La vita nuova - Divinizzazione: la salvezza non consiste solo nella remissione dei peccati ma nell’essere resi partecipi della natura divina, non per una “mistica unione” ma perché per il battesimo siamo uniti alla persona del figlio che ci rende partecipi della sua natura, del suo atteggiamento, della sua relazione con il padre, in una parola del suo spirito (“nello spirito di Gesù preghiamo padre nostro…”). Il vangelo parla di rinascita nello spirito (Nicodemo). La rinascita è quella in cui nell’uomo viene immesso un nuovo principio di vita per cui partecipa realmente della natura divina: lo Spirito Santo. Non scompare la natura umana, diventa però possibilità reale di comunione con Dio, la vita dell’uomo viene divinizzata. La salvezza cioè non ha solo un aspetto “negativo” (la remissione dei peccati) ma anche uno “positivo”, attivo, il compimento del rapporto con Dio. La salvezza non è solo la riparazione di un guasto avvenuto ma è il compimento dell’uomo e della creazione. La nostra salvezza è partecipazione alla figliolanza di Gesù. - San Paolo per parlare della vita nuova dell’uomo dopo la redenzione parla della nascita dell’“uomo spirituale”, che vive secondo lo spirito. Questa vita nuova – dice – è plasmata dallo Spirito Santo che ci configura al figlio di Dio, a Gesù (“non sono più io che vivo ma Cristo vive in me”). È un livello più profondo di quello psicologico, noi stiamo guardando l’uomo a livello teologico, cioè dal punto di vista del suo essere profondo, più profondo anche dell’inconscio, a livello della verità ultima sull’uomo, che è data non dal livello psicologico (descrittivo) ma teologico (ontologico=dell’essere). Lo Spirito Santo è l’amore con il quale Gesù è amato da sempre e con il quale ha amato per sempre i suoi, questo Spirito è stato consegnato alla morte di Gesù, quando abbiamo sconosciuti di essere così amati e siamo stati resi capaci di amare così. Questo spirito è la novità attorno alla quale ruota la vita nuova del cristiano, quella che segue la redenzione. Lo spirito struttura tutta la nostra personalità attorno a questo nuovo centro vitale. La teologia passata parlava di “inabitazione” della vita divina in noi. - Possiamo dire che lo Spirito Santo in noi è quel principio di vita nuova, quel seme che è stato posto in noi col Battesimo, cioè quando abbiamo conosciuto l’amore di Dio per noi e 1 ne siamo stati immersi. Quel seme non è magico ma cresce con la nostra vita, libertà e conversione, non annulla la nostra libertà ma la plasma, la orienta fino a renderci conformi al figlio di Dio, a Gesù, che è la verità dell’uomo, la verità di noi stessi, fino ad “avere in noi gli stessi sentimenti del figlio” che è il nostro compimento, il compimento dell’uomo. Si tratta di una lenta riunificazione interiore attorno a questo nuovo centro-perno, una lenta trasformazione-liberazione. - Le virtù sono il frutto di questa trasformazione, di questo nascere e crescere in noi del figlio di Dio. la virtù non è definita come in antico dal reprimere e dominare il corpo, ma dal vivere la vita filiale (e quindi fraterna). La virtù è ordinare ogni cosa Dio nell’atteggiamento filiale di Cristo verso il padre: anche la spontaneità, l’indignazione, la gioia e la sofferenza: fanno parte della vita virtuosa. I nomi delle virtù hanno cercato di distinguere un unico atteggiamento unitario dell’uomo nuovo, della personalità credente che ha incontrato la salvezza di Cristo; si tratta di dimensioni diverse di un unico esistere. Le virtù teologali (che cioè nascono da Dio) sono tre secondo san Paolo: indicano quella fondamentale novità della vita del cristiano redento. Sono doni appunto poiché sono atteggiamenti che nascono in noi dalla salvezza (gratuita) di Cristo. - La fede soprannaturale. Esprime il biblico appoggiarsi su Dio, non un Dio sconosciuto ma il Dio che abbiamo conosciuto nell’uomo Gesù, nella carne di Gesù. Il confidare in lui. Non ha al centro il contenuto creduto, ma la relazione con lui, la fiducia dell’uomo in Dio. nella fede l’uomo ritrova sé stesso. Fede è riconoscere un presente, una novità nel mondo, una persona nella quale l’uomo percepisce che trova la risposta al suo cuore (esigenza di verità-bontà-bellezza). L’uomo riconosce presente qualcosa che appartiene al suo destino. Fede è aderire a questa persona, seguirla, obbedirgli. Sul piano umano la fede si declina nella fiducia, verso sé stesso e verso l’altro, data e ricevuta. Abbandono (io non mi identifico più con la mia preoccupazione, anche se l’ho fatta mia accettandola e non rinnegandola). Accoglienza e accettazione di ogni avvenimento della vita. Non si tratta di un’esperienza automatica ma esige un cammino e un lavoro. 