L`informazione Contrattuale E La Trasparenza Del Mercato

Dott.ssa Valentina Tomarchio
L’INFORMAZIONE CONTRATTUALE E LA TRASPARENZA DEL MERCATO
SOMMARIO: 1. Premessa.. - 2. La regola della trasparenza contrattuale, dai contratti di diritto comune
ai contratti con i consumatori. – 3. Il consumerism e la legislazione comunitaria: il c.d. intervento orizzontale
e verticale. Il nuovo “Codice del Consumo” (23 luglio 2005) - 4. Trasparenza e clausole vessatorie: gli artt.
1469-bis e ss. Cod. Civ. – 5. La trasparenza quale mero strumento per l’effettivo esercizio del diritto di
recesso: i contratti negoziati fuori dai locali commerciali (dir. 85/577 e d.lgs. 50/1992). – 6. La trasparenza
assurge a strumento centrale nella tutela del consumatore: i contratti di viaggio “tutto compreso” (dir. 90/314
e d. lgs. 111/1995). - 7. Segue: l’acquisto in multiproprietà (dir. 94/47 e d.lgs. 427/98). - 8. Segue: la
contrattazione a distanza (dir. 97/7 e d.lgs. 185/1999). - 9. La trasparenza del mercato a tutela del c.d.
imprenditore debole. – 10. Considerazioni finali.
1) Premessa
Con il presente intervento si intende esaminare come, per effetto delle trasformazioni socioeconomiche dell'ambiente in cui operano i protagonisti dell'informazione, si è passati dal
tradizionale ruolo assunto dall’obbligo di trasparenza nell’ambito dei contratti di diritto comune alle
nuove prospettive emerse con la normativa consumeristica. Queste trasformazioni, infatti, hanno
reso sempre più frequente la situazione in cui un contraente, dotato di maggiore forza economicocontrattuale (di regola, imprenditore), sia in grado di imporre all’altro un testo contrattuale
predefinito. Ciò comporta inevitabilmente un monopolio delle informazioni relative all’operazione
da parte del predisponente, nonché una conseguente riduzione della capacità di esprimere un
consapevole consenso negoziale da parte dell’aderente, il quale, spinto dalle sollecitazioni
dell’operatore commerciale, finisce spesso per aderire alla proposta senza la piena consapevolezza
delle conseguenze che la propria accettazione comporta.
Il sempre maggiore ricorso a questo tipo di contratti ha reso evidente la necessità di una tutela
giuridica nei confronti del “contraente debole” ed ha portato all’emergere di una nuova normativa,
il cui scopo precipuo è stato di approntare una effettiva protezione del “consumatore”, cioè di colui
che contratta al di fuori di un’attività commerciale o imprenditoriale eventualmente svolta. Il nuovo
trend della politica del consumerism, inaugurato con le prime direttive comunitarie degli anni ’80‘90, muove sempre più nel senso di far assurgere i consumatori a “sovrani” del mercato1, rendendoli
1
In tal senso, Senigaglia, Informazione contrattuale nella net economy, in Europa e diritto privato, 2002, p. 260
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destinatari di una cospicua serie di informazioni che devono esser loro rese dalla “controparteimprenditore” durante lo svolgersi dell’intero rapporto contrattuale.
Peraltro, va evidenziato come questa maggiore protezione sia sorta anzitutto come
strettamente funzionale ad un obiettivo economico. In primo luogo, gli strumenti di tutela giuridica
uniformi, introdotti dalla normativa consumeristica, consentono di eliminare le diversità di obblighi
e doveri comportamentali a carico delle imprese nei loro rapporti con i consumatori, così da evitare
distorsioni nella concorrenza. In secondo luogo, gli stessi consumatori, proprio tramite un consenso
consapevole, cioè informato, sono in grado di massimizzare le loro scelte. Le asimmetrie
informative, infatti, sono viste come una forma di fallimento del mercato, nel momento in cui una
parte non è in condizione di rimuoverle o può rimuoverle solo a costi proibitivi. “In questi casi, una
parte del mercato è costretta ad operare partendo da una base informativa non ottimale, con la
conseguenza che, se non vengono prese cautele atte a riequilibrare le reciproche posizioni
informative, si ha un fallimento strutturale del mercato”2. Sotto quest’ottica, allora, le informazioni
riguardo ai parametri essenziali dell’affare sono il presupposto perché il soggetto, di volta in volta
interessato,
possa
effettuare
una
scelta
razionale
di
massimizzazione
del
guadagno.
Massimizzazione che non potrà, invece, mai realizzarsi finché sussistano squilibri informativi, per
effetto dei quali una parte dispone di un numero di informazioni incomparabilmente maggiori
(perché opera professionalmente sul mercato o ha essa stessa creato il prodotto) ed un’altra parte
dispone, invece, necessariamente di un numero di informazioni di gran lunga inferiore.
In altri termini, la conoscibilità e la trasparenza delle operazioni e dei prodotti sono stati visti
come funzionali all’efficienza dell’economia di mercato: solo la presenza di un ambiente
informativo strutturato può rendere il contraente “fiducioso” nei confronti di un settore prima d’ora
estraneo al suo operare e, allo stesso tempo, solo un sistema di mercato efficiente consente una
ottimale allocazione delle risorse. Pertanto, economia e diritto si sono posti in un rapporto di
necessaria interdipendenza: essi si accomunano per l’identità del fine, posto che “nella teoria
economica lo svolgimento di un mercato concorrenziale ha come presupposto il perseguimento
dell’utilità sociale, che è anche il fine primario di qualsivoglia ordine giuridico”3. In tale
Per un’analisi economica del ruolo dell’informazione nell’ordinamento del diritto europeo dei contratti, cfr. S.
Grundmann, L’autonomia privata nel mercato interno: regole di informazione come strumento, in Europa e diritto
privato, 2001, p. 257 e ss.
3
Lipari, Diritto e mercato della concorrenza”, La concorrenza tra economia e diritto, a cura di N. Lipari e I. Musu,
Bari, 2000, p. 31
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prospettiva, il potere normativo dell’impresa è stato accompagnato, ad opera del legislatore, da
“misure di razionalizzazione e correttivi tesi a trovare o costruire un punto di equilibrio tra la
necessità della produzione e quella del consumo”4
Tuttavia, se inizialmente l’intervento comunitario ha enfatizzato maggiormente l’aspetto della
distorsione della concorrenza che non l’aspetto sociale della tutela del consumatore, a partire dal
Trattato di Maastricht (1992) la politica di protezione dei consumatori non è più stata strumentale
soltanto al profilo economico, ma ha assunto una propria indipendenza e rilevanza quale obiettivo
sociale della nuova Unione Europea. L’art. 153 del Trattato di Maastricht, nel nuovo Titolo XIV
dedicato esclusivamente alla “Protezione dei consumatori”, sancisce: “La Comunità potrà agire
mediante azioni specifiche di sostegno e di integrazione della politica svolta dagli Stati membri al
fine di tutelare la salute, la sicurezza e gli interessi economici dei consumatori e di garantire loro
un’informazione adeguata”. Ebbene, tra le “azioni specifiche” della Comunità, in materia, vi è
certamente l’emanazione di numerose direttive che hanno influito sulle regole civilistiche dei
contratti, rivoluzionandone completamente l’assetto originario.
Un’ultima considerazione sarà poi dedicata alla figura del c.d. imprenditore debole: se si
guarda alla disciplina che regola il mercato bancario, finanziario e assicurativo, nonché soprattutto a
quella dettata in materia di subfornitura (l. 192/1998), si può ravvisare la presenza di un ulteriore
nuovo trend normativo, orientato alla estensione delle logiche che ispirano il consumerism all’intera
gamma dei rapporti economici, al fine di garantire, a prescindere dalla differente qualificazione
soggettiva, gli equilibri e le proporzioni economiche tra i protagonisti dell’operazione. In
particolare, si segnala una tendenza verso la “giustizia del mercato”, in cui assume rilievo anche la
posizione di relativa debolezza di in imprenditore che contratti con altro imprenditore dotato di
maggiore forza contrattuale, ammettendosi un controllo sul potere negoziale scaturente dalla
posizione economicamente autoritaria di quest’ultimo.
2) La regola della trasparenza contrattuale, dai contratti di diritto comune ai contratti
con i consumatori.
La regola della trasparenza del mercato e l’esistenza di un generico obbligo di informazione a
carico delle parti non sono espressamente enunciati nel Cod. Civ. del 1942, ma sono state ricavate
in via interpretativa: in particolare, la “trasparenza contrattuale” è stata tradizionalmente considerata
4
Barcellona, Diritto privato e società moderna, Napoli, 1996, p. 420
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come uno dei principali doveri comportamentali che i contraenti sono tenuti a rispettare in
applicazione del precetto di correttezza e buona fede in senso oggettivo, enunciato in materia di
obbligazioni dall’art. 1175 C.C e che deve accompagnare le parti dalla fase delle trattative (art.
1337 C.C.) a quella dell’esecuzione (art. 1375 C.C.) del contratto. In altri termini, non essendo
possibile reperire all’interno del codice una norma che disciplini l’obbligo di informazione
genericamente inteso, la soluzione è stata ricercata nei meccanismi integrativi del sistema, operando
un adattamento delle strutture normative e il punto di riferimento è stato focalizzato nella clausola
generale di buona fede e correttezza, il cui senso esprime un principio di garanzia della corretta
organizzazione dei rapporti economici5. Così, ad esempio, l’obbligo contemplato dall’art. 1337 c.c.,
inizialmente posto in stretto e quasi esclusivo legame con la culpa in contrahendo di cui all’art.
1338 c.c., ha conosciuto una riorganizzazione comprendendo ora il dovere di comunicare ogni
elemento informativo atto ad incidere sull’economia del contratto e sul settore di mercato in cui
opera6.
Si è così potuti giungere ad affermare che, in linea generale, con il termine “trasparenza” si
intende anzitutto “dovere di chiarezza”, nel senso che il contraente è tenuto ad evitare un linguaggio
suscettibile di non essere pienamente compreso dalla controparte. Ma, accanto a questa accezione di
immediata evidenza, il concetto di “trasparenza” richiama anche un “dovere di informazione”
reciproca tra i contraenti sulle circostanze di rilievo che attengono all’affare.
Il concetto di “trasparenza”, però, soprattutto nella sua accezione di “obbligo di
informazione”, assume connotati diversi a seconda del contesto in cui è inserito.
