Fabrizio Volpi
Il Santuario Etrusco
di Pietramarina
Fabrizio Volpi, Il Santuario Etrusco di Pietramarina
Copyright© 2012 Edizioni del Faro
Gruppo Editoriale Tangram Srl
Via Verdi, 9/A – 38122 Trento
www.edizionidelfaro.it – [email protected]
Prima edizione: giugno 2012 – Printed in Italy
ISBN 978-88-6537-124-4
In copertina: Masso del Diavolo
Foto e disegni realizzati da Fabrizio Volpi
A Simona, con amore
Il Santuario Etrusco
di Pietramarina
Introduzione
I
l lavoro di ricostruzione dell’antica Etruria settentrionale
non è agevole. Forse perché in nessun altro luogo come
qui, il territorio è stato vissuto nei secoli senza soluzione di
continuità, in un susseguirsi di culture e civiltà diverse.
Infatti, mentre in altre parti dell’Etruria, e nella fattispecie
nella Tuscia, l’area compresa tra la Maremma e l’alto Lazio,
numerosi abitati etruschi furono abbandonati dopo la caduta e la dissoluzione di quel mondo, permettendone così una
maggiore conservazione delle loro vestigia, nella nostra area di
indagine i luoghi continuarono a essere vissuti, le costruzioni
riutilizzate e spesso predate come cava di pietra edilizia, distruggendo così la maggior parte delle tracce di questo passato.
Nell’Etruria meridionale invece, dopo la caduta del mondo
etrusco, la romanizzazione procedette con estrema lentezza;
anche perché i nuovi nuclei colonizzanti non gradivano stabilirsi in quei luoghi, in quanto li ritenevano inospitali e infestati da spiriti infernali etruschi.
Per questa ragione i coloni romani ottennero in taluni casi
di costruire i nuovi abitati distanti dai vecchi centri etruschi
destinati così alla rovina e all’oblio.
Questa area, che da molti studiosi, grazie ai suoi numerosi
e importanti ritrovamenti, viene considerata come la patria
degli Etruschi, era una zona massimamente a vocazione ru9
rale. Numerosi centri, nel proseguo delle dinamiche storiche
e sociali, rimasero ai margini, permettendo così, con il loro
isolamento, la conservazione delle tracce del proprio glorioso passato.
In questa ottica dobbiamo quindi rivalutare l’importanza
e il ruolo determinante svolto dai centri dell’Etruria settentrionale soprattutto nei secoli VII-VI a.C. Questi furono caratterizzati da una spiccata vocazione produttiva, ricordiamo
i numerosi giacimenti metalliferi presenti nell’area volterrana e nella vicina isola d’Elba, e commerciale, con il fiorente
porto pisano che dominava tutto l’alto Tirreno. Inoltre le
famose Via del Ferro e Via dell’Ambra, antiche vie di collegamento con i centri padani e adriatici, attraversavano proprio
questa area.
La città di Pupluna, l’attuale Populonia, per esempio, fu un
fiorente centro metallurgico per la produzione e commercializzazione del ferro elbano.
Fonti storiche narrano che il cielo sopra l’isola d’Elba fosse
sempre avvolto da nubi di fumo e l’aria irrespirabile.
Le recenti scoperte ci permettono quindi di delineare un
quadro molto diverso da quello sostenuto dagli studiosi, ancora fino a pochissimi anni fa, cioè che l’Etruria si estendeva
solo tra la riva sinistra dell’Arno e la riva destra del Tevere.
La prova che gli antichi centri settentrionali continuarono
a essere trasformati nel corso dei secoli, adattati nelle loro
strutture in base alle mutate esigenze, sommata alla scoperta
che altri insediamenti furono invece abbandonati e cancellati
da gravi dissesti idrogeologici, spiegherebbe per quale motivo, nel momento di massimo splendore culturale, economico
e conseguente dominio militare, avvenuto proprio nei secoli
della forte espansione etrusca nell’area settentrionale, non ne
restino che poche tracce.
