempio 9. Risolviamo un circuito comprendente 7 resistori.
Vogliamo risolvere il circuito costituito da un generatore da 10 V collegato alla rete considerata
nell‟Esempio precedente, determinando le correnti che scorrono nei diversi elementi e le tensioni ai
capi di essi. La corrente che eroga il generatore, dato che la rete è equivalente a un resistore da 10
, ha intensità i = 10/10 = 1 A. Questa corrente scorre nel resistore da 7 , ai capi del quale vi sarà
pertanto una tensione di 17 = 7 volt. La tensione applicata al resto del circuito si ottiene sottraendo
la tensione ai capi di questo resistore da quella del generatore, ottenendo così: 10 – 7 = 3 volt.
Conoscendo questa tensione si ricava immediatamente la corrente che scorre nel resistore da 12 :
3/12 = 0,25 A. E andando avanti così, passo dopo passo, si ricavano tutte le rimanenti grandezze
incognite.
13
Esempio 10. Risolviamo un circuito con due generatori.
Vogliamo risolvere il circuito mostrato nella figura 20 bis, con due generatori di tensione. Qui non
possiamo semplificare nulla, dato che non vi sono resistori in serie o in parallelo. Assegnamo al
punto A il potenziale V, per ora incognito, rispetto a terra. Possiamo scrivere allora, considerando i
tre rami del circuito: i1 = (V1 – V)/R1, i2 = (V2 – V)/R2, i3 = V/R3. Ora queste equazioni sono
insufficienti a ricavare le incognite. Ma le tre correnti non sono indipendenti fra loro. E‟ infatti
evidente ( Approfondimento 3) che la corrente uscente (i3) dal punto A è la somma delle due
correnti entranti (i1 e i2) nello stesso punto, cioè: i3 = i1 + i2. Sostituendo in quest‟ultima equazione
le espressioni delle correnti scritte sopra, si ottiene: (V1 – V)/R1 + (V2 – V)/R2 = V/R3. Da cui si
ricava V = (V1/R1 + V2/R2,)/(1/R1 + 1/R2 + 1/R3) = (5/1000 + 4/3000)/(1/1000 + 1/3000 + 1/2000) =
3,45 volt. Sicché le intensità delle correnti sono: i1 = (V1 – V)/R1 = (5 – 3,45)/1000 = 1,55 mA,
i2 = (V2 – V)/R2 = (4 – 3,45)/3000 = 0,183 mA, i3 = V/R3.= 3,45/2000 = 1,73 mA.
Approfondimento 4. Le leggi di Kirchhoff
Il primo approccio, quando si analizza un circuito, è quello di semplificarlo con le regole descritte
sopra, che abbiamo utilizzato nell‟Esempio 9. Ma non sempre ciò è possibile, come per esempio nel
caso dei circuiti mostrati nella figura 19. Per risolvere i circuiti nel caso più generale si utilizzano le
due leggi di Kirchhoff, basate su principi generali dell‟elettromagnetismo, che permettono di
scrivere un numero di equazioni pari al numero delle grandezze incognite di un circuito; risolvendo
le quali si ricavano appunto queste grandezze.
La prima legge di Kirchhoff, o legge dei nodi, stabilisce che la somma algebrica delle
correnti che scorrono nei conduttori collegati a un punto comune, o nodo, del circuito è sempre
nulla. Ossia, dicendo diversamente la stessa cosa, la somma delle correnti entranti in un nodo è
sempre uguale a quella delle correnti uscenti ( figura 20 a)). In formula, considerando le correnti
che scorrono negli n elementi collegati al nodo considerato e assegnando per esempio segno
positivo alle correnti entranti e segno negativo a quelle uscenti:
i1 + i2 + ... + in = 0.
Di solito si considerano come nodi i punti a cui sono collegati tre o più elementi. Ma la legge vale
ovviamente anche per i punti a cui sono collegati due soli conduttori, che dunque sono disposti in
serie. E in tal caso essa stabilisce che la corrente che scorre nel secondo è uguale a quella che scorre
nel primo, dato che la loro somma algebrica (considerandone una come entrante e l‟altra come
uscente) deve essere nulla. Come del resto già sapevamo.
La prima legge di Kirchhoff è una conseguenza diretta del principio di conservazione della
carica elettrica. Infatti, se nella formula precedente la somma delle correnti non fosse nulla, nel
nodo si avrebbe creazione oppure scomparsa di carica elettrica.
La seconda legge di Kirchhoff, o legge delle maglie, stabilisce che la somma algebrica
delle tensioni ai terminali degli elementi che si incontrano descrivendo nel circuito un percorso
chiuso, o maglia, è sempre nulla. In formula:
V1 + V2 + ... + Vn = 0.
A volte il segno da attribuire alle tensioni degli elementi è immediatamente evidente, come nella
parte b) della figura 20. Altrimenti il segno si sceglie inizialmente in modo arbitrario, ma concorde
in tutti gli elementi che costituiscono il percorso chiuso, come nella formula scritta sopra, ricavando
poi i segni effettivi delle tensioni dopo aver risolto le equazioni.
La seconda legge di Kirchhoff dipende dal fatto che se in un circuito, partendo da un punto
che si trova a un dato potenziale, descriviamo un percorso chiuso (maglia), quando ritorniamo in
quel punto vi troveremo, ovviamente, lo stesso potenziale, e quindi tutte le tensioni (differenze di
potenziale) lungo il percorso devono sommarsi a zero. E quindi la seconda legge di Kirchhoff è una
conseguenza del fatto che il campo elettrostatico è conservativo.
Figura 14. Le lampadine dell‟albero di Natale sono tutte collegate in serie, cioè in modo da essere attraversate tutte
dalla stessa corrente. Quando se ne guasta una, perché il suo filamento si spezza, si spengono tutte.
14
(foto di albero di Natale e schema
rappresentante una molteplicità di lampadine
collegate in serie a una presa di rete)
Figura 15. Gli apparecchi elettrici di casa
sono collegati alla rete elettrica in parallelo,
cioè in modo che la tensione che alimenta
ciascuno di essi sia la stessa e ogni
apparecchio possa essere acceso o spento
senza influire sugli altri.
Figura 16. a) I due resistori sono collegati in parallelo: infatti essi sono attraversati dalla stessa corrente i; b) I due
resistori sono collegati in serie: infatti la tensione V ai loro estremi è la stessa.
(adattare da Mondo della Fisica vol. B, pag. 379, eliminando i due interruttori e indicando i resistori, le correnti e le
tensioni con gli indici 1 e 2 anzichè „ e “;
nella parte a) eliminando la scritta B e
sostituendo B a C)
Figura 17. a) Tre resistori collegati in
serie; b) Tre resistori collegati in
parallelo.
(come la precedente, eliminando le
scritte A e B, con la scritta V = 9 volt
accanto alla pila e le scritte R1 = 10 k,
ecc. accanto ai resistori)
Figura 18. La rete resistiva rappresentata
nella parte a) è piuttosto complessa
all‟apparenza. Ma può essere
semplificata, seguendo le regole descritte
nel testo, arrivando al risultato finale
indicato nella parte d). Cioè tutta la rete
equivale a un unico resistore da 10 .
Figura 19. In questi circuiti non vi sono
elementi in serie o in parallelo, che
permettano di semplificarli.
(Adattare da Hecht, pag. 656, eliminando
le parti b) e d))
Figura 20. Un circuito è completamente
determinato quando si conoscono le tensioni e le correnti per tutti gli elementi che lo
costituiscono. Queste grandezze sono legate fra loro dalle leggi di Kirchhoff,
applicando le quali si possono scrivere delle equazioni in numero sufficiente a
ricavare tutte le incognite. a) La prima legge di Kirchhoff stabilisce che la somma
algebrica delle correnti che scorrono negli elementi collegati al nodo A (come a
qualsiasi altro nodo del circuito) è nulla; pertanto i 1 = i2 + i3 ; b) La seconda legge di
Kirchhoff stabilisce che la somma algebrica delle tensioni lungo il percorso chiuso, o
maglia, M (come lungo qualsiasi altra maglia) è nulla; pertanto V = v1 + v2.
Figura 20 bis. Per risolvere questo circuito si scrive un‟equazione che
impone alla corrente uscente dal nodo A di essere uguale alla somma delle
correnti entranti. Cosa accadrebbe, secondo voi, se ciò non si verificasse?
15
1.8 La caratterizzazione dei generatori di tensione.
I generatori di tensione, come si è detto, sono dispositivi che mantengono ai loro terminali un
tensione determinata: costante nei generatori in continua di cui ora ci occupiamo, variabile nel
tempo con legge assegnata in altri tipi di generatori. Esempi di generatori di tensione sono le pile,
gli accumulatori, la cosidetta “dinamo” della bicicletta, ma la categoria è vastissima. Ed è anche
assai importante per il semplice motivo che, senza generatori, non vi sarebbero correnti elettriche.
In un generatore di tensione, attraversato da corrente, le cariche scorrono in verso opposto
all‟usuale. Ragionando, per fissare le idee, in termini di cariche positive, queste si spostano infatti
dal polo negativo del generatore a quello positivo, vincendo le forze repulsive del campo elettrico
fra i due poli, per scorrere poi nel resto circuito. Ma per innalzare il potenziale di una carica
fornendole energia si deve compiere un lavoro. E questo lavoro viene compiuto a spese di forme
diverse di energia nei diversi tipi di generatori. In una cella solare, per esempio, si utilizza l‟energia
solare (più precisamente l‟energia della luce solare assorbita dalla cella); in una “dinamo”, l‟energia
meccanica del moto della bicicletta; nelle pile e negli accumulatori, l‟energia chimica
immagazzinata nelle particolari sostanze in essi contenute.
Un generatore in continua è caratterizzato dalla tensione Vfem presente fra i suoi poli quando
esso non eroga corrente, che è chiamata forza elettromotrice (f.e.m.), sebbene non sia affatto una
forza (tale denominazione tuttavia ha qualche senso, in quanto rappresenta l‟effetto delle forze
interne al generatore che vincono le forze elettrostatiche del campo), o tensione a vuoto. Questa
tensione ha il seguente significato fisico: essa rappresenta il rapporto fra il lavoro L necessario a
innalzare fra i poli del generatore il potenziale di una carica positiva q e il valore della carica stessa:
(9)
Vfem = L/q
Ciò è sufficiente a caratterizzare un generatore ideale di tensione.
Ma i generatori ideali non esistono, nè potrebbero esistere, dal momento che un generatore
siffatto, collegato a una resistenza nulla (cioè, come si usa dire, con i poli in cortocircuito)
dovrebbe fornire una corrente infinita, cosa alquanto dubbia. E allora, evidentemente, per
caratterizzare un generatore reale la forza elettromotrice non basta: occorre qualcos‟altro. Di
questo, del resto, è facile convincersi misurando la tensione della pila di una torcia quando essa è
spenta e poi quando invece è accesa, come mostrato nella figura 21. Quando la torcia è spenta, la
pila non eroga corrente e la tensione fra i suoi poli ne rappresenta la forza elettromotrice (tensione a
vuoto); ma quando la torcia è accesa la tensione (tensione sotto carico) è più bassa della precedente.
E quindi è chiaro che la sola f.e.m. non è sufficiente a caratterizzare la pila.
L‟osservazione precedente si spiega ammettendo che i generatori di tensione reali offrano
sempre una certa resistenza Rint, chiamata resistenza interna, al passaggio della corrente. Il suo
effetto, quando il generatore eroga una corrente i, è quello di provocare una caduta di tensione Rinti
rispetto alla forza elettromotrice, abbassando quindi la tensione fra i poli. Se il generatore è
collegato a un carico esterno di resistenza R, si ha infatti, tenendo conto che la resistenza interna è
disposta in serie al carico: Vfem = (Rint + R)i. E quindi la tensione V = Ri applicata al carico, che
coincide con quella fra i poli del generatore, è:
(10)
V = Vfem – Rint i
Questa tensione dipende dalla corrente erogata, assumendo il valore massimo, pari a Vfem, quando
la corrente è nulla. Più precisamente, la tensione V sotto carico diminuisce al crescere della corrente
fino ad annullarsi quando la sua intensità assume il valore massimo possibile (corrente di
cortocircuito): imax = Vfem/Rint. Notate però che i generatori Una manovra vivamente
non gradiscono il cortocircuito, e in genere smettono di sconsigliata? Mettere in cortocircuito
funzionare correttamente quando la corrente che erogano i poli di una batteria d‟auto. Chiedete
a un elettrauto cosa succederebbe!
diventa eccessiva.
16
La formula (10) mostra poi che la qualità di un generatore di tensione è tanto migliore
quanto minore è la sua resistenza interna (cioè il suo comportamento si avvicina a quello di un
generatore ideale, con resistenza interna nulla); infatti, a parità di corrente erogata, al diminuire di
Rint diminuisce lo scarto fra la tensione a vuoto (Vfem) e quella sotto carico (V). Per fare qualche
esempio, la resistenza interna di una pila da 1,5 volt del tipo “torcione” è di circa 0,05 ; quella di
un accumulatore per auto, di qualche centesimo di ohm.
In conclusione diciamo che un generatore di tensione reale è caratterizzato da due
parametri: la forza elettromotrice e la resistenza interna. Esso si rappresenta quindi con il circuito
equivalente mostrato nella figura 21, costituito da un generatore ideale di tensione V fem disposto in
serie a un resistore di resistenza Rint.
Che cosa succede quando colleghiamo in serie due o più generatori di tensione? Si
sommano sia le forze elettromotrici che le resistenze interne. Come del resto è ovvio, dato il tipo di
collegamento. Infatti guardando all‟interno di una batteria da 9 V troveremo 6 elementi da 1,5 V
disposti in serie. E quando colleghiamo dei generatori in parallelo? Trovate voi stessi la risposta,
considerando il caso in cui i generatori in parallelo hanno tutti la stessa forza elettromotrice
(suggerimento: conviene ragionare sul circuito equivalente).
Esempio 11. Determiniamo la resistenza interna di una batteria.
