dell’osservatorio sociale Provincia di Prato dell’osservatorio sociale Collana coordinata da Michele Parpajola Il tessuto sociale ed economico del territorio pratese sta attraversando rapide quanto profonde trasformazioni ma al tempo stesso si caratterizza per i forti elementi di continuità con la storia e la tradizione locale. Il passaggio da un modello di stato sociale “tradizionale” ad uno di welfare mix, dove accanto al servizio pubblico assumono sempre più rilevanza la progettualità e il lavoro delle organizzazioni del terzo settore, la sperimentazione a livello regionale - avviata anche nell’area pratese di nuove forme per la programmazione e gestione dei servizi socio-sanitari: la Società della Salute, laddove per “salute” si intende - nel senso più ampio del termine - il benessere sociale del cittadino, sono fenomeni che richiedono un forte ripensamento delle politiche sociali integrate. Il processo di ridimensionamento delle famiglie, l’emergere di nuove tipologie familiari ed il mutato ruolo delle donne all’interno della famiglia e nel mercato lavorativo con la conseguente necessità di conciliazione dei tempi di cura e lavoro, nonché la complessità delle dinamiche migratorie con la progressiva stabilizzazione delle comunità migranti determinano una costante evoluzione della struttura demografica dell’area provinciale e producono nuove forme di bisogno e domande inedite di servizi. Sono questi alcuni dei cambiamenti significativi che pongono con forza una duplice esigenza: da un lato sviluppare attività di analisi e ricerca finalizzate alla costruzione di scenari, di sintesi interpretative utili alla programmazione e alla governance locale, dall’altro promuovere una costante azione di diffusione sul territorio delle conoscenze acquisite per discutere, riflettere sui risultati degli studi realizzati. È dal desiderio di rispondere, almeno in parte, a questa necessità che nasce la collana editoriale le tele dell’osservatorio sociale promossa e realizzata dalla Provincia di Prato in collaborazione con Asel srl - Agenzia di Servizi per le Economie Locali. La collana si articola in pubblicazioni monografiche su rilevanti tematiche sociali individuate e scelte sulla base delle molteplici attività di ricerca svolte in questi anni dall’Osservatorio Sociale Provinciale unitamente alle indicazioni e agli orientamenti espressi dagli attori locali del pubblico e del privato sociale attivi sul territorio. Le tele dell’osservatorio sociale intendono rappresentare un utile strumento di divulgazione dedicato ad amministratori locali, operatori dei servizi pubblici e privati, studiosi, a tutti i cittadini che abbiano interesse a conoscere ed approfondire teorie, buone prassi, esperienze e metodologie d’intervento utili per comprendere la complessità e l’evoluzione delle dinamiche sociali in atto e contribuire così alla ridefinizione e alla crescita del sistema di welfare locale. Comitato scientifico della collana GUIDO FERRARI Università degli Studi di Firenze MAURIZIO BAUSSOLA Università Cattolica del Sacro Cuore BRUNO DE LEO Ministero dell’Economia e delle Finanze GABI DEI OTATI Università degli Studi di Firenze FRANCESCO GIUNTA Università degli Studi di Firenze LAURA LEONARDI Università degli Studi di Firenze FABIO SFORZI Università degli Studi di Parma Via Ricasoli, 25 - Prato - Tel. 0574/534 578 e-mail: [email protected] sito web: www.provincia.prato.it Provincia di Prato Venti anni di studi locali sulla terza età I nostri anziani fra mutamento e continuità di GIULIA MARCHETTI Prato novembre 2006 Prefazione Indagare sul rapporto che hanno gli anziani con il lavoro, la famiglia, la vita affettiva, il proprio futuro, non è solo una necessità dettata dall’esigenza di creare strumenti che siano di aiuto per le scelte delle amministrazioni, ma anche un’opportunità per stabilire il contatto con un mondo che rappresenta una risorsa preziosa per ogni società. Già l’anno scorso, in occasione della presentazione della ricerca Gli anziani a Prato, l’idea che come ente abbiamo avuto è stata quella di mettere a confronto quest’ultima ricerca con le precedenti condotte a metà degli anni 80 e 90 in modo da realizzare un quadro esauriente in grado di accedere a una conoscenza approfondita del fenomeno terza età. E così è stato, questa pubblicazione è il frutto di un attento lavoro di analisi e comparazione che offre un quadro complessivo degli anziani nella nostra provincia. Il senso di questo lavoro ci conduce nella direzione di un ascolto attento nei confronti dei nuovi ruoli e bisogni di una fascia di popolazione sempre più consapevole delle tante opportunità di relazione, basta pensare al diverso e fecondo rapporto affettivo ed educativo che i nonni odierni hanno con i nipoti, ma anche il maggiore grado di istruzione e di cultura in generale che chiede diversa attenzione e che contribuisce a rafforzare il prezioso ruolo che gli anziani svolgono nella nostra comunità. Certo che considerare una persona “anziana” a sessant’anni al giorno d’oggi ci lascia un po’ perplessi, siamo oramai abituati a far corrispondere l’immagine di un sessantenne come di un soggetto vitale e ancora produttivo, impegnato su più fronti e comunque dinamico. Un’immagine che si discosta notevolmente da quella che veniva percepita venti anni fa, anche se molte problematiche sono le stesse, alcune sono profondamente trasformate. Questa indagine ha il pregio di confrontare diverse e complesse analisi sulla popolazione della provincia pratese e di renderne sia una dimensione quantitativa, con la lettura dei dati ufficiali, che qualitativa, attraverso la valutazione delle tematiche dell’invecchiamento demografico e delle sue conseguenze all’interno del sistema socio-politico; restituendo un’immagine complessiva che fornisce elementi idonei a formulare interventi mirati. Le quattro ricerche compiute dal 1985 al 2005 forniscono un quadro dei soggetti analizzati profondamente dinamico, raffigurano l’anziano come soggetto che ha preso parte alle trasformazioni della società e che in alcuni casi è stato proprio il motore d’azione del processo di trasformazione. Dalla pubblicazione abbiamo modo di vedere la terza età come una realtà estremamente articolata ed eterogenea proiettata verso un futuro nel quale la differenziazione sarà sempre più ricca e interessante. I dati a livello nazionale e locale indicano un progressivo invecchiamento della popolazione, che merita di essere monitorato e osservato, ecco perché pubblicazioni come questa sono utili, consentendo l’analisi dei dati confrontabili che permettono di coniugare l’attenzione medica verso gli aspetti sociosanitari della popolazione anziana con interessi più sociologici legati ai cambiamenti piccoli e grandi della nostra cultura sociale. Un’ulteriore campo di indagine, sempre più attuale, è la proiezione della nostra società sempre più multiculturale sulla popolazione anziana, un nuovo spunto che manca di studi appropriati che non possono prescindere dalla comprensione e attenzione a questo fenomeno. Il confronto che si evidenzia dalle quattro metodologie di intervento delle rispettive quattro indagini compiute in quest’ultimo ventennio si muove in questa direzione, dall’ultima ricerca del 2005 si rileva infatti una maggiore attenzione degli aspetti socio-relazionali e non più esclusivamente sociosanitari. Questo approccio consente il disvelamento del mondo interiore dei soggetti, una modalità di indagine che aiuta a dar voce alle paure o alle opinioni e che consente alle istituzioni di approntare un più mirato percorso di intervento. IRENE GORELLI Assessore alle Politiche Sociali Provincia di Prato INDICE Introduzione pag. 11 1. La tendenza all’invecchiamento della popolazione in Italia 1.1 L’eterogeneità della terza età e il nuovo approccio allo studio dell’invecchiamento: i nuovi anziani 1.2 La vecchiaia non è una malattia pag. pag. 13 17 2. L’analisi dei dati statistici 2.1 La costruzione sociale della vecchiaia 2.2 Quanti sono gli anziani in Italia 2.3 L’ambito regionale 2.4 L’invecchiamento demografico nella provincia di Prato pag. pag. pag. pag. 21 22 23 26 3. Gli anziani pratesi dell’ultimo ventennio 3.1 Gli anziani a Prato fra mutamento e continuità pag. 3.2 Le indagini esaminate pag. 3.2.1 L’indagine sulla popolazione anziana del comune di Carmignano (1985) pag. 3.2.2 L’indagine sulla popolazione anziana del comune di Montemurlo (1990) pag. 3.2.3 L’indagine sulla popolazione anziana del comune di Poggio a Caiano (1996) pag. 3.2.4 L’indagine sulla popolazione anziana della provincia di Prato (2005) pag. 3.3 Alcune precisazioni metodologiche pag. 3.4 Un’analisi comparata delle quattro ricerche pag. 3.4.1 I livelli di istruzione pag. 3.4.2 Lo stato civile pag. 3.4.3 Il contesto residenziale degli anziani pag. 3.4.4 L’importanza dei legami familiari pag. 3.4.5 La vita di relazione e l’importanza dei sentimenti di amore pag. 3.4.6 Attività sociali, impiego del tempo libero, televisione e personal computer pag. 3.4.7 Le condizioni materiali di vita: situazione economica e stato delle abitazioni pag. 3.4.8 Raggiungibilità dei servizi, mezzi di trasporto e richiesta di interventi socio-assistenziali e ricreativi pag. 3.4.9 Le condizioni di salute pag. 3.4.10 L’assistenza all’anziano pag. 35 36 37 38 38 39 40 43 43 45 46 50 53 56 61 66 68 72 Conclusioni pag. 75 Riferimenti bibliografici pag. 79 Introduzione INTRODUZIONE Questo lavoro nasce dall’esigenza di riunire a analizzare le varie ricerche sulla popolazione anziana che dagli anni Ottanta in poi sono state effettuate nel nostro territorio. In questo modo è possibile valutare i possibili cambiamenti che in questi anni si sono verificati nel “modo pratese di invecchiare”. In generale, oggi siamo di fronte a un nuovo modo di guardare agli anziani, un universo sempre meno omogeneo e differenziato per aspettative, interessi, esigenze. In una società che invecchia, gli anziani sono sempre meno “vecchi”. Si parla della vitalità dei nuovi anziani come di un fenomeno inedito, che caratterizza le attuali generazioni di ultrasessantacinquenni e che porta a superare i pregiudizi culturali che da sempre hanno avvolto la comprensione di questa fase della vita. Nel primo capitolo ci soffermeremo sulle caratteristiche dell’invecchiamento demografico, sulle sue conseguenze all’interno del sistema socio-politico e sul nuovo approccio con cui le scienze sociali - e non solo - tendono ad analizzare un fenomeno tanto eterogeneo. Tali riflessioni sono desunte dalle considerazioni che abbiamo avuto modo di sviluppare nella parte introduttiva all’indagine provinciale del 2005 (Gli anziani a Prato. Immagini, aspirazioni, bisogni, Osservatorio Sociale della Provincia di Prato), alla cui lettura rimandiamo per un approfondimento. Riporteremo anche i risultati più importanti di alcune indagini nazionali e internazionali che recentemente sono state condotte sulla popolazione anziana. Il secondo capitolo è dedicato invece alla presentazione della dimensione quantitativa del fenomeno con una lettura dei dati ufficiali relativi alla popolazione residente al primo gennaio 2004, per quanto riguarda l’Italia, il livello regionale e quello della provincia di Prato. Sulla base di queste considerazioni sarà possibile affrontare il nodo cruciale di questo lavoro, che è costituito dall’immagine - o dalle immagini - degli anziani pratesi attraverso gli studi che in un ventennio sono stati condotti sull’argomento. Adottando quindi una prospettiva comparata, sarà possibile individuare alcune caratteristiche dei “nuovi anziani” pratesi. Nel terzo capitolo sarà impiegato un approccio comparato all’analisi dei risultati delle indagini empiriche che dal 1985 al 2005 sono state realizzate nell’area pratese. Il capitolo è preceduto da una parte introduttiva dedicata all’analisi e alla descrizione delle quattro ricerche empiriche, in cui si spiegano anche i limiti di un confronto fra indagini diverse per metodologia e modalità di campionamento e di rilevazione. La comparazione si limita ad avere una semplice natura interpretativa, che rimane tuttavia importante per verificare dinamiche di mutamento. In particolare tratteremo di due delle quattro ricerche socio-sanitarie realizzate nell’arco del decennio Ottanta per iniziativa della USL n. 9 e che riguardano lo studio della popolazione anziana nei comuni di Carmignano (1985) e di Montemurlo (1990). La terza indagine è la ricerca universitaria realizzata nel 1996 nel comune di Poggio a Caiano che, grazie all’interesse del mondo associativo, rappresentava un primo passo per la creazione di una serie di iniziative finalizzate al mondo degli anziani. La quarta ricerca, promossa nel 2003 dall’Osservatorio Sociale della Provincia di Prato, è l’in11 Introduzione dagine provinciale, pubblicata nel gennaio del 2005, che indagava nel dettaglio la vita relazionale degli anziani residenti nei comuni della provincia pratese. Queste quattro ricerche coprono un ventennio di studi locali sulla terza età e analizzano generazioni di anziani appartenenti a coorti diverse. Da un loro confronto interpretativo, lungo il quale si delinea anche la trasformazione generale di alcuni elementi della vita sociale, economica e culturale pratese e italiana, è possibile cogliere nella vita degli anziani alcune dinamiche di mutamento e il mantenimento di comportamenti costanti. Tra i cambiamenti, gli anziani di oggi sono più istruiti di quelli di ieri e l’innalzamento del livello di istruzione, che si riflette anche in percentuali più alte di occupazioni qualificate, li porta anche a essere più attivi nella partecipazione alla vita sociale. Rimangono le differenze di genere, per quanto riguarda il livello di istruzione e la partecipazione al mercato del lavoro, ma sicuramente con minori toni e intensità rispetto a venti anni fa. Le condizioni materiali di vita sembrano migliorate e oggi gli anziani nelle loro case dispongono di beni di consumo di tipo moderno. Di fronte alla progressiva nuclearizzazione della famiglia, aumentano rispetto al passato gli anziani che vivono da soli. La famiglia e i figli erano e rimangono al centro della vita dei nostri anziani. Rappresentano un punto di riferimento importante, ma oggi più che mai si considera il grande supporto che gli anziani forniscono ai figli adulti e ai nipoti in termini di aiuto e di sostegno. 12 La tendenza all’invecchiamento della popolazione in Italia 1. La tendenza all’invecchiamento della popolazione in Italia 1.1 L’eterogeneità della terza età e il nuovo approccio allo studio dell’invecchiamento: i nuovi anziani L’invecchiamento della popolazione è il processo per cui gli individui anziani diventano una quota sempre più consistente della popolazione totale. È un fenomeno demografico dovuto al sempre maggiore controllo dell’uomo sulle dinamiche che regolano i due processi fondamentali dell’esistenza umana, quello dell’inizio della vita (attraverso il calo delle nascite e la riduzione del tasso di fertilità1, per cui si parla del cosiddetto “invecchiamento dal basso”) e quello della morte (attraverso l’allungamento della speranza media di vita, che corrisponde a quello che viene definito “invecchiamento dall’alto”). L’aumento della popolazione anziana all’interno di una società comporta una nuova ristrutturazione sociale, politica e familiare della realtà in cui viviamo e richiede anche un attento esame delle richieste e dei bisogni della popolazione che invecchia. È innegabile infatti che l’invecchiamento della popolazione sia un fenomeno poliedrico, per le sue influenze di enorme portata su tutti gli aspetti della vita umana. Il cambiamento nella struttura delle età associato all’invecchiamento della popolazione ha un profondo impatto sulle condizioni economiche, politiche e sociali di un paese e influisce pesantemente anche sul cambiamento della struttura familiare. L’invecchiamento della popolazione è anche un fenomeno globale, multidimensionale ed esteso geograficamente. È globale sia per l’entità e la complessità dei suoi effetti, tesi a coinvolgere la totalità degli ambiti della vita sociale, sia per la sua estensione territoriale che riguarda tutto il mondo, come viene reso noto dai dati pubblicati dall’ONU in occasione sella Seconda Assemblea Mondiale sull’Invecchiamento (Madrid, 8-12 aprile 2002)2. Inizialmente sperimentato dai paesi più sviluppati e l’Italia è uno dei paesi più “vecchi” del mondo - di recente questo fenomeno ha iniziato a essere presente in molti dei paesi del mondo in via di sviluppo3. In un futuro non lontano virtualmente tutti i paesi dovranno affrontare l’invecchiamento della popolazione, sebbene questo fenomeno si presenti con differenze di intensità a seconda della geografia. La popolazione anziana è al centro del dibattito socio-economico e politico. Fino a tempi recenti 1 Per una lettura sulla dinamica italiana del calo della fecondità, si veda G. Gesano, A. Menniti, M. Misiti, R. Palomba, L. Cerbara, Le intenzioni, i desideri e le scelte delle donne italiane in tema di fecondità. L’osservatorio italiano sulle aspettative di fecondità, IRP, W.P. 1/2000, Roma, 2000. 2 La Prima Assemblea Mondiale sull’Invecchiamento, tenutasi a Vienna, risale al 1982 in occasione dell’anno internazionale della terza età. 3 A livello mondiale nel 1950 si calcolavano 205milioni di persone ultrasessantenni. Nel 2000 tale numero è triplicato ed è pari a 606milioni. Per il prossimo cinquantennio si stima che le persone con più di sessanta anni subiranno un aumento più che triplicato. United Nations, Department of Economic and Social Affairs, Population Division, World Population Ageing 1950-2050, United Nations, 2002 13 La tendenza all’invecchiamento della popolazione in Italia in tale dibattito ha prevalso una visione per così dire dicotomica dell’anzianità, che tende ora a percepirla come un costo ora a percepirla come una risorsa, e in entrambi i casi assumendo delle visioni troppo spesso immerse nel pregiudizio. E ancora oggi (i clichés sono difficili da annullare) la terza età diventa un costo quando, dimenticandoci della solidarietà intergenerazionale, si considera il sistema pensionistico, la sanità, l’assistenza e il peso della popolazione anziana sull’aggravio fiscale nazionale; diventa una risorsa quando si attinge all’immagine, eredità del passato, dell’anziano custode di saggezza e di esperienza o quando vengono messi in luce i contributi che gli anziani danno, in termini di cura e di supporto, all’interno dell’organizzazione familiare4. Come mette in evidenza il Censis, la realtà è ben diversa perché “sfugge a questa rappresentazione l’impatto dei processi di differenziazione verticale (tra terza e quarta età) e orizzontale (di scelte e percorsi di vita) che sta investendo l’universo degli anziani, il connesso elevato grado di internità delle persone anziane nei processi sociali di individualizzazione, di esaltazione della soggettività e di crescente attenzione ad una concezione evoluta, articolata, fortemente personalizzata del benessere”5. Diventa quindi opportuno che oggi, superando l’immagine preconcetta che la società si è creata dell’anziano, si inizi a mobilitare le risorse degli anziani: non soltanto quelle umane, di esperienza e di memoria, ma anche quelle relative alla domanda di servizi6. Tale mobilitazione può avvenire solo quando venga compresa in pieno la complessità della terza età. Non esiste un solo tipo di anzianità, ma la terza età7 raduna in sé molteplici aspetti e tipologie diversificate di individui. È una categoria eterogenea, che presenta al suo interno profonde differenze dal punto di vista demografico, sociale, economico e culturale. Per sottolineare lo sfaccettato mondo di una realtà così poliedrica e complessa, il sociologo Enrico Finzi suddivide gli anziani italiani in addirittura sei tipologie8: i “disperati poveri”, gli “austeri marginali”, i “ritirati sereni”; e i cosiddetti “NYSS” (New Young Sixty-Seventy): i “tardo-adulti attivi”, i “benestanti giovanilisti” e infine i “benestanti infelici”. Nonostante il recente tentativo di riconoscere l’eterogeneità della terza età, rimane spesso la tendenza a far confluire la vecchiaia in un’unica categoria omogeneizzante. Questo dipende in larga parte dal tipo di costruzione sociale della vecchiaia, per cui il processo di invecchiamento influenza la dinamica dei ruoli e dell’appartenenza sociale. Su questi aspetti influisce anche il condizionamento derivante dalle azioni di esclusione sviluppate dall’organizzazione sociale per mantenere e riprodurre i propri modelli culturali. In questo modo l’età, pur non essendo un ruolo, diventa fattore di aggrega4 Regione Toscana, Il lavoro in età avanzata, Giunti, Firenze, 2001. 5 Censis, La vitalità dei nuovi anziani, Roma, ottobre, 2001, pag. 10. 6 Censis, La vitalità dei nuovi anziani, Roma, ottobre, 2001. 7 Peter Laslett, demografo inglese e fondatore dell’Università della Terza Età a Cambridge, ha distinto la vita in tre età: la prima età è dedicata all’apprendimento e alla preparazione alla vita adulta; la seconda età è quella che viene impiegata nella cura dei figli e nel lavoro; la terza età è invece quella fase della vita in cui l’individuo può dedicarsi a se stesso, ai propri interessi, e che quindi consente un arricchimento interiore e uno sviluppo delle proprie capacità. La terza età è seguita dalla quarta età, un fenomeno nuovo che dipende dall’allungamento della vita media e dal comparire di una consistente quota di ultraottantenni. P. Laslett, Una nuova mappa della vita. L’emergere della terza età, Il Mulino, Bologna, 1992. 8 Enrico Finzi (Istituto Astra-Demoskopea), Tipologie dell’invecchiare. Analisi e dati, le ricerche recenti, documento reperibile on line presso www.arci.it 14 La tendenza all’invecchiamento della popolazione in Italia zione e riferimento di appartenenza. Come osserva Renzo Scortegagna, il risultato di tutto questo è che “la società non riconosce più le persone come dirigenti, casalinghe, operai, professioniste, ecc., ma le omogeneizza in una nuova categoria, che chiama vecchiaia, la categoria sociale dei vecchi”9. Una indagine europea del 2002, commissionata dall’azienda farmaceutica Pfizer al centro di ricerca Taylor Nelson Sofres e condotta su un campione della popolazione anziana di Regno Unito, Francia, Germania, Italia e Spagna, mette in evidenza come tutte le persone contattate fossero concordi nell’affermare che la società attuale tende a sottovalutare o a stigmatizzare il mondo degli anziani. D’alta parte la maggior parte degli intervistati riteneva che la propria generazione fosse diversa e ben più attiva rispetto agli anziani che li avevano preceduti10. L’invecchiare è anche e soprattutto un processo individuale e quindi quello della terza età è un universo attraversato da percorsi di vita individualizzati. Infatti, “ciò che concorre a definire la vita delle persone si rivela un intricato e inestricabile gioco di variabili che vanno dalle appartenenze di classe e di genere, all’educazione familiare ricevuta (in quel tempo e in quella famiglia), ai progetti (potenziali e praticati) individuali e del gruppo sociale d’appartenenza, dagli eventi casuali alle dinamiche inconsce”10. Una differenza molto importante riguarda i generi: negli uomini e nelle donne che invecchiano si amplificano le differenze di genere12. Le donne godono di una maggiore longevità rispetto agli uomini13 e si differenziano da questi dal punto di vista dell’istruzione, dei contesti familiari in cui sono inserite e delle condizioni di vita. Meno degli uomini hanno usufruito del boom economico e tra loro è relativamente più alta la quota di persone senza titolo di studio o con la licenza elementare. La maggiore longevità implica la maggiore probabilità di finire la loro vita da sole, dopo la morte del marito14. La scarsa, se non inesistente, quantità di lavoro remunerato svolto nelle fasi precedenti della vita le porta a versare più degli uomini, soprattutto quando sono vedove, in condizioni di indi9 R. Scortegagna, Invecchiare, Il Mulino, Bologna, 1999, pag. 48. 