10
In questo contesto, invece, trovano finalmente una loro coerente collocazione le celeberrime tombe di Sesto Fiorentino, tra le più antiche, i tumuli di Comeana e la necropoli di
Prato Rosello ad Artimino.
E anche la recente scoperta della grande città etrusca di
Gonfienti, nei pressi di Prato, risalente al VI sec. a.C., anch’essa posta a nord dell’Arno, tanto potente da essere costruita in
pianura e da non avere bisogno di una cinta muraria difensiva, è l’ulteriore riprova che l’Etruria settentrionale aveva una
propria forte identità culturale ed economica e, soprattutto,
una storia tutta da riscrivere.
11
Il bosco sacro
T
ra il IX e l’VIII sec a.C. quando si afferma la civiltà etrusca, il culto della Madre Terra, di antichissime origini,
che derivava dalle religioni misteriche e matriarcali, era già
diffuso in tutto il mediterraneo.
Il tempio della Dea Madre non poteva che essere il bosco
sacro: uno spazio naturale, anche di vaste dimensioni, rigoglioso di vegetazione, pieno di animali e soprattutto della
linfa vitale rappresentata dalle acque sorgive consacrate a divinità femminili.
L’etrusca Artumes o Aritimi (Artemide), la dea della Natura, rivestì l’aspetto silvestre della Dea Madre e il bosco sacro,
territorio proibito ai profani, era riservato ai soli sacerdoti
i quali, essendo custodi di una religione misterica, mantennero rigorosamente il segreto su quanto avveniva all’interno
del suo sacro recinto.
Il culto dei boschi sacri era diffuso anche presso le altre
culture antiche: dai greci, ai latini, ai falisci, ai sabini, ai
druidi. Lo stesso Lucumone, la principale carica politica e
religiosa etrusca, sembra significasse “sacerdote del bosco”.
Dalle scarne notizie in nostro possesso, che ci arrivano dagli storici latini, possiamo cercare di ricostruire cosa fosse
questo bosco sacro con al suo interno il tempio, il Fanum
appunto.
13
Il bosco sacro, dedicato alla diade sacra di Veltha (principio
maschile) e Voltumna (principio femminile), fu il centro della religiosità e del culto etrusco e vide prevalere il principio
femminile tanto che il bosco sacro per eccellenza fu denominato Fanum Voltumnae. Una volta l’anno vi si radunavano
folle di pellegrini e i loro capi spirituali e politici. Si narra che
vi si riunissero i rappresentanti delle dodici città facenti parte
della confederazione etrusca.
Gli studiosi hanno sempre ricercato un solo Fanum ma non
hanno mai saputo identificare con certezza né il luogo dove
questo fosse ubicato, né quali città formassero la dodecapoli.
Numerosi sono stati i luoghi indicati così come si sprecano le ricostruzioni di quali fossero le dodici città che vi appartenessero.
Ma se consideriamo il carattere confederativo della società etrusca, il numero quasi triplo delle città presenti in una area tanto
vasta da comprendere tutta l’attuale Toscana, parte del Lazio,
dell’Umbria e dell’Emilia Romagna, per non dimenticare le
città poste in Campania, appare plausibile che i Fanum dovevano essere più di uno, posti al centro di regioni omogenee per
cultura e legate da attività produttive e da traffici commerciali.
In questi luoghi, ricordiamolo, non solo si espletavano riti
sacri ma si sancivano e rinnovavano accordi commerciali e
alleanze politiche tra le città etrusche.
I Fanum non erano semplici templi ma luoghi comprendenti più edifici e luoghi sacri e furono costruiti presso luoghi situati fuori dai centri abitati e solitamente presso monti,
laghi e sorgenti caratterizzati da un notevole valore naturale
e paesaggistico. Questi siti erano quindi meta di pellegrinaggio, anche da località lontane, e il viaggio stesso rappresentava una parte integrante del rito religioso.
Spesso lungo le principali vie di collegamento a questi luoghi si trovavano siti sacri da visitare come tappe di avvicina14