Marzo 2013 Anno 0 Numero 2 SHANTI TeatrocultFOGLIO Campania www.teatrocult.it Ambiguità e sortilegio al San Ferdinando con Ruccello Lo spettro di Pirandello tra le scene di “Il fu Mattia Pascal” Tato Russo di nuovo protagonista al Bellini di Napoli E vince la passione di Arturo Cirillo regista Dal 15 al 17 marzo il grande ritorno di Tato Russo al teatro Bellini di Napoli con Il fu Mattia Pascal. Riportato a una dimensione teatrale, il racconto di Pirandello viene riscritto in commedia mantenendo lo stesso linguaggio del drammaturgo agrigentino. “Ho ridotto per la scena molti romanzi – afferma Tato Russo - più d’ogni altro il Mattia Pascal mi ha imposto un ritmo forsennato di rifacimenti e rielaborazioni. Un Pirandello troppo giovane, che in sé covava il germe di tutto quello che sarebbe stato, non era facile da ridurre a un tutt’uno omogeneo. Se la regia è e deve essere un progetto organizzato di parole pensieri e opere, di uomini e tecniche di comunicazione, mi è parso questa volta che uno spirito guida aleggiasse sulle scene: i fantasmi del romanzo si sono incontrati con i fantasmi del teatro e gli attori hanno incominciato a viaggiare tra personaggi e maschere”. Due ore di teatro, senza pause e cali di tensione, pubblico concentrato su ognuna delle maschere del Ferdinando di Ruccello che Arturo Cirillo, qui anche nella parte di don Catello, fa muovere sul palco mostrando il passare del tempo con astuzie di regia. La storia dei personaggi evoca fascino evidenziando anche il valore politico-sociale dell’opera. Una incredibile Sabrina Scuccimarra interpreta la parte che l’autore scrisse per Isa Danieli, Donna Clotilde, Ferdinando con Nino perno della vicenda, rappresentativa Bruno, Arturo Cirillo, nella sconfitta legata all’onore della famiglia ormai mira del giogo di Monica Piseddu, Sabrina Ferdinando (Nino Bruno). “Il testo – Scuccimarra confessa Cirillo - mi è sempre apparso molto diverso da tutti gli altri di Annibale: più realistico, storico, dramma con una struttura classica dove il rapporto col religioso è pieno di contraddizioni, rappresentato con cruda violenza, ma sempre con quell'amore struggente che mi pare abbia Annibale verso le ossessioni della sua vita”. ALL’INTERNO L’INTERVISTA DI ANITA CURCI Una scena di Il fu Mattia Pascal con al centro Tato Russo ALL’INTERNO L’INTERVISTA DI MAURIZIO VITIELLO Gaia Aprea si scopre Antigone nella riscrittura della Parrella Binasco ritorna a Shakespeare “In Romeo e Giulietta sfuggo al già visto con il provincialismo italiano” Antigone da un mondo dei vivi a quello dei morti, quello di suo fratello e della orrenda “sepoltura” in vita delle carceri. Antigone e Creonte si fronteggiano senza mai perder terreno l’uno verso l’altro. Steiner si chiedeva perché l'Antigone fosse l'opera classica più riscritta di tutti i tempi, ecco: darsi una risposta. Un discorso sulla vita, sul coraggio, sull'autodeterminazione, su cosa significhi essere partecipi del Diritto, oggi. (Valeria Parrella). Con la partecipazione di Antonio Casagrande, regia Luca De Fusco. Dal 14 al 17 marzo al Verdi di Salerno. MERCADANTE Senza finanziamenti I soldi bastano fino ad aprile. “A maggio non potremo pagare gli stipendi”, dichiara il direttore De Fusco. “Se entro quella data Comune e Provincia non verseranno almeno due annualità, saremo costretti a rivedere attività e programmi”, si legge nel comunicato emesso al termine dell’ultimo Cda. Questa la situazione del teatro stabile di Napoli, con i suoi tre palcoscenici del Mercadante, del Ridotto e del San Ferdinando. Tra i tre soci fondatori, che per legge sono Regione, Provincia e Comune, l'unico che continua a pagare è la Regione anche se per ora i finanziamenti – circa un milione e 200 mila euro - sono bloccati dal patto di stabilità. La Provincia deve un Valerio Binasco (nella foto), tra i più apprezzati registi teatrali U contemporanei, ritorna a Shakespeare con Romeo e n Giulietta. “È quasi tutto a troppo con Shakespeare – dichiara il regista – s Romeo e Giulietta ha persino cun troppo in più. Impossibile sfuggire al già evisto. Del testo mi attraggono i personaggin