Capitolo 16
Plasmi collisionali
16.1
Collisioni e diffusione nei plasmi debolmente
ionizzati
Nel precedente Capitolo abbiamo analizzato gli effetti delle interazioni a lungo
raggio trascurando le collisioni, sebbene fosse chiaro che queste sono necessarie
per creare l’equilibrio maxwelliano. Nel Capitolo 14 abbiamo già discusso come
la trattazione delle collisioni nei plasmi sia un problema complesso e non ancora
soddisfacentemente formulato. Come primo approccio alla questione consideriamo il caso di un plasma debolmente ionizzato, tale cioè che le collisioni di
elettroni e ioni avvengano soprattutto con atomi neutri, di modo che possono
essere trattate secondo le tecniche dei fluidi neutri. Tratteremo quindi un sistema a tre fluidi, dove tuttavia il fluido degli atomi neutri viene considerato a
riposo e le sue equazioni non sono considerate esplicitamente.
Le e quazioni per elettroni e ioni sono quindi quelle del modello a due fluidi,
in particolare le 14.53), con l’aggiunta di un termine collisionale con i neutri. Se
la frequenza di collisione per ciascun tipo di particella k è ν c,k , la decelerazione
prodotta sarà dell’ordine di −ν c,k uk , per cui si potrà porre:
∙
¸
³
´
∂uk
uk
mk nk
+ (uk · ∇x ) uk = −∇pk + qk nk E +
× B − mk nk ν c,k uk .
∂t
c
(16.1)
Iniziamo considerando il caso senza campo magnetico. In tal caso il moto dei
fluidi carichi è prodotto dal campo E oppure dal gradiente di pressione ed è contrastato dalle collisioni. È quindi possibile la formazione di uno stato stazionario
alla velocità terminale:
1
uk =
(qk nk E − ∇pk )
(16.2)
mk nk ν c,k
e nel caso di sistemi isotermi:
uk =
1
(qk nk E − kB T ∇nk ) .
mk nk ν c,k
227
(16.3)
228
CAPITOLO 16. PLASMI COLLISIONALI
Il flusso di particelle è dato da:
Ψk = nk uk = ±µk nk E−Dk ∇nk
(16.4)
dove si definiscono la mobilità:
±µk = ±
e
mk ν c,k
(16.5)
(il doppio segno tiene conto delle cariche di elettroni e ioni, + per ioni e −
per elettroni; si considerano solo ioni con una carica +e) e il coefficiente di
diffusione:
kB T
Dk =
.
(16.6)
mk ν c,k
Consideriamo ora un plasma in cui la densità di particelle cariche non sia
uniforme, pur rimanendo il sistema localmente neutro, ne ≈ ni = n, perchè se esistesse una carica spaziale nascerebbero forze elettrostiche molto forti.Ovviamente
le particelle tenderanno a muoversi dalle regioni più dense alle regioni meno
dense. Per evitare la separazione di carica, occorrerà che anche i flussi di particelle siano eguali Ψe ≈ Ψi = Ψ. Questo processo prende il nome di diffusione
ambipolare.
Avremo dunque:
µi nE−Di ∇n = −µe nE−De ∇n
(16.7)
da cui si deriva il campo elettrostatico che si deve mantenere nel sistema per
evitare la separazione di carica:
E=
Di − De ∇n
µi + µe n
(16.8)
con il corrispondente flusso di particelle:
Ψ = −Da ∇n
(16.9)
ove si definisce il coefficiente di diffusione ambipolare:
Da =
16.2
µe Di + µi De
.
µi + µe
(16.10)
Diffusione in un campo magnetico
La presenza di un campo magnetico ordinato tende a confinare un plasma in
quanto le particelle cariche sono costrette a compiere i moti di girazione intorno alle linee di flusso magnetico e quindi rimangono intrappolate in regioni
dell’ordine del loro raggio di girazione. Le collisioni possono tuttavia portare ad
una diffusione cambiando le traiettorie delle particelle; ricordiamo che anche i
moti di deriva dovuti a forze esterne o inomogeneità dei campi possono causare
diffusione.
