Teoria e modelli - Infanzia e Adolescenza

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infanzia
e
adolescenza
Teoria e modelli
Vol. 5, n. 1, 2006
Riflessioni teorico-cliniche intorno al Disturbo Borderline
di Personalità in età evolutiva
MARIA ROMANI, GABRIEL LEVI
Dipartimento di Scienze Neurologiche, Psichiatriche e Riabilitative dell’Età Evolutiva, Università di Roma “La Sapienza”
RIASSUNTO: Premesse teoriche: Il Disturbo Borderline di Personalità (DBP) è tuttora caratterizzato da
un’estrema incertezza diagnostica concernente la sua effettiva applicabilità all’età evolutiva. Obiettivo:
Comprendere le radici evolutive del DBP alla luce delle teorie relative alla capacità di mentalizzazione.
Metodologia: Viene analizzato il problema della diagnosi precoce del Disturbo Borderline di Personalità
attraverso una riflessione storica del concetto, i possibili antecedenti sindromici ed equivalenti clinici nel
corso dello sviluppo. Discussione critica e conclusioni: Si sottolinea il ruolo chiave della capacità di
autoregolazione e si ipotizza un progetto terapeutico multimodale volto a cogliere e spezzare gli anelli
patogenetici critici nella prospettiva della psicopatologia dello sviluppo.
PAROLE CHIAVE: Disturbo Borderline di Personalità, Mentalizzazione, Psicopatologia dello Sviluppo.
ABSTRACT: Background: The diagnosis of Borderline Personality Disorder (BPD) in childhood and adolescence is still characterised by too much uncertainty. Objective: According to the mentalization theory the
authors try to understand BPD developmental roots. Method: Borderline Personality Disorder early diagnosis
issue is analised through an hystorical review of the topic, possible syndromic precursors, and clinical developmental equivalents. Critical discussion and conclusions: The keyrole of self regulation capacity is
underlined and a multimodal therapeutic intervention to detect and break critical pathogenetic rings according to developmental psychopathology is postulated.
KEY WORDS: Borderline Personality Disorder (BPD), Mentalization, Developmental Psychopathology.
2) Più in genere, è giusto parlare di diagnosi di disturbo di personalità (DP) in età evolutiva? I bambini e
gli adolescenti sono ancora in un processo evolutivo
fluido in cui ogni aspetto della loro personalità è ancora soggetto a cambiamento, con successive evoluzioni che creano nuovi equilibri e squilibri nelle loro relazioni con l’ambiente circostante. Il processo
maturativo e l’esperienza forniscono il bambino di
strumenti continui con cui affrontare, percepire ed
organizzare le sue esperienze, così come per relazionarsi con gli altri, rendendo con ciò difficile, se
non impossibile, parlare di modelli rigidi e stabili.
3) Ammettendo che si possano diagnosticare i DP prima dell’età adulta, esiste una continuità evolutiva e
clinica tra bambini, adolescenti e adulti borderline?
4) Il termine borderline si riferisce a un livello primitivo di sviluppo o è invece un disturbo specifico,
come viene richiesto dal DSM-IV?
La definizione e la concettualizzazione del Disturbo
Borderline di Personalità (DBP) in età evolutiva rimangono ancora incerte e controverse nonostante il
crescente numero di segnalazioni ed un interesse sempre maggiore per l’argomento.
Nel tentativo di ottenere una classificazione empirica, al di sopra delle teorie, il DSM ha identificato il Disturbo Borderline come uno specifico disturbo di personalità. Secondo il DSM-IV il DBP consta di un modello pervasivo di instabilità nelle relazioni interpersonali, nell’immagine di sé, negli affetti e nel controllo degli impulsi, ad esordio nella giovane età adulta.
L’approccio del DSM-IV al DBP, comunque, solleva
molti interrogativi sull’applicabilità di questa diagnosi
nell’infanzia e adolescenza:
1) Ci sono dati empirici sufficienti a sostenere la nozione di DBP nell’infanzia come entità diagnostica
distinta?
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Infanzia e adolescenza, 5, 1, 2006
5) Non potrebbe forse essere considerato come una
diagnosi dimensionale che va dalle forme meno
gravi a manifestazioni più importanti e complesse?
6) Il DBP è da considerarsi all’interno di un cluster che
include altri DP con simili caratteristiche cliniche,
evolutive o eziologiche?
7) Qual è il ponte evolutivo tra il DBP in bambini e
adolescenti e le altre diagnosi dell’Asse I come il:
a) Disturbo da Deficit dell’Attenzione ed Iperattività
(ADHD);
b) Disturbo di Condotta;
c) Disturbo da Abuso di Sostanze;
d) Disturbo d’Ansia di Separazione;
e) Disturbi dell’Umore;
f) Disturbo Ossessivo-Compulsivo;
g) Disturbi Dissociativi;
h) Disturbo Somatoforme;
i) Disturbo Post-Traumatico da Stress (DPTS);
j) Disturbi dell’Alimentazione;
(1983) hanno trovato un ampio consenso nella letteratura clinica dei bambini borderline, nonostante un
iniziale disaccordo concettuale tra le due formulazioni teoriche.