secondari, il provincialismo italiano, diacui Shakespeare sapeva nulla o poco, ma che a guardare i poveri giovinastri Capuleti de Montecchi che i I IN CRISI l si rischia la chiusura f u milione e 400 mila euro, il Comune oltre 4 milioni."Finora – ironizza il presidente del M avanti grazie Cda Giannola – siamo andati a alla nostra creatività finanziaria. Ma non possiamo durare a lungo”.t Il Comune, per giunta, ha anche diminuitot lo stanziamento di quest’anno da 700 milai a 200 mila euro. L’assessore comunale alla Cultura Antonella a Di Nocera, però, rassicura: “Daremo nel 2013 i 500 mila euro non dati per il ’12, ma P sulla mission vogliamo una riflessione seria a del teatro pubblico. Comunque, tra breve daremo i 200 mila euro dell’anno scorso e si s sbloccherà anche il contributo c del 2008, circa un milione di euro”. a di Teofilo Matteis l c o n © RIPRODUZIONE RISERVATA Le sorelle Rondinella al Trianon con Amour Amer Arnolfo Petri consacra la sua Camurrìa in un libro ALL’INTERNO LA RECENSIONE DI SERGIO SAGGESE Il prossimo 8 marzo, in concomitanza con la Giornata della Donna ci sarà l’opportunità di ammirare l’arte di Amelia e Francesca Rondinella che, in nuova sinergia artistica, si esibiscono insieme al cantautore napoletano Alan Wurzburger nel concerto “Amour Amer”. ALL’INTERNO L’ARTICOLO DI GIOVANNA CASTELLANO si aggirano per Verona nel ‘niente da fare’ delle province del nord, da lui così mirabilmente tratteggiati, come non pensarli antesignani illustri dei poveri baldi padani odierni? Insomma la cosa che più mi attira è la crudeltà che nasce dall’imbecillità umana. A parte i due protagonisti, in qualche modo ‘salvati’ dall’innamoramento, e convertiti al pacifismo, tutti gli altri si muovono minacciosi e vittoriosi verso il domani dell’umanità. Che è il nostro oggi.” Con Francesco Montanari, Deniz Ozdogan, Antonio Zavatteri, Filippo Dini, Fabrizio Contri, Andrea Di Casa, Simone Luglio, Fulvio Pepe, Giampiero Rappa, Marcela Serli, Roberto Turchetta e con Milvia Marigliano. Dal 13 al 24 marzo al Mercadante di Napoli. Socìetas Raffaello Sanzio con “Poco lontano da qui” Ispirato ai Quaderni Russi di Igort, Poco lontano da qui porta in scena Chiara Guidi e Ermanna Montanari che si incontrano nel luogo sonoro creato e composto da Giuseppe Ielasi. Alla Galleria Toledo di Napoli dal 15 al 17 marzo. Leggi l’articolo in ultima pagina Continuano i successi di Massimo Ranieri all’Augusteo con Sogno o son desto Continua a mietere successi Massimo Ranieri che sarà all’Augusteo di Napoli dal 2 al 10 marzo. Confermatosi come uno degli artisti italiani più amati, è ora in tour con il nuovo spettacolo “Sogno o son desto – Chi nun tene coraggio nun se cocca ch’ ‘e femmene belle” titolo volutamente provocatorio: protagonista non è il coraggio dei vincitori e degli eroi, ma l’eroismo degli ultimi sognatori, come gli uomini e le donne cantati dalla musica di Giorgio Gaber e di Pino Daniele; oppure dal teatro di Raffaele Viviani e Nino Taranto. Canzoni e monologhi intrecciano un racconto che tocca le corde della solidarietà, dell’umorismo, della pietà e dell’ironia. In questo viaggio-recital, l’artista attraversa il repertorio della grande canzone napoletana e interpreta anche brani dei più celebri cantautori italiani e internazionali: da Fabrizio De Andrè a Luigi Tenco, da Charles Aznavour a Violeta Parra. a l c e n t r o T a t Piazza municipio, 21 Napoli 081 55205555 www.brinkmann.it TEATROCULTFOGLIO Campania Arturo Cirillo e il gioco delle passioni nel Ferdinando di Ruccello “Ho reinserito battute che 25 anni fa erano considerate troppo audaci” Intervista con Arturo Cirillo di Maurizio Vitiello Dal 20 al 24 marzo al San Ferdinando di Napoli in scena la sua rivisitazione al Ferdinando. Su che profilo si attesta e quali difficoltà pensa di avere superato? Non so se sia corretto parlare di rivisitazione, siamo semplicemente tornati sul testo e abbiamo fatto delle scelte diverse riguardo ai tagli e alle battute da evidenziare rispetto all'edizione firmata nel 1986 dallo stesso Ruccello, e molte volte ripresa da Isa Danieli. Abbiamo reinserito battute