16.2. DIFFUSIONE IN UN CAMPO MAGNETICO
229
In questo paragrafo ci occuperemo della diffusione di un plasma debolmente
ionizzato a causa delle collisioni con un fluido neutro a riposo. Studieremo il
caso di un solo fluido, quello degli elettroni, che sono maggiormente confinati
avendo raggi di girazione minori degli ioni. Consideriamo una regione dove gli
elettroni stanno seguendo il loro moto di girazione e allo stesso tempo subiscono
l’effetto diffusivo delle collisioni coi neutri, e cerchiamo anche in questo caso una
soluzione stazionaria in cui gli elettroni diffondono a velocità costante:
³
´
u
me nν c u = −en E + × B − kB T ∇n .
(16.11)
c
La densità di elettroni decrescerà a causa della diffusione, ma per ora consideriamo solo tempi brevi rispetto a quelli necessari a produrre una decerscità
significativa della densità. Inoltre il campo elettrico nasce dalla presenza di ioni
che tendono ad impedire una separazione di carica significativa. Scegliamo l’asse
z nella direzione del campo magnetico che assumeremo uniforme. Le componenti
x e y dell’equazione stazionaria saranno:
ux
uy
D ∂n ω c
uy
−
n ∂x
νc
D ∂n ω c
= −µEy −
ux
+
n ∂y
νc
= −µEx −
(16.12)
(16.13)
dove oltre alle precedenti definizioni si è indicato con ω c = eB/me c la frequenza
ciclotrone degli elettroni. Combinando le due relazioni si ottiene:
"
µ ¶2 #
ωc
uy 1 +
=
νc
µ ¶2
Ex
kB T 1 ∂n
ωc
c
−
B
νc
eB n ∂x
"
µ ¶2 #
ωc
=
ux 1 +
νc
µ ¶2
µ ¶2
ωc
ωc
D ∂n
Ey
kB T 1 ∂n
−µEx −
c
c
+
+
.
n ∂x
νc
B
νc
eB n ∂y
−µEy −
D ∂n
−
n ∂y
µ
ωc
νc
¶2
c
(16.14)
(16.15)
I termini cEx /B e cEy /B sono rispettivamente la componente y e x della deriva
elettrica definita nel Capitolo 13, mentre l’ultimo termine viene generalmente
indicato come deriva diamagnetica e nasce quando un plasma non-omogeneo
si trovi in un campo magnetico. La sua interpretazione è immediata facendo
riferimento alla Fig. 16.1: il campo magnetico è scelto perpendicolare al piano
del disegno e rivolto verso il piano stesso, per cui gli elettroni compiono il moto
di girazione come indicato. Un gradiente di densità è presente, con densità
crescente verso sinistra. Scelto un qualunque volumetto i moti di girazione
comportano un flusso maggiore verso il basso che verso l’alto, per cui si ha in
definitiva una corrente di deriva perpendicolare a B e ∇n.
230
CAPITOLO 16. PLASMI COLLISIONALI
Fig. 16.1: Origine della deriva diamagnetica
Le due equazioni scalari precedenti possono essere combinate nella forma
vettoriale:
uE + uD
∇n
u⊥ = −µ⊥ E−D⊥
(16.16)
+
2
n
1 + (ν c /ω c )
dove uE e uD sono le velocità di deriva elettrica e diamagnetica rispettivamente,
e
µ
(16.17)
µ⊥ =
1 + (ω c /ν c )2
D
D⊥ =
(16.18)
1 + (ω c /ν c )2
sono la mobilità e il coefficiente di diffusione perpendicolari al campo magnetico.
Si ricava immediatamente dall’equazione in z che questi coefficienti paralleli al
campo non cambiano: il campo magnetico rende quindi il plasma anisotropo.
Se le collisioni sono molto efficienti, cioè ω c /ν c ¿ 1, l’anisotropia scompare;
quando invece il campo magnetico sia molto intenso, cioè ω c /ν c À 1, il plasma
è fortemente anistropo.
In particolare confrontiamo i due coefficienti di diffusione con campo magnetico e senza campo magnetico:
D⊥
=
D
=
kB T ν c
mω 2c
kB T
mν c
16.3. COLLISIONI IN UN PLASMA COMPLETAMENTE IONIZZATO 231
e vediamo l’opposto ruolo delle collisioni nei due casi. Quando il campo magnetico non è presente, le collisioni contrastano la diffusione, mentre, quando il
campo è presente, la favoriscono. Ciò è dovuto al fatto che le collisioni sono necessarie in presenza di campo magnetico per far uscire gli elettroni dal semplice
moto di girazione in cui altrimenti rimarrebbero intrappolati.
