5. RICERCA: Alzheimer, la cura potrebbe arrivare da speciali

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5. RICERCA: Alzheimer, la cura potrebbe arrivare da speciali anticorpi
Nuove speranze per la cura dell’Alzheimer arrivano dallo University College London: in
uno studio pubblicato sul Journal of Neuroscience alcuni ricercatori del dipartimento di
biologia cellulare e dello sviluppo dimostrano di aver identificato degli anticorpi capaci di
bloccare il processo di distruzione delle sinapsi che porta ai sintomi della malattia
neurodegenerativa. La scoperta potrebbe presto trasformarsi in un trattamento contro il
declino cognitivo provocato dalla patologia. Si tratta di molecole capaci di fermare la
proteina Dkk1, sopprimendo completamente l’effetto tossico delle proteine beta-amiloidi
sulle sinapsi. Dkk1 è infatti stata rilevata in grandi quantità nelle biopsie cerebrali di
pazienti affetti da Alzheimer, ma finora il suo ruolo era stato sottovalutato. Gli scienziati
dell’UCL hanno invece osservato come siano proprio le beta-amiloidi a provocare la
produzione di queste molecole, che aiutano la malattia a smantellare le sinapsi
nell’ippocampo, la regione del cervello che regola funzione come apprendimento e
memoria. Nel lavoro appena pubblicato, i ricercatori inglesi hanno condotto esperimenti
proprio per svelare le fasi della distruzione delle strutture che permettono ai neuroni di
comunicare a seguito dell’esposizione alle proteine beta-amiloidi. Sezionando il cervello di
alcune cavie murine, sono stati in grado di monitorare come alcune sinapsi riuscivano a
sopravvivere alla distruzione proprio per la presenza di anticorpi a Dkk1, mentre le altre
venivano inesorabilmente distrutte dalla malattia. Gli scienziati hanno allora osservato
cosa succedeva nel cervello dei topi se i valori di questi anticorpi venivano aumentati
artificialmente. È stato proprio così che hanno fatto la scoperta: i neuroni esposti a queste
molecole rimanevano in salute e i collegamenti tra di essi intatti. “Nonostante i grandi passi
in avanti che sono stati fatti nella comprensione della biologia di questa malattia il mondo
accademico non è mai stato in grado di sviluppare dei farmaci capaci di controllare la
patologia”, ha spiegato Patricia Salinas, ricercatrice che ha coordinato lo studio. “Con
questa ricerca, invece, abbiamo trovato nella proteina Dkk1 un potenziale bersaglio
terapeutico”. Secondo gli esperti, infatti, aver capito cosa succede nel cervello quando le
beta-amiloidi entrano in azione, è il primo passo verso lo sviluppo di trattamenti efficaci.
“Studi come questi sono essenziali per questo processo, ma ora serve che questi risultati
siano portati dal laboratorio alla pratica clinica”, ha commentato Simon Ridley di
Alzheimer’s Research UK, la più importante associazione di beneficienza che in Gran
Bretagna si occupa della malattia neurodegenerativa. “La demenza e il deficit cognitivo
causati dalla malattia possono essere combattuti solo grazie alla ricerca. Che va dunque
sostenuta anche economicamente, per aiutare il grandissimo numero di pazienti che ogni
anno lottano contro la patologia”.
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