che forse venticinque anni fa rischiavano di essere troppo audaci, battute che rendono più esplicito il piano dell'attrazione fisica tra i personaggi, come anche certe loro perversioni. Inoltre da subito ho voluto ridare al testo la sua struttura da "quartetto", in cui il gioco, anche simmetrico, tra i personaggi risultasse il più possibile equilibrato. Vari attori, inizialmente da Pierluigi Cuomo a Francesco Paoloantoni, si sono cimentati in Ferdinando. Registicamente quale abilità bisogna considerare in questo ruolo e negli altri? Ferdinando è a mio parere un personaggio difficile poiché estremamente letterario, nasce da un’idea tutta mentale. Sia il Tadzio di Morte a Venezia di Visconti, che il giovane di Teorema di Pasolini, due modelli a cui credo si sia ispirato Ruccello, sono delle forme idealizzate di bellezza ed erotismo, portatori di morte e perdizione. Io ho voluto ridare a Ferdinando una sua natura di ragazzo, magari anche normale, comune, su cui la fantasia e il desiderio degli adulti, che gli sono attorno, proiettano le proprie visioni, facendolo diventare ciò che vogliono. Mi pare che Annibale ci dica, in tutto il suo teatro, che l'altro è sempre inconoscibile, diviene sempre ciò che noi vogliamo e desideriamo. Portando questo pensiero al suo paradosso. Ferdinando potrebbe anche non esistere, e in fondo è questo che alla fine si scoprirà, con l'agnizione che conclude la vicenda. Un ragazzo col nome di Con Lino Barbieri L’Italia s’è pesta Intervista di Pino Cotarelli Lo show Ferdinando in quell'unico ambiente, dove è narrata la vicenda, non è mai entrato, Ferdinando è un altro, quello che noi mettiamo in scena è un inganno. Come il Franco delle Cinque rose di Jennifer, egli è fondamentale che ci sia per permettere il sogno, il sortilegio, di cui gli altri tessono la trama. Ma potrei citare anche il Morris Townsend di L'ereditiera, per rimanere nell'ambito del testo di Annibale. Poi mi sembrava che una parte molto grande della storia fosse il rapporto di odio e amore tra i due personaggi femminili, complementari, specchio o riflesso l'una dell'altra. Come anche l'assoluta incapacità d'amare senza distruggersi, da parte di tre figurelarve ormai condannate alla loro coatta auto-rappresentazione di sé e del proprio artificiale mondo: la baronessa, la "bizzoca" e il prete, come tre maschere de Il balcone di Genet. Annibale Ruccello riuscì ad assestare a un orizzonte teatrale napoletano di marca “eduardiana” una profonda ferita linguistica. Quali le differenze tra Raffaele Viviani, Eduardo De Filippo e Ruccello? in Ruccello, che ormai l'autentico non esista più, che viviamo in un mondo di travestimento e mistificazione, di inganni e autoinganni. Non vi è più una realtà da imitare, perché la realtà stessa ha perduto la sua autenticità, siamo nel finto, talmente finto che per paradosso il teatro risulta più vero, poiché dichiara apertamente la sua menzogna. In Ruccello tutto mi appare travestimento, ma non perché siamo in teatro ma perché il nostro tempo contemporaneo lo è. Sia Viviani che Eduardo direi che credevano ancora alla società, come qualcosa con cui l'individuo doveva relazionarsi o esserne escluso, società molto diverse ovviamente tra i due autori. Quando Annibale dice che della vita gli piace il brutto, lo "scassato", credo che intenda parlare di questa frattura che è non solo linguistica, attraverso certo un napoletano (ma spesso dovremmo dire un castellammarese) spurio e sempre contaminato da mode linguistiche nazional-televisive, ma soprattutto fratture esistenziali. Personaggi sradicati dal proprio mondo e privi di uno nuovo verso cui andare, persi nei molti "non luoghi" di oggi. Mi pare che la grossa differenza sia nella dolorosa consapevolezza, © RIPRODUZIONE RISERVATA Il libro Il concerto di Sergio Saggese Quello strano trio per Amour Amer L’iconografia di un edificio di oltre 150 anni di vita a forma di stivale che rappresenta il condominio Italia. Lino Barbieri racconterà in un paio d’ore di “one man show” le vicissitudini di 60 milioni di condomini attraverso monologhi, trasformazioni, caratterizzazioni e