STRUMENTI DI LAVORO
Soluzioni professionali per il consulente del lavoro
unoMENSILE
2016
Da leggere
Gestione operativa delle verifiche
sanitarie per lavoratori con idoneità
parziale alla prestazione
Esonero contributivo 2016: le Faq per
la fruizione del beneficio
Collaborazioni coordinate e
continuative al tempo del Jobs Act
Redazione del contratto di solidarietà
difensivo ed elementi gestionali
La fattispecie dell’affitto d’azienda e il
destino del Tfr
Il ruolo del consulente del lavoro nelle
ispezioni dopo il Jobs Act
INDICE
Editoriale
Strumenti per il consulente del lavoro, strumenti per la resilienza
di Riccardo Girotto
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Approfondimenti del mese
Gestione operativa delle verifiche sanitarie per lavoratori con idoneità parziale
alla prestazione
L’impiego di lavoratori con idoneità parziale o limitata è da sempre una situazione che necessita della
massima attenzione, sia che ciò avvenga in caso di assunzione obbligatoria ex L. n.68/99 che in altre e diverse
ipotesi. Nel presente apporto si cercherà di dare il commento al necessario percorso di tutela della salute che
il datore di lavoro è chiamato a garantire e porre in essere per il rispetto delle previsioni dell’art.2087 cod.civ.,
e successive integrazioni legislative, in concomitanza alle prospettive di proficuo impiego del lavoratore, che
è o può essere portatore di una limitazione di autonomia operativa. Nella ricerca di una condotta che possa
relegare ai minimi termini ogni possibile responsabilità ex post sulle ipotesi di successivo aggravamento delle
condizioni di salute e delle limitazioni conosciute al momento dell’ingresso in azienda.
di Luigi Nerli
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Le Faq del professionista
Esonero contributivo 2016: le Faq per la fruizione del beneficio
La Legge di Stabilità 2016, art.1, co.178, L. n.208/15, ha riproposto, per le assunzioni a tempo indeterminato
effettuate nell’anno corrente, una forma di esonero contributivo molto più contenuta rispetto alle assunzioni
operate nel 2015, per 24 mesi e pari al 40% dei complessivi contributi previdenziali a carico del datore di
lavoro, nel limite massimo annuo di € 3.250,00. Per poter beneficiare dell’agevolazione, devono essere
rispettate le seguenti condizioni: il lavoratore non deve essere stato in forza nei 6 mesi precedenti con
contratto a tempo indeterminato presso qualsiasi datore di lavoro; il lavoratore non deve aver già conseguito
con precedenti assunzioni con il medesimo datore di lavoro lo stesso beneficio o il beneficio ex L. n.190/14;
il lavoratore non deve essere stato in forza presso lo stesso datore di lavoro (o gruppo d’impresa) nei 3 mesi
precedenti (1° ottobre 2015) l’entrata in vigore della L. n.208/15 (1° gennaio 2016). Di seguito si analizzano le
soluzioni alle principali fattispecie complesse che si trova a dover affrontare il datore di lavoro nella gestione
dell’agevolazione, evidenziandone i supporti di prassi.
di Luca Vannoni
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Contrattualistica del lavoro
Collaborazioni coordinate e continuative al tempo del Jobs Act
Il recente intervento in materia di collaborazioni coordinate e continuative, finalizzato anche al graduale
superamento del contratto a progetto, nonostante le finalità di semplificazione e certezza delle regole
manifestate dall’attuale Esecutivo, sembra, al contrario, aprire scenari tutt’altro che stabili, profilandosi
dunque, per il futuro, un alto grado di rischio in chiave vertenziale sia in sede ispettiva che in ambito
giudiziale. Di conseguenza, appare fondamentale un approccio estremamente cauto all’impiego di forme di
lavoro parasubordinato, che debbono essere necessariamente precedute da attente e puntuali valutazioni
poste a monte della questione e, qualora superato tale sbarramento iniziale, accompagnate da una certosina
puntualità nelle fasi di redazione del contratto fra le parti.
di Marco Frisoni e Silvia Frisoni
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Strumenti di lavoro n.1/2016
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INDICE
Redazione del contratto di solidarietà difensivo ed elementi gestionali
In caso di crisi d’impresa, la selezione dell’ammortizzatore sociale utile a dare il massimo sostegno alle aziende
e ai lavoratori è sempre stata una questione quantomeno delicata. La soluzione, con le novità introdotte dal
D.Lgs. n.148/15, recante disposizioni per il riordino della normativa in materia di ammortizzatori sociali in
costanza di rapporto di lavoro, in attuazione della L. n.183/14, si presenta ancora più difficile in relazione alle
numerose novità introdotte nell’ordinamento, in guisa tale da impegnare gli operatori in un’indagine ancora
più approfondita rispetto al passato, sia sotto il profilo tecnico e giuridico che sugli aspetti gestionali.
di Mauro Marrucci
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Gestione del rapporto
La fattispecie dell’affitto d’azienda e il destino del Tfr
L’affitto determina il passaggio dell’azienda da una gestione a un’altra, con la prima che detiene comunque
la proprietà del complesso ceduto: rispetto alle altre operazioni straordinarie, dove varia la titolarità ma
permane il complesso dei beni, l’affitto si differenzia in quanto, per sua definizione, temporaneo. Ciò rileva
soprattutto in quanto l’interesse delle parti coinvolte si concentra tanto sulla fase iniziale dell’affitto quanto
su quella finale: per la sua stessa impostazione l’affitto non rappresenta quindi un’unica azione circolatoria, in
avvio, bensì incorpora anche un’azione conclusiva con pieni effetti altrettanto circolatori.
Proprio in relazione al Tfr, infatti, la variazione della titolarità, unitamente al rischio retrocessione, genera
precise conseguenze, che vanno considerate anche per valutare il costo dei canoni di affitto nonché il prezzo
dell’eventuale definitiva cessione dell’azienda.
di Riccardo Girotto
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Contenzioso del lavoro
Il ruolo del consulente del lavoro nelle ispezioni dopo il Jobs Act
Il mutato quadro normativo dei rapporti di lavoro delinea nuovi approcci nella gestione delle ispezioni sul
lavoro: nell’articolo che segue l’autore ne evidenzia i principali elementi di criticità, fornendo contestualmente
spunti e soluzioni per l’assistenza del professionista alle aziende.
di Francesco Natalini
Cliccando sulla freccia è possibile prelevare il singolo articolo in pdf
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Strumenti di lavoro n.1/2016
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EDITORIALE
Strumenti per il consulente del lavoro, strumenti
per la resilienza
Voglio dedicare questo primo editoriale alla figura del consulente del lavoro: professionista coraggioso che affronta a viso aperto ogni operazione di imbarbarimento amministrativo perpetrata da un Legislatore talvolta
disattento, talvolta sordo di fronte alle rimostranze che gli operatori del settore muovono tempestivamente.
La materia del lavoro è complessa. Lo capisce bene il Legislatore, che nomina “semplificazioni” un insieme di
nuove complicazioni, sperando che il titolo di un decreto ne agevoli la digestione del contenuto. Sarebbe come se
chiamare “rucola” un cesto pieno di “onion rings” ne annullasse l’effetto sul nostro stomaco.
Lo stomaco del consulente è sempre allenato. Per favorire la digestione questa rivista proporrà con cadenza
mensile una tempesta di: mappe, fac-simile, clausole, Faq; strumenti di lavoro appunto utilizzati come condimento all’analisi pratica dei temi più critici da affrontare nel quotidiano.
La resilienza del consulente del lavoro, si sa, stimola l’arte persecutoria del Legislatore, testardo al punto da
forzare, ad esempio, l’entrata in vigore di un sistema di dimissioni totalmente privo di gestione delle patologie
generate dalla lacunosissima procedura.
Non consola nemmeno il sorriso provocato dalla leggerezza con cui il tema viene presentato dai media, dalla
possibilità di completare le dimissioni da parte dell’ente competente senza nemmeno la presenza del lavoratore
interessato, dalla possibile limitazione all’accesso agli ammortizzatori per impossibilità di dichiarare la giusta
causa.
Poi arriva la detassazione. La Legge di Stabilità propone un intervento strutturale fruibile a partire dall’anno in
corso … previo decreto attuativo … previo accordo di secondo livello … previo deposito tramite ignote modalità
telematiche.
Risultato?
A fine marzo 2016 il decreto non ha rispettato la precisa tempistica dei 60 giorni, rendendo di fatto incompleta
una misura che doveva invece esprimere efficacia a partire dal mese di gennaio 2016. Tale assenza non pare
nemmeno colmabile a breve, stante la mancata pubblicazione di un decreto oramai già scritto.
“Strumenti di lavoro” è una scommessa. Tenteremo infatti di fornire soluzioni operative ai temi che più ostacolano il lineare esercizio della professione, stando attenti agli adattamenti necessari alla corretta applicazione delle
fonti che, di volta in volta, andremo ad interpretare.
Non vogliamo piegarci di fronte alla sfrontata imposizione di procedure distorte, di prassi articolate, di sentenze
ondivaghe. Vogliamo fornire risposte. Semplificare le semplificazioni.
Con questa mission ambiziosa non mi resta che augurarvi buona lettura e buon appetito, seduti al ricco banchetto apparecchiato dal Jobs Act.
Ah, e ricordate, cari colleghi, che anche se non siete stati invitati parteciperete lo stesso, tanto per svolgere la
professione non dovrete curarvi della linea, piuttosto pensate alla resilienza.
Riccardo Girotto
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Strumenti di lavoro n.1/2016
APPROFONDIMENTI DEL MESE
Gestione operativa delle verifiche sanitarie per
lavoratori con idoneità parziale alla prestazione
di Luigi Nerli - consulente del lavoro
L’impiego di lavoratori con idoneità parziale o limitata è da sempre una situazione che necessita della
massima attenzione, sia che ciò avvenga in caso di assunzione obbligatoria ex L. n.68/99 che in altre
e diverse ipotesi. Nel presente apporto si cercherà di dare il commento al necessario percorso di tutela
della salute che il datore di lavoro è chiamato a garantire e porre in essere per il rispetto delle previsioni
dell’art.2087 cod.civ., e successive integrazioni legislative, in concomitanza alle prospettive di proficuo
impiego del lavoratore, che è o può essere portatore di una limitazione di autonomia operativa. Nella
ricerca di una condotta che possa relegare ai minimi termini ogni possibile responsabilità ex post sulle
ipotesi di successivo aggravamento delle condizioni di salute e delle limitazioni conosciute al momento
dell’ingresso in azienda.
Le preliminari responsabilità di chi è qualificato come datore di lavoro
La salute è uno dei diritti umani dell’uomo1. Nell’ambito del rapporto di lavoro, quando si introduce in commento il tema della salute della persona, dobbiamo prevedere, oltre alla condizione soggettiva di cui è detentore il
lavoratore, che siano dovutamente considerati i luoghi e le attrezzature o impianti con cui quella persona va ad
integrarsi. Il costituzionale diritto alla salute e, dunque, la prioritaria e generalizzata tutela della salute, diventa
ancor più specifica al luogo in cui quella tutela si deve concretizzare e nei confronti di chi la deve applicare,
garantire e sorvegliare. I normali presidi per mantenere e garantire la “generale” tutela vengono irrobustiti
da indicazioni normative specialistiche, sostanzialmente volte a far sì che gli stessi presidi siano modulati, ad
onere e responsabilità di chi “gode” dei benefici economici dell’attività d’impresa, affinché la stessa attività
lavorativa non sia di pregiudizio, o di aggravamento, alla salute della persona. È la persona che, prima di ogni
logica connessa alla libertà d’impresa, è detentrice di un invalicabile, primordiale e individuale riconoscimento
costituzionale di tutela della propria integrità fisica e morale. Questo è per lo meno ciò che ci è lasciato a monito dall’art.32 della Costituzione, che ci ricorda che “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto
dell’individuo e interesse della collettività” e, all’art.35, “La repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed
applicazioni” e, non ultimo, dall’art.41: “L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto
con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, libertà, alla dignità umana”.
In buona sostanza non dovrebbe mai essere valutata l’ipotesi di un possibile interesse collettivo al progresso
economico delle persone e delle imprese, che sono la rappresentazione efficace di un’organizzazione di scopo
di una o più persone, quando ciò possa suggerire o imporre dei compromessi alla tutela e alla salute anche del
singolo individuo. Non è concesso, o meglio, non è stato posto in essere alcuno strumento normativo che possa
dare al datore di lavoro anche la sola “licenza” di provare delle soluzioni che siano di compromesso agli standard
minimi per la garanzia della salute della persona che sia introdotta in un rapporto di lavoro o di collaborazione
per gli interessi dell’impresa e il raggiungimento degli obiettivi di quest’ultima. Obiettivi che, in quanto leciti,
debbono poggiare sul “primitivo” e sacrale rispetto di chi la costituisce con il proprio apporto di patrimonio
umano, per natura soggetto al rispetto di canoni di preservazione per la sua ordinaria funzionalità.
L’art.2087 cod.civ. sancisce questi principi, che il sottoscritto ha cercato di anticipare, traducendoli in specifico
obbligo di chi si qualifichi come imprenditore:
“L’imprenditore è tenuto ad adottare, nell’esercizio dell’impresa, le misure che, secondo la particolarità del
lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”.
Questi obblighi, pur sempre individuabili e riconoscibili, acquisiscono ancor più pregnanza quando l’integrità
1
Questo ci ricorda anche l’art.2 Cost..
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Strumenti di lavoro n.1/2016
APPROFONDIMENTI DEL MESE
della persona deve considerare uno status di particolare vulnerabilità, che ha limitato in parte le complete attribuzioni dell’individuo, deponendo per una proporzionale impossibilità a corrispondere al pieno il concetto di
disponibilità lavorativa della prestazione richiesta.
Le disposizioni a cui riferirsi per l’adozione dei presidi richiesti
Nel nostro sistema normativo il datore di lavoro deve (o per lo meno dovrebbe) adottare tutte le misure necessarie nel rispetto di quel “principio di sussidiarietà” che impone un sistema di responsabilità attraverso l’esercizio di “attenzioni” preventive, consequenziali e discendenti, che possono essere sintetizzate nell’adozione di:
a) misure alla fonte e di tutela collettiva;
b) dispositivi di protezione individuale;
c) sorveglianza sanitaria.
È quasi pleonastico ricordare che, già prima di poter valutare ciò che in specifico deve essere posto in essere per
la salvaguardia della salute del singolo lavoratore in ragione delle peculiari e personali “condizioni” della persona, in primis vanno adeguatamente tradotte in prassi le indicazioni normative che esprimono genericamente
l’obbligo di porre in salute e in sicurezza l’ambiente di lavoro in ragione dell’attività esercitata. Così da conformare l’azione deputata per il raggiungimento di tal fine, nel gioco di “squadra” di una seppur minima organizzazione
tra datore di lavoro, dirigenti, preposti, lavoratori, rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza (Rls), responsabile del servizio di prevenzione e protezione (Rspp), medico competente e addetti alle emergenze, che permetta
di preservare la salubrità, la correttezza e la sicurezza delle lavorazioni svolte.
Su di un argomento di tale importanza e delicatezza si richiamano le disposizioni del T.U. salute e sicurezza sul
lavoro2, come poi risultante dagli apporti derivati dall’approvazione della L. n.98/13, che in sede di conversione
del D.L. n.69/13, il c.d. decreto del Fare, con gli artt.32 e 35, ha apportato modifiche a diversi articoli dell’originario D.Lgs. n.81/08. Mi preme altresì richiamare, come ulteriori validi elementi “applicativi” di riferimento, la
Guida operativa “Valutazione e gestione del rischio da stress lavoro-correlato” del coordinamento tecnico interregionale della prevenzione nei luoghi di lavoro del marzo 2010 e le ultime e più recenti dissertazioni espresse
sulla circolare n.19/15 della Fondazione Studi dei Consulenti del Lavoro, ove vengono analizzate, tra le altre, le
modifiche apportate dal D.Lgs. n.151/15 alla L. n.68/99 e al D.Lgs. n.81/08.
Risulta in ogni caso di assoluta centralità richiamare ciò che la normativa appena richiamata, e in specie l’art.2,
D.Lgs. n.81/08, ha individuato quando ha definito il concetto di:
• “salute”, come uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, non consistente solamente in
un’assenza di malattia o infermità;
• “prevenzione”, come il complesso delle disposizioni o misure necessarie anche secondo la particolarità del
lavoro, l’esperienza e la tecnica, per evitare o diminuire i rischi professionali nel rispetto della salute della
popolazione e dell’integrità dell’ambiente esterno.
Il tema della sorveglianza sanitaria
Il livello più particolareggiato di attuazione dei presidi sanitari previsti per la difesa della salute sui luoghi di lavoro non può che essere quello in cui si riconosce il coinvolgimento del medico competente per la valutazione
delle condizioni del lavoratore, e quanto le stesse siano confacenti alla richiesta di prestazione connaturata al
rapporto di lavoro costituito o che si va a costituire.
Dovendo immaginare di costituire un nuovo rapporto di lavoro, il medico competente è la figura attraverso la
quale il datore di lavoro, assicurando l’autonomia professionale con cui lo stesso medico svolgerà il suo compito3, potrà verificare l’idoneità alla mansione specifica.
Legittima la visita di idoneità preventiva
La visita medica preventiva destinata all’accertamento dell’idoneità alla mansione non rientra nei canoni di
divieto espressi dall’art.5, L. n.300/70, e non può essere considerata come una visita di “mera” sorveglianza sanitaria di routine. Piuttosto deve essere letta come l’atto con il quale il datore di lavoro “fotografa”, attraverso il
giudizio del medico competente, l’accertata idoneità al percorso d’inserimento lavorativo immaginato, traendo
2
3
D.Lgs. n.81/08, così come modificato e integrato dal D.Lgs. n.106/09.
Richiamo in merito la sentenza della Suprema Corte di Cassazione n.1728/05.
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Strumenti di lavoro n.1/2016
APPROFONDIMENTI DEL MESE
solo a quel momento la sicurezza che la prestazione formalmente attribuita alle capacità tecniche e professionali del lavoratore sia concretamente e giuridicamente attuabile senza “patemi”. Ogni diversa lettura di ciò che
sto scrivendo va considerata con le ormai innumerevoli espressioni di dottrine e sentenze giurisprudenziali, che
hanno sempre ritenuto responsabile delle eventuali conseguenze dannose derivate al dipendente il datore di
lavoro che abbia omesso di sottoporre il lavoratore ad adeguato controllo sanitario, proprio in ragione del fatto
che su quest’ultimo grava l’obbligo specifico di provvedere al riguardo.
Se provo a definire dei “confini” tra le normative che sono state poste a tutela della privacy (e necessariamente
dei dati personali con cui il medico competente viene a contatto) e le disposizioni che tendono a preservare il
benessere della persona che è inserita in ambiente lavorativo, ritengo che il ruolo del medico competente rappresenti una specifica e limitata deroga allo Statuto dei Lavoratori. Mentre, infatti, con l’art.5 St.Lav. si impediscono agli imprenditori accertamenti sanitari “diretti”, per soddisfare interessi estranei alla verifica dell’idoneità
fisica dei lavoratori, l’art.41, D.Lgs. n.81/08, obbliga il datore di lavoro ad accertare l’idoneità al lavoro a mezzo
di un medico privato di propria insindacabile scelta in conformità all’art.2087 cod.civ., medico che deve risultare
iscritto nell’elenco dei medici competenti istituito presso il Ministero della Salute.
È unicamente il medico competente che, avuto riguardo alla piena conoscenza delle attività esercitate e degli
eventuali rischi connessi alla tipologia di prestazione richiesta all’assumendo, tra il novero delle mansioni che
vengono espletate in azienda potrà decidere se tali rischi sono “sopportabili” e compatibili con il risultato dello
screening della persona sottoposta a “giudizio”. L’atto del medico competente in quella sede è legittimo nella
misura in cui finalizzi l’accertamento medico all’idoneità e alla sicurezza del lavoratore, attraverso l’emissione di
un giudizio che potrà essere di:
• idoneità alla mansione;
• idoneità alla mansione con prescrizioni;
• inidoneità temporanea;
• inidoneità alla mansione.
Ruolo del medico competente
Nel caso d’idoneità va implicitamente inteso che il medico competente, quale figura istituzionalmente posta a
presidio della salute della persona che viene impiegata sul luogo di lavoro, dichiara che la stessa possa essere
adibita alla mansione specifica, senza prevedibile pericolo per la sua salute e sicurezza.
Quando l’idoneità è con prescrizioni, è sottinteso che il mancato rispetto di quanto indicato provochi un diretto
e “prevedibile” pericolo per la salute del lavoratore, quando invece sono necessari accorgimenti o precauzioni
particolari.
Seppur ormai piuttosto “datata”, mi pare opportuno richiamare una sentenza della Suprema Corte di Cassazione4, che evidenzia l’importanza del giudizio espresso dal medico competente, in quanto segnalazione di una
“prescrizione di pericolo”, che diceva:
“è soggetto a responsabilità risarcitoria per violazione dell’art. 2087 c.c. il datore di lavoro che, consapevole
dello stato d’infermità del lavoratore, continui ad adibirlo a mansioni suscettibili di metterne in serio pericolo la salute. In tale ipotesi deve ritenersi che, in ossequio al principio di buona fede di cui all’art. 1375 c.c. il
datore di lavoro - sempre che gli sia reso possibile dall’assetto organizzativo dell’impresa - debba adibire il
lavoratore ad altre diverse mansioni compatibili con la sua residua capacità lavorativa [...] restando in ogni
caso vietata la permanenza del lavoratore in mansioni pregiudizievoli al suo stato di salute”.
È innegabile che quest’ultimo passaggio degli Ermellini era mirato a una situazione di un lavoratore che, già occupato in azienda, non poteva continuare ad essere impiegato nelle mansioni fino ad allora svolte, così come è
oggi riscontrabile, dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. n.81/15, con l’avvento delle modifiche all’art.2103 cod.civ.,
previste dall’art.3, che il datore di lavoro ha un ventaglio di strumenti prima non ipotizzabile per assecondare
l’adibizione a “diverse” mansioni a quelle ordinariamente svolte.
Ciò non di meno, nel presente apporto mi preme sottolineare gli aspetti impositivi che in materia ha disposto
l’art.41, D.Lgs. n.81/08, laddove, sotto la declamazione di sorveglianza sanitaria, ha perentoriamente disposto,
4
Cass. n.5961/97.
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Strumenti di lavoro n.1/2016
APPROFONDIMENTI DEL MESE
alla lett.a), co.2, che tale sorveglianza comprende la “visita medica preventiva intesa a constatare l’assenza di
controindicazioni al lavoro cui il lavoratore è destinato al fine di valutare la sua idoneità alla mansione specifica”.
Medicocompetente
Visitamedicapreven1vadi
idoneitànonrientraneidivie1
art.5L.300/70
lasorveglianzacomprendelavisitamedicapreven2va
nelcasod'idoneitàilMedicoCompetentedichiaracheillavoratorepuòessereadibitoalla
mansionespecificasenzaprevedibilepericoloperlasuasaluteesicurezza.
L’obbligatorietà della visita medica preventiva
Nell’ordinario quotidiano non sono poche le volte che il rapporto va a costituirsi con il lavoratore dipendente
senza che, preventivamente, il datore di lavoro abbia coinvolto il medico competente per l’accertamento dell’idoneità alla mansione. E questo, quando avviene, oltre che essere una prassi che non rispetta le indicazioni
normative già richiamate, posiziona in responsabilità assoluta la condotta del datore di lavoro che ha omesso
di attivarsi in tal senso, oltremodo non comunicando la necessità dell’accertamento alla figura istituzionalmente deposta dalla norma per tale adempimento, che la norma evidenzia come definita “su scelta del datore di
lavoro”5.
