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Comitato Scientifico AIC
Cibo e identità:
aspetti psicologici
della celiachia
Prevenire i malesseri di natura psicologica.
Il gruppo come luogo di elaborazione
Ivan Formica
Psicologo
Università degli Studi di Messina
Martina Vitale
Dottoressa in Psicologia Clinica
Università degli Studi di Palermo
13656623
Età infantile
In età infantile, la diagnosi non implica
cambiamenti significativi nella vita del
bambino ancora piccolo, la cui alimentazione è controllata e gestita dalla madre.
Sono spesso i genitori a risentire di stati
emotivi più complessi legati alla preoccupazione per la salute del figlio e a nutrire
fantasie di responsabilità nella trasmissione della malattia. Due sono in genere le
preoccupazioni dei genitori: la cronicità
del disturbo che in qualche modo rende il figlio “diverso” (una diversità che si palesa
in condizioni di socialità e convivialità) e la
difficoltà nel dover insegnare al bambino
delle nuove abitudini alimentari discordanti da quelle già apprese e appartenenti alla
cultura collettiva. Già dalle prime esperienze di quotidiana socialità, come la ricreazione scolastica o le feste, il bambino
farà esperienza di diversità, una diversità
che, se non elaborata e affrontata, rischia
di dar vita a una zona grigia, non integrata
al Sé che può interferire con la strutturazione della propria identità.
L’adolescenza
N
egli ultimi anni la celiachia ha catturato l'attenzione di ricercatori interessati ad approfondire gli
aspetti prettamente medici della malattia a
discapito di quelli psicologici che restano,
ad oggi, di scarsa rilevanza sia sul piano
clinico, sia su quello empirico.
La dieta gluten free
cosa succede alla mente?
È ormai noto che dal punto di vista medico, il regime gluten free permette una normalizzazione dei villi intestinali, ma scarse
se non nulle sono le conoscenze circa ciò
che accade dal punto di visto psicologico
in questi pazienti.
Tentando di narrare possibili percorsi
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della mente e della psiche di questi individui, consideriamo per la nostra analisi due
diverse fasi: la prima riguarda l'elaborazione del proprio stato di salute, la seconda la costruzione di una nuova immagine
di Sé, in cui vengano integrati gli aspetti salienti della propria personalità e il nuovo
stato di salute.
Nella fase diagnostica, il soggetto deve
riuscire ad elaborare il passaggio da una
percezione di sé “sano” ad una percezione
di sé come “non sano”. Questo compito,
che possiamo in qualche modo definire
evolutivo, nella misura in cui favorisce
un'evoluzione del soggetto verso la sua nuova condizione medico-clinica, è influenzato dall'età e quindi dalla strutturazione
della personalità del paziente.
CN 2-2013
Più problematica è la diagnosi in età adolescenziale, periodo critico nella costruzione dell’identità: in questa fase sono frequenti le trasgressioni alla dieta come segno di non accettazione della cronicità della malattia e il ritiro sociale, dovuto alla paura di essere diversi.
Compito dell'adolescente sarà quindi
quello di delimitare i contorni tra sé e l'altro, un altro considerato normale e un sé
che potrebbe essere considerato “malato”, sfortunato, diverso. Fondamentale sarà in tal caso, oltre alla famiglia, la rete sociale su cui il giovane può fare affidamento: in questa fase del ciclo di vita, il gruppo
dei pari funge da lente attraverso cui guardarsi, pensarsi, immaginarsi. Un gruppo di
pari che comprende, sostiene e non “stigmatizza” l'adolescente celiaco faciliterà
questo processo.
L’adulto
In età adulta, infine, la reazione psicologica alla celiachia si intreccia con le esperienze di vita e con il grado di integrazione
e stabilità della personalità. In questa fase
iniziale, sono frequenti stati d'animo quali
inadeguatezza, impotenza, atteggiamento psicologico passivo, di rinuncia e di chiusura in se stessi che spingono ad evitare
qualsiasi attività sociale che si svolga intorno alla tavola, o ancora una negazione
della malattia fino ad assumere condotte a
rischio come trasgressioni o ridotta osservanza della dieta.
Costruirsi una
nuova immagine
Un secondo stadio di elaborazione, sicuramente più profondo, è quello successivo, che implica la costruzione di una nuova immagine di sé che integri ai dati precedente la nuova condizione di salute.