canzoni. Al Delle Palme con L’Italia s’è pesta il 2 e il 3 marzo 2013. Come è arrivata la vocazione di comico? Credo dopo aver sbattuto la testa da bambino, almeno così racconta mia madre... scherzi a parte, è stata una forza superiore alla mia volontà. Fare parte del cast di “Il Bagaglino” con Pippo Franco e Oreste Lionello, quanto ti ha arricchito? Assolutamente sì. Il maestro Lionello, bastava guardarlo ed era subito lezione di recitazione. Oreste Lionello ti ha mai dato qualche suggerimento? Per i tempi comici mi diceva soprattutto di non gridare perché la platea si poteva spaventare. Hai lavorato molto in Rai e per Mediaset. Preferisci i tempi televisivi o quelli del teatro? Senza dubbio quelli del teatro. Qual è la differenza per un comico? In teatro ti esibisci senza rete di protezione e il pubblico va conquistato immediatamente senza trucco e senza inganno. Ricorri spesso a imitazioni di personaggi come Maradona, Sgarbi, etc. perché? Ricorro a imitazioni di personaggi attuali. Maradona lo imito soltanto per qualche spettatore malinconico. Il pubblico cosa preferisce? Che si parli di attualità, di cose che appartengono alla nostra vita quotidiana. Fai satira e non trascuri quella politica, può funzionare anche come messaggi, orientamento sublimale? Assolutamente sì, un comico attraverso i suoi monologhi può non solo far divertire ma anche riflettere. Della comicità cosa arriva allo spettatore? Una fotografia irriverente della realtà. Ultimo tuo spettacolo L’italia s’è pesta, allusioni alle tante tensioni per tenerla unita? No, inviterò gli spettatori a ristrutturare o ad abbattere questa Italia, rappresentata nel mio spettacolo come un grande edificio malridotto a forma di stivale. Un punto di arrivo delle tue esperienze artistiche? Siamo sempre in partenza, lo diceva il grande Eduardo: “Gli esami non finiscono mai.” Al popolo napoletano da sempre gli si riconosce capacità artistiche innate, ma sa essere anche comico? Spesso involontariamente sì, c’è una teatralità nel DNA. Il titolo di un romanzo, se azzeccato, assume il ruolo di una guida che attende sulla soglia di un viaggio letterario. Una volta appreso che Camurrìa non significava camorra, bensì disagio, ho compreso d’aver trovato la mia. Nel dizionario siciliano-italiano la parola Camurrìa è stretta tra le parole Camùrra e Camurrìsta, e ho pensato ai tanti dissidenti incompresi fatti passare per disadattati. Condizione simile a quella dei due protagonisti del libro di Petri, Totore e Marcello – imprigionati nella cella del carcere di Secondigliano – incolpati di reati che persino la mala società carceraria taccia d’infamia. Salvatore De Crescenzo, detto Totore, è accusato d’aver ammazzato un prete, mentre Marcello di adescamento minorile. Ciò che li tiene reclusi non è soltanto il cemento delle mura, ma un amalgama di finzione e realtà solidificatosi nella morsa della loro esistenza. Totore e Marcello sono due maschere pirandelliane per le quali il problema è più quello della verità che della realtà. Soffrono e farneticano perché manca in loro un assetto alla vita. Due grandi mentitori, che per superare il conflitto tra l’apparenza e il reale si sono chiusi ancor prima di essere internati in carcere. Si può leggere in essi la tragedia dell’emarginazione umana in un alternarsi conscio di finzioni. Parallelo al tema dell’identità, in questo bel romanzo, quello infatti del contrasto tra essere e apparire. Ma Camurrìa è anche la storia di un’amicizia salvifica, dalla quale giunge come insegnamento il fatto che così come, nonostante la costrizione della cella, possa riuscire a nascere tra i due detenuti il dialogo, c’è speranza che possa nascere tra camùrre e camurrìsti il seme di un ravvedimento. Uomini soli, Totore e Marcello. Ma il muro della loro solitudine cadrà quando finalmente si apriranno l’uno all’altro e comprenderanno che ogni esistenza al mondo può essere il motivo di un’altra esistenza. Ad abbatterlo quel muro riuscirà la tenerezza. Lo farà al punto tale che carezzando il compagno di cella sarà, alla fine, sia per Totore che per Marcello, come carezzare il proprio