16.3
Collisioni in un plasma completamente ionizzato
Le collisioni a corto raggio a due corpi tra particelle cariche possono essere
trattate in dettaglio usando l’interazione coulombiana. Abbiamo già discusso
come per parametri di impatto al di sopra della lungheza di Debye l’effetto delle
cariche sia schermato dalla presenza dell’insieme delle cariche del plasma. Allo
stesso modo dobbiamo escludere parametri di impatto vicini a zero per evitare
le divergenze degli integrali di collisione. Considereremo qui solo le collisioni
corrispondenti a parametri di impatto abbastanza piccoli da causare grandi
deflessioni. Parametri di impatto maggiori danno origine alle piccole deflessioni
che vengono trattate statisticamente dalle equazioni di tipo Fokker-Planck viste
nel Capitolo 14 ed espresse attraverso gli integrali di Rosenbluth.
Determiniamo l’ordine di grandezza del parametro di impatto r0 che produce
deflessioni dell’ordine del momento originale della particella. Consideriamo particelle eguali di massa m e carica e. Se v è la velocità della particella proiettile,
r0 /v sarà il tempo caratteristico durante il quale sarà sufficientemente vicina
alla particella bersaglio da rendere l’interazione significativa. Pertanto la forza
dell’interazione sarà e2 /r02 e l’impulso trasmesso:
∆ (mv) ≈
e2 r0
e2
≈
r02 v
r0 v
(16.19)
che nel presente caso intendiamo sia dell’ordine di mv, per cui
r0 ≈
e2
.
mv
(16.20)
Le collisioni di cui trattiamo corrispondono quindi a una sezione d’urto dell’ordine
di πr02 ; pertanto la frequenza di collisione per una particella proiettile sarà data
dal prodotto della sezione d’urto per il numero di particelle incontrate in un
secondo:
πne4
ν c ≈ πr02 nv ≈ 2 3
(16.21)
m v
dove n è la densità numerica di particelle bersaglio. Assumendo come velocità
tipica la velocità termica v = (kB T /m)1/2 si ottiene dunque:
νc ≈
πne4
m1/2 (kB T )3/2
.
(16.22)
232
CAPITOLO 16. PLASMI COLLISIONALI
Questa derivazione è molto semplificata e non discute varie implicite approssimazioni; tuttavia contiene la corretta dipendenza del risultato finale dai
parametri fisici. Una trattazione originale dettagliata si può trovare nel testo
di Spitzer, Physics of Fully Ionized Gas (1962). Spitzer mostra anche come la
frequenza caratteristica dall’insieme cumulativo di piccole deflessioni dovute a
grandi parametri di impatto per produrre globalmente una variazione del momento dell’ordine del momento stesso è tipicamente più elevata di un fattore
intorno a 10 volte di quella ora calcolata per le collisioni a corto raggio. Il che
conferma che i plasmi sono dominati dagli effetti collettivi. Ciò nonostante le collisioni a corto raggio diventano importanti in fenomeni che avvengano su tempi
scala lunghi, in particolare i fenomeni di rilassamento verso l’equilibrio. Useremo più avanti la frequenza di collisioni a corto raggio per valutare i fenomeni
di trasporto collisionali.
16.4
Modello a un fluido magnetizzato
Nel limite di un plasma di molte particelle e di fenomeni che avvengono su tempi
scala lunghi, un plasma rilassa verso una situazione di equilibrio maxwelliano
attraverso le collisioni, sia lungo sia a corto raggio; allo stesso tempo eventuali
separazioni di carica vengono saturate. In tali condizioni è possibile sviluppare
un modello ad equazioni macroscopiche per il plasma come un singolo fluido,
mediando le varie grandezze in modo da portare ad un sistema di equazioni in
quantità direttamente misurabili.
In un plasma coesistono sempre almeno tre tipi di particelle, ciascuno con
la propria funzione di distribuzione:
1. particelle neutre, f 0
2. elettroni, f −
3. ioni positivi, f + .
