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JÜRGEN HABERMAS
lavoro di gruppo di sociologia della famiglia
A.A.2014/2015
Componenti del gruppo:
Basili Tommaso
Melotti Giulia
Messi Maria Giulia
Nobili Lavinia
Pardo Federica
Passalacqua Alessia
Perinelli Marta
Sgromo Barbara
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SOMMARIO
Jürgen Habermas.........................................................................................................................................3
la biografia
Cultura e critica...........................................................................................................................................3
processi di socializzazione devianti
socializzazione e struttura sociale
appunti per una teoria della socializzazione
Teoria dell'agire comunicativo.....................................................................................................................5
volume 1
conclusioni volume 1
volume 2
conclusioni volume 2
La famiglia in Italia.....................................................................................................................................8
piano nazionale e la proposta del family mainstreaming
i fenomeni demografici nel corso della vita familiare
le famiglie immigrate
stile di povertà nelle famiglie italiane
diffusione e caratteristiche della povertà in Italia: analisi a partire dai dati di fonte ufficiale
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JÜRGEN HABERMAS
La biografia
Jürgen Habermas è nato in Germania il 18 giugno 1929. Durante la sua adolescenza
subisce molto l’influenza dell’ideologia nazista poiché anche il padre ne era
simpatizzante. Solo dopo la guerra e dopo essersi documentato di quanto succedeva
nei campi di concentramento, si discostò da questa ideologia. Habermas ha studiato
filosofia, psicologia, storia, letteratura tedesca ed economia a Zurigo e Bonn,
laureandosi nel 1954. Nel 1959 è diventato assistente di Theodor W. Adorno
all’Istituto per la ricerca sociale di Francoforte, allorché questo fu riaperto in
Germania dopo l'esilio americano.
Come i suoi compagni di studio, Adorno e Horkheimer, Habermas sostiene le teorie
della Scuola di Francoforte e studia in particolare le contraddizioni dell'uomo
moderno. Una soluzione utopica a tutto sarebbe un ritorno all’Illuminismo dove i
problemi vengo affrontati tramite l’uso della logica e della ragione. Egli ritiene che
nelle società occidentali vi è il dominio assoluto da parte dell’economia e teorizza la
cosiddetta azione comunicativa. Un suo pensiero molto importante è quello che la
condizione comunicativa ideale sia quella universalmente condivisa, in cui ciascun individuo possa esporre problemi
sia morali che politici, per discuterne difendendoli con l'utilizzo della ragione e della logica.
All’inizio della sua carriera mostrò interesse per il declino della “sfera pubblica” e per l’importanza del dibattito
pubblico aperto. In seguito, avrebbe sviluppato questi temi nella sua celebre opera pubblicata nel 1981 : “la teoria
dell'agire comunicativo”, che analizza i diversi modi attraverso i quali la comunicazione può venire ostacolata o subire
infiltrazioni da parte delle dimensioni del potere, come ad esempio la proprietà privata, che crea disomogeneità e
divisione all'interno della società. In effetti, egli la vede come un ostacolo per l'attuazione delle sue teorie.
CULTURA E CRITICA
Per Habermas la socializzazione è un processo di apprendimento nel quale i soggetti capaci di agire interiorizzano
orientamenti di valore per poi interpretare i ruoli sociali. Nel processo di socializzazione l’agire sociale è un punto
chiave. Distingue l’agire strumentale da quello comunicativo, il primo ha alla base l’idea che i soggetti agiscono,
attraverso una determinata strategia, per realizzare i propri scopi. Nel mettere appunto questa strategia gli individui
devono tener presente che sono circondati da altri che come loro vogliono raggiungere i propri scopi ,diversi o uguali, e
quindi possono entrare in conflitto fra loro.Il secondo consiste in un’interazione tra individui mediata dal linguaggio e
organizzata sulla base di norme che definiscono il comportamento reciproco, queste norme devono essere conosciute da
almeno due individui,se non vengono riconosciute intervengono le sanzioni. Violare le regole comporta nell’agire
strumentale un comportamento incompetente, nell’agire comunicativo, un comportamento deviante.
Per quanto riguarda la teoria dei ruoli egli afferma che:
a)
In tutte le società conosciute finora c’è stata una sproporzione fra, il complesso dei bisogni interpretati e gli
orientamenti di valore socialmente permessi e istituzionalizzati come ruoli. Vale il teorema della
“repressione”: una complementarità delle attese può essere riprodotta solo in condizioni di costrizione, sulla
base della mancata reciprocità.
a) I ruoli si definiscono nell’interazione e non seguono schemi prestabiliti, in modo tale che i soggetti
potrebbero effettivamente o virtualmente scambiare ogni volta il loro posto con quello del partner.
b) L’istituzionalizzazione delle norme non può essere mai completa e questo comporta la “distanza del ruolo”: l’
interpretazione autonoma dei ruoli presuppone l’interiorizzazione del ruolo e il successivo distanziamento da
esso.
La forza dell’io si misura in base alla capacità di mantenere in equilibrio l’identità personale e l’identità sociale nelle
situazioni difficili.