Accertamenti Asl
È infatti rilevabile che, potenzialmente, l’accertamento può essere disposto anche presso i dipartimenti di prevenzione delle Asl. Ma nel commento più vicino agli obiettivi per i quali la norma è stata recepita, è di tutta
evidenza che il medico competente è senz’altro la figura che, per conoscenza diretta e continuativa dell’azienda
e delle lavorazioni effettuate all’interno della stessa, possa valutare al meglio se le mansioni richieste, e magari
già obiettivamente valutate nei contenuti per altri soggetti, si calino senza problematiche nelle capacità dell’individuo posto a giudizio d’idoneità. Una struttura esterna, professionalmente e pienamente rispondente ai requisiti di legge, che però rimane “neutra” rispetto all’attività esercitata in quell’azienda e alle lavorazioni che vi
si svolgono e vengono previste per l’assumendo, mi pare doverosamente meno suggeribile nella scelta al datore
di lavoro, proprio perché meno vicina e “appropriata” alla conoscenza dell’effettiva attività aziendale e dei dati
“storici” derivanti dalla tenuta della sorveglianza sanitaria per il personale occupato, che possono lasciare indicazioni quanto mai precipue al giudizio d’idoneità con eventuali indicazioni.
Quando il lavoratore è portatore di un quadro sanitario soggettivo, che è parzialmente limitativo delle possibilità di attuazione in maniera piena delle mansioni specifiche che gli sono state affidate, e che sono in
aspettativa sinallagmatica del datore di lavoro, altra parte contrattuale in causa, diventa focalizzante capire
quali siano le azioni appropriate per la salvaguardia degli interessi alla prestazione lavorativa e, altresì, per
non rendere operante una responsabilità del datore di lavoro.
In realtà, la limitazione della prestazione lavorativa all’atto dell’assunzione si riconosce il più delle volte nelle
previsioni di un collocamento obbligatorio attuato in ottemperanza alle previsioni disposte dalla L. n.68/99. Non
sempre però è così, e non è raro che il quadro sanitario soggettivo che emerge dall’accertamento a visita preventiva possa porre in assoluta rilevanza la responsabilità datoriale per l’impiego alla specifica mansione, anche
nelle assunzioni non previste dalla legge sulla tutela dei disabili e il loro inserimento lavorativo.
Va sottolineato che, per l’inidoneità alla mansione specifica, l’art.42, D.Lgs. n.81/08, richiamando le norme sul
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Lett.e) 2-bis, co.2, art.41, D.Lgs. n.81/08.
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Strumenti di lavoro n.1/2016
APPROFONDIMENTI DEL MESE
collocamento mirato, dispone la possibilità di impiego del lavoratore a mansioni equivalenti o, in difetto, a mansioni inferiori, garantendo il trattamento corrispondente alle mansioni di provenienza.
Nella pratica, però, quest’ultima ipotesi si attaglia alla sopravvenuta inidoneità, perché è ben noto che, in sede
di avviamento al lavoro, ai sensi dell’art.10, L. n.68/99, per il lavoratore disabile per il quale si è richiesto il nulla
osta d’assunzione, l’Amministrazione provinciale territorialmente competente rilascia un apposito nulla osta
d’assunzione, in base al quale si evidenzia quali sono, in rapporto alla mansione descritta in sede di richiesta di
nulla osta, le lavorazioni che non possono essere svolte o svolte con particolari limitazioni.
Valutazione dell’idoneità
Quest’ultima norma, pur trattando in maniera specialistica il rapporto di lavoro del lavoratore avviato al lavoro
per la tutela della sua condizione di persona diversamente abile, si integra con quelle di natura generalista applicabili a tutti i lavoratori subordinati, e presuppone l’applicazione di quelle norme che sono tese alla tutela del
lavoratore in tutte le sue forme, sia quelle che impongono la tutela della salute e dell’igiene dei luoghi di lavoro
che quelle che prevedono un’adeguata e specifica formazione e informazione dei rischi connessi alla mansione
esercitata. Quest’ultima tutela è specificatamente trattata e rafforzata dall’art.10, al co.2, considerato che individua come espletabile la prestazione che sia considerevole del grado di minorazione del lavoratore stesso e
delle sue capacità lavorative.
Dunque, la prestazione lavorativa del lavoratore disabile deve essere ricompresa in quelle mansioni che, al momento della costituzione del rapporto, risultino tra quelle che effettivamente sono a disposizione nell’organizzazione aziendale e sono concretamente esercitabili in virtù delle condizioni psico-fisiche del lavoratore e delle
sue capacità di prestazione. Non deve essere “inventata” una nuova prestazione estranea all’attività esercitata
e all’organizzazione del lavoro adottata dal datore di lavoro, ma nella realtà esistente il lavoratore disabile deve
essere immesso e messo in condizione di poter dare un concreto apporto in funzione delle sue accertate peculiarità.
Ilmedicocompetenteverifica
l’idoneitàallamansione
Lavoratoredisabile
visitamedicapreven.vanonrientraneidivie.art.5,L.
300/70
laprestazionelavora.vadellavoratoredisabiledeveessere
ricompresanellemansionieffe<vamenteadisposizione
nell'organizzazioneaziendaleeesercitabiliinvirtùdelle
condizionipsico-fisichedellavoratoreedellesuecapacità
nondeveessereinventataunanuova
prestazioneestraneaall'a<vitàesercitataed
all'organizzazionedellavoroadoEatadal
datoredilavoro
La differenza tra capacità e idoneità alla mansione
Il datore di lavoro e imprenditore ha l’obbligo di salvaguardia e responsabilità della salute del lavoratore che
scaturisce dal suo stesso status, richiamato dall’art.2087 cod.civ.. È così imposto allo stesso imprenditore di tenere costantemente aggiornati gli standard minimi di sicurezza per il personale subordinato6 impiegato, tanto da
elevarne la loro ottimizzazione ai miglioramenti del processo tecnologico, tenuto conto del processo produttivo
effettivamente svolto, di modo che sia costantemente rivalutata l’azione di protezione dell’integrità psicofisica
del lavoratore. Questa responsabilità è di natura contrattuale, ma non è escluso un concorso anche di responsabilità extracontrattuale, in quanto il diritto alla salute è un diritto soggettivo assoluto.
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E oggi anche di quello autonomo che è inserito nell’organizzazione aziendale come il “parasubordinato”.
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Strumenti di lavoro n.1/2016
APPROFONDIMENTI DEL MESE
Il D.Lgs. n.81/08, così integrato e modificato dal D.Lgs. n.106/09, impone al datore di lavoro all’art.18, co.1, lett.
bb), di “vigilare che i lavoratori soggetti alla sorveglianza sanitaria non vengano adibiti alla mansione senza il
giudizio di idoneità”, che deve essere steso dal medico competente. Lo stesso medico competente, come indicato all’art.25, co.1, lett.b), della stessa norma7, “programma ed effettua la sorveglianza sanitaria di cui all’art.
41 attraverso protocolli sanitari definiti in funzione dei rischi specifici e tenendo in considerazione gli indirizzi
scientifici più avanzati” e “istituisce, aggiorna e custodisce, sotto la propria responsabilità, una cartella sanitaria
e di rischio per ogni lavoratore su formato cartaceo o informatizzato” come indicato alla successiva lett.c). L’informazione che deve essere resa dal medico competente a tutela della salvaguardia della salute non è solo di
natura individuale, perché alla lett.g) dello stesso comma e dello stesso articolo di legge è previsto che “fornisce
informazioni ai lavoratori e al RLS sul significato della sorveglianza sanitaria e sulla necessità di sottoporsi ad
accertamenti anche dopo la cessazione dell’attività in caso di esposizione ad agenti con effetti a lungo termine”
e “informa ogni lavoratore dei risultati della sorveglianza sanitaria, e a richiesta dello stesso gli rilascia copia
della documentazione” (lett.h).
In ordine a quanto espresso emerge ancora una volta l’estrema e centrale rilevanza della sorveglianza sanitaria,
in questo commento più volte rimarcata, e che s’impernia sulle previsioni dell’art.41, D.Lgs. n.81/08. Un protocollo di sorveglianza sanitaria rispettoso delle previsioni normative in sede di visita preventiva assurge a primo
passo di seria valutazione su di un’ipotizzabile o eventuale sopraggiunta inidoneità del lavoratore, la cui successiva analisi non potrà che passare dal vaglio del medico competente.
Fatte queste debite anticipazioni, non rimane che evidenziare che, nel caso di un lavoratore di cui si prevede
il prossimo impiego, e che non rientra nell’ipotesi di un collocamento obbligatorio, la verifica per l’idoneità
deve essere tesa ad escludere la sussistenza di vulnerabilità soggettive del lavoratore verso i rischi specifici
della mansione. E deve essere intesa come primo presidio non solo per la salute e sicurezza individuale del
soggetto ma anche per la sicurezza dei terzi.
Capacità lavorativa
Quando, invece, si riscontri il caso di un avviamento al lavoro “mirato” e, dunque, discendente dagli obblighi
normativi della L. n.68/99, il lavoratore interessato deve essere valutato nella capacità di svolgere un certo compito, capacità intesa come l’attitudine e l’abilità fisica per riuscire ad essere operativo in funzione delle limitazioni espresse. Quel rapporto viene costituito nel rispetto della “copertura legale” e l’accertamento preventivo, per
quanto dovuto, trova una specifica copertura legislativa in forza di una legge speciale piuttosto che dalle previsioni del codice civile e delle normative generalistiche in tema si sicurezza e prevenzione sui luoghi di lavoro.
Nel primo caso, il lavoratore avviato in via ordinaria dovrà avere un giudizio che evidenzi la compatibilità del
suo stato di salute con lo svolgimento delle mansioni previste in sede d’assunzione, nel qual caso possa essere
“idoneo” alla prestazione prevista per la mansione affidata.
Nel secondo caso, il datore di lavoro dovrà assicurare che il quadro sanitario soggettivo del lavoratore avviato
per collocamento mirato determini una sufficiente capacità di poter svolgere la mansione prevista, in ragione
delle eventuali limitazioni che sono espresse in sede d’avviamento con la produzione del nulla osta.
Mi sono espresso per le eventuali limitazioni, perché deve essere anche tenuta come teoricamente prevedibile
l’ipotesi che, in ragione delle mansioni previste per il lavoratore, la disabilità di cui è portatore il lavoratore non
risulti producente di alcuna limitazione, pur nella consapevolezza che il quadro soggettivo generale dell’individuo sia meritevole delle tutele previste dalla L. n.68/99.
In estrema sintesi, deve essere aggiunto che, nell’ipotesi di un’inidoneità alla mansione espressa in sede di visita
medica preventiva da parte del medico competente, il datore di lavoro non ha un immediato obbligo di costituzione del rapporto previsto, in ragione del fatto che la costituzione del rapporto era debitamente anticipata dalla
preordinata visita che avrebbe dovuto accertare la “disponibilità” del soggetto, che invece non si è confermata.
La mansione richiesta e le prestazioni connesse non possono essere svolte proprio perché, se venissero svolte,
sarebbero di pregiudizio alla salute della persona. Quando, invece, la questione è “centrata” su di un collocamento “mirato”, ben sappiamo che a quel lavoratore, nel novero delle mansioni che sono disponibili in azienda,
7
D.Lgs. n.106/09.
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Strumenti di lavoro n.1/2016
APPROFONDIMENTI DEL MESE
in pratica “deve” essere dimensionato il lavoro, nel rispetto del concetto di capacità lavorativa che è spendibile
da quel soggetto per la sua peculiare situazione.
In conclusione
Poco deve essere aggiunto per ciò che riguarda i rapporti di lavoro costituiti in forza di un obbligo di collocamento, che è proporzionato alle risultanze dell’invio telematico dei prospetti informativi relativi alla gestione dei
lavoratoti disabili di cui alla L. n.68/998. In questo caso ci troviamo di fronte a una copertura legale che trova una
sua identificabile normativa di specialità rispetto all’ordinamento generale che determina effetti già preordinati.
In sede di costituzione del rapporto, la visita a cui viene sottoposto il collocato obbligatorio ha una funzione di
statuizione della capacità lavorativa, in funzione soprattutto della sua preservazione, senza poter avere, come
d’altronde ben previsto dalla normativa, alcun fine diverso, e senza l’irreale pretesa di ottenere la certezza di
un’idoneità alla mansione. È la mansione che deve essere idonea alle capacità del disabile.
Al di fuori di tale regime di specialità previsto per il collocamento obbligatorio, al lavoratore al quale viene proposta la costituzione di un rapporto di lavoro subordinato sarà invece buona regola che la proposta d’impegno
alla costituzione dello stesso rapporto sia subordinata a un giudizio d’idoneità alla mansione, che il lavoratore
dovrà accettare di “superare” con la visita preventiva del medico competente. Quando la stessa visita fosse
disposta in epoca successiva all’effettiva assunzione, i “rimedi” per porre fine a un danno che può diventare
pregiudizio alla salute del lavoratore, con fonte di responsabilità in capo al datore di lavoro, saranno altri.
E siccome gli addetti ai lavori ben conoscono che, una volta che si è dato corso al rapporto di lavoro, il giudizio d’inidoneità alla mansione può leggersi come una sopraggiunta inidoneità, non avendo avuto il datore di
lavoro l’accortezza di accertarla (l’idoneità specifica) in fase preassuntiva, la controparte, in mancanza di un
qualsiasi giudizio della figura preposta del medico competente, avrà tutto l’interesse a corroborare l’ipotesi
della sopraggiunta inidoneità. Mentre il rapporto di lavoro continuerà a svolgere la sua operatività, determinando, se del caso, sospensioni per eventi di malattia o malattia professionale, non immaginando in tali
specifiche situazioni soluzioni che si prestino a facile determinazione.
L’assunto che è meglio prevenire i danni piuttosto che curarli è quanto mai valido. E, a volte, non è neppure
sufficiente, posto che molte volte l’aggravamento dello stato di salute e, dunque dell’idoneità del lavoratore, è
un fatto che sfugge a ogni matematica previsione e che può risultare difficile stabilire se porre in relazione alle
predisposizioni personali del lavoratore o all’eccessive incidenze dell’attività sulla persona.
Rimane che la salute è l’unica delle concezioni anticipate per la cui difesa non ha posto limiti. In ragione di ciò,
posso solo concludere che il lavoratore, proprio per il fatto di svolgere un’attività lavorativa, anche se “nobilitato” in tale occupazione, ne esce irrimediabilmente provato in ragione proporzionale del tempo e delle condizioni nelle quali si è riconosciuta la prestazione.
Quando c’è la possibilità di scegliere con chi costituire il rapporto, l’avvedutezza e accortezza dell’imprenditore
sta nel fatto di verificare che il lavoratore non entri già con un grado di “consunzione”, il cui impiego potrebbe
peggiorare il suo stato o, peggio ancora, essere di rischio alla sua stessa incolumità, oltre che far scontare, in
mancanza di tale verifica, un’immaginabile minor produttività per lo stesso imprenditore.
E, allora, l’onere di dovere organizzare e sostenere le attività propedeutiche alla decisione di assunzione di una
persona, per la successiva ed eventuale costituzione di un rapporto di lavoro, paiono davvero forze ottimamente
profuse e ben spesi i soldi necessari per definire con compiutezza queste attività.
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Vedi art.40, co.4, L. n.133/08.
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Strumenti di lavoro n.1/2016
LE FAQ DEL PROFESSIONISTA
Esonero contributivo 2016: le Faq per la fruizione
del beneficio
di Luca Vannoni – consulente aziendale e consulente del lavoro
La Legge di Stabilità 2016, art.1, co.178, L. n.208/15, ha riproposto, per le assunzioni a tempo indeterminato
effettuate nell’anno corrente, una forma di esonero contributivo molto più contenuta rispetto alle
assunzioni operate nel 2015, per 24 mesi e pari al 40% dei complessivi contributi previdenziali a carico
del datore di lavoro, nel limite massimo annuo di € 3.250,00. Per poter beneficiare dell’agevolazione,
devono essere rispettate le seguenti condizioni: il lavoratore non deve essere stato in forza nei 6 mesi
precedenti con contratto a tempo indeterminato presso qualsiasi datore di lavoro; il lavoratore non deve
aver già conseguito con precedenti assunzioni con il medesimo datore di lavoro lo stesso beneficio o
il beneficio ex L. n.190/14; il lavoratore non deve essere stato in forza presso lo stesso datore di lavoro
(o gruppo d’impresa) nei 3 mesi precedenti (1° ottobre 2015) l’entrata in vigore della L. n.208/15 (1°
gennaio 2016).
Di seguito si analizzano le soluzioni alle principali fattispecie complesse che si trova a dover affrontare
il datore di lavoro nella gestione dell’agevolazione, evidenziandone i supporti di prassi.
1. Per poter fruire dell’esonero, è necessario rispettare le condizioni previste dal D.Lgs.
n.150/15?
Sì, l’esonero è subordinato al rispetto delle condizioni generali previste dall’art.31, D.Lgs. n.150/15, che di fatto
ripropongono quanto in precedenza previsto dalla L. n.92/12, con la sola esclusione dell’ipotesi prevista dalla
lett.a), co.1: l’esonero spetta, quindi, anche nel caso di trasformazioni a tempo indeterminato di contratti a termine di durata superiore a 6 mesi.
Riguardo alle altre condizioni, l’agevolazione non spetta:
• nel caso in cui l’assunzione sia in violazione del diritto di precedenza di un altro lavoratore;
• se il datore di lavoro ha in atto sospensioni dal lavoro connesse a una crisi o riorganizzazione aziendale, salvi
i casi in cui l’assunzione, la trasformazione o la somministrazione siano finalizzate all’assunzione di lavoratori
inquadrati a un livello diverso da quello posseduto dai lavoratori sospesi o da impiegare in diverse unità
produttive;
• se l’assunzione riguarda lavoratori licenziati nei 6 mesi precedenti da parte di un datore di lavoro formalmente diverso da quello che assume, ma rispetto ad esso collegato, controllato o con assetti proprietari
coincidenti.
2. Devono essere rispettate anche le condizioni previste dall’art.1, co.1175 e 1176, L. n.296/06?
Sì, per la fruizione dell’esonero il datore di lavoro deve
• essere in regola con gli obblighi di contribuzione previdenziale e assenza delle violazioni delle norme fondamentali a tutela delle condizioni di lavoro (Durc);
• rispettare gli accordi e contratti collettivi nazionali nonché quelli regionali, territoriali o aziendali, laddove
sottoscritti, stipulati dalle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più
rappresentative sul piano nazionale.
3. Spetta l’esonero nel caso in cui l’assunzione a termine sia stata effettuata in violazione dei
limiti quantitativi di utilizzo previsti dalla contrattazione collettiva o dalla legge (20%)?
In caso di superamento dei limiti quantitativi, il contratto a termine non viene convertito in un contratto a tempo
indeterminato, ma è soggetto soltanto a una sanzione amministrativa. Pertanto, si ritiene che alla trasformazione del contratto a termine in eccedenza rispetto al limite, nel rispetto ovviamente delle altre condizioni, sia
applicabile l’esonero contributivo.
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Strumenti di lavoro n.1/2016
LE FAQ DEL PROFESSIONISTA
4. Sono preclusivi, rispetto alla fruizione dell’esonero, precedenti rapporti non subordinati
con lo stesso datore di lavoro?
Non vi sono preclusioni legate a precedenti prestazioni di lavoro dovute a forme contrattuali diverse dalla subordinazione, come le collaborazioni coordinate e continuative o precedenti incarichi come amministratori. Ovviamente, l’assunzione con un contratto di lavoro subordinato deve essere conforme alle modalità di esecuzione
del nuovo rapporto e non deve essere mero artifizio formale per beneficiare dell’esonero.
Riguardo a quest’ultima categoria, è opportuno verificare la configurabilità di un rapporto di lavoro subordinato
nel caso in cui i poteri gestori dell’amministratore siano incompatibili con l’eterodirezione necessaria in un rapporto di lavoro.
La qualità di amministratore di una società di capitali è compatibile con la qualifica di lavoratore subordinato
della medesima, ove sia accertata l’attribuzione di mansioni diverse dalle funzioni proprie della carica sociale
rivestita e in caso di attribuzione allo stesso soggetto solo delle funzioni inerenti al rapporto organico.
5. In caso di precedente collaborazione dissimulante un rapporto di lavoro subordinato, spetta comunque l’esonero in caso di trasformazione? E in caso di stabilizzazione?
In caso di collaborazione coordinata e continuativa (anche a progetto, se riferito a contratti sottoscritti in base
alla disciplina previgente e ancora in essere) che di fatto dissimulano lavoro subordinato, in caso di riqualificazione del rapporto vi sarà anche il recupero dell’agevolazione, in quanto non vi sarebbe una nuova assunzione
a tempo indeterminato.
Viceversa, in caso di stabilizzazione ex art.54, D.Lgs. n.81/15, l’assunzione a tempo indeterminato è soggetta
all’esonero, stante anche la conciliazione in sede protetta sottoscritta dal lavoratore, in cui rinuncia a qualunque
pretesa riqualificatoria.
A conferma dell’interpretazione data il Ministero del Lavoro, con l’interpello n.2/16, ha chiarito che, nell’ipotesi
in cui, a seguito di accertamento ispettivo, un rapporto di lavoro autonomo, con o senza partita Iva, ovvero parasubordinato, vengano riqualificati come rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, è esclusa la
possibilità di usufruire, in relazione a tali lavoratori, dello sgravio contributivo ex art.1, co.118 ss., L. n.190/14.
6. La conversione di un contratto intermittente a tempo indeterminato in un rapporto a tempo parziale a tempo indeterminato legittima la fruizione dell’esonero?
La sussistenza di un rapporto di lavoro intermittente a tempo indeterminato, nell’arco dei sei mesi precedenti
la data di assunzione, non costituisce condizione ostativa per il diritto all’esonero contributivo triennale recato
dalla norma in esame.
7. Spetta l’esonero in caso di assunzione di un familiare?
Il legame familiare non è preclusivo dell’esonero tout court, ma potrebbe esserlo in riferimento all’assunzione
con contratto di lavoro dipendente. In primo luogo, deve tenersi in considerazione la presunzione di gratuità tra
familiari conviventi; in secondo, deve sussistere l’effettiva configurabilità di un rapporto di lavoro subordinato,
nel caso di precedente apporto del familiare, con una modificazione sostanziale a decorrere dall’assunzione,
a dimostrazione che il nuovo legame contrattuale è frutto di una nuova modalità di svolgimento del rapporto.
8. E nel caso in cui i dipendenti licenziati da un datore di lavoro siano riassunti da una diversa
impresa, legata da un contratto di rete con il datore di lavoro originario?
Il legame commerciale con contratto di rete non è preclusivo rispetto all’esonero, fermo restando che il disegno
sopra tratteggiato non può essere funzionale a una fraudolenta percezione dell’esonero: se i lavoratori (assunti
a termine per 6 mesi e poi trasformati) mantengono essenzialmente la stessa attività nella rete, sfruttando codatorialità e distacchi, l’assunzione sarà solo formale e non sostanziale.