Bemporad ha identificato i bambini borderline come caratterizzati da:
1) una fluttuazione del funzionamento, con rapidi passaggi tra livelli simil-psicotici e simil-nevrotici dell’esame di realtà,
2) una mancanza di ansia segnale (Freud, 1926) e una
facilità nei confronti di stati di panico dominati da
pensieri di dissoluzione corporea, annichilimento e
abbandono,
3) una distorsione nei processi di pensiero e contenuti
che vanno rapidamente in pensieri idiosincratici e
deraglianti,
4) una menomazione nelle relazioni e, sotto stress,
nel distinguere sé dall’altro, nel comprendere i punti di vista degli altri e i loro bisogni, o nell’integrare differenti esperienze emotive su di sé e gli altri,
5) un mancato controllo degli impulsi, compresa
un’incapacità di contenere affetti intensi, dilazionare le gratificazioni, controllare la rabbia, o modulare le tendenze etero e auto-distruttive.
L’alta prevalenza di queste diagnosi dell’Asse I in
varie combinazioni nei giovani con DBP solleva il
quesito se il temine borderline vada inteso più come
un modo per definire forme atipiche, complicate o
gravi delle diagnosi dell’Asse I. In particolare, il dato
relativo a un frequente riscontro di storie di trauma
protratto, abuso fisico e deprivazione e, soprattutto,
abuso sessuale, negli adolescenti e adulti borderline
solleva il quesito se borderline sia più che un modo
peggiorativo di definire soggetti che presentano forme
complesse di DPTS come conseguenza di un abuso
cronico e di essere stati vittime a lungo di situazioni
traumatiche.
È evidente che queste domande sono ben lungi
dall’aver risposta.
Appare importante cercare di definire:
Allo stesso modo Vela et al. (1983) descrivevano i
seguenti criteri:
1) Disturbo delle relazioni interpersonali,
2) Disturbo dell’esame di realtà
3) Ansia eccessiva
4) Gravi problemi nel controllo degli impulsi
5) Sintomi simil-nevrotici
6) Distorsioni di sviluppo
Ad un esame attento della letteratura si vede come
i bambini borderline nel tempo possano essere stati
pensati all’interno di due gruppi clinici. Entrambi i
gruppi presentano disturbi nello sviluppo sociale ed
emotivo, con marcate difficoltà relazionali con i coetanei, mancata regolazione degli affetti, scarsa tolleranza alla frustrazione e controllo degli impulsi così
come bassa autostima e immagine di sé. In un primo
gruppo di bambini comunque, si riscontra un più fragile contatto con la realtà e alterazioni nell’organizzazione del pensiero. Il pensiero magico ed idiosincratico sembra invadere le vite di questi bambini, acquisendo maggior intensità in contesti emotivamente rilevanti o in cui si confrontano con la mancanza di
struttura. Sono timidi, non hanno amici e tendono a ritirarsi in un mondo di fantasia, infestato da idee di riferimento, sospettosità, e disagio in situazioni sociali.
a) le caratteristiche cliniche del DBP nei bambini e
negli adolescenti,
b) le idee attuali sul ruolo di fattori psicodinamici,
evolutivi, neurobiologici, d’interazione familiare e
traumatici coinvolti nell’eziopatogenesi del DBP,
c) un modello per concettualizzare lo sviluppo dei
DP nel DBP nei bambini e negli adolescenti,
d) un approccio terapeutico basato su questo modello.
■
Le caratteristiche cliniche del DBP
nei bambini e negli adolescenti
I criteri diagnostici introdotti da Bemporad, Smith,
Hanson e Cicchetti (1982) e Vela, Gottlieb e Gottlieb
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M. Romani, G. Levi: Riflessioni teorico-cliniche intorno al Disturbo Borderline di Personalità in età evolutiva
La loro capacità di dare senso agli scambi umani e mostrare empatia nei confronti degli altri è sorprendentemente ridotta. Hanno scarse capacità comunicative,
che sono ulteriormente gravate dalla stranezza del loro eloquio e dalla contrazione o inappropriatezza dei
loro affetti. Questi bambini hanno un alto carico genetico di disturbi dello spettro schizofreniforme. È
estremamente probabile che non siano collocabili su
un continuum con adolescenti e adulti DBP, sebbene
ci sia la necessità di studi accurati per mettere ulteriormente alla prova questo dato. In maniera descrittiva assomigliano a quelle diagnosi del DSM-IV che includono il disturbo schizoide e schizotipico di personalità, il Disturbo Generalizzato dello Sviluppo non altrimenti specificato (DGS n.a.s.) e la sindrome di
Asperger e, fuori DSM-IV, ma ormai ampiamente in
uso nella pratica clinica, il Disturbo d’Apprendimento
non Verbale (Rourke, 1993). L’aver denominato come
borderline questi bambini ha contribuito ad aumentare la confusione attorno al concetto. Tale mancanza di
chiarezza è stata risolta negli studi di adulti DBP che
hanno differenziato i DBP e gli altri disturbi del dramatic cluster (l’istrionico, il narcisistico, e l’antisociale), dai cluster bizzarro e ansioso. Inoltre i dati empirici hanno ribadito la distinzione tra i DBP e i disturbi dello spettro schizofrenico.
Il secondo gruppo di bambini presenta caratteristiche più vicine a quelle tipiche del cluster B, comprendendo la presenza di un’affettività drammatizzata
ed intensa, un avido desiderio di risposte sociali, e
l’assenza di pensiero e comunicazione bizzarri o evitamento del contatto sociale. Questi bambini sono eccessivamente dipendenti dalle altre persone, vulnerabili alla separazione e inclini all’iperattività e alla capricciosità. Nelle fasi precoci dello sviluppo spesso
presentano forme disorganizzate di attaccamento. La
loro storia spesso rivela la presenza di un temperamento difficile, vale a dire un modello di attività ad alto livello, scarsa adattabilità, umore negativistico e difficoltà nel adattarsi ai ritmi sonno-veglia e alimentari
(Levi, Romani e Gicca Palli, 1998). Sono spesso descritti come bambini inconsolabili e frequentemente
rappresentano un pesante fardello per i loro caregiver.