dolore. Homo Scrivens Edizioni. © RIPRODUZIONE RISERVATA © RIPRODUZIONE RISERVATA Camurrìa Petri dalle scene al romanzo di Giovanna Castellano Al Teatro Trianon, il prossimo 8 marzo, in concomitanza con la Giornata della Donna ci sarà l’opportunità di ammirare il fascino, l’eleganza e l’arte di Amelia e Francesca Rondinella che, in nuova sinergia artistica, si esibiscono insieme al cantautore napoletano Alan Wurzburger nel concerto “Amour Amer”, titolo tratto dall’omonimo album di Wurzburger e dalla canzone che da alcuni anni le due artiste hanno inserito con successo nel loro repertorio. Una formazione di solisti d’eccezione - Arcangelo Caso al violoncello, Giosi Cincotti piano e fisarmonica, Giacomo Pedicini al contrabbasso - accompagna l’ensemble in questa esplorazione della canzone d’amore nelle sue diverse forme: amore appassionato, amore per la terra, amore disperato, amore in pienezza, amour amer...un viaggio tra sonorità gitane, folk, di tradizione rivisitata anche oltre i confini partenopei. In una suggestiva ubriacatura di luci e colori, Le Rondinella portano sul palco un mix di talento e tecnica che fanno della loro formazione una delle più apprezzabili del panorama contemporaneo. Lo spettacolo, magica immersione in suoni lontani e vicini, coinvolgenti e penetranti, ha già raccolto un meritatissimo successo l’estate scorsa durante la manifestazione “Unopiùuno5festival” organizzata da Gianfranco Gallo e nel mese di gennaio a Posillipo, dove la sala del teatro Orazio fu colma al punto di organizzare posti aggiunti. Evento da non perdere. © RIPRODUZIONE RISERVATA MODA UOMO/DONNA Via Solimena 120/A Na SNEAKERS Via Fracanzano 1/A Na TEATROCULTFOGLIO Campania In chiave moderna Il fu Mattia Pascal con Tato Russo “Se vivo, Pirandello l’avrebbe portato in scena così” Intervista di Anita Curci Tato Russo, talento multiforme della scena, torna a Napoli, nel “suo” Bellini, di cui è stato direttore artistico per 21 anni, dal 15 al 17 marzo con Il fu Mattia Pascal. Perché ha scelto il Pirandello della prosa, pur con tanto suo teatro? E perché Il Mattia Pascal? Mi diverto a far mie le opere degli altri, e questa in particolare, non scritta per il palcoscenico, sentivo che andava restituita a Pirandello in forma teatrale. A causa di un problema di diritti d’autore ho dovuto riprendere qualche anno fa la rielaborazione del testo fatta da giovane. Venendo fuori dal mio vissuto, tradotto in un lavoro di memoria ed esperienza, la ritengo un’operazione ben riuscita. Diventerà un caposaldo della produzione pirandelliana. “Tornare a Napoli mi fa soffrire perché la trovo ogni volta peggiorata” Come ha trasformato per il teatro un testo così complesso? Cosa vedranno gli spettatori? Utilizzo tutti gli strumenti disponibili della messa in scena, dalle luci all’amplificazione, alla danza. Lo spettatore vedrà lo sviluppo moderno di un’opera che lo stesso Pirandello oggi avrebbe allestito così. Perciò tutto appare naturale, senza elementi posticci. Come se l’autore, attraverso me, avesse organizzato personaggi e strutture per esprimere in chiave corrente la sua tematica. Resto dell’opinione che bisogna tradurre tanto dal passato. Infatti questa non è l’unica mia trasposizione teatrale. Ho ridotto per il teatro anche altre opere, ad esempio di Wilde, Dostoevskij… Sarà una trasposizione fedele del romanzo? Rispetto la sua ideologia, ma prendo in considerazione i nuovi meccanismi del teatro. Se fosse vivo, l’autore farebbe le stesse mie scelte. Oggi, ad esempio, si abbozza una scena senza che ci sia veramente, mediante le luci si descrivono ambienti che in sostanza non esistono. Rimango fedele al romanzo pur discostandomene. L'inquietudine e l'ossessione di Mattia in che modo diventano attuali? Chi non ha mai pensato di cambiare la propria esistenza restando alla fine se stesso? Non si può essere diversi da ciò che il destino ci impone nonostante inquietudini, ossessioni in agguato e quella sorta di rammarico che ci rende tutti simili. Mattia Pascal pensa e prova emozioni che oggi provano tutti, e questo lo rende un uomo moderno. Ritorna al Bellini, il suo