Lo spettro di Pirandello tra le scene di “Il fu Mattia Pascal” “Poco

Marzo 2013
Anno 0 Numero 2
SHANTI
TeatrocultFOGLIO Campania
www.teatrocult.it
Ambiguità e sortilegio al
San Ferdinando con Ruccello
Lo spettro di Pirandello tra le scene di “Il fu Mattia Pascal”
Tato Russo di nuovo protagonista al Bellini di Napoli
E vince la passione di Arturo Cirillo regista
Dal 15 al 17 marzo il grande ritorno di Tato
Russo al teatro Bellini di Napoli con Il fu
Mattia Pascal. Riportato a una dimensione
teatrale, il racconto di Pirandello viene
riscritto in commedia mantenendo lo stesso
linguaggio del drammaturgo agrigentino.
“Ho ridotto per la scena molti romanzi –
afferma Tato Russo - più d’ogni altro il
Mattia Pascal mi ha imposto un ritmo
forsennato di rifacimenti e rielaborazioni. Un
Pirandello troppo giovane, che in sé covava il
germe di tutto quello che sarebbe stato, non
era facile da ridurre a un tutt’uno omogeneo.
Se la regia è e deve essere un progetto
organizzato di parole pensieri e opere, di
uomini e tecniche di comunicazione, mi è
parso questa volta che uno spirito guida
aleggiasse sulle scene: i fantasmi del
romanzo si sono incontrati con i fantasmi del
teatro e gli attori hanno incominciato a
viaggiare tra personaggi e maschere”.
Due ore di teatro, senza pause e cali
di tensione, pubblico concentrato su
ognuna
delle
maschere
del
Ferdinando di Ruccello che Arturo
Cirillo, qui anche nella parte di don
Catello, fa muovere sul palco
mostrando il passare del tempo con
astuzie di regia. La storia dei
personaggi
evoca
fascino
evidenziando anche il valore
politico-sociale dell’opera. Una
incredibile Sabrina Scuccimarra
interpreta la parte che l’autore scrisse
per Isa Danieli, Donna Clotilde,
Ferdinando con Nino
perno della vicenda, rappresentativa
Bruno, Arturo Cirillo,
nella sconfitta legata all’onore della
famiglia ormai mira del giogo di
Monica Piseddu, Sabrina
Ferdinando (Nino Bruno). “Il testo –
Scuccimarra
confessa Cirillo - mi è sempre
apparso molto diverso da tutti gli
altri di Annibale: più realistico, storico, dramma con una struttura
classica dove il rapporto col religioso è pieno di contraddizioni,
rappresentato con cruda violenza, ma sempre con quell'amore struggente
che mi pare abbia Annibale verso le ossessioni della sua vita”.
ALL’INTERNO L’INTERVISTA
DI ANITA CURCI
Una scena di Il fu Mattia Pascal con al centro Tato Russo
ALL’INTERNO L’INTERVISTA DI MAURIZIO VITIELLO
Gaia Aprea
si scopre Antigone
nella riscrittura
della Parrella
Binasco ritorna a Shakespeare
“In Romeo e Giulietta sfuggo al già
visto con il provincialismo italiano”
Antigone da un mondo
dei vivi a quello dei
morti, quello di suo fratello e della orrenda
“sepoltura” in vita delle carceri. Antigone e
Creonte si fronteggiano senza mai perder
terreno l’uno verso l’altro. Steiner si
chiedeva perché l'Antigone fosse l'opera
classica più riscritta di tutti i tempi, ecco:
darsi una risposta. Un discorso sulla vita, sul
coraggio, sull'autodeterminazione, su cosa
significhi essere partecipi del Diritto, oggi.
(Valeria Parrella). Con la partecipazione di
Antonio Casagrande, regia Luca De Fusco.
Dal 14 al 17 marzo al Verdi di Salerno.
MERCADANTE
Senza finanziamenti
I soldi bastano fino ad aprile. “A maggio non
potremo pagare gli stipendi”, dichiara il
direttore De Fusco. “Se entro quella data
Comune e Provincia non verseranno almeno
due annualità, saremo costretti a rivedere
attività e programmi”, si legge nel
comunicato emesso al termine dell’ultimo
Cda. Questa la situazione del teatro stabile di
Napoli, con i suoi tre palcoscenici del
Mercadante, del Ridotto e del San
Ferdinando. Tra i tre soci fondatori, che per
legge sono Regione, Provincia e Comune,
l'unico che continua a pagare è la Regione
anche se per ora i finanziamenti – circa un
milione e 200 mila euro - sono bloccati dal
patto di stabilità. La Provincia deve un
Valerio Binasco (nella
foto), tra i più apprezzati
registi
teatrali
U
contemporanei,
ritorna a
Shakespeare
con Romeo e
n
Giulietta.