2 Fede è anche rileggere il proprio passato, il presente e futuro alla luce della presenza del signore, dell’alleanza (vedi anno scorso!). - La speranza soprannaturale (sottolineo soprannaturale perché non sono atteggiamenti umani che nascono dall’esercizio umano e dall’ascesi ma dal dono di Dio in Cristo Gesù, dall’essere amati della croce!). Il cristiano vive la sua vita nell’attesa di un compimento venturo positivo e sicuro. La storia personale e del mondo tende a questo positivo ultimo. Dice la Spe Salvi: Il presente, anche un presente faticoso, può essere vissuto e accettato se conduce verso una meta e di questa meta noi possiamo essere sicuri, se questa meta è così grande da giustificare la fatica del cammino. I cristiani hanno un futuro, sanno che la loro vita non finisce nel vuoto. Solo quando il futuro è certo come realtà positiva diventa vivibile anche il presente. Sul piano umano la speranza si declina nella virtù della pazienza, nella capacità di attendere rimanendo dove sono, in uno sguardo positivo su di sé e sugli altri. - L’amore soprannaturale, compimento (imprepensabile) dell’amore umano. Siamo resi capaci di essere amati e di amare come Cristo. Ogni atto umano ha in sé questa caritas soprannaturale perciò ha un valore immenso (secondo la morale cattolica). È il “sacrificio esistenziale” (san Paolo). Dine la Deus est caritas: Noi abbiamo riconosciuto all’amore che Dio ha per noi e vi abbiamo creduto, siccome Dio ci ha amati per primo l’amore adesso non è più solo un comandamento ma è la risposta al dono dell’amore col quel Dio ci viene incontro. Dio prova un eros per l’uomo che lo porta a seguirlo fin nella morte (Dio segue l’uomo!). Il comandamento dell’amore diventa possibile solo perché non è più soltanto esigenza: l’amore può essere comandato perché prima è donato. Dio non ci ordina un sentimento che non possiamo suscitare in noi stessi. Egli ci ama, ci fa vedere e sperimentare il suo amore e, da questo “prima” di Dio, può come risposta spuntare l’amore anche in noi. Ma l’amore non è soltanto un sentimento, i sentimenti vanno e vengono. L’amore è la capacità di donare sé stessi e la propria vita unendo 3 intelletto, volontà e sentimento (è totalizzante). Amore di Dio e del prossimo sono inseparabili. Entrambi però vivono dell’amore preveniente di Dio che ci ha amato per primo, così non si tratta più di un comandamento dall’esterno che ci impone l’impossibile (amare i nemici, dare la vita per loro), bensì di un’esperienza dell’amore donata dall’interno, un amore che per sua natura tende a essere ulteriormente partecipato ad altri (!). In caritas in veritate: Senza la verità la carità scivola nel sentimentalismo vuoto. Esso è preda delle emozioni e delle opinioni contingenti dei soggetti. La carità è amore ricevuto e donato. Essa è grazia (chàris). La sua scaturigine è l’amore sorgivo del padre per il figlio nello Spirito Santo. È l’amore che dal figlio discende sui di noi. È l’amore creatore per cui siamo; è amore redentore per cui siamo ricreati. Amore rivelato e realizzato da Cristo e riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo. Amare qualcuno è volere il suo bene e adoperarsi efficacemente per esso. Dal punto di vista umano la carità si esprime nella libertà nelle relazioni (solo chi è libero rende gli altri liberi, chi è schiavo – di sé stesso – semina schiavitù); la carità si declina certezza di essere stato amato da sempre e per sempre e la certezza di poter amare per sempre. 4