Intervento di Bypass coronarico Il bypass coronarico (CABG) è una tecnica chirurgica che consente l’apporto di sangue ossigenato a valle delle ostruzioni coronariche (stenosi ≥70%) mediante l’utilizzo di grafts arteriosi, prevalentemente in arteria mammaria interna, o di graft di vena safena autologa (fig. 1). Il CABG è la metodica di rivascolarizzazione più efficace nel garantire migliore sopravvivenza e libertà da eventi a distanza, prevenire l’infarto miocardico e la morte per eventi coronarici acuti. Grazie ai miglioramenti delle tecniche chirurgiche, dei metodi di protezione miocardica, dell’assistenza anestesiologica e rianimatoria, nonostante l’aumentata incidenza negli ultimi dieci anni di molteplici fattori di rischio operatorio (i.e. l’arteriopatia polidistrettuale, la broncopneumopatia cronica, l’insufficienza renale, la concomitante presenza di patologie cardiache associate, la disfunzione ventricolare sinistra), la mortalità operatoria del CABG resta attualmente molto contenuta, essendo mediamente stimata al 2-3%. Il CABG risulta infatti essere la metodica più efficace nel garantire migliore sopravvivenza e libertà da eventi a lungo termine in presenza di malattia del tronco comune della coronaria sinistra (stenosi ≥50%), malattia trivasale, malattia bivasale con stenosi prossimale del ramo discendente anteriore. Il beneficio della chirurgia risultava ancor più evidente in presenza di gravi sintomi per angina, prova da sforzo positiva, ridotta funzione sistolica del ventricolo sinistro espressa da un valore di frazione di eiezione <50%. Mentre, il CABG non offre vantaggi superiori alla terapia medica in presenza di malattia monovasale e bivasale con buona funzione del ventricolo sinistro senza coinvolgimento dell’arteria discendente anteriore. L’intervento di CABG prevede l’accesso al cuore ed all’aorta del paziente mediante sternotomia mediana, il prelievo dell’arteria mammaria interna dalla fascia endotoracica e/o della vena safena dall’arto inferiore del paziente stesso, l’avvio della circolazione extracorporea e l’arresto del cuore con la cardioplegia ematica. Il chirurgo esegue quindi il/i bypass dopo aver praticato una piccola incisione della/e coronaria/e a valle dell'ostruzione, suturando alla coronaria l’arteria mammaria nella sua estremità distale o il segmento di vena safena. L’estremità prossimale della vena safena viene poi suturata all’aorta ascendente, da cui il sangue, attraverso la vena stessa raggiunge l’arteria coronaria, mentre l’estremità prossimale dell’arteria mammaria è già naturalmente collegata al sistema arterioso (all’arteria succlavia). Innesti per il bypass coronarico. Gli innesti più frequentemente utilizzati per la rivascolarizzazione sono l’arteria mammaria interna (AMI) e la vena safena autologa. L’AMI rispetto alla vena safena si è dimostrata avere una superiore pervietà a distanza, stimata a 10 anni del 95% rispetto al 50-60% della vena safena(39). Quindi il suo utilizzo consente di prevedere rispetto all’impiego della sola vena safena, una maggiore libertà da infarto miocardico e da reintervento e per tale motivo, particolarmente sul ramo discendente anteriore della coronaria sinistra (che è il vaso più importante ai fini prognostici perché responsabile di oltre il 50% dell’irrorazione del ventricolo sinistro) l’AMI è da preferire. Per la dimostrata migliore sopravvivenza derivante dall’uso di un’arteria mammaria interna rispetto alla vena safena, si è diffuso l’impiego della doppia arteria mammaria (generalmente la destra per il ramo discendente anteriore, la sinistra per il ramo marginale ottuso dell’arteria circonflessa, (fig. 2) che, rispetto all’uso dell’arteria mammaria singola, si è confermato associarsi ad un ulteriore miglioramento della sopravvivenza a 20 anni e ad una maggiore libertà da reintervento. a. succlavia sin a. mammaria interna sin v. safena tronco comune coron. sin a. circonflessa coronaria ds a. discendente anteriore Fig. 1. Schema di triplo bypass coronarico con l’impiego dell’a. mammaria interna sinistra per il ramo discendente anteriore e della vena safena per il ramo marginale ottuso e il ramo interventricolare posteriore della coronaria destra. AMI destra sul ramo discendente anteriore AMI sinistra sul ramo del margine ottuso Fig. 2. Impiego delle doppia arteria mammaria (AMI) per il bypass coronarico. 