Misurando la tensione di una pila si ottengono i seguenti valori: V1 = 1,55 volt quando la pila non
eroga corrente, V2 = 1,45 volt quando la pila alimenta un carico che assorbe 1,25 A. La prima
misura, eseguita in assenza di carico, ci fornisce direttamente la forza elettromotrice: V fem = 1,55 V.
La differenza fra le due misure, V1 – V2 = 0,1 V, rappresenta la caduta di tensione sulla resistenza
interna della pila. Applicando la prima legge di Ohm, si ottiene pertanto: Rint = (V1 – V2 )/i =
0,1/1,25 = 0,08 .
Figura 21. Un generatore reale di tensione si
rappresenta con il circuito equivalente costituito
da un generatore ideale di tensione Vfem disposto
in serie a un resistore di resistenza Rint. Così la
tensione a vuoto è Vfem ; la tensione sotto carico,
Vfem – Rint i.
1.9 L’amperometro
Lo strumento base delle misure elettriche
è l‟amperometro. Di questo, come di altri strumenti, si distinguono due tipi in base al modo,
analogico o digitale con cui si rappresentano le misure ( figura 22). L‟amperometro analogico o
amperometro a bobina mobile ( Modulo 3, Unità 1) utilizza l‟effetto magnetico della corrente in
una bobina posta all‟interno di un magnete, che provoca la rotazione di un indice rispetto a una
scala. L‟amperometro digitale sfrutta invece la caduta di tensione in un resistore provocata dal
passaggio della corrente che si vuole misurare. Questa tensione viene prima amplificata e poi
applicata a un convertitore analogico-digitale: un circuito elettronico che trasforma una tensione in
segnali a due livelli (“0” e “1”) che la rappresentano in forma numerica su uno schermo indicatore.
In entrambi i casi le grandezze che caratterizzano un amperometro sono essenzialmente due:
la portata o fondo scala imax, che rappresenta il valore massimo di intensità che lo strumento può
misurare, e la resistenza interna r, che rappresenta la resistenza della bobinetta di un amperometro
analogico oppure quella del resistore di un amperometro digitale. La resistenza interna di questi
strumenti è generalmente piccola: da frazioni di ohm a qualche diecina di ohm.
Per misurare la corrente che scorre attraverso un elemento di un circuito, l’amperometro va
disposto in serie all‟elemento, in modo che sia attraversato dalla stessa corrente. Il circuito, in altre
parole, va prima aperto e poi chiuso inserendo l‟amperometro al posto dell‟interruzione. Ma
l‟inserimento dell‟amperometro, inevitabilmente, altera la corrente che si vuole misurare.
Consideriamo infatti il circuito costituito da un generatore (V) collegato in serie a un resistore (R),
17
nel quale scorre dunque la corrente i = V/R. Per misurare questa corrente colleghiamo un
amperometro in serie al resistore, ma così facendo la resistenza totale del circuito non sarà più R ma
R + r, a causa della presenza dell‟amperometro. Sicchè la corrente che si misura sarà:
(11)
i‟ = V/(R + r)
cioè minore di i. E quindi siamo in presenza di un errore di misura, che è evidentemente di tipo
sistematico. L‟entità di questo errore dipende dal rapporto fra r ed R. Infatti possiamo riscrivere la
(11) nella forma i‟ = V/R(1 + r/R) che mostra che l‟errore aumenta al crescere del rapporto r/R,
mentre tende ad annullarsi, e allora i‟  i, se questo rapporto tende a zero. Ciò porta a concludere
che un buon amperometro deve possedere una bassa resistenza interna.
E se si deve misurare una corrente più intensa di quanto consenta la portata i max dello
strumento? In tal caso si ricorre all‟impiego di un derivatore (shunt): un resistore di valore
opportuno posto in parallelo all‟amperometro, il quale provvede a “succhiare” la corrente in eccesso
aumentando così la portata dello strumento. Supponiamo per esempio che un amperometro abbia
portata imax = 1 A e resistenza interna r = 0,1 . Se lo vogliamo usare per misurare correnti fino a
10 A, la corrente si dovrà suddividere come segue: 1/10 attraverso lo strumento e 9/10 attraverso il
derivatore. Ora quando due resistori R1 ed R2 si trovano in parallelo, la corrente totale si suddivide
fra essi in ragione inversa alla loro resistenza (infatti, chiamando V la tensione ai loro estremi, le
due correnti saranno, rispettivamente, V/R1 e V/R2). E quindi il derivatore dovrà avere una
resistenza pari a 1/9 di quella dello strumento, cioè R = 0,1/9 = 0,0111 .
Esempio 12. Valutiamo l’errore di misura introdotto da un amperometro.
In un circuito di resistenza totale R = 120 , per misurare la corrente che vi scorre quando è
alimentato da un generatore di tensione V = 10 volt, viene inserito un amperometro con resistenza
interna r = 10 . L‟intensità della corrente prima dell‟inserimento dello strumento è: i = V/R =
10/120 = 83,3 mA. Lo strumento misura invece: i‟ = V/(R + r) = 10/(120 + 10) = 76,9 mA. L‟errore
relativo è pertanto (83,3 – 76,9)/83,3 = 0,077 = 7,7%. Con un amperometro migliore, avente r = 1
, avremmo ottenuto i‟ = 10/121 = 82,6 mA, con errore relativo 0,0084 = 0,84%.
1.10 Il voltmetro.
Un voltmetro, lo strumento usato per misurare la tensione, non è altro che un amperometro, in serie
al quale è stato disposto un resistore R di valore opportuno. La misura della corrente attraverso
l‟amperometro consente infatti di risalire al valore della tensione incognita, applicata al circuito
costituito dal resistore e dall‟amperometro. Facciamo un esempio: supponiamo di avere a
disposizione un amperometro con portata imax = 50 A e resistenza interna r = 100 , e di volerlo
trasformare in un voltmetro con portata Vmax = 2 V. La resistenza totale Rv del voltmetro, somma
della resistenza interna e di quella del resistore aggiuntivo R, deve essere tale che quando la
tensione è Vmax, la corrente attraverso l‟amperometro sia imax, cioè Rv = R + r = vmax/imax = (2 V)/(50
A) = 2/5010-6 = 40000 . E quindi la resistenza del resistore aggiuntivo deve essere R = 40000 –
100 = 39900 . Si capisce che la portata di un voltmetro così fatto può essere aumentata a piacere
utilizzando resistori aggiuntivi di resistenza opportunamente grande.
Per misurare la tensione fra due punti di un
E se sbagliamo i collegamenti? Collegare un
circuito il voltmetro va disposto in parallelo, in modo amperometro in parallelo anziché in serie può
che questa tensione sia applicata fra i suoi terminali. risultare catastrofico per lo strumento,
Ma il collegamento del voltmetro, inevitabilmente, attraversato da una corrente tanto intensa da
altera la tensione che si vuole misurare, perché il distruggerlo. Collegando invece un voltmetro
funzionamento dello strumento richiede di assorbire in serie anziché in parallelo si ottiene
semplicemente una misura totalmente sballata.
una corrente. Questa corrente, e quindi l‟effetto di
perturbazione e quindi l‟errore di misura, è tanto minore quanto maggiore è la resistenza Rv del
18
voltmetro: al limite, se Rv avesse valore infinito, la corrente attraverso il voltmetro si annullerebbe e
la misura non verrebbe alterata. Ciò porta a concludere che un buon voltmetro deve possedere una
alta resistenza interna.
1.11 Lo strumento universale
Un tipo di strumento molto diffuso è lo strumento universale (tester), chiamato anche multimetro,
che consente di eseguire misure di corrente (amperometro), di tensione (voltmetro), di resistenza
(ohmetro) e altre ancora. Fornendo per ciascun tipo di misura la scelta fra più portate.
Il cuore di questo strumento è un amperometro, indicato con A nello schema semplificato di
figura 24, in parallelo al quale sono disposti dei derivatori per ottenere varie portate in corrente e in
serie al quale sono disposti i resistori necessari per usarlo come voltmetro. La figura 24 bis mostra
come lo strumento possa essere usato anche come ohmetro.
Collegamento con la storia 1. Gli esperimenti di Ohm.
Georg Simon Ohm nacque nel 1789 nella città di Erlangen, nei pressi di Norimberga, da una
famiglia di modeste condizioni, studiò matematica e fisica e nel 1817 divenne professore in un liceo
di Colonia diretto dai Gesuiti. E‟ lì che scoprì le leggi che portano il suo nome, che poi pubblicò nel
1827 in un trattato dal titolo Die galvanische Kette, mathematisch bearbeitet (Il circuito galvanico
studiato matematicamente). Ma per molti anni i suoi meriti non vennero riconosciuti. Fu chiamato a
ricoprire la cattedra di fisica all‟università di Monaco solo poco tempo prima della morte, che
avvenne nel 1854. Ohm fu uno scienziato idealista, dedito al progresso della scienza e poco attento
agli onori.
E‟ facilissimo, oggi, ripetere gli esperimenti di Ohm, grazie alla strumentazione che
abbiamo a disposizione, sicché le sue leggi ci appaiono quasi ovvie. Ma all‟epoca, cioè negli anni
attorno al 1825, la situazione era veramente assai diversa. Come generatori, Ohm utilizzava delle
pile di Volta, cambiando il numero di elementi connessi in serie per variare la tensione da applicare
ai conduttori. Ma qui il problema era che non si conosceva l‟esistenza della resistenza interna sicché
aumentando il numero di elementi la corrente nel conduttore collegato alle pile non aumentava in
proporzione. Sappiamo infatti che, usando n elementi aventi tensione a vuoto V e resistenza interna
Rint, l‟intensità della corrente in un circuito di resistenza R è: i = nV/(nRint + R).
Come indicatore dell‟intensità (che all‟epoca veniva chiamata “grandezza”) della corrente,
Ohm usava il progenitore degli attuali amperometri, il cosidetto galvanometro che era stato
introdotto dopo il 1820 grazie agli esperimenti di Oersted ( Modulo 3, Unità 1), costituito da una
bobina avvolta attorno a un ago magnetico Qui il problema riguardava la resistenza della bobina,
cioè la resistenza interna r dello strumento, che non era per nulla trascurabile rispetto a quella del
resto del circuito; e inoltre era diversa nei galvanometri che ogni sperimentatore si costruiva. Ciò
rendeva difficile confrontare i risultati di Ohm con quelli degli altri scienziati, mentre sappiamo che
la ripetibilità delle misure in laboratori differenti è essenziale perché i risultati vengano accettati
dalla comunità scientifica.
Per variare la resistenza R del conduttore, poi, Ohm usava fili metallici di diversa lunghezza
L, cioè R = kL. Quindi l‟intensità della corrente nel circuito, tenendo conto di quanto detto prima,
era: i = nV/(nRint + r + kL). Cioè non era inversamente proporzionale alla lunghezza L del
conduttore, ossia alla sua resistenza.
Nonostante le difficoltà, Ohm riuscì a stabilire le due leggi che portano il suo nome, per le
quali aveva tratto ispirazione, come si è detto, dalla legge di Fourier sulla conduzione del calore.
Ma queste conclusioni furono accettate universalmente, e i sui meriti riconosciuti, soltanto parecchi
anni dopo, quando divenne più agevole ripetere i suoi esperimenti, ritrovando gli stessi risultati.
Figura, immagine di Ohm da trovare, o disegno di antico galvanometro, con dida da fare.
Figura 22. Le grandezze essenziali che caratterizzano gli amperometri sono due: la portata e la resistenza interna. In
genere viene anche specificata l‟accuratezza delle misure: in percentuale del fondo scala per gli strumenti analogici,
come incertezza sulla cifra meno significativa per quelli digitali.
19
(fotografia di un amperometro analogico)
Figura 23. Per misurare la corrente che attraversa il resistore R‟, l‟amperometro
A va disposto in serie a tale elemento. Per misurare la tensione agli estremi del
resistore R, il voltmetro V va disposto in parallelo a tale elemento.
Figura 24. Il tester è uno strumento assai diffuso, prodotto in una estesa varietà
di tipi, alcuni anche di costo assai modesto (sicché può valere la pena di
procurarselo, sia per svolgere esperimenti sia perché può essere utile in casa).
a) Schema molto semplificato di un tester, dove d indica il terminale comune, c
indica il terminale per l‟impiego come amperometro (con gli interruttori I che
permettono di collegare i derivatori r per ottenere diverse portate in corrente), b e
a indicano i terminali per l‟impiego come voltmetro, con i resistori R in serie
all‟amperometro A.
b) Un tipico tester digitale dispone di numerose portate per misure di corrente e
di tensione (in continua e in alternata), per misure di resistenza, e altro ancora.
(a) schizzo a destra, b) Foto di un tester digitale)
Figura 24 bis. Per eseguire misure di resistenza
elettrica, si inserisce una pila in serie
all‟amperometro e i terminali dello strumento vengono collegati al resistore di cui si vuole
determinare la resistenza R. Se Rint è la resistenza interna dello strumento e V la tensione
della pila, l‟intensità della corrente è: i = V/(R + Rint), da cui si ricava R.
1.12 L’energia elettrica e l’effetto Joule
La corrente elettrica trasporta energia nella forma di energia potenziale elettrica delle cariche
che la costituiscono. Questa energia viene acquistata quando le cariche attraversano il generatore,
che ne innalza il potenziale, e viene ceduta quando esse attraversano il resto del circuito, man mano
che il loro potenziale diminuisce. Più precisamente, il generatore fornisce l‟energia qV alla carica
q che l‟attraversa. Essendo i = q/t, nel tempo t esso fornisce l‟energia potenziale (energia
elettrica):
(12)



U = iVt
E quindi la potenza (potenza elettrica) trasportata dalla corrente è:
(13)
`
P = U/t= iV
Per farvi un‟idea della diversità dei valori delle potenze elettriche utilizzate correntemente,
calcolate voi stessi la potenza nei due casi seguenti: a) un locomotore elettrico che assorbe 1000 A
alla tensione di 3000 volt, b) un transistore usato come elemento di memoria nella RAM (memoria
ad accesso casuale) di un calcolatore portatile, supponendo che la RAM contenga 10 milioni di
transistori, sia alimentata a 3 V e assorba una corrente totale di 0,5 A.