Pertanto i modelli macroscopici dovrebbero essere sempre modelli a tre fluidi: in realtà, poiché nella maggior parte dei casi di interesse i plasmi sono
completamente ionizzati (ma naturalmente vi sono eccezioni importantissime
anche in astrofisica), si adotta, come abbiamo visto nel Capitolo 14, un modello
a due fluidi, in termini di f − e f + in condizioni di equilibrio termodinamico,
il che permette di esprimere la densità di energia in termini della temperatura
∓
∓
= c∓
VT .
Le equazioni macroscopiche sono scritte introducendo i termini di scambio
di quantità di moto (4p ∓± ) ed energia (4E ∓± ) per le collisioni a corto raggio
tra le due componenti. Le equazioni separate per i due fluidi risultano:
∂ρ∓
+ ∇ · (ρ∓ u∓ ) = 0
∂t
¶
µ
µ
¶
u∓
∂
ρ∓
+ u∓ · ∇ u∓ + ∇ · P∓ − n∓ e∓ E +
× B = ∆p∓±
∂t
c
(16.23)
16.4. MODELLO A UN FLUIDO MAGNETIZZATO
µ
233
¶
∂
∓ ∓
∓
∓
∓
∓
∓±
.
+ u∓ · ∇ c∓
v T + cV T ∇ · u + ∇ · q + P:∇u = 4E
∂t
Nell’ipotesi che le scale spaziali del problema siano grandi rispetto alla
lunghezza di Debye e i tempi scala siano lunghi rispetto all’inverso della frequenza di plasma, non si ha separazione di carica. Si può in tal caso giungere
ad esprimere un modello in termini di grandezze misurabili, operando una media
delle due distribuzioni secondo i seguenti pesi:
densità di materia
velocità media
densità di carica
densità di corrente
→
→
→
→
→
→
ρ = ρ+ + ρ− = n+ m+ + n− m−
u = (ρ+ u+ + ρ− u− )/(ρ+ + ρ− )
Q = n+ e+ + n− e−
J = n+ e+ u+ + n− e− u−
Jconv = Qu = (n+ e+ + n− e− )u
j = J − Jconv = n+ e+ (u+ − u)+
+n− e− (u− − u) .
(16.24)
Con queste definizioni, sommando le equazioni di continuità, si ottiene l’equazione
di continuità della massa totale:
∂ρ
+ ∇ · (ρu) = 0 .
∂t
Moltiplicando le due equazioni di continuità per e∓ /m∓ rispettivamente e
sommandole, si ottiene l’equazione di continuità della carica:
∂Q
+∇·J=0.
∂t
(16.25)
Sommando le equazioni del moto, si ottiene l’equazione del moto del fluido:
µ
¶
∂
1
ρ
+ u · ∇ u + ∇ · P − QE − J × B = 0
(16.26)
∂t
c
dove P = P+ + P− .
Sempre utilizzando le due equazioni del moto, moltiplicandole per e∓ /m∓
rispettivamente e sommandole, si ottiene, nel limite m− /m+ ¿ 1 (ioni ”immobili”) e di pressione scalare isotropa (d’ora in avanti indicata con p):
B
∂J
e−
+ Ωe J × − − ∆p−+ =
∂t
B
m
µ
¶
n− e−2
u
1
−
=
E + × B − − − ∇p
−
m−
c
n e
−n− e− (u− · ∇)u− + n+ e+ (u+ · ∇)u+
(16.27)
dove Ωe = |e− B/m− c| = 1.8 107 B rad sec−1 è la frequenza di Larmor elettronica
e p− la pressione elettronica. L’assunzione di isotropia di pressione si applica
nel limite di grande frequenza di collisioni, p+ ≈ p− ≈ p/2 (come nel caso
234
CAPITOLO 16. PLASMI COLLISIONALI
idrodinamico di Chapman-Enskog), oppure nel limite di plasma freddo, p+ ≈
p− ≈ 0.
Per quanto riguarda l’espressione di 4p∓ per lo scambio di quantità di
moto tra elettroni e ioni, essa può essere ricavata considerando che dipende
dalla velocità relativa dei due fluidi:
4p−+ ' ν c n− m− (u+ − u− ) ' −ν c n− m− (u− − u)
(16.28)
ove si è tenuto conto che le velocità peculiari degli ioni pesanti sono trascurabili
rispetto a quelle degli elettroni. La costante di proporzionalità è la frequenza di
collisione discussa nel precedente paragrafo.