“È
quasi tutto
a
troppo con Shakespeare –
dichiara il regista –
s
Romeo e Giulietta ha
persino cun troppo in più.
Impossibile sfuggire al già evisto. Del testo mi
attraggono i personaggin secondari, il
provincialismo italiano, diacui Shakespeare
sapeva nulla o poco, ma che a guardare i
poveri giovinastri Capuleti de Montecchi che
i
I
IN CRISI
l
si rischia la chiusura
f
u
milione e 400 mila euro, il Comune oltre 4
milioni."Finora – ironizza il presidente del
M avanti grazie
Cda Giannola – siamo andati
a
alla nostra creatività finanziaria.
Ma non
possiamo durare a lungo”.t Il Comune, per
giunta, ha anche diminuitot lo stanziamento
di quest’anno da 700 milai a 200 mila euro.
L’assessore comunale alla Cultura Antonella
a
Di Nocera, però, rassicura: “Daremo nel
2013 i 500 mila euro non dati per il ’12, ma
P sulla mission
vogliamo una riflessione seria
a
del teatro pubblico. Comunque,
tra breve
daremo i 200 mila euro dell’anno
scorso e si
s
sbloccherà anche il contributo
c del 2008, circa
un milione di euro”.
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di Teofilo Matteis
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Le sorelle Rondinella
al Trianon con
Amour Amer
Arnolfo Petri
consacra la sua
Camurrìa
in un libro
ALL’INTERNO
LA RECENSIONE DI
SERGIO SAGGESE
Il prossimo 8 marzo,
in
concomitanza con la Giornata della
Donna ci sarà l’opportunità di
ammirare l’arte di Amelia e
Francesca Rondinella che, in
nuova
sinergia
artistica,
si
esibiscono insieme al cantautore
napoletano Alan Wurzburger nel
concerto “Amour Amer”.
ALL’INTERNO L’ARTICOLO DI
GIOVANNA CASTELLANO
si aggirano per Verona nel ‘niente da fare’
delle province del nord, da lui così
mirabilmente tratteggiati, come non pensarli
antesignani illustri dei poveri baldi padani
odierni? Insomma la cosa che più mi attira è
la crudeltà che nasce dall’imbecillità umana.
A parte i due protagonisti, in qualche modo
‘salvati’ dall’innamoramento, e convertiti al
pacifismo, tutti gli altri si muovono
minacciosi e vittoriosi verso il domani
dell’umanità. Che è il nostro oggi.” Con
Francesco Montanari, Deniz Ozdogan,
Antonio Zavatteri, Filippo Dini, Fabrizio
Contri, Andrea Di Casa, Simone Luglio,
Fulvio Pepe, Giampiero Rappa, Marcela
Serli, Roberto Turchetta e con Milvia
Marigliano. Dal 13 al 24 marzo al
Mercadante di Napoli.
Socìetas Raffaello Sanzio con
“Poco lontano da qui”
Ispirato ai Quaderni Russi di Igort, Poco
lontano da qui porta in scena Chiara Guidi e
Ermanna Montanari che si incontrano nel
luogo sonoro creato e composto da Giuseppe
Ielasi. Alla Galleria Toledo di Napoli dal 15
al 17 marzo.
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Continuano i successi di
Massimo Ranieri
all’Augusteo con
Sogno o son desto
Continua a mietere successi Massimo Ranieri
che sarà all’Augusteo di Napoli dal 2 al 10
marzo. Confermatosi come uno degli artisti
italiani più amati, è ora in tour con il nuovo
spettacolo “Sogno o son desto – Chi nun tene
coraggio nun se cocca ch’ ‘e femmene belle”
titolo volutamente provocatorio: protagonista
non è il coraggio dei vincitori e degli eroi, ma
l’eroismo degli ultimi sognatori, come gli
uomini e le donne cantati dalla musica di
Giorgio Gaber e di Pino Daniele; oppure dal
teatro di Raffaele Viviani e Nino Taranto.
Canzoni e monologhi intrecciano un racconto
che tocca le corde della solidarietà,
dell’umorismo, della pietà e dell’ironia. In
questo viaggio-recital, l’artista attraversa il
repertorio della grande canzone napoletana e
interpreta anche brani dei più celebri
cantautori italiani e internazionali: da Fabrizio
De Andrè a Luigi Tenco, da Charles Aznavour
a Violeta Parra.
