11.2 Neuropsichiatria dell`ansia, della paura e del panico

11
PARTE II
PSICOPATOLOGIA FUNZIONALE E NEUROPSICHIATRIA
con il trauma (Jenkins et al, 1998); contribuire al ripresentarsi
dei ricordi intrusivi e alla riesperienza del trauma, sia in conseguenza a stimoli riguardanti l’evento, sia in modo apparentemente spontaneo.
Altri studi di neuropsicologia hanno analizzato le funzioni
esecutive in un gruppo di soggetti affetti da PTSD. I soggetti
affetti hanno mostrato anomalie nel mantenimento dell’attenzione, nella flessibilità cognitiva, nell’acquisizione di nuove
informazioni e le loro prestazioni sono risultate compromesse
dall’intrusione delle informazioni precedenti con interferenza
sull’acquisizione di quelle nuove. Queste caratteristiche disfunzionali erano correlate positivamente con la gravità dei
sintomi della riesperienza presenti nei pazienti. Gli autori hanno suggerito che tali riscontri potessero essere riconducibili a
un’anomalia della rete neurale della corteccia prefrontale dorsolaterale e che tale disregolazione possa costituire il substrato
neurobiologico dell’evitamento (Aupperle et al, 2011).
L’insieme di questi studi indica che gli individui con PTSD
possono mostrare alterati stili di elaborazione cognitiva, rispetto a informazioni specificamente correlate alla loro esperienza
traumatica.
MODELLI TEORICI DI RIFERIMENTO DEL
DISTURBO POST-TRAUMATICO DA STRESS
L’evento stressante è per definizione essenziale allo sviluppo del
PTSD, ma non sufficiente in quanto non tutte le persone esposte
a eventi traumatici sviluppano una risposta psicologica problematica. Fattori biologici, ambientali e psicosociali sembrano essere elementi predisponenti di vulnerabilità al disturbo (Nemeroff
et al, 2006; Olff et al, 2005; Yehuda e LeDoux, 2007). Studi preclinici e su modelli animali hanno dimostrato l’implicazione dei
sistemi neurotrasmettitoriali serotoninergico, noradrenergico,
dopaminergico, degli oppiacei endogeni e dell’asse HPA nella
genesi del PTSD (Heim e Nemeroff, 2009).
Vi sono diversi fattori di rischio per il PTSD. Alcuni autori
hanno identificato (una volta riconosciuta l’esposizione a un
evento traumatico) l’appartenenza al sesso femminile, la separazione dai genitori durante l’infanzia, la familiarità di
qualche disturbo psichiatrico e la preesistenza di un disturbo
(disturbo di panico, disturbo ossessivo-compulsivo, depressione). La gravità dell’evento traumatico e la reazione iniziale
al trauma (marcata ansia, sintomi dissociativi, aspetti depressivi) costituirebbero un fattore predittivo dell’esordio del disturbo.
Sul versante biologico ricerche sui gemelli indicano una
possibile diatesi per PTSD. Numerosi studi supportano la
teoria di una predisposizione genetica del disturbo, ma rimane
ancora sconosciuta la localizzazione precisa (Cornelis et al,
2010). Inoltre, a livello neurotrasmettitoriale, il trauma potrebbe attivare il sistema adrenergico, innalzando oltre la norma il livello di noradrenalina e pertanto rendendo la persona
più facilmente incline a spaventarsi e a esprimere le proprie
emozioni (Southwick et al, 1997). In generale si potrebbe
parlare di un fenotipo vulnerabile per il PTSD, caratterizzato
da bassi livelli di cortisolo in circolazione, e da un inadeguato
funzionamento del sistema centrale di reazione allo stress
(Yehuda, 2004).
Secondo la teoria dell’apprendimento una spiegazione comportamentale per la reazione della paura è basata sulla teoria dei
due fattori di Mowrer, utilizzata per spiegare l’arousal psicolo230 gico dei pazienti con PTSD in presenza di stimoli del trauma.
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Secondo tale teoria, due tipi di apprendimento (classico e operante) riguardano l’acquisizione dei sentimenti di paura e di
evitamento. In una prima fase, seguendo una continuità temporale, un precedente stimolo neutrale si associa a uno stimolo
incondizionato (per esempio l’attivazione del sistema nervoso
autonomo) che evoca automaticamente disagio o paura. Lo
stimolo neutrale, poi, acquista proprietà opposte dal momento
che la sua presenza provoca ansia; ora diventa, quindi, uno stimolo condizionato che genera paura. Questa semplice spiegazione dimostra come in questi pazienti possa svilupparsi un
elevato arousal fisiologico a un particolare stimolo. Inoltre le
caratteristiche spiacevoli dei ricordi traumatici (il secondo fattore di Mowrer) possono agire impedendo il riemergere dei ricordi stressanti e mantenere i pazienti lontani da qualsiasi attività che permetterebbe loro di abituarsi o desensibilizzarsi a tali
ricordi.
Il DPTS è certamente una condizione psicopatologica complessa che può essere considerata una via finale comune di molteplici eventi traumatici. A tale riguardo, recenti ricerche hanno
evidenziato come differenti disturbi psicopatologici nell’età adulta siano correlati a traumi psicologici subiti nell’età evolutiva.
Partendo dalle ricerche sull’attaccamento e dalla teoria dei sistemi motivazionali, etologico-evoluzionista (vedi Capitolo 2), Liotti e Farina (2011) hanno descritto una nuova teoria sul rapporto
tra processi mentali dissociativi e sviluppo della personalità in
contesti traumatici.
Neuropsichiatria
dell’ansia, della
paura e del panico
11.2
Robert Stowe, Carlo Blundo
APPROCCIO AI DISTURBI D’ANSIA
IN NEUROPSICHIATRIA
La diagnosi e il trattamento razionale dei disturbi d’ansia hanno ricevuto, negli ultimi due decenni, un notevole contributo
dalla conoscenza delle loro basi neurobiologiche (esposte nella
prima parte di questo capitolo) e dallo studio clinico delle condizioni internistiche e neurologiche che a essi si possono associare. Sebbene le terapie psicosociali e comportamentali
continuino a svolgere un ruolo importante e i modelli di apprendimento condizionato siano ancora rilevanti per la comprensione di alcuni disturbi d’ansia (in particolare per le fobie),
i recenti progressi nel campo della neuropsicopatologia e della
neuropsichiatria dei fenomeni paura, ansia e panico hanno
prodotto un profondo “cambiamento di paradigma”, dai modelli di tipo fondamentalmente psicodinamico a quelli basati
sulla neurobiologia. Molti problemi e controversie sono ancora
in attesa di una soluzione, ma senza dubbio l’approccio “neuropsichiatrico” diverrà sempre più importante per comprendere l’ansia e i suoi meccanismi all’inizio del nuovo millennio.