Habermas distingue la socializzazione primaria da quella secondaria. Nella primaria il bambino acquista i requisiti
fondamentali per diventare un soggetto capace d’agire sul piano motivazionale/cognitivo. Dalla famiglia e dal livello di
linguaggio quotidiano il bambino impara i ruoli primari. Quindi il linguaggio è molto importante sia sul piano cognitivo
che su quello motivazionale e il suo sviluppo è dato da una serie di variabili familiari,la più importante è la quantità e la
ricchezza di stimolazione che il bambino sperimenta nella relazione quotidiana con la madre e con gli altri membri
della famiglia.
Possiamo dire che per l’autore la famiglia riveste un ruolo cruciale nella socializzazione primaria del bambino, in
quanto lo prepara verso la socializzazione secondaria.
Processi di socializzazione devianti
3
Il comportamento deviante deriva da un io relativamente debole, a differenza delle deviazioni che presuppongono un io
forte. Le categorie del comportamento deviante hanno in comune il fatto che il soggetto agisce, non solo in situazioni
eccezionali in cui è minacciata la sua identità, ma anche sotto la pressione normale. Infatti si vengono a creare problemi
di ruolo che non possono essere risolti con gli schemi di comportamento di cui dispone.
La patologia del singolo corrisponde a quella del sistema sociale, in cui si è formata la struttura della sua personalità.
Questo avviene se i genitori hanno raggiunto un’identità relativamente debole, cioè non sono abbastanza qualificati per
i loro ruoli all’interno di un determinato quadro istituzionale. L’interazione dei genitori cela un conflitto potenziale e a
seconda delle condizioni di questo vi sono delle strategie:
a) Strategia del capro espiatorio: le difficoltà che nascono da un conflitto fra genitori vengono proiettate su
“un figlio che crea problemi”.
a) Strategia della seduzione: il conflitto può essere superato quando uno dei due genitori sfoga desideri
inconsci attraverso determinate azioni del figlio.
b) Strategia dello sfruttamento: l’interazione con il figlio serve come soddisfazione dei bisogni che non si
trovano nel rapporto reciproco tra genitori.
Habermas riprende una ricerca compiuta da Lidz ,sulle famiglie schizofrenogene, in cui si è giunti alla conclusione che
il rapporto non equilibrato fra i genitori porta il bambino a non essere in grado di passare da identificazioni legate a casi
concreti, a un’interiorizzazione del modello di autorità. In queste famiglie i ruoli sessuali non sono chiaramente
differenziati , mancano i modelli necessari per i processi d’identificazione del bambino. Possiamo affermare che il tipo
di relazione che si ha con le persone nella fase primaria, ci permette di raggiungere l’indipendenza, nel caso di queste
famiglie le relazioni sono complicate e il bambino non riesce ad acquisire i requisiti fondamentali per diventare un
soggetto capace di agire.
Socializzazione e struttura sociale
Habermas ha cercato di studiare la socializzazione collegandola alla struttura sociale e prendendo in considerazione la
classe media-borghese e quella inferiore.
Sulla base di alcuni studi ha notato come la psicosi è più frequente nello stato inferiore, mentre le manifestazioni
nevrotiche più in quello medio.
Il successo scolastico, che dipende da uno sviluppo delle facoltà cognitive e linguistiche accelerate o ritardate, varia a
seconda dell’appartenenza sociale dei genitori. Nelle famiglie inferiori si può notare come sia molto presente e
accentuato il dislivello di autorità(la figura maschile) e la divisione del lavoro in base al sesso, al contrario di quelle
medie in cui tutto è molto più equilibrato.
La famiglia come agenzia di socializzazione nel sistema sociale, garantisce le qualificazioni motivazionali e cognitive
che predispongono gli individui socializzati all’assunzione di determinati ruoli nell'ambito del lavoro sociale.
Vi sono anche altre istituzioni molto importanti oltre la famiglia, tuttavia in una prospettiva storica si può ammettere
una tendenza della deprivatizzazione dello spazio interno solo per le famiglie borghesi, mentre per quelle dello stato
inferiore c’è stato un cambiamento dell’ambiente dei vicini e della fabbrica con la scuola e la televisone, quindi una
tendenza alla “privatizzazione”.
Secondo alcune ipotesi non possiamo negare che i bambini delle famiglie borghesi realizzano un’identità dell’io
relativamente forte.
Inoltre da una ricerca condotta sugli studenti attivisti negli Stati Uniti si è notato che questi non provenivano da
famiglie inferiori ma da quelle medie, che non avevano problemi economici. Allora perché protestare?
La risposta è data dal fatto che questi attivisti provengono da famiglie in cui i genitori condividono i loro atteggiamenti
critici e abbastanza spesso, sono stati educati secondo principi più liberali,ad esprimere ciò che pensano, rispetto ai
gruppi non attivisti in cui invece c’è una forte autorità da parte della figura maschile.
