LA CONOSCENZA DEL Se’ ATTRAVERSO IL MOVIMENTO CREATIVO Il movimento creativo o danzaterapia o espressività corporea è un particolare modo di utilizzare il corpo, il movimento e il contatto, che ha come finalità recuperare parti del sé che non permettono alle persone di stare bene con se stesse o di esprimersi in maniera adeguata o che non si sentono bene nella propria pelle, oppure può far parte di un progetto educativo per stimolare i bambini ad esprimersi in modo adeguato. Danza e movimento sono un mezzo attivo, corporeo, espressivo e comunicativo attraverso cui è possibile lavorare a vari livelli secondo obiettivi specifici. Possono, infatti, essere utilizzati a scopo riabilitativo, terapeutico, per allentare la tensione e diminuire la depressione, o semplicemente per attivare modalità comunicative che spesso vengono trascurate per valorizzare attività intellettuali ritenute più elevate. La differenza della danza come rappresentazione artistica e danza come movimento è soprattutto il differente uso che si fa del movimento. Il movimento è il mezzo principale in entrambi i casi e i suoi elementi base sono: il corpo, il tempo, lo spazio, l’energia o la forza. Una figura significativa nello sviluppo della danza e del movimento creativo in Inghilterra è Rudolf Laban (1879-1958) il cui contributo fu soprattutto una sistematica categorizzazione del movimento. Negli anni cinquanta alcune scuole rinomate in Gran Bretagna introdussero l’uso del movimento creativo secondo Laban nella formazione degli insegnanti delle elementari e delle medie dando molta importanza alla creatività e al lavoro di gruppo. Negli Stati Uniti negli anni 60 si costituisce la prima associazione professionale che si occupa di danzaterapia applicata a pazienti psichiatrici, con ritardo mentale o con altri handicap. Fin dagli anni 60 nel Regno Unito, insegnanti di educazione fisica, educatori speciali, insegnanti di danza, operatori sociali, infermieri, psicologi, fisioterapisti, terapeuti occupazionali ed altri utilizzarono il metodo del movimento creativo con pazienti psichiatrici, con difficoltà di apprendimento, autistici, giovani delinquenti, anziani, tossicodipendenti, e bambini a rischio. Il movimento creativo e l’espressione corporea superano l’idea di dualismo, di separazione dell’essere umano dove mente e corpo costituiscono due entità divise. Fino a non molto tempo fa, infatti, il nostro modo di relazionarci e di educare rifletteva questa logica disgiuntiva e la persona veniva privata di un senso di unità psicomotoria. Oggi grazie a cambiamenti culturali profondi e ad un’apertura alla filosofia orientale assistiamo al positivo recupero del corpo vissuto e al riconoscimento dello sviluppo psicomotorio nella crescita e nell’apprendimento. Il linguaggio corporeo assume particolare importanza nel momento in cui il corpo ci aiuta a contattare noi stessi in profondità, a percepire le nostre emozioni, a leggere quelle dell’altro e a relazionarci in modo diretto e spontaneo. Infatti, il linguaggio corporeo, che precede quello verbale più formale e strutturato, ha la caratteristica di mettere in contatto la persona con aspetti di sé molto profondi, che appartengono all’inconscio e per questo favoriscono l’accesso ad emozioni antiche. Gli operatori che fanno uso del movimento creativo intendono la danza creativa come una danza in cui i movimenti si autogenerano e sono strettamente legati gli uni agli altri così da formare una danza. I vari tipi di movimento vengono usati in modo mirato, si enfatizzano la qualità dei movimenti e le relazioni tra le persone. L’orientamento verso la danza come espressività e movimento e verso la danza come arte influenza gli obiettivi e la tipologia degli incontri, i possibili sviluppi e le procedure di valutazione. Si può iniziare con movimenti di coordinazione di alcune parti del corpo, infatti, acquisendo una maggiore consapevolezza del proprio corpo le persone riescono ad accettare le proprie imperfezioni ed esercitare di conseguenza un migliore controllo su se stesse. Tutto questo perché esiste un legame tra azione ed emozione, emozione e sensazioni corporee. A questo punto è importante definire il concetto di Sé, e, soprattutto esiste sin dall’inizio un sé? Come riescono i bambini molto piccoli a comporre i diversi suoni e movimenti, le sensazioni tattili e quelle visive, gli affetti, nell’esperienza di una persona intera? O forse il tutto viene recepito immediatamente come tale? È impossibile raggiungere un consenso generale su cosa sia esattamente il sé, noi adulti abbiamo comunque un senso reale e concreto del sé che permea la nostra esperienza sociale quotidiana e si presenta in molte forme: c’è il senso del sé corporeo, c’è il sé che compie un’azione, quello che sperimenta emozioni e sentimenti, quello che produce intenzioni, che fa progetti, che traduce le proprie esperienze in parole, che comunica e condivide