Confrontando con l’espressione della densità di corrente:
j = n+ e+ (u+ − u) + n− e− (u− − u) ' n− e− (u− − u)
si ottiene:
m− ν c
j.
(16.29)
e−
La precedente, nell’ulteriore ipotesi che ∇u±
i ≈ 0, corrispondente all’assenza
di correnti termoelettriche, consente di scrivere la legge di Ohm generalizzata :
4p−+ ' −
´
∂J
B
n− e−2 ³
u
e−
∇p
+
ν
j
=
E
+
+ Ωe J × −
×
B
.
c
∂t
B
2m−
m−
c
(16.30)
È ovvia l’analogia con la legge di Ohm classica; in effetti il rapporto dei coefficienti di j e E corrisponde proprio alla conduttività elettrica classica derivata
nel Capitolo 12 σ = n− e2 /m− ν c . I termini aggiunti nella presente formulazione
corrispondono alle proprietà del plasma rispetto al caso di un conduttore classico; in particolare il termine J × B corrisponde all’effetto Hall.
Formalmente si può quindi riscrivere la legge di Ohm generalizzata attraverso
un tensore generalizzato di conduttività σ̃:
j = σ̃ · E .
(16.31)
Passiamo infine all’equazione dell’energia, sommando le due espressioni sin−
+ +
gole per elettroni e ioni con cv = c−
v T + cv T :
µ
¶
∂
+ u · ∇ cV T + cV T ∇ · u + ∇ · q + P : ∇u =
∂t
³
´
u
=j· E+ ×B .
c
Il termine a secondo membro rappresenta il riscaldamento Joule.
I campi E, B in queste equazioni sono definiti attraverso le equazioni di
Maxwell, ove correnti e cariche sono a loro volta definite dalle di-stribuzioni
f − , f + del plasma. Si usano quindi le equazioni di Maxwell nel vuoto per
chiudere il sistema:
4π
1 ∂E
∇×B=
J+
(16.32)
c
c ∂t
16.5. EQUAZIONI MAGNETOIDRODINAMICHE
∇×E=−
1 ∂B
c ∂t
235
(16.33)
∇ · E = 4π Q
(16.34)
∇ · B = 0.
(16.35)
Si ricordi che in effetti solo le prime due equazioni di Maxwell sono effettivamente
richieste per descrivere i campi, mentre le due rimanenti definiscono solo le
condizioni iniziali e al contorno in termini delle cariche e delle correnti.
In conclusione il sistema delle equazioni del modello a un fluido è costituito
da 15 equazioni scalari nelle 15 incognite scalari ρ, u, Q, J, p, E, B (viene dato per
scontato che per chiudere il sistema siano fatte delle scelte su q, in particolare
q = 0):
∂ρ
+ ∇ · (ρu) = 0
(16.36)
∂t
∂Q
+∇·J=0
∂t
¶
µ
1
∂
+ u · ∇ u + ∇p − QE − J × B = 0
ρ
∂t
c
´
B
n− e−2 ³
u
e−
∂J
∇p
+
ν
j
=
E
+
+ Ωe J × −
×
B
c
∂t
B
2m−
m−
c
µ
¶
∂
+ u · ∇ (cV T ) + cV T ∇ · u + ∇ · q + P : ∇u−
∂t
³
´
u
−j· E + × B = 0
c
∇×B=
1 ∂E
4π
J+
c
c ∂t
(16.37)
(16.38)
(16.39)
(16.40)
(16.41)
1 ∂B
(16.42)
c ∂t
Si tratta di un sistema complesso e altamente nonlineare, che può essere
risolto analiticamente solo in casi molto particolari.
∇×E=−
16.5
Equazioni magnetoidrodinamiche
Un plasma con elevata frequenza di collisione ed elevata conduttività elettrica
è sempre in grado di mantenersi in condizioni di quasi-neutralità e in equilibrio
maxwelliano a data T nelle sue varie componenti. In tal caso si può porre nelle
equazioni a due fluidi:
n+ ≈ n− , Q ≈ 0, p = p+ + p− ≈ 2p+ ≈ 2p−
J ≈ j, u+ ≈ u− , p =
2
cV T .