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Arturo Cirillo e il gioco delle passioni nel Ferdinando di Ruccello
“Ho reinserito battute che 25 anni fa erano considerate troppo audaci”
Intervista con Arturo Cirillo
di Maurizio Vitiello
Dal 20 al 24 marzo al San
Ferdinando di Napoli in scena la
sua rivisitazione al Ferdinando.
Su che profilo si attesta e quali
difficoltà
pensa
di
avere
superato?
Non so se sia corretto parlare di
rivisitazione, siamo semplicemente
tornati sul testo e abbiamo fatto
delle scelte diverse riguardo ai
tagli e alle battute da evidenziare
rispetto all'edizione firmata nel
1986 dallo stesso Ruccello, e molte
volte ripresa da Isa Danieli.
Abbiamo reinserito battute che
forse
venticinque
anni
fa
rischiavano di essere troppo
audaci, battute che rendono più
esplicito il piano dell'attrazione
fisica tra i personaggi, come anche
certe loro perversioni. Inoltre da
subito ho voluto ridare al testo la
sua struttura da "quartetto", in cui
il gioco, anche simmetrico, tra i
personaggi risultasse il più
possibile equilibrato.
Vari attori, inizialmente da
Pierluigi Cuomo a Francesco
Paoloantoni, si sono cimentati in
Ferdinando.
Registicamente
quale abilità bisogna considerare
in questo ruolo e negli altri?
Ferdinando è a mio parere un
personaggio
difficile
poiché
estremamente letterario, nasce da
un’idea tutta mentale. Sia il Tadzio
di Morte a Venezia di Visconti,
che il giovane di Teorema di
Pasolini, due modelli a cui credo si
sia ispirato Ruccello, sono delle
forme idealizzate di bellezza ed
erotismo, portatori di morte e
perdizione. Io ho voluto ridare a
Ferdinando una sua natura di
ragazzo, magari anche normale,
comune, su cui la fantasia e il
desiderio degli adulti, che gli sono
attorno, proiettano le proprie
visioni, facendolo diventare ciò
che vogliono. Mi pare che
Annibale ci dica, in tutto il suo
teatro, che l'altro è sempre
inconoscibile, diviene sempre ciò
che noi vogliamo e desideriamo.
Portando questo pensiero al suo
paradosso. Ferdinando potrebbe
anche non esistere, e in fondo è
questo che alla fine si scoprirà, con
l'agnizione che conclude la
vicenda. Un ragazzo col nome di
Con Lino Barbieri L’Italia s’è pesta
Intervista di Pino Cotarelli
Lo show
Ferdinando
in
quell'unico
ambiente, dove è narrata la
vicenda, non è mai entrato,
Ferdinando è un altro, quello che
noi mettiamo in scena è un
inganno. Come il Franco delle
Cinque rose di Jennifer, egli è
fondamentale che ci sia per
permettere il sogno, il sortilegio, di
cui gli altri tessono la trama. Ma
potrei citare anche il Morris
Townsend di L'ereditiera, per
rimanere nell'ambito del testo di
Annibale. Poi mi sembrava che
una parte molto grande della storia
fosse il rapporto di odio e amore
tra i due personaggi femminili,
complementari, specchio o riflesso
l'una dell'altra. Come anche
l'assoluta incapacità d'amare senza
distruggersi, da parte di tre figurelarve ormai condannate alla loro
coatta auto-rappresentazione di sé
e del proprio artificiale mondo: la
baronessa, la "bizzoca" e il prete,
come tre maschere de Il balcone di
Genet.
Annibale Ruccello riuscì ad
assestare a un orizzonte teatrale
napoletano
di
marca
“eduardiana” una profonda
ferita linguistica. Quali le
differenze tra Raffaele Viviani,
Eduardo De Filippo e Ruccello?
in Ruccello, che ormai l'autentico
non esista più, che viviamo in un
mondo
di
travestimento
e
mistificazione, di inganni e
autoinganni. Non vi è più una
realtà da imitare, perché la realtà
stessa ha perduto la sua autenticità,
siamo nel finto, talmente finto che
per paradosso il teatro risulta più
vero, poiché dichiara apertamente
la sua menzogna. In Ruccello tutto
mi appare travestimento, ma non
perché siamo in teatro ma perché il
nostro tempo contemporaneo lo è.
Sia Viviani che Eduardo direi che
credevano ancora alla società,
come qualcosa con cui l'individuo
doveva relazionarsi o esserne
escluso, società molto diverse
ovviamente tra i due autori.
Quando Annibale dice che della
vita gli piace il brutto, lo
"scassato", credo che intenda
parlare di questa frattura che è non
solo linguistica, attraverso certo un
napoletano (ma spesso dovremmo
dire un castellammarese) spurio e
sempre contaminato da mode
linguistiche
nazional-televisive,
ma soprattutto fratture esistenziali.