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LA PAURA, IL PANICO E L’ANSIA
Tab. 11.2
11
Disturbi specifici d’ansia
DSM-IV
Riclassificazione proposta dal DSM-V
Disturbo di Panico Con o Senza Agorafobia
Attacco di Panico
Agorafobia Con o Senza Disturbo di Panico
Agorafobia
Fobia Specifica/Fobia Sociale
Idem
Disturbo Ossessivo-Compulsivo (DOC)
Nuova categoria diagnostica
Disturbo Post-traumatico da Stress (PTSD)
Idem
Disturbo Acuto da Stress
Idem
Disturbo d’Ansia Generalizzato (GAD)
Idem
Disturbo d’Ansia Dovuto a Condizione Medica Generale
Idem
Disturbo d’Ansia Indotto da Sostanze
Idem
Disturbo d’Ansia Non Altrimenti Specificato
Idem
La tabella riporta la classificazione dei disturbi d’ansia secondo il DSM-IV e la riclassificazione proposta per il nuovo DSM-V nel quale dovrebbero essere
inserite solo le categorie Agorafobia e Panico mentre i DOC dovrebbero venire classificati in un’altra categoria diagnostica.
VALUTAZIONE DIAGNOSTICA
Di fronte a un paziente con una patologia somatica associata
ad ansia, il primo passo è quello di distinguere tra una forma
ansiosa aspecifica e una sindrome d’ansia vera e propria inquadrabile in uno dei disturbi del DSM (tab. 11.2). In quest’ultimo caso, sarà necessario, attraverso il colloquio, approfondire la storia e la sintomatologia dei disturbi. Innanzitutto,
è necessario stabilire se il disturbo d’ansia abbia avuto un
inizio acuto, oppure se si sia presentato in forma di attacchi,
ovvero se l’inizio sia stato graduale con un successivo decorso
cronico. L’ansia parossistica riconosce diverse cause, alcune
appartenenti all’area della psicologia e della psichiatria –
come gli attacchi di panico, le fobie, il PTSD – altre di tipo
neurologico, in primo luogo le crisi epilettiche parziali o altri
tipi di crisi come, per esempio, le crisi d’ansia nei soggetti
parkinsoniani legate alle situazioni di “off ” quando l’effetto
della L-dopa inizia a scomparire. Si deve inoltre tenere presente che le crisi parossistiche d’ansia possono dipendere da
patologie metaboliche come, per esempio, il diabete, che può
determinare crisi ipoglicemiche con i sintomi neurovegetativi
dell’ansia; da patologie cardio-polmonari, come la tachicardia
atriale parossistica che provoca gravi stati di ansia nel paziente quando inizia ad avvertire le crisi di tachicardia; da crisi
stenocardiche (angina o infarto), da crisi d’asma, da embolia
polmonare ecc.
Le crisi d’ansia non parossistica riguardano i disturbi psichiatrici primari come l’ansia generalizzata e possono insorgere in associazione a patologie neurologiche quali l’ictus, il
trauma cranico, condizioni endocrine come l’ipertiroidismo,
la sindrome di Cushing, l’ipocalcemia oppure patologie cardio-polmonari a carattere cronico come la broncopatia cronica ostruttiva o lo scompenso cardiaco congestizio. È quindi necessario ricercare attentamente, attraverso la storia
clinica e l’esame obiettivo del paziente, tutti i segni e i sintomi utili per arrivare a una diagnosi corretta dei fattori eziologici degli stati d’ansia acuta e cronica in quanto, in diverse
situazioni, specie nell’anziano, una condizione medica può
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spesso venire mascherata (nella fenomenologia e nel resoconto del paziente) da una sintomatologia somatica e psichica d’ansia.
Infine, un’altra causa frequente di ansia è di natura iatrogena, ovvero legata all’assunzione o alla sospensione di farmaci
di diverso tipo. A tale riguardo, si devono rivolgere ai pazienti
(che nella maggior parte dei casi non lo riferiscono spontaneamente) domande dirette per sapere se assumono farmaci da
banco (contenenti, per esempio, sostanze anticolinergiche o
caffeina) in grado di indurre ansia, se hanno sospeso improvvisamente terapie con benzodiazepine o serotoninergici, se
hanno interrotto acutamente l’assunzione di alcolici o smesso
di fumare, se hanno fatto uso di sostanze stupefacenti, compresa la cannabis.
Sotto il profilo semeiologico si devono raccogliere notizie
sia sui sintomi psichici dell’ansia sia su quelli neurovegetativi.
Infatti, in molti casi d’ansia associata a patologie internistiche
acute e croniche, questi ultimi sintomi, ovviamente, possono
sovrapporsi e confondersi con quelli propri della patologia di
base (per esempio, la tachicardia nelle crisi cardiache, la dispnea nelle patologie polmonari, i tremori nell’ipertiroidismo
ecc.).
La diagnosi di disturbo d’ansia deve anche tenere conto di
altre condizioni che possono venire confuse con tale disturbo.
Da un punto di vista fenomenologico, la diagnosi differenziale dell’ansia comprende altri disturbi associati a irrequietezza
motoria e iperattività. Ovviamente, essendo l’ansia uno stato
soggettivo, viene utilizzata di solito la descrizione della relativa sintomatologia fornita dal paziente. Esistono però casi in
cui l’ansia viene dedotta solo dall’osservazione del comportamento, per esempio nel caso di bambini piccoli o individui
francamente psicotici, dementi o afasici.