Attraversando i conduttori di un circuito, la corrente cede la sua energia, che nei diversi
elementi viene trasformata in altre forme: energia termica, meccanica, magnetica, chimica,
luminosa, ... In questi processi, naturalmente, è sempre verificato il principio di conservazione
dell‟energia, nel senso che la somma delle energie così ottenute è sempre uguale all‟energia ceduta
dalla corrente. L‟energia e la potenza cedute da una corrente i attraversando un determinato
conduttore sono espresse ancora dalle formule (12) e (13), dove però V sta a indicare la tensione ai
capi del conduttore.
Ma in qualsiasi conduttore, con la sola eccezione dei superconduttori, almeno una parte
dell‟energia elettrica si trasforma in energia termica (effetto Joule). Questa conversione, anzi, è
totale nei conduttori metallici, come stabilì il fisico inglese James Prescott Joule (1818-1889)
attraverso una serie di esperimenti svolti attorno al 1845, nel senso che tutta l‟energia elettrica che
20
la corrente cede attraversando un conduttore metallico si trasforma in calore. Più precisamente, la
legge di Joule afferma che l’energia dissipata in calore in un conduttore di resistenza R in un
intervallo di tempo t è proporzionale alla resistenza, al Nei sistemi elettrici almeno una parte
quadrato dell’intensità della corrente e alla durata dell‟energia elettrica si trasforma
sempre in calore, per l‟inevitabile
dell’intervallo :
(14)
U = i R t
2
presenza di resistenze. Proprio come
avviene, a causa dell‟inevitabile
presenza di attriti, per l‟energia
meccanica nei sistemi meccanici.
Questa legge si ottiene dalla (12) sostituendo Ri alla caduta di
tensione V ai capi del conduttore nella. Ricordando l‟equivalenza fra joule e calorie, possiamo
scrivere la formula precedente nella forma: U = 4187i2 R t calorie.
L‟energia elettrica si misura spesso usando l‟unità pratica chiamata kilowattora (kWh), che
rappresenta l‟energia fornita durante un‟ora a un circuito che assorbe la potenza di 1 kW (1000 W).
Si ha pertanto l‟equivalenza:
1 kWh = 1000 W  3600 s = 3,6106 J.
E‟ tarato in kilowattora il contatore elettrico che si trova in casa, che indica l‟energia elettrica
assorbita. E si paga in euro per kilowattora la bolletta elettrica.
La fisica della tecnologia 2. L’effetto Joule trova un gran numero di impieghi pratici.
La trasformazione dell‟energia elettrica in energia interna dei corpi, cioè in calore, (effetto Joule)
trova un gran numero di impieghi pratici, sia in casa che nell‟industria.
In casa, per esempio, negli scaldaacqua, nei tostapane, nelle stufe elettriche e in vari altri
apparecchi si utilizza il calore sviluppato dalla corrente quando essa attraversa resistori (le cosidette
“resistenze”) realizzati generalmente con un filo di nichel-cromo, una lega ad alta resistività che
sopporta temperature relativamente alte senza deteriorarsi. Mentre nell‟industria si usano vari tipi di
forni elettrici e di apparecchi riscaldatori, come quelli usati per accelerare lo svolgimento delle
reazioni negli impianti chimici oppure per facilitare il flusso del petrolio negli oleodotti situati nelle
regioni più fredde.
Ma anche le normali lampadine sfruttano l‟effetto Joule: la corrente, attraversandone il
filamento, lo riscalda portandolo a temperature tanto alte (attorno a 2600C) da renderlo
incandescente, sicché questo emette luce. L‟effetto Joule è poi usato nei fusibili, nei quali s‟impiega
una lega metallica a basso punto di fusione, sicché essi fondono quando la corrente che li attraversa
supera un determinato valore, e nei “limitatori di corrente” o interruttori termici. In questi ultimi, il
riscaldamento di un metallo ne provoca la deformazione, aprendo un contatto e interrompendo così
il passaggio della corrente.
Esempio 13. Calcoliamo la resistenza da utilizzare in uno scaldaacqua in modo che in un’ora
riscaldi 40 litri d’acqua da 10 a 70C.
L‟energia necessaria a riscaldare l‟acqua si ottiene moltiplicando la massa d‟acqua (40 kg) per il
salto di temperatura (60C) e per il calore specifico dell‟acqua (1 kcal/(kg C)): U = 40601 =
2400 cal = 24004187 = 1,00107 J. Per fornire questa energia in 1 ora (3600 s) occorre la potenza
P = U/t = 107/3600 = 2780 W. Se l‟apparecchio è alimentato dalla rete (220 volt) la corrente
assorbita avrà intensità i = P/V = 2780/220 = 12,6 A. E la resistenza del riscaldatore, applicando la
prima legge di Ohm, sarà: R = V/i = 220/12,6 = 17,5 .
Figura 25. a) Il filamento delle lampadine è fatto di tungsteno, un metallo con temperatura di fusione molto alta (3695
K), che sopporta bene le temperature necessarie all‟emissione di un luce gradevolmente “bianca”. Per aumentare la
superficie emittente a parità di volume occupato, il filo di tungsteno è avvolto nella forma di un doppia spirale. Per
ridurre la sublimazione del metallo, che tende ad assottigliare il filamento fino ad interromperlo, le lampade sono
riempite di un gas inerte. b) Le lampadine dette “ad alogeni” emettono una luce più bianca e intensa perché il loro
21
filamento viene portato a una temperatura più alta. Come si è già detto ( Tomo II, pag. xxx), il fenomeno della
sublimazione del tungsteno, che si intensifica al crescere della temperatura, viene combattuto inserendo nel bulbo di
queste lampadine una sostanza che reagisce con i vapori di tungsteno; in vicinanza del filamento, a causa dell‟alta
temperatura, il prodotto di reazione si decompone, liberando nuovamente il metallo che si deposita sul filamento.
(foto di normale lampadina, o meglio dettaglio del filamento doppiamente spiralato, e di lampadina ad alogeni)
Figura 26. Il riscaldamento per effetto Joule rispetta il principio di conservazione dell‟energia. L‟energia elettrica
dissipata in un resistore, infatti, si trasforma integralmente in calore. La figura rappresenta un calorimetro, con un
resistore (ben isolato) immerso nell‟acqua e un termometro per misurare la temperatura. L‟aumento di energia interna
dell‟acqua, dovuto al passaggio di corrente nel resistore per un dato tempo, è indicato dall‟innalzamento della
temperatura; tale aumento è esattamente uguale (entro gli errori sperimentali) all‟energia elettrica dissipata nel resistore
(determinata misurando la tensione, la corrente e l‟intervallo di tempo). Questo schema fu utilizzato da Joule in uno
degli esperimenti che svolse per stabilire l‟equivalenza fra calore ed energia.
(Adattare da Amaldi La Fisica, vol.3, pag. 139, disegnando un supporto isolante esterno tutto attorno al recipiente,
indicando gli strumenti con lo stile delle figure precedenti, sostituendo la spirale con un resistore a forma di cilindretto,
con accanto la scritta R)
Figura 26bis. Esperimento. Osserviamo l’effetto Joule. Procuratevi una pila da 4,5 V, una spugnetta di ferro da
cucina, una pinza di legno e un paio di occhiali per proteggere i vostri occhi. Strappate dalla spugnetta un batuffolo di
forma allungata, afferratelo con la pinza e disponetelo per qualche istante a contatto con i poli della pila. La lana di
ferro, che presenta una resistenza molto bassa, metterà in cortocircuito la pila e sarà attraversata da una corrente molto
intensa. Osservate quanto avviene e traete le vostre conclusioni.
(adattare da Carli-Giacomini, Tomo A, pag. 192)
1.13 La scarica di un condensatore.
Osservazione. Il flash della fotocamera.
Dopo aver scattato una foto con il flash, occorre aspettare qualche istante prima di un nuovo scatto.
Il motivo è semplice. Il lampo è stato ottenuto collegando alla lampadina un condensatore carico,
sicché questa è stata attraversata da un corrente molto intensa e di durata brevissima (come occorre
per una fotografia istantanea). E così il condensatore si è scaricato. Sicchè poi occorre ricaricarlo
grazie alla batteria, che ne ripristina la carica con una corrente meno intensa, e quindi di più lunga
durata ( figura 27).
Con l‟osservazione precedente siamo usciti dal mondo delle correnti costanti e dei circuiti resistivi
per entrare in quello delle correnti variabili e dei circuiti RC, cioè comprendenti sia resistenze che
condensatori. Per studiare i fenomeni caratteristici di questa importante famiglia di circuiti
svolgiamo l‟esperimento che segue, osservando come varia nel tempo la carica immagazzinata in
un condensatore, man mano che esso si scarica attraverso una resistenza.
Esperimento 3. Osserviamo la scarica di un condensatore.
Procuratevi un tester, una pila da 9 volt e un condensatore da 10 F. Caricate il condensatore
collegandolo per qualche istante alla pila (fate attenzione a rispettare la polarità, perché i
condensatori di grande capacità sono costruiti con una tecnica elettrolitica che li rende sensibili al
segno delle cariche). Poi realizzate il circuito di figura 28, nel quale il condensatore si scarica
attraverso una resistenza R. Come resistenza utilizzerete quella offerta dal tester usato come
voltmetro, che assumiamo R = 10 M (se tale resistenza fosse diversa da 10 M, sceglierete un
condensatore di capacità C = 100/R).
La tensione misurata dal voltmetro indicherà la carica immagazzinata nel condensatore,
ricordando che la tensione di un condensatore è direttamente proporzionale alla sua carica secondo
la relazione V = Q/C. Prendete nota del valore della tensione ogni 10 secondi a partire dall‟inizio
della scarica. Riportando i dati in un grafico, il tempo in ascissa e la tensione in ordinata, dovreste
ottenere una curva simile a quella della parte a) della figura 29.
Ripetendo l‟esperimento con condensatori di capacità diversa (per esempio, 3 F o 30 F),
troverete poi che la velocità del processo di scarica dipende dal valore della capacità, ma il suo
andamento complessivo è sempre lo stesso ( figura 29 b)). Le curve più ripide, in particolare, si
22
ottengono usando le capacità più piccole, a cui corrispondono minori quantità di carica
immagazzinata.
Approfondimento 5. Analisi dei dati dell’Esperimento 4.
Vogliamo trovare una legge matematica che rappresenti i risultati dell‟Esperimento 4. Calcoliamo
le differenze v (che hanno segno negativo) fra due misure successive della tensione v e
riportiamole in un grafico in funzione del tempo: troveremo che esso ha lo stesso andamento di
quello che rappresenta v. Ciò indica che le differenze v sono direttamente proporzionali ai valori
di v. Ora, quando le variazioni di una grandezza sono proporzionali alla grandezza stessa vuol dire
che la grandezza segue una legge esponenziale. Si ha quindi:
(A)
v(t) = c1 ec2t
dove c1 e c2 sono costanti da determinare. Per verificare questa conclusione, calcoliamo i logaritmi
naturali delle misure e grafichiamolo in funzione del tempo. Se l‟equazione (A) è corretta dovremo
ottenere una retta. Infatti dalla (A) segue: ln(v(t)) = ln(c 1) + c2 t. La figura 30a conferma la nostra
previsione.
Determiniamo ora le due costanti. La prima, che ha le dimensioni di una tensione,
rappresenta la tensione all‟istante iniziale, sicchè si ha: c 1 = v(0). La seconda si potrebbe ottenere
dalla pendenza della retta nel grafico logaritmico. Seguiamo invece un‟altra strada, considerando la
pendenza iniziale della tensione in funzione del tempo: v/t. Dove v = v(t) – v(0), cioè v =
v(0) (1 – ec2 t). Sviluppando in serie l‟esponenziale e arrestandosi al primo ordine ( ricordiamo che
per x<<1 si ha ex  1 – x) si ottiene: v = v(0) c2t. Da cui si ricava c2 = v/(v(0)t). Sostituiamo
infine tale costante, che ha le dimensioni dell‟inverso di un tempo ed è negativa (v<0), con il suo
reciproco cambiato di segno, che rappresenta il tempo caratteristico di scarica, cioè il tempo 
occorrente perché la tensione del condensatore si riduca al valore v(0)/e: = -1/c2 = v(0)t/v. 
prende il nome di costante di tempo del circuito. Scriviamo pertanto la legge di scarica del
condensatore nella forma:
v(t) = v(0) e-t/

Il valore della costante di tempo si può ricavare graficamente dall‟intersezione della tangente al
punto iniziale del grafico con l‟asse delle ascisse ( figura 30 b)): nel nostro caso si ottiene  ≈ 100
s. Ora è evidente, come del resto indicano i risultati delle altre prove, mostrati nella figura 29b, che
questo tempo caratteristico non dipende dalle tensioni in gioco, ma soltanto dalle costanti del
circuito: la resistenza R e la capacità C. 
L‟andamento nel tempo della tensione, e quindi della carica, del condensatore osservato
nell‟Esperimento precedente si spiega qualitativamente come segue. Inizialmente il condensatore è
carico alla tensione v(0) = V, sicché nella resistenza scorre una corrente di intensità i(0) = V/R. Ma
questa corrente sottrae carica al condensatore, la cui tensione diminuisce quindi in proporzione,
sicchè diminuisce anche la corrente, rallentando così sempre più il processo di scarica man mano
che esso procede.