10 Taylor Nelson Sofres, Pfizer’s Pan-European Healthy Ageing Survey, 2002. Articolato in sei sezioni - famiglia e relazioni interpersonali, benessere, alimentazione e stile di vita, medicina e tutela della salute, pensioni e redditi, atteggiamenti verso la vita e il piacere, orientamento della società verso la vecchiaia - il rapporto, che in Italia ha esaminato le opinioni di circa 500 intervistati tramite telefono, è stato presentato a Roma presso il Palazzo Rospigliosi nel settembre 2002 in occasione del Primo Pfizer Silver Summit. 11 S. Tramma, I nuovi anziani. Storia, memoria e formazione nell’Italia del grande cambiamento, Meltemi, Roma, 2003, pag. 80. 12 Non sono molti gli studi che si concentrano sulla componente femminile della popolazione anziana. Possiamo comunque ricordare, Università di Pisa, Essere anziani e donne nella Provincia di Massa-Carrara, Novembre 2000. Si veda anche lo studio monografico Costanti e variabili nella donna in età senile in appendice al testo di M. Allario, I “nuovi anziani”: interessi e aspettative, F. Angeli, Milano, 2003. 13 La maggiore longevità delle donne interessa soprattutto il mondo occidentale. Può infatti manifestarsi solo quando ci sono condizioni igieniche e sanitarie che annullano i rischi di morte da parto o da aborto e condizioni economiche che non discriminano la nutrizione femminile. In alcuni paesi africani e asiatici la percentuale delle donne sulla popolazione totale è molto più bassa che nel resto del mondo a causa delle discriminazioni di genere che portano al fenomeno delle “donne sparite”, studiato dall’ economista premio Nobel Amartya Sen. 14 I più alti livelli di mortalità maschile e la tradizionale minore età della donna al matrimonio implicano un’elevata predisposizione delle donne alla vedovanza. In Italia la quota di donne ancora coniugate, nella fascia di età tra i 70 e 74 anni, è circa la metà rispetto ai coetanei maschi e tale quota scende a un sesto nella classe 85-89 anni. Si veda G. Blangiardo (a cura 15 La tendenza all’invecchiamento della popolazione in Italia genza15. Ma nonostante tutte queste difficoltà, la terza età al femmine è piena di risorse. Le donne hanno una grande capacità di intessere relazioni sociali e questo le allontana dalla solitudine. Con la fine della vita “attiva” non soffrono, al contrario degli uomini, della perdita del potere sociale che manda invece in pezzi i ruoli maschili: infatti, “il potere domestico non ha mai fine così come non ha mai fine la vita attiva delle donne”, che si riorganizza di continuo16. La terza età non è nemmeno una categoria a sé stante, cioè scollegata dalla fasi precedenti solo per il fatto di appartenere alla fase finale dell’esistenza. È invece fortemente influenzata dal modo in cui è stata vissuta la vita precedente, dalle scelte compiute, dalle opportunità che si sono avute in passato. Il fenomeno-chiave di questo inizio del terzo millennio non sta tanto nell’invecchiamento demografico della popolazione, dovuto all’aumento della speranza di vita e al calo della natalità. La particolarità che riguarda l’universo anziani sta proprio nel loro progressivo ringiovanimento, nel loro essere “sempre meno vecchi da vecchi”17. Gli anziani attuali infatti, rispetto a quelli che li hanno preceduti, raggiungono la vecchiaia in migliori condizioni di salute, come testimoniano anche i recenti sviluppi della medicina geriatrica e la nascita della geragogia18. Questo li rende più attivi, più partecipi alla vita e alle relazioni sociali, più desiderosi di esprimere se stessi. I “nuovi anziani” per la prima volta nella storia delle società occidentali e della società italiana sono dotati di scheletri e corpi ben costruiti e sono tendenzialmente più sani rispetto agli anziani di un passato non molto lontano. I successi che si riscontrano nella storia clinica dei soggetti anziani dipendono da una molteplicità di fattori: la migliore e più varia alimentazione nel corso della loro vita, caratterizzata da un apporto maggiore di proteine; un più elevato tenore di vita, che permette loro di fruire di comodità maggiori nello svolgimento delle attività quotidiane; la rivoluzione igienica e sanitaria che ha evitato o ridotto la comparsa in età avanzata di disturbi fisici di varia natura19. È per questo che, se si può parlare di una prima generazione di anziani “di massa” da un punto di vista quantitativo, si può parlare anche di una generazione di anziani “di transizione”20 da un punto di di), Rapporto Biennale al Parlamento sulla condizione dell’anziano. Anni 2000-2001, Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, rapporto presentato al Parlamento il 22 maggio 2003. 15 R. Palomba, M. Misiti, D. Sabatino (a cura di), La vecchiaia può attendere. Immagini, aspettative e aspirazioni degli anziani italiani, CNR, Istituto di Ricerche sulla Popolazione, Demotrends Quaderni, Roma, 2001. 16 C. Mancina, Le risorse delle donne. Invecchiare da femmine, in “Golem l’indispensabile”, n.12, dicembre 2002. 17 E. Finzi, “Tipologie dell’invecchiare. Analisi e dati, le ricerche recenti”, documento reperibile on line presso www.arci.it 18 L’aumento della popolazione anziana ha determinato la nascita di nuove discipline. La geriatria è una branca della medicina che si occupa della prevenzione e del trattamento delle patologie dell’anziano, ma anche dell’assistenza psicologica, ambientale e socio-economica. La gerontologia è la scienza che studia le modificazioni derivanti dall’invecchiamento, processo caratterizzato dall’aumento dei processi distruttivi su quelli costruttivi a carico dell’organismo umano. Infine, la geragogia è la scienza che studia le possibilità per invecchiare bene. 19 Già nel corso del XIX secolo nel nostro paese come in altri paesi occidentali si era assistito ad un primo declino della mortalità, dovuto alla diffusione a più larghi strati della popolazione di un migliore regime alimentare e di migliori condizioni igieniche. Ma naturalmente tale declino risulta quasi trascurabile se confrontato ai progressi di questo tipo che hanno avuto luogo nell’arco del XX secolo e in particolare nel secondo dopo-guerra. R. Palomba, D. Sabatino, R. Lipsi, Anziani del terzo millennio, in R. Palomba, M. Misiti, D. Sabatino (a cura di), 2001. 20 R. Palomba, M. Misiti, D. Sabatino (a cura di), La vecchiaia può attendere. Immagini, aspettative e aspirazioni degli anziani italiani, CNR, Istituto di Ricerche sulla Popolazione, Demotrends Quaderni, Roma, 2001. 16 La tendenza all’invecchiamento della popolazione in Italia vista qualitativo (aspettative, immagini della realtà). È opportuno quindi che la società in generale superi gli stereotipi dell’anzianità, dell’anziano povero, malato, privo di autonomia personale (fisica o intellettuale), estraneo ai reticoli di relazioni personali soddisfacenti, disinformato sui fatti che riguardano la società21. E in effetti si avvertono di recente anche in Italia dei cambiamenti culturali che vanno in questo senso. Più di recente, nel 2005, l’indagine del Censis, Invecchiare in salute, dimostra che gli anziani italiani costituiscono un universo sempre più vario e manifestano nei loro comportamenti modelli culturali e aspirazioni molto diverse tra loro. Le differenze di età, con lo scarto tra la situazione dei “giovani anziani” e quella degli “anziani vecchi”, risultano sempre più decisive nell’orientare priorità e aspettative; ma anche le specificità dei territori in cui vivono, delle comunità in cui sono inseriti e dell’offerta di servizi, offrono occasioni e possibilità diverse alla terza età. La tutela della salute, tuttavia, resta al centro di questo universo, e anche in questo caso sono molti i modi di perseguire l’obiettivo che porta a una popolazione anziana sempre più attiva e consapevole22. Di riflesso sta cambiando profondamente anche il rapporto degli italiani con il proprio invecchiamento, come evidenza un’altra indagine italiana del 2005. Gli italiani sempre meno pensano al proprio invecchiamento come a una fase di declino inevitabile. Infatti “di pari passo con l’emergere di un ampio segmento di anziani attivi, in buona salute, impegnati in una pluralità di attività e sostanzialmente soddisfatti della propria vita e con l’erosione dell’immagine sociale poverista e di fragilità estrema, si è progressivamente proposta una percezione più positiva del ciclo di vita tradizionalmente definito della terza età”23. 1.2 La vecchiaia non è una malattia Associare la vecchiaia alla malattia è un’operazione arbitraria, priva di fondamenti scientifici e di corrispondenze logiche24. Su questo argomento pesano tuttavia tutta una serie di giudizi preconcetti, di convinzioni aneddotiche, di studi limitati e metodologicamente criticabili25. 21 Comidan, Nuova cultura per nuovi anziani, F. Angeli, Milano, 1998. 22 Censis, Invecchiare in salute, Roma, settembre 2005. L’indagine, che interrogava a livello nazionale un campione di 1.500 individui dai 60 anni in su, prevedeva una prima parte dedicata alla percezione e alle opinioni degli intervistati a proposito della condizione anziana. Può essere interessante ricordare che la grande maggioranza degli intervistati (il 75%) ha dichiarato di non sentirsi anziana. 23 Fondazione OIC (Opera Immacolata Concezione - Onlus), La longevità come risorsa. Dall’esperienza locale all’approccio sistemico, Roma, 15 settembre 2005, pag. 3. 24 R. Scortegagna, Invecchiare, Il Mulino, Bologna, 1999. 25 Come osserva Dante Sabatino, “tradizionalmente, l’immagine pubblica del pensionamento è stata quella di una fase in cui i soggetti coinvolti, normalmente persone anziane, vivevano in condizioni di passività, isolamento e precarietà psicofisica a causa del progressivo peggioramento dello stato di salute. Tale rappresentazione sociale, dalla forte valenza prescrittiva, ha avuto l’effetto di rinforzare lo stereotipo negativo della vecchiaia, nel senso che consolidando l’immagine del pensionato come soggetto debole e dipendente ha finito in molti casi per ricreare le condizioni che ne producevano la marginalità accelerando il deterioramento delle condizioni di salute”. R. Palomba, M. Misiti, D. Sabatino (a cura di), La vecchiaia può attendere. Immagini, aspettative e aspirazioni degli anziani italiani, CNR, Istituto di Ricerche sulla Popolazione, Demotrends Quaderni, Roma, 2001, pag. 24. 17 La tendenza all’invecchiamento della popolazione in Italia Secondo Ursula Lehr (uno dei nomi più autorevoli della gerontologia europea)26, la tendenza negli studi sull’invecchiamento a porre l’accento sulla diminuzione delle capacità è dovuta a due fattori. Il primo dipende dal fatto che il giudizio sugli anziani è fortemente condizionato dalle teorie medicobiologiche, per cui l’invecchiamento è stato associato con la malattia fisica e psichica e con tutti i problemi che questa comporta. Nella realtà invece solo una piccola percentuale di anziani è malata e bisognosa di assistenza. Il secondo fattore riguarda il tipo di metodologie utilizzate per misurare i cambiamenti dell’intelligenza. All’inizio del secolo si era constatato che l’intelligenza diminuiva dopo i trent’anni ma a questo risultato si era giunti utilizzando metodi di rilevazione trasversali (cross-cohort) e quindi influenzabili dai diversi livelli di istruzione tra le classi di età. Utilizzando invece metodologie di tipo longitudinale, si è dimostrato che l’intelligenza rimane intatta fino a oltre i sessanta anni e che certi aspetti possono anche migliorare (intelligenza cristallizzata). I recenti risultati raggiunti in ambito scientifico hanno in parte sfatato i miti e le credenze socioculturali27. Anche se, occorre dirlo, l’idea di anzianità (o di vecchiaia) oggi subisce ancora l’effetto di tabù sociali e culturali e trova nuovi ostacoli per una sua piena assimilazione e normalizzazione in una società, soprattutto quella occidentale, che tende ad esaltare il culto della giovinezza28, della bellezza, della efficienza e della produttività29. È soprattutto grazie alla moderna psicogerontologia che viene riportato l’interesse sui processi non patologici dell’invecchiamento30. Superando la visione classica che vede la fase della maturità come lo stadio finale e ultimo dello sviluppo31, gli studi sul ciclo di vita hanno messo in luce che lo sviluppo di un individuo non è limitato ai primi periodi della vita ma è continuo e comprende tutto il periodo dell’esistenza32. Lo sviluppo non procede in maniera uniforme e l’invecchiamento risulta essere il processo attivo di ogni individuo che cerca di adattarsi ai propri cambiamenti fisici, emotivi e intellettuali, così come ai cambiamenti sociali e ambientali. La presenza di un buon substrato socio-culturale, un sostegno familiare comprensivo e incoraggiante, di interesse verso la persona anziana, sono tutti elementi che aiutano senza dubbio l’individuo a fronteggiare le spinte al disadattamento e a mettere in atto una strategia di ricerca e conquista di un nuovo equilibrio. L’invecchiamento è quindi un processo di adattamento e di disadattamento. Il dis26 U. Lehr, Psicologia degli anziani, SEI, Torino, 1979. 27 M. Cesa-Bianchi, G. Pravettoni, G. Cesa-Bianchi, L’invecchiamento psichico: il contributo di un quarantennio di ricerche, in “Giornale di Gerontologia”, Vol. 45, n.5, 1997. 28 Come infatti osserva Renzo Scortegagna, la cultura dei nostri giorni non offre ancora una buona immagine dell’invecchiamento, dal momento che preferisce sostenere l’idea che si possa rimanere giovani per sempre. R. Scortegagna, Invecchiare, Il Mulino, Bologna, 1999. 29 La terza età (Einaudi, Torino, 1971) di Simone de Beauvoir è un’opera in cui viene analizzata la condizione della vecchiaia predominante fino a pochi decenni fa e rappresenta uno dei primi, appassionati atti di accusa rivolti all’atteggiamento della società verso gli anziani. La vecchiaia, secondo l’autrice, diventa problema sociale solo in una società che ha mitizzato la giovinezza e che si interessa degli anziani solo per i suoi fini. Tutti i sistemi sociali, inoltre, hanno ridotto gli anziani ad una categoria di emarginati, accanto ai poveri, agli immigrati, ai malati di mente. 30 P. Chiambretto, Fiori d’inverno. Cambiamenti ed evoluzione dell’approccio psicologico all’invecchiamento, in Fondazione Leonardo, Terzo rapporto sugli anziani in Italia, 2002-2003, F. Angeli, Milano, 2003. 31 G. Petter, Lo sviluppo mentale nelle ricerche di Jean Piaget, Giunti-Barbera, Firenze, 1961. 32 E. H. Erikson, I cicli della vita: continuità e mutamenti, Armando, Roma, 1984. 18 La tendenza all’invecchiamento della popolazione in Italia adattamento compare quando l’anziano vede crollare i suoi punti di riferimento: la famiglia, le amicizie, il lavoro, le relazioni sociali e poi infine la propria casa, la propria camera, il proprio letto. Diventa allora fondamentale l’importanza dello spazio vissuto, che è spazio psicologico e corporeo33. Nella medicina geriatrica e nella psicologia dell’invecchiamento lo studio degli effetti provocati dall’invecchiamento sull’efficienza dei sistemi cognitivi evidenzia inoltre la presenza di fenomeni opposti. La riduzione di alcune funzioni mentali è compensata da un ulteriore sviluppo delle funzioni residue. Durante l’invecchiamento si realizzano l’involuzione delle abilità mentali meno utilizzate e il mantenimento in efficienza di quelle ancora in uso. Generalmente, ad esempio, tendono a decadere la funzioni cognitive che riguardano l’apprendimento e la memorizzazione mentre si conservano abilità mentali che sono alla base di operazioni logiche e concettuali34. È fondamentale anche la dimensione socio-culturale e ambientale, per cui un ambiente stimolante facilita la conservazione di processi logico-astrattivi. Le attività mentali infatti, se stimolate ed esercitate, si sottraggono al declino35. L’anziano diventa quindi un’autentica, possibile risorsa per la società. La senescenza (dal latino se nescere, perdere la cognizione di sé) cambia oggi di significato. Anche la scienza geriatrica dimostra che non è la senescenza la condizione patologica; sono piuttosto gli eventi morbosi a creare le condizioni del declino psico-fisico dell’individuo e in questo processo i fattori sociali risultano essere di fondamentale importanza36. Recenti ricerche hanno anche evidenziato la possibilità di sviluppare situazioni creative proprio nella vecchiaia37. Per creatività si intende la possibilità di esprimere se stessi: è una caratteristica del mondo evolutivo del bambino e diminuisce con l’avanzare dell’età in una società ratiomorfa come la nostra, che privilegia la forma, il pensare secondo una logica comune, e che tende a sopprimere la differenziazione. Nell’età anziana la creatività può invece manifestarsi nelle piccole azioni quotidiane e in diverse condizioni di aggregazione. Negli anziani l’arte e lo spirito creativo diventano un mezzo di comunicazione, un modo per esprimere gli stati d’animo e i desideri38. Ovviamente la filosofia della longevità attiva può perdere il suo significato quando consideriamo 33 G. Oliva (a cura di), L’invecchiamento psichico: credenze socio-culturali e reale stato del problema, in “Medicina Salute e Bellezza”, n.2, ottobre 2000. 34 A. R. Damasio, L’errore di Cartesio: emozione, ragione e cervello umano, Adelphi Edizioni, Milano, 1995; D. Goleman, Intelligenza emotiva, Rizzoli, Milano, 1996; J. LeDoux, Il cervello emotivo: alle radice delle emozioni, Baldini & Castaldi, Milano, 1998. 35 R. Levi Montalcini, L’asso nella manica a brandelli, Baldini & Castaldi, Milano, 2001. L’autrice, che ha più volte dichiarato di aver fatto alcune delle sue più importanti scoperte dopo i settant’anni, in questo libro non parte da considerazioni etiche, sociologiche o psicologiche, bensì mediche, e attraverso queste dimostra che il cervello dell’uomo, invecchiando, perde alcune prerogative ma le sostituisce con altre che in parte compensano e superano quelle perdute. 36 M. Cesa-Bianchi, L’invecchiamento psichico, in Invechiare bene… anzi, molto bene!, articolo reperibile in www.benessere.com. 37 AA. VV., Creatività nell’anziano, atti del IV Congresso Nazionale, Vicenza, 13/16 giugno 1985, in Quaderni Federuni, Ist. Rezzara, Vicenza, 1986. E. E. Bosotti, Persistenza e diversificazioni della creatività nell’anziano, in Le Potenzialità Creative dell’Anziano, Associazione Goffredo De Banfield, Trieste, 1990. E. E. Bosotti, Creatività e processi di adattamento: prospettive per un invecchiamento “creativo”, in “Psicologia e Società”, 3-4, 1980. 38 Nella sua ricerca su un campione di cento anziani Paolo Bruno Donzelli si avvicina, tramite uno studio sulla creatività, alla dimensione affettivo-emotiva della persona che invecchia: attraverso la raccolta di opere creative (frasi, lettere, racconti, 19 La tendenza all’invecchiamento della popolazione in Italia la quota, sia pure minoritaria, degli anziani non autosufficienti. Eppure, come viene osservato nell’indagine della Fondazione OIC39, anche la non autosufficienza richiede un radicale cambio di prospettiva e un passaggio dall’approccio assistenziale, quello della pura sostituzione delle facoltà del singolo, a un approccio proattivo, che riesca cioè a valorizzare le potenzialità residue delle persona che possono esprimersi se messe in condizioni di svilupparsi. poesie, opere artigianali) realizzate dagli anziani intervistati, vengono ascoltati i sogni, le speranze, i conflitti delle persone che esprimono in questo modo la loro “voce poetica”. Si veda P. B. Donzelli, Vecchiaia, isolamento e creatività. La voce poetica dell’anziano: ricerca, interventi e prospettive, in “SRM Psicologia Rivista”, gennaio 2003. 39 Fondazione OIC (Opera Immacolata Concezione - Onlus), La longevità come risorsa. Dall’esperienza locale all’approccio sistemico, Roma, 15 settembre 2005. 20 L’analisi dei dati statistici 2. L’analisi dei dati statistici 2.1 La costruzione sociale della vecchiaia Il momento in cui il processo di invecchiamento, che inizia alla nascita e prosegue per tutto il corso della nostra esistenza, trasforma un adulto in un anziano è di fatto stabilito da convenzioni sociali e da procedure legali e amministrative, al pari di quanto avviene per le altre fasi della vita nelle società industrializzate e burocratizzate40. Ci sono almeno due aspetti, comuni a più modelli culturali, che concorrono a tale costruzione sociale. Il primo riguarda l’introduzione del pensionamento obbligatorio, concepibile come una sorta di discriminazione correlata con l’età nell’organizzazione della vita lavorativa delle persone. Il secondo riguarda invece la nascita di una politica sociale e di una politica della vecchiaia, come segno dell’esistenza di un problema non più risolvibile soltanto a livello individuale, ma che richiede un’azione di protezione e di assistenza da parte dei responsabili del governo della società organizzata41. Convenzionalmente, rifacendosi ad un approccio anagrafico-legale, si definisce anziano l’individuo che ha raggiunto i 65 anni di età e che quindi ha varcato la soglia di ingresso nell’età pensionabile42. All’interno di questa categoria si suole fare un’ulteriore distinzione. Coloro che hanno un’età compresa tra i 65 e i 74 anni vengono anche chiamati “anziani in senso stretto” o “medio-anziani”, mentre coloro che hanno un’età che va oltre i 75 anni vengono definiti “vecchi” o “grandi vecchi” o “anziani-anziani”43. Considerando però che oggi, rispetto a quaranta anni fa, la speranza di vita di un sessantacinquenne è notevolmente aumentata, e che quindi la condizione di anzianità si proietta in avanti nel tempo, sembrerebbe opportuno considerare come anziano colui che ha una speranza di vita non superiore ai dieci anni. In questo modo la soglia della vecchiaia non viene fissata in termini assoluti e statici ma in termini relativi e dinamici, come suggerisce la seguente tabella. 40 E. Cioni, Solidarietà tra generazioni. Anziani e famiglie in Italia, F. Angeli, Milano, 1999. 41 R. Scortegagna, Invecchiare, Il Mulino, Bologna, 1999. 42 Istat, Annuario Statistico Italiano 2002, Istat, Roma, 2002. 43 Secondo una terminologia anglosassone, la popolazione anziana, sempre più attiva e vitale, può essere suddivisa in tre sottocategorie: young-old (65-74 anni), middle-old (70-74 anni), old-old (oltre i 75 anni). Nella nostra analisi useremo il termine di anziano senza attribuire a questa definizione un significato preciso, se non quella di persona ultrasessantacinquenne protagonista del processo di invecchiamento e quindi comprendendo anche gli individui che anagraficamente sono in uno stadio più avanzato di tale processo. 21 L’analisi dei dati statistici Tab.1 Soglie dinamiche di vecchiaia (età in corrispondenza della quale si ha una speranza residua di 10 anni) Fonte: Egidi, 199744 2.2 Quanti sono gli anziani in Italia L’Italia, al primo gennaio 2004, conta una popolazione di 57.888.245 abitanti. La popolazione anziana (gli individui con oltre 65 anni di età) equivale a un ammontare di 11.128.481 individui, pari al 19% del totale45. Le tendenze della transizione demografica fanno registrare una significativa femminilizzazione della vecchiaia. Tra gli ultrasessantacinquenni, quasi il 59% è composto da donne e tale percentuale tende a salire con il crescere dell’età senile. La progressiva riduzione dei rischi di morte a tutte le età rende l’Italia uno dei paesi più longevi (tab.2). La vita media dei maschi, al 1998, risulta pari a 75,5 anni, mentre per le donne questo valore è più alto e corrisponde a 81,8 anni. Le stime Istat per il 2004 mostrano che è in atto un continuo allungamento della vita, che porta la speranza di vita per i maschi a 77,8 anni e per le femmine a 83,7. Nel 2004 si registra un ulteriore aumento del grado di invecchiamento della popolazione, mentre il numero medio di figli per donna non registra particolari cambiamenti - che comunque non vanno nella direzione di una diminuzione. Al primo gennaio 2004, l’indice di vecchiaia (che equivale al rapporto percentuale tra la popolazione di oltre 65 anni e quella con meno di 15 anni) è pari al 135,9% e mostra un costante aumento rispetto agli anni precedenti. Notiamo che per il 2005 l’Istat stima un indice di vecchiaia ancora più elevato e pari al 137,7%. Anche l’età media della popolazione è salita passando dai 40,9 anni del 1998 ai 42,3 anni del 2004. 