teatro, con quale stato d'animo? Tornare al Bellini è tornare a Napoli con sofferenza perché la trovo ogni volta peggiorata. Ha perduto la sua storia e la bellezza. In questa città puttana avanza solo il degrado. Si vorrebbe vederla migliorata e invece non accade niente che le faccia cambiare rotta. Perché ha deciso di lasciare Napoli? Perché le ho dato tutto senza ottenere nulla. Se avessi offerto la mia arte ad un’altra città avrei ricevuto più rispetto. Questo è un posto assurdo dove si vive di negazione, dove la demagogia del conformismo intellettuale distrugge ogni cosa. Le radici napoletane hanno sempre rappresentato un gran potenziale, in ogni campo, ma se si spendono a Napoli è tempo perso. Per riabilitarsi? Bisogna riprendere in mano il passato e riconquistare la propria identità. © RIPRODUZIONE RISERVATA Le rubriche di Teatrocult IL TEATRO CI GUARDA Città di mare con teatro Ponendo come titolo al suo libro (pubblicato nel 1953) Il mare non bagna Napoli, Anna Maria Ortese (nella foto) sembra volerci trascinare in un capovolgimento di senso spiazzante, quasi una contraddizione in termini. Quella che ci presenta in questo testo, infatti, è una città “asciutta”, essenziale. Prosciugata, cioè, da ogni fronzolo, elemento decorativo o abbellimento di sorta. Una città “nuda”, spogliata dei suoi orpelli, delle sue sovrastrutture, di ogni elemento conciliante o consolatorio. Che preferisce immaginarsi piuttosto che vedere sé stessa, e la realtà nella quale è immersa, per quella che è. Una realtà che potrebbe causarle traumi o impulsi di rigetto, come succede alla piccola Erminia, la protagonista di Un paio di occhiali, il racconto che apre il libro. Una città “secca”, allampanata, come Anastasia Finizio, di Interno familiare, il secondo racconto. La quale dà corpo, con la sua accennata goffaggine, ad una commossa rassegnazione. Conseguenza diretta dell'inaridirsi,inesorabile, di ogni speranza. Una città dove la storia si è stratificata in maniera disordinata, come il popolo che la vive e dove si “recita” non per dare sfogo ad un fantasioso estro esistenziale, ma per una triste e consunta, quasi meccanica, abitudine di sopravvivenza. Come fa la donna al Banco dei Pegni di Oro a Forcella. Una Città involontaria (il titolo del quarto racconto) e sofferente, come quella che vive quasi accampata nel casermone ai Granili, un piccolo girone infernale dove qualcuno, però, cerca ancora come può, e con i miseri mezzi a disposizione, di salvare almeno la sua dignità. Una città che rimane “ignota a sé stessa” e che dunque la “ragione” difficilmente riesce ad abitare. Nella seconda parte del libro, infatti (Il silenzio della ragione, appunto) Anna Maria Ortese riflette il suo “spaesamento” (come l’ha definito alcuni anni dopo) in quello della città intera. E, in particolare, in quello dei suoi intellettuali e scrittori. Annichiliti e sopraffatti da un senso di impotenza nei confronti di una realtà (quella cittadina) che non sanno e non possono controllare. E forse neanche, solamente, conoscere. Ma la città conosce veramente sé stessa o vive solo degli infiniti riflessi della sua rappresentazione? In un suo recente saggio (Napoli in scena – Antropologia della città del teatro, Donzelli Editore) Stefano De Matteis afferma che i napoletani hanno smesso di recitare. Ovvero, sono andate perdute quasi del tutto, negli ultimi decenni, quelle tipiche forme di teatralizzazione della vita sociale in cui i napoletani riconoscevano se stessi. E’ una perdita di riferimento che rischia di annientare l’identità specifica di un intero popolo. Aprendo, quindi, quella voragine che Anna Maria Ortese aveva già intravisto e descritto nel suo libro, del 1953. Se la città, a questo punto, perde il suo specchio, il suo punto di riferimento, che possiamo individuare (teatralmente, appunto) anche nella realtà quotidiana, come oscillante tra due autori simbolo quali Viviani ed Eduardo, cosa rimarrà del suo carattere e della sua storia? Qui la vita e il teatro, da sempre, si sono scambiate le parti reciprocamente in una continua confusione di ruoli. Hanno danzato abbracciati