Descriviamo ora il processo in termini quantitativi. Se a un generico istante t la tensione del
condensatore è v e la sua carica è q = Cv, l‟intensità della corrente attraverso la resistenza è:
(15)
i = v/R
Dopo un intervallino di tempo t molto breve, durante il quale supponiamo che la corrente sia
approssimativamente costante, la carica del condensatore, ricordando che i = q/t, avrà subito la
23
variazione q = -it. E quindi la variazione della tensione sarà: v = q/C = -it/C. Sostituendo in
tale espressione la tensione v ricavata dalla formula (15) si ha infine:
v = -v t/(RC)
(16)
Dunque, la variazione v subita dalla tensione del condensatore in un dato intervallino di tempo ha
segno negativo ed è direttamente proporzionale sia alla tensione (v) che il condensatore ha in quel
momento sia alla durata (t) dell‟intervallino. La costante di proporzionalità 1/RC è il reciproco del
prodotto fra la capacità del condensatore e la resistenza su cui esso si scarica. Questo prodotto, che
ha le dimensioni di un tempo, prende il nome di costante di tempo del circuito e si indica
comunemente con il simbolo .
 rappresenta il tempo caratteristico del fenomeno di scarica, in prima approssimazione il
tempo necessario perché la tensione del condensatore si riduca a un valore prossimo a zero. Infatti,
se ponessimo nella (16) t = RC, si troverebbe v = -v e quindi v(t) = v – v = 0; ma questo
risultato, come vedremo fra poco, è approssimato. Nel caso dell‟esperimento precedente si ha:  =
10 M10 F = 10710-5 s = 100 s. Il fatto che  sia uguale al prodotto RC, e quindi aumenti sia
all‟aumentare di R che all‟aumentare di C è in accordo con l‟intuizione. Infatti, al crescere della sua
capacità, il condensatore immagazzina una carica maggiore; al crescere della resistenza R la
corrente diventa più debole: entrambi i fattori contribuiscono ad allungare la durata della scarica. 
Le considerazioni precedenti sono qualitative. Per ottenere delle equazioni che descrivano
come varia nel tempo la tensione del condensatore, la carica che esso immagazzina e l‟intensità
della corrente che scorre nel circuito si devono applicare i metodi dell‟analisi matematica (
Approfondimento 5). I risultati sono i seguenti:
t
(17)
a)
v  t   Ve RC
t
;
b)
q  t   CVe RC
;
c)
i t  
t
V RC
e
R
dove V è la tensione iniziale del condensatore.
La funzione matematica che appare nelle espressioni precedenti è la funzione esponenziale,
dove la costante e = 2,71828... è il cosidetto numero di Nepero (dal nome dello scienziato francese
Napier a cui si attribuisce l‟introduzione dei logaritmi). E siccome l‟esponente ha segno negativo,
l‟andamento è decrescente nella variabile t. In generale le grandezze che seguono la legge
esponenziale si riducono di uno stesso fattore dopo intervalli di tempo di ugual durata, con un
andamento nel tempo che è proprio quello rappresentato nei Quesito: quand‟è, secondo voi, che la
grafici delle figure 29 e 30. Con una calcolatrice tascabile tensione del condensatore, e con essa
troverete che dopo un tempo  la tensione del condensatore si le altre grandezze, si riduce a zero?
riduce da V a V/e = 0,368 V; dopo un tempo 2 a V/e2 = 0,135 V; e così via. In particolare, dopo il
tempo  la tensione non si riduce a 0, come avevamo trovato sopra con un calcolo approssimato, ma
comunque a un valore piccolo (circa 1/3) rispetto a quello iniziale.
Esaminiamo infine il comportamento del circuito di scarica in termini dal punto di vista
energetico. La conclusione è assai semplice. L‟energia posseduta inizialmente dal condensatore (1/2
CV2) viene spesa integralmente per muovere le cariche attraverso la resistenza, dove viene dissipata
in calore per effetto Joule.
Approfondimento 6. Studiamo la scarica di un condensatore su una resistenza con il metodo
dell’analisi infinitesimale.
Consideriamo, come nell‟Esperimento 4, un condensatore C inizialmente carico alla tensione V,
che al tempo t = 0 viene collegato a un resistore di resistenza R, sul quale si scarica gradualmente.
Indicando con q(t) la carica del condensatore durante la scarica, con v(t) la tensione del
24
condensatore, che è la stessa ai capi della resistenza, e con i(t) la corrente che scorre attraverso i due
elementi, all‟istante iniziale della scarica si ha evidentemente q(0) = CV, v(0) = V e i(0) = V/R.
L‟equazione del circuito, rappresentato nella parte destra della figura 28, è:
(A)
v(t) = R i(t)
dq
(il segno meno indica che cariche sono cedute dal condensatore).
dt
Sostituendo nella (A) l‟espressione della corrente e ricordando la relazione v(t) = q(t)/C fra la
tensione e la carica del condensatore, si ottiene:
dove per la (4): i  t   
(B)
q(t )
dq
 R
C
dt
Questa è un‟equazione differenziale del primo ordine a coefficienti costanti. Per risolverla,
dq
dt
dq
dt
scriviamola nella forma:
. Integrando si ha: 
e quindi:

 
q(t )
RC
q(t )
RC
t
ln  q(t )   
 k , dove k è una costante di integrazione da determinare. Passando dai logaritmi
RC
t
ai numeri, si ha: q  t   e RC ek , dove la costante si determina imponendo il valore noto della carica
all‟istante iniziale. Per t = 0, è q(0) = CV = ek. Si ha pertanto:
t
(C)
q  t   CVe RC
t
da cui si ricavano immediatamente le espressioni delle altre grandezze: v  t   Ve RC , i  t  
t
V RC
e .
R
1.14 La carica di un condensatore.
Cosa avviene, invece, quando un condensatore scarico viene collegato a un generatore di tensione
attraverso una resistenza? Questo circuito, rappresentato nella figura 31, è descritto dall‟equazione
(18)
V=Ri+v
ottenuta uguagliando la tensione V del generatore alla somma delle tensioni agli estremi dei due
elementi disposti in serie: la caduta Ri della resistenza e la tensione v del condensatore. Si capisce
allora che all‟istante iniziale la corrente è massima, dato che v = 0 (il condensatore è scarico), e si
ha quindi i = V/R. Questa corrente, d‟altra parte, fornisce carica al condensatore, la cui tensione
aumenta pertanto gradualmente. Ma sempre più lentamente, dato che all‟aumento della tensione
corrisponde una riduzione della corrente: dalla formula (18) si ricava infatti: i = (V-v)/R. Si intuisce
(e lo si può dimostrare) che la corrente, decrescendo nel tempo, segue la stessa legge esponenziale
della formula (17c).
(19)
i t  
t
V 
e
R
dove la costante di tempo ha la stessa espressione ( = RC) e lo stesso significato di prima.
La tensione del condensatore, invece, segue una legge diversa, e con essa la carica in esso
immagazzinata. Sostituendo l‟espressione (19) della corrente nella formula (18) si ricava infatti:
25
(20)
v(t) = V(1 - e-t/)
il cui andamento è rappresentato nella figura 32. La tensione aumenta sempre più lentamente
tendendo a raggiungere la tensione del generatore.
E‟ interessante, in questo caso, esaminare il comportamento energetico del circuito. E‟
evidente, innanzitutto, che il generatore deve compiere il lavoro LC necessario a caricare il
condensatore:
(21)
LC = ½ CV2
Ma a questo va aggiunto il lavoro LR necessario per muovere le cariche attraverso la resistenza,
dove la loro energia potenziale viene dissipata per effetto Joule. Questo lavoro, che dipende
dall‟intensità della corrente al quadrato, dal valore della resistenza e dalla durata del processo (
formula (14)), si determina facilmente. Infatti nel processo di carica la corrente varia allo stesso
modo che in quello di scarica. Di conseguenza l‟energia dissipata sarà la stessa, cioè: LR = ½ CV2.
E quindi il lavoro totale LG che deve compiere il generatore nel processo di carica è:
(22)
LG = LC + LR = CV2
Metà di questa energia viene accumulata nel condensatore, l‟altra metà si perde per strada.
La fisica intorno a noi 1. Le scariche elettriche che salvano la vita.
Il defribrillatore è uno strumento che produce una scarica elettrica che riavvia il regolare battito
cardiaco nel caso questo si sia interrotto o sia diventato pericolosamente irregolare (fibrillazione).
Grazie ad esso ogni anno viene salvato un gran numero di vite. Il processo utilizzato è quello della
scarica di un condensatore su una resistenza, che è la somma di quella di un resistore (R) interno
allo strumento e della resistenza toracica (Rt) del paziente, sul corpo del quale vengono posti due
grandi elettrodi trattati in modo da ridurre al minimo la resistenza offerta dalla pelle. Di solito il
condensatore, con capacità di 30-50 F, viene caricato in modo da immagazzinare un‟energia di
circa 400 J, una frazione della quale (Rt/(Rt + R)) viene impartita al paziente (valori tipici sono R =
50 , Rt = 60-90 ).
La scarica di un condensatore trova impiego anche nel pacemaker o segnapassi cardiaco,
che ha lo scopo di regolarizzare il battito cardiaco. Qui l‟energia in gioco è assai minore, perchè
l‟apparecchio, assieme al generatore che lo alimenta, viene impiantato nel corpo del paziente sicché
i suoi impulsi sono applicati direttamente al cuore. I primi pacemaker si limitavano a produrre una
sequenza regolare di impulsi. Quelli usati oggi si avvalgono di sensori che misurano grandezze
fisiche di interesse fisiologico in modo da fornire gli impulsi di corrente più adatti alle particolari
condizioni del paziente: a ciò provvede un microprocessore opportunamente programmato.
Nonostante la complessità dei circuiti, i pacemaker attuali pesano circa 25 g, occupano un volume
di circa 10 cm3 e hanno una durata di funzionamento di oltre 5 anni.
Figura 27. Schema elettrico di un flash per macchine
fotografiche. Il condensatore C è inizialmente carico grazie
alla batteria, a cui è collegato tramite una resistenza R (che
rappresenta la resistenza complessiva del circuito, inclusa
la resistenza interna del generatore). Premendo
l‟interruttore I, il condensatore viene collegato alla
lampadina L, che ha una resistenza molto bassa. La carica
immagazzinata nel condensatore fluisce allora attraverso la
lampadina, creando una corrente di brevissima durata che
provoca il lampo luminoso. Il condensatore viene poi lentamente ricaricato dalla batteria.
26
Figura 28. Esperimento .Dopo aver caricato il condensatore collegandolo alla batteria, lo scarichiamo sulla resistenza R.
Questa è costituita dalla resistenza del voltmetro. Tale strumento, essendo
collegato in parallelo al condensatore, ci permette di osservare come varia
nel tempo la tensione durante il processo di scarica.
Figura 29. a) Grafico rappresentante le misure di tensione durante la
scarica del condensatore su una resistenza, con C = 10 F e R = 10 M; b)
Grafici ottenuti ripetendo le misure con diversi valori di capacità: 3,3 F
(curva rossa), 10 F (linea nera), 30 F (linea verde).
(aggiungere le seguenti scritte: nelle ordinate, tensione
(volt); nelle
10
10
v( t )
v1( t) 5
5
v( t )
v2( t)
0
0
50
100
ascisse tempo (secondi)
150
0
200
0
50
100
150
200
t
t
Figura 30. a) Graficando il logaritmo dei dati rappresentati nella figura 29 a) si ottiene una retta, indicando che essi
3
10
2
v( t )
ln( v( t) )
vv( t)
5
1
0
0
50
100
150
t
200
0
0
50
100
150
200
t
sono descritti da una legge esponenziale; b) La costante di tempo del
processo di scarica si ricava graficamente dall‟intercetta sull‟asse delle ascisse della tangente alla curva di scarica nel
punto iniziale del grafico di fig. 29 a). 
(aggiungere le seguenti scritte: nelle ordinate, logaritmo della tensione ; nelle ascisse tempo (secondi))
Figura 31. Il condensatore C, inizialmente scarico, viene caricato
collegandolo al generatore V attraverso la resistenza R. Esso si carica
gradualmente fino a raggiungere (quando?) la tensione del generatore.
10
v( t )
9
5
Figura 32. Come varia la tensione del
condensatore durante il processo di carica nel
circuito di figura 31, con V = 9 volt e  = RC =
100 s. Si nota che la tensione, al crescere del
0
0
100
200
300
400
tempo, aumenta sempre più lentamente.
(aggiungere le seguenti scritte: nellet ordinate v(t) (volt) ; nelle ascisse tempo (secondi))
1.15 I pericoli dell’elettricità
Sebbene utilissima, l‟elettricità costituisce una fonte di pericolo sia direttamente per le persone sia
per gli incendi che può provocare. Come mostra la Tabella 3, gli effetti fisiologici della corrente
elettrica, cioè gli effetti che essa provoca quando attraversa il nostro corpo, dipendono dalla sua
27
intensità. Ciò è dovuto al fatto che il nostro sistema nervoso funziona grazie a deboli segnali
elettrici, che chiaramente subiscono interferenza in presenza di una corrente esterna. L‟effetto,
inoltre, è molto diverso a seconda delle parti del corpo attraversate dalla corrente: il massimo
pericolo si ha quando essa attraversa il torace, perché in tal caso, se la sua intensità è
sufficientemente elevata, può provocare la paralisi dei muscoli che provvedono alla respirazione
oppure una fibrillazione ventricolare, interrompendo il normale A seconda del tipo di fibre nervose
funzionamento del cuore. A determinare la pericolosità di una che la corrente attraversa, si può
subìre una violenta contrazione (la
corrente, poi, contribuisce anche la durata del contatto.
Tabella 3. Gli effetti fisiologici di una corrente elettrica
“scossa”) oppure una vera e
propria paralisi dei movimenti
(chiamata a volte “incollatura”).
Intensità della corrente
Effetti
1-5 mA
Si percepisce il passaggio della corrente, avvertendo la “scossa elettrica”, ma senza reale
pericolo.
La corrente agisce sui muscoli, provocandone la contrazione: le mani, a causa di queste
reazioni incontrollate, possono aggrapparsi ai conduttori impedendo di distaccarsene.
La corrente può provocare ustioni nei punti di contatto; le contrazioni dei muscoli
possono risultare tali da bloccare la respirazione, con pericolo di asfissia.
Arresto cardiaco, che provoca la morte in assenza di intervento immediato.
10-20 mA
20-30 mA
oltre 50 mA
Dalla prima legge di Ohm sappiamo che l‟intensità di una corrente dipende, oltre che dalla tensione,
dalla resistenza del conduttore a cui la tensione è applicata. Sicché ha grande importanza la
resistenza elettrica che offre il nostro corpo, ammettendo che esso si comporti, almeno
approssimativamente, come un conduttore ohmico.