44 V. Egidi, Anziani: prospettive demografiche e problemi sociali, in D. Da Empoli, G. Muraro (a cura di) Verso un nuovo stato sociale. Tendenze e criteri, F. Angeli, Milano, 1997. Tabella reperibile presso il sito Internet www.centromaderna.it. Secondo N. Ryder (Notes on Stationary Population, in “Population Index”, vol. 42, n.1, 1975), l’indicatore più adatto per indicare l’inizio della vecchiaia sarebbe quello che considera l’età oltre la quale rimangono da vivere “dieci anni in buona salute”. Come si legge nel Rapporto Biennale al Parlamento sulla Condizione dell’Anziano (pag. 35), adottando questo approccio “i dati sull’invecchiamento demografico della popolazione italiana verrebbero magicamente ridimensionati, recependo via via nel tempo gli indiscussi progressi registrati in tema di sopravvivenza”. Blangiardo G. (a cura di), Rapporto Biennale al Parlamento sulla condizione dell’anziano. Anni 2000-2001, Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, rapporto presentato al Parlamento il 22 maggio 2003. 45 Istat, demografia in cifre, popolazione residente al primo gennaio 2004 (www.demo.istat.it). 22 L’analisi dei dati statistici Tab.2 Indici di vecchiaia, numero medio di figli per donna e speranza di vita alla nascita in Italia dal 1998 al 2004, valori al 1° gennaio Fonte: Elaborazione su dati Istat (a) Stima 2.3 L’ambito regionale Entrando nelle specificità regionali (tab.3), la regione italiana più vecchia è la Liguria, con un indice di vecchiaia pari al 240,1%, mentre quella più giovane è la Campania, con un indice di vecchiaia del 81,9%. La Toscana (in cui tale indice è pari a circa 193 anziani ogni cento giovani tra gli zero e i 14 anni) risulta essere la seconda regione più vecchia, seguita a breve distanza da Emilia-Romagna (186,7%) e Umbria (185,8%). Nella nostra regione la popolazione ultrasessantacinquenne, con un ammontare di circa 800mila individui, costituisce circa il 23% della popolazione totale. Le donne sono il 59% della popolazione anziana. La classe di età giovanile (0-14 anni) incide sulla popolazione totale toscana con una quota di circa il 12%. Di conseguenza l’indice di dipendenza strutturale in Toscana è pari al valore di 53,4%, spiegato principalmente dall’indice di dipendenza senile (35,2%). Tab.3 Indicatori di struttura della popolazione per regione, 1° gennaio 2004 23 L’analisi dei dati statistici Fonte: Istat Per quanto riguarda gli indicatori demografici, in Toscana il numero medio di figli per donna (1,26) è tra i più bassi fra quelli delle altre regioni dell’Italia centrale e più basso di quello nazionale di 13 punti decimali. La media nazionale viene superata in Toscana anche quando consideriamo la speranza di vita alla nascita, che per i maschi risulta essere di 78,6 anni e per le femmine di 84,5 anni. Qui di seguito proponiamo la tabella contenente alcuni indicatori demografici relativi alle regioni italiane. Tab.4 Indicatori demografici per regione 24 L’analisi dei dati statistici Fonte: Istat (a) Stima (1) Il valore della speranza di vita è relativo all’insieme di Piemonte e Valle d’Aosta (2) Il valore della speranza di vita è relativo all’insieme di Abruzzo e Molise La regione Toscana presenta una quota di popolazione anziana (quasi il 23%) ben superiore a quella che si calcola a livello nazionale (che, come abbiamo già visto, è del 19%). All’interno del territorio regionale si verificano tuttavia delle diversificazioni piuttosto evidenti (tab.5). Prato è, fra le province toscane, la più giovane di tutte. La provincia di Prato si distingue infatti per avere la percentuale relativamente più alta di popolazione giovane (13,1%) e il peso relativamente meno consistente di popolazione anziana (19,3%). Tab.5 Composizione percentuale delle classi di età nelle province toscane, 1° gennaio 2004 Fonte: elaborazione su dati Istat Nella provincia di Prato si conta anche il numero più basso di anziani ogni bambino (in età compresa fra gli zero e i sei anni) e, se consideriamo i dieci comuni più giovani della Toscana, tra i 287 comuni toscani, a Carmignano spetta il secondo posto con due anziani ogni bambino (tab.6). 25 L’analisi dei dati statistici Tab.6 Le province toscane e i dieci comuni più giovani della Toscana relativamente al numero di anziani ogni bambino, popolazione residente 1° gennaio 2004 Fonte: elaborazione su dati Istat 2.4 L’invecchiamento demografico nella provincia di Prato In una dimensione dinamica i mutamenti nella struttura della popolazione residente nella provincia di Prato sono evidenti e l’invecchiamento della popolazione mostra il suo andamento progressivo nel tempo. Confrontando i risultati dei censimenti della popolazione relativi al 1981, al 1991 e al 2001, possiamo vedere le variazioni percentuali che nel giro di venti anni si possono rilevare nelle distribuzioni per classi di età (tab.7). Tab.7 Dati del censimento della popolazione della provincia di Prato. Confronto 19811991-2001 Fonte: Istat La popolazione residente nella provincia di Prato ha subito un incremento del 10% passando dalle 206mila unità del 1981 alle 227mila del 2001. A fronte di una riduzione considerevole (-27%) della 26 L’analisi dei dati statistici fascia di età giovanile (0-14 anni), si assiste a un aumento non trascurabile della popolazione compresa nella fascia di età 15-64 (+12%) e a un incremento assai più vistoso della popolazione anziana (+60%). Le variazioni che sono avvenute nella provincia di Prato nel ventennio considerato si manifestano in modo difforme a seconda del comune di riferimento. L’invecchiamento demografico è dovuto soprattutto all’aumento della popolazione anziana del comune di Prato (+61%). Tale variazione percentuale risulta minore negli altri comuni (+55%), dove la fascia di età della popolazione attiva fa registrare un incremento del 25%. Questo incremento è ben superiore a quello misurabile per il comune di Prato (+8%) e a quello provinciale (+12%). Infine, la variazione percentuale che nei comuni si registra misurando il calo della popolazione in età giovanile (-21%) è inferiore a quanto è osservabile per la fasce di età 0-14 anni nel comune di Prato e nella provincia. Passiamo adesso alla situazione demografica al 2004. Dall’analisi della composizione della popolazione residente per fasce di età all’interno dei comuni della provincia di Prato, si possono trarre alcune considerazione sulla situazione anagrafica dei singoli comuni (tab.8). Tab.8 Provincia di Prato e dettaglio comunale: composizione percentuale delle classi di età, 1° gennaio 2004 Fonte: elaborazione su dati Istat Risulta evidente come la struttura economico-produttiva localizzata del distretto possa influire sulla determinazione demografica della popolazione. Il comune di Montemurlo, così come il comune di Poggio a Caiano - entrambi (insieme al comune capoluogo) caratterizzati da una elevata concentrazione territoriale della manifattura tessile - presentano le quote relativamente più alte di popolazione in età attiva, con valori all’incirca pari al 70% della popolazione totale. Di riflesso anche la percentuale di popolazione in età giovanile è lievemente superiore rispetto al valore medio provinciale. A questi comuni si aggiunge anche quello di Carmignano, dove gli individui in età giovanile costituiscono il 15% dei residenti (la più alta incidenza di tutta la provincia a fronte di una percentuale relativamente minore della popolazione anziana). I comuni che invece presentano percentuali relativamente più alte di popolazione anziana si trovano nell’area di alta collina e nell’area montana. Sono il comune di 27 L’analisi dei dati statistici Vernio, con quasi il 26% (dati aggregati per l’età oltre i 65 anni) e i comuni di Cantagallo e di Vaiano, dove gli ultrasessantacinquenni costituiscono rispettivamente più del 24% e quasi il 22% della popolazione (dati aggregati)46. Questi tre comuni presentano anche la percentuale relativamente più alta di anziani che hanno superato l’ottantacinquesimo anno di vita. Il comune di Prato, infine, con la sua quota di popolazione anziana si adegua ai valori della media provinciale. Ampliamo l’analisi con l’osservazione degli indici che si riferiscono all’invecchiamento demografico e ai suoi effetti sull’equilibrio tra le generazioni all’interno dei sette comuni della provincia pratese (graff. 1-2-3-4). A livello provinciale si registra un indice di vecchiaia pari al 147,1%. I territori a elevata senescenza presentano, ovviamente, gli indici di vecchiaia più elevati: Vernio (in cui l’indice assume il valore del 233,1%), Cantagallo (228,9%) e Vaiano (184,9%). Il comune capoluogo (149,0%) si pone in una posizione intermedia tra questi e i comuni a minore senescenza: Carmignano (che con il 113,0% è quello che maggiormente si avvicina alla soglia di parità del 100%), Montemurlo (127,4%) e Poggio a Caiano (132,8%). Graf.1 Provincia di Prato e dettaglio comunale: indici di vecchiaia, 1° gennaio 2004 Fonte: elaborazione su dati Istat Nella provincia di Prato l’indice di dipendenza strutturale è pari al 47,9% ed è determinato dalla componente anziana della popolazione (28,6%) in misura assai maggiore di quanto si rileva per la 46 Bisogna tuttavia ricordare che tutti i comuni della provincia di Prato, compresi quelli montani, hanno conosciuto l’industrializzazione e la crisi della mezzadria, due fenomeni che hanno sconvolto gli assetti agricoli precedenti. L’unico comune del territorio pratese che esce dalla categoria di intensamente o discretamente industrializzato è quello di Vernio, che viene classificato come residenziale. Anche questo aspetto è comunque in linea con il distretto industriale poiché all’interno di esso è possibile trovare aree nelle quali si è sviluppata maggiormente la necessaria funzione residenziale, che implica ovviamente una forma di pendolarismo verso i luoghi di lavoro nei comuni limitrofi. R. Cianferoni, Le aree agricole e forestali, in P. Giovannini, R. Innocenti, Prato metamorfosi di una città tessile, F. Angeli, Milano,1996. 28 L’analisi dei dati statistici popolazione giovanile (19,3%). L’indice di dipendenza strutturale più basso si calcola per il comune di Montemurlo (42,9%), in cui quindi si verifica il minor peso della popolazione non attiva su quella attiva. In questo caso il contributo della popolazione in età giovanile nella determinazione dell’indice (18,9%) si avvicina, pur rimanendo inferiore, al valore dell’indice di dipendenza senile (24,0%), che risulta essere il più basso dell’intero territorio provinciale. Graf.2 Provincia di Prato e dettaglio comunale: indici di dipendenza strutturale, 1° gennaio 2004 Fonte: elaborazione su dati Istat Graf.3 Provincia di Prato e dettaglio comunale: indici di dipendenza senile, 1° gennaio 2004 Fonte: elaborazione su dati Istat 29 L’analisi dei dati statistici Graf.4 Provincia di Prato e dettaglio comunale: indici di dipendenza giovanile, 1° gennaio 2004 Fonte: elaborazione su dati Istat La popolazione anziana risente di forti differenze nella composizione per genere. La maggiore presenza femminile nella provincia di Prato si deve in primo luogo all’allungamento della speranza di vita della popolazione e all’invecchiamento demografico. Dovunque, in tutto il mondo, nascono bambini di sesso maschile in numero lievemente superiore a quello delle bambine. Il rapporto quantitativo uomini-donne va a vantaggio della componente femminile con l’avanzare dell’età a causa della più elevata mortalità maschile. Occorre ricordare che quello della femminilizzazione dell’anzianità è tra l’altro un problema di notevole portata per il cospicuo numero di donne che, sopravvivendo al marito, si trovano a vivere spesso in una situazione di precarietà economica e sociale, collegata talvolta ad un’esistenza di solitudine affettiva. Per quanto riguarda la provincia di Prato, nella fascia di età giovanile (0-14 anni) il genere femminile è leggermente minoritario e nella fascia di età 15-64 anni si raggiunge un equilibrio paritario della presenza dei due sessi. Nelle fasce di età anziana, dai 65 anni in poi, le donne sono numericamente più presenti e il tasso di femminilizzazione diventa consistente tra i grandi anziani fino a rappresentare più dei due terzi della classe di età oltre gli ottantacinque anni (tab.9). Tab.9 Provincia di Prato e dettaglio comunale: composizione percentuale delle classi di età per genere femminile, 1° gennaio 2004 Fonte: elaborazione su dati Istat 30 L’analisi dei dati statistici Passiamo adesso all’analisi della popolazione anziana a seconda dello stato civile. In generale, guardando a uomini e donne complessivamente considerati, la condizione coniugale è l’elemento che caratterizza la maggioranza della popolazione anziana (graf.5). La vita matrimoniale interessa circa il 60% della popolazione totale ultrasessantacinquenne e la condizione di vedovanza riguarda quasi il 33% della popolazione anziana. Come vedremo meglio dalla tabella successiva, in cui si suddivide la composizione per stato civile anche a seconda delle classi di età, risulta coniugato il 78% degli individui tra i 65 e i 69 anni e la percentuale si mantiene elevata fino alla classe di età 80-84 anni. Da questa in poi diventa rilevante, con l’avanzare dell’età e quindi con l’aumentare della possibilità di perdere il partner, la condizione di vedovanza (la metà delle persone tra gli 80 e gli 84 anni e la quasi totalità delle persone che hanno più di 95 anni), che in generale interessa un terzo della popolazione con più di 65 anni. Graf.5 Composizione percentuale per stato civile della popolazione in età 65 anni e oltre nella provincia di Prato, 1° gennaio 2004 Fonte: elaborazione su dati Istat A livello aggregato, vediamo come sia limitata tra gli anziani la quota di persone divorziate (appena l’1%), un fenomeno che si deve sia alla tardiva introduzione in Italia della legge sul divorzio sia alle resistenze di carattere religioso e culturale che sono più marcate nelle generazioni più anziane della popolazione. Da notare invece la percentuale non trascurabile di persone che nella loro vita non hanno contratto matrimonio (6%), percentuale che diventa del 9% tra le persone che hanno superato i 95 anni. Nella popolazione anziana il nubilato è un fenomeno più frequente, anche se di poco, del celibato e interessa soprattutto le donne con più di 80 anni. Come abbiamo visto, insieme alla suddivisione per classi di età, anche la dinamica della composizione per sesso trova riscontro in una distribuzione della popolazione anziana per stato civile che prefigura percorsi e situazioni di vita diverse tra uomini e donne. Ciò diventa molto evidente quando si considera la condizione della vedovanza. La più breve speranza di vita media per gli uomini e in qual31 L’analisi dei dati statistici che misura anche la tradizionale minore età della donna al matrimonio - la differenza di età, spesso anche molto accentuata, tra marito, più maturo, e moglie, più giovane, era una consuetudine del passato di ordine culturale47 - sono fattori che favoriscono la condizione di vedovanza per la componente femminile, come confermano i dati strutturali. In generale nella popolazione anziana pratese le donne vedove sono il 48% contro il 12% maschile. Ma sulle percentuali pesano anche le classi di età. A partire dalla classe 65-69 anni la quota di donne ancora coniugate (69%) è inferiore a quella dei coetanei maschi (88%) e tende a diminuire drasticamente osservando le classi successive (tab.10). Tab.10 Composizione per sesso, età e stato civile della popolazione in età 65 e più nella provincia di Prato (valori percentuali), 1° gennaio 2004 Fonte: elaborazione su dati Istat Nella fascia di età 75-79 anni, in corrispondenza della quale il contingente delle vedove (53%) supera quello delle coniugate (41%), la quota delle coniugate diventa circa la metà di quella dei coetanei maschi e il divario aumenta tanto che nella classe 85-89 anni le donne coniugate rappresentano 47 Questo fenomeno è noto anche come dominio dell’uomo sulla donna attraverso l’età. Jacques Véron, Il posto delle donne, Il Mulino, Bologna, 1999. 32 L’analisi dei dati statistici un terzo degli uomini coniugati (risulta coniugato l’11% delle donne e il 64% degli uomini). Per gli uomini il sorpasso del contingente dei vedovi sui coniugati avviene in un’età molto avanzata, nella classe che va dai 90 ai 94 anni. 33 34 Gli anziani pratesi dell’ultimo ventennio 3. Gli anziani pratesi dell’ultimo ventennio 3.1 Gli anziani a Prato fra mutamento e continuità Nel nostro territorio il mondo politico-istituzionale e quello dell’associazionismo hanno sempre mostrato un forte interesse verso la conoscenza dei bisogni della popolazione anziana. Questo interesse nasce dalla necessità, emersa da anni dovunque si sia manifestato il fenomeno dell’invecchiamento della popolazione, di valutare un evento demografico di grande rilievo per le sue implicazioni sulla dimensione economica, politica e sociale di ogni comunità. Ma nasce anche come desiderio di prendere conoscenza delle condizioni sociali, delle risorse economiche e dei bisogni culturali della popolazione anziana in modo tale da avere un quadro che, in un certo senso, ci informa del livello della qualità della vita della società locale nel suo complesso. Un’attenzione particolare agli anziani del territorio pratese è imprescindibile anche quando consideriamo la grande importanza che gli attuali anziani hanno rivestito nella nostra storia economica e culturale e che tuttora rivestono all’interno della società. Infatti, la storia degli anziani di Prato non è soltanto biografia individuale, per quanto ricca ed emozionante; non è soltanto testimonianza diretta delle grandi trasformazioni avvenute negli ultimi cinquanta anni, risorsa fondamentale di memoria per una società troppo abituata a guardare più al futuro che al presente, più fuori di sé che dentro di sé. La storia degli anziani pratesi è anche la storia sociale, economica e culturale di una città e di un distretto industriale. L’attuale popolazione ultrasessantacinquenne di Prato ha assistito al decollo del distretto industriale, vi ha contribuito con ingegno e laboriosità, ha partecipato al suo sviluppo sia attraverso la componente maschile sia attraverso la non trascurabile componente femminile della forza lavoro. Ha tramandato ai figli nozioni e consuetudini di vita e di lavoro, si è adattata ai cambiamenti, ha superato le crisi, tanto quelle economiche quanto quelle legate al cambiamento di una società, dei suoi modi di fare e di pensare. Originaria di Prato e quindi portatrice di un’importante tradizione culturale locale, anche nei termini dell’etica del lavoro, oppure proveniente da altre regioni, attraverso i cospicui flussi immigratori a Prato provenienti dal meridione d’Italia e dalle zone del Nord-est (quando l’immigrazione a Prato era un’immigrazione di tipo interno), l’attuale popolazione ultrasessantacinquenne si è gradualmente adoperata all’integrazione delle parti che compongono un sistema e alla condivisione di un comune sentire, di una medesima identificazione valoriale nella cultura del territorio. Di origine contadino-mezzadrile, classe operaia urbanizzata o esponente dal ceto borghese cittadino, i nostri anziani hanno agevolato con il loro lavoro i successivi sviluppi di industrializzazione e di terziarizzazione dell’economia. Oggi siamo di fronte a una fase di revisione e di trasformazione del distretto industriale, in parte dovuta a tutti quegli elementi di razionalizzazione - intesa come progressiva affermazione della razio35 Gli anziani pratesi dell’ultimo ventennio nalità rispetto allo scopo - che hanno investito il sistema produttivo e in parte dovuta al processo di secolarizzazione che influenza la trasformazione di una società in senso post-moderno e post-industriale. Sono importanti cambiamenti che hanno modificato, nel tempo, le condizioni per una riproduzione sociale del distretto. Un approccio comparato all’analisi dei risultati delle indagini empiriche che sono state effettuate nel nostro territorio dagli inizi degli anni Ottanta fino ad oggi può portare da una parte alla constatazione di dinamiche di mutamento e dall’altra all’osservazione di condizioni costanti. Questo è davvero interessante soprattutto se l’oggetto di studio è una realtà, come è quella (post)distrettuale, che è contraddistinta da trasformazioni recenti - non solo di tipo economico - che hanno teso a ricentrare l’attenzione dai valori legati al sistema produttivo alla centralità della donna e dell’uomo nella società. L’accostamento dei risultati tratti dalle varie ricerche e l’analisi derivata che è possibile dedurre sono più che mai necessari se vogliamo considerare i mutamenti che si sono verificati nel “modo pratese di invecchiare”. Oggi, come abbiamo già visto, si parla a livello nazionale e internazionale di nuovi anziani, più vitali e più attivi all’interno della società e si è superato finalmente - ma forse non definitivamente - il pregiudizio culturale della terza età come fase del tramonto della vita. Probabilmente anche questa è un’istanza della società postmaterialistica: gli anziani, non più attivi nel mercato del lavoro, continuano a essere attivi in un ambito ben più vasto del mercato del lavoro: la vita. 3.2 Le indagini esaminate Le indagini, i cui dati esaminaremo in una prospettiva comparata, sono quattro. In particolare tratteremo di due delle ricerche sociosanitarie realizzate nell’arco del decennio Ottanta per iniziativa della USL n. 9 che stabilì, con delibera n. 600 del 22 maggio 1984, di organizzare un progetto di ricerca di tipo sociale e medico-sanitario sulla popolazione ultrasessantenne residente nel territorio dell’area pratese. Aderirono a questa iniziativa i comuni di Vaiano (già nel 1983), Carmignano (1985), Prato (1986) e Montemurlo (1990). Non ci è stato possibile prendere visione di tutte e quattro le ricerche. Nella nostra analisi consideriamo le sole ricerche condotte a Carmignano e a Montemurlo. Le altre due, quelle svolte a Vaiano e a Prato, sono risultate, al momento della stesura di questo lavoro, irreperibili. Fortunatamente, tuttavia, nel rapporto sulla popolazione anziana di Montemurlo si possono leggere alcuni riferimenti ai risultati delle altre ricerche e, nei casi in cui sarà possibile, faremo riferimento anche a questi dati. Le quattro indagini che facevano parte di questo progetto promosso dalla USL n. 9, pur nella loro diversità, presentavano numerosi aspetti in comune e quindi i risultati sono confrontabili tra loro. Tuttavia la vocazione originaria del progetto complessivo, quella della sua natura longitudinale che permettese il rinnovo nel tempo delle rilevazioni, è purtroppo stata smentita nei fatti. Se invece si fosse continuato su questa strada, sarebbe stato possibile aggiornare periodicamente le indagini per fare il punto della situazione e verificare il successo o meno degli interventi istituzionali e le trasformazioni dei bisogni e delle aspettative della popolazione anziana. Il questionario delle quattro indagini prevedeva una parte relativa all’ambito sociale e relazionale (condizioni personali, condizioni familiari e sociali, richieste di servizi) e uno specificatamente medi- 36 Gli anziani pratesi dell’ultimo ventennio co-sanitario (autonomia personale e sociale e analisi dell’autostima). La parte sanitaria è stata affiancata da una specifica analisi medica condotta su un sottocampione rappresentativo della popolazione anziana, tratto dai soggetti contattati dalla rilevazione e che si è avvalsa della collaborazione dei medici di medicina generale operanti sul territorio. L’obiettivo era quello di individuare i principali fattori di rischio biologico della popolazione anziana, le patologie da cui era affetta, l’alterazione dei parametri biologici, il tipo dei trattamenti famacologici a cui essa era sottoposta. Da questa indagine medica, che prevedeva la raccolta dell’anamnesi e l’effettuazione di un esame obiettivo completo, è stato poi possibile effettuare interessanti confronti con i dati desunti sulla popolazione anziana delle quattro realtà comunali oggetto di osservazione. Guardiamo adesso da vicino le indagini che mettiamo a confronto. 