Appunti per una teoria della socializzazione
Habermas in generale, espone degli assunti che riguardano una teoria della socializzazione, che chiama “teoria sociale”.
Secondo lui, all'interno della vita dell'uomo, per costruire la personalità, si devono affrontare degli “stadi di sviluppo
gerarchicamente ordinati”. La formazione dell'individualizzazione/personalità, si costruisce negli ambienti quotidiani in
cui viviamo, infatti la socializzazione consiste proprio nel tramandare di generazione in generazione tutti i valori, le
tradizioni, le azioni, ecc che accompagnano la vita di un individuo all'interno della società. Infatti, noi tendiamo ad
identificarci nei comportamenti degli altri, che poi riusciremo ad interiorizzare. Nelle sue parole la socializzazione è:
“un processo di apprendimento attraverso il quale l’individuo interiorizza gli orientamenti di valore e crea le
motivazioni che lo mettono in grado di interpretare ruoli”.
Possiamo affermare che fra il sistema individuale e quello collettivo, ci sia uno scambio reciproco, proprio perchè,
Habermas vede la cultura e la società come elementi che influenzano la formazione personale. Parla di un' “identità
dell'Io” che consiste nell'abilità di agire e parlare di un soggetto, quindi di esprimere se stesso.
Durante il nostro sviluppo, c'è un intreccio ancora non molto definito, fra le caratteristiche biologiche e quelle culturali,
che ci aiutano a maturare grazie all'apprendimento. Per apprendimento si intende un processo in cui si partecipa
attivamente grazie alla propria ragione, dove noi riusciamo a “risolvere i problemi” della nostra vita. Espone anche la
differenza fra due modelli che tentano di spiegare l'evoluzione dell'uomo: quello biologico e quello sociologico. Nel
modello biologico si considera solo la parte individuale o degli stimoli esterni, mentre in quello sociologico
4
l'intenzionalità ad agire attraverso il linguaggio.
Noi apprendiamo socialmente, perchè secondo l'autore, avviene un meccanismo di interiorizzazione degli “schemi di
agire”, che sono delle regole simboliche che trasportiamo all'interno di noi stessi, per poi trasformarli in “schemi della
comprensione del pensiero”.
Nel valutare soggettivamente la nostra socializzazione, ognuno di noi deve usare prima di tutto la sua ragione e il suo
pensiero, perchè essa avviene in modo particolare in noi stessi, quindi gli altri non sarebbero in grado di comprenderla
nel migliore dei modi. Si tratta di fare una sorta di comunicazione autonoma.
Man mano che si passa da uno stadio all'altro della socializzazione, si apprendono delle nuove strutture socio-cognitive
che ci serviranno poi, per affrontare al meglio ogni tipo di difficoltà.
Quando si forma un'identità, entra in gioco la parte personale e quella sociale. Tramite quella sociale, quindi i diversi
gruppi con cui si entra in contatto, si iniziano a specificare dei ruoli, che poi grazie a quella personale, si riusciranno a
mantenere nel tempo. Infatti, nella socializzazione servono proprio questi mondi vitali, che fanno da guida, fino a
quando l'identità individuale diventerà autonoma e indipendente.
La lingua è praticamente il mezzo fondamentale che abbiamo per costruirci dei ruoli nella società, scambiando il nostro
sapere con gli altri. Proprio per questo, secondo Habermas, la socializzazione avviene all'interno di strutture di
comunicazione e di interazione simbolica che portano all'acquisizione della coscienza morale, di competenze cognitive
e competenze di ruolo (saper essere, sapere e saper fare).
La socializzazione potremmo considerarla compiuta solo quando ogni individuo riuscirà ad interpretare i ruoli e a
rispettare le norme.
L'autore pensa che al termine di un processo di socializzazione intenso, avendo affrontato al meglio le “crisi di
maturazione”, si possa creare un'identità dell'io “forte”. Essa è in grado di differenziarsi dalla struttura sociale, per
apparire come unica ed irripetibile rispetto al resto della società. Al contrario, un processo poco attivo, composto da
difficoltà, come ad esempio la non differenziazione dei ruoli, porta ad un'identità abbastanza debole, non in grado di
essere autonoma e di distinguersi.
TEORIA DELL'AGIRE COMUNICATIVO
volume1
Jürgen Habermas in quest’opera, propone una teoria critica della società moderna, avvalendosi del contributo dei
classici del pensiero sociologico. Il punto chiave di questa teoria è la razionalità comunicativa. Per introdurre il tema
trattato, Habermas si avvale dei vari approcci alla problematica della razionalità. Si concentra sia su un piano
metateoretico, ossia sui concetti che spiegano la crescita della razionalità nel mondo vitale moderno, sia su un piano
metodologico, ossia l'azione razionale diventa uno strumento di comprensione di tutti gli orientamenti di azione.
Distingue fra agire comunicativo e agire non comunicativo. L'agire comunicativo è caratterizzato dall'intenzione di
intendersi, mentre l'agire non comunicativo è improntato su un' attività che mira allo scopo di autoaffermarsi, di avere
“influenza” sull'altro; tutto ciò viene subordinato al linguaggio, che risulta strumentalizzato rispetto all’intesa.
