Breve riflessione sul principio di sussidiarietà

Commissione di Formazione alla Politica
Breve riflessione sul
principio di sussidiarietà
A cura di Thomas Valgoi
Nel corso degli ultimi decenni, il dibattito pubblico si è spesso soffermato sul concetto di
sussidiarietà, invocato frequentemente da più parti ed in diversi ambiti. Nella presente riflessione si
cercherà di coglierne il significato attraverso la descrizione che di esso ha delineato la Chiesa
Cattolica e di apprezzarne il contenuto precettivo derivante dalla sua positivizzazione
nell'ordinamento comunitario ed italiano.
1. Il principio di sussidiarietà sul piano descrittivo secondo la Dottrina Sociale della Chiesa
Il punto di partenza per un'analisi del principio di sussidiarietà può essere individuato nel
riconoscimento della centralità dell'uomo e nella valorizzazione della sua libertà. Si tratta, a ben
vedere, dell'elemento centrale sul tema non solo per la Dottrina Sociale della Chiesa, ma anche per
il pensiero liberale e per l'elaborazione propria del federalismo.
La Chiesa cattolica ha ripetutamente sottolineato l'importanza della sussidiarietà, come
strumento che impedisce allo Stato di soffocare la priorità logica ed assiologica dell'uomo e la sua
dimensione morale. Pio XI, nell'enciclica Quadragesimo anno del 15 maggio 1931, offre un'efficace
descrizione del principio in parola: «siccome è illecito togliere agli individui ciò che essi possono
compiere con le forze e l'industria propria per affidarlo alla comunità, così è ingiusto rimettere a
una maggiore e più alta società quello che dalle minori e inferiori comunità si può fare. Ed è
questo insieme un grave danno e uno sconvolgimento del retto ordine della società; perché
l'oggetto naturale di qualsiasi intervento della società stessa è quello di aiutare in maniera
suppletiva le membra del corpo sociale, non già distruggerle e assorbirle»1, aggiungendo poi
che «è necessario che l’autorità suprema dello Stato rimetta ad associazioni minori e inferiori il
disbrigo degli affari e delle cure di minor momento per poter eseguire con più libertà, con più
forza ed efficacia le parti che a lei sola spettano [...] di direzione, cioè, di vigilanza, di incitamento,
di repressione, a seconda dei casi e delle necessità».2
Invero, già molto tempo prima, Tommaso d'Aquino considerava un pericolo l'imposizione di
un'eccessiva uniformità in una repubblica composta da diverse parti e, più recentemente, Leone
XIII nella Rerum Novarum invitava lo Stato a rispettare l'iniziativa privata, l'autonomia della
famiglia e dei sindacati, limitandosi «ad aggiungervi, quando il caso lo richiede, tutela ed
appoggio»3.
Tuttavia, solo dopo la richiamata definizione di Pio XI il principio di sussidiarietà viene
1
2
3
Pio XI, Lettera Enciclica Quadragesimo Anno, rintracciabile su www.vatican.va, n. 80.
Ivi, n. 81.
Leone XIII, Lettera Enciclica Rerum Novarum, rintracciabile su www.vatican.va, n. 34.
esplicitamente richiamato da diversi Pontefici, sino a diventare un aspetto fondamentale
dell'insegnamento cattolico: nel Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, si afferma che «è
impossibile promuovere la dignità della persona se non prendendosi cura della famiglia, dei
gruppi, delle associazioni, delle realtà territoriali locali, in breve, di quelle espressioni aggregative
di tipo economico, sociale, culturale, sportivo, ricreativo, professionale, politico, alle quali le
persone danno spontaneamente vita e che rendono loro possibile una effettiva crescita sociale»4.
Di conseguenza, «tutte le società di ordine superiore devono porsi in atteggiamento di aiuto
(“subsidium”) — quindi di sostegno, promozione, sviluppo — rispetto alle minori. In tal modo, i
corpi sociali intermedi possono adeguatamente svolgere le funzioni che loro competono, senza
doverle cedere ingiustamente ad altre aggregazioni sociali di livello superiore, dalle quali
finirebbero per essere assorbiti e sostituiti e per vedersi negata, alla fine, dignità propria e spazio
vitale»5.
Si possono così delineare due aspetti della sussidiarietà: da una parte è necessario che lo
Stato si adoperi positivamente affinché ai corpi intermedi sia sempre garantita la possibilità di
svolgere le proprie funzioni, e, dall'altra, è altrettanto imprescindibile che lo Stato si astenga da
quanto restringerebbe, di fatto, lo spazio vitale delle cellule minori ed essenziali della società.
Nel Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, inoltre, si evidenzia chiaramente che «il
principio di sussidiarietà protegge le persone dagli abusi delle istanze sociali superiori e sollecita
queste ultime ad aiutare i singoli individui e i corpi intermedi a sviluppare i loro compiti. Questo
principio si impone perché ogni persona, famiglia e corpo intermedio ha qualcosa di originale da
offrire alla comunità. L'esperienza attesta che la negazione della sussidiarietà, o la sua
limitazione in nome di una pretesa democratizzazione o uguaglianza di tutti nella società, limita e
talvolta anche annulla lo spirito di libertà e di iniziativa. Con il principio della sussidiarietà
contrastano forme di accentramento, di burocratizzazione, di assistenzialismo, di presenza
ingiustificata ed eccessiva dello Stato e dell'apparato pubblico»6.
2. La dimensione precettiva del principio di sussidiarietà
Il principio di sussidiarietà, recentemente, ha assunto anche una portata precettiva,
derivante dal suo richiamo espresso in testi normativi di primissimo piano.