L’acatisia, sebbene non venga di per sé inclusa nello spettro
dei disturbi d’ansia nel DSM-IV-TR, costituisce un importante
sintomo di diagnosi differenziale. I movimenti coreiformi, spesso erroneamente etichettati, soprattutto se di lieve entità e da
osservatori inesperti, come “nervosismo”, alcuni tic e i tremori 231
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11
PARTE II
PSICOPATOLOGIA FUNZIONALE E NEUROPSICHIATRIA
posturali e d’azione di varia origine possono portare in alcuni
casi a un’erronea diagnosi di ansia.
Pur non essendo l’ansia un tipico disturbo presente nei disordini da deficit di attenzione/iperattività (ADHD), i bambini
affetti da tale sindrome possono talora essere erroneamente
etichettati come ansiosi a causa della loro irrequietezza e iperattività o, al contrario, può venire fatta a bambini ansiosi la
diagnosi errata di ADHD (Ratey et al, 1995).
Da ultimo, si deve ricordare come l’ansia si associ spesso a
depressione e come il fatto di non diagnosticarla sia uno degli
errori più comuni nel corso della valutazione di pazienti che si
lamentano di soffrire di ansia. Pertanto, quando un paziente viene valutato per una condizione d’ansia, si deve sempre esplorare
anche lo spettro della depressione, ricordando che i sintomi vegetativi possono essere in comune tra ansia e depressione e che,
soprattutto nell’anziano, i sintomi somatici spesso sovrastano gli
altri sintomi e segni di questi due disturbi.
Di seguito verranno passate in rassegna alcune delle più comuni condizioni mediche associate a disturbi d’ansia (per ulteriori approfondimenti si rimanda al classico testo di David et al,
2009 e ai testi di psichiatria generale).
DISTURBI D’ANSIA ASSOCIATI
A MALATTIE METABOLICHE
E INTERNISTICHE
L’ansia può costituire un aspetto rilevante in malattie endocrine
e metaboliche, in particolare l’ipertiroidismo (per l’azione degli
ormoni tiroidei sul sistema catecolaminergico, circa due terzi
dei pazienti con disturbi della tiroide rispondono ai criteri per il
disturbo d’ansia acuto), la sindrome di Cushing, la sepsi, il delirium, lo shock ipovolemico, l’ipo- o l’ipercalcemia e i deficit
di niacina e vitamina B12. Le emergenze mediche che generano
ansia comprendono l’infarto miocardico, l’embolia polmonare,
lo stato asmatico, le aritmie cardiache e l’insufficienza cardiaca
congestizia, la reazione anafilattica, l’ipoglicemia, le crisi porfiriche e l’addome acuto; in altre parole, ogni condizione che
provochi ipossiemia, ipotensione, dolore acuto e intenso, capogiro o vertigine, nausea o vomito può generare la cosiddetta
ansia sentinella.
I tumori secernenti ormoni che possono esordire con una
sindrome ansiosa includono il feocromocitoma surrenalico e i
paragangliomi extrasurrenalici (neoplasie secernenti catecolamine); gli adenomi e i carcinomi tiroidei; gli adenomi delle
paratiroidi; gli insulinomi; i tumori secernenti ACTH e cortisolo e i carcinoidi (cioè i cromaffino-secernenti). L’ansia può
costituire un aspetto preminente della policitemia o di un’encefalite limbica paraneoplastica dovuta a una sottostante patologia neoplastica.
Fra le connettiviti, la sindrome di Sjögren e il lupus eritematoso sistemico del sistema nervoso centrale sembrano essere associati a una maggiore incidenza del disturbo d’ansia e
di altri disturbi neuropsichiatrici.
La diagnosi differenziale degli attacchi di panico include
molte condizioni mediche. Di particolare importanza per gli
attacchi di panico in sé sono: la somministrazione acuta di
farmaci ansiogeni; l’astinenza da alcool, sedativi e ipnotici;
malattie endocrinologiche (specialmente l’ipertiroidismo, i
disturbi delle paratiroidi e gravi episodi ipoglicemici), tumori
ormono-secernenti (particolarmente i feocromocitomi, che
232 possono produrre attacchi provocati dall’esercizio associati a
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cefalea, ipertensione e/o sudorazione profusa) e disturbi cardiaci. Il prolasso della valvola mitrale (PVM) può essere associato a tachiaritmie sopraventricolari parossistiche ed era
una volta considerato un fattore di rischio per il disturbo di
panico. In realtà, anche se i due disturbi si possono sovrapporre e una minoranza sostanziale di pazienti con disturbo di panico ha il PVM, mancano le prove per una relazione causale
definita, dato anche che la prevalenza di disturbo di panico
non è chiaramente aumentata nel PVM.
DISTURBI D’ANSIA ASSOCIATI
AD ASSUNZIONE O ASTINENZA
DA SOSTANZE
L’intossicazione acuta o cronica o il sovradosaggio con metilxantine (caffeina, teofillina), nicotina, marijuana, sostanze
eccitanti, amfetamine, LSD, penciclide e cocaina producono
frequentemente ansia e attacchi di panico. L’uso cronico di
marijuana, allucinogeni e soprattutto amfetamine e cocaina
può inoltre generare una psicosi paranoidea associata ad ansia
e paura di notevole intensità.
L’astinenza da depressori del sistema nervoso centrale, quali l’alcool, le benzodiazepine, i barbiturici, il meprobamato e
gli oppiacei, nonché dai beta-bloccanti, è una causa piuttosto
comune di una sindrome ansiosa, altrimenti non spiegabile, a
esordio relativamente acuto. L’astinenza da sedativi e ipnotici
genera una condizione ipernoradrenergica, “via finale comune” per molti disturbi metabolici associati ad ansia, che aiuta
a spiegare la facilità a produrre ansia che hanno una varietà di
sostanze con effetti simpaticomimetici, compresi gli agonisti
beta-adrenergici, assunti oralmente o inalati, e le aminofilline
usate nell’asma; le amine vasocostrittrici assunte per via orale
o per via nasale come decongestionanti (quali i derivati dell’efedrina, la fenilpropilamina e la fenilefrina); gli antagonisti
centrali dei recettori alfa-2-adrenergici che aumentano l’attività eccitatoria del locus coeruleus (per esempio, la iohimbina), i farmaci dopaminergici (L-dopa, bromocriptina, pergolide ecc.); le pillole stimolanti o dietetiche (metilfenidato,
derivati delle amfetamine, pemolina); i sostituti tiroidei oltre
alla caffeina, alla nicotina e a molte altre sostanze (cfr. sopra).