Nella disciplina dei contratti di diritto comune, infatti, esso non va al di là di un dovere di
informazione generico, che di regola non è caratterizzato da un contenuto minimo obbligatorio.
Questo dovere, anzi, che è imposto reciprocamente ai contraenti, è controbilanciato dal necessario
limite all’esigibilità dell’informazione7. Partendo dal principio secondo cui non tutto ciò che si
conosce deve essere necessariamente comunicato, in quanto rientra nel libero gioco della
5
Sulla buona fede nei rapporti negoziali, si vedano, ex multiis, Rodotà, Appunti sul principio di buona fede, in Foro
pad., 1964, I, 1284; Bianca, La nozione di buona fede quale regola di comportamento contrattuale, in Riv. dir. civ.,
1983, 205; Castronovo, L’avventura delle clausole generali, in Riv. crit. dir. priv., 1986, 21.
6
Così anche Senigaglia, op. cit., p. 237. V. anche, per la giurisprudenza, Cass., 26 giugno 1998, n. 6311, in Giur. It.,
1999, n. 5297
7
In realtà, dall’esame della disciplina codicistica emergono anche alcune circostanze che necessariamente le parti
devono conoscere e che danno luogo a specifici doveri di informazione, come ad esempio gli obblighi informativi nel
contratto di assicurazione (artt. 1892 e 1893 c.c.), nella vendita (artt. 1482, 1489 e 1490 c.c.) e, nella fase
precontrattuale, l’obbligo di informare la controparte sulle cause di invalidità dell’atto (art. 1338 c.c.). Tuttavia, al di là
di queste ipotesi “solo la diligenza, la correttezza, la lealtà e lo stato di scienza del settore possono misurare la forza
dell’obbligo di parlare”: così., Senigaglia, op. cit., p. 233
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contrattazione valutare la convenienza di un affare, il problema consiste nel verificare entro quali
limiti l’osservanza del dovere di informazione sia certamente esigibile nell’ambito dei rapporti di
diritto comune. Anzitutto, la qualificazione in termini di “generale” del suddetto obbligo di
informazione non può essere sintomatica dell’esistenza di un obbligo delle parti di rivelarsi
reciprocamente tutte le circostanze da ciascuna di esse conosciute e concernenti il negozio che si
prevede di poter concludere. Non è dato rinvenire, nella disciplina dei contratti di diritto comune, la
presenza di un tale obbligo: la circolazione dei beni e delle ricchezze – per contro - è governata da
regole di competizione e di concorrenza, alle quali specularmene corrisponde la libertà di procurarsi
e mantenere posizioni di vantaggio, anche sul piano informativo, in tutti i casi in cui ciò non si
traduca in violazione di precise disposizioni normative o di principi generali dell’ordinamento
giuridico. In altri termini, se inserito nel contesto dei contratti di diritto comune, la trasparenza deve
necessariamente fare i conti con le regole di competizione e di concorrenza.
E’, quindi, necessario conciliare due contrapposte esigenze: all’esigenza di solidarietà, di cui è
espressione l’obbligo di buona fede ex art. 1175 c.c. (e della trasparenza che ne è espressione), si
contrappone la necessità di lasciare una certa libertà di manovra degli interessi in gioco, libertà di
raggiungere e mantenere posizioni di vantaggio informativo. Anche perchè l’acquisizione
dell’informazione può comportare dei costi e questi eventuali costi sopportati da colui che opera sul
mercato, onde giungere in possesso di certe informazioni, non sarebbero in alcun modo compensati,
ove fosse poi impedito di sfruttare a pieno vantaggio i benefici che dalla conoscenza di quelle
notizie
può trarre. A tal proposito, l’autore inglese A. T. Kronman8 ha portato alle estreme
conseguenze queste considerazioni: ricorrendo alla “regola proprietaria”, legittima l’appropriazione
e lo sfruttamento esclusivi dell’informazione acquisita deliberatamente (e non casualmente).
Queste considerazioni, tuttavia, si basano sul principio, fatto proprio anche dal Cod. Civ.
italiano del 1942, della parità formale tra le parti, che non tiene conto delle possibili differenze
qualitative dei contraenti9. In realtà, la presenza di un mercato extra-territoriale e di una rete di
A. T. Kronman, Errore ed informazione nell’analisi economica del diritto contrattuale, in Pol. dir., 1980, p. 291 ss.
Ne sono, in fondo, espressione, gli stessi artt. 1341 e 1342 c.c., con cui il legislatore ha sì avvertito l’esigenza di
imporre degli obblighi di informazione con specifico riguardo a quelle operazioni in cui uno dei contraenti si trova
sottoposto alla forza economica dell’altro, ma approntando una tutela solo formale. In questi casi, peraltro, la reticenza
non rileva autonomamente, ma solo in quanto riveli delle trascuratezze determinanti o degeneri in inganno
(sull’argomento si veda, per tutti, G. Visintini, La reticenza nella formazione dei contratti, Padova, 1972). In tal modo,
rapportando il silenzio nell’alveo della della disciplina dei vizi del volere, si veniva a creare una nuova forma di
minaccia della libera formazione della volontà data dal dolo omissivo. Peraltro, l’idea per cui il comportamento
omissivo tenuto da uno o da più contraenti potesse essere riconducibile alla categoria dei vizi del consenso, è stata
recepita dalla stessa giurisprudenza, la quale ha spesso confermato il principio secondo cui “la reticenza del contraente
si atteggia quale tipico fenomeno di dolo omissivo realizzato in palese violazione del principio generale di buona fede”
(così, Cass., 14 ottobre 1991, n. 10779, in Giur. It., 1993, I, 1, 190; cfr. anche Cass., 11 ottobre 1994, n. 8295; Id, 18
ottobre 1991, n. 11038; Id, 12 gennaio 1991, n. 257). Inoltre, affinché operino gli artt. 1341 e 1342 c.c., è anche
necessaria la consapevolezza, da parte del detentore dell’informazione taciuta, di falsare la rappresentazione del
regolamento normativo e materiale del contratto alla controparte (così, Cass., 11 ottobre 1994, n. 8295). Pertanto, se il
8
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rapporti economici “impersonali”, colloca l’ordinamento dinnanzi ad un ambiente sociale ed
imprenditoriale fortemente trasformato e bisognoso di disciplina10. Proprio partendo da questo dato,
in ambito europeo si è attuata una politica diretta alla creazione di indici comuni ai quali i singoli
ordinamenti degli Stati membri devono adeguarsi. A partire dagli anni novanta, gli interventi
comunitari nel settore contrattuale sono sempre più frequenti e molti di essi assumono quale punto
di riferimento il concetto di informazione e il ruolo che esso svolge nella dinamica dei rapporti
negoziali11.
In altri termini, la disciplina dei contratti con i consumatori nasce dalla nuova esigenza,
dettata dalle trasformazioni socio-economiche del mercato, di tener conto che la qualità e le
condizioni dei soggetti coinvolti può divergere e che, in questi casi, è opportuno valutare la
posizione assunta da ciascuna parte in relazione, in primis, alle possibilità (che ben possono essere
diverse) di accesso alla conoscenza di dati rilevanti per il futuro ed eventuale accordo. Si è avvertito
che, in caso di sensibile squilibrio tra le posizioni di partenza dei soggetti coinvolti, l’interesse allo
sfruttamento del vantaggio informativo ad esclusivo beneficio del soggetto che lo detiene, entra in
conflitto con l’esigenza di protezione che la controparte - in condizioni di inferiorità – manifesta.
Situazione, questa, che può giustificare l’apposizione di un limite al potere di sfruttamento del
vantaggio informativo e, dunque, l’obbligo di rendere edotto il partner della circostanza conosciuta
da lui soltanto. Ciò, secondo una sorta di meccanismo di “compensazione” volto a ricreare
condizioni di equilibrio tra le parti e considerato anch’esso come applicazione del principio della
buona fede. Appare, infatti, legittimo imporre al soggetto “forte” (che è, poi, colui che dispone di
più efficaci strumenti di conoscenza e che appare, comunque, in grado di assicurarsi l’accesso
all’informazione in maniera certamente più agevole rispetto alla controparte) l’obbligo di mettere al
corrente quest’ultima delle circostanze che rivestono decisivo rilievo nell’economia della
progettanda intesa. Inoltre, soprattutto nei contratti in cui una parte gode di una posizione
contrattuale più forte rispetto all’altra, l’informazione, per essere esauriente, deve possedere tutti gli
attributi della chiarezza e della verità: non qualunque informazione è in grado di rendere trasparente
il contratto “preconfezionato”, ma solo un’informazione di qualità atta a consentire di giungere con
consapevolezza alla valutazione dell’affare in termini di convenienza. In ragione di ciò, è necessario
che, accanto ad un obbligo positivo consistente nel trasmettere le informazioni in proprio possesso,
soggetto a cui è rivolto il raggiro conosce il fatto taciuto o l’autore della machinatio non agisce intenzionalmente o,
ancora, ritiene irrilevante trasmettere quel dato, non sarà possibile parlare di dolo. In altri termini, stante a Cod. civ. del
’42, “il semplice atteggiamento inerte è di per sé inidoneo a trarre in inganno, ma il silenzio tenuto in una data
circostanza può inserirsi in un complesso comportamento adeguatamente preordinato al fine dell’inganno” (così,
Bianca, Diritto Civile. Il contratto, Milano, 2000, p. 665).
10
V. Senigaglia, op. cit., p. 242
11
Cfr. Nervi, La nozione giuridica di informazione e la disciplina di mercato, 1998, I, 844
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vi sia un obbligo di contenuto negativo che imponga al soggetto di non procurare informazioni non
veritiere12.