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Strumenti di lavoro n.1/2016
LE FAQ DEL PROFESSIONISTA
9. Nel caso in cui un soggetto sia stato licenziato da un contratto a tempo indeterminato durante il periodo di prova, potrà essere assunto, con l’esonero, senza attendere 6 mesi dalla
cessazione del rapporto?
No, come chiarito da con la circolare Inps n.178/15, l’assunzione, anche se non stabilizzatasi con il decorso della
prova, era a tempo indeterminato: pertanto, il nuovo datore di lavoro dovrà attendere 6 mesi (ovvero potrà
assumere a termine il lavoratore per 6 mesi e successivamente trasformarlo, con esonero) per assumerlo beneficiando dell’esonero.
10. Spetta l’esonero nel caso in cui il datore di lavoro assuma un lavoratore a tempo indeterminato, in presenza di un altro lavoratore cessato da un contratto a termine o con contratto
a termine ancora in corso, che non abbia esercitato il diritto di precedenza prima dell’assunzione stessa?
Fino al concreto esercizio del diritto di precedenza da parte del datore di lavoro, mediante atto scritto in cui si
espliciti l’attivazione di tale diritto, il datore di lavoro rimane libero di operare assunzioni con soggetti diversi, in
quanto il diritto di precedenza non si è ancora perfezionato.
A seguito di alcune discutibili prese di posizione da parte dell’Inps, il Ministero del Lavoro, con la risposta a
interpello n.7/12, presentato da Confindustria, ha confermato la legittimità, in tale ipotesi, della fruizione dell’esonero.
11. In caso di trasferimento d’azienda che coinvolge lavoratori per cui si beneficia dell’esonero contributivo, il cessionario può continuare a fruirne?
Come chiarito dal Ministero del Lavoro, con risposta a interpello n.25/15, il cessionario, in un’operazione soggetta all’art.2112 cod.civ. e considerata in base tale norma trasferimento d’azienda (o di un ramo di essa), può
continuare a beneficiare della parte residua dell’esonero, in quanto il trasferimento d’azienda comporta la prosecuzione del rapporto senza soluzione di continuità.
12. In caso di cambio appalto, nel caso in cui siano presenti clausole sociali nel contratto
collettivo che impongano al nuovo appaltatore l’assunzione dei lavoratori precedentemente
coinvolti nell’appalto, tali assunzioni possono fruire dell’esonero?
Rispetto all’esonero 2015, la Legge di Stabilità per il 2016, co.181, ha previsto che il datore di lavoro che subentra
nella fornitura di servizi in appalto e che assume, ancorché in attuazione di un obbligo preesistente stabilito da
norme di legge o della contrattazione collettiva, un lavoratore per il quale il datore di lavoro cessante fruisce
dell’esonero contributivo, preserva il diritto alla fruizione dell’esonero contributivo medesimo nei limiti della
durata e della misura che residua, computando, a tal fine, il rapporto di lavoro con il datore di lavoro cessante.
In riferimento al 2015, il cambio appalto e la relativa assunzione non legittimava alla fruizione dell’esonero.
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Strumenti di lavoro n.1/2016
CONTRATTUALISTICA DEL LAVORO
Collaborazioni coordinate e continuative al
tempo del Jobs Act
di Marco Frisoni e Silvia Frisoni - consulenti del lavoro1
Il recente intervento in materia di collaborazioni coordinate e continuative, finalizzato anche al graduale
superamento del contratto a progetto, nonostante le finalità di semplificazione e certezza delle regole
manifestate dall’attuale Esecutivo, sembra, al contrario, aprire scenari tutt’altro che stabili, profilandosi
dunque, per il futuro, un alto grado di rischio in chiave vertenziale sia in sede ispettiva che in ambito
giudiziale. Di conseguenza, appare fondamentale un approccio estremamente cauto all’impiego di
forme di lavoro parasubordinato, che debbono essere necessariamente precedute da attente e puntuali
valutazioni poste a monte della questione e, qualora superato tale sbarramento iniziale, accompagnate
da una certosina puntualità nelle fasi di redazione del contratto fra le parti.
Introduzione
Le recenti modifiche del mercato del lavoro, al di là della valutazione oggettiva rispetto alla reale incidenza delle
stesse, non hanno certamente intaccato taluni principi cardine sui quali poggia, come da tradizione, il diritto del
lavoro interno.
Anzi, al contrario, la Legge delega n.183/14, in uno con il D.Lgs. n.81/15, ha rafforzato il ruolo di supremazia
quasi gerarchica svolto dal contratto di lavoro subordinato, assurto allo status, per la verità non particolarmente disputato, di forma comune (addirittura dominante secondo il precetto, ancora vigente, introdotto, dalla L.
n.92/12) di rapporto di lavoro.
Infatti, come è noto, l’ordinamento giuslavoristico interno si impernia intorno all’art.2094 cod.civ., dal cui dettato, teso a individuare le caratteristiche del prestatore di lavoro dipendente, si ricavano la definizione e le caratteristiche del contratto di lavoro subordinato.
In questa prospettiva, a ben vedere, non deve sorprendere la novella legislativa introdotta dal D.Lgs. n.81/15,
che, a riempimento della delega contenuta nella L. n.183/14, ha provveduto a ridefinire il panorama interno dei
contratti di lavoro, operando come una sorta di testo unico della materia.
In particolare, giova rammentare come la delega parlamentare conferita all’attuale Esecutivo stabilisse, fra l’altro, i seguenti precetti da osservare:
a) individuare e analizzare tutte le forme contrattuali esistenti, ai fini di poterne valutare l’effettiva coerenza
con il tessuto occupazionale e con il contesto produttivo nazionale e internazionale, in funzione di interventi
di semplificazione, modifica o superamento delle medesime tipologie contrattuali;
b) promuovere, in coerenza con le indicazioni europee, il contratto a tempo indeterminato come forma comune di contratto di lavoro, rendendolo più conveniente rispetto agli altri tipi di contratto in termini di oneri
diretti e indiretti;
c) prevedere, per le nuove assunzioni, il contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti in relazione all’anzianità di servizio, escludendo per i licenziamenti economici la possibilità della reintegrazione del lavoratore
nel posto di lavoro, prevedendo un indennizzo economico certo e crescente con l’anzianità di servizio e
limitando il diritto alla reintegrazione ai licenziamenti nulli e discriminatori e a specifiche fattispecie di licenziamento disciplinare ingiustificato, nonché prevedendo termini certi per l’impugnazione del licenziamento.
Orbene, appare evidente come l’intento dell’impianto normativo che scaturisce dalla L. n.183/14 e dai successivi decreti attuativi sia oggettivamente teso a favorire la diffusione del contratto di lavoro subordinato a tempo
indeterminato nel nostro ordinamento giuslavoristico e, in una siffatta angolazione, il Governo in carica ha messo in campo almeno tre leve per rafforzare il suddetto ambizioso (e lodevole) obiettivo.
Infatti, si possono agevolmente individuare i seguenti fronti di intervento:
1. la leva normativa, integrata da provvedimenti di legge posti a favorire, tramite una semplificazione delle
Marco Frisoni è anche docente di Amministrazione e gestione del personale e Diritto Amministrativo del Lavoro presso la facoltà di giurisprudenza
dell’Università degli Studi dell’Insubria.
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Strumenti di lavoro n.1/2016
CONTRATTUALISTICA DEL LAVORO
disposizioni e un’attenuazione delle rigidità esistenti nel diritto del lavoro, l’appetibilità del contratto dipendente a tempo indeterminato e l’interesse dei soggetti datoriali verso tale forma negoziale (si pensi alle c.d.
tutele crescenti, alla revisione dello ius variandi in materia di mansioni, nonché alle modifiche in ordine al
potere di controllo datoriale, etc.);
2. la leva contributiva “pura”, rappresentata dalle forme di esonero (L. n.190/14 e L. n.208/15) contributivo
riservate alle assunzioni e/o trasformazioni con contratto a tempo indeterminato, il cui limite è tuttavia rappresentato dalla circoscritta vigenza temporale, non trattandosi quindi di interventi strutturali ma transitori;
3. la leva sul cuneo fiscale, con l’ampliamento della deducibilità, di fatto integrale, ai fini Irap, del costo del
lavoro concernente i contratti a tempo indeterminato, misura che, contrariamente a quella di cui al punto
precedente, risulta vigente senza scadenza, almeno sino a quando non sarà sostituita e/o modificata da una
sopravvenuta normativa.
Prendendo spunto dalle riflessioni appena concluse, l’iniziativa in materia di collaborazioni coordinate e continuative, al di là dell’osservanza, nel più o nel meno adeguata alla delega ricevuta, appare da ascriversi all’ambito
della leva normativa, operando tuttavia come una sorta di combinato disposto finalizzato, in concreto, a disincentivare l’impiego di detti rapporti lavorativi e, per l’appunto, avvantaggiare l’opzione di scelta verso il lavoro
subordinato senza prefissione del termine, con corollario di molteplici premialità per coloro che imboccheranno
la strada maestra, abbandonando invece gli impervi sentieri che conducono alla parasubordinazione.
Alcune brevi valutazioni operative
Di talché, al fine di formulare alcune considerazioni operative in materia di collaborazioni coordinate e continuative, giova fissare, in premessa, i cardini normativi ad oggi vigenti, atteso che, dal 1° gennaio 2016, opera a pieno
regime l’art.2, D.Lgs. n.81/15 e che, finalmente, il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, con circolare n.3
del 1° febbraio 2016, ha fornito le prime indicazioni in chiave ispettiva; si deve altresì richiamare la circolare di
Confindustria n.19949/16 che, alla luce dell’importanza del soggetto che emana il documento stesso, può certamente servire quale ulteriore elemento su cui radicare la valutazione sulla tematica in parola.
Il punto di partenza, a nostro parere, può essere reperito nell’art.52, D.Lgs. n.81/15, rubricato “Superamento
del contratto a progetto” e che dispone l’abrogazione degli articoli da 61 a 69-bis, D.Lgs. n.276/03 (Legge Biagi),
salvo prevedere che tale pugno di norme continueranno ad applicarsi esclusivamente per la regolazione dei
contratti già in essere alla data di entrata in vigore del decreto attuativo summenzionato (25 giugno 2015).
Collaborazioni coordinate ante 25 giugno 2015
In buona sostanza, l’art.52 sancisce il graduale processo di superamento del contratto a progetto introdotto dalla
Legge Biagi (ma non solo, atteso che l’art.69-bis, anch’esso abrogato, si occupava del fenomeno del lavoro autonomo “economicamente dipendente” in regime di partita Iva), salvo disciplinare una sorta di regime intertemporale; quindi, sul piano operativo, occorre prestare primaria attenzione ai rapporti di collaborazione a progetto
che sono sorti prima del 25 giugno 2015 (già in atto, si deve intendere, alla luce della ratio normativa, in senso
pratico, vale a dire con riguardo a rapporti che già dispiegavano i propri effetti e, dunque, nei quali il collaboratore già rendeva la prestazione lavorativa in adempimento all’obbligo di risultato assunto, mentre contratti ancorché stipulati prima di tale data, ma non ancora eseguiti, si dovrebbero considerare travolti dalla sopravvenuta
disposizione di legge), in quanto, a ben vedere, manterranno sino a scadenza (il contratto a progetto è rapporto
a termine) la regolamentazione originaria scolpita nella (più volte modificata) Legge Biagi, anche con precipuo
riferimento all’aspro apparato sanzionatorio raccolto nell’art.69, D.Lgs. n.276/03.
Si può quindi affermare che, sino al termine degli stessi, questi contratti seguiranno le “vecchie” regole, fortemente inasprite, su più versanti, dalla Legge Fornero nel 2012 e, di riflesso, rimangono immutati i consistenti
rischi di contenzioso ispettivo e/o giudiziale, innanzitutto sull’eventuale riqualificazione, da autonomo a subordinato, del contratto in essere.
Si suggerisce di non adottare, per rapporti a progetto in atto prima del 25 giugno 2015 e scadenti successivamente, l’istituto della proroga, non tanto per espressa disposizione di legge, ma, piuttosto, in una logica di
cautelativa osservanza delle finalità della legge che, in verità, sono chiaramente finalizzate al superamento
di similari forme di lavoro, evitando quindi il probabile rischio di controversie in merito.
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Strumenti di lavoro n.1/2016
CONTRATTUALISTICA DEL LAVORO
A questo punto, si deve ineluttabilmente prendere in considerazione l’art.2, D.Lgs. n.81/15, intitolato “Collaborazioni organizzate dal committente”, che, come noto, sancisce che dal 1° gennaio 2016 si applica la disciplina
del lavoro subordinato anche ai rapporti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente anche con
riferimento ai tempi e ai luoghi di lavoro.
Prima di entrare nella sintetica analisi della suddetta controversa norma, ci si deve domandare se ai contratti a
progetto in atto alla data del 25 giugno 2015 e che, legittimamente, potrebbero permanere, a livello di vigenza,
ben oltre il 1° gennaio 2016, trovi immediata applicazione l’art.2 appena accennato.
In effetti, non è agevole individuare un raccordo fra il regime intertemporale (art.52) e l’art.2, nemmeno ipotizzando un rapporto (come potrebbe apparire) fra norma generale e norma speciale, poiché, in base a questo
criterio, in caso di contraddizione tra due norme giuridiche, prevale quella più specifica, ossia quella la cui fattispecie è contenuta nella fattispecie dell’altra.
Orbene, sul punto, il Dicastero, con la circolare n.3/16 (come, per la verità, anche Confindustria), assume una
posizione decisamente restrittiva, affermando, in maniera non del tutto condivisibile, che anche in riferimento ai
contratti a progetto in fase di superamento troveranno pacifica cittadinanza i precetti dell’art.2, con conseguenze paradossali, poiché, atteso che, nel passato, il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali aveva precisato
come, in un vincolo di coordinamento, la definizione di tempi e luoghi di lavoro non ostavano alla genuinità del
contratto parasubordinato (a progetto) stipulato fra le parti, l’impatto del nuovo dettato normativo costringerebbe committente e collaboratore a rivedere le intese negoziali, ove ciò sia, per la natura del progetto dedotto,
fattibile, per conformarsi ai sopravvenuti precetti, ovvero valutare lo scioglimento del contratto per valutare
nuove soluzioni disponibili.
In buona sostanza, per i contratti a progetto ancora in corso non sarà sufficiente lo scrupoloso ossequio alle
già restrittive norme in materia, poiché si dovrà puntualmente ottemperare alla novella disposta dal D.Lgs.
n.81/15.
Definizione di collaborazione coordinata e continuativa
Tornando all’art.52, non senza sorpresa, si deve rilevare come il co.2 faccia espressa salvezza di quanto disposto
dall’art.409 c.p.c., disposizione processuale e che estende il c.d. rito del lavoro quale forma protettiva e garantistica, anche a rapporti di lavoro non subordinati, nei quali, tuttavia, emerga una debolezza del contraente
lavoratore e, al riguardo, anche a beneficio dei rapporti di collaborazione che si concretino in una prestazione di
opera continuativa e coordinata, prevalentemente personale.
La portata della norma e il relativo significato sono stati oggetto di molteplici sforzi interpretativi da parte della
dottrina, con approdi a volte nettamente divergenti; a nostro parere, la vera problematica ruota intorno a una
criticità irrisolta e che, il Legislatore, con l’occasione, forse irripetibile, offerta dalla L. n.183/14, avrebbe fatto
bene a dirimere.
E, in effetti, nel nostro ordinamento giuslavoristico è assente una definizione “legale” univoca di collaborazione
coordinata e continuativa, in quanto, al contrario, si riscontrano molteplici formule descrittive, ciascuna per una
propria finalità (fiscale, previdenziale, processuale, a partire dalla L. n.741/59, c.d. Legge Vigorelli), di talché,
ancora una volta, come avvenuto ai tempi della Legge Biagi, l’estensore della norma ha ritenuto di richiamare,
ai fini definitori, il dettato processuale, poiché ritenuto maggiormente aderente alle caratteristiche dei contratti
di collaborazione coordinata e continuativa.
In presenza di questo antefatto, ancorché discutibile, l’approccio alle collaborazioni coordinate e continuative
dovrà tenere conto degli insegnamenti che, prima dell’avvento della Legge Biagi e del contratto a progetto, la
giurisprudenza ha nel tempo offerto agli operatori del diritto del lavoro.
In particolare, si rammenta come, ai fini della sussistenza di un genuino rapporto di collaborazione coordinata e
continuativa, occorra indagare con rigore intorno alla sussistenza di tre requisiti:
1. la continuità, che ricorre quando la prestazione non sia occasionale, ma perduri nel tempo con un legame
funzionale fra collaborato e collaboratore;
2. la coordinazione, intesa come inserimento del collaboratore nell’organizzazione del committente e, in senso
lato, nelle finalità perseguite dal committente;
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Strumenti di lavoro n.1/2016
CONTRATTUALISTICA DEL LAVORO
3. la prevalenza del lavoro del collaboratore rispetto ai mezzi da lui forniti.
Tutto ciò in uno con l’analisi della presenza dei tradizionali indici distintivi fra subordinazione e autonomia, alla
luce dei principi generali dell’ordinamento e della comparazione paradigmatica fra art.2094 e art.2222 cod.civ..
In concreto, si suggerisce, nel caso si intenda valutare l’instaurazione di una collaborazione coordinata e continuativa, di focalizzare, in prima battuta, la propria attenzione non solo sugli artt.2 e 52, D.Lgs. n.81/15, ma,
preso atto della volontà del Legislatore di fare rivivere, ai fini definitori, l’art.409 c.p.c., di accertare piuttosto
che, almeno a livello di impianto generale, il rapporto negoziale che si svilupperà fra le parti sia compatibile
con i principi generali dell’ordinamento (che ruotano intorno al lavoro subordinato), come interpretati dai
giudici nel tempo.
In caso contrario, è del tutto palese che la riqualificazione giudiziale e/o ispettiva del rapporto di lavoro avverrà
non per effetto dell’art.2, D.Lgs n.81/15 (che, peraltro, almeno formalmente, non riqualifica il contratto), ma
sulla scorta delle osservazioni appena svolte.
So#oscri#eprimadel25giugno
2015
ancheatalicollaborazionisi
applica,adecorreredal1°gennaio
2016,l’art.2D.Lgs.81/2015
sull’etero-organizzazione
siconsigliadinonado+arela
prorogaunavoltascadute
mantengonofinoascadenzala
regolamentazioneD.Lgs.276/2003
Collaborazionicoordinatee
con:nua:veso#oscri#edopoil25
giugno2015
conFnuità
assentedefinizionelegaledi
collaborazionecoordinatae
conFnuaFvaunivoca:requisiF
giurisprudenziali
coordinazione
prevalenzadellavoro
delcollaboratore
verificaeteroorganizzazione
dal1.1.2016leindicazioni
dellacircolareML3/2016
prestazionidilavoro
esclusivamentepersonalie
conFnuaFve,lecuimodalitàdi
esecuzionesianoorganizzatedal
commi+enteanchecon
riferimentoaitempiealluogodi
lavoro
derivanolemedesimeconseguenze
dellariqualificazione
Le collaborazioni etero-organizzate
Pur tuttavia, dal 1° gennaio 2016 non è sufficiente l’adeguamento ai suddetti principi generali, poiché, a seguito
della messa a regime dell’impianto dell’art.2, D.Lgs. n.81/15, un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa coerente con le regole desumibili dall’interpretazione dell’art.409 c.p.c. potrebbe incappare nelle forche
caudine rappresentate dall’applicazione della disciplina del lavoro subordinato quando il contratto di collabo-
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Strumenti di lavoro n.1/2016
CONTRATTUALISTICA DEL LAVORO
razione, ancorché autonomo, manifesti un’ingerenza “organizzativa” del committente, che, pur non sfociando
in esercizio del potere direttivo (in tal caso si opererebbe una riqualificazione da autonomia a dipendenza ex
art.2094 cod.civ.), porterà, nei fatti, all’obbligo di applicare, a un rapporto che rimarrà autonomo, il coacervo di
norme, quasi sempre inderogabili, afferenti al lavoro subordinato (d’altro canto, la descrizione di cui all’art.409
non coincide perfettamente con la definizione di collaborazioni etero-organizzate dell’art.2, D.Lgs. n.81/15).
In concreto, il Legislatore, in presenza di collaborazioni formalmente genuine, ma all’interno delle quali la posizione del collaboratore è ulteriormente indebolita dall’influenza organizzativa del committente, ha ritenuto
opportuno, in un’ottica evidentemente protettiva, estendere le tutele “rafforzate” del lavoro subordinato, con
l’intento, di certo non occultato, di favorire la transizione, anche per mere ragioni di convenienza economica,
verso il lavoro subordinato, magari avvalendosi della procedura di stabilizzazione di cui all’art.54, D.Lgs. n.81/15.
Ovviamente, la vera problematica risiede nel comprendere, per “difendere” la conformità al modificato dato
normativo di un contratto di collaborazione, quale sia la portata concreta del concetto di etero-organizzazione e, almeno per questa prima fase, si ritiene possa essere di utilità mutuare le indicazioni ispettive appena
emanate dal Dicastero competente.
Le indicazioni del Ministero del Lavoro
La circolare n.3/16 precisa che la disposizione si applica nell’ipotesi di rapporti di collaborazione che si concretino in prestazioni di lavoro esclusivamente personali e continuative, le cui modalità di esecuzione siano organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro, pertanto, ogniqualvolta il collaboratore
operi all’interno di un’organizzazione del committente rispetto alla quale sia tenuto ad osservare determinati
orari di lavoro e sia tenuto a prestare la propria attività presso luoghi di lavoro individuati dallo stesso committente, si considerano avverate le condizioni di cui all’art.2, co.1, sempre che le prestazioni risultino continuative
ed esclusivamente personali.
Non solo; le condizioni richieste dalla legge debbono concretizzarsi congiuntamente e, pertanto, a tal fine, si
sottolinea come per prestazioni di lavoro esclusivamente personali si intendono le prestazioni svolte personalmente dal titolare del rapporto, senza l’ausilio di altri soggetti.
E, ancora, le stesse devono essere inoltre continuative, ossia ripetersi in un apprezzabile determinato arco temporale al fine di conseguire una reale utilità e, come già indicato, organizzate dal committente quantomeno con
riferimento ai tempi e al luogo di lavoro.
Sempre seguendo il pensiero ministeriale, qualora venga riscontrata la contestuale presenza delle suddette
condizioni di etero-organizzazione, sarà applicabile la disciplina del rapporto di lavoro subordinato; la formulazione, invero vaga, prescelta dal Legislatore lascerebbe intendere l’applicazione di qualsivoglia istituto, legale o
contrattuale, normalmente applicabile in forza di un rapporto di lavoro subordinato, senza prevedere una valutazione, volta per volta, della compatibilità delle norme in questione con la natura del vincolo negoziale che, di
per sé, rimarrà ancorato all’area dell’autonomia.
In altre parole, il D.Lgs. n.81/15, rispetto alle fattispecie indicate dall’art.2, co.1, ha, in concreto, inteso far derivare le medesime conseguenze legate a una riqualificazione del rapporto, semplificando di fatto l’attività del
personale ispettivo e dell’organo giudiziale, che, in tali ipotesi, potrà limitarsi ad accertare la sussistenza di
un’etero-organizzazione.
In una lettura meramente ispettiva, l’applicazione della disposizione comporterà altresì l’irrogazione delle sanzioni in materia di collocamento (comunicazioni di assunzione e dichiarazione di assunzione), i cui obblighi, del
resto, attengono anch’essi alla disciplina del rapporto di lavoro subordinato.