I bambini borderline in età scolare quasi invariabilmente rispondono a diagnosi dell’Asse I, più comunemente ADHD, Disturbo di Condotta, Disturbo d’Ansia di Separazione, o Disturbi dell’Umore. Molti di
questi bambini appaiono ansiosi, lunatici, irritabili ed
esplosivi. Minime frustrazioni o delusioni innescano
tempeste affettive, episodi di emotività incontrollata
completamente fuori misura rispetto all’evento con-
creto che ha determinato la loro reazione. Queste
tempeste affettive rispecchiano la qualità caleidoscopica dell’esperienza di sé e degli altri tipica di questi
bambini. Un momento sembrano sentirsi in uno stato
di grazia e in perfetto legame con l’altro che viene
idealizzato, subito dopo piombano in una delusione
amara e rabbiosa, insieme ad una modalità di autodenigrazione e disperazione. L’egocentrismo è una caratteristica tipica di questi bambini. Richiedono costante attenzione e rispondono con rabbia al rifiuto e
all’indifferenza. Oscillano tra l’idealizzazione e la svalutazione, cercano in maniera seduttiva e manipolativa di obbligare gli altri a fornire loro un sostegno
emotivo.
Ad una valutazione clinica i bambini borderline di
età scolare possono apparire incapaci di fornire aiuto a se stessi, vulnerabili, provocatori, sospettosi, e, al
contempo, ansiosamente desiderosi dell’attenzione
dell’altro.
Questi bambini direzionano gran parte delle loro
energie sul tentativo di costringere gli altri ad assumere ruoli particolari. Chiedono che gli altri diventino giocatori in un vivido mondo di fantasia di loro
creazione. Riescono a diventare vivi in questa rappresentazione del loro mondo fantastico in presenza
degli altri.
Lo sviluppo e le pressioni psicosociali dell’adolescenza sostengono lo sviluppo dell’intero range della
sintomatologia borderline, consentendo una maggior
certezza diagnostica. Le relazioni instabili divengono
preminenti con esperienze di idealizzazione transitoria e dipendenza eccessiva alternata a rabbia, svalutazione e sentimenti di abbandono e tradimento. Nelle
ragazze borderline sono più comuni la promiscuità e
l’automutilazione, laddove l’aggressività, insieme a celate paure di rifiuto, sono più tipiche dei ragazzi. Droghe, alcool o abbuffate di cibo sono strategie comuni
per bloccare sentimenti di perdita di controllo, frammentazione e solitudine, spesso indotti da interruzioni di relazioni come separazioni o mancato equilibrio
tra vicinanza e distanza. Ma il cibo, le droghe e il sesso possono dare solo un conforto transitorio e veicolano sentimenti di vergogna, colpa e angoscia relativa
a paure interne. Comportamenti suicidari e parasuicidari vengono a galla nel tentativo di ridurre la tensione o ristabilire la capacità di sentirsi vivi, come tentativi di fuga dall’ansia e dalla depressione, come punizioni per partner deludenti o che hanno perpetrato
quello che viene sentito come un efferato abbandono,
o come manovre per indurre sensi di colpa e coinvolgimento da parte di altri.
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Infanzia e adolescenza, 5, 1, 2006
■
Eziologia e patogenesi
tesi biologica, rimane controversa la comprensione
della natura di questa vulnerabilità.
Gli studi di Gunderson e Zanarini (1987) hanno dato importanza alla presenza di importanti disturbi dell’umore nei parenti di pazienti borderline. I fattori biologici si possono correlare ai DBP in almeno due modi:
Teorie evolutive e psicodinamiche
Sia Mahler (1952) che Kernberg (1983; Kernberg,
Weiner e Bordenstein, 2000) sostenevano che il deragliamento dalla fase di separazione-individuazione potesse esitare nella patologia borderline. Per Kernberg
il fattore patogenetico di base è dato da un’eccessiva
aggressività, derivata sia da una propensione costituzionale sia da una predominanza di introietti negativi.
Masterson e Rinsley (1975) sostenevano che particolari modelli di interazione madre-bambino determinano un attacco al processo di separazione-individuazione e portano alla patologia borderline. Le madri dei bambini borderline si inorgogliscono della dipendenza cronica dei loro figli.
Adler (1981) postulava che il ruolo centrale risiedesse nell’incapacità del soggetto borderline di evocare memorie di oggetto che consolino e confortino in
situazioni di stress e separazione. Adler attribuiva tale
mancanza all’assenza di un ambiente di holding (Winnicott, 1965) intorno al bambino.
Gabbard (1990) ha sapientemente sintetizzato le
controversie e le critiche attorno al concetto di borderline. Ha sottolineato che in molti modelli psicodinamici c’è stata un’enfasi eccessiva sulle prime fasi
dello sviluppo, particolarmente quella di separazioneindividuazione, a spese di altre, che rappresentano
importanti momenti evolutivi come la fase edipica e
l’adolescenza. La vulnerabilità costituzionale gioca un
ruolo importante nel modellare lo sviluppo del mondo intrapsichico del bambino andando ad incidere
sulla capacità di negoziare tra i compiti evolutivi e le
risposte genitoriali, che a loro volta influenzano l’esperienza del bambino.