Esperimento 4. La resistenza elettrica del corpo umano
Procuratevi uno strumento universale. Utilizzandolo come ohmetro, misurate la resistenza del
vostro corpo stringendo i puntali dello strumento fra le dita delle mani. Prendete nota della
resistenza. Inumidite le dita e poi ripetete la misura. Il nuovo valore di resistenza sarà più basso del
precedente (ancora più basso se avrete usato acqua salata, cioè una soluzione conduttrice).
Otterreste poi valori di resistenza ancora inferiori collegando i puntali dello strumento a due corpi
metallici conficcati nelle vostre mani, ma questa prova è vivamente sconsigliata.
Alla resistenza elettrica del corpo umano contribuisce la resistenza della pelle e quella interna.
Quest‟ultima vale da qualche diecina a qualche centinaio di ohm, mentre quella della pelle è molto
più alta: da circa 1000  quando la pelle è molto umida fino a oltre 1 M quando è molto secca,
come avrete notato eseguendo l‟Esperimento 5. L‟umidità della pelle, d‟altra parte, può dipendere
fortemente dallo stato emozionale della persona: questo fenomeno è sfruttato nelle macchine della
verità, usate nei sistemi giudiziari di alcuni Paesi, come pure nel cosidetto “baciometro”, il cui
funzionamento saprete certamente interpretare.
Per quanto si è detto, la pericolosità del contatto con conduttori sotto tensione dipende
fortemente dallo stato della pelle: si può sopravvivere al contatto con un conduttore di rete a 220 V
se la pelle è secca, ma se è umida può risultare mortale una tensione anche di poche decine di volt.
La situazione, naturalmente, è assai diversa se si toccano contemporaneamente due
conduttori fra i quali vi è una differenza di potenziale, e allora il circuito si chiude attraverso il
corpo che ne determina la resistenza, oppure si entra in contatto con un solo conduttore. In
quest‟ultimo caso il circuito si chiude verso il suolo e alla sua resistenza contribuiscono anche le
eventuali calzature e il tipo e lo stato del pavimento. Questo caso, in particolare, può verificarsi
quando in un apparecchio un conduttore alla tensione di rete perde il suo isolamento ed entra in
contatto con il rivestimento metallico dell‟apparecchio (una lavatrice, un asciugacapelli, ...). E
allora diventa assai pericoloso toccare l‟apparecchio, specie se il pavimento o le nostre mani sono
bagnate (molti degli incidenti più gravi si verificano infatti bagno).
28
Per evitare questo pericolo, in tutti gli impianti elettrici moderni l‟elettricità viene distribuita
usando cavi costituiti da tre conduttori, anzichè due. Due di questi (di solito di colore marrone e
blu) portano effettivamente la corrente, e fra essi vi è la tensione di 220 volt. Il terzo (di colore
giallo e verde) è collegato all‟impianto di terra dell‟edificio (un palo metallico conficcato nel
terreno); e viene poi collegato (tramite prese e spine tutte dotate di tre poli e cavi di alimentazione
anch‟essi tripolari) alle parti metalliche esterne degli apparecchi elettrici. Con questo accorgimento,
se si verifica una perdita di isolamento di un conduttore in un apparecchio, la corrente scorrerà
verso l‟impianto di terra evitando così che il rivestimento dell‟apparecchio si porti sotto tensione.
Alla sicurezza dell‟impianto contribuisce poi l‟impiego degli interruttori differenziali,
dispositivi che interrompono l‟erogazione della corrente quando si verifica uno squilibrio fra le
correnti che scorrono nei due conduttori di rete. Una differenza fra le due correnti, infatti, indica la
presenza di una dispersione che può risultare pericolosa.
Il surriscaldamento dei conduttori, infine può provocare incendi. Il rischio maggiore si ha
nel caso di un cortocircuito, cioè di un contatto diretto fra i due conduttori di rete, che provoca il
passaggio di correnti molto intense; ma in tal caso intervengono i fusibili o il limitatore di corrente
dell‟impianto, aprendo il circuito. Più insidioso è il lento surriscaldamento di un conduttore dovuto
al passaggio di correnti più intense di quelle per cui è stato costruito: per esempio quando si collega
a una stessa presa di corrente un numero eccessivo di apparecchi.
Figura 33. Le spine e le prese utilizzate negli impianti elettrici moderni sono dotate di tre poli. Il terzo serve per il
conduttore di terra, che è essenziale per la sicurezza elettrica in casa.
(Fotografia di una spina elettrica aperta, che evidenzia i tre poli e i conduttori ad essi collegati, con i rivestimenti
isolanti aventi i colori di norma)
Figura 34. a) La parte esterna dell‟elettrodomestico si trova al potenziale di terra,
essendo collegata al conduttore di terra del cavo di alimentazione; quindi non
costituisce pericolo anche nel caso di un guasto per cui un conduttore di rete entri
in contatto con essa; b) Se il conduttore di terra è interrotto o assente, quando si
verifica il guasto l‟elettrodomestico si porta alla tensione di rete e diventa
estremamente pericoloso toccarlo.
(Adattare da Il mondo della Fisica, tomo B, pag. 385, modificata sostituendo
come indicato la parte a sinistra di entrambe le parti, mantenendo l‟interruzione
del conduttore di terra nella parte b))
Figura 35. Comportamenti errati e precauzioni da adottare per prevenire i pericoli dell‟elettricità: ......
(Adattare da Carli-Giacomini, Tomo A, pag. 193, fig. 43)
29
Test di verifica
1) Perché una corrente elettrica possa scorrere con continuità attraverso un conduttore occorre
che questo sia
Ο un conduttore ohmico
Ο inserito in un circuito chiuso
Ο di tipo metallico
2) Attraversando un pila, gli elettroni che costituiscono una corrente elettrica si spostano dal
polo
Ο positivo verso quello negativo
Ο negativo verso quello positivo
3) Vero o falso?
Realizziamo un circuito chiuso collegando assieme quattro
lampadine come in figura. Esse non si accendono perché
- al loro interno il campo elettrico è nullo
- la corrente che vi scorre è insufficiente ad accenderle
- nel circuito manca l‟interruttore per accenderle
- il circuito è privo di un generatore elettrico
4) Il numero degli elettroni liberi in 1 mm3 di rame è
Ο circa 1 miliardo
Ο circa 1000 miliardi
V
O
O
O
O
F
O
O
O
O
Ο maggiore di 1 miliardo di miliardi
5) Sottolineate gli errori che individuate nella frase seguente
Nei metalli tutti gli elettroni degli atomi sono liberi di muoversi; in presenza di un campo
elettrico essi si spostano nella direzione e nel verso del campo, creando così una corrente
elettrica. Sotto l‟azione del campo, il loro moto, detto di deriva, è uniformemente accelerato.
6) In un conduttore percorso da corrente, tipicamente, la velocità del moto di deriva degli
elettroni è
O molto maggiore di
O dell‟ordine di
O molto minore di
di quella del moto di agitazione termica.
7) Un conduttore è attraversato da una carica di 5 coulomb ogni 4 secondi. Pertanto l‟intensità
di questa corrente è
O 5A
O 1,25 A
O 0,8 A
8) Vero o falso?
V
F
La curva caratteristica corrente-tensione di un conduttore ohmico è una retta
O
O
Un conduttore non ohmico è ben caratterizzato dal valore della sua resistenza
O
O
Nei conduttori metallici la prima legge di Ohm stabilisce una relazione di proporzionalità diretta
fra la tensione e l‟intensità della corrente
O
O
La legge di Ohm vale esclusivamente per i conduttori metallici
O
O
La resistività si misura in /m
O
O
Tagliando a metà un filo conduttore omogeneo con resistenza di 12  si ottengono due
conduttori ciascuno con resistenza di 6 
O
O
9) Scartavetrando a lungo la superficie di un filo di rame, la sua resistenza
O diminuisce
O resta costante
O aumenta
30
10) Una statuetta d‟argento che raffigura un merlo presenta la resistenza di 0,18 m fra il becco
e la coda. Essa viene duplicata esattamente usando però alluminio, sicchè la resistenza fra gli
stessi punti è:
O 0,103 m
O 0,28 m
O 2,8 m
11) La statuetta del quesito 10) viene riprodotta in scala, raddoppiandone le dimensioni lineari.
Pertanto la sua resistenza elettrica fra il becco e la coda
O si dimezza
O si raddoppia
O si quadruplica
12) La resistività dei metalli
O aumenta con la
temperatura.
O non dipende dalla
O diminuisce con la
13) Sottolineate gli errori che individuate nella frase seguente
La prima legge di Ohm è valida per qualsiasi conduttore; la seconda legge di Ohm stabilisce che
la resistenza elettrica di un filo conduttore è direttamente proporzionale alla sua sezione e
inversamente proporzionale alla sua lunghezza, dove la costante di proporzionalità è
indipendente dalla temperatura.
14) Le due lampadine nella parte b) della figura 7 sono collegate
O in serie
O in parallelo
O in serie/parallelo
15) Misurando la caratteristica corrente-tensione di un conduttore si
ottiene il grafico a fianco. Si conclude che si tratta di un conduttore
O resistivo
O non ohmico
O ohmico
i
v
16) Un conduttore con resistenza R = 500  è collegato a una pila da 9 V.
La resistenza da disporre in serie al circuito perché nel conduttore scorrano 3 mA è:
O 500 
O 2500 
O 3000 
17) Una pila da 3 V eroga complessivamente 12 mA a 3 resistori uguali collegati in parallelo.
Pertanto la resistenza di ciascuno di essi è:
O 250 
O 750 
O 3600 
18) Vero o falso?
V
F
Gli apparecchi elettrici di casa sono collegati in parallelo alla rete elettrica
O
O
Due conduttori sono collegati in serie quando hanno la stessa tensione ai loro estremi O
O
Per aumentare la resistenza fra due punti di un circuito si può disporre un resistore in parallelo
fra essi
O
O
L‟intensità della forza elettromotrice si misura in newton
O
O
I migliori generatori di tensione sono quelli che hanno resistenza interna molto piccola O
O
La tensione di una pila diminuisce al crescere della corrente erogata
O
O
19) Collegando in serie due pile con resistenza interna di 0,1 e 0,2  si ottiene un generatore
con resistenza interna di
O 0,667 
O 0,1 
O 0,3 
20) Per ottenere la tensione di 12 V occorre disporre in serie
O 6
O 8
O 12
pile da 1,5 V.
31
21) Colleghiamo in parallelo a un amperometro un resistore di resistenza pari alla resistenza
interna dello strumento. Così facendo la portata dello strumento
O si dimezza
O resta la stessa
O si raddoppia
22) Colleghiamo in serie a un amperometro un resistore di resistenza pari alla resistenza interna
dello strumento. Così facendo la portata dello strumento
O si dimezza
O resta la stessa
O si raddoppia
23) Colleghiamo in serie a un voltmetro un resistore di resistenza pari alla resistenza interna
dello strumento. Così facendo la portata dello strumento
O si dimezza
O resta la stessa
O si raddoppia
24) Colleghiamo in parallelo a un voltmetro un resistore di resistenza pari alla resistenza interna
dello strumento. Così facendo la portata dello strumento
O si dimezza
O resta la stessa
O si raddoppia
25) Un resistore di resistenza R = 10  viene collegato alla rete elettrica (220 V) per 10
secondi. L‟energia sviluppata per effetto Joule è
O 48400 J
O 48170 J
O 360000 J
26) L‟energia sviluppata per effetto Joule dal passaggio di una corrente in un resistore di
resistenza R è
direttamente proporzionale a
O R
O R2
O R
27) L‟energia sviluppata per effetto Joule dal passaggio di una corrente i in una resistenza è
direttamente proporzionale a
O i
O i2
O i
28) Vero o falso?
V
Gli amperometri vanno sempre disposti in serie al circuito
O
Nelle misure di corrente, la resistenza interna dell‟amperometro provoca un errore di tipo
casuale
O
I voltmetri devono presentare una resistenza interna molto alta
O
La potenza assorbita da un conduttore è data dal prodotto fra la tensione ai suoi estremi e
l‟intensità della corrente che lo attraversa
O
L‟effetto Joule rappresenta l‟aumento di temperatura di un conduttore percorso da corrente
O
F
O
O
O
O
O
29) Raddoppiando la tensione applicata a un resistore, la potenza dissipata nell‟elemento
O si dimezza
O si raddoppia
O si quadruplica
30) 1 kilowattora equivale a
O 860 kilocalorie
O 3,6 kilocalorie
O 4,187 kilocalorie
31) Un asciugacapelli da 1000 W, collegato alla rete elettrica, assorbe una corrente di
O 2,17 A
O 4,55 A
O 9,09 A
32) Un condensatore da 5000 F, inizialmente carico a 10 V, viene scaricato su un resistenza da
1 k, sicchè la costante di tempo del circuito è 5 s. La tensione del condensatore si riduce a
10 mV dopo
32
O 2,73 s
O 5s
dall‟inizio della scarica.
O 34,5 s
33) Sottolineate gli errori che individuate nella frase seguente
La costante di tempo che si manifesta nella scarica di un condensatore su una resistenza è
direttamente proporzionale alla resistenza, inversamente proporzionale alla capacità; essa inoltre
dipende dal valore iniziale della carica posseduta dal condensatore.
34) Disponendo di tre condensatori di capacità 1 nF, 1 F e 1000 F e di tre resistori di
resistenza 100 , 100 k e 10 M, la costante di tempo più lunga che posssiamo realizzare
è
O 0,1 s
O 102 s
O 104 s
e quella più breve è
O 0,1 s
O 0,1 ms
O 1s
35) Un condensatore di capacità C = 1 F, inizialmente carico, viene scaricato collegandolo a
una resistenza da 1 M. La sua energia si dimezza dopo
O 2,73 s
O 1s
O 0,347 s
dall‟inizio della carica.
36) L‟ambiente di casa dove si verifica il maggior numero di incidenti dovuti all‟elettricità è
O la camera da pranzo
O il bagno
O la camera da letto
37) Gli effetti fisiologici della corrente elettrica dipendono sopratutto
O dall‟intensità della corrente O dalla tensione con cui si entra in contatto
O dall‟umidità
38) Quando la pelle è bagnata, la resistenza elettrica del nostro corpo
O aumenta
O resta invariata
O diminuisce
33
Problemi e quesiti
1. Spiegate in 10 righe in cosa consistono tre effetti della corrente elettrica a vostra scelta.
Risoluzione. Tabella 1 a pagina xxx.