Nulla dice il Ministero in merito a una questione di grandissima rilevanza e criticità; effettivamente, l’applicazione integrale, in un’angolazione protettiva, della disciplina del lavoro subordinato alle collaborazioni eteroorganizzate potrebbe fare presupporre ricadute insidiose sul computo di tali lavoratori per fattispecie in cui sia
rilevante la valutazione sul dimensionamento occupazionale del committente (si pensi al collocamento obbligatorio, ai diritti sindacali, alle diversificate tutele in materia di licenziamento, etc.), ivi per cui, in attesa di opportune chiarificazioni, l’approccio prudenziale risulta sempre più stringente.
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Strumenti di lavoro n.1/2016
CONTRATTUALISTICA DEL LAVORO
Sintetiche considerazioni in merito alla redazione di uno schema negoziale e sulla procedura
di stabilizzazione
Per effetto dell’abrogazione delle norme in materia di lavoro a progetto, la collaborazione coordinata e continuativa, per taluni aspetti, ritorna a muoversi negli ambiti che si erano stratificati sino all’avvento della Legge Biagi,
anche sul piano della forma.
Infatti, ai sensi dell’art.62, D.Lgs. n.276/03, il contratto di lavoro a progetto era stipulato in forma scritta, quale
elemento di legittimità del contratto, mentre, a mente del nuovo dettato normativo, non sussiste un’analoga
disposizione per le collaborazioni coordinate e continuative, anche se etero-organizzate.
Ovviamente, prudenza, cautela e buon senso, al di là degli obblighi di legge, impongono la redazione in forma
scritta del contratto fra committente e collaboratore, anche considerando che, alla luce delle notevoli criticità
che potranno emergere soprattutto in sede vertenziale e/o di contenzioso, la redazione di uno schema negoziale
semplice ma preciso, pur potendo non risultare decisivo, assumerebbe in ogni caso le vesti di un elemento che,
insieme ad altri, sarà considerato in sede ispettiva e/o giudiziale.
In particolare, rilevato che, nella prassi quotidiana, la maggioranza delle collaborazioni necessita, in una logica di
coordinamento e utilità della prestazione resa, la presenza del collaboratore presso la sede del committente e,
sovente, all’interno di fasce orarie predeterminate, nel contratto fra le parti si potrà, per esempio, fare emergere
la comune volontà (quindi non un’iniziativa unilaterale del committente, che sfocerebbe nell’etero-organizzazione) di regolamentare pattiziamente gli aspetti afferenti ai tempi e al luogo di lavoro.
Va da sé che, in caso di controversia, l’indagine dei soggetti preposti non si limiterà al solo dato formale, accertando, di fatto, il concreto e reale svolgimento del rapporto di lavoro, in ogni caso una clausola compilata
in tale guisa, magari all’interno di un auspicabile provvedimento di certificazione ex artt.75 ss. Legge Biagi,
potrebbe certamente risultare di utilità, ancor di più se la determinazione di tali aspetti organizzativi viene
discrezionalmente rimessa alla determinazione in proprio del collaboratore.
È bene rammentare che, nella bozza del disegno di legge in materia di lavoro autonomo, l’art.12, a modifica
dell’art.409 c.p.c., sancisce che la collaborazione si intende coordinata quando, nel rispetto delle modalità di
coordinamento stabilite di comune accordo dalle parti, il collaboratore organizza autonomamente l’attività lavorativa; pertanto, la redazione di un accordo contrattuale fra le parti potrebbe già tenere conto di codesta suggestione normativa, tentando di fare trasparire l’autonomia organizzativa del collaboratore, seppure in contesto di
coordinamento consensualmente definito.
comunevolontàdiregolamentare
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impedireinterven7di
organizzazione
Consigliperlaredazionediun
contra2odicollaborazione
evidenziareautonomia
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preciso
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Strumenti di lavoro n.1/2016
CONTRATTUALISTICA DEL LAVORO
Verbali di conciliazione nella stabilizzazione
Particolare attenzione dovrà essere inoltre dedicata alla stesura dei verbali di stabilizzazione ex art.54, D.Lgs.
n.81/15, in sede “protetta”; trattasi di una procedura, operativa anch’essa dal 1° gennaio 2016, finalizzata a
promuovere la stabilizzazione dell’occupazione mediante il ricorso a contratti di lavoro subordinato a tempo
indeterminato nonché di garantire il corretto utilizzo dei contratti di lavoro autonomo.
Viene previsto che i datori di lavoro privati che procedano all’assunzione con contratto di lavoro subordinato
a tempo indeterminato di soggetti già parti di contratti di collaborazione coordinata e continuativa anche a
progetto e di soggetti titolari di partita Iva con cui abbiano intrattenuto rapporti di lavoro autonomo, godano di
taluni effetti concernenti l’estinzione di illeciti amministrativi, contributivi e fiscali connessi all’erronea qualificazione del rapporto di lavoro.
La procedura, che può essere attivata anche in relazione a rapporti di collaborazione già conclusi, si fonda su due
presupposti che debbono congiuntamente manifestarsi:
a) i lavoratori interessati alle assunzioni sottoscrivano, con riferimento a tutte le possibili pretese riguardanti la
qualificazione del pregresso rapporto di lavoro, atti di conciliazione in una delle sedi di cui all’art.2113, co.4,
cod.civ., o avanti alle preposte Commissioni di certificazione;
b) nei dodici mesi successivi alle assunzioni, i datori di lavoro non recedano dal rapporto di lavoro, salvo che per
giusta causa ovvero per giustificato motivo soggettivo.
La favorevole adesione alla procedura di cui sopra comporta l’estinzione degli illeciti amministrativi, contributivi
e fiscali connessi all’erronea qualificazione del rapporto di lavoro, fatti salvi gli illeciti accertati a seguito di accessi ispettivi effettuati in data antecedente all’assunzione.
Preleva
il documento
Contratto di collaborazione coordinata e continuativa
Tra
________________________, (d’ora innanzi committente), con sede operativa in _______________, Via
___________, n.___, codice fiscale ____________, qui rappresentata dal Sig. ___________________, nato a
__________ il __________________, residente in ________________, Via ____________, n. ______ – codice
fiscale ____________________,
e
il Sig. ___________________, (d’ora innanzi collaboratore), nato a ______ il ______________, residente in
__________ (___), Via _______, n. _________, codice fiscale ____________________
si conviene quanto di seguito esposto:
A decorrere dal _____________ 2016, il collaboratore, che ha maturato una pluriennale esperienza nel settore,
provvederà a svolgere in favore del committente, ai sensi dell’art.409 c.p.c., le seguenti prestazioni di lavoro non
subordinato, in regime di collaborazione coordinata e continuativa, non organizzata dal committente: consulenza in materia di ______________________________________________________.
Le prestazioni saranno svolte con continuità, ma senza obbligo né di esclusività né di osservanza di un orario
di lavoro, restando libero il collaboratore di impiegare nello svolgimento della sua attività il tempo che riterrà
opportuno; tuttavia, svolgendosi la parte della collaborazione nei locali aziendali e dovendosi coordinare con le
esigenze organizzative, tecniche e produttive dell’azienda, nonché con le sue finalità, il collaboratore non potrà
essere presente nei locali al di fuori degli orari di apertura degli stessi, nonché nei giorni in cui questi restano
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Strumenti di lavoro n.1/2016
CONTRATTUALISTICA DEL LAVORO
chiusi all’accesso del personale.
In buona sostanza, le parti si danno atto che, nella logica di valorizzazione del coordinamento fra le stesse, il
collaboratore, tenendo presente le oggettive esigenze summenzionate, sarà libero di determinare la gestione
delle modalità esecutive della prestazione lavorativa contrattualmente dedotta.
Il collaboratore dovrà prestare la sua collaborazione personalmente (OVVERO potrà farsi sostituire da soggetto
terzo con adeguate capacità e previa comunicazione preventiva con preavviso di almeno sette giorni di calendario al committente).
La collaborazione sarà prestata in piena autonomia, restando il collaboratore obbligato soltanto al conseguimento del risultato dell’attività oggetto del presente rapporto, senza che debba osservare alcuna direttiva specifica né rispondere in via gerarchica ad alcun membro dell’organizzazione aziendale; in particolare, oltre a non
dover osservare un orario di lavoro, il collaboratore non dovrà giustificare assenze né assoggettarsi al codice
disciplinare aziendale.
Il corrispettivo della collaborazione è così pattuito: euro _________________________,00** (euro_________
___________________/00**) lordi mensili; il predetto compenso sarà corrisposto a mezzo bonifico bancario,
sulla base delle coordinate che saranno fornite dal collaboratore, con periodicità mensile.
Sui compensi erogati al collaboratore il committente effettuerà le ritenute fiscali e contributive obbligatorie per
legge.
Il collaboratore dovrà prestare la sua attività con correttezza e buona fede; gli è, in particolare, fatto divieto di
svolgere attività in concorrenza con quella del committente e di divulgare qualsiasi notizia relativa all’azienda,
che abbia natura confidenziale o riservata, di cui sia comunque venuto a conoscenza.
Ogni e qualsiasi spesa sostenuta dal collaboratore nello svolgimento del rapporto resterà a suo integrale carico,
essendosene tenuto conto nel determinare la misura del corrispettivo, salvo diverse intese da verificarsi volta
per volta ed in base alle quali al collaboratore potranno essere rimborsate, previa presentazione di apposito
documento a piè di lista, spese sostenute nell’ambito dello svolgimento delle proprie funzioni ovvero per l’effettuazione di missioni e/o trasferte.
In deroga a quanto sopra esposto, sarà rimborsato al collaboratore l’utilizzo del veicolo proprio per lo svolgimento di missione e/o trasferte afferenti l’incarico convenuto, con applicazione delle vigenti tariffe Aci e previa
presentazione di apposita scheda riepilogativa mensile o bimestrale.
Il presente rapporto si intende a tempo indeterminato e potrà in ogni caso essere sciolto in qualunque momento
da una delle parti mediante preavvertimento di quindici giorni di calendario, a mezzo raccomandata con avviso
di ricevimento.
Il committente avrà diritto di risolvere senza preavviso il presente rapporto, mediante comunicazione scritta
inoltrata a mezzo di raccomandata con avviso di ricevimento, qualora si verifichi una delle seguenti circostanze:
a) l’inattività del collaboratore, non dovuta a causa di forza maggiore, protratta per più di venti giorni di calendario, nonché il reiterarsi dell’irregolare svolgimento dell’attività;
b) assunzione di analogo rapporto da parte del collaboratore con una ditta concorrente del committente.
Entrambe le parti potranno procedere all’estinzione del rapporto contrattuale senza alcun preavviso al manifestarsi di una giusta causa di recesso.
Le parti si danno inequivocabilmente atto, senza riserve, che il presente contratto risulta del tutto conforme
anche al D.Lgs. n.81/15 e, in particolare, non assoggettato all’art.2 del Decreto in parola, atteso che non vi sarà
alcuna ingerenza organizzativa del committente relativamente alle modalità di esecuzione dell’attività del collaboratore anche con riferimento ai tempi e al luogo della prestazione.
Letto, approvato e sottoscritto in _________, _________2016.
____________________________
Il collaboratore
__________________________________
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Strumenti di lavoro n.1/2016
CONTRATTUALISTICA DEL LAVORO
Preleva
il documento
Verbale di accordo sindacale
(artt.410 ss. c.p.c. - artt.1965 ss. e artt.1975 cod.civ. art.2113 cod.civ. - L. n.183/10 - art.54, D.Lgs. n.81/15)
In ___________, addì ____________, presso l’ufficio vertenze legali ____________, in Via____________, al
civico numero _________, si riuniscono le seguenti parti:
________________, codice fiscale ______________, con sede in __________ (______), Via ______________,
al civico numero_________________, di seguito denominata anche “Azienda”, nella persona del ___________,
codice fiscale _____________ , nato a ___________ il _______________, nella propria qualità di ___________
e munito dei poteri richiesti dalla legge ai fini della presente scrittura;
il Sig. ___________, codice fiscale ____________, nato a _______ (________) il ___________, residente in
___________ (_____), Via _________, n. ________, di seguito indicato anche come “lavoratore”;
il Dott. __________, per conto dell’ufficio vertenze sindacali __________________, in qualità di conciliatore
comunemente designato dalle parti e al quale le parti stesse hanno conferito apposito e irrevocabile mandato;
premesso
• che il lavoratore prestava la propria attività lavorativa presso l’Azienda con contratto di collaborazione coordinata e continuativa nella modalità a progetto, con scadenza prevista al _________________;
• che il lavoratore e l’Azienda hanno espresso la volontà di meglio definire i reciproci rapporti contrattuali proprio in virtù della prossima conclusione del contratto di lavoro fra le stesse intercorrente;
• che l’Azienda ha manifestato l’intenzione di procedere all’assunzione come lavoratore subordinato a tempo
indeterminato, tempo pieno, senza periodo di prova, dell’interessato, ai sensi del D.Lgs. n.23/15 e dell’art.54,
D.Lgs. n.81/15;
• che, a seguito di intese intercorse, è emersa la comune volontà di raggiungere un’intesa bonaria e conciliativa, atta a prevenire l’insorgenza di qualsiasi controversia fra le parti;
tutto ciò premesso, le parti stipulano e convengono quanto segue:
1. le premesse costituiscono parte integrante della presente intesa;
2. il conciliatore, in prima battuta, accertata l’identità delle parti previa visione dei seguenti documenti di identità ______________________________, illustra i termini e gli effetti della conciliazione in sede sindacale,
ai sensi degli artt.410 ss. c.p.c., artt.1965 ss. e artt.1975 e 2113 cod.civ. e L. n.183/10, ed esperisce quindi il
relativo tentativo di conciliazione fra le parti;
3. le parti si danno reciprocamente atto che il contratto di collaborazione coordinata e continuativa nella modalità a progetto fra le stesse è terminato, ad ogni effetto, in data _________________, da intendersi quale
ultimo giorno lavorativo, per recesso da parte del collaboratore (OVVERO per risoluzione consensuale ex
art.1372 cod.civ.), e che tale termine non potrà essere in alcun modo differibile, nemmeno per eventi e/o
accadimenti indipendenti dalla volontà delle parti, ivi comprese sopravvenute modifiche di carattere legislativo;
4. il lavoratore conferma senza riserve che il rapporto di collaborazione in parola si è svolto, in concreto, in
autonomia e in perfetta aderenza alle prescrizioni normative in materia di lavoro a progetto, in assenza di
qualsivoglia vincolo e/o legame di dipendenza e/o subordinazione;
5. l’Azienda si obbliga a procedere all’assunzione, a far data dal ______________, come lavoratore subordinato a tempo indeterminato, senza periodo di prova, a tempo pieno, ai sensi del D.Lgs. n.23/15 e del D.Lgs.
n.81/15, dell’interessato, come da allegata lettera di assunzione che, accettata senza riserve e sottoscritta
dalle parti, costituisce parte integrante e inscindibile della presente intesa;
6. il lavoratore, a fronte del suddetto obbligo, con la firma del presente verbale di accordo, rinuncia ad ogni
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Strumenti di lavoro n.1/2016
CONTRATTUALISTICA DEL LAVORO
atto giudiziale ed extragiudiziale, nessuno escluso, di impugnazione della cessazione del contratto di collaborazione coordinata e continuativa nella modalità a progetto, anche per quanto attiene eventuali profili
di qualificazione e/o riqualificazione del contratto di lavoro in parola; tale rinuncia si estende in ogni caso a
qualsivoglia forma di rapporto e/o collaborazione, anche antecedente, a qualsivoglia titolo, nessuno escluso, anche occasionale, intercorsa fra le parti;
7. l’Azienda, che accetta le rinunzie del lavoratore, a propria volta, rinuncia a ogni di tipo di pretesa e/o rivalsa
e/o richiesta, nessuna esclusa, nei confronti del lavoratore, relativamente ai pregressi rapporti lavorativi
intercorsi;
8. (EVENTUALE) l’Azienda, sempre a fronte delle rinunzie del lavoratore, offre al lavoratore, che accetta senza riserve, la somma di __________ euro lordi a titolo di erogazione per assunzione di un obbligo di “non
fare”; di talché, le parti si danno inequivocabilmente atto che l’importo in parola non sarà assoggettato ad
alcun prelievo contributivo e, sul piano del prelievo fiscale, osserverà le disposizioni di cui all’art.67, D.P.R.
n.917/86 e dell’art.25, D.P.R. n.600/73; le parti si danno in ogni caso atto che ogni ricalcolo e/o riconteggio
e/o pretesa da parte dell’Agenzia delle Entrate rimarrà a completo carico del lavoratore stesso, che conferma
di avere piena cognizione di tale aspetto (naturalmente le parti possono prevedere di erogare un importo
a titolo di somma una tantum e/o quale indennità di fine collaborazione con assoggettamento a prelievo
fiscale e contributivo);
9. con la sottoscrizione del presente verbale di accordo, le parti dichiarano di avere pienamente conciliato ogni
potenziale vertenza e/o lite relative alla risoluzione del rapporto di lavoro, ai sensi degli artt.410 ss. c.p.c.,
degli artt.1965 ss. e artt.1975 e 2113 cod.civ. e della L. n.183/10; l’Azienda e il lavoratore dichiarano fin d’ora
di essere entrambi completamente tacitati, riconoscendo reciprocamente con il presente accordo rinunciata
e/o transatta, in via definitiva e generale, ogni eventuale ragione di credito e pretesa reciproche, presenti
e/o future, che possano essere vantate, a qualsiasi titolo, in dipendenza del pregresso rapporto di lavoro e in
ordine ai modi e ai tempi della sua risoluzione e/o relativamente all’eventuale qualificazione e/o riqualificazione e/o richiesta della natura subordinata; pertanto, il lavoratore dà atto di non avere nulla da pretendere
anche ‒ e comunque ‒ a titolo meramente esemplificativo e non in alcun modo esaustivo e/o tassativo per
i seguenti ipotetici titoli, sempre fatta salva la verifica della correttezza dei conteggi effettuati: Tfr e determinazione del suo ammontare; versamenti alla previdenza complementare e/o di assistenza sanitaria e/o
alla bilateralità e/o a Fondi sanitari e/o versamenti integrativi; retribuzione goduta, sia nelle sue voci “dirette” che nella rilevanza che esse hanno per il calcolo delle voci indirette e viceversa; provvigioni e/o premi
variabili, nessuno escluso, indennità a qualsivoglia elemento previsto dalla contrattazione territoriale e/o
aziendale; preavviso e relativa indennità; inquadramento, mansioni svolte e retribuzione per esse percepita
nonché eventuale risarcimento del danno sia economico in senso stretto che biologico, quest’ultimo ad oggi
conosciuto, per dequalificazione professionale; svolgimento del periodo di prova; mensilità aggiuntive alle
dodici mensilità annue; rimborsi spese e/o indennità di trasferta e/o missione; maggiorazione e/o indennità
per clausole di variabilità; trattamenti di famiglia e/o assegni per il nucleo famigliare; ferie e relativa indennità sostitutiva; buoni pasto e/o trattamenti e/o indennità di mensa; permessi, ivi compresi quelli per riduzione d’orario e per ex festività; festività, eventuale svolgimento di lavoro straordinario, domenicale, festivo,
notturno, ivi compreso il risarcimento del danno (sia economico in senso stretto, che biologico, quest’ultimo
ad oggi conosciuto) derivante dal lavoro straordinario, supplementare, notturno e festivo; ogni e qualsivoglia forma di risarcimento del danno comunque derivante, anche in via mediata, dalle prestazioni di lavoro
espletate in collaborazione con l’Azienda, anche extracontrattuale e/o non patrimoniale ex artt.2043, 2059,
2087 e 2116, co.2, cod.civ.; il lavoratore rinuncia altresì ad ogni eventuale diritto di precedenza derivante da
norme di legge e/o di contratto collettivo nazionale e/o di secondo livello e/o individuale;
10.la sottoscrizione del presente verbale avviene ai sensi, per gli effetti e in conformità all’art.54, D.Lgs. n.81/15;
11.rimane fatta salva, per il lavoratore, la verifica della correttezza dei conteggi effettuati dall’Azienda;
12.il lavoratore, con la sottoscrizione del presente verbale, conferma di avere piena e completa conoscenza
delle rinunzie e transazioni poste in essere e degli effetti che ne derivano e ne ribadisce l’immediata efficacia
delle stesse;
13.il lavoratore, con la sottoscrizione del presente verbale, conferma di avere ricevuto, da parte del conciliatore
al quale ha conferito mandato, puntuale e completa assistenza in merito ai contenuti dell’accordo medesimo
24
Strumenti di lavoro n.1/2016
CONTRATTUALISTICA DEL LAVORO
e degli effetti che ne derivano;
14.l’eventuale deposito del presente verbale rimane a carico del lavoratore e del conciliatore;
15.il lavoratore si obbliga a mantenere riservate le condizioni e i termini della presente conciliazione, le circostanze che hanno condotto alla sottoscrizione della conciliazione medesima, nonché ogni informazione
o notizia appresa in corso della stessa, anche riguardante altri lavoratori, nei limiti in cui tale obbligo di
confidenzialità non contrasti con obblighi di legge; le parti si danno reciprocamente atto che tale obbligo
di confidenzialità è condizione essenziale e determinante il consenso dell’Azienda alla conciliazione stessa.
Letto, confermato e sottoscritto, in __________, lì ________________
Il lavoratore, anche a riconferma del mandato sindacale
(_________________________)
_______________________________________
L’Azienda
(______________________)
_______________________________________
Ufficio vertenze legali ______________ – il Conciliatore
(____________________)
_______________________________________
All:
• Lettera di assunzione ai sensi del D.Lgs. n.23/15
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Strumenti di lavoro n.1/2016
CONTRATTUALISTICA DEL LAVORO
Redazione del contratto di solidarietà difensivo
ed elementi gestionali
di Mauro Marrucci – consulente del lavoro
In caso di crisi d’impresa, la selezione dell’ammortizzatore sociale utile a dare il massimo sostegno
alle aziende e ai lavoratori è sempre stata una questione quantomeno delicata. La soluzione, con le
novità introdotte dal D.Lgs. n.148/15, recante disposizioni per il riordino della normativa in materia di
ammortizzatori sociali in costanza di rapporto di lavoro, in attuazione della L. n.183/14, si presenta
ancora più difficile in relazione alle numerose novità introdotte nell’ordinamento, in guisa tale da
impegnare gli operatori in un’indagine ancora più approfondita rispetto al passato, sia sotto il profilo
tecnico e giuridico che sugli aspetti gestionali.
Le valutazioni preliminari
Risulta necessario, in via preliminare, muovere dall’analisi degli istituti disponibili secondo le caratteristiche
soggettive datoriali e in relazione alla medesima natura della crisi, in modo da utilizzare, secondo le necessità,
strumenti di carattere temporaneo o di matrice più organica.
Ove le criticità aziendali comportino una strutturale riduzione di orario in aziende rientranti nell’ambito
dell’art.20, D.Lgs. n.148/15, sarà necessario valutare l’entità della contrazione necessaria, oltre alle motivazioni
che l’hanno determinata, per opzionare una delle causali che consentano il ricorso alla cassa integrazione guadagni straordinaria: riorganizzazione aziendale, crisi aziendale o contratto di solidarietà.
In ogni caso, secondo quanto previsto dall’art.24, co.4, D.Lgs. n.148/15, eccettuato il ricorso alla Cigs da parte
di imprese edili e affini, si rende comunque necessaria una valutazione congiunta, in sede negoziale, sulla possibilità di ricorrere al contratto di solidarietà, in quanto, per le restanti causali, “le parti devono espressamente
dichiarare la non percorribilità della causale di contratto di solidarietà di cui all’articolo 21, comma 1, lettera c)”.