La comprensione del ruolo patogenetico dei fattori
biologici ci porta ad una prospettiva transazionale dei
fattori biologici. Questi ultimi giocano un importante
parte nel modellare l’esperienza dei bambini di se
stessi e degli altri, della loro competenza e delle loro
affidabilità, della sicurezza o mancanza di sicurezza
delle loro risposte emotive, della loro abilità a monitorare segnali emotivi da se stessi e dagli altri, di comprendere gli altri sulla base dei loro stati emotivi e
creare stati di reciprocità emotiva. Inoltre i fattori biologici (irritabilità, scarsa capacità di adattamento, impulsività ed iperattività) influenzano i genitori e modellano la funzionalità genitoriale che a sua volta, modella lo sviluppo dei bambini, amplificando o minimizzando le vulnerabilità biologiche.
Teorie biologiche
Ambiente familiare e trauma
Negli ultimi 20 anni si è avuto sempre più consenso sul significato dei fattori biologici incidenti sulla patogenesi del DBP. Studi recenti sottolineano come specifiche vulnerabilità biologiche modellerebbero lo sviluppo intrapsichico dei bambini con DBP ed evocherebbero le risposte interpersonali che mantengono,
rinforzano o riesacerbano una configurazione intrapsichica tipica.
Molti studi sottolineano la frequente associazione
con la presenza di disturbi psichiatrici nei genitori di
questi bambini. Sebbene questo dato sottenda la dia-
Si è più volte sottolineato il peso della disfunzionalità relazionale all’interno della famiglia del bambino borderline (Zanarini, 1997).
La disfunzionalità prende origine e si alimenta attraverso:
a) associazione evolutiva: una vulnerabilità importante come ad esempio l’insorgenza di un Disturbo da
Deficit dell’Attenzione ed Iperattività precoce, può
sensibilmente aumentare il rischio di altri problemi,
gravando sulle famiglie e determinando scompensi in molte sfere del funzionamento, creando con
ciò una cascata di eventi negativi che possono poi
esitare in un DBP,
b) vizio di accertamento: le vulnerabilità biologiche
possono moltiplicare i sintomi che disturbano gli altri o incrementare la gravità e le difficoltà di adattamento dei bambini borderline, potenziando la
possibilità di portare un bambino borderline a diagnosi e trattamento.
1) l’evidente patologia psichiatrica presente in uno o
entrambi i genitori del bambino borderline;
2) la scarsa capacità di attribuzione al bambino di stati mentali e bisogni primari che necessitino di contenimento e ri-significazione da parte del genitore;
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M. Romani, G. Levi: Riflessioni teorico-cliniche intorno al Disturbo Borderline di Personalità in età evolutiva
3) le relazioni genitori-bambini all’insegna di un cronico atteggiamento di ostilità con frequenti rimproveri e atti palesi di critica nei confronti del bambino;
4) la circolazione di comportamenti impulsivi e mancato controllo degli istinti con ricorso immediato all’atto;
5) la marcata conflittualità all’interno della coppia genitoriale;
6) il ruolo del trauma: dal racconto di borderline adulti sono state ricostruite esperienze di abuso nell’infanzia e adolescenza;
7) gli eventi di vita stressanti (malattie, lutti etc.).
rienza soggettiva sono compresi e corrisposti dal caregiver.
I modelli operativi interni consentono al bambino
di anticipare e sviluppare strategie di adattamento basate sulle sue aspettative del comportamento delle
persone. Negli ultimi quindici anni la ricerca ha evidenziato alcuni degli specifici fattori protettivi impliciti
nell’attaccamento sicuro.
La mentalizzazione è la capacità universale, visibile anche nei bambini molto piccoli, di discriminare i
comportamenti umani e interpretarli in termini di stati mentali putativi. Questa acquisizione evolutiva consente ai bambini di rispondere non solo al comportamento delle persone ma anche alla loro concezione
delle credenze, sentimenti, attitudini, desideri, speranze, pretese, intenzioni, piani degli altri. Attribuendo stati mentali all’altro, i bambini rendono comprensibile, e quindi prevedibile, il comportamento delle
persone e possono più facilmente anticiparne le azioni. Come i bambini riescono a capire il significato del
comportamento altrui, diventano capaci di un’attivazione flessibile, dall’insieme complesso di modelli
operativi interni che hanno organizzato sulla base di
esperienze precedenti, di quelli più idonei a particolari scambi interpersonali.
Esplorare il significato delle azioni degli altri è strettamente connesso con la capacità autoriflessiva di definire e sperimentare come significative le proprie
esperienze psichiche, una competenza che sottende la
capacità di autoregolazione affettiva, controllo degli
impulsi, automonitoraggio ed esperienza di un sé
agente, vale a dire il senso di padronanza del proprio
comportamento.
I bambini con fallimenti continui o intermittenti della mentalizzazione sono incapaci di rispondere con
flessibilità ed in maniera adattiva a qualità simboliche e significative del comportamento degli altri. Questi bambini si trovano intrappolati in modelli di interpretazione e risposta agli affetti che non sono compatibili con la riflessione e la modulazione.
Quindi, il punto chiave del funzionamento borderline si può considerare come una perdita intermittente o un ritiro dalla mentalizzazione in contesti di particolare significato del loro sistema di attaccamento.