3
(16.43)
236
CAPITOLO 16. PLASMI COLLISIONALI
Se inoltre si impone q ≈ 0, e si sceglie come tempo scala caratteristico
ω −1 = L/u (L estensione del plasma, u velocità caratteristica dei moti fluidi),
si ottiene l’approssimazione magnetoidrodinamica. Comprenderemo più avanti
il significato di questa terminologia.
Per derivare le semplificazioni delle equazioni del modello a due fluidi, eseguiamo preliminarmente un’analisi dimensionale per comprendere quali siano
i termini trascurabili in tale approssimazione.
Si parte dalla legge di scala suddetta in condizioni non relativistiche:
ωL
ωL
≈ 1,
¿1.
u
c
Dall’equazione di Maxwell per ∇ × E si ottiene quindi:
ω
E
≈ B,
L
c
E
ωL
≈
¿1.
B
c
Dall’equazione di Maxwell per ∇ × B si ottiene poi:
J
ω ωL
B
≈ +
B
L
c
c c
"
µ
¶2 #
ωL
L
≈B,
J ≈B 1+
c
c
cioè il termine delle correnti di spostamento è trascurabile.
Con le suddette relazioni possiamo scalare i vari termini della legge di Ohm:
µ 2 2¶ µ 2
¶ µ 2
¶ µ 2
¶
c ω
c ω Ωe
cs ω
c ω νc
:
:
:
=1:1
(16.44)
u2 ω 2pe
u2 ω pe ω pe
u2 Ωi
u2 ω pe ω pe
dove cs = (p/m+ n+ )1/2 è la velocità del suono e
precedentemente definite.
I primi tre termini della legge di Ohm sono
quando:
³ u ´2
u
ωΩe
ω
¿ ,
¿
,
2
ω pe
c
ω pe
c
le altre quantità sono state
trascurabili rispettivamente
³ u ´2
ω
¿
Ωi
c
(16.45)
Se queste relazioni sono soddisfatte, si ritorna alla legge di Ohm classica:
³
´
u
J=σ E+ ×B
(16.46)
c
per analogia si usa spesso, per la legge generalizzata, la forma:
´
³
u
J = σ E + × B + Eind
c
(16.47)
dove il termine di campo indotto comprende tutti gli altri termini elettrodinamici che si originano in un plasma (trattato come un fluido conduttore).
16.6. EQUAZIONI MAGNETOIDRODINAMICHE IDEALI
237
Nelle ipotesi citate all’inizio del paragrafo, l’equazione dell’energia risulta
pure semplificata; ponendo p = (3/2)cV T e utilizzando l’equazione di continuità:
¶
¶µ
µ
´
u
2 −5/3 ³
p
∂
J·
E
+
=
+u·∇
ρ
×
B
.
(16.48)
∂t
3
c
ρ5/3
Il sistema completo delle equazioni magnetoidrodinamiche risulta costituito
da 14 equazioni scalari nelle 14 incognite scalari ρ, v, J, p, E, H:
∂ρ
= −∇ · (ρu)
∂t
¶
µ
1
∂
+ u · ∇ u = −∇p + J × B
ρ
∂t
c
³
´
u
J=σ E+ ×B
c
¶
¶µ
µ
³
´
2
u
p
∂
= ρ−5/3 J· E + × B
+u·∇
5/3
∂t
3
c
ρ
4π
J
c
1 ∂B
∇×E=−
c ∂t
∇×B=
16.6
(16.49)
(16.50)
(16.51)
(16.52)
(16.53)
(16.54)
Equazioni magnetoidrodinamiche ideali
Un caso speciale delle equazioni magnetoidrodinamiche è quello che si ottiene
nel limite di conduttività infinita, σ → ∞, che comporta debba essere:
³
´
u
E+ ×B =0
(16.55)
c
se si vogliono evitare correnti infinite.
Il sistema delle equazioni magnetoidrodinamiche ideali è dunque costituito
dalle 11 seguenti equazioni scalari nelle 11 incognite scalari ρ, u, J, p, H:
∂ρ
+ ∇ · (ρu) = 0
∂t
¶
µ
1
∂
+ u · ∇ u = −∇p + J × B
ρ
∂t
c
¶
¶µ
µ
p
∂
=0
+u·∇
5/3
∂t
ρ
4π
J
c
1 ∂B
∇ × (u × B) = −
c ∂t
∇×B=
(16.56)
(16.57)
(16.58)
(16.59)
(16.60)
238
CAPITOLO 16. PLASMI COLLISIONALI
È questo un sistema di vasta applicazione in astrofisica, dove i plasmi sono
sempre caratterizzati da alta conduttività elettrica. È importante notare che
non compare più direttamente il campo elettrico, in quanto un plasma ad alta
conduttività non possiede carica netta. Tuttavia il plasma è conduttore, e quindi
trasporta correnti e crea campi magnetici.