Personaggi sradicati dal proprio
mondo e privi di uno nuovo verso
cui andare, persi nei molti "non
luoghi" di oggi.
Mi pare che la grossa differenza
sia nella dolorosa consapevolezza,
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Il libro
Il concerto
di Sergio Saggese
Quello strano trio per Amour Amer
L’iconografia di un edificio di oltre 150 anni di vita a forma
di stivale che rappresenta il condominio Italia. Lino Barbieri
racconterà in un paio d’ore di “one man show” le
vicissitudini di 60 milioni di condomini attraverso
monologhi, trasformazioni, caratterizzazioni e canzoni. Al
Delle Palme con L’Italia s’è pesta il 2 e il 3 marzo 2013.
Come è arrivata la vocazione di comico?
Credo dopo aver sbattuto la testa da bambino, almeno così
racconta mia madre... scherzi a parte, è stata una forza
superiore alla mia volontà.
Fare parte del cast di “Il Bagaglino” con Pippo Franco e
Oreste Lionello, quanto ti ha arricchito?
Assolutamente sì. Il maestro Lionello, bastava guardarlo ed
era subito lezione di recitazione.
Oreste Lionello ti ha mai dato qualche suggerimento?
Per i tempi comici mi diceva soprattutto di non gridare
perché la platea si poteva spaventare.
Hai lavorato molto in Rai e per Mediaset. Preferisci i
tempi televisivi o quelli del teatro?
Senza dubbio quelli del teatro.
Qual è la differenza per un comico?
In teatro ti esibisci senza rete di
protezione e il pubblico va conquistato
immediatamente senza trucco e senza
inganno.
Ricorri
spesso a imitazioni di
personaggi come Maradona, Sgarbi,
etc. perché?
Ricorro a imitazioni di personaggi attuali.
Maradona lo imito soltanto per qualche
spettatore malinconico.
Il pubblico cosa preferisce?
Che si parli di attualità, di cose che appartengono alla
nostra vita quotidiana.
Fai satira e non trascuri quella politica, può funzionare
anche come messaggi, orientamento sublimale?
Assolutamente sì, un comico attraverso i suoi monologhi può
non solo far divertire ma anche riflettere.
Della comicità cosa arriva allo spettatore?
Una fotografia irriverente della realtà.
Ultimo tuo spettacolo L’italia s’è pesta, allusioni alle tante
tensioni per tenerla unita?
No, inviterò gli spettatori a ristrutturare o ad abbattere
questa Italia, rappresentata nel mio spettacolo come un
grande edificio malridotto a forma di stivale.
Un punto di arrivo delle tue esperienze artistiche?
Siamo sempre in partenza, lo diceva il grande Eduardo: “Gli
esami non finiscono mai.”
Al popolo napoletano da sempre gli si riconosce capacità
artistiche innate, ma sa essere anche comico?
Spesso involontariamente sì, c’è una teatralità nel DNA.
Il titolo di un romanzo, se azzeccato, assume il ruolo di una
guida che attende sulla soglia di un viaggio letterario. Una
volta appreso che Camurrìa non significava camorra, bensì
disagio, ho compreso d’aver trovato la mia. Nel dizionario
siciliano-italiano la parola Camurrìa è stretta tra le parole
Camùrra e Camurrìsta, e ho pensato ai tanti dissidenti
incompresi fatti passare per disadattati. Condizione simile a
quella dei due protagonisti del libro di Petri, Totore e
Marcello
–
imprigionati
nella cella del
carcere
di
Secondigliano –
incolpati di reati
che persino la
mala
società
carceraria taccia
d’infamia.
Salvatore
De
Crescenzo, detto
Totore,
è
accusato d’aver
ammazzato un
prete,
mentre
Marcello
di
adescamento
minorile.