in una sorta di vorticoso girotondo fino a restarne entrambi disorientati e storditi. Si sono guardati negli occhi riflettendosi l'uno nell'altra. Come per farsi forza reciprocamente. Per darsi coraggio. Per trovare un conforto e una conferma. In una parola, per illudersi di esistere. Antonio Tedesco © RIPRODUZIONE RISERVATA POCO LONTANO DA QUI L’indignazione al contrasto attraverso silenzi e gesti ELICANTROPO ASPETTANDO MEDEA Socìetas Raffaello Sanzio e Teatro delle Albe con Poco lontano da qui ispirato ai Quaderni Russi di Igort. In scena Chiara Guidi dialoga con la voce originale e intensa di Ermanna Montanari e si incontrano nel luogo sonoro creato e composto da Giuseppe Ielasi, forse l'artista italiano più conosciuto al mondo nel campo delle composizioni elettroniche. Il palco è il luogo in cui Chiara ed Ermanna mettono alla prova modalità di lavoro che i percorsi della Socìetas e delle Albe hanno elaborato nel corso degli anni. Attraverso la guida di Karl Kraus, la potenza vocale delle due artiste ha incontrato le lettere di Rosa Luxemburg che si è posta come specchio oggettivo e autorevole nel loro confronto. Il lavoro è stato composto lentamente, provando vari mesi in cerca di strade e dei testi più disparati (da Igort alla guerra di Cecenia, da Cechov e da Mejerchol’d alla Politkovskaja), con l’obiettivo comune di portare in scena un sentimento di cui i nostri tempi sono sprovvisti: la compassione. Il testo scelto è breve ma di forte incisività. Si tratta di una lettera che Rosa Luxemburg scrisse dal carcere a un’amica a cui racconta lo smarrimento per le percosse inflitte da un guardiano a un bufalo che sembrava piangere come un bambino, ferito come il mondo stesso dalla cecità della violenza. Nello spettacolo quel testo è seguito da un’altra lettera indirizzata a Karl Kraus e di opposta sensibilità. Una signora benestante protesta con il giornalista per avere dato spazio e voce alla Luxemburg, che meglio avrebbe fatto a diventare guardiana di giardino zoologico o impiegata in un vivaio piuttosto che mettersi nei guai. Attraverso i silenzi, i gesti e i testi delle due lettere, le attrici lasciano dire la loro indignazione al contrasto tra una sensibilità capace di sentire la sofferenza del mondo e una voce pronta a giudicare e a condannare chi si pone fuori dalla “normale” vita borghese. Alla Galleria Toledo dal 15 al 17 marzo. La leggenda di Medea che abbandonata da Giasone per una nuova sposa si vendica procurando la morte alla fanciulla, al padre di lei, e ai propri figli. Nella versione teatrale di arcAdia teatro, la tragedia viene trattata come spunto riflessivo. Due donne interagiscono con il testo. Esse si troveranno più volte a confondersi con Medea, a rappresentare le due facce della sua stessa mente conflittuale. L’abbandono, l’indifferenza, la vendetta, la ferocia, la forza e la fragilità del personaggio sono sentimenti dai quali Ermanna Montanari restano rapite e condizionate durante le prove. La regia esalta il confine tra ironia e dramma costruendo una dimensione surreale dentro la quale il pubblico si rispecchia divertendosi. Di e con Franca Abategiovanni, Antonella Ippolito regia di Nadia Baldi, musiche di Renato Salvetti. Dal 21 al 31 marzo. “Uomo. Animale. Materia. Sostanza di cui sono fatto incrostata d’animale e di stelle.” Merleau-Ponty Bestiale Copernicana Identità e geografie a venire al Civico14 di Caserta Bestiale Copernicana è il secondo movimento del progetto avVento. Identità e geografie a venire. Debutterà dopo un nuovo periodo di ricerca a Napoli, e metterà in dialogo TeatrInGestAzione e due ospiti internazionali. “Uomo. Animale. Materia. Sostanza di cui sono fatto incrostata d’animale e di stelle. Materia che segna la traccia, che misura il passo, che segna il confine del corpo. Corpo animale capace di riconoscersi corpo sociale. Riconoscendoci atomi tra gli atomi, ci mettiamo in viaggio alla ricerca di un modo di guardare capace di non separare. Consapevoli che il punto non è l’arrivo, ma il viaggio stesso della materia che si fa corpo tra i corpi. Il mondo è fatto della medesima stoffa di questo mio corpo. Non è dunque un viaggio di conquista il nostro, ma di consapevolezza. (Merleau-Ponty). 