È interessante notare che anche l’astinenza da sostanze eccitanti quali la caffeina e la nicotina può essere associata ad
ansia.
Gli steroidi, l’indometacina, l’aciclovir, gli anticolinergici,
il captoprile, la cicloserina, il dronabinolo, la meflochina, la
metrizamide, la norfloxacina e i derivati e i prodotti coniugati
della procaina (comprese la procainamide e le penicilline associate a procaina) possono generare ansia. È da sottolineare
che, pur essendo efficaci nel trattamento dei disturbi di panico,
gli antidepressivi inibitori delle monoaminossidasi (per esempio, l’isocarboxazide, la fenilzina) possono anch’essi generare
ansia. Analogamente, sia i neurolettici sia gli antidepressivi
inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina, possono
indurre acatisia. Il glutammato monosodico, un additivo alimentare usato per incrementare il sapore in molti cibi preparati e spesso in quantità notevoli nei ristoranti asiatici, può indurre ansia e acatisia in individui predisposti. Intossicazioni acute
o croniche da mercurio, arsenico, fosforo, insetticidi organofosforici, disolfuro di carbonio, benzene e altri solventi organici
possono anch’esse essere associate all’ansia (Cummings,
1985).
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LA PAURA, IL PANICO E L’ANSIA
DISTURBI D’ANSIA ASSOCIATI
A PATOLOGIE NEUROLOGICHE
Molti disturbi neurologici, comprese le neoplasie, i traumi, gli
insulti cerebrovascolari ischemici ed emorragici, l’emicrania, le
infezioni (inclusa la sifilide, la malattia di Creutzfeldt-Jacob e le
encefaliti), la sclerosi multipla, il morbo di Wilson, le demenze
e l’epilessia, possono essere complicati dall’ansia (Cummings,
1985). L’ansia che si verifica in associazione con i disturbi ossessivo-compulsivi secondari o “sintomatici” è stata rilevata in
numerosi disturbi neurologici, più frequentemente in quelli che
interessano i gangli della base, fra cui la corea di Sydenham, le
sindromi parkinsoniane (cfr. oltre); l’intossicazione da manganese, la sindrome di Gilles de la Tourette; la neuroacantocitosi;
gli infarti, le calcificazioni o la necrosi dei gangli della base di
svariata eziologia (vedi Capitolo 12).
EPILESSIA
Nella vasta e controversa letteratura che si interessa della personalità interictale e delle alterazioni psichiatriche nell’epilessia
del lobo temporale, pochi studi trattano in modo specifico dell’ansia (soprattutto in assenza di depressione). La relazione fra
epilessia e ansia è complessa e interessa una serie di manifestazioni a carattere intercritico, postcritico e critico. L’ansia come
fenomeno intercritico dipende dalle reazioni di adattamento al
disagio che l’epilessia può determinare sugli aspetti professionali, occupazionali, relazionali del paziente che può sviluppare
disturbi di ansia fobica (inclusa l’agorafobia) per la paura di
avere una crisi di fronte a estranei o in situazioni potenzialmente
pericolose. Alcuni dati dimostrano che i pazienti con epilessia
del lobo temporale (TLE) presentano cronicamente un innalzamento dei livelli di ansia, di solito (ma non esclusivamente) in
associazione a una sintomatologia depressiva (Robertson, 1994).
Certamente, molti pazienti con epilessia cronica presentano
episodi intercritici di ansia della durata di ore o giorni.
L’ansia come fenomeno postcritico si associa al disorientamento e all’offuscamento sensoriale propri della fase postcritica epilettica.
L’ansia in quanto fenomeno critico si manifesta come ansia
parossistica, paura ictale (ictal fear) e panico (che possono
essere la sola manifestazione di una crisi) ed è associata con
le scariche ictali nell’amigdala e nel giro paraippocampale.
Le seguenti caratteristiche dovrebbero far sospettare la presenza di una TLE in un paziente che presenti attacchi parossistici di paura:
■
■
■
episodi più stereotipati e più brevi del solito (per esempio,
una paura che dura meno di 1 o 2 minuti);
durante gli attacchi il paziente avverte sensazioni che dall’epigastrio si irradiano verso l’alto o allucinazioni viscerali,
olfattive, gustative di altro tipo; vi sono spesso déjà vu o
jamais vu, sguardo fisso o altri stati di restringimento della
coscienza, arresto del linguaggio, afasia, confusione, clonie
focali facciali o agli arti;
dopo gli attacchi, residuano sonnolenza, cefalea, confusione o amnesia transitoria, sintomi che possono essere indizi
di TLE.
Nella TLE l’EEG eseguito dopo deprivazione di sonno con
elettrodi temporali anteriori, sfenoidali o naso-faringei dà risultati più precisi ed è raccomandato nel caso che l’EEG di veglia
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di routine risulti normale. È da tempo noto, infatti, come registrazioni EEGrafiche, effettuate contemporaneamente sullo scalpo e all’interno del cranio, abbiano dimostrato che le scariche
epilettiche confinate all’amigdala e all’ippocampo possono non
essere registrabili con gli EEG di routine e che crisi parziali complesse che durino 1 minuto o meno potrebbero non diffondere
dalle strutture mesiali e temporali profonde alla superficie corticale e allo scalpo (Gloor et al, 1982). Se gli attacchi si verificano
più di una volta a settimana e l’EEG di routine e quello con deprivazione di sonno sono negativi, potrebbe essere utile un EEG
dinamico o una registrazione video delle 24 ore.
La RM è indicata in pazienti con anomalie epilettiformi e
attacchi di panico per escludere malformazioni vascolari, tumori e altre patologie neurologiche che possano richiedere un
intervento chirurgico.