Questi due tipi di agire sono meccanismi alternativi di coordinamento dell'azione sociale, in entrambi i casi c'è uno
scambio d' informazioni, ma solo nel coordinamento all'intesa si crea una comprensione, un sapere basato su autentici
convincimenti. Il tema fondamentale della prima parte, è la ragione utilizzata dall’individuo all’interno del contesto
sociale. Ognuno può esprimere il proprio sapere attraverso il linguaggio, che è la fonte comunicativa per eccellenza. Si
ha la possibilità di contestare gli enunciati e di criticarli grazie alla propria razionalità a livello cognitivo-strumentale.
Quando si agisce, lo si fa per determinati scopi che si vogliono raggiungere tramite i mezzi che si hanno a disposizione.
Habermas classifica tre modelli di azione sociale: teleologico, regolato da norme e drammaturgico. Questi sono
introdotti da una teoria dei tre mondi (ripresa da Popper), dove esiste un mondo oggettivo di fatti, un mondo sociale di
norme e un mondo soggettivo di esperienze. A ciascuno di essi corrisponde un livello di sapere e una pretesa di validità
che da luogo ad un rapporto attore-mondo, cui corrispondono i tipi di agire. Per far ciò, l’autore, trasporta i mondi della
teoria popperiana da contesti di teoria della conoscenza, a contesti di azione pratica. Nell'agire teleologico l'attore
realizza uno scopo “nel mondo dei fatti”, il calcolo e l'azione sono guidati da criteri di massimizzazione dell'utilità.
L'agire regolato da norme è quello fra attore e comunità di cui egli condivide i valori, vige una sorta di norma che
prevede un comportamento comune. Infine l'agire drammaturgico prevede un'interazione nella quale ognuno è
“pubblico” e teatro all'altro, qui l'attore si propone davanti agli altri cercando di mantenere la propria soggettività. Al
culmine di ciò c'è l'agire comunicativo, caratterizzato da un'interazione di almeno due soggetti capaci di linguaggio e di
azione che stabiliscono una relazione interpersonale. Il carattere centrale è l'interpretazione, che si riferisce al
concordare definizioni della situazione, che sono suscettibili di consenso da parte degli individui.
Habermas annuncia tre itinerari: elaborazione del concetto di agire comunicativo; lo studio empirico dei fenomeni
attraverso tale elaborazione; l'analisi dei processi della razionalizzazione sociale. Inizia a far questo, proponendo il
confronto con Max Weber, mettendo in evidenza tre aspetti nella usa analisi: il mutamento strutturale delle immagini
religiose del mondo; il potenziale cognitivo delle sfere differenziate di valore; il modello selettivo della
modernizzazione capitalistica.
Di Weber fa proprie le analisi sulla razionalizzazione delle immagini religiose e metafisiche del mondo per spiegare le
strutture della coscienza moderna e ritrova nella differenziazione weberiana delle sfere di valore culturali (scienza,
etica, arte) l' articolazione tra componenti cognitive, normative ed espressive della cultura che lui stesso aveva
acquisito. Le conseguenze di Habermas a ciò, sono diverse da quelle di Weber. Infatti per Weber la differenziazione
delle sfere di valore, è racchiusa nella dialettica della razionalizzazione, che lo porterà alla conclusione pessimistica
della “perdita di senso” della modernità. Per Habermas non è così, alla perdita di senso, lui contrappone l'unità della
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razionalità che soddisfa le pretese di validità che ciascuna sfera avanza nel suo determinato ambito. Queste pretese di
validità sono unificate dalla pratica dell’argomentazione che è presente nell'atto linguistico. Weber proponeva che i
processi di razionalizzazione sociale potessero essere considerati solo dal punto di vista della razionalità rispetto allo
scopo, questo modo di agire prende le mosse dal fatto che l'attore è orientato a conseguire un fine determinato da
obiettivi precisi, sceglie i mezzi che gli sembrano adeguati nella situazione data e calcola le conseguenze prevedibili
dell'azione che portano al successo. Habermas invece si propone di spiegare la pragmatica formale che fonda questa
tesi, infatti tutte le sua analisi linguistiche sono ora sviluppate in vista di un' azione sociale e nella società c'è bisogno di
un' agire coordinato che induce alla comunicazione, si hanno così dei “convincimenti comuni” raggiungibili solo
attraverso il linguaggio. Intende parlare di un atteggiamento orientato all'intesa, facendosi aiutare da un concetto
fondamentale: il Verständigung. Esso si riferisce alla convergenza tra soggetti capaci di linguaggio e di azione, infatti
l'intesa raggiunta comunicativamente ha un fondamento razionale. Proponendo l'eliminazione delle “forti
idealizzazioni” dell'approccio comunicativo, Habermas cambia l'atteggiamento che gli aveva fatto accentuare i criteri
della “situazione linguistica ideale”, ammettendo elementi strategici nell'azione linguistica rivolta all'intesa e ad
insistere sulle metacomunicazioni e i saperi impliciti (il sapere di sfondo). «L'agire comunicativo si svolge all'interno di
un mondo vitale che rimane alle spalle dei partecipanti della comunicazione». Razionalizzazione sociale, non significa
semplicemente diffusione di agire razionale rispetto allo scopo, ma attivazione di potenzialità comunicative racchiuse
nel parlare corrente. « La razionalizzazione si configura come una ristrutturazione del mondo vitale, come un processo
che attraverso la differenziazione dei sistemi del sapere influisce sulle comunicazioni quotidiane, investendo le forme
della riproduzione culturale, dell'integrazione sociale e della socializzazione».