2. Calcolate approssimativamente la frequenza media degli urti fra un elettrone libero e il
reticolo di un metallo a temperatura ambiente e a 1000 K, assumendo che la distanza fra gli
ioni del reticolo sia di 0,1 nm.
Risoluzione. Ammettiamo, molto grossolanamente, che l‟elettrone si muova a una velocità costante pari alla
velocità quadratica media corrispondente alla temperatura del metallo, e che fra un urto e il successivo intercorra il
tempo t necessario a percorrere la distanza fra due ioni, cioè lo spazio s = 0,1 nm = 10-10 m, sicchè t = s/vqm. La
frequenza degli urti, cioè il numero di urti in 1 secondo, sarà allora: f = 1/t. Utilizzando i risultati dell‟Esempio 2,
a temperatura ambiente abbiamo vqm293 = 1,15105 m/s; a 1000 K, vqm1000 = vqm293(1000/293)1/2 = 1,151051,85 =
2,13105 m/s. Si ha pertanto: f293 = vqm293/10-10 = 1,151015 Hz; f1000 = vqm1000/10-10 = 2,131015 Hz. Ma siccome
questo calcolo è molto grossolano, potrebbe aver più senso esprimere le frequenze con due sole cifre significative.
3. Spiegate in 10 righe perché il moto di deriva degli elettroni di conduzione di un metallo,
dovuto al campo elettrico, sia uniforme anzichè uniformemente accelerato.
Risoluzione. Gli urti frequentissimi fra gli elettroni e gli ioni del reticolo, dovuti al moto di agitazione termica,
esercitano sul moto di deriva un‟azione frenante, analoga a quella prodotta dalla resistenza del mezzo sul moto di
un corpo esteso e quindi si raggiunge quasi subito la velocità terminale. Questa sarà proporzionale alla forza
elettrica che agisce sugli elettroni e quindi all‟intensità del campo. Allo stesso risultato, d‟altra parte, si arriva
ammettendo che dopo ogni urto l‟elettrone perda memoria della velocità che aveva acquistato sotto l‟azione del
campo E. E quindi se l‟elettrone, nell‟intervallo di tempo t fra due urti successivi, acquista la velocità di deriva
massima v = a t = eEt/me , la sua velocità media di deriva (la metà della precedente) risulta proporzionale
all‟intensità del campo.
4. La corrente costituita da un fascio di elettroni in moto nel vuoto a velocità costante ha
l‟intensità di 800 A. Calcolate quanti elettroni al secondo raggiungono il bersaglio a cui è
diretto il fascio.
Risoluzione. La corrente trasporta in 1 secondo la carica di 800 C. Il numero di elettroni al secondo che raggiungono il
bersaglio è pertanto n = 800/1,610-19 = 51021.
5. In un apparato viaggia un fascio di 1016 elettroni al secondo, e parallelamente ad esso un
fascio di 91015 positroni al secondo (i positroni sono antielettroni, dotati perciò di carica
elementare positiva). Calcolate l‟intensità della corrente totale dei due fasci di particelle,
esprimendola in microampere.
Risoluzione. Il problema è indeterminato se non si conosce il senso in cui viaggiano le particella di un fascio rispetto
all‟altro. Consideriamo perciò separatamente i due casi. Se i due fasci sono concordi, allora le correnti si sottraggono,
dato che le particelle che li costituiscono hanno cariche di segni opposti. Si ha pertanto: i = (10 16 – 91015)1,610-19 =
1,610-4 A = 160 A. Se, invece, i due fasci sono discordi, allora le correnti si sommano e si ha: i = (10 16 +
91015)1,610-19 = 3,0410-3 A = 3040 A.
6. Per riuscire ad avviare il motore di un‟automobile, il motorino elettrico, che assorbe una
corrente di 120 A, viene azionato per 2,5 secondi tre volte di seguito. Calcolate la carica
totale fornita dalla batteria.
Risoluzione. La carica fornita dalla batteria è Q = it = 1202,53 = 900 C.
7. Calcolate l‟intensità della corrente che, attraversando un filo di rame con sezione di 1 mm2,
provocherebbe un moto di deriva degli elettroni con velocità media uguale alla velocità
quadratica media del moto di agitazione termica a 293 K (suggerimento: utilizzate i risultati
degli Esempi 2 e 3).
Risoluzione. Dall‟Esempio 2 sappiamo che la velocità quadratica media degli elettroni in un metallo a 293 K è:
vqm = 1,15105 m/s. Dall‟Esempio 3 sappiamo che la velocità di deriva è direttamente proporzionale all‟intensità
della corrente e che quando il filo di rame da 1 mm2 di sezione è attraversato da 1 A si ha: vd = 7,3510-5 m/s. Per
avere vd = vqm occorrerebbe che l‟intensità della corrente fosse (1,15105/7,3510-5) = 1,56109 A. Cosa
evidentemente impossibile.
34
8. Una lampadina, alimentata a 220 V, assorbe una corrente di 0,182 A. Calcolate la resistenza
della lampadina.
Risoluzione. Applicando la prima legge di Ohm, scritta nella forma R = V/i, si ha: R = 220/0,182 = 1210 .
9.
Ohm osservò che le leggi della conduzione elettrica “sono così simili a quelle riguardanti la
propagazione del calore ... che anche se non vi fossero altre ragioni potremmo
ragionevolmente trarre la conclusione che fra questi fenomeni naturali esiste una intima
connessione”. Sapete interpretare questa intuizione, al di là dell‟analogia formale, sulla base
delle conoscenze attuali circa la conduzione dell‟elettricità e del calore nei corpi metallici?
Risoluzione. Sia nella conduzione del calore che dell‟elettricità in un metallo il ruolo essenziale è giocato dagli
elettroni liberi. Il loro moto ordinato di deriva costituisce infatti direttamente la corrente elettrica. Il loro moto
disordinato di agitazione termica trasmette continuamente energia da un punto all‟altro del reticolo cristallino, col
risultato che le parti più “calde” del metallo riscaldano quelle più “fredde”.
10. Colleghiamo una batteria da 6V a un resistore da 100 . Calcolate l‟intensità della corrente
che scorre nel resistore.
Risoluzione. Applicando la prima legge di Ohm, scritta nella forma i = V/R, si ha: i = 6/100 = 0,06 A.
11. Una stufa elettrica, con resistenza R = 50 , richiede 4,7 A per il suo funzionamento.
Calcolate la tensione con cui la stufa va alimentata.
Risoluzione. Applicando la prima legge di Ohm, scritta nella forma V = Ri, si ha: V = 504,5 = 225 V.
12. Due conduttori vengono collegati, uno per volta, a un generatore di tensione variabile,
misurando le intensità, i1 e i2, delle correnti che li attraversano al variare della tensione
V del generatore. Utilizzando i dati sperimentali raccolti nella tabella, graficate le caratteristiche
corrente-tensione dei due conduttori riportando le tensioni
V (volt) i1 (mA)
i2 (mA)
sull‟asse delle ascisse e le intensità di corrente su quello delle
0
0
0
ordinate. Stabilite se uno di essi o entrambi sono conduttori
3
6,2
3
ohmici, in tal caso calcolandone la resistenza.
6
11,8
6,4
Risoluzione. I dati relativi al primo conduttore (blu, in alto) appaiono
corrente (mA)
9
17,4
10,1
12
25,1
14,8
15
29,5
19,7
50
18
37
25,4
21
42,5
31,5
40
24
48,3
40,5
30
distribuiti lungo una retta passante per
l‟origine, sia pure approssimativamente a
20
causa degli errori di misura. E pertanto si
tratta di un conduttore ohmico.
10
Tracciando a mano la retta che meglio li
approssima si ottiene R  500 . Si può,
0
in alternativa, stimare la resistenza
0
5
10
15
20
25
calcolando la media dei rapporti V/i1 per
tensione (volt)
ciascuna riga della tabella, o usare altri
metodi statistici. I dati del secondo
conduttore (rosso, in basso), invece, si
discostano, sia pur debolmente, da un andamento rettilineo e pertanto si tratta di un conduttore non ohmico.
13. Spiegate perché ha poco senso definire una resistenza per i conduttori non ohmici.
Risoluzione. Nei conduttori non ohmici non vi è proporzionalità diretta fra la tensione e l‟intensità della corrente e
quindi il rapporto V/i non è costante. Tale rapporto, naturalmente, si può calcolare anche per questi conduttori, ma
esso risulterà, in generale, diverso a seconda del valore di V (o di i) a cui lo si considera. E quindi il rapporto V/i
risulta poco utile per caratterizzare un conduttore non ohmico. 
14. Dimostrate che la tensione d‟uscita del circuito rappresentato nella figura 10 è
effettivamente quella d‟ingresso moltiplicata per  volte (con <1).
35
Risoluzione. Se la tensione d‟ingresso è V, allora nel resistore R scorre la corrente i = V/R. Di conseguenza, la tensione
ai capi della frazione R della resistenza totale, cioè la tensione d‟uscita, è V‟ = Ri = V.
15. Un filo conduttore con sezione S = 1 mm2 lungo L = 18 m presenta una resistenza di R = 0,5
. Individuate il metallo di cui esso presumibilmente è fatto e calcolate la lunghezza di un
filo dello stesso metallo, con sezione di raggio 2 volte minore, necessaria per avere
resistenza R = 10 .
Risoluzione. La resistività del filo si ricava dalla seconda legge di Ohm:  =RS/L. Dato che la sezione S è misurata
in mm2, la resistività risulterà espressa nell‟unità pratica  mm2/m:  = 0,51/18  mm2/m = 0,0278  mm2/m.
si ottiene in questo caso dal rapporto fra la resistenza e la lunghezza del filo: Esaminando la tabella 2, si conclude
che assai probabilmente il filo è fatto di alluminio. Per calcolare la lunghezza L‟ del filo necessario a ottenere una
resistenza di 10  utilizziamo ancora la seconda legge di Ohm, da cui la proporzione: L‟ = L(R‟/R)(S‟/S) =
18(10/0,5)(1/4) = 90 m.
16. Nelle ferrovie a trazione elettrica si usano le rotaie come conduttore di ritorno per la
corrente prelevata dalla linea aerea. Consideriamo una rotaia lunga 1 km fatta di acciaio
(con densità  = 7,8 g/cm3 e resistività  = 1210-8 m) e massa di m = 30 kg al metro.
Calcolate la resistenza della rotaia e la caduta di tensione V ai suoi estremi quando essa è
attraversata da una corrente di 2000 A.
Risoluzione. Il volume di 1 m di rotaia è V = m/ = 30/7800 = 3,8510-3 m3. E quindi la sezione della rotaia è S =
V/1 = 3,8510-3 m2. Applicando la seconda legge di Ohm si ricava la resistenza di 1 km di rotaia: R = L/S = 12108
1000/3,8510-3 = 0,0312 . Sicchè la caduta di tensione lungo la rotaia è: V = Ri = 0,03122000 = 62,3 V.
17. Un altoparlante con resistenza R = 8  va collegato all‟amplificatore, che si trova alla
distanza di L = 20 m, con un cavo di rame. Calcolate la sezione dei conduttori, imponendo
che la resistenza R‟ del cavo sia 1/20 di quella dell‟altoparlante.
Risoluzione. Per calcolare la sezione S dei conduttori del cavo, la cui lunghezza totale è 2L = 40 m, utilizziamo la
seconda legge di Ohm scritta nella forma: S = 2L/R. Consultando la tabella 2 ed esprimendo le grandezze nelle
unità pratiche si ha: S = (0,017 mm2/m)(40 m)/(8 ) = 0,085 mm2.
18. Nella cassetta di un elettricista si trova un conduttore metallico che ha la forma mostrata
nella figura. Stabilite a cosa serviva.
Risoluzione. La forma del conduttore indica chiaramente che esso era usato come “resistenza” in un ferro da stiro.
(foto o disegno, piccoli, di una resistenza usata in un vecchio ferro da stiro)
19. Dimostrate che l‟unità di misura della resisistività nel sistema SI è l‟ohmmetro.
Risoluzione. Utilizzando la seconda legge di Ohm si conclude che le dimensioni della resistività sono quelle di una
resistenza per quelle di una superficie diviso per quelle di una lunghezza.
20. In un filo di rame con sezione di 0,5 mm2 scorre una corrente di 0,2 A. Calcolate l‟intensità
del campo elettrico nel metallo.
Risoluzione. La resistività del rame ( Tabella 2) è = 0,017 mm2/m e quindi la resistenza di 1 m del filo di
rame è R = (0,017 mm2/m)(1 m)/(0,5 mm2 ) = 0,034 . Quando il filo è percorso da 0,2 A , la caduta di
tensione sulla lunghezza di 1 m è V = Ri = 0,0340,2 = 0,064 volt. L‟intensità del campo elettrico è quindi: E =
V/1 = 0,064 V/m.
21. In un tostapane si utilizza come riscaldatore un nastrino di nichel-cromo con sezione S = 0,2
mm  1 mm. Calcolate la lunghezza del nastro in modo che presenti una resistenza R = 6 .
Risoluzione. Il nichel-cromo è una lega (59% Ni, 23% Cu, 16% Cr) che presenta elevata resistività e per questo è
usata nei riscaldatori di molti apparecchi domestici. Ricaviamo la sua resistività dalla tabella 2:  = l,1  mm2/m.
Per calcolare la lunghezza del nastro, la cui sezione è S = 0,2 mm2, ricaviamo L dalla formula (4): L = S R/ = (0,2
mm2)(6 )/( l,1  mm2/m) = 1,09 m.
22. (*) Ricavate una relazione analitica approssimata fra la variazione di resistenza R e
l‟allungamento L di un estensimetro ( La fisica della tecnologia 1. a pag. xxx)
36
esprimendola in termini di variazione relativa (R/R in funzione di L/L), assumendo che il
volume V del conduttore resti invariato. Suggerimento: assumete piccole le variazioni delle
grandezze, potendo così trascurare L rispetto a L e S rispetto a S nelle espressioni delle
variazioni che ricaverete.