Il lavoro di Fonagy e colleghi (Fonagy, 1991, 1994;
Fonagy, Steele, Steele, Higgit e Target, 1992; Fonagy,
Gergely, Jurist e Target, 2002) sta stabilendo il collegamento tra lo sviluppo della mentalizzazione e la
presenza di figure di attaccamento (caregiver che abbiano risposto sensibilmente ai segnali del bambino)
che trattano il bambino come un individuo intenzio-
Questi fattori concorrerebbero a generare e sostenere la vulnerabilità patologica dei bambini borderline.
■
Riflessioni su un modello per lo sviluppo
della personalità borderline
Gli studi degli ultimi anni hanno cominciato ad esaminare l’interazione tra fattori di rischio e protezione
nella genesi, l’organizzazione, il mantenimento e il
rinforzo di modelli di adattamento o disadattamento.
Un ruolo chiave è svolto dalle differenze prognostiche:
cosa protegge alcuni bambini che soffrono di vulnerabilità biologiche e/o esperienze precoci di trauma rispetto ad altri che sviluppano la patologia borderline?
Perché alcuni bambini maltrattati non solo rimangono drammaticamente feriti dalla brutalità e dall’insensibilità che sperimentano ma crescono in modo
tale da infliggere simili abusi ai loro bambini mentre
altri riescono a interrompere questa pericolosa spirale transgenerazionale?
Il fattore protettivo cruciale contro fattori di rischio
ambientali e biologici è da ricercare nel contesto del
sistema d’attaccamento.
La ricerca evolutiva e quella neurobiologica hanno
volto l’attenzione alla preparazione del cervello umano ad essere attivato e organizzato dalle interazioni
sociali. Inoltre, ci sono sufficienti prove a sostegno
che solo all’interno di un ambiente sociale-interattivo
il cervello può maturare e sviluppare capacità di regolazione degli affetti e creare un’esperienza psicologica.
La teoria dell’attaccamento ha fornito un’importante cornice all’interno della quale investigare su come
le funzioni di regolazione psicobiologiche del cervello umano evolvano in sistemi interattivi in cui i segnali di cambiamento del bambino della sua espe5
Infanzia e adolescenza, 5, 1, 2006
nale. Il detonatore ambientale che innesca la capacità
biologicamente precostituita di comprendere i segnali sociali sembra essere dato da caregiver che rispondono ai segnali del bambino con comportamenti che
danno per assunto che uno stato mentale di desiderio,
bisogno, sentimento, intenzione, sottenda il comportamento del bambino. Quando i genitori danno un
senso e rispondono con reciprocità al comportamento del bambino, forniscono i segnali in grado di attivare la capacità innata di capire che il comportamento è correlato a specifici stati mentali. Nel comportamento del caregiver il bambino scopre sia la sua soggettività sia quella dell’altro.
La capacità di mentalizzazione non solo permette
all’individuo di adattarsi meglio alla vulnerabilità e
agli incidenti di percorso ma assicura anche una trasmissione transgenerazionale di questa capacità protettiva.
I bambini borderline lottano per:
Gli studi clinici sottolineano come la presenza di stati dissociativi si associ con un disadattamento maggiore e una difficile risposta al trattamento.
Alcuni aspetti biologici presenti tipicamente in alcuni quadri clinici come l’ADHD e i disturbi d’apprendimento, possono limitare la capacità del bambino di sviluppare la mentalizzazione. Questo effetto come molti aspetti dello sviluppo, crea un processo bidirezionale: le vulnerabilità biologiche provocano conflitti interpersonali e frustrazione così come limitano le
capacità del bambino. Così le vulnerabilità biologiche
possono limitare lo sviluppo della mentalizzazione
generando ambienti che non riescono a promuoverla.
1) mantenere un senso coeso di sé,
2) sentirsi agenti delle proprie azioni,
3) autoconsolarsi e altrimenti, dare una definizione,
contenere e regolare le loro esperienze affettive,
4) creare un senso di intenzionalità direzionata e capacità di stabilire limiti e tollerare la frustrazione,
5) sperimentare gli altri come individui dotati di intenzionalità e quindi sentirsi connessi agli altri attraverso il mutuo scambio di stati mentali.
a) rispettare gli anelli patogenetici che possono aver
concorso alla genesi del disturbo;
b) considerare attentamente la valenza cruciale implicita nel concetto di disturbo in evoluzione e, di
conseguenza, il continuo dinamismo del disturbo
stesso che può progressivamente condurre al sovvertimento dello stato psicopatologico precedente;
c) analizzare scrupolosamente le funzionalità residue
del bambino ed ipotizzare l’evoluzione patogenetica a partire dal particolare equilibrio o disequilibrio
raggiunto da quel determinato bambino, in quello
specifico momento dello sviluppo, con quelle particolari pressioni evolutive ed ambientali;
d) scommettere saggiamente sui punti di forza che
potranno allearsi con la terapia per il raggiungimento di obiettivi positivi e, al contrario, i punti di
fragilità che potranno sostenere e mantenere il disturbo nonostante la terapia.
■
Terapia
L’intervento terapeutico per la patologia borderline
in età evolutiva deve:
Nel tempo i bambini borderline sviluppano strategie di adattamento per confrontarsi con esperienze di
distruzione di un senso di sicurezza, una soggettiva
perdita di controllo e distanziamento emotivo dagli altri che accompagnano la perdita, o meglio, la mancata maturazione dello strumento della mentalizzazione.