2 Chirurgia della valvola mitrale Le tecniche riparative hanno attualmente il ruolo preponderante nella chirurgia dell’insufficienza mitralica. I vantaggi della riparazione rispetto alla sostituzione sono legati alla possibilità di conservare la funzione dell’apparato sospensore sottovalvolare (utile al mantenimento di una corretta geometria ellittica del ventricolo sinistro), di evitare la terapia anticoagulante e i rischi tipicamente legati alle protesi valvolari (endocardite e tromboembolia). La possibilità di preservare meglio la geometria e quindi la funzione cardiaca è particolarmente utile nei pazienti con funzione cardiaca depressa. Per tali motivi, grazie ad una migliore comprensione della fisiologia dell’apparato valvolare mitralico ed all’uso dell’ecocardiografia transesofagea intraoperatoria, l’insufficienza mitralica viene trattata quasi esclusivamente con le tecniche di riparazione. Nell’insufficienza mitralica da prolasso, quasi sempre del lembo posteriore, il tessuto esuberante viene resecato (di norma un frammento quadrangolare), la continuità dell’anello e del lembo ricostruita con suture e quindi la forma e le dimensioni dell’orificio valvolare stabilizzate in genere con l’impianto di un anello protesico. Nel nostro centro il trattamento dell’insufficienza mitralica da prolasso mediante le tecniche di riparazione viene effettuato pressoché nel 100% dei pazienti. Nell’insufficienza mitralica secondaria a cardiomiopatia ischemica l’impianto di un anello protesico è sufficiente nella maggior parte dei pazienti a ridurre le dimensioni dell’anulus nativo e quindi l’insufficienza. Le tecniche più utilizzate nella nostra esperienza sono la resezione quadrangolare del lembo posteriore, la plastica a doppio orificio, l’impianto di anello protesico (figure). La stenosi mitralica (definita come grave per un’area valvolare inferiore a 1.5 cm2) di origine reumatica viene nella maggior parte dei casi trattata non chirurgicamente mediante metodica cardiologica invasiva di valvuloplastica percutanea, grazie alla dilatazione delle commissure con il pallone gonfiabile proposto da Inoue. La chirurgia sostitutiva viene riservata ai casi di calcificazione della valvola (anello e lembi) e/o dell’apparato sottovalvolare (corde tendinee, muscoli papillari) o di insufficienza associata a stenosi. Per il rischio operatorio molto basso (mortalità 0.5% rispetto al 3-5% della sostituzione mitralica), per l’elevata libertà da rientervento e da morte cardiaca a 10 anni (superiori al 95%) e per gli indiscutibili vantaggi che le tecniche di riparazione presentano rispetto alla sostituzione, l’indicazione chirurgica alla riparazione risulta essere più liberale, anche in presenza di pochi sintomi, in quanto l’intervento precoce previene il deterioramento della funzione cardiaca da sovraccarico volumetrico e permette di ottenere più facilmente una riparazione perfetta della valvola. L’ablazione chirurgica della fibrillazione atriale. La fibrillazione atriale è un’aritmia che molto frequentemente si associa alla valvulopatia mitralica. Infatti, sia nella stenosi che nell’insufficienza mitralica il sovraccarico dovuto sia all’elevata pressione che al volume di sangue nell’atrio sinistro, comporta un’alterazione strutturale ed elettrica dell’atrio stesso. L’insorgenza della fibrillazione, oltre a causare un peggioramento dei sintomi (dispnea, cardiopalmo, astenia), comporta il rischio di embolia sistemica dovuta alla formazione di trombi che dall’atrio possono mobilizzarsi in circolo e raggiungere il distretto cerebrale ovvero le arterie viscerali o degli arti inferiori, con possibile grave danno clinico (ictus, insufficienza renale, insufficienza vascolare periferica). Con la tecnica chirurgica di ablazione (la più utilizzata è quella di Cox-Maze) è possibile con una sonda a radiofrequenza o a freddo (crioablazione) interrompere i circuiti elettrici responsabili di tale aritmia, 3 favorendo contestualmente alla riparazione o alla sostituzione della valvola mitralica e/o aortica il ripristino del ritmo cardiaco sinusale. In effetti un nostro studio dimostra che i pazienti sottoposti a chirurgia della valvola mitralica mostra che l’eliminazione della fibrillazione (70% circa dei casi) migliora la qualità di vita rispetto ai pazienti con persistente aritmia. Il ripristino del ritmo sinusale comporta inoltre a distanza una più elevata probabilità di sopravvivenza, libertà da eventi cardiaci ed embolici cerebrali. Figura 1. Resezione quadrangolare del lembo posteriore. Figura 2. Completamento della riparazione con impianto di anello. Figura 3. Plastica a doppio orificio. 4