Risoluzione. Essendo evidentemente R =  L/S la resistenza prima dell‟allungamento del conduttore, quella dopo
l‟allungamento sarà: R+R =  (L+L)/(S+S), avendo indicato con L la variazione della lunghezza e con S la
variazione della sezione. La differenza fra le due precedenti ci fornisce la variazione di resistenza R = R‟ – R =
 (L+L)/(S+S) -  L/S = (SL-LS)/(S(S+S)). Ricaviamo ora la variazione S della sezione corrispondente a un
allungamento L del conduttore, imponendo che il volume del conduttore resti invariato, cioè: (L+L)(S+S) = LS.
Sviluppando e semplificando si ottiene: LS+SL+LS = 0, da cui si ricava S = -SL/(L+L).Trascurando qui L
rispetto a L, come suggerito, si ha S  -SL/L. Sostituendo questa espressione di S in quella di R ricavata sopra, si
ha: R = 2 L(S +S). Trascurando qui S rispetto a S, si ottiene infine R  2 L/S. Dividendo per R otteniamo
infine la variazione relativa della resistenza del conduttore: R/R  2L/L. 
23. Un amplificatore audio di potenza funziona correttamente, fornendo la potenza massima,
quando è collegato a un carico con resistenza di 8 . Abbiamo a disposizione 4 altoparlanti
da 8 . Come li colleghiamo all‟uscita dell‟amplificatore?
Risoluzione. Collegandoli a due a due in parallelo e poi disponendo in serie quanto ottenuto, ossia, che è lo stesso,
collegandoli a due a due in serie e poi disponendo in parallelo quanto ottenuto. Si ottiene cosi la resistenza
desiderata: R = 8/2 + 8/2 = 8 .
24. Abbiamo a disposizione due resistori, con R = 50 , R‟ = 200 . Determinate quanti e quali
diversi valori di resistenza possiamo ottenere con essi.
Risoluzione. Collegandoli i due resistori in parallelo in serie si ha Rs = R + R‟ = 50 + 200 = 250 ; collegandoli in
parallelo: Rp = 1/(1/R + 1/R‟) = 1/(1/50 + 1/200) = 40 . Considerando anche i resistori presi separatamente, i
valori di resistenza ottenibili sono 4.
25. Abbiamo a disposizione tre resistori con tre diversi valori di resistenza. Stabilite quanti
diversi valori di resistenza possiamo ottenere con essi.
Risoluzione. In linea di principio, i diversi valori di resistenza sono 17: 3 utilizzando separatamente i resistori; 2
collegandoli tutti in serie e tutti in parallelo; 3 collegandone due in serie; 3 collegandone due in parallelo; 3
collegandone due in parallelo posti in serie all‟altro; 3 collegandone due in serie posti in parallelo all‟altro. Ma non è
detto che a queste 17 diverse disposizioni corrispondano effettivamente 17 diversi valori di resistenza.
26. Disegnate lo schema elettrico del circuito costituito da due resistori da 1000 , fra loro in
parallelo, che sono collegati in serie a un resistore da 1000
, con un resistore da 1000  in parallelo al tutto.
Risoluzione. Vedi figura a fianco.
27. Calcolate la resistenza equivalente del circuito considerato
nel quesito precedente.
Risoluzione. La resistenza equivalente dei due resistori in parallelo è 500 , che
si trova in serie a 1000  per cui si hanno 1500 . Questa resistenza è poi in
parallelo a 1000 , sicché la resistenza equivalente totale del circuito è R = 15001000/(1500 + 1000) = 600 .
28. Calcolate le correnti che scorrono nei diversi elementi del circuito considerato nel problema
precedente quando i suoi terminali vengono collegati a un generatore di tensione da 12 volt.
Risoluzione. L‟intensità della corrente che scorre attraverso il resistore collegato direttamente al generatore è
12/1000 = 0,012 A. L‟intensità della corrente che scorre attraverso la disposizione in serie/parallelo degli altri tre
resistori, con resistenza equivalente 1500 , è 12/1500 = 0,008 A. Tale corrente è naturalmente la stessa che scorre
nel resistore disposto in serie, e si suddivide in parti uguali fra i due resistori in parallelo, che sono pertanto
entrambi attraversati da 0,004 A.
29. Calcolate il valore della resistenza da disporre in parallelo a un resistore da 10000  per
ottenere una resistenza complessiva di 1000 .
37
Risoluzione. Chiamando R= 1000  la resistenza desiderata, R1 ed R2 le due resistenze da collegare in parallelo, ed
essendo R1 = 10000 , la resistenza incognita R2 si ricava risolvendo l‟equazione R = (R1R2)/(R1 + R2). Si ha:
R2 = (RR1)/(R1 – R) = 100010000/(10000 – 1000) = 1111 .
30. Calcolate la tensione fre i punti A e C e fra i punti B e C nel circuito a fianco quando la
tensione del generatore è V = 10 volt.
Risoluzione. La resistenza totale dei tre resistori è 9000+900+100 = 10000
, sicché essi sono attraversati dalla corrente i = 10/10000 = 0,001 A. La
resistenza fra A e C è 1000 , sicché la tensione fra i due punti è VAC =
10000,001 = 1 volt. La resistenza fra B e C è 100 , sicché la tensione fra
i due punti è VBC = 1000,001 = 0,1 volt.
31. Risolvete il circuito di figura 20 bis assumendo V2 = 1 volt.
Risoluzione. Il procedimento da seguire è esattamente quello presentato
nell‟Esempio 11. Ma nel caso presente si troverà che la tensione V del nodo
A è minore di quella del generatore V2, e quindi la corrente i2 ha segno
negativo. Si ha infatti: V = 2,91 volt, i1 = 2,09 mA, i2 = -0,637 mA, i3 = 1,46
mA. Ciò significa semplicemente che la corrente i2 è diretta in verso opposto alla corrispondente freccia in figura.
32. Abbiamo due pile identiche e due resistori identici. Ogni pila alimenta separatamente un
resistore, sicché le correnti che scorrono nei due resistori hanno esattamente la stessa
intensità. E‟ corretto concludere che i due resistori sono collegati in serie?
Risoluzione. La conclusione non è corretta. Infatti le correnti che scorrono nei due resistori, sebbene abbiano la
stessa intensità, sono diverse (non sono la “stessa” corrente). Si noti peraltro che in Fisica è impossibile fare in
modo che due grandezze abbiano esattamente lo stesso valore: al più si può fare in modo che abbiano lo stesso
valore entro gli inevitabili errori di misura.
33. Abbiamo a disposizione 6 pile da 1,5 V con resistenza interna 0,1 . Calcolate le
caratteristiche dei generatori ottenuti disponendole tutte in serie oppure tutte in parallelo.
Risoluzione. Disponendo le pile in serie si sommano sia le forze elettromotrici che le resistenze interne e quindi il
generatore così ottenuto avrà: Vfem = 1,56 = 9 volt, Rint = 0,16 = 0,6 . Disponendo le pile in parallelo la forza
elettromotrice rimane invariata mentre le resistenze interne vanno in parallelo. Pertanto il generatore così ottenuto
avrà: Vfem = 1,5 volt, Rint = 0,1/6 = 0,167 .
34. L‟accumulatore di un‟auto ha i seguenti parametri: Vfem = 12 V, Rint = 0,01 . Calcolate la
tensione ai poli della batteria quando, all‟avviamento del motore, essa eroga 100 A
Risoluzione. La tensione di un generatore sotto carico è data dalla sua forza elettromotrice meno la caduta di tensione
sulla sua resistenza interna. Utilizzando la formula (10) si ha: V = Vfem – Rint i = 12 – 0,01100 = 12 – 1 = 11 V.
35. La torpedine è un pesce elettrico che può produrre forti scariche a tensioni di 200 V.
L‟animale è ricoperto da molte migliaia di celle ciascuna delle quali produce circa 0,15 V.
Queste sono collegate in serie a formare l‟equivalente di tante batterie, a loro volta collegate
in parallelo. Valutate quante celle sono disposte in serie per ottenere 200 V e spiegate
perché più “batterie” sono collegate in parallelo.
Risoluzione. Il numero delle celle di ciascuna “batteria” è circa 200/0,15  1300. Le “batterie” sono collegate in
parallelo per ottenere correnti più intense.
36. Una pila, dopo un certo tempo di funzionamento, subisce una riduzione della sua forza
elettromotrice da 1,5 a 1,3 volt e un aumento della sua resistenza interna da 0,1 a 0,55 .
Calcolate la corrente erogata dalla pila a un carico di 2 , quando era fresca e quando si è
un po‟ esaurita.
Risoluzione. L‟intensità della corrente erogata dalla pila è data dalla prima legge di Ohm, come rapporto fra la sua
forza elettromotrice e la resistenza totale del circuito. Quando la pila era fresca: i = 1,5/(2 + 0,1) = 0,714 A, quando
è un po‟ esaurita: i‟ = 1,3/(2 + 0,55) = 0,510 A.
38
37. Consideriamo la pila dell‟esercizio precedente, immaginando che i due parametri che la
caratterizzano possano variare indipendentemente. In tal caso la variazione di quale dei due
sarebbe stata più dannosa per il funzionamento della pila, se collegata al carico di 2 ?
Risoluzione. Se fosse variata soltanto la forza elettromotrice, l‟intensità della corrente erogata dalla pila sarebbe: i
= 1,3/(2 + 0,1) = 0,619 A; se fosse variata soltanto la resistenza interna: i‟ = 1,5/(2 + 0,55) = 0,588 A. Si conclude
partanto che l‟effetto più dannoso è quello relativo alla vazione della resistenza interna.
38. Abbiamo un amperometro con resistenza interna r = 10  e portata imax = 1 mA. Calcolate la
resistenza del derivatore, da porre in parallelo all‟amperometro in modo da ridurre la portata
a imax‟ = 100 A.
Risoluzione. Un derivatore sottrae corrente a un amperometro. E quindi i derivatori consentono di aumentare, ma
non diminuire, la portata dello strumento. Pertanto il problema non è risolvibile perché insensato.
39. Disponiamo un resistore R = 1,111  in parallelo a un amperometro con resistenza interna r
= 10  e portata 1 mA. Calcolate i parametri dello strumento dopo la modifica.
Risoluzione. La resistenza interna dello strumento modificato è data dal parallelo fra le due resistenze: r‟ = rR/(r +
R) = 101,111/(10 + 1,111) = 1 . La portata dello strumento modificato è imax‟ = 10 mA. Infatti quando attraverso
l‟amperometro scorre la corrente i , attraverso il resistore esterno scorre la corrente iR/r, che è R/r = 9 volte più
intensa e quindi la corrente totale è i‟ = 10 i. Da ciò consegue imax‟ = 10imax.
40. Abbiamo un voltmetro con portata di 1 volt e resistenza interna 100 k. Vogliamo
utilizzarlo per eseguire misure di tensioni più alte, fino a 10 e fino a 100 volt. Calcolate le
resistenze addizionali da usare nei due casi.
Risoluzione. Per avere la portata di 10 V, occorre che sul resistore esterno R‟ la caduta di tensione sia 9 volte
quella sul voltmetro, pertanto R10‟ = 9R = 900 k. Per avere la portata di 100 V, occorre che sul resistore esterno
la caduta di tensione sia 99 volte quella sul voltmetro, pertanto R100‟ = 99R = 9,9 M.
41. Un motore elettrico, nel quale il 90% dell‟energia elettrica assorbita viene trasformata in
lavoro meccanico, solleva in 20 secondi un carico di 1500 kg all‟altezza di 12 m. Calcolate
la potenza elettrica necessaria per alimentare il motore e l‟energia elettrica assorbita
esprimendola in kWh.
Risoluzione. Il lavoro meccanico svolto dal motore è: LM = mgh = 15009,812 = 176400 J. Tenendo conto del
rendimento del motore, l‟energia elettrica assorbita è: U = LM/0,9 = 176400/0,9 = 196000 J = 196000/(3,6106)
kWh = 0,0544 kWh. La potenza elettrica è P = U/t = 196000/20 = 9800 W.
42. Il motore del problema precedente viene alimentato a 380 V. Calcolate l‟intensità della
corrente e la resistenza massima R dei conduttori di collegamento perché la dissipazione per
effetto Joule in essi non superi l‟1% della potenza che alimenta il motore.
Risoluzione. L‟intensità della corrente, in base alla formula (13), è: i = P/V = 9800/380 = 25,8 A. Perché la potenza
dissipata nei conduttori non superi PR = 98001% = 98 W, occorre che essi presentino una resistenza totale non
superiore a R = PR/i2 = 98/25,82 = 0,147 . 
43. Una stufa di resistenza elettrica R, usata per riscaldare una stanza, risulta insufficiente allo
scopo. Avendo appreso, studiando la legge di Joule (formula (14)), che il calore prodotto è
direttamente proporzionale alla resistenza del conduttore, si decide di sostituirla con una
stufa di resistenza doppia. Così facendo, però, il riscaldamento risulta inferiore anziché
maggiore. Spiegate il motivo di ciò.
Risoluzione. Secondo la legge di Joule, l‟energia sviluppata è direttamente proporzionale sia alla resistenza sia al
quadrato dell‟intensità della corrente. E quindi, dato che le stufe sono alimentate dalla tensione di rete (220 V),
aumentandone la resistenza di un fattore 2 la corrente si riduce a sua volta di un fattore 2, con il risultato finale di
dimezzare il calore prodotto.
44. Il tostapane del problema 21 viene collegato alla rete elettrica (220 V) per due minuti.
Calcolate la potenza e l‟energia totale assorbita dall‟apparecchio. Discutete i risultati ottenuti.
39
Risoluzione. Alimentando a 220 V il tostapane, di resistenza R = 6 , esso sarà attraversato da una corrente di
intensità i = V/R = 220/6 = 36,7 A. E quindi la potenza dissipata sarà P = Vi = 22036,7 = 8067 W = 8,07 kW;
l‟energia totale, U = Pt = 8067120 = 968040 J. Riconosciamo che questi valori sono veramente eccessivi: a) il
limitatore di corrente dell‟impianto scatterà sicuramente interrompendo l‟erogazione della corrente; b) se ciò non
accadesse, i conduttori dell‟impianto elettrico, percorsi da una corrente così intensa, sarebbero soggetti a un
pericoloso riscaldamento; c) d‟altra parte, la potenza sviluppata nel tostapane, pari a quella di 8 stufe da 1 kW, lo
distruggerebbe sicuramente e potrebbe anche provocare un incendio.