16 - 17 marzo Torna a Napoli Svetlana Zakharova Accolto con favore sin dalla prima rappresentazione nel 1869 al Bol'šoj, il “Don Quijote”, tratto dall'omonimo romanzo del Cervantes, è ormai considerato un classico del balletto grazie alle versioni allestite da grandi coreografi e ballerini come Nureyev, Balanchine e Baryshnikov. La versione più celebre ed acclamata è sicuramente quella di Marius Petipa nella rivisitazione di Alexandr Gorsky, che è proposta al San Carlo nel nuovo adattamento di Alexei Fadeyechev. Il “Don Quijote” durò in Russia ben oltre la Rivoluzione del 1917, mentre molti altri balletti non vennero più rappresentati nel periodo sovietico. Torna a Napoli Svetlana Zakharova, prima ballerina alla Scala di Milano e al Bol’šoj di Mosca, l'étoile è una delle più quotate interpreti a livello internazionale. Alla perfezione tecnica, unisce un sorprendente intreccio di eleganza, delicatezza dei movimenti e intensa partecipazione emotiva, caratteristiche che la rendono tra le danzatrici più contese dai maggiori teatri mondiali. Dal 22 al 27 marzo. Leggimi Pensa bene, parla bene, agisci bene. ANTICHITA’ CURCI Tradizione di famiglia dal 1930 Antiquariato e Restauro Dall’esperienza dei vecchi artigiani Via Michelangelo Schipa, 21 Napoli Tel. 3358219173 - 3333350336 NON E’ FRANCESCA, DA RIMINI La finestra sul cortile In una stanza a spiare il mondo da un pc La finestra sul cortile, dall'omonimo racconto di Cornell Woolrich, affida al rapporto tra il corpo menomato del protagonista e le virtualità proiettive del suo PC la dinamica evolutiva del giallo. Sguardi rubati, occhi nascosti, scandiscono i tempi drammaturgici ed esaltano il carattere reclusorio della vita del protagonista che, sospesa tra l'immaginazione e l'ossessione, cerca una prova documentale. Un uomo è rinchiuso in una stanza tecnologicamente attrezzata della propria abitazione, rigorosamente senza finestre. Una reclusione più cercata che indotta da qualche impedimento fisico. Ha come strumento di relazione col mondo esterno solo un computer sul quale riesce a collegarsi con numerose WebCam e sul quale osserva anche i movimenti delle persone che abitano lo stabile di fronte. Lo schermo del suo Pc si apre grande finestra sul cortile del mondo e lui spia, nella vita degli altri rubandone sentimenti, piccole grandi intimità. Il voyerismo lo sorprende e appassiona, ma i suoi sguardi restano sospesi tra immaginazione ed ossessione. La sua solitudine tenta una pacificazione ed una soluzione nella tessitura di una rete fatta di rapporti virtuali. Cercando una realtà possibile pensa di scoprire un omicidio. La ricerca della relativa prova documentale diventa un'occasione di vita effettiva. Con Claudio di Palma e Elena Cepollaro. Al teatro Nuovo di Napoli dal 12 al 17 marzo. D.T.M. Al San Carlo con Don Quijote s.n.c Dalla straordinaria penna comica di Antonio Petito nasce nel 1866 questa farsa con il solo, unico scopo di far ridere. Sicuramente l’intuizione è geniale: l’abbattimento della quarta parete, il teatro nel teatro e non ultima la scena che si svolge tra la platea ed il palco. Di Antonio Petito con Mario Aterrano, Oscarino Di Maio progetto e regia Oscarino Di Maio. Al teatro Il Primo dal 14 al 24 marzo. NON SOLO MAGAZINE Leggi le nostre recensioni Guarda i video sul giornale on line www.teatrocult.it TEATROCULT www.teatrocult.it [email protected] Supplemento di Napoliontheroad Registrazione del Tribunale di Napoli n. 5310 del 26- 06- 2002 Sede in via Nilo, 28 Napoli Direttrice Anita Curci Sezione video Fabiola Catapano In redazione Guerino Caccavale, Marco Catizone, Pino Cotarelli Corrado Giardino, Daniela Morante, Maddalena Porcelli, Antonio Tedesco, Maurizio Vitiello, Sergio Saggese, Giovanna Castellano Stampa Arti Grafiche P. Galluccio Vico S. Geronimo alle Monache, 37 Napoli [email protected] SLURP gelateria e golosità ci trovi su FACEBOOK deposito trasporto montaggio Per la tua pubblicità Chiamaci al 338 3579057 Via Umbria, 11 Melito di Napoli Tel. 081 7020249