Queste strategie diventano progressivamente più rigide e danno forma a modelli persistenti di disadattamento nel mettersi in relazione e nell’organizzare
esperienze che qualificano per definizione la personalità borderline.
I bambini borderline trasformano gradualmente il
loro senso di perdita di un controllo soggettivo. Le
esperienze associate a sensazioni di disperazione, passività e mancanza di aiuto li porteranno progressivamente a comportamenti auto ed eteroaggressivi. Questi comportamenti paradossalmente inducono un senso di potere e controllo poiché questi bambini non
aspettano più passivamente che capitino situazioni di
abuso e vittimizzazione, le sanno provocare da soli. I
bambini borderline sono in grado di creare stati dissociativi quando si sentono sopraffatti dalle emozioni.
La considerazione della partenza sindromica del disturbo e delle sue progressive complicazioni di sviluppo svolge un ruolo importante nella formulazione
del corretto orientamento terapeutico e della opportuna priorità terapeutica. L’intervento terapeutico con
il bambino borderline deve quindi assumere una configurazione multidimensionale complessa ed integrata.
La terapia deve sempre essere mossa da un’attenta
analisi dei moventi etiologici della patologia. Di conseguenza, bisogna poter valutare il peso delle componenti biologiche, genetiche, temperamentali, ambientali e la loro reciproca interazione prima di promuovere la pianificazione del trattamento.
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M. Romani, G. Levi: Riflessioni teorico-cliniche intorno al Disturbo Borderline di Personalità in età evolutiva
La complessità del quadro clinico impone la necessità di una strategia di intervento articolata e quindi tre sono i possibili percorsi che vanno differentemente dosati a seconda dell’età del paziente e delle
caratteristiche emergenti del disturbo:
1) creare un contesto interpersonale che fornisca limiti
effettivi a comportamenti distruttivi, nel bambino e
nella famiglia, consentendo la ricognizione degli
stati mentali;
2) promuovere la distinzione tra realtà e fantasia,
pensiero ed azione, causa ed effetto attraverso la
sperimentazione del terapeuta come oggetto reale;
3) sviluppare un’alleanza e un attaccamento che consenta la valutazione del bambino come agente intenzionale, comprendendo le sue intenzioni di ritirarsi da un modello di funzionamento che presuma
intenzionalità in sé e negli altri;
4) accettare e riconoscere la confusione originaria
presente nella mente del bambino borderline; per
il bambino borderline il passato non ha nessun senso rispetto al presente poiché il presente non può
essere pensato o sentito: bisogna insegnare al bambino borderline a pensare la mente;
5) rafforzare le capacità comunicative e di pensiero;
6) incoraggiare l’identificazione delle emozioni per
promuovere la regolazione degli affetti e il controllo degli impulsi.
a) Psicoterapia
b) Terapia farmacologia
c) Terapia neuropsicologica
a) Intervento psicoterapeutico
Il bambino e l’adolescente con DBP hanno bisogno
di un processo terapeutico che, in distinte fasi dello
sviluppo, consenta loro di stravolgere e ridisegnare la
mappa delle loro aspettative relazionali.
Il nodo terapeutico cruciale consiste nella capacità
di attivare l’abilità di trovare significato nel loro comportamento e in quello delle altre persone anche in
momenti di stress, sfida o intensa richiesta interpersonale. Bisogna promuovere nel bambino la convinzione che una collaborazione con il terapeuta è possibile, sicura e di aiuto. Sviluppare un’alleanza e una relazione d’attaccamento consente al bambino di promuovere la percezione di sé come individuo intenzionale ed iniziare a cogliere gli aspetti intenzionali
dell’altro in relazione ad un rapporto.
Dare un significato al comportamento vuol dire attivare il linguaggio dei sentimenti. Tale processo promuove il tentativo di dare un nome agli affetti e cominciare a capire le relazioni interpersonali non più attraverso il canale dell’angoscia incontrollata che, nella
condizione borderline, conduce il bambino contemporaneamente verso l’oggetto e lontano dall’oggetto.
I bambini borderline hanno bisogno di imparare ad
osservare le loro emozioni, a capire e denominare i loro stati emozionali, inclusi i loro segnali fisiologici ed
affettivi. Devono essere aiutati a comprendere le relazioni consce ed inconsce tra il loro comportamento ed
i loro stati interni, ad esempio tra la frustrazione e l’angoscia. Hanno dunque bisogno di un intervento psicoterapeutico che inizialmente si focalizzi su stati
mentali semplici.
I bambini con patologia borderline non sono inizialmente in grado di accettare stati mentali complessi, ma possono capire le forme più lineari di stati mentali quali quelle legate ai desideri o a ciò che uno crede e pensa.