Il vantaggio della durata
Con l’uniformazione di tutte le causali d’intervento Cigs ai principi generali espressi agli articoli da 1 a 8, D.Lgs.
n.148/15, il ricorso al contratto di solidarietà assume rilevanza unicamente allorquando la contrazione dell’orario, ancorché computata in termini medi tra i lavoratori interessati, non sia superiore al 60% dell’orario (giornaliero, settimanale o mensile)1. Astrattamente, il ricorso alla solidarietà rimane comunque la soluzione più
vantaggiosa, in quanto:
“ai fini del calcolo della durata massima complessiva di cui all’articolo 4, comma 1, la durata dei trattamenti
per la causale di contratto di solidarietà viene computata nella misura della metà per la parte non eccedente
i 24 mesi e per intero per la parte eccedente”.
I nuovi costi
Nel regime contemporaneo si perdono tuttavia i vantaggi che facevano del contratto di solidarietà, di cui all’art.1,
L. n.863/84, la soluzione più vantaggiosa, in quanto le aziende che vi ricorrevano non erano tenute al pagamento del contributo addizionale per la cassa integrazione di cui all’art.12, L. n.164/752, e l’integrazione salariale che
ne derivava era esclusa dal c.d. massimale mensile di cui all’allora vigente L. n.427/803, favorendo i lavoratori con
fasce alte di retribuzione, beneficiari di un elevato sostegno reddituale.
Con l’entrata in vigore del D.Lgs. n.148/15, il contratto di solidarietà, oltre ad essere vincolato al massimale d’integrazione salariale mensile, viene assoggettato a contribuzione addizionale in ragione del:
Fermo restando che, per ciascun lavoratore, la percentuale di riduzione complessiva dell’orario di lavoro non può essere superiore al 70% nell’arco
dell’intero periodo per il quale il contratto di solidarietà è stipulato (cfr. art.21, co.5, quinto periodo, D.Lgs. n.148/15).
2
In forza dell’esclusione prevista dall’art.8, co.8, D.L. n.86/88, convertito con modificazioni nella L. n.160/88.
3
Ai sensi e per gli effetti dell’art.13, co.1, L. n.223/91.
1
26
Strumenti di lavoro n.1/2016
CONTRATTUALISTICA DEL LAVORO
• 9% della retribuzione globale che sarebbe spettata al lavoratore per le ore di lavoro non prestate, relativamente ai periodi di integrazione salariale ordinaria o straordinaria fruiti all’interno di uno o più interventi
concessi sino a un limite complessivo di 52 settimane in un quinquennio mobile;
• 12% oltre il limite di 52 e fino a 104 settimane in un quinquennio mobile;
• 15% oltre il limite di 104 settimane in un quinquennio mobile.
La scelta della solidarietà, contrariamente al passato, è quindi preordinata soltanto da esigenze di carattere
strutturale, connesse alla sostenibilità degli orari residualmente lavorabili, oltre che da convenienze di carattere
quantitativo riferite alla complessiva durata del ricorso alle integrazioni salariali, che, se adeguatamente dosate
anche attraverso questa soluzione, può essere estesa a 36 mesi anziché a 24 nel quinquennio mobile4.
vantaggidella
solidarietà
Ènecessariaunavalutazione
congiunta,insedenegoziale,sulla
possibilitàdiricorrerealcontratto
disolidarietà
esclusiidirigen,,ilavoratoriadomicilioegli
apprendis,
Lasceltadellasolidarietà,contrariamentealpassato,è
preordinatasoltantodaesigenzedicara5erestru5urale,connesse
allasostenibilitàdegliorarilavorabili
vincolatoalmassimaled’integrazionesalarialemensile
limi,ecos,
assogge7atoacontribuzioneaddizionale
La struttura dell’accordo e la gestione del contratto
Resta intatto il presupposto giuridico posto a base dell’istituto, che muove dalla “riduzione dell’orario di lavoro
al fine di evitare, in tutto o in parte, la riduzione o la dichiarazione di esubero del personale anche attraverso un
suo più razionale impiego”.
Per questo il contratto di solidarietà, così come in precedenza, può essere stipulato sia quale soluzione rimediale
a una procedura di licenziamento collettivo già attivata, ex art.4, co.5, L. n.223/91, sia come modalità diretta per
la gestione dell’eccedenza di personale.
Contenuti dell’accordo
La solidarietà difensiva presuppone la stipula di un contratto collettivo aziendale ai sensi dell’art.51, D.Lgs.
n.81/15. L’atto negoziale, pertanto, in termini difformi alla procedura di formazione dell’accordo prevista
dall’art.24, co.2, D.Lgs. n.148/15, nelle procedure di Cigs per crisi e per riorganizzazione, non presuppone l’intervento degli uffici della Regione o del Ministero del Lavoro, ma unicamente un confronto tra il soggetto datoriale
e le rappresentanze sindacali aziendali ovvero la rappresentanza sindacale unitaria delle associazioni sindacali
comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.
4
Si veda il combinato disposto dell’art.4, co.1, e dell’art.22, co.5, D.Lgs. n.148/15, anche alla luce della circolare n.24/15 del Ministero del Lavoro.
27
Strumenti di lavoro n.1/2016
CONTRATTUALISTICA DEL LAVORO
Il contratto deve essere comunque improntato alle disposizioni dettate dagli artt.3 e 4, D.M. n.94033/16, pubblicato sul sito del Ministero del Lavoro l’8 febbraio 2016 ed efficace dal 9 febbraio 2016, con cui sono stati emanati i “criteri per l’approvazione dei programmi di cassa integrazione guadagni straordinaria ai sensi del decreto
legislativo n. 148 del 14 settembre 2015”.
Come noto, i lavoratori che rientrano nella sfera di applicazione dell’istituto sono gli operai, gli impiegati e i quadri. Ne restano esclusi i dirigenti, i lavoratori a domicilio e gli apprendisti.
Secondo quanto previsto dall’art.3, D.M. n.94033/16, non sono ammessi alla solidarietà i rapporti di lavoro
a tempo determinato instaurati al fine di soddisfare le esigenze di attività produttive soggette a fenomeni di
natura stagionale e i rapporti di lavoro a tempo parziale, qualora non sia dimostrato il carattere strutturale del
part-time nella preesistente organizzazione del lavoro.
Esclusioni
Il contratto di solidarietà non si applica, inoltre, nei casi di fine lavoro e fine fase lavorativa nei cantieri edili.
A tale riguardo, nella circostanza di imprese rientranti nel settore edile, devono essere indicati nella scrittura
contrattuale i nominativi dei lavoratori inseriti nella struttura permanente, distinguendoli da quelli addetti temporaneamente alle attività di cantiere.
Misura dell’integrazione
In ragione dell’assoggettamento dell’istituto alle regole generali, l’integrazione salariale è stabilita nell’80% della
retribuzione globale che sarebbe spettata al lavoratore per le ore di lavoro non prestate, comprese fra le zero
ore e il limite dell’orario contrattuale, nel limite del massimale d’integrazione mensile.
Fatta salva la possibilità di ammissione al pagamento diretto da parte dell’Inps – disposta dal D.M. di autorizzazione al ricorrere delle condizioni di difficoltà finanziaria previste – l’erogazione delle integrazioni salariali è
effettuata alla fine di ogni periodo di paga dall’impresa ai dipendenti e posta a conguaglio nella dinamica tra
contributi dovuti e prestazioni corrisposte.
Per i trattamenti richiesti dal 24 settembre 2015 o, se richiesti antecedentemente, non ancora conclusi entro
tale data, il conguaglio o l’istanza di rimborso delle integrazioni corrisposte ai lavoratori devono essere effettuati, a pena di decadenza, entro sei mesi dalla fine del periodo di paga in corso alla scadenza del termine di durata
della concessione o dalla data del provvedimento di concessione, se successivo, ai sensi dell’art.7, co.3, D.Lgs.
n.148/15.
Il trattamento retributivo perduto dai lavoratori deve essere inizialmente determinato senza tenere conto degli
aumenti economici previsti da contratti collettivi aziendali nel periodo di sei mesi antecedente la stipula del
contratto di solidarietà. Occorre, peraltro, considerare che il trattamento di integrazione salariale è ridotto in
corrispondenza di eventuali successivi aumenti retributivi intervenuti in sede di contrattazione aziendale.
Limiti e divieti di prestazioni aggiuntive
Secondo la previsione dell’art.21, co.5, sesto periodo, D.Lgs. n.148/15, l’accordo sindacale che favorisce il ricorso
al contratto di solidarietà deve specificare le modalità attraverso le quali l’impresa, per soddisfare temporanee
esigenze di maggior lavoro, può modificare in aumento, nei limiti del normale orario lavorativo, l’orario ridotto.
Dal maggior lavoro svolto deriva una corrispondente riduzione del trattamento di integrazione salariale.
L’azienda è tenuta a comunicare l’avvenuta variazione di orario al competente ufficio del Ministero del Lavoro
e delle Politiche Sociali e all’Inps.
In tutti i casi in cui l’azienda debba ricorrere a una riduzione di orario maggiore rispetto a quella stabilita tra le
parti è necessaria la stipula di un nuovo contratto di solidarietà.
La nuova impostazione normativa della solidarietà difensiva rende l’istituto particolarmente rigido rispetto alla
necessità di svolgere attività di lavoro straordinario in caso di eventuali picchi produttivi. L’art.4, co.3, D.M.
n.94033/16, prevede infatti che “in linea generale, non sono ammesse prestazioni di lavoro straordinario per i
lavoratori posti in solidarietà”.
Come in precedenza, continua ad essere possibile il recupero delle quote di accantonamento del trattamento
di fine rapporto relative alla retribuzione persa a seguito della riduzione dell’orario di lavoro. Tuttavia tale facoltà viene negata per le quote del Tfr relativo ai lavoratori licenziati per motivo oggettivo o nell’ambito di una
28
Strumenti di lavoro n.1/2016
CONTRATTUALISTICA DEL LAVORO
procedura di licenziamento collettivo, entro 90 giorni dal termine del periodo di fruizione del trattamento di
integrazione salariale, ovvero entro 90 giorni dal termine del periodo di fruizione di un ulteriore trattamento
straordinario di integrazione salariale concesso entro 120 giorni dal termine del trattamento precedente.
Con il ricorso alla solidarietà difensiva l’azienda assume l’obbligo di evitare licenziamenti per ragioni di carattere
economico. Secondo quanto previsto dall’art.4, co.4, D.M. n.94033/16, nel corso del trattamento straordinario
di integrazione salariale a seguito di stipula di un contratto di solidarietà ‒ al fine di consentire la gestione non
traumatica degli esuberi di personale – è comunque possibile attivare la procedura di licenziamento collettivo
non oppositivo.
esclusiidirigen,,ilavoratoriadomicilioegli
apprendis,
lavoratoriinteressa,
irappor,dilavoroatempodeterminatoina4vità
produ4vesogge6eafenomenidinaturastagionaleei
rappor,atempoparzialenonstru6uraledelpart-,me
nellapreesistenteorganizzazionedellavoro
Inragionedell’assogge'amentodell’is3tutoalleregole
generali,l’integrazionesalarialeèstabilitanell’80percento
dellaretribuzioneglobalechesarebbespe'ataallavoratore
perleoredilavorononprestate,compresefralezerooree
illimitedell’orariocontra'uale,nellimitedelmassimale
d’integrazionemensile
Contra'odisolidarietà
limi,edivie,diprestazioni
aggiun,ve
l’accordosindacaledevespecificarelemodalitàa6raversole
qualil’impresa,persoddisfaretemporaneeesigenzedi
maggiorlavoro,puòmodificareinaumento,neilimi,del
normaleorariolavora,vo,l’orariorido6o
inlineagenerale,nonsonoammesseprestazionidilavoro
straordinarioperilavoratoripos,insolidarietà
La domanda in procedura CIGSonline
Una volta stipulato il contratto di solidarietà si rende necessaria la presentazione dell’istanza al Ministero del Lavoro. Ai sensi dell’art.25, co.1, D.Lgs. n.148/15, la domanda di concessione del trattamento deve essere presentata entro sette giorni dalla data di stipula dell’accordo collettivo aziendale e deve essere corredata dell’elenco
nominativo dei lavoratori interessati dalle sospensioni o riduzioni di orario. Secondo la disposizione, tali informazioni devono essere inviate dall’Inps alle Regioni e Province Autonome, per il tramite del sistema informativo
unitario delle politiche del lavoro, ai fini delle attività e degli obblighi di cui all’art.8, co.1.
Non sono state fornite, tuttavia, informazioni relative alle modalità di invio degli elenchi dei lavoratori, atteso
che, in merito, l’unica prassi emanata è quella della circolare n.197/15, che sembrerebbe regolamentare, attraverso l’invio del file in formato .csv, unicamente la fattispecie della cassa integrazione guadagni ordinaria. Al
momento sembra da ritenere quindi assolto l’adempimento mediante l’allegazione al contratto di solidarietà
dell’elenco dei lavoratori coinvolti, sottoscritto dalle parti stipulanti.
Ossequiare i termini di presentazione della domanda assume una particolare rilevanza, in quanto, in caso di tar-
29
Strumenti di lavoro n.1/2016
CONTRATTUALISTICA DEL LAVORO
dività, il trattamento decorre dal trentesimo giorno successivo alla presentazione della medesima. L’art.25, co.4,
precisa inoltre che, qualora dall’omessa o tardiva presentazione della domanda derivi, a danno dei lavoratori, la
perdita parziale o totale del diritto all’integrazione salariale, l’impresa è tenuta a corrispondere loro una somma
di importo equivalente all’integrazione salariale non percepita.
La domanda di concessione del trattamento straordinario di integrazione salariale deve essere presentata ‒ in
unica soluzione ‒ contestualmente al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e alle Direzioni Territoriali del
Lavoro competenti per territorio attraverso la procedura “CIGSonline”, disponibile sui siti www.cliclavoro.gov.it
o www.lavoro.gov.it, secondo le modalità previste con la nuova versione del “Manuale Utente” aggiornato al 9
febbraio 2016.
Una volta inserita sul portale, alla domanda dovranno essere allegati, in formato elettronico:
• il contratto di solidarietà sottoscritto da tutte le parti;
• l’elenco dei lavoratori coinvolti con indicazione della qualifica e della data di assunzione;
• la “scheda n.8”;
• la delega5 del rappresentante aziendale che autorizza l’utente ad effettuare le operazioni relative alla domanda di Cigs (se l’utente referente è persona diversa dal rappresentante aziendale firmatario della domanda);
• la copia del documento di riconoscimento del rappresentante aziendale.
La domanda deve essere corredata da una marca da bollo da € 16,00. A tale fine sarà possibile operare secondo
due diverse modalità alternative:
1. con successivo invio cartaceo: dovrà essere inviata al “Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Direzione Generale degli Ammortizzatori Sociali e I.O., Div. IV, Via Fornovo, 8, 00192 – Roma”, per posta raccomandata A/R la sola istanza, di cui sopra, in originale, firmata dal rappresentante aziendale nell’apposito spazio,
corredata dalla marca da bollo; a tale domanda non dovranno essere acclusi gli allegati già inviati con la
presentazione elettronica;
2. con esclusivo invio digitale: a tale fine l’istanza (file “Modulo istanza”) deve essere estratta dal sistema per
consentire al rappresentante aziendale di firmarla digitalmente; dopo tale operazione il file così firmato
deve essere reinserito nella procedura CIGSonline prima di effettuare l’inoltro digitale della domanda; la
marca da bollo viene dichiarata a sistema inserendone il codice identificativo prima di estrarre il “Modulo
istanza”; alla domanda, firmata digitalmente, presentata con questa modalità, non deve seguire alcun invio
cartaceo, in quanto tutti i documenti di supporto devono essere allegati, in formato digitale, prima dell’estrazione del “Modulo istanza”.
La concessione del trattamento d’integrazione salariale è stabilita con apposito decreto del Ministero del Lavoro
e delle Politiche Sociali per l’intero periodo richiesto. Fatte salve eventuali sospensioni del procedimento amministrativo che si rendano necessarie a fini istruttori, il decreto di cui al secondo periodo è adottato entro 90
giorni dalla presentazione della domanda da parte dell’impresa.
deveesserepresentataentrose4e
giornidalladatadis0pula
dell’accordocolle?voaziendale
devonoessereallega0ilcontra4odi
solidarietà,l’elencodeilavoratori,la
schedan.8,eventualideleghe,copia
deldocumentodelrappresentante
aziendale
deveesserecorredatadell’elenconomina0vo
deilavoratoriinteressa0dallesospensionio
riduzionidiorario
deveesserepresentataa4raversola
procedura“CIGSonline”disponibile
suisi0“www.cliclavoro.gov.it”o
“www.lavoro.gov.it”
Domandaprocedura
CIGSonline
Laconcessionedeltra6amento
d’integrazionesalarialeèstabilitacon
appositoDecretodelMinisterodellavoro
perl’interoperiodorichiestoentro90
giorni,salvosospensioniistru6orie
ladomandadeveesserecorredatada
unamarcadabolloda€16,00
5
Il modulo delega da compilare è disponibile nel sito internet www.lavoro.gov.it, all’indirizzo: http://www.lavoro.gov.it/AreaLavoro/AmmortizzatoriSociali/CIGS/Pages/cigsonline.aspx.
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Strumenti di lavoro n.1/2016
CONTRATTUALISTICA DEL LAVORO
Preleva
il documento
Fac simile di verbale di accordo sindacale per contratto di solidarietà
(art.21, co.1, lett.c), D.Lgs. n.148/15)
Il giorno 8 marzo 2016 presso la sede della società Rossi Spa, in Livorno, via Garibaldi, 111, si è tenuto un incontro
tra
la Rossi Spa con sede in Livorno, via Garibaldi, 111 (di seguito denominata anche “società” o “azienda”), rappresentata dal Presidente del Consiglio di Amministrazione, Dott. Mario Rossi, assistito dal Dott. Antonio Miglio,
responsabile delle risorse umane,
e
la Rsu in persona dei Signori Primo Rovi, Ugo Selmi e Diego Verdi (di seguito tutti congiuntamente denominati
anche il “sindacato”)
premesso
a) che la società svolge la propria attività di industria metalmeccanica nell’ambito dell’impiantistica industriale,
sia con riferimento alla costruzione che al montaggio di manufatti;
b) che nonostante l’impegno profuso, l’azienda, secondo le proprie attuali condizioni patrimoniali ed economico-finanziarie, non risulta in grado di poter sovvertire l’andamento negativo;
c) che l’azienda, secondo le proprie attuali condizioni economiche, risulta essere sovrastrutturata rispetto al
proprio posizionamento sul mercato, risentendo in termini macroscopici della concorrenza degli operatori
esteri;
d) che la società è organizzata con il lavoro di n.100 dipendenti, come da prospetto riepilogativo dell’intera popolazione aziendale, suddivisa per livello di inquadramento contrattuale e qualifica, allegato sotto la lettera
a) alla presente scrittura, per formarne parte integrante e sostanziale;
e) che la società applica ai propri dipendenti il Ccnl Industria metalmeccanica;
f) che la società opera con un orario di lavoro pari a n.40 ore settimanali, articolato dal lunedì al venerdì;
g) che, per quanto previsto al punto precedente, la società ha provveduto ad aprire una procedura di licenziamento collettivo in data 18 febbraio 2016, per la risoluzione del rapporto di lavoro con n.20 dipendenti;
h) che nell’ambito dell’esame congiunto di cui all’art.4, L. n.223/91, allo scopo di salvaguardare l’occupazione, in considerazione delle possibilità di ripresa per il settore, le parti hanno convenuto, al fine di evitare i
licenziamenti, di procedere alla stipula di un contratto di solidarietà ai sensi dell’art.21, co.1, lett.c), D.Lgs.
n.148/15, congiuntamente individuato quale soluzione più idonea per rendere complessivamente meno
oneroso l’impatto sociale della crisi.
Tutto ciò premesso e considerato, le parti, così come in epigrafe rappresentate, convengono e stipulano
quanto segue:
1. le premesse costituiscono parte integrante e sostanziale del presente accordo;
2. i dipendenti in esubero vengono individuati alla data odierna in numero 20;
3. a decorrere dal 1° aprile 2016 la società darà attuazione a un contratto di solidarietà che, con la sottoscrizione del presente accordo, viene stipulato ai sensi e per gli effetti dell’art.21, co.1, lett.c), D.Lgs. n.148/15;
4. il contratto di solidarietà interesserà n.100 lavoratori, la cui percentuale di riduzione di orario viene analiticamente indicata nell’allegato b) alla presente scrittura per formarne parte integrante e sostanziale;
5. il contratto di solidarietà avrà una durata di 24 (ventiquattro) mesi, con decorrenza dal 1° aprile 2016 e terminerà in data 31 marzo 2018;
6. le parti si danno reciprocamente atto che, nel caso del venir meno delle condizioni che ne hanno determina-
31
Strumenti di lavoro n.1/2016
CONTRATTUALISTICA DEL LAVORO
to la stipula, il contratto potrà essere anticipatamente risolto;
7. il livello massimo di riduzione dell’orario di lavoro operato in attuazione del contratto di solidarietà di cui al
presente accordo sarà su base mensile pari al 20,00% dell’orario normale di lavoro;
8. la parametrazione sull’orario medio settimanale è considerata nel 20,00%, fermo restando che i singoli lavoratori, tenuto conto del rispetto della suddetta media, potranno subire contrazioni di orario in termini
individuali superiori o inferiori, nei limiti di legge;
9. nel caso della necessità di soddisfare temporanee esigenze di maggior lavoro, l’azienda potrà farne richiesta
ai lavoratori, distribuendo il carico orario a rotazione tra i medesimi, tenuto conto delle esigenze produttive
specifiche e delle mansioni interessate;
10.gli istituti retributivi diretti e indiretti per le quote a carico dell’azienda saranno riproporzionati in conseguenza della riduzione dell’orario di lavoro come sopra concordata e per le quote di retribuzione perduta
saranno posti a carico dell’Inps secondo le disposizioni vigenti;
11.l’azienda anticiperà ai lavoratori interessati, alle normali scadenze retributive, l’importo dell’integrazione
salariale a carico dell’Inps, recuperandolo a conguaglio dei versamenti contributivi come da norme vigenti;
12.dopo tre mesi dall’avvio del contratto di solidarietà, e successivamente con cadenza trimestrale, le parti si
incontreranno al fine di verificare costantemente i risultati, l’andamento aziendale, i dati occupazionali e
l’andamento dell’istituto della solidarietà, anche ai fini dell’organizzazione del lavoro;
13.con la sottoscrizione del presente verbale le parti si danno atto di avere stipulato un contratto di solidarietà
ai sensi dell’art.21, co.1, lett.c), D.Lgs. n.148/15.
Letto, confermato e sottoscritto in data odierna.
Allegati:
• allegato a) prospetto della forza lavoro aziendale;
• allegato b) prospetto della contrazione individuale di lavoro.
Seguono le firme
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Strumenti di lavoro n.1/2016
CONTRATTUALISTICA DEL LAVORO
Rossi Spa - Allegato A al contratto di solidarietà stipulato in data 8/3/2016
Contratto di solidarieta' art. 21, comma 1, lett c), D.Lgs. n. 148/2015
Elenco dei lavoratori costituenti l'intera forza aziendale
N.
Cognome
pr.