Vedremo nel prossimo Capitolo come il sistema di equazioni suddetto è ricavabile direttamente dall’idrodinamica trattando il plasma come un fluido neutro,
ma conduttore, e quindi assoggettabile alla forza J × B, e tenendo conto delle
equazioni di Maxwell per definire il campo magnetico e le correnti.
16.7
Sui criteri di applicabilità della trattazione
fluida
Siano λ e τ le scale di lunghezza e tempo su cui variano le grandezze fisiche che
definiscono il plasma. Come in idrodinamica, si può parlare di comportamento
fluido di un elemento di volume r3 (r ¿ λ) se le particelle che vi si trovano al
tempo t evolvono in maniera coerente fino al tempo t+τ (cioè mantengono valori
delle grandezze fisiche molto vicini): il volume r3 è pertanto l’elemento fluido.
Una condizione necessaria, implicita in queste considerazioni, è che il trasporto
di energia termica fuori dall’elemento dev’essere piccolo, il che comporta q ≈ 0.
In idrodinamica la coerenza è essenzialmente mantenuta dalle collisioni che
impediscono alle particelle di diffondere liberamente e differenziarsi; in tal senso
deve’essere r À λc (cammino libero medio rispetto alle collisioni. E quindi a
maggior ragione:
λ À λc ,
(16.61)
λ
(16.62)
À τc ,
u
dove in equilibrio termico u ≈ vth ; per scale maggiori di λ o per tempi più lunghi
di τ intervengono effetti dinamici globali.
In un plasma le deviazioni angolari del moto che impediscono la diffusione
delle particelle non sono solo quelle dovute alle collisioni a breve range, ma anche
la somma di tante piccole deflessioni dovute alle forze a lungo range.
Per le forze a breve range di tipo coulombiano il tempo che intercorre fra
due urti che portano a una deflessione angolare di π/2 è, secondo Rutherford:
τ=
τc =
1
;
nuσ (π/2)
(16.63)
per un gas di idrogeno ionizzato in equilibrio termodinamico la deflessione di
π/2 avviene per collisioni alla distanza b0 tale che e2 /b0 ≈ kT :
τc =
1
.
nvth πb20
(16.64)
Per le forze a lungo range, sempre di tipo coulombiano, il corrispondente
tempo di collisione τ c,lr , inteso come il tempo che deve intercorrere perchè
16.7. SUI CRITERI DI APPLICABILITÀ DELLA TRATTAZIONE FLUIDA239
l’insieme di molte collisioni deboli porti a una deflessione di π/2, è ottenibile
con un classico calcolo di Spitzer:
τ c,lr =
2πnλ3D
τc
≈
.
ω p log (λD /b0 )
log Λ
(16.65)
Il fattore log Λ = 8 log(λD /b0 ) è nella maggior parte dei casi maggiore di 10,
il che comporta che le collisioni a lungo range hanno un effetto più rapido di
quelle a breve range.
Pertanto in un plasma le condizioni per la validità dell’approssimazione fluida
sono:
(16.66)
τ À τ c,lr ,
λ À λc,lr = uτ c,lr .
(16.67)
Tipicamente le situazioni astrofisiche soddisfano queste , in quanto si lavora su
grandi dimensioni o su elevate densità. Ciò consente l’utilizzazione di modelli
fluidi. Tuttavia esistono anche situazioni in cui le precedenti condizioni sono
violate; in tali casi si possono utilizzare altri regimi in cui una trattazione fluida
è ancora valida. I più interessanti sono il regime di plasma freddo e il regime di
forte campo magnetico.
16.7.1
Il regime di plasma freddo
In una gas neutro a temperatura zero sono impossibili condizioni per un comportamento coerente in quanto le particelle non interagiscono: λc → ∞. Le
velocità delle particelle non sono correlate, i moti sono liberi (a meno che non
intervengano altre forze che portino a effetti collettivi, ad esempio la gravitazione).
