La postmodernità La società post-moderna Provare a descrivere l’epoca in cui stiamo vivendo non è un’operazione semplice. Appare difficile infatti anche solo individuare un termine per definirla. Come è noto, le epoche storiche sono solitamente denominate secondo una tradizionale, quanto convenzionale, linea del tempo: La convenzionale linea del tempo Nascita di Cristo II I I II 476 III IV V 1492 VI VII VIII IX a.C. X XI 1815 Oggi XII XIII XIV XV XVI XVIIXVIII XIX XX XXI d.C. Età moderna Età antica Età contemporanea Medioevo Alto Premodernità Basso Modernità Post-modernità Definire la nostra epoca Tra le numerose definizioni adottate, ricordiamo le seguenti: Società postmoderna (Lyotard, 1979) Seconda modernità (Beck, 1986) Modernità riflessiva o radicalizzata (Giddens, 1991) Tarda modernità (Giddens, 1991) Surmodernità (Augé, 1992) Modernità liquida (Bauman, 2000) Ipermodernità (Codeluppi, 2007) La modernità Economia di mercato e capitalistica. Accentuata urbanizzazione. Stato nazione. Secolarizzazione. Credenza nelle visioni onnicomprensive e legittimanti (grandi narrazioni). Culto del nuovo (uso della categoria del superamento). Dominio della natura ed esaltazione della scienza. La Modernità La Razionalizzazione La modernità è un modo di interpretare il mondo come un campo governabile con azioni razionali. È caratterizzata da una fede nella conoscenza scientifica e da una profonda fiducia nella ragione. Ma la razionalità che sta a fondamento della modernità è una razionalità ‘utilitaristica’, caratterizzata da quello spirito calcolistico ben descritto da Max Weber. La ricerca della massima efficienza coincide con uno strumento di dominio e può trasformare il mondo in una gabbia d’acciaio (burocratizzazione, meccanizzazione, spersonalizzazione) Ordine, Previsione, Controllo La Modernità La ricerca dell’ordine si accompagna anche alla volontà di chiusura e di esclusione nei confronti di chi si sottrae alla presa della razionalità strumentale, che dell’ordine moderno è la base. La natura disciplinare del potere moderno passa attraverso il controllo dei corpi e la sorveglianza. Mentre una parte della popolazione viene ritenuta idonea ad agire in conformità all’ordine sociale, l’altra, quella degli ‘imperfetti’, viene presa in carico da autorità esperte – guardie carcerarie, medici, insegnanti… – che si occuperanno di far loro ‘generare’ le condotte desiderate. Modernità Rovesciando le interpretazioni ricorrenti della Shoah, che hanno sempre sostenuto l’unicità e la specificità tedesca del fenomeno parlando di ‘fallimento’ della modernità, Bauman ritiene invece che “la Germania fece quello che fece a causa di ciò che condivide con noi”, non a causa di ciò che la differenzia. La Shoah è dunque il prodotto della modernità. Hannah Arendt (La banalità del male, 1963) ricaverà l'idea che il male perpetrato da Eichmann - come dalla maggior parte dei tedeschi che si resero corresponsabili della Shoah - fosse dovuto non ad un'indole maligna, ben radicata nell'anima quanto piuttosto ad una completa inconsapevolezza di cosa significassero le proprie azioni. Modernità Auschwitz è l’estrema conseguenza del perverso intreccio tra ingegneria sociale e razionalità strumentale (Bauman parla di “fordismo assassino”). Nella modernità, il genocidio si configura come elemento di ingegneria sociale consonante con il progetto di una società che si batte per eliminare ‘sporco’ e ‘disordine’. Per costruire armonia e ordine, l’isolamento, l’allontanamento o, come misura estrema, lo sterminio delle categorie di persone “per le quali lo schema ordinativo non prevede un posto” può essere contemplato. In questo senso l’Olocausto appare come un aspetto ‘interno’ alla modernità piuttosto che come sua terribile anomalia. La post-modernità La post modernità è la modernità che ha riconosciuto l’irrealizzabilità del suo progetto originario. Il fallimento del processo di razionalizzazione. La modernità si mostra cosciente della temporaneità e storicità degli eventi. Impossibilità di estirpare l’ambivalenza dalla vita sociale. La conoscenza non appare più come strumento infallibile attraverso il quale superare le incertezze del presente e del futuro. Tutto è provvisorio, anche la conoscenza scientifica. Il mondo non è più concepito come totalità ordinata, strutturata dalla tensione verso il miglioramento continuo. In un contesto considerato privo di coerenza e non direzionato, spetta ai singoli individui costruire identità significative. La modernità non è stata in grado di realizzare