Habermas ripercorre un altro punto della critica della razionalità, quello della razionalizzazione come reificazione sulla
linea che da Lukás arriva ad Adorno. Lukcás parla di una forma di esistenza e di pensiero che chiama «forma di
oggettivazione». Concepisce l’evoluzione della società come la storia del sovvertimento delle forme di oggettivazione,
che modificano l’esistenza interna ed esterna dell’individuo. Questa forma di oggettivazione dominante nella società
capitalistica, pregiudica i riferimenti al mondo, il modo in cui soggetti capaci di linguaggio e di azione, possono far
riferimento a qualcosa nel mondo oggettivo, soggettivo e sociale. Questo pregiudicare può essere caratterizzato da una
reificazione, ossia assimilare delle relazioni sociali e delle esperienze a cose, oggetti che possiamo manipolare e
percepire. Per Lukàs in questo mondo fondato sul lavoro, c’è un «trasformarsi in merce di una funzione dell’uomo».
Esso infatti, considera la forma-merce come la forma dell'oggettivazione delle relazioni interumane e sociali, con la
degradazione del singolo ad “ambiente” della società. Il processo di reificazione risulta immanente al procedimento
della razionalità formale e capitalistica e ritiene di superare questa posizione smascherandola, con un'operazione
filosofica che dichiara “pratica” una “corretta” teoria della coscienza di classe, in questo modo va a ripercorrere
l'idealismo oggettivo. Habermas immette il problema della reificazione in uno schema più complesso, dove
l'assimilazione delle relazioni interpersonali al mondo delle cose ha luogo quando le azioni sociali non sono coordinate
tramite valori, norme e intese linguistiche bensì attraverso il medium del valore di scambio.
Horkhrimer e Adorno cercano di dare spiegazioni per un cambiamento di paradigma nella teoria della società. La loro
critica della ragione strumentale è un po' più ampia di quella di Lukás, perchè stacca il concetto di reificazione dalla
determinazione storica capitalistica, ponendo la ragione strumentale come categoria del complessivo processo storicouniversale di civilizzazione. La conoscenza all'autoconservazione e la repressione della natura pulsionale sono collocate
all'interno della medesima logica del dominio. La critica della ragione strumentale rimane “soggettiva”, cioè esprime la
relazione soggetto-oggetto nell'ottica del soggetto conoscente, senza riuscire a spiegare in cosa consista la
strumentalizzazione delle relazioni sociali dalla prospettiva dei nessi vitali violentati e deformati. La
strumentalizzazione sociale sicuramente distrugge qualcosa, ma non si sa in cosa consista la distruzione, ne tanto meno
il suo rimedio. Adorno definisce mimesi, l'integrità di un'esperienza sociale, essa non ha una funzione cognitiva, ma
nelle prestazioni mimetiche c'è una base razionale che si può manifestare solo abbandonando il paradigma della
filosofia della coscienza. In tutto ciò Habermas fa una critica alla razionalità strumentale che è sostenibile solo dalla
prospettiva affermativa della razionalità comunicativa, quindi il fuoco si sposta dalla razionalità cognitivo-strumentale
a quella comunicativa. Non è più importante la condizione oggettiva, ma quella intersoggettiva comunicativa. Questa
critica alla reificazione è una protesta all'autoconservazione del sistema negli ambiti della razionalità comunicativa, che
continua a perseverare.
Conclusioni volume1
In questo volume l’idea di agire comunicativo si focalizza sulla dimostrazione di come la comunicazione linguistica,
per quanto utilizzabile anche per fini strategici o manipolativi, nella sua struttura interna non possa che essere orientata
alla ricerca di un’intesa senza secondi fini. La tesi principale è che ognuno di noi non può fare a meno di utilizzare il
linguaggio orientandolo anche all’intesa. Una società con attori che agiscono solo strategicamente, sarebbe secondo
Habermas incapace di coordinare l’agire. Infatti, comunicare non è un modo per esercitare potere sugli altri, piuttosto,
un modo per poter affermare il proprio sapere.
Infine, questa teoria espone l'importanza del linguaggio nella vita di tutti i giorni, infatti esso accompagna la nostra
volontà nell'agire in modo collettivo. Ogni volta che lo utilizziamo, entrano in gioco delle pretese di validità, ossia il
bisogno di far comprendere agli altri ciò che si intende dire, per creare un clima di intesa reciproca. Oltre a questo, nel
quotidiano usiamo la comunicazione a livello strategico, essa sembra passare in secondo piano rispetto all'altra, ma in
realtà è molto più frequente. Comunicare efficacemente, per Habermas, significa comprendere realmente la società.