Vanno considerate le seguenti strategie di intervento:
In parallelo con l’intervento orientato sul bambino,
va necessariamente attivato un intervento sulla famiglia atto a promuovere la funzione genitoriale. Gli
obiettivi eventualmente raggiunti dal bambino non
possono assumere un carattere di stabilità senza essere sinergicamente supportati da omologhi cambiamenti nel contesto interpersonale del bambino. Cambiamenti duraturi nella capacità di mentalizzazione, e
nella prontezza ad abbandonare modelli di funzionamento adattivi e relazionali estremamente rigidi, sono
impossibili se non vengono sostenuti da pari e sintonici cambiamenti nel contesto interpersonale dei
bambini. Un aspetto nucleare del lavoro terapeutico
con bambini borderline risiede nell’aiutare i loro genitori a sentirsi accolti, compresi (Capozzi, 2004) e più
capaci in quella funzione genitoriale che percepivano
disfunzionante in presenza del disturbo di personalità
del loro bambino. Devono essere sostenuti in un
processo di rimodellamento delle loro competenze
genitoriali e quindi rafforzati anche nella capacità di
sentirsi coloro che sanno dare dei limiti e proteggere
i confini generazionali tra se stessi e i figli. Diventa
dunque necessario fornire gli strumenti per poter
creare una situazione familiare che fornisca limiti effettivi a comportamenti distruttivi, nel bambino e nella famiglia, consentendo il riconoscimento di stati
mentali e l’ampliamento della competenza genitoriale. L’abilità dei genitori nel promuovere le capacità di
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mentalizzazione del loro bambino comporta un ampliamento nella loro capacità di considerare e aver fiducia nel figlio come individuo intenzionale fornito
di una mente e di una vita proprie. Questa competenza può essere raggiunta solo fornendo aiuto ai genitori nel sentirsi più capaci ed in grado di gestire, invece che subire, le tempeste emozionali e comportamentali che loro ed il loro bambino sono in grado di
generare.
Allearsi con le parti sane del genitore vuol dire anche promuovere il suo istinto di genitorialità e quindi
le sue potenzialità genitoriali attraverso la possibilità di
porre un freno comportamentale al bambino tramite:
in Italia è caratterizzata tuttora da un approccio fortemente dubitativo ed incerto;
3) i due punti precedenti acquistano ulteriore peso se
applicati agli anni che precedono l’adolescenza; difatti esiste un’accettabile cultura psicofarmacologica dell’adolescente borderline, mentre l’approccio
alle fasi di sviluppo precedenti manca ancora di alcuna affidabile applicazione pratica, in sintonia con
la sospettosità nei confronti dell’applicazione di
questa diagnosi prima dell’adolescenza;
4) inoltre, non va dimenticato che gran parte dei dati,
apparentemente resi disponibili, deriva in maniera
diretta dall’estrapolazione di dati appartenenti alla
psichiatria degli adulti;
5) mancando un cultura psicofarmacologica specifica
sull’età evolutiva, viene a mancare anche un affidabile controllo sulla reale efficacia terapeutica di
specifici farmaci nel trattamento del bambino borderline;
6) in ultimo, non si rilevano ancora dati di certezza
circa il trattamento farmacologico a lungo termine
sul borderline in evoluzione.
a) limiti e regole più chiaramente condivise;
b) maggior capacità di porre confini generazionali;
c) maggior sensibilità a contemplare e accogliere i bisogni emotivi primari del proprio bambino;
d) maggior investimento nel sottrarre il figlio al ruolo
speciale che spesso si trova a giocare nella famiglia;
e) capacità di sviare l’ostilità manifestata da un genitore contro l’altro;
f) sostenere l’autostima del genitore affrancandolo da
ricordi traumatici di sofferenza, vulnerabilità ed impossibilità ad essere aiutati.
È necessario in tal senso formulare degli obiettivi
specifici individuati alla luce della storia naturale del
disturbo e quindi del rapporto tra sintomo, serie evolutiva dei sintomi e struttura di personalità. L’intervento psicofarmacologico infatti va inteso in termini di
ulteriore sostegno agli elementi sani del bambino e di
conseguenza non va letto come un intervento su specifici sintomi bersaglio. Il sintomo difatti non assume
alcuna rilevanza se non attentamente concepito all’interno di quella particolare configurazione interna che
caratterizza il bambino con disturbo borderline. Tale
assunto di base risulta fondamentalmente vero per
l’approccio psicofarmacologico in toto, ma, senza nulla togliere al peso di una tale affermazione sull’esperienza con i pazienti psichiatrici adulti, in età evolutiva assume una valenza primaria. Come già affermato,
è il concetto stesso di evoluzione del disturbo, all’interno del processo evolutivo che caratterizza il bambino, che merita un’attenta analisi nel progettare un intervento psicofarmacologico sul bambino. Quest’ultimo va infatti inteso come un elemento di un insieme
composito in continua trasformazione. La trasformazione dell’insieme va attentamente soppesata e va valutata la funzione proiettiva dell’intervento farmacologico sull’insieme generale. Conseguentemente, va fatta un’accurata previsione delle possibili modificazioni
che l’insieme subirà in conseguenza dell’intervento
psicofarmacologico. La psicofarmacologia va intesa
L’intervento con i genitori può quindi cambiare la
transazione all’interno della famiglia e quindi migliorare le possibilità evolutive del bambino e dare al
bambino borderline il permesso di portare in terapia
un insieme di argomenti, con maggiore libertà dai legami di lealtà o preoccupazione sui ruoli impliciti nella famiglia.
b) Terapia farmacologica
Sebbene la scelta psicoterapeutica sia un passaggio
d’obbligo, nel trattamento dei bambini borderline è
utile pensare alle risorse potenzialmente implicite in
un trattamento psicofarmacologico del paziente borderline in età evolutiva. Un limite funzionale, molto
forte, ad un simile intervento risiede nella povertà di
dati, di letteratura e clinici, che confermino la validità
di una simile strategia terapeutica sul bambino borderline. Il limite menzionato, in realtà, va scomposto
in diversi elementi:
1) la diagnosi borderline non è una diagnosi ancora
formalmente in uso attivo nella psichiatria dell’età
evolutiva;
2) la cultura della psicofarmacologia in età evolutiva
8
M. Romani, G. Levi: Riflessioni teorico-cliniche intorno al Disturbo Borderline di Personalità in età evolutiva
come un altro strumento cruciale che può facilitare
l’accesso alla mentalizzazione, perché riduce la consistenza del disagio esperito quotidianamente e mette il
bambino al riparo dall’invadente intrusione di specifici sintomi che direttamente menomano la funzione riflessiva, promuovono caos e disfunzionamento nell’ambiente di questi bambini e quindi contribuiscono
al disadattamento. Miglioramenti sintomatologici si sono osservati con ansiolitici, antidepressivi, stabilizzanti del tono dell’umore e antipsicotici.