Quanto sin qui detto, consente di comprendere le ragioni per cui la nozione di “trasparenza”
acquista un significato ed una funzione differenti se collocata nel contesto, relativamente recente,
dei contratti con i consumatori. Infatti, la garanzia di un consapevole consenso negoziale, nonché
l’eliminazione o attenuazione di asimmetrie informative, sono proprio maggiormente avvertite in
zone contrattuali – quali quelle relative ai contratti con i consumatori – nelle quali i pericoli di
isolamento informativo sono ulteriormente aggravati, ora dalla peculiarità della tecnica di
negoziazione, volta a cogliere di sorpresa l’interlocutore, ora dalla complessità dell’oggetto della
contrattazione. In particolare, le principali novità rispetto alla disciplina della trasparenza nei
contratti di diritto comune risiedono nel fatto che, nei contratti con i consumatori:
- la regola della trasparenza non è più solo genericamente ricavabile dal principio della buona
fede di cui all’art. 1175 c.c., ma ad essa il legislatore comunitario fa espresso riferimento, facendola
assurgere a principale strumento di tutela del consumatore;
- la trasparenza contrattuale si connota per una maggiore specificità, sia da un punto di vista
sostanziale (è spesso imposto un contenuto obbligatorio minimo dell’informazione da fornire), sia
da un punto di vista formale (per i nuovi contratti con i consumatori, si richiedono sempre più
spesso il rispetto della forma scritta e di un linguaggio chiaro e comprensibile, come fondamentali
garanzie di un consenso consapevole)
- l’obbligo della trasparenza, nei termini ora visti, è specificatamente imposto su un
determinato contraente, cioè l’imprenditore-professionista in quanto soggetto “forte” del rapporto
negoziale.
3) Il consumerism e la legislazione comunitaria: il c.d. intervento orizzontale e verticale.
Il nuovo “Codice del Consumo” (23 luglio 2005).
Il “consumerism”13, termine anglosassone con cui si suole designare il movimento sociale e
politico volto a rivendicare il ruolo centrale del cittadino e della sua protezione nell’ambito
12
Così, Senigalia, op. cit., p. 234
Per un’ampia analisi del fenomeno, v. in particolare Benacchio, Il diritto privato della Comunità europea, Padova,
2001
Sul tema hanno scritto, tra i tanti, anche: M. Bessone, Il “consumerism” degli anni ’80, in Pol. dir., 1983, p. 357 ss.; G.
Alpa, Il diritto dei consumatori, Roma, 1995; R. Senigaglia, Informazione contrattuale e trasparenza del mercato, in
Europa e diritto privato, 2002, p. 227 ss.; Alpa, Ancora sulla definizione di consumatore, in Contratti, 2001, n. 2, p.
13
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dell’organizzazione di uno Stato moderno, nacque negli Stati Uniti già negli anni ’30 e una decina
di anni dopo sbarcò anche in Europa. Tuttavia, sarà solo intorno agli anni ’60-’70 che il movimento
riuscirà ad ottenere i primi risultati concreti, quando quelle che erano semplici istanze sociopolitiche si trasformarono in atti legislativi e amministrativi rilevanti. Va registrato, però, l’ulteriore
ritardo dell’ordinamento italiano, ove prima della recente produzione normativa degli ultimi venti
anni – indotta dall’obbligo di conformazione alle direttive comunitarie – persino l’espressione
“tutela del consumatore” era pressoché assente dal linguaggio del legislatore.
E’ proprio in questo contesto che inizierà ad assumere ruolo centrale, nella legislazione
comunitaria, l’area dei c.d. “contratti con i consumatori” e – accanto ad essa – la funzione svolta
dalla regola della trasparenza.
In primo luogo, è sorta la figura di un particolare contraente, il consumatore, individuato di
volta in volta come “persona fisica che acquista beni” o “che utilizza servizi” (utente), o come
“persona che ricorre al credito” o “che investe i propri risparmi” (risparmiatore). In ogni caso, il
ricorso al termine avviene sempre in modo “residuale”, in quanto è considerato consumatore il
“non-professionista”, cioè colui che acquista beni o servizi per scopi non connessi all’esercizio di
un’attività professionale.
In secondo luogo, si è venuto man a mano formando un vero e proprio nuovo “diritto dei
contratti”, caratterizzato da almeno due elementi fondamentali: da una parte, l’introduzione di
strumenti giuridici nuovi, a tutela di uno solo dei contraenti; dall’altra parte, l’introduzione di una
nuova distinzione – scomparsa dall’ordinamento italiano dopo l’unificazione dei due codici, civile e
commerciale – tra contratti di diritto comune e contratti dei consumatori. Pertanto, l’elemento di
maggiore novità (comune ad ogni intervento normativo comunitario, in materia) è proprio
l’approccio soggettivo che connota tali interventi. In tal modo, il legislatore comunitario sembra
rinnegare il tradizionale sistema fondato sull’irrilevanza della qualificazione economica delle parti
del rapporto, per approdare ad una regola diversificata di rapporti contrattuali in virtù delle
caratteristiche soggettive di chi li ponga in essere14. In questo contesto, il contratto tra imprenditoreprofessionista e persona fisica non professionista, indipendentemente dall’accertamento
205 ss.; Alessi, Diritto europeo dei contratti e regole di scambio, in Europa e diritto privato, 2000, n. 4, p. 961; G.
Benedetti, Tutela del consumatore e autonomia contrattuale, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1998, p. 17 ss.; G. Alpa, G.
Chinè, voce Consumatore (protezione del) nel diritto civile, in Digesto, XV ed., sez. civ., Torino, 1997, p. 549
14
Cfr. in tal senso, Chinè, Il diritto comunitario dei contratti, in Trattato di diritto privato, diretto da M. Bessone, vol.
26 (Il diritto privato dell’Unione Europea), a cura di A. Tizzano, Torino, 2000, p. 617
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dell’esistenza di un abuso da parte del primo, è sempre soggetto alle nuove regole speciali. Da ciò si
evince che l’insieme delle regole previste dalle direttive comunitarie in materia di contratto non ha
per oggetto la tutela, sempre e comunque, di un contraente “debole”, ma la tutela del consumatore
tout court: la persona fisica che abbia stipulato un contratto in qualità di consumatore avrà sempre
la possibilità di utilizzare gli strumenti comunitari a disposizione, senza dover fornire la prova di
essere un contraente debole. Viceversa, un qualsiasi (altro) contraente debole (sia esso
imprenditore, oppure persona fisica che stipula un contratto con altra persona fisica-non
imprenditore) potrà eventualmente far ricorso agli strumenti nazionali (come l’azione di risoluzione
o l’annullamento del contratto), ma mai potrà avvalersi delle norme a tutela del consumatore
In terzo luogo, per l’argomento che qui interessa, tutte le direttive in materia sono accomunate
da una particolare attenzione al diritto di informazione (prima e dopo la conclusione del contratto),
quale strumento di realizzazione della trasparenza contrattuale. Essa – nel nuovo contesto in cui è
inserita – viene ad assumere connotati e funzioni prima sconosciuti e la sua portata è duplice, in
quanto la trasparenza nei contratti con il consumatore acquista rilievo non solo da un punto di vista
formale (chiarezza e comprensibilità del testo), ma anche sostanziale (obbligo di fornire un
contenuto minimo di informazioni). Non c’è dubbio, infatti, che i contratti con i consumatori
rappresentano, da un lato, uno dei terreni elettivi per la “rinascita del formalismo”, la cui ratio è
ovviamente una più intensa protezione del consumatore stesso15: imporre una determinata modalità
formale al contratto significa offrire superiore certezza e conoscibilità di diritti e obblighi
contrattuali. Dall’altro lato, la trasparenza impone anche una completezza dell’oggetto contrattuale:
spesso si richiede che a monte del contratto il consumatore riceva dalla controparte una lunga serie
di informazioni precontrattuali (talora da organizzare in apposito documento informativo) e che il
contratto debba contenere una lunga serie di elementi esplicativi del contenuto delle prestazioni
dedotte. A ben vedere, vincoli di forma e vincoli di trasparenza/completezza sono le due facce di
una stessa medaglia: i primi sono funzionali ai secondi, che a loro volta presuppongono i primi.16
Inoltre, va anche sottolineato il legame che il legislatore comunitario ha voluto creare tra
diritto di informazione e diritto di recesso del consumatore, nel senso che, spesso, gli obblighi di
15
In questo modo il dovere di informare non rileva più solo come semplice reticenza, in termini di dolo o inganno, ma
altresì come insieme di obblighi comportamentali a contenuto positivo diretti a rendere edotta la parte che versa in uno
stato di debolezza conoscitiva: in base alla disciplina comunitaria, le parti vengono obbligate a scambiarsi delle
informazioni mediante il loro inserimento nel testo del contratto.
16
In tal senso, cfr. Roppo, Contratto di diritto comune, contratto del consumatore. Genesi e sviluppi di un nuovo
paradigma, in Il contratto e le tutele, a cura di Mazzamuto, Torino, 2002, p. 642
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informazione concernenti il diritto di recesso (e le modalità del suo esercizio) diventano elementi
che possono determinare la durata del periodo utile per esercitare quel diritto: ciò, nel senso che la
mancanza delle informazioni prescritte ha – tra le sue conseguenze – pure il prolungamento del
termine entro cui il consumatore può decidere di esercitare il recesso previsto dalla legge (cfr., per
esempio, la normativa concernente i contratti negoziati fuori dai locali commerciali, o i contratti
negoziati a distanza).
L’obiettivo di trasparenza, quale sinonimo di informazione completa, di conoscibilità
adeguata delle condizioni contrattuali praticate, è stato perseguito nel panorama comunitario
seguendo due fondamentali percorsi alternativi. Si tratta, cioè, delle risposte fornite rispettivamente
dalla normativa generale delle clausole abusive nei contratti con i consumatori, da un verso, e dalla
normativa consumeristica di settore, per altro verso.
In effetti, per esaminare come tutti i nuovi aspetti della disciplina contrattuale (anche sotto il
profilo della trasparenza) siano entrati a far parte del nostro ordinamento giuridico, è importante
sottolineare che l’intervento del legislatore comunitario in materia di contratti si svolge secondo due
tipologie:
-orizzontale (o generale), quando la direttiva regola alcune caratteristiche generali della
contrattazione, indipendentemente dal tipo di operazione economica o dal contratto che si stipula
(massimo esempio è la direttiva sulle clausole abusive, il cui contenuto si riferisce ad una serie
vastissima di contratti e non ad una figura specifica)
-verticale (o settoriale), quando la normativa riguarda un particolare contratto od operazione
economica. Soprattutto in tal caso, la tutela della trasparenza viene perseguita attraverso
l’elencazione dettagliata e minuziosa delle singole informazioni da fornire al consumatore. Il dovere
di trasparenza si risolve, infatti, nell’obbligo per il contraente informato (c.d. contraente forte) di
rendere conoscibili al cliente i termini esatti dell’operazione economica in via di conclusione,
consentendogli di essere informato su clausole di contratti, prima che esse divengano per lui
vincolanti. In tal modo, il consumatore diviene beneficiario di una copiosa serie di informazioni, sia
egli acquirente in una vendita conclusa fuori dai locali commerciali (dir. 85/577/CEE) o mediante
un contratto a distanza (dir. 97/7/CEE), sia esso acquirente di un pacchetto di viaggi “tutto
compreso” (dir. 90/314/CEE) o di un diritto di godimento a tempo parziale su beni immobili (dir.