In un plasma, per quanto piccole possano essere le velocità di agitazione
termica rispetto alla velocità imposta dalla dinamica, cioè vth ¿ u, i campi a
lungo range continuano a mantenere la coerenza del sistema.
Da un punto di vista formale, utilizzando le relazioni del precedente paragrafo, quando vth ≈ T 1/2 → 0, risulta b0 → ∞; pertanto τ c ∝ T 3/2 e log Λ ∝
log T 3/2 , per cui τ c,lr e λc → 0. Pertanto le condizioni per una trattazione fluida
sono soddisfatte per qualunque scala e per tempi maggiori di τ c,lr .
Le equazioni per un plasma freddo discendono dalle equazioni macroscopiche
a due fluidi trascurando trasporto termico, pressione e tempera-tura del plasma.
Sono 14 equazioni scalari nelle 14 incognite scalari ρ, Q, u, J, E, B:
∂ρ
+ ∇ · (ρu) = 0
∂t
∂Q
+ ∇ · (ρJ) = 0
∂t
¶
µ
1
∂
+ u · ∇ u = QE+ J × B
ρ
∂t
c
(16.68)
(16.69)
(16.70)
240
CAPITOLO 16. PLASMI COLLISIONALI
m+ m− ∂J
u
m+
= E+ ×B−
J×B
2
ρe
∂t
c
ρec
4π
1 ∂E
J+
c
c ∂t
1 ∂B
∇×E=−
.
c ∂t
∇×B=
16.7.2
(16.71)
(16.72)
(16.73)
Il regime di forte campo magnetico
Ritorniamo al caso di pressioni del plasma non trascurabili, ma di lunghezze
scala di collisione grandi rispetto alle scale del plasma, λc À λ, co-sicchè il
plasma sia da considerare non collisionale; tuttavia si assuma che sia presente
un forte campo magnetico, tale cioè che:
λc À rgir =
mvc
eB
dove rgir è il raggio di Larmor o di girazione. In tali condizioni è lecito utilizzare le equazioni della teoria delle orbite in quanto i campi determinano un
comportamento simile per particelle dello stesso tipo.
È tuttavia possibile ancora utilizzare equazioni fluide. Se λ⊥ è la scala
delle variazioni delle grandezze fisiche del plasma perpendicolarmente al campo
magnetico, si può dire che il campo magnetico ”lega” le particelle alle linee di
flusso, determinandone il comportamento collettivo, se:
λ⊥ À rgir .
In tale situazione il campo magnetico assume il ruolo delle collisioni, ma solo
nel piano perpendicolare: il comportamento è fluido soltanto su due delle tre
coordinate spaziali.
Per la direzione lungo il campo magnetico spesso si utilizza l’ipotesi di moti
termici trascurabili (plasma freddo longitudinale), in quanto ciò si accorda con
l’ipotesi di poche collisioni.
Il plasma in presenza di un forte campo magnetico tende dunque ad avere
un comportamento anisotropo con p⊥ 6= pk , T⊥ 6= Tk , ecc. Si possono ottenere
le seguenti equazioni dell’energia nel limite equivalente al caso magnetoidrodinamico:
µ
¶µ
¶
∂
p⊥
+u·∇
= 0
∂t
ρB
¶
µ
¶µ
pk B 2
∂
= 0
(16.74)
+u·∇
∂t
ρ3
La teoria che tratta i plasmi anisotropi nel senso ora descritto, assumendo
condizioni di adiabaticità per l’equazione dell’energia distinte nelle direzioni
parallela e perpendicolare al campo magnetico, è stata sviluppata da Chew,
Goldberger e Low e va sotto il nome di teoria doppia adiabatica (o CGL); è
16.7. SUI CRITERI DI APPLICABILITÀ DELLA TRATTAZIONE FLUIDA241
di vasta applicazione nei plasmi di laboratorio. Nella maggior parte dei casi
astrofisici, la teoria CGL non comporta grandi differenze rispetto alle equazioni
magnetoidrodinamiche; e comunque, poichè si sviluppano facilmente situazioni
turbolente, le collisioni con perturbazioni ondose possono rapidamente ricondurre la distribuzione alle condizioni di isotropia.