Utilizzati con giudizio, gli agenti farmacologici possono ridurre l’impulsività, l’ansia e l’iperarousal, migliorare l’attenzione, l’umore e ridurre le distorsioni
cognitive.
tal senso un counselling con la scuola permette il miglior inserimento del bambino grazie a una maggior
esplicitazione della vera natura del suo disturbo. In
molti casi di patologia borderline inoltre è necessario
contemplare un intervento sociale mirato a contenere
la disfunzionalità pervasiva dell’ambiente naturale del
bambino.
■
Riflessioni conclusive
Da questa breve analisi sugli approcci terapeutici
orientati alla patologia borderline in età evolutiva,
emerge un interessante corollario: il bambino borderline presenta una configurazione del disturbo talmente complessa e polisemica che non può essere terapeuticamente inquadrato secondo un unico modello.
Il trattamento deve essere intenso, continuativo e plurisfaccettato perché i bambini e gli adolescenti borderline necessitano di una terapia volta a ricreare, o
creare per la prima volta, una convergenza integrativa (Bleiberg, 2001). Secondo Bleiberg l’integrazione
nella progettazione e nell’attuazione del trattamento è
essenziale per ristabilire il potere protettivo e risanante della funzione riflessiva.
Tale ragionamento impone alcune considerazioni:
c) Intervento neuropsicologico
La terapia neuropsicologica va attivata in quelle situazione cliniche in cui una difficoltà neuropsicologica sia subentrata o si sia incistata sul nucleo primigenio del disturbo.
I bambini con Disturbo da Deficit dell’Attenzione
ed Iperattività che si avviano all’organizzazione di un
Disturbo Borderline di Personalità spesso incorrono in
incidenti nel corso del percorso scolastico. Le difficoltà
scolastiche non sono sempre legate alla presenza di
un disturbo comportamentale. Spesso, accanto alla
patologia comportamentale si può affiancare una difficoltà di apprendimento che può interagire ulteriormente con i nuclei psicopatologici che si muovono all’interno del disturbo. Da ciò deriva, ancora una volta, la necessità di analizzare attentamente la struttura
globale e la ripartizione delle singole aree di menomazione del bambino borderline in una determinata
fase di sviluppo. In alcuni casi infatti, si renderà opportuna anche una terapia riabilitativa di tipo neuropsicologico, a tempo determinato, al fine di promuovere e rafforzare quelle funzioni cognitive che altrimenti, in situazioni non monitorate, potrebbero alimentare il problema della distorsione cognitiva del
borderline in crescita. Il Disturbo da Deficit dell’Attenzione ed Iperattività in tal senso rappresenta un
elemento molto importante nel segnare il percorso
delle possibili comorbilità con una difficoltà di apprendimento su cui è opportuno intervenire.
Accanto ad interventi mirati sulla famiglia e sul
bambino è opportuno sottolineare la rilevanza di strategie terapeutiche di rete. Il bambino borderline necessita di supporto e sostegno anche nelle situazioni
non direttamente controllate in maniera primaria. In
1) La psicoterapia rappresenta un modello di intervento necessario e primario per il bambino borderline alla luce delle matrici intrapsichiche che determinano la genesi del disturbo e della importante componente relazionale implicita.
2) In alcuni momenti dello sviluppo, per periodi circoscritti e altamente controllati, può essere ipotizzabile l’uso di un farmaco. Il farmaco può creare
una sospensione artificiale dalla presenza di comportamenti e manifestazioni cliniche atte a invalidare fortemente il funzionamento globale del bambino. In tal senso il farmaco deve potere lavorare in
maniera sinergica con gli altri interventi terapeutici.
3) Per alcune tipologie di bambini borderline può essere necessario un intervento di tipo neuropsicologico al fine di rafforzare le competenze cognitive in
momenti evolutivi strategici, attivando in tal modo
un’ulteriore sinergia terapeutica.
In sintesi, tutti gli interventi orientati al trattamento
della patologia borderline in età evolutiva debbono
mantenere una certa duttilità di manovra terapeutica.
Devono essere elastici di fronte alle nuove esigenze
terapeutiche che possono insorgere nel passaggio attraverso le fasi di sviluppo del bambino, in base all’e9
Infanzia e adolescenza, 5, 1, 2006
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mergenza terapeutica espressa dal bambino in quel
determinato momento.
Non ultimo, l’intervento sulla scuola consente l’amplificazione di un dialogo volto alla comprensione
delle difficoltà del bambino e adolescente borderline
e l’attuazione di modelli funzionamento distinti anche
in un contesto extrafamiliare.
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Indirizzo per la corrispondenza:
Maria Romani
Dipartimento di Scienze Neurologiche, Psichiatriche
e Riabilitative dell’Età Evolutiva
Via dei Sabelli 108
00185 Roma
e-mail: [email protected]
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