conoscenze. Spesso tutti questi sensi del sé sono al di fuori della nostra coscienza consapevole, sono come il respiro, ma possono essere portati e trattenuti nella coscienza. In generale istintivamente elaboriamo le nostre esperienze in modo che ci portano ad attribuirle ad una qualche forma di organizzazione del tutto soggettiva, che comunemente chiamiamo il senso del sé. Anche se la natura del Sé potrà rimanere un concetto inaccessibile di certo è un fenomeno che non possiamo ignorare in quanto le nostre esperienze quotidiane, il rapporto con gli altri sono mediati da questa struttura psicologica mediante la quale organizziamo il nostro modo di essere e di relazionarci col mondo. Una delle premesse essenziali di Stern è che alcune forme di senso del Sé esistano molto prima dell’autoconsapevolezza e del linguaggio. Fra queste il senso di essere soggetti agenti, il senso di coesione fisica, di continuità temporale, di avere un’intenzione, etc. L’autoriflessione e il linguaggio operano poi su questi sensi esistenziali preverbali del sé, non solo mettendoli in luce ma anche trasformandoli in esperienze nuove. Secondo Stern, dunque alcuni sensi del Sé iniziano a formarsi già alla nascita, mentre altri per emergere richiedono la maturazione di capacità che si acquisiscono più tardi. Il senso del Sé, nella forma che potrà assumere durante la crescita, influisce sullo sviluppo interpersonale. Il modo in cui un individuo sviluppa il Sé è essenziale per la costruzione delle interazioni sociali. La grave compromissione di quei sensi del Sé che guidano i nostri rapporti col mondo, possono danneggiare il normale funzionamento sociale portando anche alla follia o a gravi deficit sociali. Il sentire corporeo è spesso legato allo sviluppo del nostro senso del Sé in epoche molto precoci della crescita. La consapevolezza e la lettura accurata delle nostre sensazioni interne è importantissimo perché riguarda il nostro rapporto con noi stessi e con il nostro mondo interpersonale. Quando parliamo di sensazioni ci riferiamo a tutto ciò che attiene agli organi di senso: cioè agli effetti che gli stimoli esterni hanno su di noi attraverso le funzioni degli organi percettivi. L’esperienza soggettiva però, pur essendo quasi completamente costruita sulle afferenze degli organi di senso, comprende altre forme e altre fonti di sensazioni: quelle interne o propriocettive. Quest’area dell’esperienza umana è generalmente trascurata per i significati che ha nella vita adulta, fatta eccezione per l’esperienza del dolore nella situazione della malattia. Anche in assenza di malattia è esperienza comune avvertire delle sensazioni. Questa consapevolezza avviene più facilmente quando le sensazioni sono intense, sia che si tratti di sensazioni piacevoli che spiacevoli. A volte lo star bene viene riferito anche ad un’assenza di sensazioni ad uno stato di neutralità. Solo il dolore o il piacere intenso sembrano far presente alla persona l’esistenza di un movimento interno al corpo. Tuttavia, se portiamo l’attenzione volontariamente su questo aspetto dell’esperienza anche in condizioni di tranquillità, potremmo affermare che, al di sotto di questa soglia, siamo in grado di avvertire delle sensazioni e di descriverle. Eventualmente la difficoltà non è tanto nel sentire quanto nel trovare parole per dare un nome a ciò che percepiamo. Ci rendiamo, così, conto che non esiste un codice verbale che renda facilmente esplicabile questa esperienza. Il fatto che questo livello sia così trascurato si mette bene in evidenza dal modo come le persone rispondono alla domanda diretta: cosa senti? Diranno: sto bene, o mi sento a disagio, mi sento allegro o mi sento triste,… Sono risposte che elaborano anche dati propriocettivi, sono sintesi di uno stato psicofisico percepito globalmente ed espresso nelle sue connotazioni emozionali utilizzando un codice corrente di tipo psico-logico. Se però chiedo alla persona di descrivere più precisamente quello che sente nel suo corpo che le fa dire di sentirsi così, scopro ad esempio che ciò che chiama star bene corrisponde a un calore diffuso; l’angoscia ad un senso di stretta alla gola, e così via. L’attenzione portata volontariamente sulle sensazioni fisiche rivela che in ogni momento, ogni stato emotivo, anche non particolarmente intenso, corrisponde ad una costellazione di sensazioni del corpo che possono riguardare luoghi precisi e circoscritti, oppure essere diffuse dappertutto ed essere omogenee o anche differenziate. Se descritte con attenzione queste sensazioni rivelano una forma, un certo grado d’intensità e, secondo una valutazione soggettiva, rivelano la loro qualità psicologica, sono cioè: gradevoli, sgradevoli, dolorose, insopportabili Nel rapporto della persona con l’ambiente, la possibilità di percepire ed avere un buon contatto con le sensazioni interne è vitale in quanto queste rappresentano la forma più primitiva di messaggio che