CASO CLINICO 1
UNA PAZIENTE CON CRISI ICTALI
DI PAURA
Una ragazza di 24 anni senza precedenti morbosi di rilievo e senza familiarità per attacchi di panico, iniziò a presentare crisi di ansia ictale della durata di circa 2 minuti, durante le quali avvertiva una forte sensazione di
paura associata a sintomi neurovegetativi e malessere generale. La fenomenologia dei sintomi e la sequenza temporale con cui si presentavano erano
costanti in ogni crisi. Inoltre, la paziente riferì di avvertire durante le crisi la
paura come “estranea” a sé e immotivata, e di ritornare allo stato di “normalità” rapidamente, al termine della crisi. Erano assenti comportamenti di
evitamento e agorafobia. Tre crisi furono seguite da perdita di coscienza,
convulsioni tonico-cloniche e stato confusionale postcritico prolungato.
Due EEG standard risultarono normali ma una registrazione con EEG dinamico nelle 24 ore dimostrò la presenza di anomalie epilettiformi in sede
temporale destra. Il trattamento con carbamazepina 200 mg 3 volte/die associato a topiramato (150 mg 2 volte/die) determinò una scomparsa delle
crisi sia generalizzate sia parziali, mentre rimasero crisi parziali di paura
parossistica. La RM (fig. 11.3) evidenziò in sede temporo-mesiale destra un
processo eteroformativo ( possibile astrocitoma di basso grado) esteso sino
alla regione dell’ippocampo e della corteccia paraippocampale (sezione assiale). L’esame neuropsicologico evidenziò un livello intellettivo nei limiti
medio-alti ma con segni di disfunzione cognitiva temporale destra.
Due anni dopo l’inizio della sintomatologia comiziale, la paziente fu
sottoposta a intervento neurochirurgico che confermò la diagnosi di
astrocitoma di grado 2.
(Osservazione di Blundo, 2005.)
CASO CLINICO 2
UN PAZIENTE CON CRISI A TIPO PANICO
Un uomo di 24 anni giunge in ospedale per una crisi epilettica generalizzata. Nella storia vengono riferiti crisi parossistiche di ansia da 4 anni,
diagnosticate in ambiente psichiatrico come attacchi di panico e curati
senza farmaci ma con psicoterapia, dalla quale il paziente riferisce di aver
tratto giovamento pur persistendo le crisi.
Sviluppo psicofisico regolare. Anamnesi patologica remota non significativa. Non vengono riferite crisi comiziali in passato. Le crisi di panico
vengono descritte a esordio improvviso, di durata di 2-3 minuti, durante le
quali il paziente avverte una sintomatologia ingravescente caratterizzata da
tachicardia, capogiri, affanno associati a una sensazione di paura. La crisi
dura circa 1-2 minuti e dopo aver raggiunto un “picco massimo” rapidamente decresce lasciando nel paziente una sensazione di piacere per il fatto di
essere terminata. In alcune crisi sono presenti disturbi del gusto (sensazione
di sapori metallici in bocca) e/o errori linguistici di denominazione. Sono
assenti sudorazione, paura di perdere il controllo o di morire. La fenomenologia della crisi porta a escludere una diagnosi di attacchi di panico idiopatici e orienta invece verso manifestazioni di tipo comiziale. La RM evidenzia un’estesa malformazione arterovenosa (MAV) frontobasale-temporale
233
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11
PARTE II
Fig. 11.3
PSICOPATOLOGIA FUNZIONALE E NEUROPSICHIATRIA
Vedi testo.
anteriore destra (fig. 11.4) (per i rapporti tra MAV e crisi comiziali vedi
Remington e Jeffries, 1984; Wall et al, 1985). Il paziente viene sottoposto a
trattamento antiepilettico con scomparsa delle crisi e successivamente sottoposto a intervento di embolizzazione della MAV.
(Osservazione di Blundo e Gerace, 2010.)
Sulla base di quanto esposto e dei due casi clinici esemplificativi sopra riportati, le crisi epilettiche di paura ictale o a
tipo panico presentano analogie e differenze sul piano fenomenologico e patogenetico con le più comuni crisi di ansia e
con gli attacchi di panico (tab. 11.3). D’altronde, questi due
tipi di crisi condividono substrati disfunzionali in comune localizzati nelle aree limbiche e paralimbiche del lobo temporale destro (vedi la prima parte del capitolo). Una distinzione tra
questi tipi di crisi non è sempre facile, anche perché attacchi
di panico e crisi epilettiche possono coesistere in uno stesso
soggetto e gli attacchi di panico si possono presentare nella
fase “prodromica” (aura) di crisi epilettiche parziali complesse o generalizzate. Inoltre, i soggetti con storia di attacchi di
panico hanno un rischio maggiore di presentare anche crisi
234
Fig. 11.4
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comiziali. Soggetti con disturbo di attacco da panico sono risultati compromessi in test visuospaziali sensibili al danno
temporo-parietale destro. Un’attenta analisi delle manifestazioni cliniche e un accurato studio con tecniche EEGrafiche e
RM possono tuttavia aiutare nella diagnosi differenziale.
Per ulteriori approfondimenti sui disturbi d’ansia e panico associati a epilessia, cfr. Devinsky et al, 1991; Deutsch et al, 2009;
Mintzer e Lopez, 2002; Murri et al, 1998; Toth et al, 2010.
LESIONI CEREBRALI FOCALI
Amigdala
Nella letteratura neurologica sono stati descritti alcuni rari casi
di persone con assenza congenita o alterazioni funzionali dell’amigdala bilateralmente. Il caso clinico più studiato è quello
di S.M., una donna con morbo di Urbach-Wiethe, una rarissima patologia autosomica recessiva caratterizzata da anomale
calcificazioni alla cute, al faringe, alle amigdale, con un conseguente grave danno bilaterale a queste strutture (Feinstein
Vedi testo.
