1 IL BARBIERE DI SIVIGLIA di Gioacchino Rossini La trama: Il conte di Almaviva è a Siviglia ed è innamorato di Rosina, ricca pupilla del vecchio don Bartolo ma da questi tenuta sotto stretta custodia. In aiuto di Almaviva giunge Figaro, factotum e barbiere richiesto da tutta la città, il quale suggerisce al conte di presentarsi in casa di don Bartolo travestito da soldato sotto il falso nome di Lindoro e con un falso biglietto di alloggio. Ma anche il geloso don Bartolo aspira segretamente alla mano e soprattutto alla ricca dote di Rosina. Venuto a conoscenza della presenza di Almaviva in città, egli ricorre alle armi della calunnia e dello scandalo per liberarsi del rivale. Nulla può tuttavia contro le astuzie di Figaro e del conte, il quale torna a corteggiare Rosina nei panni di un maestro di musica in sostituzione di don Basilio, che egli dice malato. Lo stratagemma riesce, ma quando i due innamorati stanno per fuggire ecco che don Bartolo, insospettito, decide di accelerare i tempi sposando Rosina. All’arrivo del notaio per la stipula del contratto di nozze, le parti improvvisamente si invertono anche grazie all’aiuto di don Basilio e alla destrezza di Figaro, sì che Almaviva sposa Rosina prima che don Bartolo faccia ritorno. A questi resterà come consolazione il fatto di non dover consegnare la dote della sua pupilla, di cui farà a metà con Figaro. Dopo il poco noto Barbiere di Siviglia di Giovanni Paisiello che il ‘Petruzzelli’ aveva messo in scena nella stagione 1985 in occasione dell’Anno Europeo della Musica in una riuscita edizione per la regia di Maurizio Scaparro e le scene di Lele Luzzati, il teatro barese sceglie di presentare l’opera buffa rossiniana per una sorta di confronto, affidandone la regìa a Dario Fo, uno dei massimi autoriattori-scrittori italiani viventi (poi Premio Nobel per la letteratura nel 1999). Con il Barbiere rossiniano siamo di fronte all’apice della tradizione del genere buffo e ai vertici dello stile di Rossini, il quale grazie alla sua reinvenzione s’imporrà definitivamente all’attenzione della scena musicale europea. Si narra che fu Beethoven in persona ad ammirarne il talento, tanto da consigliargli di non allontanarsi dall’opera buffa. Nel 1988, il teatro Petruzzelli affida la regia al futuro premio nobel Dario Fo, il quale pochi anni prima aveva effettuato la medesima messa in scena dell’opera, ma ad Amsterdam in una edizione che quasi tutti i teatri italiani avevano ritenuto troppo rutilante e persino dissacrante. Perfettamente 2 a suo agio nel misurarsi con la profondità e la ricchezza contenute nel Barbiere rossiniano, Fo si avvalse a Bari della direzione d’orchestra di un giovane ma già promettente Daniele Gatti (allievo prediletto di Claudio Abbado) allora ventiseienne, e di cantanti, tutti italiani, di buona caratura (William Matteuzzi, Almaviva; Roberto Coviello, Figaro; Alfredo Mariotti, don Bartolo; Giovanni Furlanetto, don Basilio; Francesca Franci, mezzosoprano, nei panni di Rosina; coro e orchestra del teatro Petruzzelli). L’allestimento di Dario Fo si segnala dunque per la verve e le trovate geniali frutto di un lungo lavoro di ricerca intorno alla tradizione “bassa” e popolare della ‘commedia all’improvviso’ italiana. Concentrandosi in particolare sulla caratterizzazione dei personaggi, il regista ricorre ad autentici quadri in movimento che ben si accordano con la musica di Rossini e che forse affollano un po’ troppo la scena ‘rubando’ l’attenzione del pubblico a dispetto dei cantantiinterpreti. Si vedano infatti le capriole di mimi e le gags funamboliche di figuranti clowneschi fatti venire a bella posta dall’Olanda ma assolutamente a loro agio dopo una full-immersion cui Fo li aveva sottoposti; le invenzioni da “commedia dell’arte” a sottolineare i momenti-chiave dell’opera come quando Rosina dichiara il suo amore giocando sull’altalena; o Almaviva che le si presenta su di una barca con remi giganteschi; o la pioggia e il vorticare di ombrelli a mo’ di commento visivo della gelosia rabbiosa di don Bartolo e della calunnia di don Basilio. L’esecuzione musicale del m° Gatti incide notevolmente sulla vis ritmica rossiniana, forse in alcuni punti con eccessiva velocità dei movimenti di base. La stampa italiana sottolineò la riuscita della messa in scena, in equilibrio tra la fedeltà al modello originale e il marcato individualismo del Fo regista, del quale comunque si riconoscono doti indiscusse nell’aver saputo rileggere l’opera rossiniana con il “candore” acuto e profondo, caratteristico di uno specialista contemporaneo di “misteri buffi”.