94/47/CEE). Si tratta, per lo più, di zone contrattuali nelle quali i pericoli di isolamento informativo
10
Dott.ssa Valentina Tomarchio
sono aggravati, ora dalla peculiarità della tecnica di negoziazione, volta cogliere di sorpresa
l’interlocutore, ora dalla complessità dell’oggetto della contrattazione. Da qui, l’opportunità di
interventi correttivi volti a bilanciare le debolezze di partenza attraverso la statuizione, soprattutto
nella fase precontrattuale, di rigorosi obblighi di informazione, nel presupposto che ai fini di una
corretta formazione della volontà negoziale sia indispensabile una conoscenza esatta e costante del
contenuto della contrattazione.
Va segnalata, da ultimo, la recente adozione, da parte dell’ordinamento italiano, di un Codice
del Consumo, che è finalizzato a riordinare e semplificare la normativa sulla tutela dei
consumatori, in coordinamento con i principi e gli indirizzi affermati in sede comunitaria.
Il testo del Codice del Consumo è stato approvato in via definitiva dal Consiglio dei ministri il
23 luglio 2005 ed è opera di una commissione istituita presso il Ministero che ha raccolto alcuni tra
i maggiori studiosi ed accademici in materia di tutela giuridico-economica del consumatore. Il
Codice - uno dei dieci interventi di codificazione che la legge 229/2003 ha affidato al Governo
nell'ambito del progetto di riassetto normativo annunciato nel 2001- raccoglie e armonizza in un
unico testo le norme e le disposizioni di 21 provvedimenti in materia di tutela del consumo. Si
compone di 146 articoli suddivisi in sei parti e copre tutte le fasi del consumo, dal momento
dell'acquisto alle possibili azioni di difesa del consumatore. Tra le norme che vi confluiscono:
quelle del Codice civile sulle clausole abusive e sulla garanzia, i decreti legislativi sulle vendite a
distanza e fuori dai locali commerciali, i pacchetti turistici, la pubblicità. E’ senz’altro apprezzabile
l’atteso riordino sistematico delle norme esistenti, operato raccordando previsioni fin qui
disseminate nell’ordinamento ed anzi includendo tematiche in qualche misura lontane dalla
tradizionale tutela del consumatore: significativa è la sezione introduttiva dedicata ad educazione,
informazione e pubblicità, dove sono posti in evidenza, insieme ai principi fondamentali connessi al
diritto all’informazione, anche alcuni interessanti richiami alla tutela del minore o al divieto di
televendite che si giovino dello sfruttamento della superstizione o della credulità, con evidente
riferimento ai servizi di astrologia, cartomanzia ed assimilabili.
In conclusione, il Codice del Consumo sembra rappresentare un ulteriore passo importante per
la tutela dei consumatori, che finalmente avranno un testo organico a difesa dei loro diritti. Il
provvedimento, che riunisce tutte le norme esistenti sulla tutela dei consumatori, mira infatti a
11
Dott.ssa Valentina Tomarchio
rafforzare la tutela del cittadino attraverso la semplificazione e il coordinamento legislativo. Il
Codice è orientato a favorire l’informazione del consumatore, a tutelarlo nella fase di raccolta delle
informazioni, ad assicurare la correttezza dei processi negoziali e delle forme contrattuali da cui
discendono le decisioni di acquisto. Vengono definiti, inoltre in modo chiaro, i diritti e gli interessi
individuali e collettivi dei consumatori e degli utenti, promuovendone la tutela in sede nazionale e
locale, anche in forma collettiva. In particolare, il testo regola la corretta informazione all’utente e il
suo diritto di recesso, la trasparenza del mercato, la correttezza della negoziazione contrattuale,
l’accesso alla giustizia per il consumatore, la certificazione e gli standard di qualità.
4) Trasparenza e clausole vessatorie: gli artt. 1469-bis e ss. Cod. Civ.
La Direttiva n. 93/13, in tema di “clausole abusive” nei contratti stipulati con i consumatori,
rappresenta il più significativo intervento comunitario in materia di contratti, di tipo “orizzontale”.
Essa, recepita nel nostro ordinamento con la legge comunitaria n. 52/96, ha ricevuto
attuazione mediante l’inserimento nel Cod. Civ. di cinque nuovi articoli, dal 1469-bis al 1469sexies, all’interno di un nuovo Capo XIV-bis (del Titolo II, Libro IV, c.c.) intitolato “Dei contratti
del consumatore”.
Tale normativa si caratterizza per essere destinata a disciplinare solo i contratti conclusi tra il
consumatore (“persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale o
professionale eventualmente svolta”: art. 1469-bis, prima parte del 2° co.) e il professionista
(“persona fisica o giuridica, pubblica o privata, che, nel quadro della sua attività imprenditoriale o
professionale”, utilizza per l’appunto lo strumento del contratto con i consumatori: art. 1469-bis,
seconda parte del 2° co.).
L’obiettivo fondamentale della disciplina in esame è quello di tutelare il consumatore –
mediante la sanzione della c.d. inefficacia relativa (art. 1469-quinques) – da possibili clausole che,
normalmente già predisposte dal professionista, possono comportare un disequilibrio tra le
obbligazioni reciproche. Infatti, a parte le specifiche elencazioni di cui agli artt. 1469-bis, III co.
(c.d. “lista grigia”) e 1469-quinqes, II co., (c.d. “lista nera”), una clausola si considera vessatoria
(secondo la definizione generale di cui all’art. 1469-bis, I co.) quando determini un “significativo
squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto”, squilibrio che risulti – secondo
12
Dott.ssa Valentina Tomarchio
l’opinione ormai dominante in dottrina - in contrasto con il principio di buona fede, intesa in senso
oggettivo17.
Il ruolo di primo piano assolto dalla trasparenza, nell’ambito della normativa sulle clausole
vessatorie, emerge anzitutto sotto il profilo della modalità con cui l’informazione deve essere
fornita: è tipico della normativa generale sui contratti con i consumatori il fatto che non rileva solo
la mancata informazione dal punto di vista del suo contenuto, ma che assume decisiva importanza
anche il modo con cui l’informazione deve essere resa al consumatore.
Ciò lo si evince dall’art. 1469-quater c.c., il quale ha effettuato una vera e propria
codificazione del principio di trasparenza (intesa come modalità dell’informazione), nel momento
in cui stabilisce che la redazione delle clausole proposte per iscritto al consumatore deve essere
sempre chiara e comprensibile. Il testo della norma, dunque, specifica l’onere del professionista di
non limitarsi a far conoscere al consumatore il testo delle disposizioni contrattuali, ma soprattutto di
utilizzare clausole intellegibili.
Una questione che si pone all’attenzione degli interpreti riguarda, però, il tipo di sanzione che
consegue alla violazione della suddetta regola di trasparenza. Una prima indicazione viene fornita
dal secondo comma dello stesso art. 1469-quater, il quale legittima la c.d. “interpretatio contra
proferentem”, nel senso che le clausole ambigue vanno interpretate nel significato più favorevole al
consumatore, conformemente alla regola dettata in tema di interpretazione delle clausole inserite in
condizioni generali di contratto, moduli o formulari.
Quelle insuscettibili di essere comprese da un soggetto di media capacità ed intelligenza
devono, secondo parte della dottrina, ritenersi invece non incluse nel contenuto del contratto, ferma
restando la possibilità di una loro accettazione da parte del consumatore.18
Le tesi proposte in dottrina, in alternativa a quella della non inclusione delle clausole
incomprensibili, sono quella dell’invalidità e quella della vessatorietà causata dalla contrarietà alla
buona fede del difetto di trasparenza. In particolare, secondo alcuni19 il carattere vessatorio della
clausola dipende dalla circostanza che “lo squilibrio sia qualificato dalla incompatibilità con il
requisito della buona fede: il difetto di trasparenza attiene proprio a tale qualificazione”.
17
V., per tutti, Bianca, Diritto Civile. Il contratto, cit., p. 379
Bianca, Diritto civile. Il contratto, Milano, 2000, p. 390
19
Di Giovanni, La regola di trasparenza nei contratti dei consumatori, Torino, 1998
18
13
Dott.ssa Valentina Tomarchio
Su questa stessa posizione si colloca anche la tesi, recentemente sostenuta in dottrina, secondo
cui la nozione di trasparenza può ricavarsi proprio dalle disposizioni concernenti la definizione di
vessatorietà20. Infatti, secondo la novella apportata al Cod. Civ. per effetto del recepimento della
Direttiva 93/13, una clausola è vessatoria non solo se “comporta un significativo squilibrio di diritti
e obblighi” contrario alla buona fede (art. 1469 bis), ma anche se non è stata oggetto di trattativa
individuale (art. 1469 ter, IV co.). La ratio della norma risiederebbe nel fatto che la trattativa
neutralizza la vessatorietà non tanto perché riesce ad eliminare ogni disparità sostanziale, quanto
piuttosto perché riesce a creare un consenso consapevole, cioè informato. Da ciò, l’A. fa conseguire
la seguente equivalenza: trattativa individuale = formazione di un consenso consapevole =
informazione = trasparenza. Pertanto, siccome la mancanza di trattativa individuale consente di
considerare vessatoria una clausola, anche la mancanza di trasparenza (con cui viene ad identificarsi
il concetto di trattativa) comporterebbe l’apertura di un giudizio di vessatorietà. In questo modo, la
violazione dell’art. 1469 quater, lungi dal comportare solo il rimedio di cui al secondo comma della
stessa disposizione, determinerebbe il più grave effetto di cui all’art. 1469 quinques.