Ciò
che li tiene
reclusi non è
soltanto il cemento delle mura, ma un amalgama di finzione e
realtà solidificatosi nella morsa della loro esistenza. Totore e
Marcello sono due maschere pirandelliane per le quali il
problema è più quello della verità che della realtà. Soffrono e
farneticano perché manca in loro un assetto alla vita. Due
grandi mentitori, che per superare il conflitto tra l’apparenza
e il reale si sono chiusi ancor prima di essere internati in
carcere. Si può leggere in essi la tragedia dell’emarginazione
umana in un alternarsi conscio di finzioni. Parallelo al tema
dell’identità, in questo bel romanzo, quello infatti del
contrasto tra essere e apparire. Ma Camurrìa è anche la storia
di un’amicizia salvifica, dalla quale giunge come
insegnamento il fatto che così come, nonostante la costrizione
della cella, possa riuscire a nascere tra i due detenuti il
dialogo, c’è speranza che possa nascere tra camùrre e
camurrìsti il seme di un ravvedimento. Uomini soli, Totore e
Marcello. Ma il muro della loro solitudine cadrà quando
finalmente si apriranno l’uno all’altro e comprenderanno che
ogni esistenza al mondo può essere il motivo di un’altra
esistenza. Ad abbatterlo quel muro riuscirà la tenerezza. Lo
farà al punto tale che carezzando il compagno di cella sarà,
alla fine, sia per Totore che per Marcello, come carezzare il
proprio dolore. Homo Scrivens Edizioni.
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Camurrìa
Petri dalle scene
al romanzo
di Giovanna Castellano
Al Teatro Trianon, il prossimo 8 marzo, in concomitanza con
la Giornata della Donna ci sarà l’opportunità di ammirare il
fascino, l’eleganza e l’arte di Amelia e Francesca Rondinella
che, in nuova sinergia artistica, si esibiscono insieme al
cantautore napoletano Alan Wurzburger nel concerto “Amour
Amer”,
titolo
tratto
dall’omonimo
album di
Wurzburger e dalla canzone
che da alcuni anni le due
artiste hanno inserito con
successo nel loro repertorio.
Una formazione di solisti
d’eccezione - Arcangelo
Caso al violoncello, Giosi
Cincotti piano e fisarmonica,
Giacomo
Pedicini
al
contrabbasso - accompagna
l’ensemble
in
questa
esplorazione della canzone
d’amore nelle sue diverse
forme: amore appassionato,
amore per la terra, amore disperato, amore in pienezza,
amour amer...un viaggio tra sonorità gitane, folk, di
tradizione rivisitata anche oltre i confini partenopei. In una
suggestiva ubriacatura di luci e colori, Le Rondinella portano
sul palco un mix di talento e tecnica che fanno della loro
formazione una delle più apprezzabili del panorama
contemporaneo. Lo spettacolo, magica immersione in suoni
lontani e vicini, coinvolgenti e penetranti, ha già raccolto un
meritatissimo successo l’estate scorsa durante la
manifestazione “Unopiùuno5festival” organizzata da
Gianfranco Gallo e nel mese di gennaio a Posillipo, dove la
sala del teatro Orazio fu colma al punto di organizzare posti
aggiunti. Evento da non perdere.
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In chiave moderna Il fu Mattia Pascal con Tato Russo
“Se vivo, Pirandello l’avrebbe portato in scena così”
Intervista
di Anita Curci
Tato Russo, talento multiforme della scena, torna a Napoli,
nel “suo” Bellini, di cui è stato direttore artistico per 21
anni, dal 15 al 17 marzo con Il fu Mattia Pascal.
Perché ha scelto il Pirandello della prosa, pur con tanto
suo teatro? E perché Il Mattia Pascal?
Mi diverto a far mie le opere degli altri, e questa in
particolare, non scritta per il palcoscenico, sentivo che
andava restituita a Pirandello in forma teatrale. A causa di
un problema di diritti d’autore ho dovuto riprendere qualche
anno fa la rielaborazione del testo fatta da giovane.
Venendo fuori dal mio vissuto, tradotto in un lavoro di
memoria ed esperienza, la ritengo un’operazione ben
riuscita. Diventerà un caposaldo della produzione
pirandelliana.
“Tornare a
Napoli mi fa
soffrire
perché
la trovo
ogni volta
peggiorata”
Come ha trasformato per il teatro un testo così
complesso? Cosa vedranno gli spettatori?
Utilizzo tutti gli strumenti disponibili della messa in scena,
dalle luci all’amplificazione, alla danza. Lo spettatore vedrà
lo sviluppo moderno di un’opera che lo stesso Pirandello
oggi avrebbe allestito così. Perciò tutto appare naturale,
senza elementi posticci. Come se l’autore, attraverso me,
avesse organizzato personaggi e strutture per esprimere in
chiave corrente la sua tematica. Resto dell’opinione che
bisogna tradurre tanto dal passato. Infatti questa non è
l’unica mia trasposizione teatrale. Ho ridotto per il teatro
anche altre opere, ad esempio di Wilde, Dostoevskij…
Sarà una trasposizione fedele del romanzo?
Rispetto la sua ideologia, ma prendo in considerazione i
nuovi meccanismi del teatro. Se fosse vivo, l’autore farebbe
le stesse mie scelte. Oggi, ad esempio, si abbozza una scena
senza che ci sia veramente, mediante le luci si descrivono
ambienti che in sostanza non esistono. Rimango fedele al
romanzo pur discostandomene.