45. Vogliamo misurare la potenza assorbita da una lampadina alimentata da una pila usando un
voltmetro e un amperometro. Rappresentate il circuito con uno schema elettrico, indicando
la disposizione degli strumenti, spiegate il motivo della disposizione adottata e discutete gli
eventuali errori sistematici di misura.
Risoluzione. Per misurare la potenza assorbita dalla lampadina L, misuriamo l‟intensità della corrente che
l‟attraversa diponendo l‟amperometro a in serie ad essa, misuriamo la tensione ai suoi estremi disponendo il
voltmetro V in parallelo ad essa e calcoliamo infine infine la potenza con
la formula (13). La disposizione degli strumenti è indicata nello schema a
fianco. Le cause di errore sistematico sono le seguenti: a) L‟inserimento
dell‟amperometro provoca una diminuzione della corrente che scorre nella
lampadina, perché la resistenza interna dello strumento si somma a quella
della lampadina; b) La tensione che misura il voltmetro, per lo stesso
motivo di prima, non è quella agli estremi della lampadina, ma un po‟
maggiore. Si potrebbe collegare il voltmetro diversamente, cioè in
parallelo alla lampadina, ma anche in questo caso si avrebbero degli errori:
l‟amperometro, infatti, misurerebbe sia la corrente che scorre nella
lampadina sia quella assorbita dal voltmetro.
46. Sulla targa di un asciugapelli si legge P = 800 W. Calcolate la resistenza del riscaldatore
utilizzato nell‟apparecchio. Vi sembra che il problema fornisca tutti i dati necessari?
Risoluzione. Il problema è indeterminato, dato che un asciugacapelli, oltre al riscaldatore, comprende anche un
motore elettrico. Immaginando comunque che gli 800 W siano tutti destinati al riscaldatore, utilizziamo la formula
(13) per ricavare l‟intensità della corrente nell‟apparecchio quando esso è alimentato da una presa di rete (220
volt): i = P/V = 800/220 = 3,64 A. La resistenza del riscaldatore si ottiene poi applicando la prima legge di Ohm: R
= V/i = 220/3,64 = 60,4 .
47. (*) Alle uscite di un amplificatore stereo da 100 W colleghiamo degli altoparlanti da 8 ,
che però sono previsti per un potenza massima di 10 W. Per evitare che un sovraccarico li
distrugga, li proteggiamo con dei fusibili. Stabilite se i fusibili vanno disposti in serie o in
parallelo agli altoparlanti. Calcolate l‟intensità della corrente a cui i fusibili devono fondere,
aprendo il circuito.
Risoluzione. I fusibili vanno disposti in serie agli altoparlanti, in modo da essere attraversati dalla stessa corrente,
aprendo il circuito qualora essa diventasse eccessiva. Ciò avviene quando la potenza erogata all‟altoparlante, P =
Vi = i2R, è maggiore di 10 W. L‟intensità della corrente limite è pertanto: i = (P/R)1/2 = (10/8)1/2 = 1,12 A. Useremo
pertanto dei fusibili da 1 A.
48. Vogliamo ricaricare un accumulatore da 12 volt (la tensione necessaria è quella nominale
maggiorata del 15%) collegando in serie un certo numero di celle solari, ciascuna delle quali
a mezzogiorno eroga 120 mA alla tensione di 0,45 V. Calcolate il numero delle celle
occorrenti e la potenza elettrica che esse forniscono. Stabilite cosa avviene poi nel
pomeriggio.
Risoluzione. La tensione necessaria a ricaricare l‟accumulatore è 121,15 = 13,8 volt. Il numero delle celle
occorrenti è pertanto: n = 13,8/0,45 = 30,7, che arrotondiamo a n = 31. La potenza fornita dalle celle a mezzogiorno
è: P = 310,450,12 = 1,67 W. Nel pomeriggio le celle solari forniranno una tensione un po‟ inferiore e quindi
potrebbero risultare insufficienti a ricaricare la batteria.
49. La stufetta elettrica da 500 W che riscalda un ambiente subisce un guasto. Per ovviare
all‟inconveniente si propone di accendere 5 lampadine da 100 W. Cosa pensate di questa
proposta?
40
Risoluzione. La proposta è assai sensata, dato che tutta l‟energia elettrica assorbita dalle lampadine va a riscaldare
l‟ambiente. Infatti una larga frazione (90-95%) dell‟energia assorbita da una lampadina a incandescenza viene
dissipata in calore oppure emessa sotto forma di radiazione termica, e anche la piccola frazione di energia emessa
dalla lampadina come radiazione luminosa si trasforma in energia termica quando viene assorbita dai corpi che essa
illumina.
50. Sappiamo che perchè una corrente elettrica scorra in un conduttore occorre che il conduttore
sia inserito in un circuito chiuso, costituito da una catena ininterrotta di conduttori a contatto
fra loro. Ciò evidentemente non si verifica quando nel circuito vi è un condensatore, come
nel circuito di figura 31. E allora perché diciamo che nella resistenza R scorre una corrente?
Risoluzione. La condizione anzidetta è richiesta perché la corrente possa scorrere con continuità. E infatti nel
circuito di figura 31, nel quale è inserito un condensatore che interrompe la catena di conduttori, non può scorrere
una corrente continua. Vi può, tuttavia, scorrere una corrente transitoria, che trasporta una quantità finita di carica,
quanta ne serve per caricare o scaricare il condensatore, e che si estingue nel tempo.
51. Un condensatore di capacità C = 2,5 F viene caricato a 9 volt e poi usato per alimentare un
carico ohmico di resistenza R = 5000 . Calcolate dopo quanto tempo la tensione del
condensatore si riduce del 10% rispetto a quella iniziale.
Risoluzione. La tensione del condensatore C collegato al carico R, con  = RC = 12500 s, segue la legge di scarica
v(t) = V e-t/ ( formula (17a)). La tensione si riduce pertanto a V‟ = V(1-0.1) = 8,1 volt al tempo t‟ che si ricava
ponendo nella precedente v(t‟) = V‟ , prendendone il logaritmo naturale e ricavando t‟ =  ln(V/V‟) = -12500
ln(9/8,1) = 1317 s  22 minuti.
52. (*) Quando si carica un condensatore C alla tensione V attraverso una resistenza, la parte
del lavoro compiuto dal generatore perché la carica attraversi la resistenza vale ( formula
(22)) ½CV2. Cioè non dipende dal valore della resistenza. Provate a spiegare
qualitativamente la ragione di ciò (suggerimento: la durata del processo di carica è
proporzionale a R).
Risoluzione. L‟energia dissipata nella resistenza R per effetto Joule in un intervallino di tempo t è, in base alla
formula (14): U = i2Rt. L‟energia totale si ottiene poi sommando i contributi di tutti gli intervallini. A ciascun
istante, tuttavia, l‟intensità della corrente è proporzionale a V/R, e quindi il contributo U sarà proporzionale a
V2t/R. La durata totale del processo di carica, d‟altra parte, è proporzionale alla costante di tempo  = RC. Di
conseguenza, sostituendo nella precedente espressione t con RC si conclude che l‟energia totale è proporzionale a
CV2, e in particolare non dipende dal valore della resistenza. 
53. Per ottenere un impulso di corrente molto intenso e molto breve si carica un condensatore a
tensione elevata e poi lo si scarica su una resistenza di piccolo valore. Usando un
condensatore C = 10 nF, calcolate la tensione V a cui va caricato e la resistenza R su cui va
scaricato per ottenere un impulso di 100 A con una durata di 100 ns (considerate la durata
dell‟impulso pari alla costante di tempo).
Risoluzione. Essendo nota la costante di tempo, la resistenza da utilizzare è: R = /C = 100 ns/10 nF = 10 .
Perchè l‟intensità iniziale dell‟impulso di corrente valga 100 A occorre caricare il condensatore alla tensione V =
Ri = 10100 = 1000 volt.
54. Un condensatore di capacità C = 10 nF viene
collegato a un generatore V = 305 volt attraverso un
resistore R = 10 k. In parallelo al condensatore si
dispone una lampadinetta al neon ( figura 8c), che
presenta la caratteristica di non condurre corrente
quando la tensione ai suoi terminali è inferiore a 120
volt, comportandosi altrimenti come un interruttore
chiuso (a 120 V si verifica infatti un scarica nel gas che si trova nella lampadina).
Determinate la forma d‟onda d‟uscita del circuito, cioè l‟andamento nel tempo della
tensione v(t) agli estremi del condensatore, tracciatene un grafico e calcolatene la frequenza.
(Assumete che la scarica che avviene nella lampadina quando la tensione raggiunge i 120
volt abbia durata trascurabile)
41
Risoluzione. Il condensatore si carica attraverso la resistenza (dove scorre la corrente i(t)) con la legge di carica data
dalla formula (20): v(t) = V(1 - e-t/), con V = 305 volt e = RC = 101031010-9 = 10-4 s. Quando però la tensione v(t)
raggiunge il livello V‟ = 120 volt, nel gas fra gli
140
elettrodi della lampadina s‟innesca una scarica che in
un tempo molto breve (lo trascuriamo) riporta a zero la
120
tensione del condensatore. E il ciclo si ripete. La durata
100
del ciclo si determina calcolando il tempo t‟ per cui
80
v(t‟) = V‟. Dall‟equazione precedente si ha: V‟ = V(1 60
e-t‟/), cioè V – V‟ = V e-t/. Prendendo il logaritmo
40
naturale della precedente, si ricava infine t‟ = 
-4
-5
20
ln(V/(V-V‟)) = 10 ln(305/(305-120)) = 5,010 s = 50
0
s. La frequenza di ripetizione dell‟onda è pertanto: f =
0
20
40
60
80
100
120
1/t‟ = 1/ 510-5 = 2104 Hz = 20 kHz.
(scritte, asse verticale: (volt), asse orizzontale: tempo
(microsecondi)
55. Un ragazzo, cadendo da un albero, si aggrappa con le mani, poste alla distanza di 1 m, su un
conduttore elettrico con resistenza di 1 /km che si trova alla tensione di 500 V rispetto a
terra ed è percorso da una corrente di 100 A. Corre pericolo? (vignetta da fare: ragazzo appeso a
un cavo elettrico sotto un ramo di un albero, con la mani a distanza di 1 m)
Risoluzione. Il ragazzo corre soltanto il pericolo di cadere a terra. La tensione fra le sue mani è infatti soltanto V =
0,001100 = 0,1 volt.
56. Un compagno, per aiutare il ragazzo del problema precedente, accorre portando una scala
metallica. Vi sembra una buona decisione?
Risoluzione. La scelta del compagno volenteroso è pessima. Infatti se il ragazzo appeso al cavo sotto tensione si
appoggiasse alla scala metallica sarebbe sottoposto alla tensione di 500 V. Si dovrebbe invece usare una scala di legno
ben secco o, meglio ancora, disporre un materasso sotto il ragazzo appeso, perché vi si lasci cadere.
57. Una vecchia stufa elettrica da 1 kW, costruita per essere alimentata alla tensione di 125 volt
(usata in passato in Italia), viene per errore collegata alla rete (220 V). Stabilite cosa
avviene.
Risoluzione. In base alla formula (13), la potenza assorbita da un conduttore è P = Vi. Trattandosi di un conduttore
ohmico i = V/R e pertanto P = V2/R. E allora la stufa assorbirà una potenza di 1 kW  (220/125)2 = 3,10 kW. Ma in
queste condizioni, sicuramente, la stufa non funzionerà a lungo. Infatti, il resistore che costituisce il riscaldatore
della stufa, come pure altre parti dell‟apparecchio, si porteranno a una temperatura ben più alta di quella di progetto
a causa della maggior potenza sviluppata. C‟è addirittura il rischio che ciò provochi un incendio.
58. Un cane tocca con una zampa anteriore e una posteriore due punti a 50 cm di distanza sulla
rotaia percorsa da corrente considerata nell‟esercizio 16. Corre qualche pericolo?
Risoluzione. Certamente no. Infatti la caduta di tensione su 0,5 m di rotaia è mezzo millesimo di quella di 1 km di
rotaia, cioè 62,3 /2000 = 0,0312 V.
59. (*) I conduttori di un impianto alquanto fatiscente hanno resistenza elettrica complessiva R
= 1,8 , metà della quale è localizzata in un tratto brevissimo della linea. Stabilite cosa
avviene quando a una presa di corrente viene collegato un elettrodomestico con potenza di
1000 W.
Risoluzione. L‟elettrodomestico richiede 1000 W quando è alimentato a 220 V. In tali condizioni esso assorbe la
corrente i = P/V = 1000/220 = 4,54 A e presenta pertanto la resistenza equivalente R‟ = V/i = 220/4,54 = 48,4 .
Quando l‟elettrodomestico viene collegato alla presa, la reistenza totale è R + R‟ = 1,8 + 48,4 = 50,2 . E pertanto
l‟intensità della corrente è: i‟ = 220/(R + R‟) = 220/50,2 = 4,38 A; la tensione effettivamente applicata
all‟elettrodomestico è: V‟ = V – Ri = 220 – 1,84,38 = 212 V. Le conseguenze sono le seguenti: a) la potenza
fornita all‟elettrodomestico è: P‟ = V‟i‟ = 2124,38 = 929 W, senza problemi data la piccolezza dello scarto
((1000-929)/1000 = 0,071 = 7,1%) rispetto al valore nominale; b) nei conduttori di rete viene dissipata la potenza
i‟2R‟ = 4,3821,8 = 34,5 W, che è considerevole e può pertanto provocarne un riscaldamento anomalo pericoloso; il
pericolo è aggravato dal fatto che metà di questa potenza viene dissipata in un breve trattoù, dove la temperatura
potrebbe danneggiare l‟isolamento dei conduttori o addirittura provocare un incendio.
42