8/31/11 4:54:20 PM
LA PAURA, IL PANICO E L’ANSIA
Tab. 11.3
Diagnosi differenziale tra attacchi di panico e crisi epilettiche di ansia ictale
Attacchi di panico
Crisi epilettiche focali
Coscienza
Conservata
Conservata, ma è possibile una
progressiva riduzione della vigilanza
Durata
5-10 minuti
0,5-2 minuti
Déjà-vu, allucinazioni
Rare
> 5%
Automatismi
Rari
Comuni
Agorafobia
Comune
Assente, solo in comorbilità con ansia
intercritica
Sintomi depressivi
Comuni
Meno comuni
Ansia anticipatoria
Molto comune
Può essere presente ma non è comune
“Marcia” dei sintomi
Variabile
Tendenzialmente costante
EEG intercritico
Normale
Spesso alterato
EEG ictale
Normale
Alterato
RM delle strutture temporali
Normale
Spesso alterata
et al, 2011; Tranel et al, 2006). La paziente, con intelligenza
normale, senza deficit di cognizione sociale, è in grado di sentire, mimare e riconoscere, sul volto degli altri, tutte le emozioni tranne la paura. La completa assenza di questa emozione
porta la donna ad avere un comportamento di eccessiva disponibilità e fiducia verso gli altri e la rende incapace di interpretare correttamente segnali sgradevoli e pericolosi. S.M. è
quindi una persona “senza paura”, che non mostra alcuna reazione emotiva di fronte a situazioni naturali e sperimentali che
incutono terrore e/o minacciano la sua vita.
Attacchi di panico sono stati descritti in un paziente con
lesioni bilaterali dell’amigdala secondarie a morbo di UrbachWiethe (Wiest et al, 2006).
Insula
Lesioni vascolari o di altra natura nella regione dell’insula
possono compromettere la funzionalità di questa struttura
determinando la comparsa di disturbi emozionali e di ansia
anticipatoria (Shin e Liberzon, 2010).
CASO CLINICO 3
UN PAZIENTE CON ANSIA E DISTURBI
SOMATOFORMI
La figura 11.5 mostra la RM (sequenze FLAIR, sezioni assiali ) di un
paziente di 46 anni con una lesione malacica della regione fronto- insulare destra secondaria a un’ischemia nel territorio dell’arteria cerebrale
media associata a occlusione della carotide omolaterale. La sintomatologia del paziente era esordita acutamente con una lieve emiparesi sinistra, disartria e disfagia, sintomi regrediti nell’arco di alcuni giorni e
seguiti dopo circa 4 settimane da un’intensa ansia anticipatoria e situazionale con una forte componente somatoforme, che il paziente non
aveva prima mai manifestato. Tale sintomatologia ansiosa rimase relativamente stabile rendendo necessaria una terapia con benzodiazepine e
SSRI che portarono a un discreto ma non completo recupero. Due anni
dopo il paziente sviluppò un dolore “centrale” agli arti controlaterali
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11
alla pregressa lesione fronto-insulare senza altri segni di recidive ischemiche alla RM.
(Osservazione di Blundo e Gerace, 2007.)
MALATTIA DI PARKINSON
L’ansia e la depressione sono i disturbi neuropsichiatrici più
frequentemente osservati nello stadio iniziale della malattia di
Parkinson (MP) (Nègre-Pagès et al, 2010). Numerosi dati indicano che nella MP l’ansia e la depressione si verificano senza che vi sia una stretta correlazione con fattori di stress psicosociali, dato questo che risulta a favore di una forte
componente biologica. Per prima cosa, l’insorgenza di un disturbo d’ansia può precedere di diversi anni lo sviluppo di
sintomi motori nella MP (Shiba et al, 2000) rivestendo così un
ruolo predittivo della futura insorgenza della malattia. In una
revisione sull’argomento da parte di Richard et al (1996), gli
Autori giungono alla conclusione che una varietà di disturbi
d’ansia, particolarmente i disturbi di panico, la fobia sociale, il
disturbo ossessivo-compulsivo e il disturbo d’ansia generalizzato, sono presenti nel 20-40% dei pazienti anche se le valutazioni della loro reale incidenza variano ampiamente (Flint,
1994). Tuttavia, la forma più comune di presentazione dell’ansia nella MP è rappresentata da sintomi che non rientrano in
nessuna di queste categorie diagnostiche psichiatriche. La
maggior parte dei pazienti parkinsoniani con un disturbo d’ansia soffre pure di depressione e presenta tale disturbo in associazione a fluttuazioni motorie dovute a periodi di “on/off ” o
di “wearing off ” (vedi Capitolo 14). Come nella depressione, i
sintomi d’ansia e i sintomi della MP possono coesistere e sovrapporsi creando confusione diagnostica. Disturbi del sonno,
fatica, riduzione della concentrazione, disfunzioni neurovegetative, sono infatti, sintomi comuni sia all’ansia sia alla MP.
L’ansia non sembra correlare con la durata della malattia,
con la gravità della sintomatologia motoria, con il dosaggio
della L-dopa o con il grado di disabilità e può esordire con un 235
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11
PARTE II
Fig. 11.5
PSICOPATOLOGIA FUNZIONALE E NEUROPSICHIATRIA
Vedi testo.
picco iniziale e un secondo picco negli stadi avanzati della
malattia (Mondolo et al, 2007). In un recente lavoro (Quelhas
e Costa, 2009) condotto su 43 soggetti con MP, è risultato che
il disturbo d’ansia era un forte predittore della qualità di vita,
superiore alla depressione e alla gravità della malattia.
Il disturbo d’ansia non deve essere confuso con l’acatisia, che
può verificarsi anche in assenza di terapia dopamino-agonista ed
è stata rilevata in circa il 39% dei pazienti ambulatoriali affetti da
MP visitati in centri per i disturbi del movimento (Fudge et al,
1996). Sintomi ossessivo-compulsivi possono anche essere presenti nella MP, come viene detto nel Capitolo 12. È stato riportato in letteratura che la L-dopa, gli agonisti dopaminergici,
come pure l’amantadina e la selegilina, possono indurre stati di
ansia in un significativo numero di pazienti (Factor et al, 1995).
Disturbi di panico sono stati descritti nel 38% dei pazienti affetti da MP in terapia con L-dopa (Vázquez et al, 1993).