3.2.1 L’indagine sulla popolazione anziana del comune di Carmignano (1985) Nel comune di Carmignano tra il 1985 e il 1987 fu realizzata l’indagine a cura di E. Badiani, A. Bavazzano e M. Romagnoli, con il titolo Il popolo anziano di Carmignano. Uno studio trasversale sulle condizioni sociali e sanitarie degli ultrasessantenni residenti nel Comune di Carmignano, realizzata grazie all’iniziativa del Comune di Carmignano, della USL n. 9 e del Consorzio Centro Studi per il Circondario di Prato48. Il nostro interesse per Carmignano dipende anche dal fatto che sono intervenuti evidenti cambiamenti demografici. Infatti, un aspetto molto interessante che risulta subito evidente è che, nell’indagine comunale del 1985, il comune di Carmignano si contraddistingueva per essere quello che, in base ai dati censuari del 1981, mostrava, insieme ai comuni di Cantagallo e di Vernio, la più alta incidenza della popolazione ultrasessantenne sul totale della popolazione (23,5%). Oggi invece, come abbiamo osservato nelle pagine precedenti dedicate all’analisi statistica dei dati demografici, Carmignano è, insieme al comune di Montemurlo, il territorio dove la popolazione anziana ha l’incidenza più bassa sul totale della popolazione (appena il 17%) e, considerando il rapporto numerico fra anziani e bambini (0-6 anni), risulta essere addirittura il secondo comune più giovane di tutta la Toscana. Il “ringiovanimento” della popolazione di Carmignano occorso in questo ventennio si deve probabilmente al progressivo processo di adattamento che, a partire dagli anni Settanta, questa realtà socioeconomica ha mostrato in rapporto alle dinamiche economiche e produttive dell’area pratese e al conseguente stanziamento di fasce della popolazione in età produttiva e riproduttiva. Nelle caratteristiche demografiche di questo territorio è cambiato anche un altro aspetto. Se nell’indagine del 1985 si evidenziava l’elevata incidenza della componente maschile della popolazione anziana, a cui ci si riferiva facendo appello a una relativa maggiore longevità maschile nel territorio, 48 Il Comune di Carmignano aderì all’iniziativa della USL n. 9 con delibera n.718 del 22 ottobre 1984. Utilizzando le liste elettorali è stato arruolato con metodo casuale un campione pari al 10,7% della popolazione ultrasessantenne (pari a 2.006 unità) residente nel territorio del comune di Carmignano. I soggetti individuati erano convocati presso la sede del consultorio familiare o, nel caso non fosse possibile il loro trasferimento, i rilevatori si recavano presso il domicilio del soggetto. 37 Gli anziani pratesi dell’ultimo ventennio oggi è invece Montemurlo il comune in cui si calcola la minore differenza numerica tra le percentuali dei due sessi nella popolazione ultrasessantacinquenne. 3.2.2 L’indagine sulla popolazione anziana del comune di Montemurlo (1990) Nel comune di Montemurlo venne invece condotta l’indagine intitolata “Vita agli anni”. Ricerca sul popolo anziano di Montemurlo, a cura di A. Bavazzano, F. Boni, D. Calvani e A. Mitidieri-Costanza. Questa indagine, iniziata nell’ottobre del 1987 e pubblicata nel 1992, è nata dalla collaborazione fra il Comune di Montemurlo, l’Unità Operativa di Geriatria della USL n. 9, il Sindacato Pensionati e le forze dell’associazionismo e del volontariato presenti nell’area comunale49. Montemurlo era nel 1990 e rimane tuttora il comune con la più bassa incidenza di popolazione anziana sul totale della popolazione, anche se i valori in tutti questi anni sono notevolmente aumentati. Siamo infatti passati dall’11,5% della rilevazione censuaria del 1981 al 16,8% della popolazione residente al primo gennaio del 2004. Le logiche delle dinamiche migratorie forse possono spiegare questo fenomeno in un territorio che, per presenza di cittadini stranieri, è secondo, anche se a grande distanza, solo al comune capoluogo. Se da un lato, nei decenni passati, a conclusione del ciclo immigratorio di tipo interno, Montemurlo ha visto l’arrivo degli anziani congiunti dei lavoratori che erano immigrati già da diversi anni, più di recente le stesse attività industriali, che quella forza lavoro aveva contribuito a far decollare, hanno attratto cospicui flussi di manodopera straniera e posto le basi per l’arrivo di una popolazione alloctona con un’età media più bassa di quella autoctona e con modelli riproduttivi più prolifici. 3.2.3 L’indagine sulla popolazione anziana del comune di Poggio a Caiano (1996) I dati che riguardano la popolazione anziana del comune di Poggio a Caiano50 sono tratti da una indagine empirica che ha invece un’origine completamente diversa da quella delle ricerche effettuate a Carmignano e a Montemurlo. Condotta nel 1996, la ricerca è stata curata da Francesca Colli e Alessandra Viani, coordinate dalla professoressa Giovanna Ceccatelli Gurrieri del Dipartimento per gli 49 Il Comune di Montemurlo ha aderito all’iniziativa della USL n. 9 con delibera n. 351 del 17 dicembre 1986. L’indagine non prevedeva un campionamento degli intervistati ma il protocollo di studio era spedito per posta a tutti gli ultrasessantenni non istituzionalizzati (pari a 2.327 individui). Hanno aderito allo studio 1.630 soggetti pari al 70% degli ultrasessantenni. 50 Desidero ringraziare la signora Rossana Vermigli del Comune di Poggio a Caiano per la sua grande gentilezza e disponibilità e per essere riuscita a fornirmi la ricerca, dattiloscritta, che non era di immediata reperibilità. Tra il materiale consegnatomi c’era anche un libro, dal titolo Nella corte di Ciancera. I nonni raccontano, a cura di Giuseppe Severi e Beatrice Martini, pubblicato nel 1996 per iniziativa dell’Assessorato ai Servizi Sociali del Comune di Poggio a Caiano. In esso si raccolgono i racconti di alcuni anziani che ricordano la Poggio a Caiano della loro gioventù. Al libro ha fatto seguito nel 2003 un riadattamento teatrale omonimo. Questi sono solo alcuni degli elementi che testimoniano la grande attenzione dell’amministrazione comunale e dei cittadini di Poggio a Caiano verso il mondo degli anziani. 38 Gli anziani pratesi dell’ultimo ventennio Studi Sociali dell’Università di Firenze. L’indagine fu promossa su iniziativa del mondo delle associazioni51 nell’ambito del progetto “Insieme per una nuova solidarietà”, con l’obiettivo di conoscere gli interessi della popolazione anziana e la natura del loro rapporto con il mondo dell’associazionismo. Questo doveva rappresentare un primo passo per la creazione di una serie di iniziative finalizzate al mondo degli anziani. In particolare l’indagine si proponeva d individuare i bisogni della popolazione anziana, stimolandone un atteggiamento attivo che si concretizzasse nella promozione di iniziative ad essa rivolte e, nello stesso tempo, tentava di fornire alcune indicazioni agli enti territoriali e al mondo dell’associazionismo con l’individuazione delle strade da seguire per riuscire a soddisfare la domanda degli anziani. L’indagine sulla popolazione anziana di Poggio a Caiano si basava sulla compilazione di un questionario, auto-somministrato, contenente domande strutturate e semistrutturate inviato per posta a tutta la popolazione ultracinquantacinquenne (2.300 soggetti), residente nel territorio comunale; su iniziativa dell’intervistato il questionario era da consegnare, una volta compilato, presso le sede delle varie associazioni partecipanti. Il tasso di risposta, nonostante la mobilitazione del mondo associativo, è stato per la verità molto basso. Dei 2.300 questionari, solo 149 sono stati restituiti, di cui appena 138 analizzabili. È interessante constatare che l’adesione più bassa fu fornita dalle due classi di età più giovani, quella dai 55 ai 59 anni (nove questionari compilati) e quella dai 60 ai 64 anni (undici questionari compilati). Questo dimostra indubbiamente la ovvia reticenza degli intervistati più giovani a percepire se stessi attraverso la categoria sociale dell’anzianità. Le autrici, nell’introduzione del rapporto di ricerca, parlano dello scarso livello di scientificità dell’indagine dovuto al basso tasso di risposta. Ciononostante rimane il fatto che il documento costituisce un materiale prezioso anche per il particolare interesse conoscitivo che lo muove. Il focus dell’indagine è infatti l’analisi degli interessi degli anziani e anche la loro eventuale propensione ad approfondire alcune delle loro competenze, sia frequentando dei corsi per apprenderle meglio, sia mettendole a disposizione degli altri insegnandole. Si individuano anche le loro aspettative nei confronti della funzione culturale e ricreativa dei centri sociali e viene creato uno spazio conclusivo del questionario dedicato alla raccolta delle varie proposte suggerite dagli intervistati. L’innovazione di questo tipo di indagine sta proprio nei suoi interrogativi circa il ruolo attivo della popolazione anziana all’interno della società, una società in cui diventa sempre più importante l’aspetto dell’apprendimento culturale e quello del leisure. 3.2.4 L’indagine sulla popolazione anziana della provincia di Prato (2005) L’indagine provinciale è quella più recente. Promossa nel 2003 dall’Osservatorio Sociale della 51 Caritas Poggio a Caiano, Caritas Bonistallo, Genitori Scuola Sacro Cuore, Gruppo Autonomi Anziani, Misericordia, Gruppo Fratres Scuola Musicale, Spi Cgil, Circolo Becagli, Circolo Ambra, Gruppo Lucerna, Circolo territoriale Il Bargo Ambiente. 39 Gli anziani pratesi dell’ultimo ventennio Provincia di Prato, è stata curata da Asel s.r.l. e pubblicata nel 200552. La ricerca, dal titolo Gli anziani a Prato. Immagini, aspirazioni, bisogni, tocca molteplici ambiti della vita sociale. Aveva l’obiettivo di indagare nel dettaglio la vita relazionale degli anziani, l’immagine che essi hanno di se stessi e dei più giovani e il modo in cui vedono il futuro (sogni, speranze e timori), con un’attenzione sempre puntata alle differenze legate al genere. Ci si soffermava anche sul ruolo, passato e attuale, degli intervistati nel mercato del lavoro e sui cambiamenti che il pensionamento ha apportato al loro stile di vita. Il grande attivismo degli anziani emergeva nelle risposte alle domande sui modi di impiego del tempo libero, sull’adesione alle associazioni politiche, culturali e di volontariato, sul grande impegno nella rete di scambi all’interno della famiglia a favore dei figli e dei nipoti. Questo lavoro fu presentato al pubblico nel gennaio del 2005 presso il Centro Sociale Anziani “Borgonuovo” di Prato, dove era allestita anche una mostra fotografica (curata dal fotoclub “Il Bacchino”) che ritraeva uomini e donne nello svolgimento delle varie attività dei centri sociali per anziani. Seguirono una cena a buffet organizzata dagli stessi anziani del centro e una festa con musica dal vivo durante la quale ballarono il liscio giovani e meno giovani - con grande divertimento di tutti. Il convegno fu tenuto in presenza di Irene Gorelli, Assessore alle Politiche Sociali della Provincia di Prato, e di Antonio Bavazzano, Primario di Geriatra dell’Azienda USL 4 di Prato. Fu quest’ultimo a evidenziare, durante il suo intervento, la necessità di analizzare, attraverso le possibili comparazioni, le diverse ricerche sugli anziani che dagli anni Ottanta in poi sono state effettuate nel nostro territorio e di verificare, così facendo, gli aspetti più interessanti della continuità e del mutamento attraverso una lettura della contemporaneità che però non perdesse di vista le acquisizioni del passato. 3.3 Alcune precisazioni metodologiche Prima di procedere nell’analisi dei dati, è doveroso fare alcune precisazioni di carattere metodologico. Prima di tutto segnaliamo che i metodi adottati dalle quattro ricerche prese in esame sono diversi tra loro, così come è diverso il criterio del campionamento. In due casi si è preso come universo di riferimento l’intera popolazione anziana residente e non è stato necessario effettuare nessun tipo di campionamento; in questo modo l’analisi scientifica, basata sulla rappresentatività dell’universo intervistato, risente del tasso di adesione all’indagine degli individui contattati che costituisce un primo filtro selettivo (è il caso, ad esempio, dell’indagine di Poggio a Caiano). 52 La rilevazione dei dati è stata effettuata tra il novembre e il dicembre del 2003 attraverso la somministrazione diretta, o face to face, ad un campione casuale di ultrasessantacinquenni di un questionario strutturato, le cui risultanze sono state elaborate con il software SPSS. Il campione, composto da 258 individui, è stato estratto dagli archivi anagrafici dei sette comuni della provincia di Prato ed è rappresentativo della popolazione in base alla distribuzione congiunta delle classi di età (65-74 anni e oltre i 75 anni) e della zona geografica. La base empirica dell’indagine è accompagnata da un approfondimento di tipo qualitativo costituito dall’analisi di cinquanta interviste in profondità, condotte tra il gennaio e il marzo del 2004 su un sottocampione composto da quanti, alla fine della compilazione del questionario, avevano dato la loro disponibilità per una successiva intervista audioregistrata. 40 Gli anziani pratesi dell’ultimo ventennio Un altro problema riguarda il fatto che le domande dei questionari non sono omogenee e, nonostante il fatto che in molti casi siano coperti i medesimi ambiti di indagine, le risposte sono influenzate necessariamente da questa variabilità di impostazione. Anche per questo motivo la lettura dei dati delle varie indagini è in un certo senso libera. Inoltre, l’oggetto di indagine della ricerca del 2005 è relativo alla popolazione totale residente nel territorio provinciale, mentre le altre ricerche si interessano alle specifiche popolazioni comunali. Il dato provinciale aggregato, se non altro, offre il vantaggio di mediare tra le caratteristiche precipue delle specificità territoriali. Alla luce di queste considerazioni, non si può quindi parlare di un’analisi di tipo longitudinale, perché i dati, spesso eterogenei anche per le procedure di aggregazione, di per sé non sono confrontabili. Tuttavia possiamo adottare un approccio, per così dire, interpretativo e tentare di ricavare importanti linee di tendenza temporali che suggeriscono, come vedremo, interessanti dinamiche di mutamento. Un secondo aspetto riguarda l’etoregeneità dell’interesse d’indagine. A indagini di tipo socio-sanitario si accostano indagini di ispirazione più socio-culturale. Nonostante la diversa vocazione conoscitiva che guida i due tipi di rilevazioni, si possono tuttavia individuare ambiti di ricerca in comune, relativi alla dimensione sociale e relazionale del mondo degli anziani. Nella nostra analisi faremo riferimento in particolar modo alla parte sociale e relazionale e tratteremo in maniera più superficiale la parte medica, che nelle ricerche comunali degli anni Ottanta e Novanta è stata invece egregiamente e competentemente sviluppata e rilevata dagli operatori USL e dal personale medico delle Unità Operativa di geriatria. Per quanto riguarda l’aspetto, tanto fondamentale, relativo alle condizioni di salute degli anziani, nella nostra analisi comparata faremo riferimento, dove possibile, alle risposte date alla scala IADL (Instrumental Activities of Daily Living) e alla scala NUDS (Northwestern University Disability Scale) delle due ricerche promosse dalla USL n. 9, che verrano accostate alle risposte alle domande sul livello di autosufficienza che ritroviamo invece nelle altre due indagini, quella provinciale del 2005 e quella comunale di Poggio a Caiano. Le differenze tra queste quattro indagini non sono soltanto di tipo metodologico ma riguardano anche fattori contestuali. Infatti, così come cambia la società, con il passare del tempo cambia anche l’impostazione della ricerca sociale, che a quella ovviamente si adatta e che simultaneamente da quella viene plasmata. Dal punto di vista delle scelte dell’oggetto di indagine, una prima - e veramente significativa - differenza è che nell’indagine provinciale del 2005 si considera anziano l’individuo con oltre 65 anni di età, criterio adottato anche dall’Istat. Nelle indagini precedenti si scelgono come riferimenti della condizione di anzianità fasce di età più basse (dai 60 anni in poi per le indagini svolte nel comune di Carmignano e in quello di Montemurlo, e addirittura dai 55 anni per l’indagine universitaria svolta nel comune di Poggio a Caiano). L’innalzamento della fascia di età che si verifica nell’ultima indagine dipende probabilmente anche da una constatazione, implicita ma anche esplicita, che la soglia che dobbiamo varcare per essere considerati anziani si è spostata in avanti. Nell’ultima indagine effettuata, quella provinciale del 2005, è innegabile che trova espressione una 41 Gli anziani pratesi dell’ultimo ventennio terza età che vive in una società più secolarizzata nel modo di pensare, più avanzata dal punto di vista tecnologico e cosmopolita per l’afflusso dell’immigrazione straniera. Possiamo infatti parlare di anziani del terzo millennio. L’indagine stessa, nella formulazione del suo questionario, risente di queste trasformazioni della realtà socio-economica: vengono poste domande sull’utilizzo del computer, uno strumento telematico di recente diffusione soprattutto nelle case degli anziani, e domande sull’attività sessuale degli anziani, un aspetto che fino a pochi anni fa sarebbe stato considerato un tabù - e che ancora in parte lo è. Viene anche indagato il ruolo nell’assistenza agli anziani fornito dalle collaboratrici straniere, anche questo un elemento che era assente agli inizi degli anni Ottanta. Vorrei soffermarmi un momento sul legame tra invecchiamento demografico e immigrazione. È indubbio infatti che il fenomeno dell’invecchiamento della popolazione si lega oggi anche alla questione dei flussi migratori provenienti dai paesi in via di sviluppo e dai paesi in transizione, i quali forniscono un apporto di risorse giovani ai paesi europei (Italia inclusa), tese a limitare gli effetti dell’invecchiamento demografico sul sistema pensionistico e sul mercato del lavoro. Questa ipotesi, emersa nel dibattito pubblico europeo alla fine degli anni Ottanta, trova oggi una sempre minore conferma. È vero infatti che “l’improponibilità di uno scambio alla pari tra nascite e immigrazioni rispetto al livello di invecchiamento di una popolazione si presta ad essere agevolmente argomentata sia in un quadro di riferimento teorico basato sul modello della popolazione stazionaria, sia attraverso appropriate verifiche empiriche”53. Ma la presenza sempre più cospicua di una popolazione anziana si lega alla questione dell’immigrazione anche per vie più informali. Sono le vie attraverso cui si sostanzia in casi sempre più numerosi in Italia e anche a Prato il rapporto quasi simbiotico tra anziani e immigrati o, per essere più esatti, immigrate54. Di fronte al tendenziale declino della famiglia allargata (e quindi di tutti quegli scambi di prestazioni di assistenza tra i membri), in risposta alla sempre più elevata partecipazione femminile al mercato del lavoro, si è iniziato ad affidare gli anziani non autosufficienti alle cure delle donne straniere. In Italia, occorre dirlo, tale fenomeno è incentivato anche dalla peculiare insufficienza funzionale e strutturale dei servizi sociali e assistenziali che rendono spesso necessario alle famiglie ricorrere all’uso di forza lavoro straniera all’interno delle famiglie. Con l’invecchiamento della popolazione e con sempre più anziani che vivono da soli, con le trasformazioni della famiglia, con il ruolo lavorativo della donne italiane, emerge quindi tra le famiglie una doman- 53 Infatti anche alla luce dell’esercizio di simulazione, l’effetto significativo che deve essere riconosciuto all’apporto migratorio nel bilancio demografico non è tanto indirizzato ad attenuare l’invecchiamento della popolazione - fenomeno che può rispondere invece a interventi che agiscono in primo luogo sulla sfera della fecondità e della famiglia - quanto ad accrescere il peso della componente in età attiva (dal momento che la struttura per età della popolazione immigrata risulta fortemente concentrata nel segmento giovani-adulti). Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Rapporto biennale al Parlamento sulla condizione dell’anziano. Anni 2000-2001, Roma, 2003. 54 La studiosa americana Arlie Russel Hochschild parla di una nuova forma di imperialismo che si realizzerebbe attraverso l’impiego delle domestiche transnazionali nella cura degli anziani e dei bambini delle famiglie del mondo occidentale. È un imperialismo che non sottrae ai paesi del Sud del mondo risorse materiali, come accadeva nel diciannovesimo secolo, ma si tratta oggi di una sottrazione di risorse emotive. Quindi “le badanti che passeggiano pazientemente sottobraccio ad anziani clienti per le strade o sedute accanto a loro nei giardini pubblici del Primo Mondo” hanno probabilmente lasciato nel Terzo Mondo un anziano genitore bisognoso di cure. A. R. Hochschild, Amore e oro, in B. Ehrenreich, A. R. Hochschild (a cura di), Donne globali. Tate, colf e badanti, Feltrinelli, Milano, 2004, pag. 36. 42 Gli anziani pratesi dell’ultimo ventennio da crescente di persone esterne che prestino funzioni di cura, che svolgano un’assistenza notturna anche di tipo infermieristico, o che semplicemente siano a disposizione per dare un po’ di compagnia55. Questo fenomeno, spesso sommerso, è presente anche a Prato nonostante la sopravvivenza di una forte solidarietà intergenerazionale e nonostante il fatto che i dati ufficiali (e anche quelli empirici) tendano a sottostimare il fenomeno56. Torniamo adesso alle nostre quattro ricerche. Se le prime tre ricerche sono di tipo quantitativo, la quarta è anche di tipo qualitativo. Nell’indagine provinciale si ricorre, oltre alla somministrazione del questionario strutturato, all’utilizzo delle narrazioni, uno strumento di ricerca di cui le scienze sociali hanno fatto sempre più largo uso, dopo aver superato le prime resistenze degli ambienti più tradizionalisti che danno la preferenza a strumenti di indagine di tipo quantitativo. Nell’indagine provinciale, in cui le narrazioni prendono la forma di cinquanta interviste in profondità audioregistrate e basate sulla traccia di una storia di vita, possiamo contare su un supporto esplicativo di fondamentale importanza per la comprensione del dato, necessariamente sintetico, rilevato dal questionario strutturato. Le narrazioni negli ultimi anni sono divenute uno strumento sempre più importante per le scienze sociali e sono un modo con cui è possibile analizzare, al di fuori degli strumenti più razionalisti, l’esperienza umana. Le narrazioni infatti, in quanto azione sociale, costituiscono produzione di senso, costruzione narrativa dell’identità e trasmissione culturale. Inoltre attraverso di esse l’attenzione si sposta dal dato statistico all’io narrante: quando le scienze sociali nelle loro analisi adottano lo strumento delle narrazioni, in un certo senso la centralità passa all’individuo che diventa story teller e si pone quindi una relazione di reciprocità tra l’agire umano e il narrare57. Le cinquanta interviste dell’indagine provinciale sono un materiale prezioso soprattutto perché ci consegnano le visioni che gli anziani hanno di alcuni fenomeni della società attuale. Infatti non si affrontano soltanto le memorie e i ricordi della vita passata, ma si entra anche nelle immagini della società contemporanea attraverso le riflessioni, per niente scontate, sulla convivenza, sull’omosessualità, sull’immigrazione, sul nuovo ruolo femminile nel mercato del lavoro, sui cambiamenti urbanistici della città di Prato. 