Volume 2
6
Habermas riprende l’analisi del linguaggio di Mead, che considera la comunicazione linguistica quasi esclusivamente
sotto due aspetti dell’integrazione sociale di soggetti agenti in vista di un fine e della socializzazione di soggetti capaci
di azione, escludendo gli apporti di intesa e la struttura interna del linguaggio. Cerca di spiegare il sorgere del
linguaggio mediante il fatto che il potenziale semantico, racchiuso nelle interazioni mediate dai gesti diventa
simbolicamente disponibile per i partecipanti all’interazione grazie a un'internalizzazione del linguaggio gestuale.
Habermas critica il fatto che Mead, anche se intende spiegare in quale modo l’interazione mediata simbolicamente
provenga da quella mediata dai gesti, deve mostrare come le prestazioni regolative dei gesti trapassino nella
comunicazione fondata sui segnali. Non distingue a sufficienza lo stadio dell’interazione mediata simbolicamente da
quello dell’interazione retta da norme e mediata dal linguaggio. Per Habermas invece si produce un gesto nell’attesa
che venga interpretato con un determinato significato. Con questa coscienza si modifica l’atteggiamento di un
organismo verso l’altro. Il soggetto si presenta ora come oggetto sociale che esprime con quella reazione
comportamentale un’interpretazione del proprio gesto. Inoltre Mead non si renderebbe conto di quale passo importante
sia l’internazionalizzazione della presa di posizione di un altro sull’uso errato dei simboli, lacuna colmabile attraverso
l’analisi wittgensteiniana del concetto di regola. Nel concetto di regola sono uniti i due momenti che caratterizzano
l’uso di simboli semplici: significato identico e validità intersoggettiva. Nel senso di “regola” è contenuto
analiticamente che quando A pone alla base del proprio orientamento comportamentale, resti uguale a se stesso. Questo
restare uguale non risulta da uniformità presenti nel comportamento osservabile di A (un comportamento non uniforme
non può essere definito come violazione di una regola). Analizzando Durkheim, Habermas spiega che l’obbligazione
costituisce uno dei primi caratteri della regola morale. Per lui quindi il fenomeno da spiegare è il carattere vincolante
delle norme sociali, poiché siamo portati a non compiere gli atti che ci vietano per il semplice motivo che ce lo vietano.
La morale infatti inizia laddove inizia l’attaccamento ad un gruppo quale esso sia. Occorre però che a parte il suo
carattere vincolante, sia desiderabile e desiderato lo scopo morale. Per lui sacro e morale sono profondamente legati,
hanno le stesse caratteristiche, anzi formula la tesi che le regole morali ricevono la loro forza vincolante anche dalla
sfera del sacro. Gli atti comunicativi secondo Habermas, sotto l’aspetto della comprensione, servono a mediare il
sapere accumulato culturalmente; la trasmissione culturale si riproduce, attraverso il “medium” dell’agire orientato in
vista della comprensione e dell’intesa. Sotto l’aspetto della socializzazione gli atti comunicativi servono a costruire
controlli comportamentali interni, ossia a formare le strutture della personalità. Nella riproduzione simbolica del mondo
vitale le azioni linguistiche possono assumere al tempo stesso la funzione della trasmissione dell’integrazione sociale e
della
socializzazione.
Uno dei concetti cardine della teoria di Habermas è quello di “mondo vitale”. Il mondo vitale è definito come “un
serbatoio o uno sfondo di certezze ed evidenze non problematizzate, ma problematizzabili a mano a mano che
diventano rilevanti per una situazione”. Con il termine “situazione” Habermas intende indicare “un frammento di nessi
del mondo della vita, evidenziato da temi e articolato mediante obiettivi e piani d’azione”. Il mondo vitale è
strettamente connesso al discorso riguardante l’agire comunicativo poiché è visto come luogo dove i dialoganti possono
incontrarsi ed esprimere ognuno il proprio parere e le proprie critiche concernenti il mondo oggettivo, sociale e
soggettivo. Il mondo vitale è visto come il risultato di linguaggio e cultura e come qualcosa di intrascendibile. L’azione
che si genera attraverso la comunicazione crea il mondo vitale, di conseguenza il mondo vitale è sempre presente nella
vita degli individui creando uno sfondo alla scena comunicativa; il mondo vitale è perciò visto come una “riserva
culturalmente tramandata e linguisticamente organizzata di modelli interpretativi”. Gli abitanti del mondo vitale sono
socializzati ad esso e grazie a questa socializzazione è possibile garantire l’apprendimento di alcune capacità
generalizzate di azione per le generazioni che verranno.