Alcuni dei sistemi neurosmettitoriali implicati nell’ansia,
mediati dalla serotonina, dalla noradrenalina, dalla dopamina
e dal GABA sono disfunzionanti nella MP. Oltre alla perdita
dei neuroni dopaminergici (non solo nella sostanza nera, ma
anche nell’area tegmentale ventrale che proietta prevalentemente al nucleo accumbens), altre alterazioni neurobiologiche che possono sottendere all’ansia nella MP sono le alterazioni noradrenergiche (perdita di cellule catecolaminergiche
nel locus coeruleus, ridotta densità dei recettori adrenergici
alfa-2 e induzione di panico con la iohimbina nei soggetti
affetti da MP); il deficit serotoninergico nella corteccia frontale, nell’ipotalamo e nei gangli della base (attribuibile a una
perdita neuronale nei nuclei del rafe); e una diminuzione del
GABA corticale (con aumento dei livelli nel pallido e nel
putamen) (Richard et al, 1996). Alcune delle manifestazioni
legate all’ansia come i pensieri perseverativi e la mancanza
di flessibilità cognitiva, possono essere l’espressione di sintomi disesecutivi secondari a deficit frontali che, presenti nei
soggetti con MP, li rendono meno capaci di fronteggiare le
situazioni ambientali che sono per loro fonte di ansia (Marsh
236 et al, 2000).
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INVECCHIAMENTO CEREBRALE E DEMENZA
I disturbi d’ansia sono comuni negli anziani, anche se in misura inferiore rispetto ai soggetti giovani, e sono molto spesso
associati a uno stato depressivo e/o a patologie mediche di
diverso tipo. Frequentemente l’ansia nelle persone anziane si
associa a deficit cognitivi anche lievi (Wolitzky-Taylor et al,
2010). Recenti ricerche hanno evidenziato una relazione tra
disturbi d’ansia e deficit cognitivi nell’anziano e come la comorbilità tra questi due disturbi li potenzi reciprocamente
rappresentando per entrambi un fattore sfavorevole dal punto
di vista della prognosi e del trattamento (Beaudreau e O’Hara,
2008). Soprattutto in individui molto organizzati nella loro
routine quotidiana, che programmano e registrano le loro
attività, abituati a tenere tutto “sotto controllo”, lo sviluppo
di problemi attentivi e mnesici, con conseguente riduzione
delle capacità organizzative, può facilmente portare a una
sensazione di essere sopraffatti e produrre quindi un’ansia
particolarmente elevata. In effetti, in uno studio (Bungener
et al, 1996) si è visto che la perdita del “controllo” era un
fattore predittivo della depressione e dell’ansia migliore del
deficit cognitivo, che spiega il motivo per cui, parallelamente
alla progressione della demenza e alla perdita dell’insight,
l’ansia dipendente dal contesto tende a dissolversi anche in
individui precedentemente ansiosi. L’ansia in un paziente
demente può costituire una sfida diagnostica e terapeutica
non indifferente. Escludere il ruolo confondente dell’ansia
nella patogenesi dei deficit cognitivi, rilevati nello status
mentale e con i test neuropsicologici, è un compito tanto
importante quanto può risultare problematico. È stato ipotizzato che nei pazienti dementi l’agitazione possa essere una
manifestazione di un disturbo d’ansia generalizzato (Mintzer
e Brawman-Mintzer, 1996) e anche l’acatisia è una sottostimata causa di “ansia” e di agitazione in pazienti, moderatamente deteriorati, in terapia o precedentemente trattati con
neurolettici o SSRI.
Altre nozioni sull’ansia nella demenza sono riportate nel
Capitolo 16.
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LA PAURA, IL PANICO E L’ANSIA
TRAUMI CRANICI
L’incidenza dei sintomi d’ansia nei pazienti con trauma cranico varia considerevolmente, potendo dipendere dalla sede e
dal tipo del danno (vedi Capitolo 6). Altri importanti fattori
sono rappresentati dalla personalità premorbosa, dalle conseguenze sul piano sociale e professionale, dal profilo delle sequele cognitive e dalla presenza o meno di consapevolezza di
queste sequele. Jorge et al (1993) trovarono che nei pazienti
con trauma cranico le “depressioni ansiose” erano più comunemente associate con lesioni emisferiche posteriori destre.
Prigatano (1992) ha evidenziato che, mentre lo stato di agitazione e lo stato di insonnia sono frequenti nelle prime fasi di
recupero dopo gravi traumi cranici chiusi, l’ansia e una maggiore sensibilità alle preoccupazioni tendono a svilupparsi più
tardi, quando i pazienti divengono più consapevoli delle loro
disabilità a contatto con l’ambiente.
Un recente lavoro di meta-analisi ha dimostrato che l’impatto
del disturbo post-concussivo sul sistema emozionale è lieve o
trascurabile e questo dato ha importanti implicazioni sulla decisione se trattare o meno farmacologicamente questi pazienti,
nonché sul piano medico-legale (Panayiotou et al, 2010). In
particolare, quando vi sono di mezzo pratiche di indennizzo e
controversie legali, livelli elevati d’ansia durante i test possono
fuorviare una corretta interpretazione dei risultati ottenuti dalla
valutazione neuropsicologica di questi pazienti. Disturbi somatici, quali per esempio una cefalea cronica, dolori al collo (nonché i dolori legati a lesioni extraneurologiche) e disturbi depressivi di vario tipo contribuiscono notevolmente allo sviluppo di
stati d’ansia cronici e sono in grado di predire altri sintomi del
disturbo post-concussivo.
Il PTSD correlato al ricordo dell’incidente è un’altra causa
di ansia nei soggetti sopravvissuti a un trauma cranico. La
gestione clinica di questi soggetti richiede di solito un trattamento multidisciplinare e multifattoriale con un’integrazione
di valutazioni e terapie di tipo psicosociale, psichiatrico e
neurologico (vedi Capitoli 17 e 18).
SCLEROSI MULTIPLA
I disturbi dello spettro d’ansia in corso di sclerosi multipla
(SM), pur essendo molto comuni, sono stati oggetto di studi e
ricerche in misura sicuramente minore rispetto ai disturbi depressivi (Korostil e Feinstein, 2007). La loro frequenza non
appare correlata, come per i disturbi depressivi, con l’esame
dello stato di disabilità, né con il grado di disabilità fisica
prodotta da questa malattia, né con alterazioni specifiche di
strutture e circuiti implicati nella neurobiologia dell’ansia
(Rao et al, 1992).