3.4 Un’analisi comparata delle quattro ricerche 3.4.1 I livelli di istruzione Una prima importante differenza tra gli anziani di oggi e quelli di venti anni fa ci proviene dalla lettura dei dati relativi al livello di istruzione, un ambito omogeneamente rilevato - o comunque almeno pubblicato - all’interno della parte anagrafica preliminare a due sole indagini (quella della USL di Carmignano del 1985 e quella provinciale del 2005). Faremo riferimento anche ai dati parziali della rilevazione di Montemurlo (1990), in cui non vengono riportate le percentuali relative a due titoli di 55 C. Alemani, La fabbrica delle donne, in G. Vicarelli (a cura di), Le mani invisibili. La vita e il lavoro delle donne immigrate, Ediesse, Roma, 1994. 56 Si veda Asel (a cura di), La società multiculturale: cambiamenti demografici e integrazione sociale - Rapporto immigrazione 2004, Provincia di Prato, 2005, in particolare il paragrafo sul lavoro domestico. 57 B. Poggio, Mi racconti una storia? Il metodo narrativo nelle scienze sociali, Carocci, Roma, 2004. 43 Gli anziani pratesi dell’ultimo ventennio studio (licenza media e diploma) ma che sono comunque interessanti per le riflessioni scaturite in quella indagine sull’alto tasso di analfabetismo di ritorno dovuto all’immigrazione nel territorio proveniente dalle campagne del meridione di Italia. Se da una parte infatti si ripropongono sempre gli squilibri di scolarizzazione tipici della popolazione anziana tra gli uomini, più istruiti, e le donne, meno istruite, dall’altra, nel corso di questi anni si può assistere a un aumento dell’istruzione totale degli anziani, che però ancora poco presuppone il progressivo avvicinamento nei livelli di istruzione maschili e femminili che caratterizza con maggiore evidenza le altre fasce di età. Infatti è solo a partire dagli anni Sessanta del Novecento che in Italia cessa di essere predominante la tradizionale propensione delle famiglie ad agevolare la carriera scolastica dei figli maschi. Nell’indagine provinciale del 2005 notiamo che l’istruzione del campione intervistato è caratterizzata da livelli di scolarizzazione più alti di quelli che emergono nella ricerca di Carmignano e in quella di Montemurlo. Ad una minore differenza percentuale per quanto riguarda la licenza elementare, che è l’istruzione-base che debella il problema dell’analfabetismo e che comunque continua ad essere anche al 2005 la modalità più consueta, corrispondono una minore consistenza di quanti non hanno nessun titolo di studio e una maggiore presenza di una scolarizzazione più avanzata: licenza di scuola media inferiore (il 14% dell’indagine del 2005 contro il 4% di quella del 1985), diploma di scuola superiore (8% contro 1%) e laurea (3% a fronte della completa inesistenza sia nel campione di Carmignano che in quello di Montemurlo). Graf.1 Livelli di istruzione (valori percentuali) Fonte: indagine Carmignano 1985, indagine Montemurlo 1990 e indagine provincia di Prato 2005 44 Gli anziani pratesi dell’ultimo ventennio La lettura di questo fenomeno però può essere più complessa di quanto possa sembrare. Infatti può essere facile affidare la spiegazione a un’evoluzione temporale del processo di scolarizzazione che ha investito il ventesimo secolo e quindi giustificare come conseguenza di questo i più alti livelli di istruzione che appaiono nella rilevazione del 2005, per lo più acquisiti dagli anni Quaranta in poi, rispetto a quelli dell’indagine del 1985, condotta su una popolazione anziana iniziatasi a formare nella scuola intorno agli anni Venti. Se questa può essere comunque la spiegazione, non bisogna nemmeno dimenticare di riferirsi alle specificità socioculturale del territorio di Carmignano, caratterizzato da una popolazione anziana che in prevalenza si è dedicata all’economia agricola e che perciò non è stata interessata in maniera massiccia dalle esigenze di scolarizzazione più tipiche del ceto medio cittadino. Questo discorso in effetti può estendersi un po’ a tutta la realtà del territorio pratese. I bassi livelli di istruzione degli anziani della provincia di Prato non dipendono soltanto da un fattore generazionale, legato ai minori livelli del passato e comune a tutto il contesto nazionale, ma si lega anche alla peculiarità lavorativa e formativa del distretto industriale in cui, fino a un passato neanche così tanto lontano, la precoce socializzazione al lavoro suppliva nell’apprendimento professionale a un’istruzione di tipo formale58. 3.4.2 Lo stato civile Ovviamente, la suddivisione dei campioni per stato civile non comporta nel tempo nessun tipo di modificazione. Le quote di suddivisione degli intervistati nelle rilevazioni sono più o meno coincidenti, nonostante i limiti dovuti alla diversità di aggregazione dei dati. Lo stato di coniugato e coniugata è quello più diffuso mentre sono marginali le percentuali di donne e di uomini single (nubili e celibi), il che dimostra la grande centralità della vita coniugale e familiare per gli anziani nell’arco di tutta la loro esistenza. Rispetto alle classi di età inferiori nella popolazione anziana diventa consistente la condizione della vedovanza, una situazione che viene condivisa dalle donne con una forte maggioranza rispetto agli uomini. La maggiore longevità delle donne e la progressiva femminilizzazione della vecchiaia portano un numero elevato di donne a sopravvivere al marito o al compagno e a correre il rischio di vivere il resto della vita in una situazione di solitudine affettiva e sociale. Può essere però interessate constatare come l’indagine provinciale del 2005, nelle domande sullo stato civile, sia la sola a contemplare la convivenza come modalità separata da quella dello stato coniugale e soprattutto a individuare la presenza di una eventuale situazione di divorzio o di separazione. La convivenza e il divorzio sono due aspetti che riguardano i costumi della società moderna, una società più secolarizzata e più libera per quanto riguarda i legami di coppia. Proponiamo qui di seguito una tabella della popolazione anziana distinta per stato civile, come desunta dall’analisi provinciale del 2005, e più o meno riassuntiva, per quanto riguarda gli stati civili 58 F. Giovani, L. Leonardi, C. Martelli, L’evoluzione demografica e sociale, in P. Giovannini, R. Raimondo (a cura di), Prato metamorfosi di una città tessile, F. Angeli, Milano, 1996. 45 Gli anziani pratesi dell’ultimo ventennio di coniugato e coniugata, celibato e nubilato e vedovanza, delle rilevazioni delle indagini precedentemente effettuate. Come vediamo, la convivenza e il divorzio rappresentano quote marginali (entrambe l’1% del campione), ma nel futuro, viste le tendenze del tasso di divorzio nella società italiana contemporanea, quote crescenti di anziani avranno attuato con la convivenza un modello alternativo alla vita di coppia formalmente riconosciuta con il matrimonio e avranno sperimentato la fine della vita matrimoniale con la separazione e il divorzio. C’è da chiedersi in che misura questo ultimo aspetto peserà sulla condizione affettiva e sulla situazione abitativa delle donne anziane rimaste da sole. Tab.1 Popolazione anziana per sesso e stato civile (valori percentuali) Fonte: indagine provincia di Prato 2005 3.4.3 Il contesto residenziale degli anziani Vediamo adesso il contesto abitativo e il modello residenziale dei nostri anziani. Confrontando i dati delle diverse indagini (graf.2), si capisce che l’inserimento all’interno del contesto familiare rimane sempre il tipo di residenza più diffuso, ma si coglie anche, con il passare degli anni, una innegabile tendenza all’aumento dell’autonomia residenziale degli anziani. Come vediamo nel seguente grafico, il 10% circa del campione di anziani dell’indagine di Carmignano (1985) viveva da solo; a Montemurlo (1990) questo valore era pari al 7% e, dal decennio Novanta in poi, le percentuali tendono a salire drasticamente: si rileva un 17% nella ricerca del 1996 svolta a Poggio a Caiano e un 18% in quella provinciale del 2005. Quest’ultimo dato è in perfetta sintonia con il valore censuario (2001) relativo alla provincia di Prato. Un aspetto che accomuna tute e quattro le rilevazioni esaminate è la forte presenza delle donne spesso vedove - che vivono da sole molto più degli uomini, per i quali risulta invece predominante la convivenza con il coniuge. 46 Gli anziani pratesi dell’ultimo ventennio Graf.2 Anziani che vivono da soli (valori percentuali) Fonte: indagine Carmignano 1985, indagine Montemurlo 1990, indagine Poggio a Caiano 1996 e indagine provincia di Prato 2005 L’autonomia residenziale degli anziani è un fenomeno che coinvolge tutti i paesi sviluppati e, a partire dagli anni Settanta, anche in Italia fa registrare una considerevole crescita. Come osserva Elisabetta Cioni, la presenza di anziani in residenza autonoma non è di per sé un fenomeno che deve essere necessariamente letto in termini negativi. Infatti, “è necessario evitare di considerare, come invece viene fatto spesso, l’abitare da soli degli anziani come un indizio diretto della solitudine che caratterizzerebbe la vecchiaia nell’epoca contemporanea”59. La solitudine non è il semplice risultato di circostanze sociali, ma è piuttosto una risposta individuale a una situazione esterna a cui gli anziani rispondono in maniera diversa. Possono perciò esserci persone che vivono isolati ma che non si sentono sole per la frequenza dei contatti con i parenti e con il mondo esterno in generale, e persone che sono inserite all’interno di un contesto familiare e che tuttavia dichiarano di provare un profondo senso di isolamento. Inoltre molto dipende anche dai tipi di percorsi individuali che hanno condotto la persona anziana a vivere in una residenza autono- 59 E. Cioni, Solidarietà tre generazioni. Anziani e famiglie in Italia, F. Angeli, Milano, 1999, pag. 107. Risulta ad esempio dall’analisi dei dati censuari 1971-1991 della regione Toscana che erano gli anziani più colti (in possesso di un diploma di scuola media superiore o di una laurea) e appartenenti alla borghesia e alle classi medie (in relazione al luogo di residenza) a stare più frequentemente da soli. Si veda E. Cioni, M. C. Meini, A. Pescarolo, P. Tronu, Famiglie in Toscana, F. Angeli, Milano, 1997. 47 Gli anziani pratesi dell’ultimo ventennio ma. Tra questi non dovrebbe prevalere sempre l’idea di una costrizione esterna, ma può anche essere una scelta individuale che si inserisce, soprattutto quando l’anziano è caratterizzato da un buono stato di salute e da risorse economiche adeguate, in una strategia personale tesa all’indipendenza dai figli. Ovviamente rimane il fatto che l’isolamento abitativo può rappresentare una situazione di rischio quando siamo di fronte a casi di non autosufficienza e di limitazione dell’autonomia personale e sociale, soprattutto in assenza di una adeguata risposta da parte dei servizi istituzionali e della rete dei supporti informali. Come si può leggere nel rapporto dell’indagine sugli anziani di Montemurlo, è più che mai necessario, “di fronte a una popolazione anziana e sempre più sola, modulare i servizi sulle necessità dei singoli, in modo tale da intercettare il bisogno alla sua origine, evitando che questo inneschi una cascata di eventi negativi tali da scompensare l’anziano rendendo ineluttabile il ricorso a un’assistenza globale”60. Nell’indagine svolta a Carmignano e in quella provinciale le percentuali degli anziani che vivono da soli si abbassano quando valutiamo la fascia di età dei grandi anziani e la presenza di cattive condizioni di salute. La comparsa di problemi che limitano l’autosufficienza è una condizione che in molti casi può implicare una coabitazione o un ritorno alla coabitazione degli anziani con i figli o con altri parenti. Un aspetto che mitiga fortemente gli aspetti negativi del vivere da soli, tra cui anche quello psicologico di dare una valutazione negativa alla propria vita, è la prossimità geografica dei figli adulti che hanno formato un proprio nucleo familiare e che è una caratteristica molto importante nella organizzazione familiare dell’area pratese61. La preferenza delle famiglie pratesi per una prossimità geografica tra genitori anziani e figli adulti consente infatti la creazione di reti informali di sostegno che, attraverso l’esplicitarsi della solidarietà intergenerazionale62, risulta funzionale alle prestazioni di aiuto e di supporto nei confronti dei membri della famiglia più bisognosi (che possono essere i figli piccoli, le madri lavoratrici, gli anziani non autosufficienti). Si crea quindi quella “intimità a poca distanza” tra genitori e figli che costituisce “il vero patrimonio di rapporti familiari degli individui, in particolare durante l’età anziana, perché è all’interno di essa che si attivano risorse di socialità e di sostegno materiale e psicologico essenziali per il benessere delle persone. Il condividere l’abitazione deve essere considerato solo come una forma particolare che alcuni di questi legami assumono in date circostanze”63. La vicinanza, anche geografica, dei figli è un aspetto che è stato evidenziato nell’indagine provin- 60 A. Bavazzano, F. Boni, D. Calvani, A. Mitidieri-Costanza (a cura di), “Vita agli anni”. Ricerca sul popolo anziano di Montemurlo, Comune di Montemurlo, USL n. 9 - Area Pratese, 2002, pag. 20. 61 Questo dato emerge anche nella ricerca di F. Giovani, I pratesi e la città: donna, famiglia e servizi in un distretto industriale, Quaderni Iris, n.1, Prato, 1998. 62 E. Cioni, Solidarietà tra generazioni. Anziani e famiglie in Italia, F. Angeli, Milano, 1999, pag. 25. 63 E. Cioni, Solidarietà tra generazioni. Anziani e famiglie in Italia, F. Angeli, Milano, 1999, pag. 54. 48 Gli anziani pratesi dell’ultimo ventennio ciale del 2005, in cui gli anziani con figli costituiscono l’88% del campione (228 intervistati) e in cui si rilevava una media di appena due figli a intervistato64. Nel quasi il 40% dei casi i figli risiedevano nella stessa abitazione dei genitori; altrimenti vivevano nello stesso palazzo (14%), nello stesso quartiere (16%) o comunque nella stessa città (19%). La percentuale si abbassava quando il figlio viveva in un altro comune della provincia pratese (6%) (tab.2). Tab.2 Luogo di residenza del figlio più vicino Fonte: indagine provincia di Prato 2005 Il fenomeno della coabitazione del genitore con i figli, anche dopo il matrimonio di questi ultimi, è riconosciuto come una tipicità di alcune regioni dell’Italia centrale. In questo caso il nostro dato è superiore al valore medio nazionale (35,3% di ultrasessantacinquenni che vivono insieme ad almeno un figlio)65. L’Italia centrale è anche caratterizzata da una maggiore presenza delle famiglie a tre generazioni (nonni, genitori, nipoti)66. La propensione dei figli adulti e coniugati a vivere nella stessa abitazione dei genitori anziani affonda le sue radici nel passato dell’epoca preindustriale, quando la popolazione agricola seguiva la regola della residenza patrilocale, per cui la nuova coppia andava ad abitare con i genitori del marito. In queste zone prevaleva la pratica della coltura intensiva e la popolazione agricola viveva “appoderata”, cioè in abitazioni che si trovavano sui fondi agricoli di cui erano proprietari o che coltivavano sulla base del contratto di mezzadria67. Dal punto di vista sociologico, si assiste al fenomeno per cui la famiglia, con sempre meno figli e 64 Questo dato è importante perché segna il passaggio dalla consuetudine del passato di avere una prole numerosa a quella più moderna di limitare il numero dei figli. 65 Istat, Parentela e reti di solidarietà. Indagine Multiscopo sulle famiglie “Famiglia, soggetti sociali e condizione dell’infanzia. Anno 1998, Istat, Roma, 2001, pag. 26. 66 Istat, Rapporto annuale 2004, Istat, Roma, 2004. 67 Questa consuetudine, che si ritrova anche nel passato di altre regioni europee (alcune aree della Francia centrale e meri49 Gli anziani pratesi dell’ultimo ventennio questi sempre più propensi a posticipare l’uscita dal nucleo, tende a diventare per un lungo periodo una comunità di adulti collocati diversamente nel continuum generazionale e in cui convivono tre diverse generazioni (quella che viene definita famiglia stretta e lunga). Il risultato è che per la generazione di mezzo essere genitori e essere figli contemporaneamente è una condizione che tende a durare per un tempo molto più lungo rispetto a un passato in cui la vita media aveva una durata più breve68. In Italia inoltre la scarsa istituzionalizzazione dell’anziano rispetto agli altri paesi europei implica la maggiore centralità della famiglia. La rete familiare diventa allora un elemento fondamentale per la qualità della vita degli anziani69. 3.4.4 L’importanza dei legami familiari Un elemento forte di continuità tra gli anziani di oggi e quelli del passato riguarda la grande importanza dei legami familiari. Le indagini locali di quest’ultimo ventennio affrontano in maniera diversa il discorso della qualità dei rapporti che gli anziani hanno con la loro famiglia. Le ricerche coordinate dalla USL n. 9, relativamente ai comuni di Vaiano, Prato e Montemurlo, ponevano domande sui giudizi degli intervistati nei riguardi della convivenza con i loro familiari. Il risultato è una differenza di più di dieci punti percentuali tra le risposte date dagli anziani di Vaiano e di Prato (il 98% delle risposte che esprimevano soddisfazione) e quelle degli anziani di Montemulo (per i quali si registra un valore un po’ più basso, pari all’85%). dionale e nel Portogallo meridionale) non appartiene invece alle regole di convivenza delle regioni meridionali italiane, per il fatto che il luogo di residenza e quello del lavoro agricolo non coincidevano (i contadini vivevano in piccoli borghi distanti dalla zona di coltivazione) e di conseguenza le nuove coppie mettevano su casa per conto proprio. E. Cioni, Solidarietà tra generazioni. Anziani e famiglie in Italia, F. Angeli, Milano, 1999. 68 Si parla appunto di una situazione inedita, propria delle famiglie contemporanee, che è data dalla convivenza di più coorti all’interno dello stesso nucleo familiare e che presuppone una continua rielaborazione dei rapporti familiari e generazionali. Gli esempi sono molteplici e alcuni riguardano gli effetti della maggiore longevità sui rapporti tra la generazione di mezzo, quella giovane e quella anziana. Il rapporto tra il figlio adulto e il genitore anziano si prolunga nel tempo, fino a suscitare tempeste emotive e scontri generazionali anche in età adulta. Anche l’idea della morte può risultare modificata: la normalità della presenza degli anziani sulla scena familiare da una parte consente ai giovani attese di lunga durata riguardo alla propria vita, dall’altra tende a concentrare sugli anziani l’attesa e il timore della malattia e della morte. In questo modo quando morte o invalidità colpiscono i membri più giovani della famiglia, emerge un senso di ingiustizia, di illegittimità, di non normalità. Inoltre la lunga durata della vita degli anziani può rendere più difficile a questi accettare la propria morte, così come agli adulti accettare la morte di genitori anziani, quasi che il termine ultimo della vita possa venire indefinitamente spostato. C. Saraceno, Sociologia della famiglia, Il Mulino, Bologna, 1988. 69 I. Drudi, C. Filippucci, Il costo dei figli e dei genitori anziani, in Osservatorio nazionale sulle famiglie e le politiche locali di sostegno alle responsabilità familiari, Famiglie: mutamenti e politiche sociali, vol. II, Il Mulino, Bologna, 2002, pag. 223. 50 Gli anziani pratesi dell’ultimo ventennio Graf.3 Giudizi positivi sulla convivenza con i familiari (valori percentuali) Fonte: indagine Montemurlo 1990 * I dati delle ricerche sulla popolazione anziana di Vaiano e Prato sono tratti dal rapporto dell’indagine di Montemurlo (1990) L’indagine svolta a Poggio a Caiano pone la questione nei termini della frequenza con cui gli anziani incontrano i figli e i parenti. La domanda quindi non tocca direttamente l’argomento ma dalla frequenza dei contatti si può cogliere l’eventuale presenza di rapporti familiari rilassati e appaganti. Notiamo, nel grafico qui sotto, quanto siano fitti i rapporti rilevati nel 1996 tra gli anziani di Poggio a Caiano e la famiglia, che viene frequentata quotidianamente nella grandissima maggioranza dei casi (89%) o comunque con una frequenza molto alta (“spesso” per il 10% del campione). Graf.4 Con che frequenza gli anziani vedono i figli e i parenti Fonte: indagine Poggio a Caiano 1996 L’indagine provinciale chiede invece di dare una valutazione da uno a dieci (con uno il voto più basso e dieci il voto più alto) al rapporto con i figli e a quello con i nipoti e pone domande sulla fre51 Gli anziani pratesi dell’ultimo ventennio quenza con cui gli anziani pranzano o cenano con i figli. In quest’ultima ricerca risulta anche che la grandissima maggioranza degli anziani che vanno generalmente in vacanza trascorre il periodo di ferie con la famiglia (83%). Sia il rapporto con i figli che quello con i nipoti ricevono un voto molto alto di soddisfazione (più del nove in entrambi i casi), a riprova del buono stato di salute del contesto affettivo e familiare dei nostri anziani. E anche i pranzi e le cene insieme ai figli e alle famiglie dei figli sono intrattenuti con una frequenza molto alta (nell’80% dei casi). Dall’eterogeneità delle domande poste dalle varie indagini risulta quindi l’omogeneità di una risposta che indica il forte attaccamento degli anziani alla famiglia. La famiglia ricopre una posizione fondamentale nella vita degli anziani ma bisogna considerare che gli anziani svolgono un ruolo altrettanto fondamentale nella vita familiare dei figli, molto spesso anzi ne rappresentano una risorsa irrinunciabile. Oggi siamo di fronte a quelli che vengono definiti “i nuovi nonni”. Superando il mito della “famiglia nucleare isolata”, è più opportuno parlare di una nuova “famiglia estesa”, “multigenerazionale”, caratterizzata non tanto dalla coabitazione, quanto dalla reticolarità, dalla frequenza e dall’intensità degli scambi. Uno dei motivi della “novità” degli attuali nonni è la possibilità, derivante dall’allungamento della vita media, che essi hanno di vedere nascere i nipoti e di vederli anche crescere, cosicché si verifica una relazione prolungata tra due generazioni, sicuramente insolita rispetto ad un secolo fa. Data la maggiore longevità delle donne il ruolo della nonna si protrae per un periodo di tempo più lungo e ciò tende a connotare tale figura come centrale nelle relazioni tra le generazioni. Si configura oggi quella che può essere anche definita come “lunga famiglia estesa”70, cioè una famiglia in cui prevale la tendenza a prolungare la relazione tra genitori e figli adulti e ad estenderla oltre i confini del nucleo familiare di convivenza. Non si parla quindi di famiglia nucleare nella misura in cui esiste un intreccio di relazioni tra le famiglie giovani e le famiglie di origine e in cui i due nuclei familiari si trovano in una relazione dialettica di indipendenza e dipendenza. In questo modo la nuova famiglia che i figli adulti costituiscono, se da un lato opta per una non coabitazione con la famiglia d’origine, dall’altro sceglie la prossimità fisica con essa. Si parla poco del cambiamento della figura dei nonni che nei fatti ha delle notevoli ripercussioni sulle modalità di socializzazione delle nuove generazioni71. I nonni, terza generazione, rappresentano da sempre un bene molto prezioso per la seconda generazione (figli adulti) e per la prima (nipoti), 70 Tale situazione riceve un riscontro empirico in due ricerche di grande interesse, Istat, Indagine Multiscopo sulla famiglia. Soggetti sociali e condizioni dell’infanzia, Istat, Roma, 1998 e E. Carrà Mittini (a cura di), Una famiglia, tre famiglie. La famiglia giovane nella trama delle generazioni, Unicopoli, Milano,1999. 