1
PARDO
2
3
(…)
GIORGINO
(…)
(…)
LUIGI
Data di
nascita
17/05/1959
Data di
Qualifica
assunzione
16/06/2012 OPERAIO - SALDATORE
MARIO
12/10/1965
21/04/2012 OPERAIO - SALDATORE
Nome
(…)
(…)
(…)
(…)
(…)
(…)
(…)
(…)
4
Tipo
avviamento
T.Pieno Indet
4
T.Pieno Indet
Livello
(…)
(…)
Orario H
40
40
(…)
(…)
(…)
(…)
Rossi Spa - Allegato B al contratto di solidarietà stipulato in data 8/3/2016
Contratto di solidarieta' art. 21, comma 1, lett c), D.Lgs. n. 148/2015
Elenco dei lavoratori coinvolti
N.
pr.
Cognome
Nome
Data di
nascita
Data di
assunzione
Qualifica
Livello
Tipo
avviamento
Orario H
Riduzione
di orario %
20
1
PARDO
LUIGI
17/05/1959
16/06/2012 OPERAIO - SALDATORE
4
T.Pieno Indet
40
2
GIORGINO
MARIO
12/10/1965
21/04/2012 OPERAIO - SALDATORE
4
T.Pieno Indet
40
20
(…)
(…)
(…)
(…)
3
(…)
(…)
(…)
(…)
(…)
(…)
(…)
(…)
(…)
(…)
(…)
33
Strumenti di lavoro n.1/2016
(…)
(…)
(…)
(…)
GESTIONE DEL RAPPORTO
La fattispecie dell’affitto d’azienda e il destino
del Tfr
di Riccardo Girotto - consulente del lavoro
L’affitto determina il passaggio dell’azienda da una gestione a un’altra, con la prima che detiene
comunque la proprietà del complesso ceduto: rispetto alle altre operazioni straordinarie, dove varia
la titolarità ma permane il complesso dei beni, l’affitto si differenzia in quanto, per sua definizione,
temporaneo. Ciò rileva soprattutto in quanto l’interesse delle parti coinvolte si concentra tanto sulla
fase iniziale dell’affitto quanto su quella finale: per la sua stessa impostazione l’affitto non rappresenta
quindi un’unica azione circolatoria, in avvio, bensì incorpora anche un’azione conclusiva con pieni
effetti altrettanto circolatori.
Proprio in relazione al Tfr, infatti, la variazione della titolarità, unitamente al rischio retrocessione,
genera precise conseguenze, che vanno considerate anche per valutare il costo dei canoni di affitto
nonché il prezzo dell’eventuale definitiva cessione dell’azienda.
Premessa
Per descrivere l’affitto d’azienda, e il suo impatto sui rapporti di lavoro, è necessario partire dalla più generica
definizione di azienda, rinvenibile dalla lettura dell’art.2555 cod.civ.: “azienda è il complesso dei beni impiegati
nel processo produttivo aziendale da parte dell’imprenditore”.
L’affitto determina il passaggio dell’azienda da una gestione a un’altra, con la prima che detiene comunque la
proprietà del complesso ceduto. È quindi la disponibilità del complesso dei beni impiegati a costituire un’azienda e non la mera proprietà degli stessi. Detta soluzione trova conforto altresì nella definizione codicistica.
Alla luce di quanto detto, pare evidente che tra il proprietario dell’azienda e l’affittuario sorga un vero e proprio
passaggio di disponibilità del complesso aziendale, con quanto ne consegue in relazione a diritti e responsabilità
da condividere tra i soggetti coinvolti.
È indubbio che nel complesso aziendale debbano ricomprendersi anche i dipendenti che, stante il noto disposto
dell’art.2112 cod.civ., vedono incondizionatamente proseguire il rapporto senza soluzione di continuità, indipendentemente dalle variazioni intercorse in capo all’azienda. I rapporti di lavoro, di conseguenza, generano
diverse poste a debito e a credito per le parti, tanto che al momento del passaggio risulta necessario acquisirne
contezza per limitare gli imprevisti.
Tra i diversi titoli spicca il Tfr, che a causa della sua particolare funzione, nonché segnatamente alla sua complessa procedura di maturazione, deve valutarsi in modo precipuo e particolarmente scrupoloso.
Affitto d’azienda: circolazione con effetto boomerang
L’art.2112 cod.civ. disegna in modo limpido le conseguenze derivanti dal trasferimento d’azienda:
“In caso di trasferimento d’azienda, il rapporto di lavoro continua con il cessionario ed il lavoratore conserva
tutti i diritti che ne derivano.
Il cedente ed il cessionario sono obbligati, in solido, per tutti i crediti che il lavoratore aveva al tempo del
trasferimento. Con le procedure di cui agli articoli 410 e 411 del codice di procedura civile il lavoratore può
consentire la liberazione del cedente dalle obbligazioni derivanti dal rapporto di lavoro.
Il cessionario è tenuto ad applicare i trattamenti economici e normativi previsti dai contratti collettivi nazionali, territoriali ed aziendali vigenti alla data del trasferimento, fino alla loro scadenza, salvo che siano
sostituiti da altri contratti collettivi applicabili all’impresa del cessionario. L’effetto di sostituzione si produce
esclusivamente fra contratti collettivi del medesimo livello.
Ferma restando la facoltà di esercitare il recesso ai sensi della normativa in materia di licenziamenti, il trasferimento d’azienda non costituisce di per sé motivo di licenziamento. Il lavoratore, le cui condizioni di lavoro
subiscono una sostanziale modifica nei tre mesi successivi al trasferimento d’azienda, può rassegnare le pro-
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Strumenti di lavoro n.1/2016
GESTIONE DEL RAPPORTO
prie dimissioni con gli effetti di cui all’articolo 2119, primo comma.
Ai fini e per gli effetti di cui al presente articolo si intende per trasferimento d’azienda qualsiasi operazione
che, in seguito a cessione contrattuale o fusione, comporti il mutamento nella titolarità di un’attività economica organizzata, con o senza scopo di lucro, preesistente al trasferimento e che conserva nel trasferimento la propria identità a prescindere dalla tipologia negoziale o dal provvedimento sulla base del quale il
trasferimento è attuato ivi compresi l’usufrutto o l’affitto di azienda. Le disposizioni del presente articolo si
applicano altresì al trasferimento di parte dell’azienda, intesa come articolazione funzionalmente autonoma
di un’attività economica organizzata, identificata come tale dal cedente e dal cessionario al momento del suo
trasferimento”.
Riusciamo a desumere da questa fonte come l’affitto d’azienda possa considerarsi a pieno titolo assoggettato
alla regolamentazione dell’art.2112 cod.civ., generando quindi precisa prosecuzione del rapporto di lavoro dipendente, nonché garanzia dei crediti maturati grazie alla responsabilità solidale.
Rispetto alle altre operazioni straordinarie, ove varia la titolarità ma permane il complesso dei beni, l’affitto si
differenzia in quanto, per sua definizione, temporaneo. Ciò rileva soprattutto in quanto l’interesse delle parti
coinvolte si concentra tanto sulla fase iniziale dell’affitto quanto su quella finale. Quest’ultima, infatti, può portare:
• una “retrocessione”, e quindi una nuovo trasferimento;
• oppure una definitiva “cessione”, che dal punto di vista lavoristico non corrisponde altro che a una conferma
definitiva della situazione di fatto e che scongiura peraltro l’ipotesi retrocessione.
Retrocessione rilevante ai fini art.2112 cod.civ.
Per la sua stessa impostazione l’affitto non rappresenta quindi un’unica azione circolatoria, in avvio, bensì incorpora anche un’azione conclusiva con pieni effetti altrettanto circolatori e, per tale motivo, risulta essere l’unica
ipotesi di trasferimento dagli effetti boomerang.
La posizione dei dipendenti deve quindi risultare chiara ex ante alle parti, tanto con riferimento all’avvio dell’affitto quanto alla possibile retrocessione, che, se non prevista negli effetti, può provocare rilevanti e inaspettate
conseguenze a carico del locatore. Proprio in relazione al Tfr, infatti, la variazione della titolarità, unitamente al
rischio retrocessione, genera precise conseguenze, che vanno considerate anche per valutare il costo dei canoni
d’affitto, nonché il prezzo dell’eventuale definitiva cessione dell’azienda.
Trattamento di fine rapporto tra maturazione ed esigibilità
L’analisi dei passaggi inerenti il destino del Tfr richiede contezza del metodo di maturazione nonché delle condizioni di esigibilità.
Per trattare il tema con cognizione di causa ed evidenziarne i profili di criticità non possiamo che iniziare dal
testo di Legge che ne descrive il metodo di maturazione, l’art.2120 cod.civ.:
“In ogni caso di cessazione del rapporto di lavoro subordinato, il prestatore di lavoro ha diritto ad un trattamento di fine rapporto. Tale trattamento si calcola sommando per ciascun anno di servizio una quota pari e
comunque non superiore all’importo della retribuzione dovuta per l’anno stesso divisa per 13,5. La quota è
proporzionalmente ridotta per le frazioni di anno, computandosi come mese intero le frazioni di mese uguali
o superiori a 15 giorni [...]. Il trattamento di cui al precedente primo comma, con esclusione della quota
maturata nell’anno, è incrementato, su base composta, al 31 dicembre di ogni anno, con l’applicazione di
un tasso costituito dall’1,5 per cento in misura fissa e dal 75 per cento dell’aumento dell’indice dei prezzi al
consumo per le famiglie di operai ed impiegati, accertato dall’ISTAT, rispetto al mese di dicembre dell’anno
precedente.
Ai fini della applicazione del tasso di rivalutazione di cui al comma precedente per frazioni di anno, l’incremento dell’indice ISTAT è quello risultante nel mese di cessazione del rapporto di lavoro rispetto a quello di
dicembre dell’anno precedente. Le frazioni di mese uguali o superiori a quindici giorni si computano come
mese intero”.
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Dal testo emerge come il diritto al titolo sorga in occasione della cessazione. Per la qualificazione della natura
del Tfr, però, si deve tener conto della concomitanza tra due diverse tesi, determinanti conseguenze completamente differenti.
Tfr: diritto a piena maturazione alla cessazione del rapporto
Si assuma infatti come, considerando il Tfr un diritto a piena maturazione corrispondente alla cessazione del rapporto, il cessionario (affittuario nel nostro caso) risulterebbe l’unico debitore gravato dall’intera posta maturata,
indipendentemente dal fatto che il lavoratore abbia operato anche solo un mese presso l’azienda affittuaria.
In questo senso si è espressa la Cassazione, sezione lavoro, con le pronunce n.55/90, n.7081/91, n.9189/91,
n.2714/93, n.12548/95, n.11470/97 e 15371/04, precisando come il diritto al Tfr sorga soltanto al momento
della risoluzione del rapporto, pertanto in seguito al trasferimento d’azienda l’unico debitore risulterebbe il
cessionario, anche con riferimento a quanto maturato nel periodo di gestione in capo al cedente. Questa tesi
risulterebbe peraltro perfettamente aderente alla prima regolamentazione dell’indennità di anzianità, che prevedeva la diretta connessione tra l’indennità e l’ultima retribuzione percepita dal lavoratore. Secondo questa
teoria nel corso del rapporto non sarebbe possibile azionare alcun credito, se non il mero accertamento dello
stesso, inutile a maturare alcun diritto al trattamento: così concludono Cassazione n.18289/07 e n.11778/12.
Tfr: diritto a maturazione progressiva alla cessazione del rapporto
Diametralmente opposta la tesi che vede l’istituto a maturazione progressiva, potenzialmente frazionabile pro
quota per ogni datore di lavoro di volta in volta titolare del rapporto. Ovviamente, seguendo questa seconda
ipotesi, l’affittuario risulterebbe responsabile principale solamente di quanto maturato durante la propria gestione, mantenendo ai sensi dell’art.2112 cod.civ. la mera responsabilità solidale con riferimento a quanto maturato presso il precedente datore di lavoro fino al momento dell’affitto.
A favore di questa tesi si è schierata la più recente Cassazione, sezione lavoro, con le pronunce n.18501/08
n.24635/09, n.19291/111 e n.20873/13, più recentemente conforme, in merito, Tribunale di Milano n.5571/15
e, infine, in legittimità, Cassazione n.9464/15. Già a suo tempo le SS.UU., con sentenza n.11945/90, comunque,
precisarono come l’azione di accertamento sul credito da Tfr possa esercitarsi anche in costanza di rapporto.
A sostegno della tesi della maturazione progressiva come pura retribuzione differita si è schierata in senso
consolidato anche la Cassazione, sezione V, in ambito tributario, con le pronunce n.12201/02, n.26438/08 e
n.11175/05, che negli anni ha qualificato il Tfr come un diritto di credito a pagamento differito, con maturazione
“di anno in anno”.
Ovviamente anche la posizione favorevole al frazionamento si limita a trattare la questione della maturazione,
confermando comunque l’esigibilità esclusivamente alla cessazione del rapporto.
Soluzione operativa
Assunto quindi che entrambe le diverse tesi, pur trovandosi agli antipodi, hanno ricevuto lauti appoggi dalla
giurisprudenza, tanto di merito quanto di legittimità, alternate secondo preciso criterio cronologico, si rende
necessaria un’approfondita valutazione della problematica nel momento stesso in cui ci si trova coinvolti.
Sintetizzando, ora la giurisprudenza di legittimità sembra orientarsi con fermezza verso le ipotesi di spacchettamento, con chiara esigibilità solo alla cessazione del rapporto. Ne deriva che, nel caso de quo dell’affitto d’azienda, trattandosi di passaggio senza soluzione di continuità, il datore di lavoro potrà accertare il proprio credito
presso i diversi debitori (Cass. n.4736/12), ma non richiedere il trattamento se non al momento della cessazione
del rapporto (salvo quanto si dirà in tema di affitto nella crisi d’impresa). A chiusura si può riportare proprio
l’incipit dell’art.2112 cod.civ.: “in ogni caso di cessazione del rapporto ...”.
Chiaramente l’esigibilità al termine del rapporto trova conforto nel disposto dell’art.2112 cod.civ., che impone la
continuità indipendentemente dalla variazione della titolarità aziendale, continuità scalfibile unicamente tramite la sottoscrizione di accordi da procedura assistita ai sensi dell’art.2113 cod.civ., trattandosi di diritto indisponibile previsto da fonte di Legge. Si tenga conto che solamente la deroga all’art.2112 cod.civ. tramite i citati accordi
permette la liquidazione del Tfr maturato prima del passaggio alla cessionaria (o affittuaria).
1
Commento di A.Pedroni e G. Camilli, in “Guida al Lavoro” n.42/11, pag.23.
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Da tenere in buona considerazione, infine, l’intervento normativo sul tema, portato dall’ultima versione
dell’art.29, D.Lgs. n.276/03, che precisa al secondo comma:
“In caso di appalto di opere o di servizi, il committente imprenditore o datore di lavoro è obbligato in solido
con l’appaltatore, nonché con ciascuno degli eventuali subappaltatori entro il limite di due anni dalla cessazione dell’appalto, a corrispondere ai lavoratori i trattamenti retributivi, comprese le quote di trattamento di
fine rapporto, nonché i contributi previdenziali e i premi assicurativi dovuti in relazione al periodo di esecuzione del contratto di appalto…”.
Pur trattandosi di tema differente, appalto e non affitto, il disposto risulta assolutamente congruo al tema trattato, in quanto, pare per la prima volta, in un testo di legge viene richiamato il possibile frazionamento del Tfr, che
certo creerà non pochi grattacapi operativi ai diversi datori di lavoro (sostituti d’imposta) che, alla cessazione del
rapporto, potrebbero dover liquidare la quota di propria competenza, applicando altresì precisa rivalutazione e
precisa tassazione.
Concludendo, pare evidente come l’affittuario, acquisendo un debito sorto per effetto della precedente gestione, avrà tutto l’interesse ad evitare il passaggio dell’intero accantonamento Tfr come previsto dall’art.2112 cod.
civ., propendendo per la stipula degli accordi assistiti, oppure, in assenza di questi, per la rifusione da parte
dell’affittante del debito che si trascina. Una volta liquidata l’intera posta, l’affittuario avrà quindi tutto l’interesse a rivalersi presso l’affittante (qualora capiente).
La caratteristica che spicca nell’affitto, a differenza delle altre operazioni societarie, come abbiamo detto, è
la doppia solidarietà che si configura tanto al momento dell’affitto quanto al momento della retrocessione.
Ne deriva che negli accordi assistiti risulta fondamentale la previsione inerente sia il passaggio da affittante
ad affittuario che la retrocessione nuovamente all’affittante.
La retrocessione, infatti, restituisce azienda e debiti maggiorati dalla gestione dell’affittuario (si pensi anche
all’assunzione di nuovo personale dipendente), ma spesso operativamente non viene prevista dagli accordi di
affitto, anche perché non sempre prevedibile dei tempi di esecuzione, stante le situazioni incidentali che possono compromettere il contratto di affitto (ex fallimento, rescissione del contratto, restituzione dell’azienda per
effetto di un provvedimento giudiziale etc.).
TFReaffi(omaturazionea
caricodi
AziendaA
AziendaB“Affi(uaria”
AziendaA
retrocessione
affi+o
responsabilitàperil
pregresso
Previdenza complementare: timide interpretazioni
responsabilitàsolidaleperquanto
maturatoinaffi+o
Un nodo da sciogliere resta quello del Tfr conferito alla previdenza complementare. L’affitto garantisce infatti
la continuità del rapporto, pertanto non dovrebbe nemmeno porsi la questione in riferimento alla previdenza
complementare, in quanto la scelta per la destinazione del Tfr rappresenta, ai sensi della fonte istitutiva, una
scelta irrevocabile.
Residuano però casistiche specifiche di perdita delle condizioni di conferimento al Fondo, di fronte a questi casi
il datore di lavoro subentrante dovrà chiedersi se riformulare al lavoratore la questione circa la scelta della destinazione del proprio Tfr.
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Non è da escludersi che il passaggio all’affittuario agevoli la liquidazione delle somme accantonate, in ossequio
a precise previsioni del Fondo gestore, ma pur sempre, a parere di chi scrive, in violazione del D.Lgs. n.252/05,
art.14, co.2, che tipizza gli effetti di trasferimento della posizione e di perdita dei requisiti di iscrizione al Fondo
prescelto:
a) il trasferimento ad altra forma pensionistica complementare alla quale il lavoratore acceda in relazione
alla nuova attività;
b) il riscatto parziale, nella misura del 50 per cento della posizione individuale maturata, nei casi di cessazione dell’attività lavorativa che comporti l’inoccupazione per un periodo di tempo non inferiore a 12 mesi
e non superiore a 48 mesi, ovvero in caso di ricorso da parte del datore di lavoro a procedure di mobilità,
cassa integrazione guadagni ordinaria o straordinaria;
c) il riscatto totale della posizione individuale maturata per i casi di invalidità permanente, che comporti la
riduzione della capacità di lavoro a meno di un terzo, e a seguito di cessazione dell’attività lavorativa che
comporti l’inoccupazione per un periodo di tempo superiore a 48 mesi. Tale facoltà non può essere esercitata nel quinquennio precedente la maturazione dei requisiti di accesso alle prestazioni pensionistiche
complementari; in questi casi si applicano le previsioni di cui al comma 4 dell’articolo 11.
In caso di affitto, l’esercizio della facoltà di trasferimento della posizione individuale consente al lavoratore di ottenere il pieno diritto al versamento alla forma pensionistica da lui prescelta del Tfr maturando e dell’eventuale
contributo a carico del datore di lavoro, nei limiti e secondo le modalità stabilite dai contratti o accordi collettivi,
anche aziendali.
Nel caso, invece, in cui l’affitto determini la perdita dei requisiti per uno dei motivi elencati, il lavoratore sarà
assoggettato alle conseguenze previste dal co.2, art.14. L’affitto, però, potrebbe generare una retrocessione
con il riemergere delle condizioni di conferimento. A quel punto il dipendente, che inizialmente aveva versato
alcune quote al Fondo prescelto, e conseguentemente all’affitto aveva visto le stesse quote trasferite ad altro
Fondo o liquidate almeno in parte, per effetto della retrocessione si troverebbe nell’ipotesi di dover conferire
nuovamente al Fondo inizialmente prescelto. Inutile enfatizzare che ogni ipotesi legale o pattizia di liquidazione
totale o parziale delle quote accantonate priverebbe il lavoratore della reale natura previdenziale del Fondo2.
A completamento si segnala che secondo la Covip non è possibile attivare clausole che agevolino il riscatto della
posizione individuale, qualora il trasferimento di ramo d’azienda determini l’impegno dell’affittuario di continuare il conferimento alle forme pensionistiche complementari.
TFReprevidenza
complementare
AziendaA AziendaB“Affi7uaria”AziendaA
fondochiuso
fondochiuso
fondochiuso
fondochiuso
fondochiuso
cambiofondochiusoper
diversose2ore
fondoapertoperdiverso
se2ore
ritornoalprimofondochiuso
mantenimentofondoaperto
Ipoteticamente il Fondo può prevedere il versamento anche di quote aggiuntive, rappresentate nel caso di specie da quanto liquidato in passato, ma
chiaramente si tratta di facoltà in capo del lavoratore e proprio per questo svilisce il vero senso dell’obiettivo pensionistico.
2
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Tfr e Tesoreria: complesso intreccio tra obblighi previdenziali e crediti retributivi
Con riferimento al Tfr nell’affitto abbiamo trattato la questione del Fondo aziendale e della maturazione progressiva presso l’azienda; abbiamo valutato le conseguenze del conferimento alla previdenza complementare;
è giunto quindi il momento di considerare le conseguenze in caso di conferimento al Fondo di Tesoreria per le
aziende che, al primo anno di attività oppure al 31 dicembre 2006 occupavano più di 50 dipendenti.
Posto che non si tratta di un problema che coinvolge direttamente il dipendente, che vedrà comunque al momento della cessazione del rapporto in ogni caso il proprio Tfr liquidato in toto dal datore di lavoro, l’azienda
deve invece ragionare su un tema che coinvolge tanto l’ambito previdenziale, con ciò che ne consegue, con riferimento alla regolarità contributiva, per effetto della Legge Finanziaria per il 2007, quanto l’ambito dei crediti da
lavoro, per effetto dell’art.2120 appunto.
Per introdurre il tema non si può non ricordare che il Fondo di Tesoreria è per sempre. Infatti, con riferimento
alla forza lavoro il cui trattamento maturando è stato destinato al Fondo Tesoreria, tanto in caso di riduzione
del requisito occupazionale quanto in caso di passaggio di dipendenti ad altra azienda non coinvolta dall’obbligo, il vincolo di versamento del Tfr maturando non si placa. Ciò che conta è quindi la condizione aziendale
al 31 dicembre 2006 oppure, nel caso di aziende costituite successivamente a tale data, il primo anno di
attività.
Il fatto che sia per sempre risolve ex se il problema legato all’affitto, in quanto ogni passaggio e successiva retrocessione non crea alcun pregiudizio né alcuno stravolgimento alla maturazione dell’istituto, ma cambia invece
la visione dell’azienda nel rapporto con l’Ente previdenziale. Infatti anche l’azienda originariamente non obbligata, in presenza di operazioni societarie coinvolgenti dipendenti il cui Tfr viene accantonato al Tesoreria, sarà
costretta esclusivamente per i lavoratori acquisiti a proseguire vita natural durante con i versamenti al Fondo.