Infine, un peculiare effetto del difetto di trasparenza, espressamente previsto dal legislatore, è
quello di attrarre nella valutazione della vessatorietà le clausole che determinano in modo non
chiaro l’oggetto o il corrispettivo (art. 1469 ter). Se, infatti, la normativa sui contratti del
consumatore ha inteso rimettere le determinazioni del prezzo e dell’oggetto al gioco del libero
mercato e della libera concorrenza, tuttavia ha subordinato questa possibilità all’onere del
professionista di formularle in modo chiaro e comprensibile. Pena, l’apertura del giudizio di
vessatorietà anche per le suddette clausole, la cui valutazione presuppone ovviamente che il giudice
ne accerti il significato, verificandone l’incomprensibilità da parte di persona di media capacità ed
intelligenza. Lo squilibrio a carico del consumatore dovrà allora essere corretto dichiarando
l’inefficacia della clausola oscura e, se del caso, riportando ad equità il rapporto (ad es., sostituendo
un prezzo equo al prezzo difficilmente percettibile nel suo ammontare)21.
Va da ultimo precisato che, secondo la nozione di trasparenza intesa anche in senso
sostanziale e non solo formale, è obbligo del professionista, oltre che formulare le clausole in modo
intellegibile, fornire altresì al consumatore ogni informazione necessaria ad ottenerne un consenso
L’analisi è stata accuratamente formulata da G. Marcatajo, Asimmetrie informative e tutela della trasparenza nella
politica comunitaria di consumer protection, in Europa e diritto privato, 2000, p. 751 ss.
20
21
Così, Bianca, Diritto civile. Il contratto, op. cit., p. 391
14
Dott.ssa Valentina Tomarchio
consapevole, stante l’operatività, anche e soprattutto nel settore dei contratti con i consumatori,
della regola della buona fede in senso oggettivo. Proprio questo secondo aspetto della nozione di
“trasparenza”, peraltro, è posto in particolare risalto dalla normativa consumeristica di settore (v.
infra, par. 2.2. ess.)
5) La trasparenza quale mero strumento per l’effettivo esercizio del diritto di recesso: i
contratti negoziati fuori dai locali commerciali (dir. 85/577 e d.lgs. 50/1992)
Oggetto della normativa in esame sono tutti quei contratti aventi ad oggetto la fornitura di
beni o la prestazione di servizi, stipulati durante la visita dell’operatore commerciale presso il
domicilio del consumatore o sul posto di lavoro del consumatore, o in un’area pubblica o aperta al
pubblico, o in base ad un catalogo che il consumatore ha avuto modo di consultare senza la
presenza dell’operatore commerciale o durante una escursione da quest’ultimo organizzata fuori dai
propri locali commerciali22.
Si tratta, pertanto, di contratti predisposti da un imprenditore e normalmente contenuti in un
modulo o formulario, che vengono sottoposti alla firma di un contraente (consumatore) colto di
sorpresa, spesso sulla porta dell’abitazione (e quindi “impreparato”), il quale - per sottrarsi
all’aggressività del proponente e vinto dalla sua capacità persuasiva – finisce per aderire alla
proposta senza la piena convinzione di tutte le conseguenze che quella firma comporta23.
Il perno centrale attorno a cui ruota questo primo intervento “verticale” in materia di contratti
con i consumatori è la previsione del diritto di recesso (c.d. ius poenitendi) che, incrinando il dogma
dell’efficacia vincolante del contratto e della sua obbligatorietà tra le parti, è attribuito al
22
Si segnala la recente legge in materia di vendita diretta a domicilio (legge n. 173/2005), secondo la quale si
intendono: a) per "vendita diretta a domicilio", la forma speciale di vendita al dettaglio e di offerta di beni e servizi, di
cui all'articolo 19 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114, effettuate tramite la raccolta di ordinativi di acquisto
presso il domicilio del consumatore finale o nei locali nei quali il consumatore si trova, anche temporaneamente, per
motivi personali, di lavoro, di studio, di intrattenimento o di svago; b) per "incaricato alla vendita diretta a domicilio",
colui che, cono senza vincolo di subordinazione, promuove, direttamente o indirettamente, la raccolta di ordinativi di
acquisto presso privati consumatori per conto di imprese esercenti la vendita diretta a domicilio; c) per "impresa" o
"imprese", l'impresa o le imprese esercenti la vendita diretta a domicilio di cui alla lettera a).
23
Sull’argomento, v. in particolare: Annecca, Nozione di consumatore e rilevanza dello scopo nei contratti negoziati
fuori dai locali commerciali, in Riv. crit. dir. priv., 1998, p. 527 ss.; Astone, I contratti negoziati fuori dai locali
commerciali, in Diritto privato europeo, Vol. II, a cura di Lipari N., Padova, 1997, p. 808 ss.; Gorgoni, Sui contratti
negoziati fuori dai locali commerciali alla luce del d. lgs. 50/1992, in Contratto e Impresa, 1993, p. 183 e ss;
Scannicchio, Vendite fuori dai locali dell’impresa, diritto di recesso ed effetti delle direttive comunitarie nei rapporti
tra privati, in Giur. it., 1996, I, p. 99 ss.
15
Dott.ssa Valentina Tomarchio
consumatore (art. 4, d.lgs.), consentendogli di esercitarlo anche senza giusta causa ed a contratto già
concluso (entro sette giorni).
In effetti, tutta la disciplina è incentrata sul diritto di recesso, per la prima volta introdotto a
beneficio del consumatore, come rimedio forte ed esclusivo della tutela del contraente colto di
sorpresa, cioè come l’unico strumento pensato per proteggere il consumatore (in quanto small-time
decisionmaker) dal rischio di una inconsapevolezza del consenso manifestato, derivante dal c.d.
“effetto sorpresa”.
Ne deriva che la stessa regola della trasparenza, in questo contesto che inaugura la stagione
della disciplina “settoriale” in materia di contratti con i consumatori, ha un ruolo marginale e solo
strumentale. Infatti, l’obbligo di informazione è tutto incentrato sul rimedio del diritto di recesso e
sulle modalità per esercitarlo. In particolare, il d.lgs. n. 50/’92 formula una disciplina piuttosto
dettagliata (art. 5, d.lgs.): l’informazione relativa all’esistenza del diritto di recesso deve contenere
l’indicazione di termini, modalità e condizioni per l’esercizio del diritto, nonché l’indicazione
(comprensiva di indirizzo o sede legale) del soggetto verso cui va esercitato il recesso e del soggetto
a cui eventualmente restituire il bene. Si prevede, pertanto, un “contenuto minimo”
dell’informazioni sul recesso che deve essere resa al consumatore al momento o prima della stipula
del contratto.
Inoltre, a prova del fatto che, soprattutto in ambito comunitario, la disciplina dei doveri di
informazione riguarda anche il modo con cui l’informazione va data, nello stesso decreto di
recepimento è prevista una complessa regolamentazione circa le modalità di informare.
In primo luogo, è richiesta, per l’informazione sul recesso, la forma scritta, la cui previsione è
però difficilmente inquadrabile nell’ambito codicistico, sia sul piano degli effetti che della
fattispecie. Non si tratta, infatti, di una forma scritta riconducibile all’atto pubblico o alla scrittura
privata, né le conseguenze di una sua violazione assumono rilievo ai fini della validità, della prova o
dell’opponibilità dell’atto.
Taluno ha perciò parlato di una “forma con finalità protettiva”24, della quale tuttavia sembra
difficile trovare altri esempi nel nostro ordinamento, se non in tema di tutela del consumatore.
In secondo luogo, sono prescritte ulteriori modalità con cui l’informazione sul recesso deve
essere fornita, a seconda delle diverse ipotesi che si possono prospettare.
24
V. Gorgoni, Sui contratti negoziati fuori dai locali commerciali alla luce del d. lgs. 50/1992, cit., p. 183
16
Dott.ssa Valentina Tomarchio
Così, nel caso di contratti negoziati “a domicilio” (intendendosi, con ciò, anche quelli
negoziati per strada, presso un luogo di cura, di lavoro, ecc.), il d.lgs. ’92 distingue a seconda che il
consumatore sottoscriva o meno la c.d. “nota d’ordine” contenente le condizioni generali di vendita
sottopostegli dall’agente.
Nel primo caso, l’informazione deve essere: a) contenuta nella nota d’ordine; b) separata dalle
altre clausole recanti le condizioni generali di vendita; c) illustrata con caratteri tipografici almeno
uguali a quelli utilizzati nel resto del documento (art. 5.2).
Se, invece, non viene predisposta una nota d’ordine, l’informazione deve essere resa al
momento della stipulazione del contratto o al momento della stipulazione della proposta del
consumatore. Il documento deve contenere anche l’indicazione del luogo e della data in cui viene
consegnato al consumatore e gli estremi del contratto cui si riferisce; l’operatore commerciale può
farne sottoscrivere – con evidenti finalità documentali – una copia al consumatore (art. 5.3).
Infine, se la vendita avviene per corrispondenza o comunque in base ad un catalogo,
l’informazione deve essere riportata (sempre con caratteri almeno uguali a quelli delle altre
informazioni) sul catalogo stesso o su altro documento che illustra la merce o il servizio o anche
nella nota d’ordine. In quest’ultimo caso, poi, deve esservi anche un rinvio all’informazione più
analitica altrove disposta, a patto che nella nota d’ordine siano in ogni caso indicati il diritto di
recesso e il relativo termine.
Un ultimo punto da considerare concerne la sanzione prevista in caso di omessa informazione
in materia di recesso (o informazione fornita in modo non trasparente).
La violazione del dovere di informazione sul recesso comporta, oltre ad una sanzione
pecuniaria amministrativa e fatta salva l’applicazione della legge penale, anche una sanzione civile
che pone in evidenza il legame tra obbligo di informazione e diritto di recesso. Nell’art. 6, II co.,
d.lgs., è previsto, infatti, un prolungamento del termine entro cui recedere (altri sessanta giorni dalla
data di stipulazione del contratto riguardante la prestazione di servizi; o dalla data di ricevimento
della merce, nel caso di contratti riguardanti la fornitura di beni). La norma ruota intorno al nesso
tra violazione del dovere di informazione sul recesso e modalità di esercizio di questo, secondo la
scelta del legislatore comunitario di sanzionare la violazione di quel dovere mediante il
prolungamento dello spatium deliberandi riservato al titolare del diritto di recesso.
17
Dott.ssa Valentina Tomarchio
Tuttavia, la soluzione presta il fianco a non poche critiche: l’operatore commerciale che sia
rimasto reticente nel termine più breve originariamente previsto (sette giorni), è molto probabile che
continui a tacere l’informazione circa il diritto di recesso anche nei successivi sessanta giorni;
pertanto, l’utilità del prolungamento di quel termine – pensata a favore del consumatore – viene
ovviamente meno, dato che quest’ultimo continua a restare all’oscuro in ordine al proprio diritto di
recesso.