Conclusioni volume 2
Habermas vede la teoria della comunicazione di Mead come il fondamento delle scienze sociali; il passaggio
dall’interazione mediata simbolicamente all’interazione guidata da norme e quindi alla costruzione del mondo sociale e
del mondo soggettivo. La rilettura di Durkheim porta l’attenzione sullo “sfondo normativo” dell’agire comunicativo. Il
simbolismo religioso rappresenta così una delle radici pre-linguistiche dell’agire comunicativo. Il mondo vitale è “un
serbatoio o uno sfondo di certezze ed evidenze non problematizzate ma problematizzabili a mano a mano che diventano
rilevanti per una situazione”. La situazione è “un frammento di nessi del mondo della vita, evidenziato da temi e
articolato mediante obiettivi e piani d’azione. Le strutture della Lebenswelt (mondo vitale) sono cultura società e
personalità e a ciascuna di esse corrisponde una dimensione dell’agire comunicativo.
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"Alla famiglia si è infatti chiesto molto in passato, e tanto si chiede ancora oggi. Si è spesso evidenziato come nel
nostro Paese l’istituzione familiare abbia rappresentato il maggior ammortizzatore sociale, finendo per farsi carico,
spesso con scarsissimi aiuti da parte delle istituzioni, di situazioni di difficoltà e di disagio di vario genere, rimanendo
vitale e sapendosi adattare ai mutamenti della società. " (ANDREA RICCARDI Ministro per la Cooperazione
internazionale e l’Integrazione e Presidente dell’Osservatorio nazionale sulla famiglia).
Piano nazionale e la proposta del family mainstreaming
La ricerca è stata svolta dal Comitato tecnico-scientifico dell’Osservatorio Nazionale sulla famiglia il quale analizza, in
un lasso di tempo di due anni, le condizioni delle famiglie in Italia sottolineando i cambiamenti demografici e sociali e
gli interventi di welfare. La ricerca viene introdotta con un’analisi dei mutamenti che vi sono nelle famiglie in tutto il
corso della vita sottolineando i problemi di povertà e i problemi delle famiglie immigrate. In Europa è presente, già da
tempo, un fenomeno chiamato “morfogenesi della famiglia” i quali indica l’ampliamento delle forme familiari
generando così nuove relazioni. A causa di questi veloci cambiamenti all’interno delle famiglie, viste come istituzioni,
le politiche si trovano davanti a diverse difficoltà poiché non riescono ad essere contemporanei ad essi.
Quadro generale delle situazioni attuali delle famiglie
1.
Bassa natalità;
6.
Aumento famiglie con figli che vivono con un
solo genitore;
2.
aumento coppie senza figli;
7.
3.
Crescente invecchiamento popolazioni
occidentali;
Aumento numero figli che non conoscono o
non frequentano costantemente uno dei genitori
naturali ;
4.
Aumento individui senza famiglia;
8.
Aumento "famiglie arcobaleno" ( varie etnie ) e
"famiglie composite" ( miste ).
5.
Aumento famiglie spezzate e
frammentate;
8
Questo quadro può avere una duplice lettura: da un lato mostra che i cambiamenti presenti nelle famiglie sono rischiose
per l’integrazione psicologica, sociale e culturale; dall’altro questi cambiamenti possono essere positivi poiché hanno il
carattere dell’evoluzione. Le famiglie separate o frammentate riducono le relazioni primarie ,il quale sono molto
significative, e portano alla continua ricerca di una forma di convivenza con gli altri.
Come affrontare i dilemmi della famiglia in Europa:
1) Pluralità e specificità delle forme familiari: la morfogenesi produce diverse forme familiari che devono avere
qualcosa in comune affinché si possa parlare in senso specifico delle relazioni familiari.
2) Valutazione della morfogenesi familiare: la valutazione va fatta dal punto di vista della qualità delle relazioni Umane
e sociali che una concreta forma morfogenetica esprime.
3) Quando una polita sociale è familiare?: le politiche familiari possono essere definite familiari a condizione che
abbiano come obiettivo il fare famiglia, ovvero se mira esplicitamente a sostenere le funzioni sociali e il valore sociale
aggiunto alla famiglia come tale, in particolare la famiglia come capitale sociale. Queste proposte su basano su
considerazioni sociologiche relative agli effetti delle politiche nazionali attuate in passato.
I governi, fino agli anni, settanta non hanno avuto grosse difficoltà a formulare nuove politiche che assistessero le
famiglie con interventi dei deficit familiari poiché fino quegli anni i modelli familiari erano abbastanza stabili e molto
tradizionali. La situazione cambia a metà degli anni settanta quando si afferma una sorte di de istituzionalizzazione
della famiglia nella società.
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Dalla figura 4.1 e 4.2 emerge come verso i 30 anni c'è un maggior numero di matrimoni e l aumento di trovarsi
in coppia senza figli. Verso i 35 anni,invece,almeno una donna o uomo si trova in coppia con figli. Le donne
escono prima degli uomini dal nido per creare nuove famiglie.