L'inquietudine e l'ossessione di Mattia in che modo
diventano attuali?
Chi non ha mai pensato di cambiare la propria esistenza
restando alla fine se stesso? Non si può essere diversi da ciò
che il destino ci impone nonostante inquietudini, ossessioni
in agguato e quella sorta di rammarico che ci rende tutti
simili. Mattia Pascal pensa e prova emozioni che oggi
provano tutti, e questo lo rende un uomo moderno.
Ritorna al Bellini, il suo teatro, con quale stato d'animo?
Tornare al Bellini è tornare a Napoli con sofferenza perché la
trovo ogni volta peggiorata. Ha perduto la sua storia e la
bellezza. In questa città puttana avanza solo il degrado. Si
vorrebbe vederla migliorata e invece non accade niente che
le faccia cambiare rotta.
Perché ha deciso di lasciare Napoli?
Perché le ho dato tutto senza ottenere nulla. Se avessi offerto
la mia arte ad un’altra città avrei ricevuto più rispetto.
Questo è un posto assurdo dove si vive di negazione, dove la
demagogia del conformismo intellettuale distrugge ogni
cosa. Le radici napoletane hanno sempre rappresentato un
gran potenziale, in ogni campo, ma se si spendono a Napoli è
tempo perso. Per riabilitarsi? Bisogna riprendere in mano il
passato e riconquistare la propria identità.
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Le rubriche di Teatrocult
IL TEATRO CI GUARDA
Città di mare con teatro
Ponendo come titolo al suo libro (pubblicato
nel 1953) Il mare non bagna Napoli, Anna
Maria Ortese (nella foto) sembra volerci
trascinare in un capovolgimento di senso
spiazzante, quasi una contraddizione in
termini. Quella che ci presenta in questo
testo, infatti, è una città “asciutta”,
essenziale. Prosciugata, cioè, da ogni
fronzolo,
elemento
decorativo
o
abbellimento di sorta. Una città “nuda”,
spogliata dei suoi orpelli, delle sue
sovrastrutture, di ogni elemento conciliante
o consolatorio. Che preferisce immaginarsi
piuttosto che vedere sé stessa, e la realtà
nella quale è immersa, per quella che è. Una
realtà che potrebbe causarle traumi o impulsi
di rigetto, come succede alla piccola
Erminia, la protagonista di Un paio di
occhiali, il racconto che apre il libro. Una
città “secca”, allampanata, come Anastasia
Finizio, di Interno familiare, il secondo
racconto. La quale dà corpo, con la sua
accennata goffaggine, ad una commossa
rassegnazione.
Conseguenza
diretta
dell'inaridirsi,inesorabile, di ogni speranza.
Una città dove la storia si è
stratificata
in
maniera
disordinata, come il popolo
che la vive e dove si “recita”
non per dare sfogo ad un
fantasioso estro esistenziale,
ma per una triste e consunta,
quasi meccanica, abitudine di
sopravvivenza. Come fa la
donna al Banco dei Pegni di
Oro a Forcella. Una Città
involontaria (il titolo del
quarto racconto) e sofferente,
come quella che vive quasi
accampata nel casermone ai
Granili, un piccolo girone
infernale dove qualcuno,
però, cerca ancora come può, e con i miseri
mezzi a disposizione, di salvare almeno la
sua dignità. Una città che rimane “ignota a
sé stessa” e che dunque la “ragione”
difficilmente riesce ad abitare. Nella seconda
parte del libro, infatti (Il silenzio della
ragione, appunto) Anna Maria Ortese riflette
il suo “spaesamento” (come l’ha definito
alcuni anni dopo) in quello
della città intera. E, in
particolare, in quello dei
suoi intellettuali e scrittori.
Annichiliti e sopraffatti da
un senso di impotenza nei
confronti di una realtà
(quella cittadina) che non
sanno e non possono
controllare.