E’ per questo che sono state prospettate anche ulteriori soluzioni: una prima possibile è quella
di cui supra, par. 2.1., che prevede la possibilità, in alternativa al recesso, di aprire un giudizio di
vessatorietà sulla clausola non trasparente, qualora ne ricorrano i presupposti.
Da altri è stata prospettata, poi, la soluzione dell’annullamento del contratto per dolo, ove si
convenisse circa il fatto che il comportamento reticente ha viziato la volontà del consumatore; altri
ancora hanno suggerito la soluzione del recesso senza termine. Infine, c’è anche chi parla di nullità
per violazione di norma imperativa (cioè, della norma che impone l’informazione sul diritto di
recesso)25.
In ogni caso, comunque, si potrebbe prevedere – come ulteriore conseguenza a carico del
professionista – il risarcimento del danno per omessa informazione, responsabilità che potrebbe
avere natura precontrattuale, qualora l’informazione errata o incompleta fosse stata resa prima della
conclusione del contratto26. Infatti, non c’è dubbio che tali tipi di contratti con i consumatori, pur
non presentando una fase precontrattuale nel senso tradizionale del termine, comunque sono
preceduti da un momento pre-negoziale che è proprio quello in cui il professionista contatta il
consumatore prospettandogli la conclusione di un contratto, sia pure già unilateralmente formato.
Ed è proprio in questo momento, che necessariamente deve precedere l’eventuale accettazione del
consumatore, che il professionista deve metterlo nella condizione di garantirgli un consapevole
consenso, per l’appunto fornendogli tutte le informazioni prescritte nella normativa in esame, sia in
ordine al loro contenuto che alla loro modalità.
Risulterà, pertanto, applicabile il disposto di cui all’art. 1337 c.c. (con conseguente
risarcimento danni nei limiti del c.d. interesse negativo), il cui richiamo alla clausola generale della
25
Roppo, Contratto di diritto comune, cit., p. 642
Nell’art. 4 del citato d.lgs, infatti, si legge che non solo per i contratti ma anche per le “proposte contrattuali” soggette
alla suddetta disciplina “il professionista deve informare per iscritto il consumatore circa il diritto di recesso”.
26
18
Dott.ssa Valentina Tomarchio
buona fede è riferibile a qualunque momento precontrattuale, tanto più laddove quella clausola
generale è necessaria ai fini di un riequilibrio delle posizioni delle parti.
Qualora, poi, tali contratti contengano clausole vessatorie (a norma degli artt. 1469-bis e ss.
c.c.) sarà applicabile anche l’art. 1338 c.c., per omessa comunicazione di una causa di inefficacia.
6) La trasparenza assurge a strumento centrale nella tutela del consumatore: i contratti
di viaggio “tutto compreso” (dir. 90/314 e d. lgs. 111/1995)
La normativa riguarda tutti i contratti aventi ad oggetto i viaggi, le vacanze ed i circuiti tutto
compreso, risultanti dalla prefissata combinazione di trasporto e alloggio (oppure, alternativamente,
di trasporto o alloggio assieme ad altri servizi), servizi venduti o offerti in vendita ad un prezzo
forfetario, nonché di durata superiore alle ventiquattro ore (cfr. art. 2, d.lgs.)27.
La disciplina in esame segna una svolta significativa in ordine al ruolo della trasparenza che,
non più incentrata esclusivamente sul diritto di recesso, diviene essa stessa, in quanto tale,
principale strumento di tutela del consumatore, con un conseguente ampliamento del contenuto
delle informazioni obbligatorie minime da fornire.
In altri termini, al ruolo dell’informazione viene ora attribuita una importanza straordinaria,
commisurata all’altrettanto importante funzione che essa è chiamata ad assolvere nella normativa
comunitaria: la funzione di potenziare, quanto più possibile, la posizione del consumatore, che si
trova ad approdare alla conclusione del contratto passando per una fase pre-negoziale di solito
piuttosto breve, in cui deve affrontare le sollecitazioni provenienti dall’operatore commerciale e
spesso trovandosi di fronte ad un contratto già predisposto unilateralmente dall’altra parte. Infatti, il
contratto in questione si inserisce a pieno titolo tra quelli a contenuto predeterminato e di adesione:
una negoziazione è sì, in astratto, possibile, ma solo nella sua connotazione di mezzo di circolazione
delle informazioni e non in quella tradizionale di “formazione congiunta del contenuto
contrattuale”.
La disciplina de qua presenta una forte attenzione alla trasparenza contrattuale in tutte le fasi
dello svolgimento del rapporto contrattuale: l’intento è quello di imporre al fornitore del servizio
Sull’argomento, v. tra gli altri: Demarchi, La direttiva sui viaggi e vacanze tutto compreso, in Resp. civ. prev., 1992,
p.518 e ss.; Lezza, I contratti di viaggio, in Diritto privato europeo, vol. II, a cura di Lipari N., Padova, 1997, p. 869 e
ss.; Tommasini, Interventi normativi sulla responsabilità degli operatori turistici nei contratti di viaggio tuttocompreso, in Giust. civ., 2000, V, 255; Tassoni, Il nuovo d. lgs. sui viaggi organizzati, in Contratti, 1995; La Torre, Il
contratto di viaggio tutto-compreso, in Giust. civ., 1996, II, p. 27ss.
27
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Dott.ssa Valentina Tomarchio
un’informazione chiara e precisa (arg. ex artt. 6 e 9, primo comma, d.lgs.), da affidare
principalmente alle comunicazioni rese per iscritto in sede di trattativa, sia ai sensi dell’art. 8, I co.,
sia eventualmente tramite la messa a disposizione del c.d. “opuscolo informativo” (di cui all’art. 9):
informazione prima della conclusione del contratto. Inoltre, l’art. 7 indica gli elementi che non
devono mancare nel contratto (che va redatto “in forma scritta, in termini chiari e precisi”),
nell’intento di assicurare al consumatore una compiuta ulteriore informazione sul suo contenuto:
informazione al momento della conclusione del contratto. Infine, l’art. 8, II co., indica una serie di
informazioni che il venditore deve rendere “prima dell’inizio del viaggio”: informazioni dopo la
conclusione del contratto
Questo complesso di informazioni si pongono come funzionali all’esigenza di espressione, da
parte del consumatore, di un consenso consapevole, ma anche all’esigenza di consentirgli la piena
controllabilità della corrispondenza tra promessa ed esecuzione.
In questo contesto, pertanto, sin dalla fase delle trattative, non è sufficiente sottoporre al
cliente un generico programma di viaggio, ma la normativa elenca dettagliatamente le informazioni
precontrattuali ritenute indispensabili per determinare poi con trasparenza il contenuto del futuro
contratto. Significativa è, al riguardo, la funzione svolta dal c.d. opuscolo informativo, il quale
rappresenta il momento iniziale – anche se solo eventuale – del processo informativo e che in
concreto usa presentarsi sotto forma di catalogo, di depliant, di brochure, ecc. Si prevede, così (art.
9, primo co.), che devono essere indicati in modo chiaro e preciso: a) la destinazione, il mezzo, il
tipo, la categoria di trasporto utilizzato; b) la sistemazione in albergo, la sua ubicazione, la
categoria, le caratteristiche principali; c) l’itinerario; d) il prezzo da versare, l’acconto, ecc. .
Da ciò si nota, in primo luogo, che viene effettuata una “predeterminazione” legislativa del
contenuto informativo di uno strumento di promozione (oltre che di informazione), proprio per
garantire al consumatore la possibile confrontabilità delle diverse offerte.
In secondo luogo, viene stabilito (art. 9, sec. co.) che per il semplice fatto della sua messa a
disposizione (pur se non sia stato direttamente consegnato ad un determinato consumatore),
l’opuscolo vincola gli operatori a fornire le prestazioni ivi menzionate, che non sono più suscettibili
di modifica, salvo che questa sia comunicata per iscritto al viaggiatore prima della conclusione del
contratto o, se il contratto è già stato concluso, tra i contraenti mediante uno specifico accordo
scritto. In caso contrario, “il venditore o l’organizzatore rispondono secondo le rispettive
20
Dott.ssa Valentina Tomarchio
responsabilità”. In altri termini, secondo questa regola, una volta che il contratto sia stato
stipulato,le informazioni contenute nell’opuscolo, quantunque fornite unilateralmente prima della
stipula, entrano a far parte del contenuto del contratto, tanto che solo mediante un patto aggiunto
successivo esse potranno essere modificate, dopo la partenza.
Un’autorevole dottrina28 ha ritenuto di ricavare, proprio da questa regola, un possibile rimedio
a fronte della violazione dell’obbligo di informazioni che necessariamente il contratto deve
contenere, ai sensi del citato art. 7 d.lgs. Infatti, “la violazione dell’art. 7 non appare più a questo
punto priva di sanzione, come è in apparenza nella disciplina in esame. (…) Ove il contratto manchi
di uno degli elementi indicati dal decreto all’art. 7 deve infatti ritenersi che il consumatore ben
possa avvalersi di questa integrazione con il contenuto dell’opuscolo informativo e pertanto
pretendere di comparare con esso l’esattezza dell’adempimento”. Dunque, i dati che devono essere
inseriti nell’opuscolo sono caratterizzati dall’essere destinati a confluire successivamente nel
contratto medesimo: viene utilizzata, così, la tecnica di “anticipare” (ad un momento antecedente
all’inizio dell’iter di formazione del contratto) la conoscenza del futuro contenuto dello stesso, in
modo da consentire un più meditato “avanzamento” ad ulteriori ed eventuali stadi delle trattative.
Secondo questo A., pertanto, l’informazione precontrattuale si presta ad essere configurata come un
segmento dell’accordo, quale fonte di promessa per il venditore, consentendo così di “far
trascorrere l’informazione dall’area della correttezza in sede precontrattuale a quella
dell’obbligazione contrattuale”.
Inoltre, la sanzione alla regola della trasparenza, intesa come informazioni minime obbligate
da rendere prima della conclusione del contratto, verrebbe trasferita – nel caso di contratti con il
consumatore – dal terreno classico della responsabilità precontrattuale a quello della responsabilità
contrattuale, quale responsabilità da inadempimento o da inesatto adempimento.