L’ansia nella SM, come nei traumi cranici, tende a verificarsi negli individui con una spiccata consapevolezza dei propri
disturbi e una particolare preoccupazione per i propri disturbi
motori e/o cognitivi, associata a timori e incertezze per gli
sviluppi futuri della malattia. Stati d’ansia acuti possono dipendere da situazioni d’insufficienza respiratoria legate a gravi
lesioni demielinizzanti del midollo spinale cervicale; a iniziali
sepsi urinarie; a distensione vescicale da ritenzione acuta urinaria in pazienti con grave interessamento midollare e perdita
della sensibilità dello stato della vescica. I disturbi d’ansia più
frequentemente rilevabili in pazienti con SM sono il disturbo
d’ansia generalizzato, il disturbo ossessivo-compulsivo e il
panico. Questi disturbi possono essere presenti già nelle prime
fasi della SM e tendono poi a permanere inalterati nei primi
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11
anni di malattia, potendosi associare a depressione, abuso di
alcool, atti di autolesionismo e tendenze suicidarie.
Gli steroidi e i farmaci immunosoppressori possono indurre
ansia, così come la sospensione improvvisa di farmaci contro la
spasticità come il baclofene (un analogo del GABA). Interventi
psicologici possono essere di supporto nel trattamento degli
stati ansioso-depressivi in pazienti con SM (vedi Capitolo 18).
ACATISIA
L’acatisia (letteralmente “incapacità di rimanere seduti”) può
essere confusa con l’ansia anche se essa stessa di solito si associa a un senso di ansia. Con questo termine si definisce una
sensazione di irrequietezza interna accompagnata da una
compulsione a muoversi (particolarmente con gli arti inferiori, come accavallare e distendere le gambe, oscillare con il
peso del corpo da un piede all’altro, battere il tempo o camminare). La maggior parte dei pazienti presenta un’acatisia provocata dai neurolettici, acuta o cronica.
L’acatisia acuta è tipicamente associata con l’inizio di una
terapia neurolettica. È stata osservata anche in caso di astinenza
da oppiacei e, occasionalmente, da neurolettici. L’acatisia, inoltre, è un effetto collaterale sempre più riconosciuto della terapia
con antidepressivi SSRI (per esempio, fluoxetina, fluvoxamina,
sertralina, paroxetina, citalopram) ed è stata correlata a un aumento dell’inibizione serotoninergica del rilascio di dopamina,
soprattutto nell’area tegmentale ventrale (Lipinski et al, 1989).
Può costituire, anche se meno comunemente, un effetto collaterale della carbamazepina, del buspirone, della metoclopramide,
dei calcio-antagonisti (principalmente quelli con effetti neurolettici come la flunarizina e la cinnarizina) e degli agenti depletori della dopamina (reserpina, tetrabenazina, alfa-metildopa) ed è, come la corea, esacerbata dagli estrogeni.
L’acatisia cronica può essere dovuta a un uso continuativo di
neurolettici, o persistere come “acatisia tardiva” anche dopo
l’interruzione della terapia con neurolettici e in questo caso è
spesso associata a discinesia tardiva e distonia. Le principali diagnosi differenziali a livello di fenomenologia clinica sono la
corea (i movimenti di accavallamento e di stiramento delle gambe, in assenza di ansia o spesso persino di consapevolezza, sono
comuni, per esempio, nella corea di Huntington) e la sindrome
di Ekbom (gambe senza riposo). A differenza dell’acatisia, quest’ultimo disturbo è di solito associato con sintomi sensitivi ai
polpacci (parestesie, dolore, sensazioni di bruciore, freddo o di
“vermetti striscianti”) e la sensazione di irrequietezza peggiora
con la posizione supina, mentre l’acatisia è di solito alleviata
dalla posizione supina e peggiorata da quella eretta. Inoltre, la
cosiddetta sindrome delle gambe senza riposo può essere familiare, è spesso associata con disturbi del sonno e con movimenti
mioclonici delle gambe, caratteristiche che non si ritrovano nell’acatisia. Anche le stereotipie motorie associate con la schizofrenia cronica e con la catatonia (il dondolio avanti e indietro o
lo spostamento del peso del corpo da un piede all’altro) possono
somigliare ai movimenti dell’acatisia.
La causa dell’acatisia non è conosciuta, ma l’ipotesi più
universalmente accettata implica il blocco dei recettori postsinaptici D2 nelle vie dopaminergiche mesocorticali. A questo
proposito è interessante notare che bassi livelli di ferro sierico
e di saturazione della transferrina possono essere associati sia
con la sindrome delle gambe senza riposo sia con l’acatisia,
dato che i farmaci chelanti il ferro inibiscono specificamente i
recettori D2 nel caudato, effetto che può venire annullato dal- 237
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PARTE II
PSICOPATOLOGIA FUNZIONALE E NEUROPSICHIATRIA
l’introduzione di ferro (Brown et al, 1987). L’effetto benefico
dei beta-bloccanti può essere collegato alla capacità di questi
farmaci di facilitare l’attività dopaminergica nell’area tegmentale ventrale ma non nello striato (Sachdev e Loneragan, 1991),
anche se è stata avanzata un’ipotesi noradrenergica che collega
l’acatisia provocata dai neurolettici al blocco dei recettori dopaminergici presinaptici sui terminali nervosi noradrenergici,
e/o a un’ipersensibilità dei recettori noradrenergici spinali innervati dalla regione mesencefalica locomotoria (Bartels et al,
1981).
A parte l’eziologia, è molto importante diagnosticare l’acatisia: è infatti estremamente fastidiosa per i pazienti ed è frequentemente una causa non riconosciuta di un comportamen-
to agitato in un individuo confuso, demente, gravemente
depresso o psicotico. Il trattamento dell’acatisia provocata dai
farmaci comporta la riduzione del dosaggio o la sostituzione
del farmaco con un’altra sostanza di minore potenza. Nel caso
ciò non sia possibile, i farmaci beta-bloccanti costituiscono il
trattamento più efficace e meglio tollerato per l’acatisia e già
entro 1-2 ore dopo una dose efficace, si può, di solito, osservare un miglioramento. I farmaci anticolinergici sono molto
usati ma sono molto meno tollerati rispetto ai beta-bloccanti e
probabilmente anche meno efficaci. Le benzodiazepine possono anch’esse essere efficaci, particolarmente nell’acatisia
cronica (e nella sindrome delle gambe senza riposo dove il
farmaci di prima scelta sono però i dopaminoagonisti).
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