E
forse
neanche,
solamente,
conoscere. Ma la città
conosce veramente sé stessa
o vive solo degli infiniti
riflessi
della
sua
rappresentazione? In un suo
recente saggio (Napoli in
scena – Antropologia della città del teatro,
Donzelli Editore) Stefano De Matteis
afferma che i napoletani hanno smesso di
recitare. Ovvero, sono andate perdute quasi
del tutto, negli ultimi decenni, quelle tipiche
forme di teatralizzazione della vita sociale in
cui i napoletani riconoscevano se stessi. E’
una perdita di riferimento che rischia di
annientare l’identità specifica di un intero
popolo. Aprendo, quindi, quella voragine
che Anna Maria Ortese aveva già intravisto
e descritto nel suo libro, del 1953. Se la
città, a questo punto, perde il suo specchio, il
suo punto di riferimento, che possiamo
individuare (teatralmente, appunto) anche
nella realtà quotidiana, come oscillante tra
due autori simbolo quali Viviani ed
Eduardo, cosa rimarrà del suo carattere e
della sua storia? Qui la vita e il teatro, da
sempre, si sono scambiate le parti
reciprocamente in una continua confusione
di ruoli. Hanno danzato abbracciati in una
sorta di vorticoso girotondo fino a restarne
entrambi disorientati e storditi. Si sono
guardati negli occhi riflettendosi l'uno
nell'altra.
Come
per
farsi
forza
reciprocamente. Per darsi coraggio. Per
trovare un conforto e una conferma. In una
parola, per illudersi di esistere.
Antonio Tedesco
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POCO LONTANO DA QUI
L’indignazione al contrasto
attraverso silenzi e gesti
ELICANTROPO
ASPETTANDO MEDEA
Socìetas Raffaello Sanzio e Teatro delle
Albe con Poco lontano da qui ispirato ai
Quaderni Russi di Igort. In scena Chiara
Guidi dialoga con la voce originale e
intensa di Ermanna Montanari e si
incontrano nel luogo sonoro creato e
composto da Giuseppe Ielasi, forse
l'artista italiano più conosciuto al mondo
nel
campo
delle
composizioni
elettroniche. Il palco è il luogo in cui
Chiara ed Ermanna mettono alla prova
modalità di lavoro che i percorsi della
Socìetas e delle Albe hanno elaborato nel
corso degli anni. Attraverso la guida di
Karl Kraus, la potenza vocale delle due
artiste ha incontrato le lettere di Rosa
Luxemburg che si è posta come specchio
oggettivo e autorevole nel loro confronto.
Il lavoro è stato composto lentamente,
provando vari mesi in cerca di strade e
dei testi più disparati (da Igort alla guerra
di Cecenia, da Cechov e da Mejerchol’d
alla Politkovskaja), con l’obiettivo
comune di portare in scena un sentimento
di cui i nostri tempi sono sprovvisti: la
compassione. Il testo scelto è breve ma di
forte incisività. Si tratta di una lettera che
Rosa Luxemburg scrisse dal carcere a
un’amica a cui racconta lo smarrimento
per le percosse inflitte da un guardiano a
un bufalo che sembrava piangere come
un bambino, ferito come il mondo stesso
dalla cecità della violenza. Nello
spettacolo quel testo è seguito da un’altra
lettera indirizzata a Karl Kraus e di
opposta
sensibilità.
Una
signora
benestante protesta con il giornalista per
avere dato spazio e voce alla Luxemburg,
che meglio avrebbe fatto a diventare
guardiana di giardino zoologico o
impiegata in un vivaio piuttosto che
mettersi nei guai. Attraverso i silenzi, i
gesti e i testi delle due lettere, le attrici
lasciano dire la loro indignazione al
contrasto tra una sensibilità capace di
sentire la sofferenza del mondo e una
voce pronta a giudicare e a condannare
chi si pone fuori dalla “normale” vita
borghese. Alla Galleria Toledo dal 15 al
17 marzo.
La leggenda di Medea che abbandonata da
Giasone per una nuova sposa si vendica
procurando la morte alla fanciulla, al padre di
lei, e ai propri figli. Nella versione teatrale di
arcAdia teatro, la tragedia viene trattata come
spunto riflessivo. Due donne interagiscono
con il testo. Esse si troveranno più volte
a confondersi con Medea, a rappresentare le
due facce della sua stessa mente conflittuale.
L’abbandono, l’indifferenza, la vendetta, la
ferocia,
la forza e
la fragilità del
personaggio sono sentimenti dai quali
Ermanna Montanari
restano rapite e condizionate durante le
prove. La regia esalta il confine tra ironia e
dramma costruendo una dimensione surreale
dentro la quale il pubblico si rispecchia
divertendosi. Di e con Franca Abategiovanni,
Antonella Ippolito regia di Nadia Baldi,
musiche di Renato Salvetti.
Dal 21 al 31 marzo.
“Uomo. Animale. Materia.
Sostanza di cui sono fatto
incrostata d’animale e di
stelle.”
Merleau-Ponty
Bestiale Copernicana
Identità e geografie a venire al Civico14 di Caserta
Bestiale Copernicana è il secondo movimento del progetto avVento. Identità e
geografie a venire. Debutterà dopo un nuovo periodo di ricerca a Napoli, e
metterà in dialogo TeatrInGestAzione e due ospiti internazionali. “Uomo.