71 Con entrambi i genitori assorbiti dal lavoro, emerge la difficoltà di esprimersi dei bambini con il padre e la madre. La relazione fra nonno e nipote diventa quindi molto importante perché facilita la possibilità di espressione dei bambini. Ma i benefici sono evidenti anche per gli anziani. I nonni sono interlocutori che spesso interagiscono raccontando eventi del passato modificati per facilitarne la comprensione ai piccoli. Il racconto di eventi passati diventa uno strumento per stimolare la funzione creativa degli anziani. L’interazione nonno-nipote diventa quindi un elemento utile per entrambi. M. Cesa-Bianchi, L’invecchiamento psichico, in Invecchiare bene… anzi, molto bene!, articolo reperibile in www.benessere.com. 52 Gli anziani pratesi dell’ultimo ventennio ma oggi più che mai il supporto della famiglia d’origine, e in special modo il ruolo di cura che i nonni svolgono nei confronti dei nipoti, rappresenta per molte coppie con figli una scelta irrinunciabile72. Sempre più spesso inoltre “i nonni non hanno il bastone, né hanno storie da raccontare o mestieri da trasmettere. Oggi i nonni giocano a tennis, viaggiano, studiano, guidano l’automobile; ma al contrario dei genitori (i loro figli) non lavorano e hanno un diverso criterio di organizzare il proprio tempo e le proprie risorse”73. Perché la relazione tra nonno e nipote continui a esistere occorre trovare modalità nuove che, se non possono ripristinare le immagini del passato, non devono comunque riprodurre un ruolo di nonno e di nonna troppo simile a quello dei genitori. Il notevole coinvolgimento dei nonni, e in special modo delle nonne, nella cura dei nipoti è spiegabile con l’impegno lavorativo sempre più consistente delle donne nella fascia di età adulta, in un’epoca in cui, paradossalmente, diventano sempre più rari gli interventi in campo lavorativo e sociale a favore della maternità e delle donne lavoratrici (e questo anche nel mercato del lavoro pratese in cui la flessibilizzazione dei rapporti di lavoro rende la posizione delle donne quanto mai precaria). In questo modo l’impegno dei nonni nel loro ruolo di cura dei nipoti, attraverso una sorta di “delega provvisoria” che li riveste di una autorevolezza inusitata, diventa molto spesso una risorsa-chiave nell’organizzazione della vita familiare dei genitori con i figli piccoli. Questo coinvolgimento è stato ampiamente indagato nelle interviste in profondità condotte nel 2005 all’interno dell’indagine sugli anziani residenti nel territorio provinciale. Da esse si coglieva una incondizionata dedizione dei nonni e delle nonne alla cura dei nipoti. Li trovavamo indaffarati a organizzare gli orari della giornata in base alle attività scolastiche, ricreative o sportive dei nipoti o a preparare loro i pasti al posto dei genitori che erano occupati al lavoro. Se da un lato però, il forte legame con i nipoti e questo incontro fra generazioni sono aspetti di grande importanza per la vitalità degli anziani, c’è da chiedersi, dall’altro lato, se non siamo di fronte in alcuni casi a un sovraccarico degli impegni familiari degli anziani, che risultano impossibilitati a crearsi autonomamente l’organizzazione di una vita finalmente liberata dal lavoro e dagli obblighi domestici, in cui sarebbe possibile dedicarsi agli interessi individuali e alla cura di sé. 3.4.5 La vita di relazione e l’importanza dei sentimenti di amore La presenza di una vita di relazione esterna alla famiglia è un altro aspetto molto importante per capire i livelli dell’integrazione sociale degli anziani. Questa dimensione è ben presente anche nelle ricerche di qualche anno fa. Nelle indagini di Carmignano (1985) e in quella di Montemurlo (1990) risultano quote molto alte di persone che intrattengono rapporti con il vicinato (il 93% del campione di Carmignano e il 91% di quello di Montemurlo). Per lo più si tratta di uno scambio di visite saltuarie. 72 E. Carrà Mittini, I nuovi nonni: risorsa e vincolo per le generazioni, in Osservatorio nazionale sulle famiglie e le politiche locali di sostegno alle responsabilità familiari, Famiglie: mutamenti e politiche sociali, Vol. I, Il Mulino, Bologna, 2002. 73 R. Scortegagna, Invecchiare, Il Mulino, Bologna, pag. 81. 53 Gli anziani pratesi dell’ultimo ventennio Nell’indagine provinciale del 2005 questa dimensione è trattata, in maniera sostanzialmente diversa, all’interno della griglia che conteneva i vari soggetti che fanno parte della rete di scambio che si crea intorno ad ogni individuo. Era consentita però una sola risposta e, anche per via di questa formulazione della domanda, la categoria degli amici, in quanto persone a cui gli anziani possono dare compagnia, riceveva una frequenza molto marginale (a fronte invece delle alte percentuali che valevano per il coniuge, i figli e i nipoti). Nelle interviste in profondità inoltre, quando gli intervistati erano invitati a fare riflessioni sull’amicizia, emergeva una certa amarezza nel riconoscere che una amicizia sincera con qualcuno al di fuori della cerchia familiare non aveva mai caratterizzato la loro esistenza in maniera molto incisiva. Sempre nell’ambito di questa indagine, era stato scelto di analizzare la vitalità degli anziani relativamente ad altri due aspetti molto importanti nella vita degli individui, ossia i giudizi sui legami affettivi di tipo amoroso e sull’attività sessuale in età avanzata. È risultato che questi due aspetti erano dimensioni molto importanti per gli intervistati, sia per chi aveva un legame stabile di coppia sia per i single. In effetti tra gli anziani del campione che erano anagraficamente soli (vedovi e vedove, celibi e nubili, divorziati e divorziate) soltanto una quota marginale dichiarava di avere un compagno. Ciononostante, la possibilità di creare di nuovo un rapporto di coppia, di stringere un legame affettivo anche dopo un lungo periodo di solitudine, contemplando o meno la coabitazione, rimane un’eventualità tanto importante quanto realistica. Infatti negli anziani intervistati durante questa indagine si può leggere, più o meno esplicitamente, con un senso di più o meno velata pudicizia legata all’educazione ricevuta, il desiderio di intrattenere una vita affettiva ricca e appagante con l’altro sesso, nonostante l’età e nonostante la condizione anagrafica. L’importanza che i sentimenti di amore verso un partner rivestono nella vita degli anziani è spiegabile anche grazie alla semplice constatazione che gli attuali ultrasessantacinquenni rappresentano le generazioni dei giovani del ventesimo secolo che per prime hanno iniziato a basare la scelta del compagno e della compagna sull’idea dell’amore romantico74. Nell’indagine provinciale l’amore era una dimensione importante per l’88% degli intervistati (graf.5). Per quanto riguarda i rapporti sessuali si ricavava una percentuale, non maggioritaria ma pur sempre rilevante, di persone che ritengono che siano un aspetto importante (graf.6). La sessualità, legata strettamente all’affettività, è infatti parte integrante della vita dell’uomo e della donna non solo nell’età giovanile o adulta, ma anche in quella più avanzata75. Come era rilevato dall’indagine del 2005, se la passione per gli anziani intervistati ancora esiste, sono altri gli aspetti che mantengono viva la relazione di coppia in età avanzata: la compagnia, l’appoggio e, primo fra tutti, la fiducia. 74 A. Giddens, Le trasformazioni dell’intimità. Sessualità, amore ed erotismo nella società moderna, Bologna, Il Mulino, 1994. 75 L. Baracco, F. Caretta, E’ sempre amore. Anziani e sessualità, Editrice AVE, Roma, 2004. 54 Gli anziani pratesi dell’ultimo ventennio Graf.5 L’importanza o meno della vita affettiva e dei sentimenti di amore Fonte: indagine provincia di Prato 2005 Graf.6 Cosa pensano gli anziani dei rapporti sessuali in età avanzata Fonte: indagine provincia di Prato 2005 Sono soprattutto due le dimensioni che devono essere considerate quando si parla della vita affettiva e sessuale degli anziani. La prima riguarda le caratteristiche e i contenuti propri di una relazione affettiva e sessuale tra anziani. La seconda si riferisce invece al contesto culturale che, sulla base dei suoi valori e modelli, legittima o delegittima i comportamenti che gli anziani possono avere nella sfera sentimentale. Queste due dimensioni sono interdipendenti e strettamente collegate. È accertato inoltre che, con l’avanzare dell’età, si verifica una diminuzione dell’attività sessuale, dovuta alla graduale riduzione dell’energia e della libido, riconoscibile quest’ultima nel desiderio sessuale e nella reazione agli stimoli; tuttavia si riscontra che anche a ottanta anni può esserci capacità di 55 Gli anziani pratesi dell’ultimo ventennio rapporti sessuali, così come in età avanzata permangono desideri e sogni erotici con conseguenti reazioni agli stimoli76. Un peso fondamentale sulla vita sessuale degli anziani è esercitato dalle esperienze sessuali vissute lungo l’intero arco della vita, che sono capaci di influenzare i comportamenti nelle età successive. Sono importanti quelle iniziali, legate alla scoperta della sessualità in età giovanile, ma risultano ancora più influenti sul loro prolungamento in età avanzata quelle che compongono l’esperienza di relazione effettivamente vissuta nell’ambito di tutta la vita coniugale o, in genere, di coppia77. Ma anche il contesto culturale di riferimento, quello che ha accompagnato le fasi fondamentali della crescita dell’individuo, soprattutto se tende a collegare l’atto sessuale alla procreazione78, gioca un ruolo fondamentale nella sessualità in età avanzata e nel valore che ad essa danno agli anziani. Eppure innamorarsi a settanta o a ottanta anni è possibile. “Negarlo e ridurre tutto a un bisogno di compagnia o a una specie di assicurazione per un’assistenza futura è semplicistico e sottrae spazio ai sentimenti ben più piacevoli e più ricchi”79. 3.4.6 Attività sociali, impiego del tempo libero, televisione e personal computer Un altro aspetto che si lega all’apertura degli anziani verso il mondo esterno riguarda la loro partecipazione alle attività sociali, ricreative e di intrattenimento promosse dalla grande varietà di centri sociali, circoli ricreativi e culturali e associazioni presenti sul territorio. Per la terza età le possibilità di impiego del tempo liberato dal lavoro sono, almeno in teoria, ricche e diversificate sia perché si inseriscono nel paradigma dell’attuale società del leisure, che attribuisce una grande importanza ai modi di impiego del tempo libero, sia perché trovano un’utenza anziana ritirata dal lavoro, in buona salute e in un certo senso dotata della necessaria curiosità di imparare e sperimentare cose nuove. In generale, a livello nazionale, la percentuale di ultrasessantacinquenni che reagisce a questi stimoli (dalla pratica di un’attività sportiva, alla presenza in attività di volontariato, alla partecipazione a corsi di vario tipo) è tuttavia ancora bassa e coinvolge in prevalenza gli individui delle classi medioalte della popolazione anziana. Questi risultano più attivi non tanto per le risorse economiche a disposizione quanto per la ricca rete di relazioni extrafamiliari che li ha portati a nutrire nel corso di tutta la vita interessi che sono andati oltre all’ambito domestico, familiare e lavorativo. D’altronde bisogna anche considerare che, nell’arco della vita giovane e adulta, queste generazioni di anziani hanno avuto 76 R. Scortegagna, Invecchiare, Il Mulino, Bologna, 1999. 77 Infatti il vissuto sessuale di una relazione di coppia influenza notevolmente l’atteggiamento dell’uomo e della donna nell’età della vecchiaia. Armonie, conflitti, piaceri, violenze, abusi, sottomissioni, ma anche fedeltà, tradimenti, separazioni, sono tutti elementi che concorrono a stabilire le linee di direzione del comportamento sessuale della persona anziana. R. Scortegagna, Invecchiare, Il Mulino, Bologna, 1999. 78 A. Giddens, La trasformazione dell’intimità. Sessualità, amore ed erotismo nelle società moderne, Il Mulino, Bologna, 1995. 79 R. Scortegagna, Invecchiare, Il Mulino, Bologna, 1999, pag. 77. 56 Gli anziani pratesi dell’ultimo ventennio poco modo di sperimentare uno stile di vita diverso da quello esterno agli ambiti della casa, del lavoro e della famiglia e per esse il tempo libero non era una necessità di vita, ma anzi era considerato in modo negativo, come tempo perso80. Sfortunatamente, per quanto riguarda il nostro territorio, su questo argomento sono confrontabili soltanto due ricerche, quella di Carmignano e quella della provincia di Prato. La lontananza cronologica fra le due rilevazioni può comunque essere utile per vedere se esiste una certa tendenza all’aumento della partecipazione degli anziani alla vita sociale. Nel 1985 a Carmignano dichiarava di partecipare alle attività di una qualche associazione il 16% degli intervistati, una quota che per la sua consistenza già nel rapporto dell’indagine veniva definita apprezzabile81. Nel 2005, a livello provinciale, questa quota risulta pari all’11% quando si tratta sia di attività di volontariato che della partecipazione e a corsi di apprendimento e a iniziative organizzate nel tempo libero. È invece del 7% per quanto riguarda le attività di carattere politico e sociale82. Si capisce quindi come gli anziani di oggi desiderino impiegare il proprio tempo a servizio degli altri e, da un punto di vista della formazione continua, esprimano il desiderio di tenersi culturalmente aggiornati. L’indagine del 2005 mostrava inoltre una non trascurabile percentuale di anziani che praticano attività fisica o sportiva, pari al 20% degli intervistati.83. L’indagine di Poggio a Caiano rilevava inoltre che ben il 70% degli intervistati aveva il desiderio di fare visita ai vari centri sociali per anziani in modo da conoscere le attività che vi vengono svolte. In quella stessa ricerca, gli anziani individuavano anche quale avrebbe dovuto essere la natura di un centro di aggregazione per la terza età, ossia un luogo fatto non solo per gli anziani ma aperto a tutte la generazioni. Un aspetto di continuità con il passato riguarda la più bassa partecipazione delle donne, rispetto agli uomini, alle attività associative e di carattere politico e sociale. Nell’impiego che gli uomini e le donne in età avanzata fanno del loro tempo libero si ripresenta la tipica divisione delle sfere di azio- 80 R. Palomba, M. Misiti, D. Sabatino, La vecchiaia può attendere. Immagini, aspettative e aspirazioni degli anziani italiani, CNR, Istituto di Ricerche sulla Popolazione, Demotrends Quaderni, Roma, 2001. 81 Nell’indagine ci si riferiva a una grande etoregeneità di associazioni: associazioni culturali, circoli ricreativi, sindacati, associazioni pensionati, associazioni religiose, partiti politici, associazioni ex combattenti, associazioni partigiane, circoli caccia e pesca e altro. 82 In questo caso venivano considerati tre tipi di attività avvenute nei dodici mesi antecedenti l’intervista: la partecipazione ad attività di carattere politico e sociale (attività sindacale, assistenza ad invalidi, assistenza a persone emarginate, assistenza in caso di calamità naturali, controllo dei giardini pubblici, controllo davanti alle scuole, attività di partito); il volontariato (aiuto agli anziani, aiuto ai bambini/adolescenti, aiuto ai malati disabili, aiuto agli immigrati, ambiente, animali) e la partecipazione a corsi di carattere culturale organizzati nel tempo libero (cucina, ceramica, lingua, computer, ballo, canto, cucito/ricamo, università dell’età libera). È da notare che, diversamente dalla ricerca sugli anziani di Carmignano, qui è assente la voce relativa ai circoli ricreativi e ai circoli caccia e pesca, la cui presenza avrebbe senz’altro teso a fare aumentare il valore numerico delle risposte. 83 Questa percentuale è significativa soprattutto se pensiamo che a livello nazionale è soltanto del 5%. Istat, Cultura, socialità e tempo libero. Indagine Multiscopo sulle famiglie “Aspetti della vita quotidiana” – Anno 2002, Istat, Roma, n.17, 2004, pag. 32. 57 Gli anziani pratesi dell’ultimo ventennio ne che tradizionalmente e culturalmente accompagnano i due generi nelle loro interazioni sociali. Si potrebbe forse dire che questa distinzione tra la sfera privata femminile e quella pubblica maschile, assimilata in età infantile attraverso la socializzazione ai ruoli sessuali delle bambine e dei bambini, se viene in qualche modo scalfita nelle età centrali (con la donna più attiva nel mondo esterno attraverso il lavoro e i più alti livelli di istruzione), si ripropone in maniera marcata nell’età anziana. Questo dato è presente nelle indagini di Carmignano e anche in quella di Montemurlo, anche se bisogna riconoscere che nella ricerca provinciale del 2005 - limitatamente però al solo ambito della partecipazione a iniziative e corsi organizzati ne tempo libero - la percentuale delle donne (9%) è quasi simile a quella degli uomini (11%). La distinzione tra attività maschili e attività femminili si riscontra anche nelle modalità ordinarie di impiegare il tempo libero. Se nel 1985 a Carmignano gli uomini, ben più delle donne, si occupavano di attività all’aria aperta, come la coltivazione dell’orto, e hanno una maggiore presenza pubblica, come andare al bar e fare visite ad amici e conoscenti, le donne si dedicavano invece ad attività domestiche (il ricamo, il lavoro a maglia e con l’uncinetto) e di natura privata (partecipare alle funzioni religiose). Questa distinzione tra un impiego tipicamente maschile e un impiego tipicamente femminile del tempo libero è evidente anche nell’indagine di Poggio a Caiano e in quella coordinata dalla Provincia di Prato. Un aspetto che accomuna uomini e donne nell’impiego del tempo libero è l’esposizione alla televisione84. Questo fenomeno riguarda il 52% degli intervistati di Carmignano, il 18% degli anziani interrogati nell’ambito dell’indagine di Poggio a Caiano (in cui la televisione è vista come fonte di isolamento e motivo di sfida per il mondo dell’associazionismo) e il 35% degli intervistati dell’indagine provinciale. In questa ultima ricerca si evidenzia anche come una minore fruizione del mezzo televisivo sia legata ai maggiori livelli di istruzione degli anziani, cui risultano imputabili anche le percentuali più alte di chi preferisce dedicarsi alla lettura di un libro o a un qualche hobby. In generale gli anziani passano molto tempo di fronte alla televisione e in questo, come i bambini, corrono il rischio di incorrere, attraverso il teleabuso e la telefissazione85, nella teledipendenza, il cui effetto più evidente è quello di limitare o annullare le relazioni sociali con il mondo esterno e di approfondire il solco del proprio isolamento86. Questo fenomeno avviene tuttavia attraverso un utilizzo eccessivamente prolungato del mezzo televisivo, coniugato ad un’esposizione passiva ai suoi messaggi e contenuti che non consente una rielaborazione individuale. Non volendo correre il rischio di azzardare interpretazioni apocalittiche87, e quindi evitando il cli- 84 La televisione continua a essere il mezzo di comunicazione di massa per eccellenza. Da quanto viene rilevato in ambito nazionale, i livelli di fruizione sono identici tra uomini e donne ma si differenziano invece in base all’età. L’abitudine di guardare la televisione è infatti più diffusa tra i bambini fra i 6 e i 14 anni e tra gli anziani. Istat, I cittadini e le tecnologie della comunicazione (Indagine Multiscopo sulle famiglie “I cittadini e il tempo libero”), Istat, Roma, 2000. 85 G. Gamberoni, Ipnosi, Demetra, Firenze, 2002. 86 D. La Barbera, Dipendenze tecnologiche e abusi mediatici: psicopatologia e psicodinamica, in “Psichiatria e mass media”, CIC, Roma, 2002. 87 U. Eco, Apocalittici e integrati, Bompiani, Milano, 1964. 58 Gli anziani pratesi dell’ultimo ventennio ché, fin troppo sfruttato, del rapporto di dipendenza che si crea tra l’anziano e la televisione, possiamo ricordare gli effetti positivi della presenza della televisione che si creano anche (e non solo) nelle case della popolazione anziana. La televisione infatti non solo informa (e soprattutto informa la quota, seppure marginale, di anziani analfabeti o poco scolarizzati) ma apre prospettive nuove sulla realtà e, componendo insieme i due momenti della possibilità di conoscenza e dell’isolamento entro le mura domestiche, svela mondi che in passato sarebbero rimasti sconosciuti88. Quindi gli anziani di oggi, attraverso una fruizione serena del mezzo televisivo, possono ritenersi più informati, più preparati sui fatti di politica e di attualità89. In un certo senso anche più aperti al mondo esterno e alle nuove istanze culturali di quanto lo fossero gli anziani che li hanno preceduti90. Le interviste in profondità dell’indagine provinciale hanno confermato questo aspetto, rilevando un forte senso critico degli anziani nei confronti della maggior parte dei contenuti televisivi e una preferenza per i programmi culturali e, soprattutto da parte delle donne, per le fiction di qualità; in definitiva veniva riconosciuto un utilizzo puramente strumentale della televisione (c’era anche chi la utilizzava per guardare i dvd di film in lingua inglese). Se la televisione è un vecchio medium, il computer è un nuovo medium tecnologico91. Nell’indagine della provincia di Prato il 7% degli anziani utilizzava il computer, una quota di gran lunga superiore a quella rilevata dall’Istat a livello nazionale (2,5%)92. L’adesione degli attuali anziani ai mezzi tecnologici è verificata anche dall’utilizzo del telefono cellulare (posseduto dal 54% degli intervistati nell’indagine provinciale). Il computer, impiegato in primo luogo per scrivere, poi per giocare e infine per scaricare la posta 88 J. Meyrowitz, Oltre il senso del luogo. Come i media elettronici influenzano il comportamento sociale, Baskerville, Bologna, 1995. 89 Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Rapporto Biennale al Parlamento sulla condizione dell’anziano. Anni 2000-2001, Roma, 2003. 90 Potremmo fare alcune brevi considerazioni sulle rappresentazioni degli anziani nei media, passando quindi dagli anziani davanti alla televisione agli anziani dentro alla televisione. Prevalgono una forte marginalizzazione e stereotipizzazione dell’anziano nel repertorio di immagini che i mezzi di comunicazione di massa, e in special modo la televisione, veicolano. E questo può anche andare a scapito del fatto che tra i maggiori fruitori del mezzo televisivo vi sono proprio gli anziani. E’ infatti stato studiato che “nella fiction, così come nella pubblicità, la percentuale di personaggi di una certa età è, nel suo complesso, significativamente inferiore rispetto alla quota rappresentata dagli anziani nell’ambito della popolazione reale. Agli anziani verrebbero peraltro riservati ruoli per lo più marginali e la loro immagine sarebbe tutt’altro che positiva (sarebbe un’immagine di passività, contrapposta all’attività dei personaggi più giovani, e sarebbe strettamente associata a tutta una serie di aspetti che accompagnano il declino fisico e mentale e la conseguente perdita di autonomia)”. Si veda A. Agustoni, Consumi culturali e identità anziana, in Fondazione Leonardo, Terzo Rapporto sugli anziani in Italia, 2002-2003, F. Angeli, Milano, 2003, pag. 137. 