7) Segue: l’acquisto in multiproprietà (dir. 94/47 e d.lgs. 427/98)
Mutuato dall’esperienza francese, il termine “multiproprietà” indica il diritto di una persona a
godere o disporre di un determinato bene, solitamente immobile, per un periodo delimitato
dell’anno ed una durata tendenzialmente perpetua.
28
Rosalba Alessi, Consensus ad idem e responsabilità contrattuale, in Il contratto e le tutele, a cura di Mazzamuto, cit.,
p. 126 e ss.
21
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Pertanto, si ha “multiproprietà immobiliare” quando la medesima unità di un complesso
residenziale (o l’intera struttura) vengono alienate ad una pluralità di soggetti, ciascuno dei quali
acquisisce il diritto di goderne in modo esclusivo e perpetuo, ma per un periodo dell’anno limitato,
secondo un avvicendamento turnario prefissato al momento dell’acquisto.
La Comunità Europea è intervenuta in tema di multiproprietà immobiliare con la dir. 94/47,
concernente la “tutela dell’acquirente per taluni aspetti dei contratti relativi all’acquisizione di un
diritto di godimento a tempo parziale di beni immobili”.
Essa è stata attuata dal d.lgs. 427/98, che – al pari della direttiva – evita di qualificare la
natura del diritto oggetto di multiproprietà e si incentra sul rafforzamento della posizione cognitiva
del consumatore, fissando una serie di regole di trasparenza, intesa ancora una volta nella sua
duplice accezione di clausole contrattuali chiare e di contenuto minimo di informazioni.29
In questa ottica, il legislatore ha inteso disciplinare con cura persino la fase di diffusione dei
messaggi pubblicitari: significativo è l’art. 4 del d. lgs. italiano di recepimento. Con esso, infatti, si
stabilisce che nell’eventuale pubblicità commerciale relativa al bene immobile si debba
necessariamente “fare riferimento alla possibilità di ottenere il documento informativo, indicando il
luogo in cui lo stesso viene consegnato”. Viene così introdotto, a carico del venditore, un obbligo di
informazione diretto ad incertam personam ed avente ad oggetto l’esistenza di un documento che
racchiuda le principali informazioni intorno al diritto di cui si sta facendo la promozione, oltre che
intorno alla collocazione dello stesso. Si tratta, pertanto, di una sorta di “informazione
sull’informazione”, anche se la norma non fa altro che determinare il contenuto del messaggio
pubblicitario, attribuendogli una componente informativa (che si affiancherà così a quella
promozionale).
Disciplinato in questa forma il messaggio pubblicitario, si passa a regolare la fase
precontrattuale. E ciò si fa mediante l’imposizione (art. 3 direttiva e art. 2 d.lgs.) – in capo al
venditore – dell’obbligo di redigere un documento informativo in modo completo e conforme al
vero, da consegnare ad ogni persona che richieda informazioni sul bene immobile: informazione
prima della conclusione del contratto. In questo documento deve essere indicata una serie
29
S. Veneziano, La multiproprietà, in Diritto privato europeo, diretto da M. Bessone, vol. XXVI (Il diritto privato
dell’Unione Europea, a cura di A. Tizzano), Torino, 2000, p. 390.
V. anche, tra gli altri: Marasco, Multiproprietà, in Contratto e Impresa, 2000, n. 2, 1024; Smorto G., La multiproprietà
e la tutela dei consumatori: recepimento della direttiva 94/47/CE, in Europa e diritto privato, 1999, n. 1, 279 ss;
Tassoni, Trasparenza e ius poenitendi nella direttiva 94/47/CE, in Contratti, 1995, 95 ss.
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dettagliata di elementi che poi andranno necessariamente a confluire nel contenuto minimo
essenziale del contratto stesso (la cui forma scritta è prevista a pena di nullità).
La tutela dell’acquirente, pertanto, risulta organizzata ed incentrata – secondo l’impostazione
inaugurata dalla dir. 90/314 in materia di contratti di viaggio – sul principio della trasparenza. Il
documento informativo, destinato a regolare la fase precontrattuale della formazione del futuro
contratto, ha perciò la funzione di consentire una corretta e completa raffigurazione dei dati
dell’affare obbiettivamente rilevanti. Gli artt. 3 dir. e 2 d.lgs., che ne dettano la disciplina, sono
infatti diretti da un lato ad indicare la soglia minima del contenuto informativo e dall’altro a
prescrivere le modalità espressive dell’attività informativa stessa: non c’è dubbio che la finalità
dell’obbligo – posto in capo al venditore – di consegnare il documento informativo, sia anche quella
di prescrivere una determinata “veste” per lo scambio informativo dal venditore all’acquirente.
Infine, sempre con riguardo al documento informativo, il d.lgs. stabilisce che non è più possibile
apportare modifiche agli elementi del documento stesso, “a meno che esse non siano dovute a
circostanze indipendenti dalla volontà (del venditore)”, nel qual caso le modifiche “devono essere
comunicate alla parte interessata prima della conclusione del contratto ed inserite nel medesimo”.
In secondo luogo, è previsto che “dopo la consegna del documento informativo, le parti
possono accordarsi per modificare il documento stesso”. Il riconoscimento ad entrambe le parti di
una tale possibilità di intervento sul contenuto degli elementi indicati nel documento informativo e,
indirettamente, sul probabile contenuto del contratto, oltre a prefigurarsi per lo stesso consumatore
più apparente che reale – in considerazione dello scarso potere contrattuale di cui esso, per
definizione, dispone - corre il rischio di rivelarsi una previsione a lui sfavorevole.
Anche per la disciplina di questo contratto, peraltro, il legislatore delinea – oltre ad una
sequenza di informazioni destinate ad essere fornite prima del contratto, mediante consegna del
documento informativo – una serie di informazioni da versare nel contratto, il cui contenuto è
previsto dall’art. 3 d.lgs. Si specifica, inoltre, che il contratto deve essere redatto per iscritto a pena
di nullità (come ulteriore garanzia di trasparenza, da un punto di vista della forma) e che deve
contenere una serie di elementi espressamente indicati, nonchè il contenuto previsto per il
documento informativo dall’art. 2 (informazioni al momento della conclusione del contratto).
Troverebbe conferma, dunque, la tesi di recente sostenuta da parte della dottrina (v. supra,
par. 2.3.), secondo cui la prima garanzia per l’acquirente circa la vincolatività delle informazioni
23
Dott.ssa Valentina Tomarchio
precontrattuali è costituita dall’essere versate nel contenuto del contratto. Quindi, nel caso in cui il
contratto non contenga alcuno degli elementi del documento informativo, “al consumatore che non
abbia voluto o potuto esercitare il diritto di recesso non potrà negarsi il diritto di pretendere
l’adempimento secondo la clausola contenuta nel documento informativo e poi non riprodotta nel
testo contrattuale”30. Emerge, così, un rimedio “conservativo” invocabile nel caso di lacuna o di
divergenza tra documento informativo e contratto, il cui fondamento risiede nell’obbligo a carico
del venditore di rispettare il contenuto del documento informativo, espressamente posto dalla legge
e altrimenti privo di sanzione forte e positiva.
Il documento consegnato nella fase precontrattuale si presenta, insomma, idoneo ad integrare
il contenuto del contratto e l’informazione resa nella fase delle trattative e della formazione del
contratto torna a profilarsi come promessa.
8) Segue: la contrattazione a distanza (dir. 97/7 e d.lgs. 185/1999)
Disciplina fortemente incentrata sul profilo informativo e, dunque, della trasparenza31. La
normativa concerne tutti i più importanti aspetti (formazione, conclusione, scioglimento) di quei
contratti – aventi per oggetto beni e servizi – stipulati tra un fornitore e un consumatore,
“nell’ambito di un sistema di vendita o di prestazione di servizi a distanza, organizzato dal fornitore
che – per tale contratto – impiega esclusivamente una o più tecniche di comunicazione a distanza”
(fax, radio, televisione, posta elettronica, ecc.) “fino alla conclusione del contratto, compresa la
conclusione del contratto stesso” (art. 1).
L’art. 1, lett. d) del d.lgs. precisa, inoltre, che per “tecnica di comunicazione a distanza” si
intende “qualunque mezzo che, senza la presenza fisica e simultanea del fornitore e del
consumatore, possa impiegarsi per la conclusione del contratto tra le dette parti”.
Ebbene, è evidente come anche in un simile contesto – ove lo schema ordinario della
contrattazione risulta “alterato” – si avverta fortemente l’esigenza di proteggere gli acquirenti
contro i metodi aggressivi di vendita.
30
In questi termini, Alessi, Consensus ad idem, op. cit., p. 127
Cfr., tra i tanti, Bastiano S., Prime osservazioni sulla direttiva 97/7/CE, in Resp. civ. e prev., 1997, p. 1277 ss.; Regoli
F., La direttiva 97/7 circa la protezione del consumatore nei contratti a distanza, in Contratto e Impresa/Europa, 1997,
p. 832 ss.; Sanna, Considerazioni a margine del D. Lgs. 185/1999 in tema di tutela dei consumatori nei contratti a
distanza, in Resp. civ. e prev., 2000, II, p. 462; Toriello F., La protezione dell’acquirente a distanza, in Corr. giur.,
1999, n. 9, p. 1063
31
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Infatti, la natura degli strumenti utilizzati è tale per cui, fino all’esecuzione del relativo
contratto, sia l’oggetto che il regolamento contrattuale possono essere soltanto immaginati dal
consumatore, ma non certo conosciuti né tanto meno documentati e, per di più, essi sono
generalmente sotto l’esclusivo controllo del fornitore. Così, anche e soprattutto nel caso di contratti
negoziati a distanza, il primo strumento di tutela che la normativa mira ad offrire al consumatore è
l’ampio sistema di informazioni che il fornitore è tenuto a mettergli a disposizione, volto ad
assicurare il rispetto delle regole di trasparenza. Si tratta di informazioni che vanno rese sia prima
della conclusione del contratto (devono essere ricevute dal consumatore “in tempo utile e comunque
prima della conclusione di qualsiasi contratto a distanza”: c.d. informazioni minime obbligatorie e
preliminari, ex art. 3, d.lgs.), sia dopo la conclusione del contratto e comunque entro la sua
esecuzione (circa le modalità di esercizio del recesso, l’indirizzo geografico della sede del fornitore
cui presentare reclami, ecc.).
Per entrambe le tipologie di informazioni, inoltre, è indicato un contenuto obbligatorio
minimo.