Animale. Materia. Sostanza di cui sono fatto incrostata d’animale e di stelle.
Materia che segna la traccia, che misura il passo, che segna il confine del
corpo. Corpo animale capace di riconoscersi corpo sociale. Riconoscendoci
atomi tra gli atomi, ci mettiamo in viaggio alla ricerca di un modo di guardare
capace di non separare. Consapevoli che il punto non è l’arrivo, ma il viaggio
stesso della materia che si fa corpo tra i corpi. Il mondo è fatto della medesima
stoffa di questo mio corpo. Non è dunque un viaggio di conquista il nostro, ma
di consapevolezza. (Merleau-Ponty). 16 - 17 marzo
Torna a Napoli Svetlana Zakharova
Accolto con favore sin dalla prima rappresentazione nel
1869 al Bol'šoj, il “Don Quijote”, tratto dall'omonimo
romanzo del Cervantes, è ormai considerato un classico del
balletto grazie alle versioni allestite da grandi coreografi e
ballerini come Nureyev, Balanchine e Baryshnikov. La
versione più celebre ed acclamata è sicuramente quella di
Marius Petipa nella rivisitazione di Alexandr Gorsky, che è
proposta al San Carlo nel nuovo adattamento di Alexei
Fadeyechev. Il “Don Quijote” durò in Russia ben oltre la
Rivoluzione del 1917, mentre molti altri balletti non
vennero più rappresentati nel periodo sovietico. Torna a
Napoli Svetlana Zakharova, prima ballerina alla Scala di
Milano e al Bol’šoj di Mosca, l'étoile è una delle più
quotate interpreti a livello internazionale. Alla perfezione
tecnica, unisce un sorprendente intreccio di eleganza,
delicatezza dei movimenti e intensa partecipazione
emotiva, caratteristiche che la rendono tra le danzatrici più
contese dai maggiori teatri mondiali. Dal 22 al 27 marzo.
Leggimi
Pensa bene, parla bene, agisci bene.
ANTICHITA’ CURCI
Tradizione di famiglia dal 1930
Antiquariato e Restauro
Dall’esperienza dei vecchi artigiani
Via Michelangelo Schipa, 21 Napoli
Tel. 3358219173 - 3333350336
NON E’ FRANCESCA, DA RIMINI
La finestra sul cortile
In una stanza a spiare il mondo da un pc
La finestra sul cortile, dall'omonimo racconto di
Cornell Woolrich, affida al rapporto tra il corpo
menomato del protagonista e le virtualità proiettive
del suo PC la dinamica evolutiva del giallo. Sguardi
rubati, occhi nascosti, scandiscono i tempi
drammaturgici ed esaltano il carattere reclusorio
della vita del protagonista che, sospesa tra
l'immaginazione e l'ossessione, cerca una prova
documentale. Un uomo è rinchiuso in una stanza
tecnologicamente attrezzata della propria abitazione,
rigorosamente senza finestre. Una reclusione più
cercata che indotta da qualche impedimento fisico.
Ha come strumento di relazione col mondo esterno
solo un computer sul quale riesce a collegarsi con
numerose WebCam
e sul quale osserva
anche i movimenti
delle persone che
abitano lo stabile di
fronte. Lo schermo
del suo Pc si apre
grande finestra sul
cortile del mondo e
lui spia, nella vita degli altri rubandone sentimenti,
piccole grandi intimità. Il voyerismo lo sorprende e
appassiona, ma i suoi sguardi restano sospesi tra
immaginazione ed ossessione. La sua solitudine
tenta una pacificazione ed una soluzione nella
tessitura di una rete fatta di rapporti virtuali.
Cercando una realtà possibile pensa di scoprire un
omicidio. La ricerca della relativa prova
documentale diventa un'occasione di vita effettiva.
Con Claudio di Palma e Elena Cepollaro. Al teatro
Nuovo di Napoli dal 12 al 17 marzo.
D.T.M.
Al San Carlo con Don Quijote
s.n.c
Dalla straordinaria penna comica di Antonio Petito nasce nel 1866
questa farsa con il solo, unico scopo di far ridere. Sicuramente
l’intuizione è geniale: l’abbattimento della quarta parete, il teatro nel
teatro e non ultima la scena che si svolge tra la platea ed il palco. Di
Antonio Petito con Mario Aterrano, Oscarino Di Maio progetto e
regia Oscarino Di Maio. Al teatro Il Primo dal 14 al 24 marzo.
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