91 Esistono “vecchie” e “nuove” tecnologie mediali. Mark Poster, ad esempio, sottolinea la distinzione tra “prima età dei media”, quella della radio, della televisione e del telefono, e “seconda età dei media”, quella della comunicazione mediata dal computer, decentrata e interattiva. M. Poster, The Second Media Age, Polity Press, Cambridge, 1995. 92 Da quanto viene rilevato dall’Istat, sono soprattutto i giovani a usare il personal computer: tra i bambini di 6-10 anni il tasso di utilizzo è del 50,1% e supera il 60% tra gli 11 e i 24 anni. Le percentuali decrescono nelle età successive riducendosi al 37,3% tra i 45-54enni e al 2,5% tra gli ultrasessantacinquenni. Istat, Cultura, socialità e tempo libero. Indagine Multiscopo sulle famiglie “Aspetti della vita quotidiana”. Anno 2002, Istat, Roma, n.17, 2004, pag. 20. 59 Gli anziani pratesi dell’ultimo ventennio elettronica, ha un utilizzo che è più frequente tra i maschi, nella classe dei giovani anziani (65-74 anni) e cresce in presenza di titoli di studio elevati, come mostriamo nel seguente grafico. Graf.7 Utilizzo del computer per titolo di studio (valori percentuali) Fonte: indagine provincia di Prato 2005 La società dell’informazione93 è una realtà che ormai sta trasformando la vita quotidiana degli individui, i modi di produzione, il rapporto con il lavoro e con il tempo libero, le relazioni interpersonali. Se da un lato la sua rapida diffusione può fare auspicare un miglioramento generalizzato degli standard della qualità della vita, dall’altro lato gli individui che non vengono inclusi nell’acquisizione di queste innovazioni rimangono al di là del cosiddetto “spartiacque digitale”94. Un interesse particolare viene dedicato perciò al contatto tra la popolazione anziana e i nuovi media. Come era prevedibile, rispetto alla popolazione totale sono ancora pochi gli anziani che possiedono un computer e ancora meno sono quelli che ne fanno un utilizzo effettivo95. La questione quindi è che nonostante il fatto che la più generalizzata diffusione delle vecchie tecnologie (televisione, radio, telefono, ecc.) coinvolga gli anziani in misura molto simile al resto della popolazione, questi continuano a rimanere relativamente esclusi dalle nuove tecnologie. E fino ad ora lo sviluppo tecnologico ha teso a rendere esclusa la popolazione anziana dalle innovazioni informatiche. 93 D. Lyon, La società dell’informazione, Il Mulino, Bologna, 1991. 94 OECD, Learning to Bridge the Digital Divide, Paris, 2000. 95 Nella ricerca sulla famiglia pratese condotta nel 2003 nell’ambito dell’Osservatorio Sociale della Provincia di Prato risulta che il personal computer è presente nel 45,3% del campione composto da 300 famiglie. A. Echtner, Analisi dei bisogni e della qualità della vita della famiglia pratese, Provincia di Prato, 2003. 60 Gli anziani pratesi dell’ultimo ventennio Secondo alcuni, questo può dipendere in parte anche dal fatto che le tecnologie pensate e orientate verso un’utenza anziana si fondano sull’erronea e convenzionale idea che gli anziani e i disabili rientrino in un’unica categoria, in cui prevale la determinazione dell’invalidità. Gli anziani in questo modo tendono a essere identificati con persone con determinati problemi psico-fisici e a cui debbono essere rivolti prodotti specifici volti al superamento di una specifica difficoltà96. A questo si aggiunge (e in un certo senso in questo si approfondisce) la paura psicologica degli anziani nei confronti delle nuove tecnologie, consuetamente presentate come prodotti adatti a un’utenza giovane e istruita e quindi estranee alle loro abilità e competenze. Questa situazione può determinare in alcuni casi la mancanza di motivazione, la cui presenza invece costituisce in tutte le età la spinta ad agire attivamente, essendo un insostituibile strumento di apprendimento. Quindi, anche l’utilizzo del computer, strumento estraneo alla cultura dell’anziano, può essere appreso qualora l’anziano sia motivato a farlo. Molti degli anziani di oggi sono lontani da seri problemi legati all’invalidità e alla perdita dell’autosufficienza e una loro inclusione nell’utilizzo dei nuovi media, nello specifico del personal computer e di internet, potrebbe avere effetti positivi sul miglioramento della qualità della vita degli anziani, anche considerando i molti servizi di informazione e di sostegno che sono presenti in rete (telebanca, teleamministrazione, telesanità)97. Attraverso internet possono essere eseguite operazioni attinenti ai vari servizi telematici, a tutto vantaggio dell’anziano che non avrebbe bisogno di recarsi sul luogo del servizio. Ma internet può giovare anche per altri motivi: all’estero come in Italia esistono da tempo molti siti internet pensati per gli anziani - e in alcuni casi gestiti da anziani - in cui si trovano informazioni relative ai servizi per la terza età, alle novità legislative in tema di pensioni, alle tematiche culturali, ai viaggi, agli incontri. È anche stato studiato come l’uso di internet da parte degli anziani contribuisca a diminuire il livello di stress, a migliorare l’umore e, in particolare, a far sentire l’anziano più integrato, meno isolato e quindi meno solo. Infatti l’utilizzo di internet stimola funzioni cognitive quali percezione, attenzione, tempi di reazione, memoria e ragionamento, combattendo in questo modo il decadimento dell’efficienza psichica globale. Infine è anche un modo per mantenere viva la curiosità intellettuale degli anziani, dal momento che consente anche una maggiore autonomia. In definitiva l’utilizzo di internet e del computer permette agli anziani di rimanere dentro ad una società che cambia98. 3.4.7 Le condizioni materiali di vita: situazione economica e stato delle abitazioni Considerando adesso le condizioni materiali di vita, sembra che si possa dire che, nel giro del ven- 96 R. Palomba, M. Misiti, D. Sabatino, La vecchiaia può attendere. Immagini, aspettative e aspirazioni degli anziani italiani, CNR, Istituto di Ricerche sulla Popolazione, Demotrends Quaderni, Roma, 2001. 97 M. Misiti, Older People and the New Technologies in Italy: a Case Study, paper prepared for the European Population Conference, Helsinki, June 7-9, 2001. 98 M. Alberico, E. Capparelli, C. Di Giorgio, L’era del cyber nonno, articolo reperibile presso il sito www.mediamente.rai.it. 61 Gli anziani pratesi dell’ultimo ventennio tennio coperto dalle quattro indagini, gli anziani di oggi si trovano in una migliore situazione economica. La presenza di individui ancora occupati dà la certezza di avere quote di soddisfazione nei riguardi delle risorse finanziarie a disposizione. Nell’indagine di Carmignano del 1995 il 20% degli anziani era ancora occupato, una percentuale ben superiore a quelle registrate negli anni successivi: una quota definita quasi inesistente tra gli anziani dell’indagine di Montemurlo del 1990 (in questa indagine non è riportata la percentuale); il 5% a Poggio a Caiano (1996) e il 7% a livello generale della provincia di Prato (2005), al quale va aggiunto un 4% di ritirati dal lavoro che però continua ad avere, attraverso una qualche attività lavorativa, un’entrata alternativa alla pensione di anzianità o di vecchiaia. Questa ultima indagine mostrava anche come gli ancora attivi fossero soprattutto lavoratori autonomi che, tra l’altro, esprimevano il desiderio di continuare a rimanere attivi con una qualche forma di occupazione anche una volta che fossero andati in pensione. Dall’analisi delle professioni svolte si evince una presenza inedita nell’indagine del 2005 di individui che hanno svolto lavori di tipo intellettuale, un fenomeno che ovviamente riflette la crescita nei livelli di istruzione della popolazione anziana (circa il 10% fra insegnanti, dirigenti, imprenditori e liberi professionisti), pur confermandosi il lavoro dipendente nel settore industriale come la frequenza più consueta. Anche nella componente femminile si può cogliere, nelle rilevazione del 2005, una maggiore propensione al lavoro per il mercato o per meglio dire una sua maggiore formalizzazione, se si considera il grande contributo che, spesso per vie sommerse, da sempre le donne hanno dato allo sviluppo economico distrettuale98. Nella rilevazione di Montemurlo il 51% delle donne intervistate dichiarava di aver svolto il ruolo di casalinga ed erano il 45% le donne che davano la stessa risposta nell’indagine di Poggio a Caiano; questo valore si abbassa invece al 18% nell’indagine sulla popolazione anziana della provincia di Prato, in cui si rileva anche che le donne costituivano il 42% dei titolari di una pensione da lavoro. La metà delle anziane casalinghe esprimeva inoltre il rimpianto di non avere avuto la possibilità di svolgere un lavoro extradomestico. La differenza tra uomini e donne si riscontra nel tipo di situazione economica, a conferma del fatto che la femminilizzazione della vecchiaia reca con sé il grave rischio dell’indigenza in età avanzata. Questa distinzione però è più evidente nell’indagine del 2005. 99 Gli studi sulla realtà pratese degli anni del decollo del distretto industriale nel secondo dopoguerra mettono in luce l’importanza di una base familiare allargata e del ruolo, interno ed esterno alla gestione domestica, della donna. Anche la famiglia artigiana, come la famiglia mezzadrile, conservava il carattere di un’unità produttiva in cui tutti i membri partecipano al lavoro e contribuiscono alla composizione del reddito familiare. P. Fioravanti, Struttura familiare e organizzazione del lavoro, in “L’immagine dell’uomo”, Rivista del Festival dei Popoli, n.2-3. E. Cioni, Lo sviluppo del lavoro autonomo a Prato nel secondo dopoguerra, in G. Becattini (a cura di), Prato, storia di una di una città, Vol. IV, Firenze, Le Monnier, 1995. Oltre al lavoro delle donne in fabbrica, tipicamente femminili erano le figure della lavorante a domicilio e quella della coadiuvante familiare, la cui funzione era di sostegno all’attività artigiana e industriale del capofamiglia. A. Pescarolo, Modelli di industrializzazione, ruoli sociali, immagini del lavoro (1895-1943), in G. Mori, Prato storia di una città, Vol. III, Firenze, Comune di Prato, Le Monnier, 1988; A. Pescarolo, I modelli del lavoro femminile. Continuità e mutamento nei percorsi e nei valori, in “Interventi, note e rassegne”, Irpet, Firenze, 1995. 62 Gli anziani pratesi dell’ultimo ventennio Per la verità infatti la popolazione femminile di Carmignano (1985) rappresenta un’eccezione dal momento che, più degli uomini, le donne dichiaravano una situazione economica soddisfacente (graf.8). Il dato comunque all’interno di quell’indagine veniva analizzato con cautela: “va sottolineato che, trattandosi di una valutazione soggettiva delle proprie condizioni economiche, le risposte ottenute lasciano un certo margine di incertezza dovuto ai singoli e diversi criteri di giudizio adottati, nonché al possibile orgoglio o pudore personale che possono aver influito sulla dichiarazione”100. Nella spiegazione del fenomeno si vedeva nella convivenza con la famiglia un elemento che proteggeva le donne da una percezione negativa delle loro risorse economiche così come per gli uomini questa funzione era svolta dalla permanenza nel mercato del lavoro. Graf. 8 Giudizio sulle condizioni economiche (valori percentuali) Fonte: indagine Carmignano 1985 Anche nell’indagine di Montemurlo non si colgono marcate differenze tra le valutazioni femminili e maschili (anche se le donne prevalgono leggermente nelle risposte che si riferiscono a condizioni pessime e cattive). Addirittura, in generale, la percentuale di chi valuta positivamente la propria situazione economica (buona o soddisfacente) arriva al 60% del campione complessivo. Questa quota rilevante veniva spiegata con la soggettività del giudizio, che risentiva anche del parametro di valutazione di una popolazione che ha conosciuto nel suo passato situazioni di vera indigenza, “che ha vissuto la guerra e che ha sofferto la fame”101 (graf.9). 100 E. Badiani, A. Bavazzano e M. Romagnoli (a cura di), Il popolo anziano di Carmignano, Comune di Carmignano, USL n. 9, Consorzio Centro Studi per il Circondario di Prato, 1987, pag.16. 101 A. Bavazzano, F. Boni, D. Calvani, A. Mitidieri-Costanza (a cura di), “Vita agli anni”. Ricerca sul popolo anziano di Montemurlo, Comune di Montemurlo, USL n. 9 - Area Pratese, 2002, pag. 29. 63 Gli anziani pratesi dell’ultimo ventennio Graf.9 Giudizio sulle condizioni economiche (valori percentuali) Fonte: indagine Montemulo 1990 Nell’indagine sulla popolazione anziana della provincia di Prato (2005), le valutazioni soggettive lasciano invece il posto a una valutazione obiettiva che consiste nell’indicazione della classe di reddito mensile da cui, nella maggior parte dei casi, emergono situazioni economiche che difficilmente si possono definire soddisfacenti. Per più dei tre quarti degli intervistati infatti il reddito mensile non superava i 1.000 euro mensili e nel 31% dei casi arrivava solo a 500 euro (graf.10). Graf.10 Classi di reddito individuale mensile (valori percentuali) Fonte: indagine provincia di Prato 2005 64 Gli anziani pratesi dell’ultimo ventennio Calcolando la media del reddito mensile percepito, nell’indagine provinciale si evidenzia la grande differenza nelle risorse economiche degli uomini e delle donne. Il reddito mensile medio generale era infatti di circa 887 euro. Gli uomini percepivano un reddito di 1.157 euro, quasi il doppio dei 600 euro mensili delle donne. La situazione è variabile anche quando consideriamo la condizione professionale degli anziani, come suggerisce il grafico seguente. Si passa dai 2.000 euro degli anziani ancora occupati ai 676 euro dei titolari di pensione di reversibilità, invalidità, sociale (in cui prevalgono le donne per la pensione di reversibilità) fino al reddito mensile di 430 euro delle casalinghe. Indubbiamente, anche dal punto di vista del reddito, l’universo degli anziani non è un tutt’uno omogeneo e compatto ma presenta molti elementi di diversificazione. Graf.11 Reddito individuale mediamente percepito ogni mese per condizione professionale Fonte: indagine provincia di Prato 2005 Se la scarsa comparabilità tra domande di tipo soggettivo e domande invece di natura oggettiva non riesce a fornirci una base di lettura omogenea dello stesso fenomeno, possiamo ricorrere ad altri ambiti dai quali indirettamente riceviamo informazioni sul tenore di vita della popolazione anziana in questi decenni. La valutazione delle condizioni delle abitazioni, presente nell’indagine di Carmignano e in quella provinciale, suggerisce che oggi la popolazione anziana vive in edifici dotati di maggiori comfort. L’indagine di Carmignano evidenziava infatti che il 24% degli intervistati abitava in edifici di vecchia costruzione e in cattivo stato102, spesso privi di riscaldamento o con il riscaldamento in una sola 102 Nell’indagine di Carmignano la domanda chiedeva di descrivere l’abitazione che poteva essere, utilizzando le quattro modalità previste nel questionario: 1. nuova (12,6%); 2. recente (20,1%); 3. vecchia ma in buono stato (43,2%); 4. vecchia e in cattivo stato (24,1%). 65 Gli anziani pratesi dell’ultimo ventennio stanza (33%) e senza il bagno (19%). Una quota assai marginale, pari all’1%, doveva recarsi fuori casa per rifornirsi di acqua. Nell’indagine provinciale, svolta un ventennio più tardi, la qualità della vita legata all’abitare è ben superiore: lo stato delle abitazioni è pessimo per lo 0,4% (un solo soggetto, in valore assoluto, ha risposto in questa maniera) e mediocre soltanto per il 7% degli intervistati103. Inoltre è più alta la percentuale di anziani che vivono in case di proprietà (l’80% del campione provinciale del 2005 rispetto al 68% di quello di Carmignano del 1985) ed è molto diffusa anche la presenza di abitazioni con giardino (56%). Sempre secondo l’indagine del 2005 - e anche se manca un riscontro preciso con le passate ricerche a livello locale - si può trovare nelle abitazioni degli anziani una grande varietà di beni di consumo moderno (lavatrice, lavastoviglie, videoregistratore, stereo, computer, segreteria telefonica). Questo aspetto è riscontrabile anche a livello nazionale. Infatti, rispetto ai precedenti anziani, quelli attuali “hanno prodotto le loro storie di vita individuali e collettive all’interno di una storia generale in cui si è assistito a una progressiva espansione dei consumi e all’abbassamento della soglia di legittimità verso beni ritenuti, precedentemente, voluttuari e quindi non del tutto lecitamente desiderabili e consumabili”104. 3.4.8 Raggiungibilità dei servizi, mezzi di trasporto e richiesta di interventi socio-assistenziali e ricreativi Alcune informazioni sulla qualità della vita degli anziani provengono anche dalle loro valutazioni circa la zona in cui essi vivono, l’accessibilità dei servizi e la raggiungibilità dei luoghi cittadini. Già nell’indagine di Carmignano venivano date valutazioni soddisfacenti relativamente a questo aspetto e tutti i servizi risultavano disponibili nella grandissima maggioranza dei casi: la fermata dell’autobus (per l’84% degli intervistati), i negozi (71%), il telefono pubblico (73%), i bar (70%), le farmacie (43%). Pur essendo giudizi di tipo soggettivo, sono indicativi di una diffusione dei servizi sul territorio e di una situazione positiva per la popolazione anziana. Anche nell’indagine del 2005 si riscontra un elevato livello di soddisfazione per cui, secondo le risposte dei tre quarti degli intervistati, i servizi erano raggiungibili senza alcun problema. Si coglie tuttavia in questa rilevazione un’importante differenza legata al genere: se infatti i vari luoghi e i servizi risultavano facili da raggiungere per l’81% degli uomini, questa percentuale scendeva al 69% quando a rispondere erano le donne. Il nostro territorio quindi risulta essere una realtà accogliente dal punto di vista delle esigenze della popolazione che invecchia. Osserviamo adesso le differenze nel mezzo di trasporto utilizzato dagli anziani. La facilità di mobi- 103 Al questionario sulla popolazione anziana della provincia di Prato si chiedeva di utilizzare le seguenti modalità: 1. ottimo (19,8%); 2. buono (54,1%); 3. discreto (19,1%); 4. mediocre (6,6%); 5. pessimo (0,4%). 104 S. Tramma, I nuovi anziani. Storia, memoria e formazione nell’Italia del grande cambiamento, Meltemi, Roma, 2003, pag. 80. 66 Gli anziani pratesi dell’ultimo ventennio lità e di spostamento in città è un aspetto rilevante per ogni cittadino, ma lo è ancora di più quando si tratta degli anziani che devono rispondere alle esigenze più diversificate senza poter contare, come possono fare i più giovani, su un mezzo di trasporto privato. A questo si aggiungono anche i casi in cui la popolazione anziana sia colpita da disabilità fisica che rende più disagevole lo spostamento da un luogo all’altro della città. Dall’indagine del 2005 (confrontabile parzialmente solo con quella di Carmignano) risulta che la maggioranza relativa del campione (34%) utilizzava la propria auto (si tratta in special modo degli uomini). Seguivano gli spostamenti effettuati a piedi (18%), con mezzi pubblici (12%) e in bicicletta (11%). Una percentuale significativa (21%), in cui invece prevalgono le donne, veniva accompagnata da altre persone. Rispetto all’indagine di Carmignano, l’utilizzo dell’automobile è solo lievemente superiore, a fronte invece di una percentuale assai inferiore degli utenti del trasporto pubblico e di chi sceglie di andare a piedi. Tab.3 I mezzi di trasporto più frequentemente utilizzati nelle indagini del 2005 e del 1985 Fonte: indagine provincia di Prato 2005 Fonte: indagine Carmignano 1985 L’organizzazione di una comunità è tanto più efficiente quanto più questa riesce a rispondere, attraverso una chiara offerta di servizi di tipo socio-sanitario, di sostegno e orientamento economicolavorativo e di ricreazione culturale, ai bisogni delle varie parti della società, adattandosi alle esigenze particolari di ciascuna di esse. Nell’indagine del 2005, si chiedeva agli anziani quali fossero gli ambiti in cui sarebbe stato necessario sollecitare un maggiore intervento da parte degli enti locali e pubblici. In generale le risposte andavano verso le iniziative di carattere sanitario (pronto intervento medico solo per anziani, nel 48% dei casi, e una maggiore assistenza domiciliare, pari al 20% delle risposte). Seguivano poi misure di sostegno economico, come un aumento delle pensione (33%) e un alleggerimento fiscale (20%). Non sono tuttavia da trascurare le risposte che prediligevano la dimensione ricreativa e la creazione di ini67 Gli anziani pratesi dell’ultimo ventennio ziative rivolte al tempo libero: il potenziamento degli attuali centri sociali (11%) e la creazione di più spazi verdi pubblici in città (10%). Queste ultime risposte rappresentano un’evoluzione rispetto a quanto veniva rilevato nel 1985 dall’indagine di Carmignano, in cui gli aspetti ricreativi e culturali ricevevano (nella forma di soggiorni estivi) una preferenza soltanto dal 2% degli intervistati. In questa rilevazione si esprimeva una forte predilezione verso i servizi infermieristici e di assistenza domiciliare (43%), la consulenza sanitaria specialistica (32%) e le strutture di ospitalità completa e diurna per persone non autosufficienti (14%). Dobbiamo ricordare che il campione era composto da una popolazione anziana caratterizzata da buone condizioni di salute. 3.4.9 Le condizioni di salute Nel 2005 l’indagine provinciale trovava gli anziani in buone condizioni di salute. Infatti, anche grazie al progresso medico-scientifico e a un più elevato tenore di vita, rispetto al passato è migliorata la percezione che gli anziani hanno del loro stato di salute. Questo è indubbiamente un aspetto fondamentale perché una buona salute fisica incentiva enormemente la voglia di fare degli anziani105. A livello nazionale, nelle rilevazioni sullo stato di salute non si fa riferimento al solo benessere fisico o all’assenza della malattia attraverso indicatori specifici, come il livello di morbosità degli anziani; si tende invece sempre di più a utilizzare una definizione più ampia e complessa del benessere fisico che attribuisce un’importanza crescente alla percezione soggettiva delle condizioni di salute e che comprende anche la capacità degli individui di essere in equilibrio con se stessi e in armonia con il proprio contesto sociale106. Ulteriori indicatori del benessere fisico della popolazione anziana possono essere rappresentati anche dai periodi di vacanza o dalla pratica di un’attività fisica e sportiva, due elementi di cui abbiamo già parlato. Lo studio SENECA condotto in Italia nel 2002 mostra che nel campione analizzato (39 uomini e 50 donne, nati tra il 1913 e il 1918) la maggior parte degli individui era capace muoversi fuori casa e di usare le scale senza difficoltà. Il 15% degli uomini e il 40% delle donne si dichiaravano in buona salute; infine, il 97% degli uomini e il 94% delle donne praticavano un’attività fisica107. Nel campione provinciale del 2005 in generale l’86% degli anziani dichiarava di avere condizioni di salute che andavano da discrete a ottime e che erano buone nel 39% dei casi108. Soltanto una quota 105 Censis, Gli anziani in Italia: problemi e speranze, Censis, Roma, 2002. 