Si immagini quindi l’insieme delle problematiche amministrative determinate dal dover gestire ogni mese disgiuntamente i lavoratori in essere ante operazione, non coinvolti dal Tesoreria, e quelli acquisti, per i quali
il versamento costante è d’obbligo. La soluzione di continuità nel rapporto con i lavoratori acquisiti risulterà
l’unica soluzione per poter equiparare la gestione di tutti i dipendenti in forza. Infatti anche la stipula di accordi
assistiti nel rispetto dell’art.2113 cod.civ. non garantisce l’esonero del versamento per i lavoratori acquisiti, stante l’indisponibilità del rapporto con l’istituto a favore delle parti stipulanti.
Si assuma poi come l’affittuario dovrà farsi carico di tutte le operazioni utili alla rivalutazione del Fondo Tfr, nel
rispetto delle disposizioni contenute nell’art.2120 cod.civ., sapendo però che anche la rivalutazione stessa dovrà
porsi a carico del Fondo di Tesoreria.
Residua, infine, la gestione della patologia del sistema, connessa all’ipotesi di circolazione aziendale. Se l’azienda
affittante risultasse morosa nei confronti del Fondo, l’affittuaria non verrebbe coinvolta da alcuna responsabilità
solidale, ritenendosi obbligata per l’intera quota verso i lavoratori, che conguagliata con il Fondo risulterebbe
assolutamente neutra. Non così per l’affittante, che risulterà sempre unico responsabile nei confronti dell’Inps.
Tra le fonti che regolano la materia, oltre all’istitutiva rappresentata dall’art.1, L. n.296/06, nutrita è la produzione Inps, che ha presentato la circolare n.70/07 e i messaggi n.21062/09, n.2057/12 e n.17020/12. Tutti questi
documenti hanno tentato di chiarire un sistema di gestione di un Fondo anomalo, che nasce con finalità di mero
depositario, ma acquisisce natura di obbligo previdenziale, creando non pochi problemi alle aziende rientranti
nel requisito occupazionale minimo richiesto.
INPScreditriceperogni
frazionedisolidarietà
TFRpost2006tesoreria
TFRpost2006tesoreria
retrocessione
affi+o
aziendaA
TFRpost2006tesoreria
aziendaBaffi+uaria
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aziendaA
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Ipotesi di circolazione aziendale in tempo di crisi
Tutto quanto fin qui scritto incontra alcune limitazioni e alcune deroghe nel caso di aziende che si trovino in
situazione di crisi. Ci limiteremo a citare molto sinteticamente i punti critici, stante la necessità di dedicare un
futuro autonomo contributo al tema.
Art.47, co.4-bis e 5, L. n.428/90
Questo articolo, al co.1, intende disegnare la procedura necessaria per tutelare i trasferimenti d’azienda ove la
cedente occupi più di 15 dipendenti. Se il co.1 limita quindi il proprio campo d’applicazione alle aziende dimensionate, non è così per i successivi co.4-bis e 5, che si applicano, a discrezione delle parti, trasversalmente a tutte
le aziende, indipendentemente dal requisito occupazionale, rispettando le tipologie tipizzate di crisi:
• per il co.4-bis:
෮෮ stato di crisi aziendale, ai sensi dell’art.2, co.5, lett.c), L. n.675/77;
෮෮ amministrazione straordinaria;
෮෮ dichiarazione di apertura della procedura di concordato preventivo;
෮෮ omologazione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti;
• per il co.5:
෮෮ dichiarazione di fallimento;
෮෮ omologazione di concordato preventivo consistente nella cessione dei beni,
෮෮ emanazione del provvedimento di liquidazione coatta amministrativa;
෮෮ sottoposizione all’amministrazione straordinaria.
La procedura di cui al co.4-bis permette di applicare l’art.2112 cod.civ. limitatamente ai termini e con le limitazioni previste dall’accordo, mentre la procedura di cui al co.5 permette di non applicare proprio l’art.2112 cod.
civ. in caso di accordo circa il mantenimento anche parziale dell’occupazione.
Rileva quindi la possibilità, nei due casi, di interrompere il rapporto prima del passaggio all’affittuario, agevolando così la scissione tra le poste di Tfr ante e post operazione, nonché, questione di non poco conto, neutralizzando la responsabilità solidale. La particolarità di questi accordi è che non necessitano di sottoscrizioni
individuali dei lavoratori, pertanto senza la loro espressa accettazione viene ad interrompersi la continuità
del rapporto grazie all’efficacia gestionale, e si potrebbe aggiungere autorizzativa, dell’accordo sindacale
collettivo.
Art.104-bis Legge Fallimentare
Questo particolare articolo, al co.VI, permette di disapplicare l’art.2112 cod.civ., testualmente:
“La retrocessione al fallimento di aziende, o rami di aziende, non comporta la responsabilità della procedura
per i debiti maturati sino alla retrocessione, in deroga a quanto previsto dagli articoli 2112 …”.
Anche in questo caso la responsabilità solidale viene meno, pertanto il Tfr potrà spezzettarsi completamente,
pur in presenza di continuazione del rapporto di lavoro, dividendo le varie poste tra:
• periodo ante affitto;
• periodo ad affitto in corso;
• periodo post affitto.
In quest’ipotesi il dipendente, alla cessazione, si vedrà liquidare il Tfr da soggetti diversi, pur non avendo mai
interrotto il suo rapporto.
Gli effetti di questo articolo variano a seconda della spregiudicatezza dell’interprete. Una parte della dottrina
tende a limitarne l’applicazione agli affitti d’azienda endofallimentari, chi scrive aderisce a questa tesi esclusiva;
mentre altra parte ritiene, in senso più inclusivo, lo stesso applicabile a tutti i casi di affitto d’azienda nel fallimento, comprendendo anche l’affitto esofallimentare.
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Strumenti di lavoro n.1/2016
GESTIONE DEL RAPPORTO
Art.104L.F.maturazionea
caricodi
AziendaA
AziendaB“Affi8uaria”
affi#o
AziendaA
retrocessione
nonc’èresponsabilitàsolidaleper
quantomaturatoincorsod’affi#o
Fondo di Garanzia Inps
Il Fondo interviene in caso di insolvenza dettata dall’assoggettamento a procedure concorsuali o dall’impossibilità di accedervi per assenza di requisiti. In entrambe i casi il Fondo liquida al dipendente l’intero Tfr da questo
maturato, salvo poi attaccare l’azienda debitrice per chiederne il ristorno3. L’Istituto, che correttamente richiede
la cessazione del rapporto come requisito imprescindibile per la liquidazione del titolo, tende a non riconoscere
intese pattizie intervenute per disapplicare la solidarietà nei passaggi d’azienda.
Nonostante la posizione di chiusura che spesso adotta l’Istituto, anche questa apprezzabile misura a sostegno
dei dipendenti vessati deve adeguarsi a quanto stabilito tra le parti e contenuto negli accordi collettivi ex art.47,
co.4-bis e 5, L. n.428/90, e individuali ex art.2113 cod.civ., ultimo comma.
Artt.2113 cod.civ., artt.410 e 411 c.p.c.
Queste soluzioni a disposizione dei dipendenti permettono di optare per caricare il debito relativo al proprio Tfr
in toto a uno o all’altro creditore, in deroga a quanto previsto dall’art.2112 cod.civ.. È lo stesso testo, infatti, a
farne menzione al co.2:
“Con le procedure di cui agli articoli 410 e 411cpc del codice di procedura civile il lavoratore può consentire
la liberazione del cedente dalle obbligazioni derivanti dal rapporto di lavoro”.
Nulla quaestio sull’efficacia di tali intese, di gran lunga le più utilizzate per gestire a piacere i debiti da lavoro
nelle operazione di M&A, salvo considerare la particolarità che riguarda la tesi della maturazione del Tfr alla
cessazione del rapporto.
Come si evince da alcune sentenze anche di legittimità, infatti, il Tfr assumerebbe valore di diritto futuro, pertanto non disponibile, rendendo nella sostanza vano ogni tentativo di disporne liberamente.
3
Si segnala, R. Girotto, Capire il Fondo di garanzia per semplificare il recupero dei crediti da lavoro, in “La circolare di lavoro e previdenza” n.24/15.
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CONTENZIOSO DEL LAVORO
Il ruolo del consulente del lavoro nelle ispezioni
dopo il Jobs Act
di Francesco Natalini - consulente del lavoro1
Il mutato quadro normativo dei rapporti di lavoro delinea nuovi approcci nella gestione delle ispezioni
sul lavoro: nell’articolo che segue l’autore ne evidenzia i principali elementi di criticità, fornendo
contestualmente spunti e soluzioni per l’assistenza del professionista alle aziende.
Introduzione
Le numerose e importanti modifiche intervenute negli ultimi mesi in materia di lavoro e previdenza (in gran parte derivanti dall’attuazione del c.d. Jobs Act), riverbereranno i propri effetti (e non poteva essere diversamente)
anche sulla materia delle ispezioni sul lavoro e, più in generale, sul contenzioso nascente dagli accertamenti
degli organi di vigilanza, non fosse altro perché molte di queste modifiche riguardano ad esempio il regime sanzionatorio e le relative procedure.
Si aggiunga che il D.Lgs. n.149/15, per l’appunto uno dei decreti attuativi del richiamato Jobs Act (definizione
alla quale si associa, strictu sensu, la riforma del mercato del lavoro imperniata sulla legge delega n.183/14) ha
riformato in modo radicale anche il corpo ispettivo in materia di lavoro e previdenza (ivi compreso quello in servizio presso l’Inail), determinando la nascita di un ruolo unico: l’Ispettorato nazionale del lavoro, caratterizzato
da un’unica e generalizzata competenza, che ha reso necessaria anche l’omogeneizzazione di talune funzioni
(ad esempio l’estensione della qualifica di Ufficiale di P.G. anche in favore degli ispettori Inps e Inail che invece
in passato, diversamente dagli ispettori del lavoro, non possedevano).
Ma, per quel che interessa la presente trattazione, tale unificazione non verrà presa più di tanto in considerazione, atteso che già in passato (vedasi ad esempio la L. n.183/10: c.d. Collegato lavoro, la quale aveva permesso
agli anche agli ispettori previdenziali e fiscali la possibilità di “contestare”, e non solo di “constatare”, la maxisanzione sul lavoro nero, che prima era appannaggio dei soli ispettori del lavoro), le competenze erano già state
pressoché unificate2.
Quindi, se è pur vero che gli ispettori di vigilanza si presentavano (e si presentano ancora, atteso che l’unificazione non si è ancora di fatto realizzata, mancando - allo stato - i previsti decreti attuativi) sotto diverse “bandiere”,
in realtà possono già compiere accertamenti pressoché omologhi, in quanto a materie di propria competenza3,
e contestare le relative violazioni nel verbale finale che, non a caso, è già definito come “unico”, in quanto
strutturato per contenere all’interno diverse sezioni di addebito (recuperi contributivi, illeciti amministrativi con
eventuale diffida la prescrizione obbligatoria per i reati, etc.).
Ma, a dimostrazione di una prassi, che nella sostanza potrebbe anche non subire clamorose variazioni, va ricordato che spesso le ispezioni già vengono condotte in forma congiunta (DTL, Inps, Inail), ancorché gli ispettori
facciano ancora capo ai rispettivi Enti (e non siano ancora sotto l’egida dell’ispettorato nazionale), di talché di
fatto grandi stravolgimenti, sul piano della modalità ispettiva, non se ne intravedono.
Scopo del presente lavoro è quindi quello di fornire, senza alcuna pretesa di esaustività, una sorta di prontuario
che aiuti l’utente a districarsi nella “giungla” delle varie tipologie di sanzioni, delle preventive (ed eventuali) procedure deflattive, mentre non verranno considerate le varie ipotesi di contenzioso amministrativo e giudiziario,
alle quali verrà dedicata in futuro una specifica trattazione in questa rivista.
Francesco Natalini è anche docente a contratto di Diritto del Lavoro presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia.
In materia di LUL la competenza “allargata”, cioè estesa anche agli ispettori previdenziali, è già sancita nel D.L. n.112/08.
3
Ovviamente con qualche limite: l’ispettore Inail non si cimenta nella ricostruzione di un debito previdenziale e, viceversa, l’ispettore dell’Inps non si
addentra nel “meandri” della disciplina tariffaria Inail. In questi casi il Verbale viene trasmesso all’Ente di competenza che provvede alla parte di propria
spettanza.
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Strumenti di lavoro n.1/2016
CONTENZIOSO DEL LAVORO
Genesi dell’azione ispettiva
Di norma le ispezioni in materia di lavoro e previdenza possono essere “programmate” (cioè inserite all’interno
di uno specifico programma ministeriale: es. imprese edili, cooperative, imprese etniche, etc.), oppure possono
essere “a vista”.
Le ispezioni possono essere anche sollecitate da una denuncia delle OO.SS. o dagli stessi lavoratori, anche se in
tale ultimo caso, già nel 2008 la c.d. direttiva Sacconi, aveva in qualche modo fatto intendere che l’ufficio non
poteva essere a disposizione delle istanze individuali e che in questo caso (fermo restando lo scarto a priori delle denunce anonime) lo strumento più appropriato veniva individuato nella “conciliazione monocratica”, di cui
all’art.11, D.Lgs. n.124/04 (vedi infra).
Ciò anche in ragione del fatto che la semplice denuncia del lavoratore, se non è suffragata da altri elementi e
riscontri oggettivi (magari da parte datoriale), non costituisce “prova” in senso giuridico, di talché l’ispezione, in
tali ipotesi, non dovrebbe nemmeno partire.
In realtà l’esperienza quotidiana dimostra come le indicazioni contenute nella menzionata direttiva vengano
spesso disattese e l’azione ispettiva scatti anche in presenza di mere dichiarazioni unilaterali del lavoratore, delle
quali peraltro (è pressoché scontato) il datore di lavoro non ne ottiene copia, né riesce a visionarle, dovendosi
cimentare in una difesa che (perlomeno per la fase amministrativa) può definirsi “al buio”4.
Però, anche in questo caso, ferme restando le possibilità di far valere la richiamata eccezione in sede contenziosa (vale a dire la non riconoscibilità di “prova” in senso stretto alle dichiarazioni rese dal lavoratore), corroborata
dal principio dell’inversione dell’onere della prova stessa che grava sull’Ufficio (in qualità di attore “sostanziale”),
quando l’ispezione si è avviata non è certo possibile “rimandare a casa” l’ispettore.
Inizio dell’azione ispettiva e il verbale di primo accesso e il verbale interlocutorio
La procedura prevede che, durante il primo accesso, l’ispettore ha l’obbligo di presentarsi, dopodiché inizia
l’accertamento che, ovviamente, deve essere “calibrato” in funzione della dimensione aziendale, di talché potrà
iniziare ad esempio a escutere le varie dichiarazioni da parte dei lavoratori, ma certamente non è detto che in
tale primo giorno riesca a sentirli tutti.
In ogni caso, al termine della prima giornata di ispezione, viene rilasciato il verbale di primo accesso ispettivo
(Vpai), che assume una certa rilevanza, in quanto da esso potrebbero decorrere i tempi decadenziali previsti
dall’ordinamento.
Mentre il verbale di primo accesso è sempre presente e la sua assenza non ha solo riflessi procedurali, ma
anche “sostanziali”, il verbale interlocutorio è un atto eventuale (che si adotta solo quando l’ispezione è un
po’ più complessa).
In esso vengono richiesta taluni documenti e può essere fondamentale per capire da quando, ad esempio, partono i tempi dell’art.14, L. n.689/81.
In materia di illeciti amministrativi, com’è noto, l’art.14, co.1 e 2, L. n.689/81, dispone che:
“La violazione, quando è possibile, deve essere contestata immediatamente tanto al trasgressore quanto alla
persona che sia obbligata in solido al pagamento della somma dovuta per la violazione stessa.
Se non è avvenuta la contestazione immediata per tutte o per alcune delle persone indicate nel comma
precedente, gli estremi della violazione debbono essere notificati agli interessati residenti nel territorio della
Repubblica entro il termine di novanta giorni e a quelli residenti all’estero entro il termine di trecentosessanta
giorni dall’accertamento”.
Trattasi di un tempo tecnico perentorio (decadenza), che, se superato in modo irragionevole, può portare a
invalidare il verbale, perlomeno per quanto attiene la materia degli illeciti amministrativi, che sono una parte
(ancorché spesso rilevante) delle penalità che possono derivare da un accertamento ispettivo.
In passato, peraltro, la legge imponeva agli ispettori di contestare l’illecito (nei 90 giorni o 360 giorni se il trasgressore era residente all’estero) man mano che essi venivano accertati, di talché poteva capitare che gli stessi
fossero costretti a recapitare più notificazioni di illecito.
4
Sull’argomento vedi infra.
43
Strumenti di lavoro n.1/2016
CONTENZIOSO DEL LAVORO
In tal senso la lettera circolare n.146/92 del Ministero era stata molto precisa al riguardo e, nel premettere che
“ai fini della contestazione/notificazione dell’illecito amministrativo, assume rilevanza fondamentale in funzione
della validità degli atti, ai sensi e per gli effetti dell’art. 14, il momento della definizione dell’accertamento della
violazione”, disponeva che in presenza di “ispezioni complesse che richiedono più accessi ispettivi [...] la contestazione delle singole violazioni va fatta man mano che esse vengono accertate, ove ne ricorrano gli estremi”5.
Oggi, con l’introduzione del verbale unico, la normativa è stata modificata in senso favorevole agli organi di
vigilanza (cfr. art.33, L. n.183/10), nel senso che i 90 giorni (o 360) decorrono dall’ultimo accertamento, a prescindere che rispetto a quelli precedenti il temine sia spirato, vale a dire che la scadenza
“va individuata nel momento in cui si sono conclusi gli accertamenti nel loro complesso, comprendendo,
quindi, anche i tempi tecnici ragionevolmente utili e necessari per l’analisi, l’elaborazione e la verifica degli
elementi formati e raccolti. Il “dies a quo”, dunque, va a coincidere con il momento dell’acquisizione di tutti
i dati e riferimenti di carattere oggettivo e soggettivo necessari per la definizione dell’accertamento inteso
nella sua globalità, secondo un criterio di ragionevolezza delle verifiche espletate, adeguatamente esplicate
nel verbale unico. L’accertamento, pertanto, non si sostanzia nella generica e approssimativa percezione del
fatto nella sua materialità, ma si realizza con il compimento di tutte le indagini necessarie al fine della piena
conoscenza di esso e della congrua determinazione della pena pecuniaria (Cass. civ., Sez. lav. nn.3115/2004
e 18347/2003)”6.
Verifica dei termini di decadenza
È chiaro, però, che se in un verbale si contesta ad esempio la (sola) fattispecie del lavoro nero, con il corredo di
sanzioni previste (oggi peraltro riformate e “alleggerite” dal D.Lgs. n.151/15)7, i 90 giorni si potrebbero addirittura calcolare dal giorno del primo accesso (e del relativo verbale), essendo abbastanza inverosimile che un siffatto illecito possa essere accertato nel prosieguo dell’ispezione, essendo invece “fisiologica” la sua collocazione
temporale nella fase genetica dell’ispezione in azienda.
La problematica del rispetto dei 90 giorni (o 360 giorni), pena la decadenza della potestà sanzionatoria, potrebbe riproporsi in modo eclatante a seguito della depenalizzazione di taluni reati (principalmente quelli
per i quali era prevista la sola pena pecuniaria della multa e dell’ammenda) disposta dal D.Lgs. n.8/16, in
attuazione della legge delega n.67/14.
Vale a dire che, una volta che il fatto non costituisce più reato, se il “fascicolo” si trovava giacente presso la
cancelleria del Tribunale o magari ancora in Procura, esso va trasmesso (dal Giudice o dal P.M.) all’autorità
amministrativa competente (es. DTL o Inps) e, da quel momento, scattano i 90/360 giorni previsti dall’art.14,
L. n.689/81, per l’irrogazione della sanzione amministrativa sostitutiva, come si evince chiaramente dall’art.9,
co.4, menzionato decreto, che così recita:
“L’autorità amministrativa notifica gli estremi della violazione agli interessati residenti nel territorio della
Repubblica entro il termine di novanta giorni e a quelli residenti all’estero entro il termine di trecentosettanta
giorni dalla ricezione degli atti”.
È chiaro che, in questo caso, non sembra possano esservi giustificazioni o esimenti da addurre da parte dell’Ufficio nel caso in cui non riesca a notificare nei termini dell’art.14, atteso che l’accertamento era già stato svolto
in precedenza e, quindi, si tratta di un semplice invio al trasgressore.
La materia della depenalizzazione, introdotta dal D.Lgs. n.8/16, verrà ripresa e trattata più in dettaglio nei successivi paragrafi.
Arrivando, addirittura, a far emergere una responsabilità omissiva degli ispettori: “Siffatte situazioni, sono peraltro valutabili sotto il profilo della responsabilità disciplinare e patrimoniale degli accertatori”.
6
Min.Lav. circolare n.41/10.
7
Vedi infra.
5
44
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CONTENZIOSO DEL LAVORO
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complesse
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L’approccio ispettivo e il Codice di comportamento
Gli ispettori rispondono (o almeno dovrebbero) a un Codice di comportamento, che è stato rinnovato, da ultimo,
nel 2014.
In esso sono stabilite regole procedurali, nell’intento di rendere l’ispezione sempre più light, cioè meno invasiva,
oltre che per evitare duplicazioni, come chiedere documenti già in possesso della P.A. (ipotesi sempre più frequente attesa l’ormai “imperante” telematizzazione di ogni procedura di trasmissione8).
Sovente, però, si assiste a una disattenzione di tali obblighi comportamentali, ad esempio per quanto concerne
il diritto all’assistenza del professionista, il quale non ha valenza meramente formale o “di cortesia”, atteso che
il datore di lavoro potrebbe essere indotto a rendere dichiarazioni inopportune o, comunque, che non avrebbe
reso in presenza del proprio consulente.
Diverso è invece il caso delle dichiarazioni rese dal datore di lavoro aventi ripercussioni su una fattispecie che
si appalesa di natura penale (indizio di reato), senza la presenza del proprio legale9, in quanto in siffatta ipotesi
soccorre l’art.220 delle disposizioni attuative del c.p.p., il quale dispone che:
“Quando nel corso di attività ispettive o di vigilanza previste da leggi o decreti emergono indizi di reato, gli
atti necessari per assicurare le fonti di prova e raccogliere quant’altro possa servire per l’applicazione della
legge penale sono compiuti con l’osservanza delle disposizioni del codice”,
Anzi, a maggior ragione, l’art.16, D.Lgs. n.151/15, co.1, dispone che: “Tutte le comunicazioni in materia di rapporti di lavoro, collocamento mirato, tutela
delle condizioni di lavoro, incentivi, politiche attive e formazione professionale, ivi compreso il nulla osta al lavoro subordinato per cittadini extracomunitari nel settore dello spettacolo, si effettuano esclusivamente in via telematica secondo i modelli di comunicazione, i dizionari terminologici e gli standard
tecnici di cui al decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale 30 ottobre 2007, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana 27
dicembre 2007, n. 299”.
9
È appena il caso di anticipare che, grazie all’ultimo provvedimento di depenalizzazione (D.Lgs. n.8/16), si sono ulteriormente ridotti i reati in materia di
lavoro e previdenza (vedi infra).