i principi di libertà, democrazie e uguaglianza (+localismi, +disastri, + guerre, + povertà, +disuguaglianza, +dittature, + superstizioni…) Dio è morto, Nietzsche. Nichilismo. I valori si svuotano, manca uno scopo. È il fallimento delle pretesa razionalistica di spiegare tutto. Modernità liquida (Bauman) Il sociologo Zygmunt Bauman usa la metafora della “liquidità” Il vecchio ordine non è sostituito da un ordine alternativo, ma da un’incertezza che pervade mondo sociale e vite individuali insieme, generando un’ansia diffusa. Dopo la caduta del muro di Berlino, il capitalismo si presenta come un dogma, come il paradigma economico vincente perché privo di alternative reali e praticabili. Modernità liquida Liquefazione dei legami sociali. Impossibilità di trasformare le scelte dei singoli in azioni e progetti collettivi. Assenza di punti di riferimento sociali (famiglia, chiesa, partito…) Società “individualizzata”. Rifiuto di responsabilità personali. Neoliberismo. Perdita della stabilità lavorativa. Trasformazione del cittadino in consumatore. Postmodernità Sfiducia nelle grandi narrazioni (illuminismo, idealismo, marxismo). Rifiuto dell’enfasi del nuovo. Abbandono dell’idea di progresso necessario. Relativismo etico. Flessibilità e frammentazione socioculturale. Condizione di perenne dinamismo e cambiamento sociale. Società del rischio (Beck, 1986) La tesi principale che Beck sviluppa è che la società industriale di oggi nel creare ricchezza produce anche rischi, legati al carattere complesso delle grandi tecnologie. Il rischio si presenta come l’altra faccia della ricchezza sociale. I rischi non sono un dato nuovo nella storia dell’uomo. Da sempre l’agire comporta una esposizione al rischio. Ma il rischio di cui parla Beck è diverso. Si tratta di una qualità nuova di fenomeni che si producono indipendentemente dalla sua volontà. Sono rischi legati a effetti collaterali, conseguenze non previste. Mentre i rischi che ciascuno di noi decide di affrontare sono scelte consapevoli, i rischi oggetto dell’analisi di Beck sono manifestazioni necessarie e permanenti della civiltà industriale cui i singoli non possono sottrarsi. Nella società del rischio acquistano crescente importanza gli esperti, come figure chiamate a rispondere alle domande e alle paure dei cittadini Surmodernità Accelerazione del tempo (sovrabbondanza di avvenimenti del mondo contemporaneo). Trasformazione dello spazio (restringimento del pianeta grazie allo sviluppo dei mezzi di trasporto rapido. In questa dimensione nascono e si moltiplicano i non-luoghi). Eccesso di ego (l’individuo si considera un mondo a sé. Tutto ruota attorno alle proprie esigenze). Non luoghi L’antropologo Marc Augé ha definito “non-luoghi”, quegli spazi urbani privi di identità specifica e ad alta standardizzazione, come supermercati, stazioni o aeroporti. “Se un luogo può definirsi come identitario, relazionale, storico, uno spazio che non può definirsi né identitario né relazionale né storico, definirà un non-luogo.” Fanno parte dei nonluoghi sia le strutture necessarie per la circolazione accelerata delle persone e dei beni (autostrade, svincoli e aeroporti), sia i mezzi di trasporto, i grandi centri commerciali, i campi profughi, eccetera. Spazi in cui milioni di individualità si incrociano senza entrare in relazione sospinti o dal desiderio frenetico di consumare o di accelerare le operazioni quotidiane o come porta di accesso ad un cambiamento (reale o simbolico). Prima ancora di Marc Augé, questa trasformazione in atto negli spazi urbani era già stata notata da Italo Calvino sin dagli anni Settanta. Calvino pubblica infatti proprio durante questi anni un volume che raccoglie una serie di racconti che scaturiscono dalle sue riflessioni intorno al complesso tema dei rapporti tra utopia e realtà: Le città invisibili. Calvino pensa dunque a città che sono “invisibili” perché ciascun abitante non conosce più gli altri, ma si limita a fantasticare possibili incontri. “A Cloe, grande città, le persone che passano per le vie non si conoscono. Al vedersi immaginano mille cose uno dell’altro, gli incontri che potrebbero avvenire tra loro, le conversazioni, le sorprese, le carezze, i morsi. Ma nessuno saluta nessuno, gli sguardi s’incrociano per un secondo e poi si sfuggono, cercano altri sguardi, non si fermano”. Italo Calvino, Le città invisibili, Le città invisibili , Torino, Einaudi, 1972 . “Le città si stanno trasformando in un’unica città, in una città ininterrotta in cui si perdono le differenze che un