sostiene la percezione di un bisogno emergente. Un bambino piccolo capisce molto prima le comunicazioni verbali e risponde agli stimoli visivi se coglie la sottigliezza delle attenzioni della madre nei suoi gesti di accoglienza e contenimento. Questi primi ricordi sono preverbali dato che il sistema nervoso non è ancora sviluppato per decodificare il linguaggio. Prima di diventare rappresentazione e parola, il bisogno e la mancanza si esprimono sotto forma di sensazione corporea senza nome. La condizione che permette una buona evoluzione del processo verso la realizzazione di mete in rapporto con l’ambiente è che la sensazione venga accolta, riconosciuta e contenuta. Ciò permette la trasformazione del dato corporeo in significato. Agire oppure esprimere o provare sentimenti ed emozioni implicano la fluidità di questo processo. La prima relazione madre bambino è una relazione simbiotica e fa parte dei ricordi preverbali. Attraverso le sensazioni cinestesiche, soprattutto l’essere cullati e manipolati della madre emerge l’immagine del corpo, il senso di sé e la struttura mentale. Durante lo sviluppo normale di un bambino, ci sono specifiche azioni che impara, come afferrare, rotolare, dondolare, strisciare, lanciare, trascinarsi, stare in piedi, cadere, stare in equilibrio, camminare, correre, saltare. Qualsiasi movimento che non sia stato sperimentato correttamente al momento dello sviluppo per restrizioni o altro può comunque essere sperimentato in una fase successiva, anche da adulti. Ad esempio se un bambino viene spinto prematuramente a camminare in posizione eretta prima di aver imparato ad andare carponi vengono sconvolte le sequenze normali dello sviluppo motorio che può essere ripristinato attraverso il lavoro corporeo. Il sentire corporeo è un fatto dinamico poiché le sensazioni interne cambiano continuamente. Questo cambiare continuo è il movimento stesso della vita. Ha a che fare col grande movimento lineare della crescita, della maturità. Dentro questo movimento lineare avvengono tutti i movimenti ciclici ripetitivi e le oscillazioni momentanee legate agli umori: il sonno, la veglia, la stanchezza, l’irritabilità, la fame, la sessualità, ecc. Tutto ciò ha a che fare con il tempo del corpo, e il rifiuto di sentire è legato ad un punto estremo alla negazione del proprio vissuto. Un buon rapporto col proprio corpo, con le sensazioni e i vissuti permettono di percepire un senso di integrità, interezza del proprio corpo, percezione del proprio spazio e del volume, col senso di esistere, permanere e avere una continuità nel cambiamento. Le persone percepiscono la presenza di un nucleo centrale e più stabile di sensazioni fisiche, in cui si riconoscono e a cui sentono di potersi ancorare stabilmente. Intorno a questo centro il movimento interno del corpo, le variazioni legate ai momenti, ai ruoli, ai disagi e alle fatiche e ai piaceri del quotidiano, sembrano potersi compiere, poter fluire senza distruggerlo e senza distruggere la persona Attraverso questo lavoro è possibile: ♦ recuperare una maggiore spontaneità, il che significa ascolto interno, padronanza dei mezzi espressivi, autoaccettazione eliminando la paura di mostrarsi come si è; ♦ confrontarsi costantemente con le proprie capacità; ♦ provare piacere a concedersi del tempo e vivere anche per sé; ♦ grazie alla cornice rassicurante l’espressione corporea permette di progredire, di avviare un processo di cambiamento che può estendersi nella vita quotidiana e avvicinarla ai bisogni più intimi e profondi; ♦ migliora la conoscenza di sé, sollecita la modificazione e l’accrescimento dell’immagine di sé (il movimento infatti libera dall’immagine esteriore del corpo- che raramente soddisfa le persone), tutto questo dà nuove possibilità di entrare in relazione con gli altri e con l’esterno; ♦ il movimento creativo è piacere di scoprire e di scoprirsi, di scoprire il proprio corpo in una dimensione diversa, è gioia del movimento in sé e della relazione con lo spazio, il tempo, l’altro; ♦ Aiuta a sentire un’unità corporea, che costituisce la base di un’espressione libera e che è frutto di un’accettazione vera e profonda del corpo. Attraverso il movimento creativo, l’espressività corporea si ripristina questa capacità di ascoltare il proprio sentire, guardarlo senza combatterlo, avvicinarlo senza contrastarlo, riconoscerlo come proprio. La consapevolezza della rete di sensazioni, contenuta ed accettata dentro i confini del proprio corpo costituisce il nucleo più primitivo della persona ed è alla base del processo di individuazione e di tutte le innumerevoli individuazioni che hanno luogo nel corso della vita. La consapevolezza delle sensazioni interne permette di dire: IO CI SONO e la responsabilità personale definisce di volta in volta CHI SONO attraverso i grandi mutamenti del tempo, della crescita, dell’invecchiamento e attraverso i piccoli e grandi mutamenti del quotidiano.