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I fenomeni demografici nel corso della vita familiare
La famiglia subisce delle trasformazioni durante il corso della sua vita : la formazione , che ha inizio con il
matrimonio o altra forma di unione e termina con la nascita di un primo figlio; l’estensione, che si conclude con
la nascita dell’ultimo figlio; la contrazione , che inizia con l’uscita del primo figlio e termina con quella
dell’ultimo; la dissoluzione o scioglimento, che si avvia con la morte del primo coniuge/partner o con
l’interruzione del rapporto coniugale o di convivenza e termina con la morte dell’altro coniuge/partner o con un
nuovo matrimonio o convivenza. Ogni singolo elemento andrà poi a modificare i fenomeni demografici della
vita familiare.
Le famiglie immigrate
Negli ultimi decenni in Italia c'è stata una significativa trasformazione avvenuta dalla presenza di stranieri
immigrati, che cercano sempre più un insediamento definitivo. Questo radicamento é dovuto da alcuni fattori
come l’aumento dei ricongiungimenti familiari, l’incremento costante della presenza di minori stranieri nelle
scuole e ,sul mercato del lavoro, l’elevato numero di lavoratori impegnati in occupazioni a tempo
indeterminato. Mentre prima l immigrazione era considerata come un progetto a breve termine ora è
considerato come un viaggio di sola andata. Proprio Attraverso al famiglia che si forma la mediazione culturale
che permette la convivenza pacifica di individui di diversa origine etnica. Risulta normale che l' acculturazione
dovrà fare i conti con l' organizzazione familiare e le sue differenze. Il numero di coppie misto è cresciuto
progressivamente; il matrimonio misto viene infatti visto come obiettivo, per raggiungere una migliore
integrazione, che però essendo un processo multidimensionale è finalizzato alla pacifica convivenza sarà un
processo che richiederà molto tempo e attenzione. Anche per la famiglia mista ci sarà la necessità di
promuovere le politiche di interventi e sostengo. La famiglia è un organismo di straordinaria vitalità, soprattutto
nella sua capacità di ridefinire e modificare continuamente i suoi rapporti con il contesto sociale in cui è
inserita. In una situazione complessa e delicata, come quella migratoria, ancor di più la famiglia è chiamata a
confrontarsi con una serie di compiti di sviluppo, che possono trasformarsi in sfide molto impegnative. Se,
come messo in evidenza da diverse indagini nel nostro paese, nella prima fase del processo migratorio sono
necessarie qualità come il coraggio, l’intraprendenza e lo spirito di sacrificio, per poter perseguire l’obiettivo di
una piena e soddisfacente integrazione occorrono altre capacità, come la flessibilità rispetto alle esigenze del
contesto di inserimento e la tenacia nel ridefinire costantemente le proprie strategie di adattamento. Le
possibilità di successo di una famiglia migrante risultano, infatti, dalla capacità di intrecciare dinamismo e
flessibilità, per far fronte a situazioni quotidiane contrassegnate da incertezza e precarietà. Superata la prima
fase dell’insediamento, con gli inevitabili problemi di natura materiale, il secondo problema riguarda il
raggiungimento di un adeguato livello di integrazione. Saper affrontare la questione dell'integrazione delle
famiglie immigrate è una sfida che viene lanciata anche per il paese ospitante per una migliore preparazione al
futuro.
Stile di povertà nelle famiglie italiane
L' aumento della popolazione residente in Italia comporta a sua volta la crescita del numero delle famiglie
residenti ma allo stesso tempo avviene anche una riduzione del nucleo familiare. Come mostra la fig 6.2 ci
troviamo davanti ad un fenomeno per cui le famiglie sono sempre più piccole, in particolare modo nel Sud
Italia; sebbene il nucleo familiare si riduce rimane comunque elevato il numero di componenti.
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Diffusione e caratteristiche della povertà in Italia: analisi a partire dai dati di fonte ufficiale
L'ISTAT misura la povertà delle famiglie tramite una lettura della povertà in termini relativi e assoluti, le quali
nascono da concezioni di povertà diverse.
La povertà in termini assoluti riguarda quelle famiglie, che hanno un livello di vita più basso dello standard
accettabile. ISTAT ha preso in analisi il periodo tra il 2005 al 2009 tentando di vedere la direzione in cui la
povertà in termini assoluti si muove. La seguente figura mostra come nel Mezzogiorno la povertà in termini
assoluti sia superiore a quella del Nord e Centro Italia.
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Emerge quindi che alle famiglie povere manca in media una spesa di circa 17,3% per raggiungere lo standard di
vita accettabile.
La povertà in termini relativi riguarda quelle famiglie che hanno un livello di consumo inferiore rispetto alla
comunità di appartenenza. La linea della povertà della figura riguarda la spesa media mensile pro capite per
consumi dei cittadini italiani. ( più le famiglie sono numerose o con presenza di minori o anziani, più sono a
rischio povertà. E se fino al 2005 queste differenze erano nulle, dal 2007 si sono via via ampliate ).
La fig 6.15 mostra come le famiglie povere in termini relativi, al variare di numero di componenti, sia rimasta
praticamente invariata.
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