tempo caratterizzavano ognuna. Questa idea, che percorre tutto il mio libro Le città invisibili, mi viene dal modo di vivere che è ormai di molti di noi: un continuo passare da un aeroporto all’altro, per fare una vita pressoché uguale in qualsiasi città ci si trovi.” La folla solitaria di Riesman Clone city Ma dietro a queste città del divertimento e del sogno si nascondono altre realtà. A Dubai, ad esempio, è presente un’abbondante manodopera a basso costo, proveniente soprattutto dall’India, dal Pakistan, dal Bangladesh, dallo Sri Lanka e dalle Filippine. “Sono persone che lavorano di solito dodici ore al giorno per sei giorni e mezzo alla settimana, nel caldo torrido del deserto e per pochi dollari. Una specie di ‘schiavi contemporanei’, vittime di un ricatto economico che si basa sulla loro condizione di stranieri e sul fatto che quando entrano a Dubai viene ritirato loro il passaporto da parte delle agenzie di lavoro.” Ipermetropoli Secondo l’urbanista Mike Davis Dubai rappresenta una nuova fase evolutiva del capitalismo, dove, a suo avviso, il modello neoliberale è stato portato fino ai suoi massimi livelli e si realizza una paradossale fusione tra il mondo di Walt Disney e quello di Albert Speer, il famigerato architetto di Hitler. Questo perché dietro un’apparente condizione paradisiaca si nasconde uno Stato autoritario diretto dallo sceicco Mohammed bin Rashid Al Maktoum, la cui famiglia è proprietaria dal 1833 del territorio di Dubai. Mike Davis, Le stade Dubaï du capitalisme , paris, Les Prairies, 2007. Iperconsumo (Codeluppi) I consumatori dei Paesi avanzati “hanno smesso da tempo di comperare i beni per le funzioni che possono svolgere e sono spinti all’acquisto da moltissimi altri motivi, con il risultato di vivere in una situazione di ‘iperconsumo’.” “Il termine inglese ‘shopping’ di solito viene tradotto in italiano con ‘acquisti’, ‘compere’ o ‘spesa’, ma in realtà il suo significato è decisamente più ampio. Lo shopping non si riferisce soltanto a un semplice atto di acquisto di un bene, ma è un’esperienza complessa che racchiude al suo interno diverse dimensioni di natura individuale e sociale.” “Il consumatore infatti non investe nello shopping soltanto il suo denaro, ma anche il suo tempo libero e il suo impegno psicologico. Non vi cercano soltanto dei beni che siano in grado di soddisfare le sue esigenze materiali, ma anche la possibilità di sviluppare le sue relazioni sociali e realizzare la sua identità.” “Per tutti lo shopping si presenta come un mondo altamente desiderabile e ciò è in gran parte il risultato di quel lavoro di promozione che su di esso viene incessantemente svolto da parte dei messaggi pubblicitari.” Codeluppi, Ipermondo, cit. “Ciò non comporta, però, che il consumo produca necessariamente un elevato livello di soddisfazione all’interno degli individui. Questi continuano ostinatamente a consumare, ma tutte le ricerche condotte a partire dagli anni Cinquanta mostrano come la crescita del reddito, che si traduce solitamente nell’acquisto di beni, non abbia determinato un aumento della soddisfazione, ad eccezione, ovviamente, di coloro che si trovavano al di sotto della soglia di povertà.” Codeluppi, Ipermondo, cit. Come osserva Bauman, infatti, lo scopo dei produttori di merci non è quello di soddisfare completamente i bisogni degli acquirenti. Se così fosse i consumatori non sarebbero più indotti all’acquisto di altri prodotti. È quindi intrinseco alla natura del capitalismo non solo favorire la nascita di nuovi bisogni, ma anche fare in modo che si mantenga nel consumatore un certo livello di insoddisfazione che possa indurlo ad effettuare altri acquisti. Il modello consumistico è talmente pervasivo che, “come ha sostenuto Zygmunt Bauman, nelle odierne società consumistiche gli individui devono cercare, esattamente come le merci in vendita nel mercato, di rendersi particolarmente attraenti agli occhi degli altri, se vogliono sentirsi parte della società in cui vivono.” Come scrive Bauman, la società “ridefinisce le relazioni interumane a modello e somiglianza delle relazioni tra i consumatori e gli oggetti di consumo” Assorbire lo statuto delle merci comporta per gli individui anche assorbire quell’irreversibile tendenza verso l’obsolescenza che caratterizza le merci stesse. Tenere costantemente aggiornata la propria identità attraverso i beni che si acquistano diventa perciò un vero e proprio obbligo sociale. Ma è improbabile che un tale aggiornamento possa rendere soddisfatti a lungo termine gli individui