106 Questo indicatore, che si riferisce alla salute percepita, viene assunto nelle rilevazioni che l’Istat realizza nel nostro paese con cadenza quinquennale (Istat, Le condizioni di salute della popolazione, Roma, 1999/2000). La scelta di questo indicatore è adatta a far emergere aspetti che, essendo legati alla soggettività degli individui, non sono rilevabili attraverso i tradizionali indicatori di morbosità e mortalità. 107 Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche, Università degli Studi di Padova. 108 Questa percentuale è lievemente superiore rispetto al dato nazionale, per cui il 36% della popolazione over 65 afferma di avere buone condizioni di salute (il 43,2% nella classe 65-74 anni e il 26,2% nella classe 75 anni e oltre). Istat, Stili di vita e condizioni di salute. Indagine Multiscopo sulle famiglie “Aspetti della vita quotidiana”. Anno 2002, Istat, Roma, n.36, 2004, pag. 43. 68 Gli anziani pratesi dell’ultimo ventennio marginale definiva pessimo il proprio stato di salute (5%), mentre un’incidenza lievemente superiore riguardava quanti trovavano che il proprio stato di salute fosse cattivo (8%). Si nota tra l’altro come le donne, più longeve e quindi più a lungo esposte al rischio di malattia, dichiarassero, in percentuali più, alte condizioni di salute pessime e cattive (graf.12). Graf.12 La percezione delle stato di salute per sesso (valori percentuali) Fonte: indagine provincia di Prato 2005 Le indagini svolte nel corso degli anni Ottanta e coordinate dalla USL n. 9, nella parte conclusiva dello studio, che era dedicata alla rilevazione sanitaria, hanno adottato, per individuare i livelli di autonomia personale e sociale degli anziani, la scala IADL (Instrumental Activities of Daily Living)109 e la scala NUDS (Northwestern University Disability Scale)110. Dalle applicazioni di questi due strumenti di rilevazione emergevano quote marginali di anziani gravati dalla presenza di dipendenza completa. Qui di seguito proponiamo la sintesi dei risultati nei quattro comuni in cui sono state volte le indagini. 109 La Scala IADL misura cinque aspetti delle attività della vita quotidiana: 1) la capacità di usare il telefono; 2) la capacità di fare acquisti; 3) la capacità di usare mezzi di trasporto; 4) la responsabilità nell’uso dei farmaci; 5) la capacità di maneggiare le proprie finanze. 110 La Scala NUDS contempla invece gli ambiti in cui un individuo può essere dipendente (parzialmente o completamente) dagli altri: la deambulazione, l’igiene, il vestirsi, l’assunzione di cibo, il comportamento a tavola e l’uso della parola. 69 Gli anziani pratesi dell’ultimo ventennio Tab.4 Instrumental Activities of Daily Living (IADL) - Percentuale dei soggetti con indipendenza completa Fonte: indagine Montemurlo 1990 * I dati delle ricerche sulla popolazione anziana di Vaiano e Prato sono tratti dal rapporto dell’indagine di Montemurlo (1990) Tab.5 Northwestern University Disability Scales (NUDS) - Percentuale dei soggetti con indipendenza completa Fonte: indagine Montemurlo 1990 * I dati delle ricerche sulla popolazione anziana di Vaiano e Prato sono tratti dal rapporto dell’indagine di Montemurlo (1990) Possiamo limitarci ad accostare i dati delle altre indagini per avere un’idea della dimensione del fenomeno. Per quanto riguarda la popolazione di Poggio a Caiano (1996), anche in questo caso, la grande maggioranza del campione era lontano da gravi problemi di disabilità. L’indagine, che era motivata da fini conoscitivi diversi da quelli di tipo socio-sanitario, non distingue gli ambiti in cui si può suddividere l’autonomia fisica di una persona. Tuttavia il dato rilevato in generale consente di avere un’idea generale del fenomeno. L’86% del campione si definiva autosufficiente e un 6% dichiarava di non essere autosufficiente. 70 Gli anziani pratesi dell’ultimo ventennio Graf.13 Anziani che si dichiarano autosufficienti, autosufficienti parzialmente e non autosufficienti Fonte: indagine Poggio a Caiano 1996 Anche nel caso dell’indagine provinciale del 2005, il buono stato di salute della popolazione anziana è confermato dalle quote relativamente modeste di anziani che si percepivano non autosufficienti. In questa ricerca veniva colta la dimensione della disabilità in tre ambiti specifici: la disabilità all’interno delle mura domestiche, la disabilità fuori casa e la disabilità nella cura della persona111. Quella della non autosufficienza personale, legata a problemi di tipo motorio, sensoriale o di cura della persona è una dimensione estremamente importante, che coinvolge la totalità della persona e la sua percezione della realtà e che implica anche il coinvolgimento dell’ambiente sociale circostante. Inoltre 111 Per rilevare il fenomeno della disabilità, cioè della perdita di autonomia funzionale e di autosufficienza nello svolgimento delle principali attività quotidiane, già dal 1991 l’Istat fa riferimento ad una serie di indicatori predisposti dall’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) e assume la definizione di disabilità come riduzione o perdita di capacità funzionale o dell’attività conseguente ad una menomazione. Tali indicatori consentono di analizzare specifici aspetti della disabilità: la dimensione fisica (mobilità e locomozione); la sfera di autonomia nelle funzioni quotidiane (attività di cura della persona); la dimensione della comunicazione (vedere, udire, parlare). In questo senso è definita disabile la persona che, escludendo le condizioni di disabilità riferite a limitazioni temporanee, dichiara il massimo grado di difficoltà in almeno una delle funzioni rilavate in ciascuna sfera, pur tenendo conto dell’eventuale ausilio di apparecchi sanitari (protesi, bastoni, occhiali, ecc.). Tra le diverse tipologie di disabilità quella più grave è rappresentata dal confinamento, che implica la costrizione permanente in un letto e che comporta elevati livelli di dipendenza. Secondo le stime dell’Istat, i disabili rappresentano quasi il 5% della popolazione italiana (2.615.000). Tra questi è significativo il numero degli anziani (circa 2 milioni) e le prevalenze aumentano progressivamente tra i grandi-anziani. La disabilità tra gli anziani riguarda quasi un anziano su cinque, con marcate differenze di genere a svantaggio delle donne. Tuttavia tale svantaggio femminile rispetto alla disabilità non può essere imputato soltanto alla loro maggiore longevità, in quanto emerge in tutte le fasce di età messe a confronto. Istat, Le condizioni di salute della popolazione, Roma, 1999/2000. 71 Gli anziani pratesi dell’ultimo ventennio l’indagine, nella parte relativa alla percezione della vecchiaia, mostrava come la comparsa di malattie invalidanti fosse anche l’elemento che, secondo gli intervistati, più di altri (sia positivi come la nascita dei nipoti, che negativi come la morte di persone care) può marcare il passaggio verso la vecchiaia. Nel campione provinciale, l’89% si riteneva autosufficiente in casa; l’82% si riteneva autosufficiente fuori casa e una percentuale maggiore, pari al 90%, si riteneva autosufficiente nella cura della persona. In tutti e tre questi ambiti la valutazione dei livelli di indipendenza data dalle donne è leggermente inferiore a quella che viene rilevata per gli uomini (tab.6). Tab.6 Condizioni di non autosufficienza percepita per sesso (valori percentuali) Fonte: indagine provincia di Prato 2005 3.4.10 L’assistenza all’anziano Come viene rilevato dal Censis112, l’Italia si caratterizza per una inefficienza strutturale dei servizi destinati all’ageing population, soprattutto in termini di integrazione e sicurezza. Alla crescente domanda di assistenza legata non solo alla non autosufficienza fisica ma anche alle problematiche psicologiche connesse con l’anzianità, la risposta proviene principalmente dalla famiglia. Sono infatti le reti familiari a svolgere questa importante funzione, integrate spesso dall’attività di personale a pagamento per la cura degli anziani. La centralità delle reti familiari spontanee dipende dalla permanenza della solidità delle strutture familiari e dalla accentuata autoresponsabilizzazione intergenerazionale, molto forte, come abbiamo visto, soprattutto nella tradizione culturale del distretto industriale pratese. Il rischio è che il crescente ruolo della famiglia conduca, nel più generale processo di ridefinizione della rete di servizi a livello locale, ad una deresponsabilizzazione della comunità113. Questa centralità della rete familiare è molto evidente nel territorio pratese, di per sé caratterizzato da una forte cultura di solidarietà intergenerazionale. L’indagine di Poggio a Caiano (1996) affrontava questo argomento e mostrava chiaramente il ruolo predominante della famiglia nella funzione di supporto agli anziani. Al rilievo del ricorso alla famiglia corrispondeva una bassissima richiesta rivolta ai servizi si assistenza istituzionale (graf.14). La maggior 112 In questa indagine il Censis affronta a livello nazionale la questione della domanda e dell’offerta di assistenza agli anziani. Censis - Salute La Repubblica, Gli anziani in Italia: problemi e speranze, Roma, Censis, 2002. 113 Censis - Salute La Repubblica, Gli anziani in Italia: problemi e speranze, Roma, Censis, 2002. 72 Gli anziani pratesi dell’ultimo ventennio parte degli intervistati faceva riferimento a un’unica fonte di aiuto e la possibilità di rivolgersi a più soggetti era quasi sempre compresa all’interno della rete familiare e parentale. Come vediamo, si rivolge al coniuge il 60% degli anziani (si tratta soprattutto di uomini), mentre il 55% fa riferimento ai familiari conviventi (stavolta in maggioranza sono le donne). Gli uomini quindi, a differenza delle donne, più spesso vedove, possono contare sull’importante ruolo di care-giver fornito dall’altro membro della coppia. Anche i parenti non conviventi rappresentano una risorsa importante nelle prestazioni di aiuto agli anziani (23%), molto di più dei vicini a cui comunque nel 9% dei casi gli anziani si rivolgono per ricevere qualche forma di assistenza. L’ente pubblico in quanto fornitore di servizi assistenziali è quasi assente (solo il 2% vi si rivolge) e l’utilizzo delle prestazioni fornite dalle associazioni di volontariato è praticamente inesistente114. Graf.14 I soggetti ai quali gli anziani si rivolgono per chiedere assistenza (valori percentuali*) Fonte: indagine Poggio a Caiano 1996 * Il totale non è uguale al 100% perché erano consentite più risposte L’indagine del 2005 conferma che, anche più recentemente, la famiglia rimane la protagonista assoluta e indiscussa quando si tratta di fornire assistenza alla persona anziana nei casi di malattia o di bisogno (tab.7). La quasi totalità degli intervistati riceve infatti in primo luogo le cure dei membri della famiglia 114 Il basso ricorso ai servizi prestati da questi due soggetti può comunque essere spiegato con il metodo di rilevazione adottato da questa indagine (autosomministrazione di un questionario inviato per posta a tutta la popolazione ultracinquantacinquenne e consegna del materiale compilato presso le sedi delle associazioni) e dal bassissimo tasso di risposta. È plausibile pensare che, visto l’alto livello di iniziativa affidato ai soggetti da intervistare, abbiano aderito all’indagine soggetti particolarmente interessati e curiosi, inseriti in un contesto relazionale, sociale e familiare, molto presente e soddisfacente e probabilmente anche in buone condizioni di salute, per cui difficilmente in caso di bisogno si ricorre di più ai servizi della famiglia e meno a quelli forniti dall’ente pubblico e dal mondo del volontariato. 73 Gli anziani pratesi dell’ultimo ventennio (85%) e in secondo luogo quelle dei parenti (60%). I servizi di tipo istituzionale e quelli forniti dalle associazioni di volontariato incidono in maniera assolutamente marginale e sono presenti solo quando si tratta della seconda risposta (in questo caso il 3% riceve aiuto dai volontari e il 2% dagli assistenti sociali). La stessa cosa si può dire riguardo alle percentuali, comunque marginali, di anziani che vengono assistiti attraverso una inedita forma di supporto che negli anni passati non aveva luogo e che si realizza con l’impiego di personale a pagamento, italiano (3%) e straniero (2%). Le forme di assistenza a pagamento, svolte da persone estranee alla famiglia, rappresentano un’esternalizzazione delle cure tradizionalmente familiari che si inserisce in un canale alternativo alle risposte di tipo istituzionale. Tab.7 I soggetti che forniscono assistenza agli anziani in caso di malattia o di bisogno (in primo luogo e in secondo luogo) Fonte: indagine provincia di Prato 2005 74 Conclusioni CONCLUSIONI Dall’analisi che abbiamo condotto emerge chiaramente come in questi venti anni di ricerche pratesi sugli anziani l’oggetto di studio, lungi dall’essere un fenomeno statico e monolitico, si sia trasformato partecipando alle trasformazioni della società in generale, in qualche caso essendo anche l’elemento di attivazione di tali trasformazioni. Dalle prime ricerche degli anni Ottanta, che analizzavano generazioni di anziani nati per lo più intorno agli anni Venti del Novecento, siamo giunti all’ultima analisi, pubblicata nel 2005, in cui il campione di anziani intervistato apparteneva a coorti di uomini e donne nate dagli anni Quaranta in poi. Se già all’interno di una stessa generazione si possono cogliere evidenti elementi di differenziazione - come abbiamo sottolineato nel primo capitolo parlando dell’eterogeneità della terza età - questo è ancora più vero quando adottiamo una chiave di lettura diacronica nella interpretazione delle ricerche effettuate in diversi periodi tempo. Un altro aspetto interessante, che abbiamo cercato di sottolineare, è che con il passare del tempo non cambiano soltanto le caratteristiche dell’anzianità, che è l’oggetto di studio, ma cambiano anche i metodi e gli obiettivi delle ricerche. E così, se nel corso degli anni Ottanta l’interesse della ricerca era di tipo socio-sanitario (Carmignano, Montemurlo), dalla fine degli anni Novanta in poi si concentra su tematiche socio-relazionali (Poggio a Caiano, provincia di Prato). Il campionamento dell’ultima indagine, quella provinciale del 2005, è relativo alla popolazione con più di sessantacinque anni, mentre le altre ricerche propongono fasce di età più basse, il che indica non solo implicazioni di carattere puramente metodologico ma anche modificazioni sociologiche che mettono in evidenza un innalzamento generale della soglia anagrafica, varcata la quale ci si definisce anziani. Oggi come oggi considerare anziano un sessantenne farebbe sorridere… Nell’ultima indagine effettuata, la realizzazione di interviste in profondità, uno strumento di analisi inconsueto nel passato, permette inoltre di svelare il mondo interiore degli anziani, di scoprire le loro opinioni e le loro paure, in modo tale da dare voce alle informazioni necessariamente sintetiche che ci danno i numeri. Dall’analisi delle quattro ricerche esaminate risulta che a elementi di continuità si giustappongono elementi di trasformazione. Come nel passato, gli anziani di oggi hanno un riferimento importante nella famiglia e nei figli. Questo lo si deduce indirettamente anche dalla tradizione italiana, e mai venuta meno anche nel nostro territorio, della vicinanza geografica dei figli adulti o della loro coabitazione con i genitori. Tuttavia, la presenza di una rete familiare che si costruisce intorno all’anziano non rappresenta soltanto il sistema di solidarietà al quale l’anziano può ricorrere in caso di bisogno o nei periodi di malattia, così come emerge nella visione “poverista” e superata dell’anzianità. Un aspetto che emerge chiaramente è che all’interno della famiglia lo scambio di assistenza è biunivoco e l’anziano diventa una 75 Conclusioni risorsa irrinunciabile per i figli che hanno creato a loro volta una loro famiglia. Questo significa che molto spesso il menage familiare di una giovane coppia con figli spesso si regge sul prezioso contributo dei genitori anziani che, nel loro tempo liberato, si riappropriano in maniera originale di ruoli genitoriali, diventati atipici, nei confronti dei nipoti. L’ormai ben noto trend culturale per cui i giovani italiani tardano sempre di più a rendersi pienamente autonomi dai genitori provoca il meno noto fenomeno per cui i genitori, anche quando sono anziani, devono continuare a mantenere le loro responsabilità verso i figli, e spesso anche quando questi sono diventati, a loro volta, genitori. In altre parole, l’associazione fra terza età e tempo liberato non deve essere così automatica: per molti anziani il tempo non si libera mai. Il rapporto nonno-nipote, un fenomeno fino ad oggi non sufficientemente esplorato nonostante le sue importanti implicazioni, ha una forte valenza affettiva ma allo stesso tempo rappresenta in alcuni casi un momento di grande stress soprattutto per le nonne, impegnate quasi tutto il giorno nella cura della casa e dei nipoti (e spesso dei figli e delle figlie). Un altro elemento di continuità è rappresentato dai modi in cui uomini e donne impiegano il tempo libero. Come nel passato, ancora oggi agli uomini competono le attività della sfera pubblica e alle donne quelle della sfera privata. Gli uomini giocano a carte nei bar, fanno visite agli amici, coltivano l’orto, praticano sport. Le donne vanno alla messa, stanno in casa a ricamare o a lavorare a maglia. La rivoluzione sessuale degli anni Settanta non le ha investite ma comunque le ha sfiorate. Nell’indagine provinciale risulta che i loro momenti di aggregazione esterna sono anche di tipo associativo e, quasi quanto gli uomini, si interessano ai corsi e alle attività culturali e di apprendimento. Qualche settimana fa ho assistito a una lezione di geologia che mio fratello vulcanologo teneva presso l’Università dell’età libera. Mi colpirono non solo il grande interesse mostrato dai partecipanti (più donne che uomini) ma anche il loro altissimo livello di preparazione culturale e intellettuale e la loro capacità di destreggiarsi tra ere geologiche e formule chimiche. Una prima grande diversità rispetto agli anziani del passato sono proprio i maggiori livelli di istruzione. Un livello più alto di scolarizzazione si riflette anche nella presenza, non molto consistente ma comunque inedita, di professioni liberali e intellettuali dei nostri attuali ultrasessantacinquenni. Quando l’intensa storia lavorativa dei nostri anziani non ha permesso loro di conseguire una carriera scolastica superiore, la fase del ritiro dal lavoro può rappresentare anche il momento più adatto per dedicarsi agli studi e quindi alla cura dei propri interessi e delle proprie passioni. Il campione di anziani della ricerca provinciale del 2005 ha messo in evidenza anche la diffusione dell’utilizzo del computer. È un aspetto positivo perché l’interattività di internet può giovare alle capacità cognitive degli anziani, al contrario delle involuzioni provocabili dalla teledipendenza dovuta a un’esposizione passiva ai contenuti della televisione. Sempre nell’indagine provinciale, attraverso le interviste in profondità, si vedeva comunque che l’esposizione alla televisione non è così passiva ma esiste una selezione critica e una elaborazione attiva dei messaggi. L’indagine provinciale del 2005 consente inoltre di analizzare un altro aspetto fondamentale della vita degli individui, quello della sessualità, un ambito di analisi adottato solo di recente dagli studi nazionali e internazionali sulla terza età. La sessualità in età avanzata non è più soltanto menopausa, post-menopausa, andropausa e l’erotomania delle persone affette da Alzheimer o da demenza vascolare. La sessualità in età avanzata si lega anche all’amore, all’innamoramento e al romanticismo. 76 Conclusioni Ancora oggi tuttavia, nel pressante dominio dal “vivere giovani”, trova resistenza nei figli e addirittura nel personale che si occupa degli anziani in istituzione, come viene confermato da alcune ricerche. Di recente, la letteratura e il cinema hanno iniziato a prestare attenzione a questo sentimento che può nascere in persone di età avanzata; ricordiamo ad esempio il film “The Mother” (Gran Bretagna, 2003) per la regia di Roger Michell, e “Innocence” (Australia-Belgio, 2000) del regista olandese Paul Cox. Fra i romanzi “Il tempio dell’alba” di Mishima Yukio, e “Le nonne” di Doris Lessing. La terza età diventa anche l’età del sentimento. Il disinteresse nel passato verso l’amore fra persone anziane è dovuto al tabù culturale sulla sessualità ma anche a fattori oggettivi legati a una maggiore deprivazione socioculturale degli anziani e a una cultura dei sentimenti che li relegava all’età della riproduzione. Oggi gli ultrasessantacinquenni, grazie agli sviluppi scientifici e alla somministrazione di cure mediche appropriate, sono più in salute, hanno una migliore vita relazionale e godono di un tenore di vita più elevato. Queste condizioni favoriscono indubbiamente anche una vita sentimentale più ricca. La differenza fra uomini e donne si lega anche a un altro elemento che rappresenta invece un’evoluzione rispetto al passato. Se infatti i redditi delle donne continuano a essere più bassi di quelli degli uomini, in generale le risorse economiche degli anziani di oggi sono più elevate rispetto a una ventina di anni fa, come espressione di una maggiore benessere diffuso della società contemporanea. Questo lo si può constatare anche dalle migliorate condizioni delle abitazioni e dalla presenza nelle case degli anziani di beni di consumo di tipo moderno. Abbiamo avuto modo di vedere che la terza età è una realtà estremamente articolata ed eterogenea. In futuro la differenziazione sarà sempre più ricca e interessante. La provincia di Prato va incontro a un progressivo invecchiamento della popolazione, che deve essere monitorato e osservato. Sarebbe quindi auspicabile costruire indagini longitudinali, che diano vita a dati confrontabili e che soprattutto possano coniugare l’attenzione medica verso gli aspetti sociosanitari della popolazione anziana con interessi più sociologici legati ai cambiamenti micro (percezione dell’anzianità e differenze di genere) e macro della nostra cultura sociale. La nostra società, inoltre si fa sempre più multiculturale, e anche gli studi sulla popolazione anziana non possono prescindere dalla comprensione e dall’attenzione a questo fenomeno. In Canada, negli Stati Uniti e in molti paesi europei di più lunga tradizione immigratoria vengono svolti da parecchi anni studi sulla terza età che adottano una prospettiva interculturale e che confrontano i modi dell’invecchiamento della popolazione autoctona e alloctona. Da questi studi emergono sia caratteristiche di fondo universali ma anche aspetti formali particolari. 77 78 Riferimenti bibliografici Riferimenti bibliografici Agustoni A., Consumi culturali e identità anziana, in Fondazione Leonardo, Terzo Rapporto sugli anziani in Italia, 2002-2003, F. Angeli, Milano, 2003. Alemani C., La fabbrica delle donne, in Vicarelli G. (a cura di), Le mani invisibili. La vita e il lavoro delle donne immigrate, Ediesse, Roma, 1994. Allario M., I “nuovi anziani”: interessi e aspettative, F. Angeli, Milano, 2003. Baldacci E., Broto G., Sistema pensionistico e distribuzione del reddito tra le famiglie, in CNEL, Economia della famiglia e politiche sociali, Documenti CNEL, Roma, 2000. Baldini M., Mazzaferro C., Transizione demografica e formazione del risparmio delle famiglie italiane, Lavoro presentato al convegno Ricerche Quantitative per la Politica Economica, Dicembre 1999. Baracco L., Caretta F., È sempre amore. Anziani e sessualità, Editrice AVE, Roma, 2004. 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