8
45
Strumenti di lavoro n.1/2016
CONTENZIOSO DEL LAVORO
richiamando quindi le garanzie dell’art.63 c.p.p.10. La citata diposizione prevede, per l’appunto, che la persona
a carico della quale emergono indizi di reità deve essere avvisata che è sottoposta ad indagine penale e che ha
diritto a nominare un avvocato difensore, facendosi assistere dal medesimo per eventuali dichiarazioni da rendere, di talché le dichiarazioni assunte senza la presenza dell’avvocato difensore non possono essere utilizzate
nel processo penale contro la persona che le ha rese.
Le stesse procedure e le stesse garanzie sono estese dalla giurisprudenza di cassazione anche a quelle dichiarazioni datoriali che, seppur rese in un contesto in cui non si paventava, all’inizio, un riflesso penale, poi nel
prosieguo della verifica assumono le connotazioni tipiche del reato.
In ordine, infine, all’atteggiamento da tenere durante un accesso ispettivo, vale la pena di ricordare che l’art.3,
co.3, D.L. n.463/83, convertito in L. n.638/83, prevede una sanzione amministrativa da € 258,23 a € 2.582,28 per
il datore di lavoro che impedisca l’esercizio dei poteri di vigilanza degli ispettori. Secondo quanto ritenuto dall’Inail (circ. n.1/99) rientrerebbero, a titolo esemplificativo, in tale contesto: il diniego di accesso in locali di lavoro;
il rifiuto o intralcio all’acquisizione di dichiarazioni o documenti; l’atteggiamento intimidatorio di rappresentanti
del datore di lavoro; la mancata collaborazione alle indagini; l’insistenza nel voler presenziare all’interrogatorio
di un lavoratore.
Il valore probatorio dei verbali e delle dichiarazioni rese dai lavoratori
L’art.2700 cod.civ., assunto in combinato disposto con l’art.10, co.5, D.Lgs. n.124/04, dispone che:
“L’atto pubblico fa piena prova, fino a querela di falso, della provenienza del documento dal pubblico ufficiale
che lo ha formato, nonché delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta avvenuti in sua presenza o da lui compiuti”.
Fin qui nulla da dire. È come se l’ispettore avesse incorporata una sorta di “macchina fotografica” (che spesso i
più meticolosi, per determinate ispezioni, si portano anche materialmente appresso), ma questo vale solo se i
fatti si sono svolti in sua presenza.
Ciò spiega perché in determinati ambiti, come ad esempio quello prevenzionistico, vi sia un’alta percentuale
di adesione alle risultanze ispettive (di norma aderendo alla c.d. prescrizione obbligatoria11), atteso che se, ad
esempio, un ponteggio in un cantiere edile è “fotografato” dall’ispettore come irregolare (realmente o metaforicamente) è difficile poter sostenere il contrario, a meno di clamorosi errori di valutazione da parte del medesimo.
Diverso è invece il caso in cui i fatti non sono avvenuti in sua presenza o si è di fronte a dichiarazioni che vengano riportate all’ispettore da terzi. Ad esempio un lavoratore che dichiari di aver lavorato in nero in un periodo
pregresso all’ispezione, e le cui dichiarazioni vengono trasfuse nel verbale, non significa che assumano valore
di prova. La prova “piena” si limita al fatto che tali dichiarazioni sono state effettivamente resa all’ispettore, ma
non si estende al contenuto delle stesse.
In tal senso lo stesso Ministero del Lavoro, con circolare n.41/10, aveva correttamente ricordato che:
“la dichiarazione del lavoratore al quale si riferiscono gli esiti dell’accertamento non costituisce prova per sé
sola, ma elemento indiziario, liberamente valutabile dall’Autorità giudiziaria e amministrativa chiamata a
decidere in sede di contenzioso”.
Quindi, a stretto rigore, assumendo anche a conforto il contenuto dell’art.13, co.4, lett.a), D.Lgs. n.124/04, il
quale dispone che il verbale di accertamento e notificazione deve contenere (tra gli altri elementi) “a) gli esiti
dettagliati dell’accertamento, con indicazione puntuale delle fonti di prova degli illeciti rilevati”, se ne dovrebbe
dedurre che nessun verbale di contestazione può essere elevato se “poggia” solamente su dichiarazioni di parte, non integranti, come si è detto, il concetto di prova. La realtà, invece, dimostra esattamente il contrario, nel
10
Art.63 c.p.p. (Dichiarazioni indizianti). “1. Se davanti all’autorità giudiziaria o alla polizia giudiziaria una persona non imputata ovvero una persona non
sottoposta alle indagini rende dichiarazioni dalle quali emergono indizi di reità a suo carico, l’autorità procedente ne interrompe l’esame, avvertendola che
a seguito di tali dichiarazioni potranno essere svolte indagini nei suoi confronti e la invita a nominare un difensore. Le precedenti dichiarazioni non possono
essere utilizzate contro la persona che le ha rese.
2. Se la persona doveva essere sentita sin dall’inizio in qualità di imputato o di persona sottoposta alle indagini, le sue dichiarazioni non possono essere
utilizzate”.
11
Vedi infra.
46
Strumenti di lavoro n.1/2016
CONTENZIOSO DEL LAVORO
senso che sovente gli accertamenti si basano esclusivamente sulla predette dichiarazioni rilasciate dai lavoratori
(o da terzi) e, nondimeno, da queste si traggono gli elementi per la redazione del verbale, che, francamente,
appare dotato di scarsa tenuta giuridica.
Tornando alla questione della valenza probatoria dei verbali, alla stessa stregua, pur in presenza di fatti avvenuti
alla presenza dell’ispettore, la “prova piena” si ferma al fatto “visivo” e non contempla le considerazioni espresse dall’ispettore sulla natura subordinata di un prestazione.
Valga per tutti, anche in questo caso, un esempio.
Esempio
Ispettore che, durante un sopralluogo in un bar, trova un lavoratore intento a servire la clientela, inquadrato con
un contratto di lavoro autonomo: evidentemente potrà elevare a rango di prova piena il fatto di averlo “visto intento al lavoro”, ma se dovesse contestare la dissimulazione, riqualificando cioè il rapporto di lavoro autonomo
nell’alveo della subordinazione, tale comportamento diventa censurabile da parte del datore di lavoro, atteso
che non può considerarsi – sol per il fatto di essere correlato all’accertamento “visivo” – parimenti quale prova.
laprova“piena”silimitaalfa1ochetali
dichiarazionisonostateeffe7vamenterese
all’ispe1ore,manonsiestendealcontenuto
dellestesse
Valoreprobatoriodelverbale
Dichiarazioniefa-avvenu0insua
presenza
purinpresenzadifa7avvenu;allapresenza
dell’ispe1orela“provapiena”sifermaalfa1o
“visivo”enoncontemplaleconsiderazioniespresse
dall’Ispe1oresullanaturasubordinatadiuna
prestazione
L’accesso alle dichiarazioni dei lavoratori
Una delle querelle più accese degli ultimi anni è gravitata intorno alla sussistenza o meno del diritto a poter
estrarre copia (o quantomeno visionarne il contenuto) delle dichiarazioni rilasciate dal lavoratore durante l’accesso ispettivo.
Dopo un periodo in cui (intorno al 2007) sembrava essersi scritta la parola fine alla diatriba in seno alla giustizia
amministrativa, nel senso di permettere (verificata l’assenza di motivi ostativi da parte dei cointeressati) l’accesso alle predette dichiarazioni, facendo quindi prevalere il diritto di difesa (art.24 Cost. e art.24, co.7, L. n.241/90)
rispetto al diritto alla riservatezza (D.M. n.757/94 e n.1951/94)12, “cambia il vento” in seno alla richiamata giurisprudenza. In particolare ciò avviene con due sentenze del Consiglio di Stato, che hanno rappresentato il punto
di svolta: la n.1842/08 e la n.736/09.
Nella prima sentenza il Consiglio di Stato dispone per
“la prevalenza dell’interesse pubblico all’acquisizione di ogni possibile informazione, a tutela della sicurezza e
della regolarità dei rapporti di lavoro, rispetto al diritto di difesa delle società o imprese sottoposte ad ispezione:
12
Cfr. Cons. di Stato, ad. plen. n.5/97.
47
Strumenti di lavoro n.1/2016
CONTENZIOSO DEL LAVORO
il primo, infatti, non potrebbe non essere compromesso dalla comprensibile reticenza di lavoratori, cui non
si accordasse la tutela di cui si discute, mentre il secondo risulta comunque garantito dall’obbligo di motivazione per eventuali contestazioni e dalla documentazione che ogni datore di lavoro è tenuto a possedere”.
Nella seconda pronuncia si specifica come
“non bastino esigenze di difesa genericamente enunciate per garantire l’accesso, dovendo quest’ultimo corrispondere ad una effettiva necessità di tutela di interessi che si assumano lesi ed ammettendosi solo nei limiti
in cui sia “strettamente indispensabile” la conoscenza di documenti, contenenti “dati sensibili e giudiziari””,
aggiungendo che
“non può però dirsi sussistente una generalizzata soccombenza dell’interesse pubblico all’acquisizione di ogni
possibile informazione, per finalità di controllo della regolare gestione dei rapporti di lavoro (a cui sono connessi valori, a loro volta, costituzionalmente garantiti), rispetto al diritto di difesa delle società o imprese sottoposte ad ispezione: il primo di tali interessi, infatti, non potrebbe non essere compromesso dalla comprensibile reticenza di lavoratori, cui non si accordasse la tutela di cui si discute, mentre il secondo risulta comunque
garantito dall’obbligo di motivazione per eventuali contestazioni, dalla documentazione che ogni datore di
lavoro è tenuto a possedere, nonché dalla possibilità di ottenere accertamenti istruttori in sede giudiziaria”.
Pur non discutendo il principio sotteso alle due pronunce, si intende rimarcare l’assurdità e l’incoerenza di un
tale atteggiamento negatorio nella fase amministrativa del contenzioso, nel momento in cui, invece, nella successiva fase giudiziaria, tali dichiarazioni devono essere necessariamente inserite nel fascicolo di causa dell’Ufficio (pena l’inutilizzabilità nel processo) e quindi (legittimamente) accessibili da parte datoriale.
In buona sostanza, il mancato accesso alle dichiarazioni rese dai lavoratori comprime in modo evidente la difesa del datore di lavoro, perlomeno nella fase amministrativa, accentuata dal fatto che la “funzione sostitutiva”
riposta nelle motivazioni (obbligatorie) che il verbale dovrebbe contenere (come ricordano le sentenze sopra
richiamate) non sempre viene esplicata, attese le laconiche ed ermetiche espressioni spesso adottate in tali atti,
in barba al già richiamato disposto dell’art.13, co.4, lett.a), il quale dispone che nel verbale unico devono essere
esplicitati gli “esiti dettagliati dell’accertamento”13.
Ciò va a detrimento anche della funzione “deflattiva” che dovrebbe assumere la fase amministrativa per scongiurare l’accumulo di controversie in sede giudiziaria e non risolve il problema della tutela della riservatezza del
lavoratore, atteso che il datore di lavoro accede comunque, seppur in un secondo momento, al contenuto delle
dichiarazioni da questi rilasciate.
Il verbale unico finale di accertamento e notificazione e le conseguenze
Premesso che il verbale deve essere rilasciato anche in caso di regolarità, è evidente che quel che più interessa
la presente trattazione è il verbale dal quale scaturiscano irregolarità, il quale è oggi strutturato in forma unitaria (c.d. verbale unico), con la conseguenza che, se in passato vi potevano essere diversi verbali per ogni tipo di
contestazione o di illecito (ad esempio il verbale di accertamento Inps per le differenze contributive e sanzioni
civili e la notificazione di illecito per le sanzioni amministrative), oggi le tipologie contestate vanno a costituire
mere “sezioni” dello stesso verbale unico.
Inoltre, il verbale viene trasmesso, per competenza, anche agli altri Uffici (es. Agenzia delle Entrate) che potrebbero, da parte loro, agire per le materie di loro competenza.
Dal Verbale di accertamento possono derivare le seguenti conseguenze:
1. addebito differenze contributive (Inps – Inail, etc.);
2. sanzioni civili (somme aggiuntive) sulle differenze di cui al punto 1.;
3. sanzioni amministrative;
4. sanzioni penali (per le quali è attivabile la prescrizione obbligatoria);
5. sanzioni interdittive (art.14, T.U. n.81/08);
6. provvedimento di diffida accertativa convalidata.
13
Oltre che di “indicazione puntuale delle fonti di prova degli illeciti rilevati”.
48
Strumenti di lavoro n.1/2016
CONTENZIOSO DEL LAVORO
Le novità in materia sanzionatoria introdotte dal D.Lgs. n.151/15
Il decreto Semplificazioni, entrato in vigore il 24 settembre 2015, all’art.22, ha alleggerito in modo rilevante il
carico sanzionatorio in materia di lavoro irregolare (lavoro nero), nonché in tema di violazioni in materia di LUL,
prospetto paga e assegni famigliari.
Il tratto comune è dato dal fatto che queste penalità (amministrative) sono oggi disciplinate nella modalità a
scaglioni, e non “per testa” o per periodi, come avveniva in passato.
Tra le sanzioni riformate va ricordata in primis la maxisanzione sul lavoro nero, oggetto di svariate modifiche dal
momento della sua introduzione (avvenuta nel 2002 a mezzo dell’art.3, co.3, D.L. n.12/02).
Tralasciando, per motivi di spazio e tempo, di ricordare il tortuoso percorso che ha subito negli anni la predetta
sanzione, giova ricordare che il previgente regime prevedeva innanzitutto una doppia fattispecie di lavoro nero:
quello ancora in essere al momento dell’accertamento e quello successivamente regolarizzato, stabilendo per
entrambe le ipotesi una sanzione graduata tra un minimo e un massimo (a cui si aggiungeva una penalità fissa),
ovviamente più lieve nel secondo caso.
Nello specifico, la sanzione previgente era così strutturata:
• da € 1.950,00 a € 15.600,00 + € 195,00 per ogni giorno di lavoro irregolare (ipotesi di lavoro nero “in essere”
al momento dell’accertamento);
• da € 1.300,00 a € 10.400,00 + € 39,00 per ogni giorno di lavoro irregolare (lavoro nero già regolarizzato al
momento dell’accertamento).
Rispetto all’impostazione precedente, quella attuale, come si è detto, si appalesa complessivamente più conveniente per il datore di lavoro, soprattutto per periodi di lavoro nero che si protraggono nel tempo, in quanto si
basa su un criterio “a scaglioni”, così riassumibile:
1. da € 1.500,00 a € 9.000,00 per ciascun lavoratore irregolare, in caso di impiego del lavoratore sino a trenta
giorni di effettivo lavoro;
2. da € 3.000,00 a € 18.000,00 per ciascun lavoratore irregolare, in caso di impiego del lavoratore da trentuno
e sino a sessanta giorni di effettivo lavoro;
3. da € 6.000,00 a € 36.000,00 per ciascun lavoratore irregolare, in caso di impiego del lavoratore oltre sessanta
giorni di effettivo lavoro.
In più, è ulteriormente vantaggiosa, in quanto oggi la maxisanzione “assorbe” anche le penalità (conseguenziali)
in materia di: lettera di assunzione, omessa registrazione dati sul LUL nonché quella in tema di collocamento (in
ordine alla quale il Ministero del Lavoro aveva già peraltro invitato, in passato, gli ispettori a non applicarla, considerandola già assorbita) e, infine, perché, come già anticipato, torna ad essere applicabile la diffida ex art.13,
L. n.124/0414.
Quindi, volendo fare un esempio, per un’ipotesi di lavoro nero protrattosi per 300 giorni:
• la vecchia sanzione sarebbe stata pari a (1.950 x 2) + (195/3 * 300) = € 23.400,00 (con applicazione della
riduzione ex art.16, L. n.689/81);
• mentre secondo l’attuale regime (aderendo alla diffida) sarebbe pari a € 6.000,00. Ma a tale valore ridotto
dobbiamo altresì aggiungere il risparmio derivante dalle violazioni (non più sanzionate a parte) in tema di
lettera di assunzione e LUL che fanno crescere in modo non irrilevante il differenziale.
Peraltro, l’applicabilità della nuova (e più favorevole) disciplina sanzionatoria, in base a quanto sostenuto nella
circolare ministeriale n.26/15, è estesa alle condotte (assunzioni) sorte prima del 24 settembre 2015 (data di
entrata in vigore del D.Lgs. n.151/15), ma protrattesi anche successivamente, in ragione della classificazione
della fattispecie del lavoro nero quale illecito di “durata” (che si viene a configurare temporalmente quando si
pone fine alla condotta illecita).
Per quanto riguarda la ritrovata diffidabilità della violazione, la legge prescrive che la regolarizzazione (ove
praticabile)15 e il pagamento della sanzione ridotta debbano avvenire entro 120 giorni e che si debba prevedere
il mantenimento in forza per almeno 3 mesi, o con un contratto a tempo indeterminato (anche part-time) o con
un contratto a tempo determinato, ma di durata minima di 3 mesi.
Per quanto invece riguarda le violazioni in tema di omessa o infedele tenuta del LUL, ferma restando la distinzioSi rimanda al paragrafo dedicato alla diffida per illustrare in dettaglio la disciplina specifica sulla diffida in caso di lavoro nero.
In tal senso, non è praticabile la diffida se il lavoratore in nero non è regolarizzabile (es. straniero senza permesso di soggiorno, minore non in età lavorativa).
14
15
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Strumenti di lavoro n.1/2016
CONTENZIOSO DEL LAVORO
ne tra le due fattispecie (per la nozione di “infedele registrazione”, vedi paragrafo successivo), anche qui il D.Lgs.
n.151/15, ripropone la classificazione a scaglioni:
• da € 150,00 a € 1.500,00 se la violazione si riferisce fino a 5 lavoratori o fino a 6 mesi;
• da € 500,00 a € 3.000,00 se la violazione si riferisce a più di cinque lavoratori ovvero a un periodo superiore
a sei mesi;
• da € 1.000,00 a € 6.000,00 se la violazione si riferisce a più di dieci lavoratori ovvero a un periodo superiore
a dodici mesi.
Stesse modalità per la sanzione sulla mancata consegna dei prospetti paga ex L. n.4/53, che in passato avrebbe
potuto assumere proporzioni devastanti (a volte superiore alla stessa maxisanzione), in ragione della ripetizione
per ogni mese di violazione, mentre oggi, nella peggiore delle ipotesi (fermo restando la praticabilità della diffida) si assesta a € 1.200,00.
Il dettaglio degli importi e dei relativi scaglioni è, in tal caso, il seguente:
• da € 150,00 a € 900,00 se la violazione si riferisce fino a 5 lavoratori o fino a 6 mesi;
• da € 600,00 a € 3.600,00 se la violazione si riferisce a più di cinque lavoratori ovvero a un periodo superiore
a sei mesi;
• da € 1.200,00 a € 7.200,00 se la violazione si riferisce a più di dieci lavoratori ovvero a un periodo superiore
a dodici mesi.
Resta inteso che, nell’ipotesi in cui il datore di lavoro adempia all’obbligo attraverso la consegna al lavoratore di
copia delle scritturazioni effettuate nel LUL, si applicano esclusivamente le sanzioni per tale ultima violazione,
contemplate nell’art.39, co.7, D.L. n.112/08.
Infine, lo stesso regime sanzionatorio viene previsto a carico del datore di lavoro che, pur tenuto, non provvede
alla corresponsione degli assegni famigliari, anche se tale violazione viene raramente applicata. Nello specifico
la sanzione è compresa tra € 500,00 a € 5.000,00. Se la violazione si riferisce a più di cinque lavoratori ovvero
a un periodo superiore a sei mesi la sanzione va da € 1.500,00 a € 9.000,00. Se la violazione si riferisce a più di
dieci lavoratori ovvero a un periodo superiore a dodici mesi la sanzione va da € 3.000,00 a € 15.000,00.
Si ritiene utile riassumere il regime sanzionatorio delle 3 ultime violazioni (LUL, prospetti paga e assegni famigliari) nella seguente tabella:
Fino a 5 lavoratori o fino Più di 5 lavoratori o più Più di 10 lavoratori o più
Tipo di violazione
a 6 mesi
di 6 mesi
di 12 mesi
LUL
Da € 150,00 a € 1.500,00
Da € 500,00 a € 3.000,00
Da 1.000,00 a € 6.000,00
Prospetti paga
Da € 150,00 a € 900,00
Da € 600,00 a € 3.600,00
Da € 1.200,00 a € 7.200,00
Assegni famigliari
Da € 500,00 a € 5.000,00
Da € 1.500,00 a € 9.000,00
Da € 3.000,00 a € 15.000,00
L’annosa questione dell’infedele registrazione sul LUL
Sono ormai 4 anni che, grazie all’art.19, D.L. n.5/12 (c.d. decreto Semplificazioni), che ha modificato il testo
dell’art.39, co.1, D.L. n.112/08, la nozione di “infedele registrazione” dei dati sul Libro Unico del Lavoro è mutata.
Oggi tale illecito “si riferisce alle scritturazioni dei dati di cui ai commi 1 e 2 diverse rispetto alla qualità o quantità
della prestazione lavorativa effettivamente resa o alle somme effettivamente erogate”; il che sta a significare
che deve trattarsi, come ha ribadito il Ministero del Lavoro, dapprima con la circolare n.2/1216 e poi anche con
la più recente circolare n.26/15, di commento al D.Lgs. n.151/15 (che pur riformando la disciplina sanzionatoria
in materia di LUL non ha inciso sul concetto di “infedele registrazione”), di ipotesi nelle quali “i dati riportati sul
Libro siano quantitativamente o qualitativamente diversi da quella che è stata l’effettiva prestazione lavorativa
resa o l’effettiva retribuzione/compenso elargito”.
Sempre secondo il Ministero:
“In via esemplificativa, la sanzione prevista dall’art. 39, comma 7, del D.L. n. 112/2008 sarà pertanto applicabile nelle ipotesi dei c.d. “fuori busta” o di una indicazione delle ore di lavoro quantitativamente diversa da
quelle effettivamente prestate. Viceversa, non sarà applicabile la sanzione quando le somme erogate al lavoratore o l’orario di lavoro osservato dallo stesso siano effettivamente quelli indicati sul LUL, pur in violazione
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Proprio di commento alle modifiche testé ricordate, introdotte dal decreto Semplificazioni.
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Strumenti di lavoro n.1/2016
CONTENZIOSO DEL LAVORO
di specifiche previsioni di legge o di contratto collettivo (ad es. retribuzione virtuale e limiti quantitativi dei
lavoratori part-time in edilizia), ferme restando eventuali diverse ipotesi sanzionatorie o azioni di recupero
contributivo da parte dell’istituto” (circolare n.2/12).
Si aggiunge infine che:
“È quindi da escludersi qualsiasi valutazione in ordine alla riconduzione del rapporto ad altra tipologia contrattuale ovvero in ordine alla mancata corresponsione di determinate somme previste dalla contrattazione
collettiva applicata o applicabile, rispetto alle quali è fatto salvo evidentemente il potere di emanare la diffida
accertativa al fine di dare immediata tutela ai lavoratori interessati” (circ. n.26/15).
Soffermandoci su quest’ultimo passaggio viene ad essere quindi esclusa la fattispecie di illecito nel caso (peraltro molto frequente) di riqualificazione del rapporto (es. contratto di co.co.co. in lavoro subordinato).
Nondimeno, nei verbali spesso questa indicazione ministeriale non viene presa in considerazione e le sanzioni
vengono comunque (indebitamente) applicate.
Si confida che, perlomeno in sede di scritti difensivi e di audizione o al limite in sede di emissione di ordinanza,
la questione venga risolta in via di autotutela.
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