Nel testo della Costituzione italiana, prima della Riforma del 2001, si rinvenivano le tracce
del principio di sussidiarietà, sia nella formulazione dell'art. 2 («La Repubblica riconosce e
garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge
la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica,
economica e sociale») che da una lettura sistematica dell'art. 2 con l'art. 3, secondo comma («E'
compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di
fatto la libertà e l'uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e
l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del
Paese»).
In seno all'Assemblea costituente, peraltro, tramite un ordine del giorno del 9 settembre
1946, poi ritirato, Dossetti proponeva, quale principio fondativo per il nuovo statuto dell'Italia
democratica, il riconoscimento della «precedenza sostanziale della persona umana (intesa nella
completezza dei suoi valori e dei suoi bisogni, non solo materiali ma anche spirituali) rispetto allo
Stato e la destinazione di questo al servizio di quella». L'ordine del giorno proseguiva affermando
che va riconosciuta «ad un tempo la necessaria socialità di tutte le persone, le quali sono destinate
a completarsi e perfezionarsi a vicenda, mediante una reciproca solidarietà economica e
spirituale: anzitutto in varie comunità intermedie disposte secondo una naturale gradualità
(comunità familiari, territoriali, professionali, religiose ecc.), e quindi, per tutto ciò in cui quelle
4
5
6
Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, rintracciabile su
www.vatican.va, n. 185.
Ivi, n. 186.
Ivi, n. 187.
non bastino, nello Stato»7.
Solo con il Trattato di Maastricht, tuttavia, il principio di sussidiarietà acquista in modo
espresso forza precettiva, con riflessi anche per l'ordinamento italiano: l'art. 3B, nella sua
formulazione originaria, prevedeva infatti che «nei settori che non sono di sua esclusiva
competenza la Comunità interviene, secondo il principio della sussidiarietà, soltanto se e nella
misura in cui gli obiettivi dell'azione prevista non possono essere sufficientemente realizzati dagli
Stati membri e possono dunque, a motivo delle dimensioni o degli effetti dell'azione in questione,
essere realizzati meglio a livello comunitario».
Si tratta della cosiddetta dimensione verticale del principio di sussidiarietà, inteso quale
criterio di allocazione del potere, teso alla salvaguardia delle prerogative degli Stati membri per
bilanciare l'espansione dell'area di intervento della Comunità Europea.
Negli anni successivi, anche l'ordinamento italiano ha valorizzato in modo esplicito il
principio di sussidiarietà, facendone un criterio ispiratore della riforma dell'amministrazione
pubblica (D. Lgs. 31 marzo 1998, n. 112), fondando su di esso la garanzia delle autonomie territoriali
ed interpretandolo come clausola di flessibilità legittimante l'intervento del potere centrale.
Con la riforma del Titolo V della Costituzione (Legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3), il
principio di sussidiarietà trova una sua compiuta formulazione e collocazione nell'art. 118 della
Costituzione: nel primo comma («Le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni salvo che,
per assicurarne l'esercizio unitario, siano conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e
Stato, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza») si afferma la
declinazione verticale della sussidiarietà, mentre il quarto comma della disposizione («Stato,
Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l'autonoma iniziativa dei cittadini,
singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di
sussidiarietà») fa riferimento alla cosiddetta sussidiarietà orizzontale.
In ordine al profilo verticale del principio, la sussidiarietà diviene un parametro per
sindacare le scelte del Legislatore nell'allocazione delle funzioni amministrative: ove possibile, va
sempre preferito il livello istituzione e sociale più vicino al cittadino, in base alla considerazione per
cui proprio gli enti più vicini agli interessati sono in grado di soddisfare meglio le loro esigenze.
La dimensione orizzontale della sussidiarietà, viceversa, chiama i cittadini ad attivarsi per lo
svolgimento delle attività di interesse generale e gli enti locali ad assumere un ruolo di promozione,
sostegno o, se necessario, sostituzione.
L'indirizzo scritto nell'art. 118 della Costituzione, di preferenza dei governi più vicini ai
cittadini e di favore per le iniziative stesse dei cittadini, quando capaci di realizzare interessi
generali, sottintende un'idea di “sfera pubblica” come luogo di sviluppo, affermazione e
partecipazione della persona, radicalmente diversa dalla concezione dello Stato che “dall'alto” si
prende cura in modo burocratico ed indifferenziato dei propri cittadini. La sussidiarietà,
riconoscendo e valorizzando le responsabilità di tutti i livelli, cambia così il modo di essere cittadini,
configurando una nuova forma di partecipazione alla vita pubblica che va oltre il mero esercizio del
voto e che rende ciascuno partecipe delle sorti della collettività e del bene comune.
Si tratta sicuramente di un approccio rispettoso della libertà del singolo e, dunque, il suo
progressivo consolidamento non può che essere considerato positivamente. Nondimeno, la
costituzionalizzazione del principio, con la conseguente portata precettiva, non è di per sé
sufficiente ad innestare il circolo virtuoso di poteri sussidiari convergenti: la cultura della
sussidiarietà si diffonderà tra i cittadini di pari passo con con la volontà di prendersi cura non
soltanto di se stessi ma anche della comunità in cui si vive. Sicuramente, d'altro canto, anche
qualche intervento normativo, concreto e puntuale, che vada nella direzione di
favorire «l'autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di
interesse generale» non può che favorire la maturazione della responsabilità e della cittadinanza
attiva.
7
G. Dossetti, Assemblea Costituente, Prima Sottocommisione, seduta del 9 settembre 1946, in La Costituzione della
Repubblica nei lavori preparatori dell'Assemblea Costituente, Camera dei Deputati, Roma, 1971, VI, p. 324.