Per poter meglio comprendere questo
aspetto, partiamo dall'assunto che la personalità tout court di un individuo si forma
a partire dalle esperienze relazionali che
esso compie sin dai primi giorni di vita. Molte di queste relazioni, basti pensare
all'allattamento, allo svezzamento e alle
pratiche di alimentazione, sono veicolate
dal cibo. Dunque è attraverso l'atto della
nutrizione che vengono ingeriti e assimilati
riti, tradizioni e aspetti culturali che concorrono alla formazione della mente e della
personalità dell'individuo. Semplificando,
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potremmo dire che l'immagine che un individuo ha di sé si forma a partire da queste
relazioni familiari e sociali, dall'appartenenza a un gruppo culturale dal quale si assimilano le credenze, i riti e le tradizioni, veicolate anche dal cibo. Intorno alla tavola
si mettono in scena atti di intensa socialità
e convivialità, avvengono scambi di sé e si
fagocitano parti dell'altro.
Un soggetto celiaco è costretto, in qualche modo, a prendere le distanze dal cibo
condiviso sulla tavola, assumendo il “proprio” cibo: simbolicamente, l'individuo deve garantire un continuità dell'Io prendendo le distanze da quei modelli culturali che
lo hanno determinato, e qualora questo
processo non dovesse andare a buon fine
si correrebbe il rischio di creare un muro
tra sé e l'altro, o tra sé e sé, con l'attivazione di difese che concorrono alla genesi
di disagi psicologici.
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Rischi
psicologici
Partendo da tale assunto, è stata dunque condotta una ricerca al fine di valutare
l'eventualità di un maggiore rischio dei pazienti celiaci di sviluppare sintomi psicologici quali depressione, ansia e fobia sociale. Infatti, come suggerito da ricercatori internazionali, i celiaci sembrerebbero presentare tratti depressivi significativi (Garud et al, 2009; Carta e coll.; Ciacci e Iavarone 1998), stati ansiosi (Hauser et al,
2010) e sintomi di fobia sociale (Addolorato et al, 2008). Scopo della nostra ricerca è
stato dunque quello di verificare la presenza di sintomi psicologici in un gruppo di individui celiaci di età compresa tra i 18 e 55
anni, in regime gluten-free da almeno un
anno. La ricerca ha coinvolto 84 partecipanti residenti in una provincia del Sud Ita-
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lia, con un titolo
di studio pari come minimo al diploma. I partecipanti sono stati assegnati a due condizioni: un gruppo
sperimentale e uno
di controllo ugualmente composti da
42 partecipanti.
Si è scelto di utilizzare due test di facile somministrazione e di appurata validità scientifica: il Profile of Moody State,
test composto da 58 aggettivi che vanno a misurare la presenza si sintomi
ansiosi, depressivi o legati a
disturbi dell'umore in genere; e il
Liebowitz Social Anxiety Scale Test
(LSAS) composto da 24 item per la misurazione della fobia sociale. no c.vo
Dopo un'attenta
analisi statistica di tipo correlazionale, è
stato possibile evincere che in effetti questi pazienti presentano, rispetto a un gruppo di individui non celiaci, disturbi dell'umore e
tratti di fobia sociale marcati e significativi. Questo
dato sembra suggerire che
una diagnosi di celiachia rimanda non solo a una condizione medica, ma a uno stato di
malessere psico-fisico causato
sia dagli aspetti medici sia da quelli
psicologici correlati alla malattia.
Per tale ragione, l'insieme delle emozioni, delle paure e insicurezze legate alla diagnosi e al cambiamento del proprio stato
di salute, che implica poi un cambiamento
delle abitudini alimentari e dunque sociali,
non dovrebbe essere considerato di secondaria importanza, ma si dovrebbe sin
da subito prevenire un qualsivoglia malessere di natura psicologica.
Gruppi di sostegno
Per tali ragioni, a nostro avviso, gruppi di
elaborazione e di sostegno potrebbero favorire una elaborazione e prevenire psicopatologie conclamate in questi pazienti, migliorando così la qualità della vita.
Tali gruppi potrebbero accompagnarequesti pazienti in un percorso di accettazione del proprio - o altrui, nel caso dei genitori - stato di salute, al fine di prevenire
eventuali disagi o psicopatologie conclamate, favorendo tra l'altro un buon grado
di accettazione della dieta gluten free.
Laddove la diagnosi su un minore abbia
effetti negativi sui genitori o sull'intero sistema familiare, la presa in carico potrà e
dovrà riguardare la coppia genitoriale o il
sistema familiare.
Non sarebbero altresì da escludere, data la diffusione su scala mondiale del problema, interventi di sensibilizzazione a partire dalle scuole primarie, volti a promuovere una conoscenza del problema per
prevenire forme di stigmatizzazione.
In tal modo potrebbe, a lungo andare, venir meno quell'ombra di "diversità" che segue tali individui, facilitando dunque le sfide psicologiche successive alla diagnosi
di celiachia e al regime gluten-free.
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