Ancora una volta, poi, la realizzazione della trasparenza contrattuale è garantita prevedendo le
specifiche modalità con cui le informazioni devono esser fornite, per offrire al consumatore una
tutela effettiva e quanto più completa possibile.
Per quanto riguarda le informazioni precontrattuali, deve essere inequivocabile lo scopo
commerciale delle informazioni stesse, che, in secondo luogo, devono essere fornite in modo
“chiaro e comprensibile, con ogni mezzo adeguato alla tecnica di comunicazione a distanza
impiegata, osservando in particolare i principi di buona fede e lealtà in materia di transazioni
commerciali” (art. 3.2 d.lgs.).
Alle modalità delle informazioni preliminari, inoltre, è dedicata particolare attenzione nel caso
di negoziazione e vendite telefoniche: per queste, non solo è stato stabilito che l’identità del
fornitore e lo scopo commerciale devono essere dichiarati in modo inequivocabile all’inizio della
conversazione con il consumatore; ma è anche prevista espressamente la sanzione della nullità del
contratto, qualora si violi tale prescrizione.
Peraltro, è anche possibile che le informazioni preliminari siano fornite oralmente, purché,
però, se ne abbia poi conferma per iscritto. E’ questa una peculiarità di tale settore, dovuta proprio
alla “distanza” che caratterizza il rapporto fornitore-consumatore: il primo contatto tra di essi, in cui
25
Dott.ssa Valentina Tomarchio
il fornitore rende le informazioni precontrattuali, può anche svolgersi senza particolari vincoli di
forma e “con ogni mezzo adeguato alla tecnica di comunicazione impiegata” (art. 3.2, d.lgs.).
Purché, però, in un secondo momento il consumatore sia messo nelle condizioni di verificare – su
un “supporto duraturo” – le comunicazioni resegli inizialmente.
Proprio la conferma scritta delle informazioni rese al consumatore (ex art. 3 d.lgs.) prima
della conclusione di un qualsiasi contratto a distanza consentirebbe, peraltro, di evidenziare ancora
una volta la peculiarità della normativa consumeristica di settore. Il fatto che, ex art. 4 d.lgs., il
consumatore deve ricevere, prima o al momento della conclusione del contratto, conferma scritta di
tutte le informazioni precontrattuali, significa, in realtà, che quest’ultime finiscono con il divenire
parte integrante del contenuto del contratto32. In altri termini, la vincolatività delle informazioni
precontrattuali sarebbe nuovamente garantita dal fatto che esse vengono di fatto riversate nel
contratto stesso, perché quelle medesime informazioni, rese prima della stipula del contratto,
devono poi essere necessariamente “confermate” al momento della sua esecuzione. Le informazioni
precontrattuali, perciò, sono idonee ad integrare il contenuto dell’accordo e si configurano come un
vero e proprio segmento di quest’ultimo, con la conseguenza che la sanzione per la violazione della
regola di trasparenza – intesa come informazioni minime obbligatorie e preliminari – trasla dal
terreno classico della responsabilità precontrattuale a quello della responsabilità contrattuale, quale
responsabilità da inadempimento. Ne deriva, ancora, che il consumatore, il quale non ha potuto o
voluto avvalersi del diritto di recesso ex art. 5, II co., qualora non abbia ricevuto le informazioni
prescritte dall’art. 4, potrà comunque ottenere l’adempimento delle condizioni previste nelle
informazioni precontrattuali, che, come appena visto, costituiscono per il venditore una vera e
propria promessa vincolante.
Infine, sempre sotto il profilo sanzionatorio, l’art. 12 d.lgs. sancisce che, fatta salva
l’applicazione della legge penale qualora il fatto costituisca reato, si irroghi altresì una sanzione
amministrativa pecuniaria33.
9) La trasparenza del mercato a tutela del c.d. imprenditore debole
32
In tal senso, Alessi, Consensus ad idem, op. cit., p. 129
Tali sanzioni vanno, in ogni caso, coordinate – fin dove possibile – con la previsione di irrinunciabilità dei diritti
attribuiti al consumatore dal d. lgs. stesso, nonché con l’affermazione di nullità di ogni pattuizione in contrasto con le
disposizioni del decreto (cfr. art. 11)
33
26
Dott.ssa Valentina Tomarchio
La normativa consumeristica ha anche consentito di aprire la strada ad una più generalizzata
tutela del contraente debole in quanto tale, a prescindere dalla sua qualificazione soggettiva. In
particolare, seguendo l’idea secondo cui l’abuso del potere contrattuale danneggia il mercato anche
quando è esercitato nei rapporti tra imprenditori, si è avvertita l’esigenza di ammettere il controllo
sul potere contrattuale dell’imprenditore scaturente dalla sua posizione economicamente autoritaria,
giungendosi così ad incidere anche sulla disciplina privatistica della formazione dei contratti tra
imprenditori. La recente legge sulla subfornitura (l. n. 192/1997) segna un passo verso questa
direzione, costituendo la principale fonte di tutela per l’imprenditore debole, rappresentato nella
specie dal c.d. subfornitore. In particolare, quest’ultimo si trova in una posizione di dipendenza
tecnologica ed economica nei confronti del committente34, la quale giustifica l’applicazione di una
serie di limiti all’autonomia privata, tra cui, a garanzia di una maggiore trasparenza nella
contrattazione, l’obbligo di indicare nel contratto il prezzo pattuito (che deve essere determinato o
determinabile con chiarezza e precisione), al fine di verificare la corrispondenza tra prezzo e
prestazioni dovute dal subfornitore. L’onere della specifica determinazione attiene poi ai beni e
servizi richiesti dal committente nonché ai termini e alle modalità di consegna, di collaudo e di
pagamento. Infine, il contratto deve avere forma scritta a pena di nullità. Sono previste, dunque,
delle forme di tutela del c.d. imprenditore debole che richiamano quelle predisposte a garanzia del
consumatore, soprattutto per ciò che concerne l’obbligo di fornire, per iscritto, una serie di
informazioni che dovrebbero assicurare la formazione di un consenso consapevole e che sono
espressione della regola di trasparenza.
Va segnalato, tuttavia, che la C. Cost., con sent. 469/2002 – nel dichiarare non fondata la
questione di legittimità degli artt. 1469 bis e ss. c.c. nella parte in cui non estendono la tutela ivi
prevista anche agli imprenditori deboli - ha espressamente affermato che consumatore ed
imprenditore debole sono due posizioni non equiparabili, il che giustifica anche il divieto di
applicazione analogica, nei confronti di quest’ultimo, della disciplina sui contratti col consumatore.
Ciò in quanto “solo i consumatori sono privi della necessaria competenza per negoziare”. Il
Si tratta di una dipendenza economica e tecnologica: l’attività del subfornitore si deve conformare alle specifiche
esigenze del committente e la sua prestazione non ha altri sbocchi sul mercato: egli deve lavorare prodotti servendosi di
materie prime fornite dal committente e secondo le sue istruzioni, oppure deve fornire beni e servizi destinati ad essere
utilizzati nell’attività economica della committente.
34
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differente trattamento35 spesso riservato a imprenditore debole e consumatore si giustifica perché un
sistema economico basato sul principio del libero mercato e della concorrenza non può tollerare un
imprenditore che non abbia la competenza necessaria per negoziare e per rendersi conto della
convenienza o meno di un affare. L’imprenditore troverà protezione solo nell’ipotesi in cui egli sia
effettivamente meritevole di tutela in quanto non abbia la possibilità di effettuare una scelta
negoziale realmente autonoma: è il caso della dipendenza economica. In questa ipotesi, egli riceve
dall’ordinamento una tutela particolarmente energica, che incide anche sul prezzo dei beni e servizi:
l’imprenditore è così tutelato anche nel suo agire concorrenziale, ove è fondamentale il rispetto del
principio del libero formarsi dei prezzi.
10) Considerazioni finali
In conclusione, se l’idea di un controllo del contenuto del contratto è sembrata in passato un
attentato al diritto di iniziativa economica costituzionalmente garantito e l’abuso dell’imprenditore è
apparso suscettibile di repressione solo in quanto rivolto contro l’altrui iniziativa economica (ad es.,
divieto di concorrenza sleale), successivamente si è fatto strada il convincimento che la tutela dei
consumatori sia in realtà funzionale anche alla tutela del mercato. Ciò ha consentito, grazie
soprattutto alla spinta derivante dal diritto comunitario, la produzione di una normativa
caratterizzata da strumenti di tutela giuridica in parte nuovi e dall’impiego dei tradizionali mezzi di
protezione, utilizzati, però, in un differente contesto e con finalità diverse. D’altro canto, se l’attuale
quadro normativo vede principalmente l’affermazione della tutela dei consumatori, la tendenza è
comunque verso una “giustizia del mercato”, in cui siano vietati gli abusi di dominio contrattuale
anche nei rapporti tra imprenditori, segnando un ulteriore importante ingresso del principio di buona
fede anche nelle relazioni tra imprese.
La normativa che vieta l’abuso di dipendenza economica non pone una disciplina simmetrica rispetto a quella delle
clausole abusive, perché l’ambito di applicazione di quest’ultima normativa è ben più vasto. Non sempre, infatti, quella
che in un rapporto imprenditore-consumatore costituisce una clausola abusiva integra anche un abuso di dipendenza
economica. La norma dettata in tema di sub-fornitura, al contrario della disciplina ex artt. 1469 bis e ss., necessita infatti
della prova di una situazione di dipendenza economica. Nel caso delle clausole abusive, invece, il consumatore viene
tutelato a prescindere dal fatto di aver subito una situazione di monopolio. La stipula di una clausola che determini a suo
carico un significativo squilibrio di diritto ed obblighi potrà infatti essere sanzionata con l’inefficacia anche se il
consumatore avrebbe potuto orientarsi verso un altro contraente in grado di assicurargli lo stesso bene senza
costringerlo ad accettare quella clausola per lui svantaggiosa. Quando, però, si determina una situazione di dipendenza
economica e viene perpetrato il suo relativo abuso, la tutela offerta all’imprenditore c.d. debole è particolarmente
pregnante e supera quella garantita dai contratti del consumatore. Il divieto di abuso di dipendenza economica, infatti,
non esclude, come invece nel caso di clausole abusive, che l’abuso possa riguardare l’adeguatezza del corrispettivo.
L’imprenditore debole, pertanto, al contrario del consumatore, potrà lamentare anche l’imposizione di un prezzo
ingiustificatamente gravoso.
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